Itinerario Carbonaro

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I Carbonari di Fratta Polesine : Don Marco Fortini, Giovanni Monti, Cecilia Monti D'Arnaud, Antonio Villa, Antonio Fortunato Oroboni

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ITINERARIO STORICO

Percorso carbonaro a Fratta Polesine

Fratta Polesine è un tranquillo paese del medio Polesine dalle notevoli memorie storiche e testimonianze artistiche. Abitato già in epoche antichissime (vedi villaggio protovillanoviano della Frattesina) è stato nei tempi punto di ritrovo di signori (i popoli del cui castello ormai non è rimasta traccia visibile, i Badoer, che dal Palladio hanno fatto progettare la loro bellissima residenza di campagna: la Badoera) provenienti dalle città limitrofe (Bologna, Ferrara, Venezia…) Sorge all’incrocio dello Scortico (diramazione dell’Adigetto) e dello scolo Valdentro: lungo questi

due corsi d’acqua si possono ammirare bellissime ville: Corazza, Matteotti, Campanari (ora sede municipale), Cornoldi-Fanan, Badoera, Molin-Avezzù, Labia, Boniotti, Davì-Franchin, Oroboni,

Dolfin. Fratta nel XIX sec. è stata teatro delle sfortunate vicende carbonare del 1818 di cui il turista trova

ricordo in un monumento che fa bella mostra di sé nella piazza principale.

MONUMENTO AI CARBONARI DI FRATTA

Il monumento ai Carbonari di Fratta Polesine è il primo monumento, sorto in Italia, dopo la liberazione dalla dominazione austriaca del 1866; per la sua costruzione furono presentati 4 progetti e alla fine fu scelto quello di Andrea Pavarin di Rovigo. Venne inaugurato il 16 Giugno 1867, e i frattensi lo definirono “Colonna dei Martiri”. L’esecuzione dell’opera fu affidata allo scultore di Verona,(premiato con medaglia d’oro dall’Accademia di Milano) G.Spazzi, profugo che era stato perseguitato dall’Austria. L’epigrafe è stata dettata da don Gastone Businaro, patriota di Adria che partecipò alla difesa di Venezia. La sua forma è pentagonale ricorda la Stella d’Italia. Cinque grosse catene circondano il cippo, simbolo della schiavitù austriaca. Una colonna tronca, sormontata da un’ urna

cineraria, è emblema della vita stroncata dei nostri martiri. Cinque palme legate da nastri marmorei, rappresentano il martirio e l’esaltazione della fede. Cinque fiaccole capovolte, indicano i sogni spezzati

L’epigrafe incisa nel lato destro è la seguente: Fratta– da Spielberg– Venezia– Lubiana– l’eco doloroso- de’ suoi martiri– del 1821– raccogliendo– in questo marmo– servire sua storia.

Nel secondo lato ci sono incisi i nomi di Antonio Villa e Fortunato Oroboni. Nel terzo risulta il nome di Don Marco Fortini e di Giovanni Monti, entrambi condannati a morte,successivamente graziati dopo numerose sofferenze. Seguono i nomi di condannati a più lievi pene, Giacomo Monti, Antonio Poli, Carlo Poli, Federico Monti, Vincenzo Zerbini e Domenico

Grindati.

Colonna dei martiri

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Ma chi erano i Carbonari della Fratta? Dove vivevano, di quale estrazione sociale erano?

Quando si arriva da Rovigo e si entra in Paese da Est si trova subito l’abitazione di Don M. Fortini; procedendo verso la Piazza per via B. Guanella

si incontrano anche le altre abitazioni dei carbonari.

Don Marco Fortini

Don Fortini era un uomo di piccola statura, tarchiato, con la fronte bassa, capelli neri, naso regolare, barba nera e colorito bruno. Aveva aderito alla Carboneria di Fratta per leggerezza, pur non avendo chiari gli obiettivi di quella società: si riscattò come un uomo eroico per aver sopportato con umiltà e rassegnazione la pena e per essere stato di aiuto e conforto per i compagni di sventura.

ARRESTO E CONDANNA

Fu arrestato a Fratta, nel tempo delle novene di Natale del 1818. Anche lui come i compagni di Fratta era accusato di un reato molto grave: alto tradimento. La sua condanna fu tra le più ingiuste: le autorità austriache pensavano di avere a che fare con uno dei più importanti personaggi della Carboneria mentre poi capirono che era un uomo innocuo, addirittura pauroso. Interrogato a lungo, davanti ai giudici implorava e piangeva ma inutilmente. Prima della sentenza finale, essendo un sacerdote, fu sottoposto alla cerimonia ufficiale della degradazione: fu condotto nel palazzo Episcopale di Venezia dove si diede lettura dell’atto di accusa (dal quale risultava che Fortini era un componente della Carboneria nella quale si ordivano orrende trame contro la religione) davanti a numerosi prelati. Il povero Fortini, vestito con tutti gli indumenti da prete, fu spogliato dal Patriarca che pronunciava le parole dell’ordinazione al contrario. Gli fecero radere i capelli per togliergli il segno della “tonsura” e gli fecero raschiare con il vetro i polpastrelli delle dita

perché avevano toccato le cose sante. Dopo questa cerimonia fu riportato in prigione. La notte del 12 Gennaio 1822 prese la via del carcere, lo Spilberg. Il viaggio durò 1 mese e fu poco piacevole perché il compagno a lui legato aveva modi bruschi e quando decideva di muoversi non lo avvisava per tempo per cui rischiava ogni volta di farlo cadere.

RITORNO AL PAESE, RIABILITAZIONE E MORTE

L’8 Dicembre 1827 uscì dallo Spilberg, ma ritornò a Fratta soltanto verso la metà del 1828 perché, per parecchi mesi, venne trattenuto nelle carceri di Vienna. Poco tempo prima di morire ebbe la soddisfazione di essere riabilitato e riportato in trionfo per Fratta; anni dopo la scarcerazione fu riammesso al sacerdozio.

Morì 20 anni dopo la scarcerazione l’8 maggio 1848 a Fratta e il suo corpo fu portato nell’attuale Cimitero con gli onori riservati ad un

Abitazione di don M. Fortini

Il Fortini viene degradato dal

Patriarca di Venezia

Viaggio verso il carcere dello

Spilberg

Piantina di Fratta

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GIOVANNI MONTI Era un uomo di statura normale, capelli grigi, fronte spaziosa, sopraccigli grigi, occhi castani, naso regolare e colorito scuro. Era nato a Villanova del Ghebbo verso il 1785 da Vincenzo e Maddalena Santi; era sposato con la signora Barotti Chiara di Este e abitava a Fratta in via San Pietro. Fin dal 1815 era in rapporto con Villa e Cecilia Monti che era appena tornata dalla Francia con grandi progetti e aveva promesso gradi e titoli in caso di cambiamenti politici ai due fratelli. Il fratello di Giovanni era Giacomo Monti.

LA CONDANNA E MORTE

Giovanni fu arrestato il 7 Gennaio 1819, fu condannato a morte come Oroboni, Villa, Fortini e Foresti ma poiché le prove del delitto di alto “tradimento” mancavano, la pena fu commutata in sei anni di carcere duro da scontare nel castello di Lubiana. A tre anni dalla scarcerazione vide morire la moglie. Ritornò a Fratta il 12 Novembre 1824 dopo cinque anni di prigione. Il fratello Giacomo, invece, fu condannato a solo sei anni di arresto a Venezia. Entrambi erano persone di buon cuore, aiutavano i bisognosi del paese senza farsi notare. Giovanni era iscritto alla Carboneria dal 1817. Giovanni morì

a Fratta il 27 Febbraio del 1863 senza vedere realizzato il suo sogno di libertà.

CECILIA MONTI D’ARNAUD

Cecilia Monti D’Arnaud nacque a Fratta Polesine il 25 Ottobre 1763, si sposò con il generale Giovanni Battista D’Arnaud; da ragazza ebbe un’educazione accuratissima. Era molto bella, intelligente, garbata e affascinante; ebbe molte relazioni amorose sia prima che dopo il matrimonio. Ad un certo punto della sua vita ritornò col marito a Fratta e ritenendo troppo umile la propria casa natale, prese in affitto parte di Villa Molin. Era molto ambiziosa: amava far credere d’essere più ricca di quanto non fosse; al marito, infatti aveva fatto credere di possedere molta terra perché, andando a passeggio con lui in carrozza per le strade di campagna, quando incontrava i contadini chiedeva loro come andavano i lavori e costoro, per cortesia, rispondevano: “Bene, Siora parona”. Il termine parona stava a significare “signora” e non “padrona” come invece credeva il marito che non era pratico del dialetto veneto.

Brindisi dell’11 Novembre 1818

L’attività della Monti non è molto chiara: si dice che avesse il compito di diffondere la Carboneria. Per certo organizzò, proprio in Villa Bragadin, l’11 novembre 1818, il pranzo durante il quale fu fatto un brindisi ai “futuri successi politici”. Da quel pranzo cominciarono i guai per i carbonari di Fratta. Il 6 dicembre 1818 Cecilia venne arrestata assieme al marito per quell’incauto brindisi; tutti gli amici di Cecilia, suoi ospiti furono arrestati e portati prima a Rovigo e poi a Venezia. Dopo pochi mesi di reclusioni fu rilasciata e, col marito espulsa dagli Stati Austriaci.

Fortezza di Lubiana

Villa Monti

Villa Molin

Barchessa di villa Molin

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ANTONIO VILLA

Aspetto fisico e condizioni: Antonio villa era di statura alta, di corporatura tarchiata, viso lungo con fronte alta, butterato dal vaiolo, naso aquilino, occhi castani ,ciglia rare, capelli e barba castani. Indossava solitamente un soprabito blu, calzoni di panno scuro, stivali e cappello rotondo di feltro nero. Era sposato ma non aveva figli , era molto geloso della moglie tanto che già dopo il terzo interrogatorio, dopo l’arresto, fece tante rivelazioni: (che avrebbero portato all’arresto di molti altri carbonari) sperando di ritornare in paese a casa della sua Teresa; non era un uomo cattivo ma era di carattere debole.

ISCRIZIONE ALLA CARBONERIA

Antonio Villa era un notaio, parlava bene l’Italiano, un po’di latino e di Francese. Si iscrisse alla Carboneria incitato da Felice Foresti il 2 agosto 1817. La sua accettazione nella Carboneria avvenne a Crespino a casa del Foresti: fu fatto inginocchiare e gli venne puntato un pugnale nel petto da tutti i carbonari presenti; in questa condizione pronunciò il solenne giuramento che lo unì alla società segreta, la formula del giuramento era questa: “Giuro obbedienza e fedeltà alle costituzione della gran vendita; giuro di non pitturare né leggere e né scrivere senza il permesso del Maestro e, mancando, che sia il mio nome di esecrazione a tutti i

cugini sparsi per la terra, che io possa essere ucciso dai buoni cugini medesimi e le mie ceneri sparse al vento; che Dio mi aiuti”.

ARRESTO, PRIGIONIA E MORTE

Fu arrestato solo dopo un anno di appartenenza alla Carboneria in seguito al brindisi in casa d’Arnaud, ma già da tempo la polizia seguiva le sue mosse. Sottoposto a lunghissimi interrogatori egli confessò tutto ciò che sapeva, ma nonostante la sua collaborazione fu condannato a morte. La pena però venne commutata in vent’anni di carcere duro allo Spilberg. Per le sue ammissioni furono arrestati anche Don Marco Fortini, Costantino Munari, Felice Foresti e il buon conte Oroboni. Dopo la condanna iniziò il viaggio verso lo Spilberg fra enormi sofferenze fisiche e morali.

Aveva sempre fame, freddo e tanta paura della solitudine e della morte. La sua vita in prigione fu un alternarsi di preghiere e disperazioni. Scrisse molte suppliche all’Imperatore per avere cibo,

vestiti e la possibilità di scrivere ai genitori. L’imperatore apparentemente fu magnanimo e finse di assecondarlo ma ordinò che la lettera, nella quale esaudiva la richiesta del condannato, venisse spedita dopo la sua morte. Morì il 23 luglio 1827 assistito da Don Marco Fortini e dall’abate Pawlvic. Avrebbe dovuto uscire il 23-12-1841, ma morì solo dopo 5 anni di carcere per il freddo e la fame.

Villa del Villa (ora Fanan)

Villa morente

Supplica del Villa a Sua

Maestà per chiedere cibo

e l’assistenza di un

prete

Seconda parte della

supplica all’Imperatore

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ANTONIO FORTUNATO OROBONI

Non si può certo dire che il secondo nome dato all’Oroboni sia stato ben augurale! Il conte Antonio Oroboni morta la prima moglie si risposò con la marchesa Antonia Manfredini (che all’epoca aveva 33 anni). Dopo solo 3 anni di matrimonio il conte ebbe una relazione extraconiugale con Cecilia Aguazzo, una giovane 25 anni appartenente ad una delle buone famiglie di Fratta; da questo rapporto nacque un figlio a cui fu dato il nome di Antonio Fortunato

Aguazzo Oroboni. Ben presto la giovane mamma accettò che il figlio si trasferisse nella casa paterna. La marchesa Antonia, si affezionò al bambino e lo trattò sempre come se fosse figlio suo. Anche la sorella del conte Antonio provava grande affetto per il piccolo Antonio Fortunato finché, diventato adulto, lo adottò legalmente passandogli il titolo di Conte Oroboni. Successivamente la marchesa Antonia, a dimostrazione dell’affetto che provava per il giovane, lo nominò suo erede con un testamento legale il 13 Luglio 1820, quando Antonio Fortunato era in carcere già da 18 mesi. Tutti in famiglia amavano Antonio Fortunato perché era di indole buona, affabile e gentile nei modi, oltre che bello nell’aspetto e sufficientemente istruito. Chi conosceva sapeva che era un idealista puro, un sognatore inesperto di cose politiche, incapace di ordire trame maliziose.

Era nobile, viveva negli agi, avrebbe potuto rimanere estraneo a quelle correnti di pensiero “pericolose” per il suo quieto vivere ma vi aderì, anche se “idealmente”, perché riteneva ingiusta la dominazione straniera. Questo suo idealismo gli rovinò la vita: lo allontanò dalla famiglia, dalla fidanzata, che tanto amava, dal suo paese e lo portò a morire solo in un paese lontano, con la consapevolezza di non aver mai operato male ma solo desiderato il bene proprio del paese.

L’ARRESTO

IL 7 Gennaio 1819 Antonio Fortunato fu arrestato da Lancetti, un commissario di Venezia scortato da guardie di polizia e da militari. Il Lancetti, per le ammissioni del Villa durante gli interrogatori (era stato arrestato il 18/12/1818), sapeva già dove trovare i documenti della Vendita dello Scortico che Oroboni aveva avuto in consegna dal Villa stesso, (si trattava di Statuti cerimoniali, vocaboli per la corrispondenza segreta che il conte aveva nascosto nella tomba di famiglia) . Il Lancetti inizialmente mise a dura prova il carattere del conte e la sua convinzione politica chiedendogli di confermare la sua appartenenza alla Società Segreta e il possesso dei documenti. Il conte negò ostinatamente ogni cosa ma inutilmente. Nello stesso giorno furono eseguiti altri cinque arresti: Antonio e Carlo Poli, Giovanni Monti, Vincenzo Zerbini (notaio) e Federico Monti. A Crespino venne arrestato il pretore Foresti che aveva portato a Fratta le “nuove” idee carbonare. Altri arresti vennero a Polesella e Occhiobello perché il Governo austriaco temeva si stesse preparando una rivolta in tutto il regno Lombardo- Veneto. Si diceva che le idee carbonare fossero nemiche dello stesso modo della religione e del trono e gli attentati messi in atto fossero: “disturbatori della pubblica quiete”.

IL PROCESSO

Trasportato a Venezia con gli altri carbonari polesani fu sottoposto a molte ore d’interrogatorio estenuanti, vere e proprie torture. Alla fine, l’antivigilia di Natale del 1821 i processati furono chiamati nella sala della Commissione per udire la loro sentenza e la loro vigilia di Natale, incatenati, furono portati a dare spettacolo in piazzetta di San Marco. Ai condannati era permesso portare un cappuccio per nascondere la faccia ma Oroboni lo rifiutò dicendo: ”Non mi vergogno d’essere in questo luogo, vi sono per una bella e santa causa, voglio che tutti mi vedano bene”.

Lancetti arresta Oroboni

Stemmi degli Oroboni

e simboli carbonari

Villa Oroboni

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In quell’occasione furono condannate 34 persone e fra questi 13 per il delitto di Alto Tradimento e quindi meritevoli della pena di morte, subito commutata per la grazia in carcere duro da scontarsi in due separate fortezze: in 7 andarono allo Spilberg e in 6 a Lubiana. Il viaggio verso il carcere iniziò il 13 Gennaio 1822 e terminò solo il 10 Febbraio dopo un mese di estenuante cammino.

LA PRIGIONIA E LA MORTE

Quando arrivò allo Spilberg Antonio Fortunato stava molto male tanto che gli fu assegnata una stanza meno orribile delle altre. La mancanza di cibo fu tale da causargli un dimagrimento veloce e orribile: era tutto pelle e ossa e di un pallore cadaverico. Durante la prigionia poté parlare, senza vederlo, con Pellico che lo ricorda come un uomo pieno di fede cristiana, d’animo nobile e buono senza odio ne risentimento, rassegnato a rispettare la sua lunga agonia

e disposto al perdono di chi gli aveva provocato tante sofferenze. Morì il 13 Giugno 1823 e le sue ultime parole furono: “Perdono di cuore i miei nemici”. Antonio Fortunato Oroboni e i Carbonari di Fratta furono degli idealisti: patirono il carcere per un ideale senza aver commesso alcun crimine.

VINCENZO ZERBINI Nacque nell’anno 1770; era sposato con Paolina Grindati, sorella del carbonaro Grindati. Era di statura normale, sopraccigli grigi, occhi castani, naso regolare e colorito sano. Si recava spesso a Calto dove aveva dei possedimenti. Era possidente ed era figlio di Giovanni Zerbini e Maria Monti. Fu arrestato il 7 Gennaio 1819 a Fratta Polesine assieme ai carbonari Antonio e Carlo Poli, Antonio Oroboni, Giovanni Monti e Federico Monti. Il 22 Dicembre 1821 con sentenza definitiva del Regno Lombardo- Veneto, Vincenzo Zerbini, a causa delle prove di alto tradimento, fu condannato a sei mesi di carcere duro. Fu portato nel carcere dell’isola di San Michele a Venezia e qui fu in cella con Antonio Villa e Benvenuto Tisi. Zerbini fu il più vecchio dei condannati di Fratta, quando venne arrestato aveva 50 anni circa. Morì a Fratta il 22 Aprile 1836 all’età di 66 anni circa.

Morte di Oroboni

Funerale e sepoltura di Oroboni