ITINERARI DI LETTURA q Le vie dell’illuminazione · Il tao trasforma senza parlare T7 ... ossia...

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32 ITINERARI DI LETTURA q 1 Le vie dell’illuminazione I passi che seguono appartengono a ben sei differenti tradizioni filoso- fico-religiose (induismo, giainismo, buddhismo, confucianesimo, taoi- smo e zen) sviluppatesi in epoche diverse e all’interno di culture diversissime, che solo la nostra estraneita ` occidentale permette di rac- chiudere nella generica formula di «spiritulita ` orientale». Le differenze sono numerose: ad esempio il precettismo induista ha poco in comune con l’amore zen per il paradosso, e questo, a sua volta, e ` inconciliabile con l’insistenza confuciana sull’etichetta e sul rispetto delle gerarchie. Vi sono fra queste tradizioni di pensiero differenze piu ` profonde di quelle che hanno contrapposto le diverse scuole della nostra tradizione occi- dentale. Cio ` detto, si notino pero ` le somiglianze, due in particolare, entrambe in negativo: 1) pur trattandosi di religioni, la parola «Dio» non compare quasi mai, a conferma che solo per l’inadeguatezza del lin- guaggio si possono riunire sotto la stessa denominazione di «esperienze religiose» fenomeni diversi come il monoteismo ebraico-cristiano-isla- mico e il politeismo o il naturalismo mistico orientale; 2) termini come «ragione», «razionalita `» e «intelletto» non compaiono mai o solo in senso polemico. Il che non significa affatto, ovviamente, che queste millenarie e complesse tradizioni culturali non siano anch’esse frutto della razio- nalita `. Cio ` che in esse manca non e ` l’uso della ragione, ma l’indagine sistematica su di essa. Bhagavadgita. Che cos’e ` l’agire? Che cosa il non agire? La Bhagavadgita, da cui e ` tratto questo passo, significa letteralmente «Il canto del Beato»; essa e ` l’opera piu ` venerata dal popolo indiano. E ` un testo breve (700 versi), inserito nel contesto del Mahabharata (letteralmente «La grande lotta dei Bharata»), un lunghissimo poema epico (90.000 strofe, il piu ` lungo componimento letterario esistente), alla cui redazione sono occorsi vari secoli (dal III III a. C. al II II d. C.). Il Mahabharata rielabora in termini mitici episodi reali dell’antica storia indiana e riflette la religiosita ` tipica della casta dei guerrieri, illustrando, attraverso esempi narrativi, i valori etico-politici piu ` adeguati alla loro condizione. Cionono- stante, la vicenda di Arjuna, al centro della Bhagavadgita, assume un valore universale, af- frontando in termini il piu ` possibile astratti la nozione di dharma, la legge religiosa divina che deve regolare il comportamento umano. La vicenda che fa da sfondo al passo e ` la seguente. Nella pianura di Kurukshetra, uno dei cinque fratelli Pandava, Arjuna, si trova nell’imminenza della battaglia decisiva contro le truppe dei Kaurava, suoi cugini, che gli hanno sottratto il regno con l’inganno (lo hanno indotto a giocare tutti i suoi averi ai dadi, vincendo dopo averli truccati). La vicenda si riferisce proba- bilmente a un episodio delle lotte intestine che sconvolsero lo Stato indiano del Gujarat pres- sappoco all’epoca della guerra di Troia (XIII XIII secolo a. C.), ma la rilettura mitologica degli eventi e ` evidente gia ` nell’etimologia dei nomi: Kurukshetra, infatti, significa letteralmente «il campo dell’azione», e indica quindi la vita, l’esistenza e il problema delle scelte individuali; Pandava significa «colui che agisce rettamente», e rappresenta la componente spirituale dell’individuo, & Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4 SOMMARIO T1 (dalla Bhagavadgita) Bhagavadgita. Che cos’e ` l’agire? Che cosa il non agire? T2 GANDHI ANDHI (da Antiche come le montagne) La via della non-violenza T3 BUDDHA UDDHA (dal Sutra-Pitaka) Le quattro sante verita ` T4 BUDDHA UDDHA (dal Dhammapada) La purificazione della mente T5 CONFUCIO ONFUCIO (dai Dialoghi) Le massime T6 LAO-TZU AO-TZU HO-SHANG KUNG O-SHANG KUNG (dal Tao-te ching) Il tao trasforma senza parlare T7 (da 101 storie zen) Tre storie zen T 1

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ITINERARI DI LETTURA

q1 Le vie dell’illuminazioneI passi che seguono appartengono a ben sei differenti tradizioni filoso-

fico-religiose (induismo, giainismo, buddhismo, confucianesimo, taoi-

smo e zen) sviluppatesi in epoche diverse e all’interno di culture

diversissime, che solo la nostra estraneita occidentale permette di rac-

chiudere nella generica formula di «spiritulita orientale». Le differenze

sono numerose: ad esempio il precettismo induista ha poco in comune

con l’amore zen per il paradosso, e questo, a sua volta, e inconciliabile

con l’insistenza confuciana sull’etichetta e sul rispetto delle gerarchie. Vi

sono fra queste tradizioni di pensiero differenze piu profonde di quelle

che hanno contrapposto le diverse scuole della nostra tradizione occi-

dentale. Cio detto, si notino pero le somiglianze, due in particolare,

entrambe in negativo: 1) pur trattandosi di religioni, la parola «Dio» non

compare quasi mai, a conferma che solo per l’inadeguatezza del lin-

guaggio si possono riunire sotto la stessa denominazione di «esperienze

religiose» fenomeni diversi come il monoteismo ebraico-cristiano-isla-

mico e il politeismo o il naturalismo mistico orientale; 2) termini come

«ragione», «razionalita» e «intelletto» non compaiono mai o solo in senso

polemico. Il che non significa affatto, ovviamente, che queste millenarie

e complesse tradizioni culturali non siano anch’esse frutto della razio-

nalita. Cio che in esse manca non e l’uso della ragione, ma l’indagine

sistematica su di essa.

Bhagavadgita. Che cos’e l’agire? Che cosa il non agire?La Bhagavadgita, da cui e tratto questo passo, significa letteralmente «Il canto del Beato»; essa e

l’opera piu venerata dal popolo indiano. E un testo breve (700 versi), inserito nel contesto del

Mahabharata (letteralmente «La grande lotta dei Bharata»), un lunghissimo poema epico

(90.000 strofe, il piu lungo componimento letterario esistente), alla cui redazione sono occorsi

vari secoli (dal II II I I a. C. al IIII d. C.). Il Mahabharata rielabora in termini mitici episodi reali

dell’antica storia indiana e riflette la religiosita tipica della casta dei guerrieri, illustrando,

attraverso esempi narrativi, i valori etico-politici piu adeguati alla loro condizione. Cionono-

stante, la vicenda di Arjuna, al centro della Bhagavadgita, assume un valore universale, af-

frontando in termini il piu possibile astratti la nozione di dharma, la legge religiosa divina che

deve regolare il comportamento umano.

La vicenda che fa da sfondo al passo e la seguente. Nella pianura di Kurukshetra, uno dei

cinque fratelli Pandava, Arjuna, si trova nell’imminenza della battaglia decisiva contro le truppe

dei Kaurava, suoi cugini, che gli hanno sottratto il regno con l’inganno (lo hanno indotto a

giocare tutti i suoi averi ai dadi, vincendo dopo averli truccati). La vicenda si riferisce proba-

bilmente a un episodio delle lotte intestine che sconvolsero lo Stato indiano del Gujarat pres-

sappoco all’epoca della guerra di Troia (XIIIXIII secolo a. C.), ma la rilettura mitologica degli eventi e

evidente gia nell’etimologia dei nomi: Kurukshetra, infatti, significa letteralmente «il campo

dell’azione», e indica quindi la vita, l’esistenza e il problema delle scelte individuali; Pandava

significa «colui che agisce rettamente», e rappresenta la componente spirituale dell’individuo,

& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4

SOMMARIOT1(dalla Bhagavadgita)Bhagavadgita. Che cos’el’agire? Che cosa il non agire?

T2 GA N D HIA N D H I

(da Antiche come le montagne)La via della non-violenza

T3 BUD D H AU D D HA

(dal Sutra-Pitaka)Le quattro sante verita

T4 BUD D H AU D D HA

(dal Dhammapada)La purificazione della mente

T5 CO N F UC I OONFU CI O

(dai Dialoghi)Le massime

T6 LAO -TZUA O - T Z U HO - S H A N G KU N GO-SHA NG K UNG

(dal Tao-te ching)Il tao trasforma senza parlare

T7(da 101 storie zen)Tre storie zen

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contrapposta a Kaurava, «colui che vive desiderando», la componente materiale e negativa.

Ebbene, nell’imminenza della battaglia, Arjuna e colto da dubbi: qual e il suo dovere? Deve

veramente combattere contro i suoi stessi amici e parenti? La risposta fornitagli dal dio Krishna

costituisce il maggior sforzo di interpretazione metafisica della realta dell’intero induismo. E un

brano che ha nell’induismo lo stesso ruolo centrale che ha il Discorso della montagna nel

cristianesimo.

[a] E la sola azione quella che ti concerne, mai i suoi frutti; non dipendere dal frutto

del karma e neanche devi attaccarti alla non-azione.

Concentrato nello yoga compi l’azione rinunciando a ogni attaccamento; sii

eguale nel successo e nell’insuccesso: il perfetto equilibrio interiore [che ne risulta]

5si chiama yoga.

Di molto inferiore allo yoga [...] e l’azione; nell’intelletto, quindi, prendi rifugio.

Degni di pieta sono coloro che agiscono per ottenere il frutto.

[b] Che cos’e l’agire? Che cosa il non agire? Gli stessi saggi, su questo punto, sono

perplessi. Io ti svelero che cos’e l’agire e cio comprendendo sarai liberato dal-

10l’errore.

Colui che abbandona ogni attaccamento ai frutti dell’azione e sempre in pace,

per cui non ricerca rifugio in nessuna cosa; egli non produce alcun agire, benche [in

effetti] agisca.

[c] Colui che, trasceso l’attaccamento, agisce dedicando la sua opera a Brahma,

15quegli resta mondo dall’errore, come una foglia di loto in mezzo all’acqua.

Per la purificazione dell’ego, gli yogi compiono le loro azioni con il corpo, la

mente, l’intelletto superiore o anche solo con i sensi, rinunciando all’attaccamento.

Il frutto dell’azione e triplice: gradevole, sgradevole e misto, ed e riscosso da

coloro che – una volta lasciato il corpo – non hanno realizzato l’abbandono; invece

20non ce n’e di alcun genere [di frutto] per coloro che hanno compiuto il distacco.

[d] L’azione conforme alla norma, libera da ogni attaccamento, che e compiuta

senza desiderio od ostilita da un individuo che non cerca il frutto, e detta «pura».

Ma l’azione compiuta, con molti sforzi e pena, da un individuo egocentrico e pieno

di desideri, e detta «impura».

25[e] Migliore e il proprio dovere [inerente alla propria natura], per quanto imperfetto,

che il dovere di un altro ben praticato. Colui che compie il dovere inerente alla sua

propria natura non commette errore.

[f] Abbandonando mentalmente le tue azioni, praticando lo yoga, abbi il tuo pen-

siero sempre rivolto a me.

(Bhagavadgita, II, 48, 49; IV, 16, 20; V, 10, 11; XVIII, 12, 23, 24, 47, 57)

L GUIDA ALL’ANALISI

[a] La vera legge della moralita non e l’astensione dal-

l’agire, come predica il Buddha, ma l’azione disinteressata,

compiuta cioe senza attaccamento ai frutti che ne possono

derivare. Bisogna stare nel mondo, non fuggirlo, ma nel

contempo annullare ogni desiderio mondano. Ne conse-

guira un agire senza alcuna speranza di ricompensa, quindi

del tutto indifferente ai sentimenti di felicita o di delusione.

In cio consiste la vera inazione.

[b] L’accenno alla perplessita dei saggi evidenzia il tenta-

tivo compiuto nella Bhagavadgita di riassumere in un

unico sistema coerente tutte le dottrine soteriologiche

operanti nella cultura indiana: quella vedica, che indica la

via della salvezza nell’osservanza dei riti, quella delle

Upanishad, che prescrive come fine la ricerca della verita, e

quella buddhista, che predica l’abbandono di ogni azione.

[c] Anche l’insistenza dei brahmani sull’atto rituale e in-

sufficiente. Il sacrificio, infatti, deve essere considerato solo

un simbolo della disposizione interiore, dello sforzo com-

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" E vera-mente possi-

bile agiresenza aver in

vista alcunoscopo?

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Gandhi: La via della non-violenzaLa figura di Gandhi, il protagonista della lotta di indipendenza indiana universalmente noto

come il Mahatma (Grande Anima), non ha bisogno di presentazioni. Tutti conoscono il principio

della non-violenza da lui predicato e praticato; viceversa, e meno noto che tale principio deriva

direttamente dalla tradizione giainista, religione alla quale Gandhi appartiene.

L a non-violenza e la forza piu grande di cui disponga l’umanita. E piu potente

della piu potente arma di distruzione escogitata dall’ingegnosita dell’uomo. La

distruzione non e la legge degli uomini. L’uomo vive liberamente in quanto e

pronto a morire, se necessario, per mano di suo fratello, mai a ucciderlo. Qualsiasi

5assassinio o altra lesione, commessa o inflitta a un altro, non importa per quale

ragione, e un crimine contro l’umanita.

La prima condizione della non-violenza e la giustizia, dovunque, in ogni settore

della vita. Forse, e esigere troppo dalla natura umana. Io pero non lo penso. Nes-

suno dovrebbe dogmatizzare sulla capacita di degradazione o elevazione della

10natura umana.

Come nell’addestramento alla violenza occorre imparare l’arte di uccidere, cosı

nell’addestramento alla non-violenza occorre imparare l’arte di morire. La violenza

non significa liberazione dal timore, ma scoperta dei mezzi per combatterne la

causa. La non-violenza invece non ha alcun motivo di temere. Il seguace della non-

15violenza deve coltivare la capacita al sacrificio piu grave per liberarsi dal timore.

Non si preoccupa di perdere la Patria, la ricchezza, la vita. Chi non ha superato

qualsiasi timore, non puo praticare l’ahimsa alla perfezione. Il seguace dell’ahimsa

ha un solo timore, il timore di Dio. Colui che cerca rifugio in Dio dovrebbe avere un

barlume dell’Atma1 che trascende il corpo; e nel momento in cui si ha un barlume

20dell’indistruttibile Atma, si perde l’amore per il proprio corpo perituro. Percio

piuto per sviluppare l’autocontrollo. Il vero sacrificio, so-

stiene la Bhagavadgita, e il sacrificio dei piaceri dei sensi.

[d] Il concetto fondante la Bhagavadgita e quello della

ineluttabilita dell’azione. Nell’intero universo tutto e in

continuo movimento, per cui anche l’uomo, se vuole so-

pravvivere, e obbligato ad agire. L’azione, quindi, deve

essere inevitabilmente compiuta da chiunque vive. Anche

coloro che hanno raggiunto la perfezione spirituale, tra-

mite l’esercizio dello yoga, sono chiamati all’azione. Infatti,

fin tanto che non si consegue la liberazione finale (l’uscita

definitiva dal ciclo delle rinascite), bisogna operare per

amore della stessa liberta e, una volta raggiuntala, si deve

agire come strumenti del divino.

[e] Agire significa assolvere i doveri che competono alla

propria condizione. E un principio che va inteso sullo

sfondo del rigido sistema castale indiano. Dal punto di

vista pratico-sociale non esiste un unico principio del do-

vere, valido per tutti, ma una pluralita di doveri, a seconda

del ruolo occupato nella societa. Il dio Krishna sta parlando

ad Arjuna, un guerriero che nell’imminenza della battaglia

si domanda se sia giusto combattere contro i propri pa-

renti. Ebbene, la risposta e che un guerriero deve com-

battere, perche questa e la sua natura. E deve farlo in

modo disinteressato, senza mai farsi coinvolgere emoti-

vamente, rimanendo dunque indifferente ai legami che lo

uniscono ai nemici.

[f] In questo ultimo passo, come in altri del brano qui

esaminato, la Bhagavadgita insiste sul fatto che la salvezza

e raggiungibile attraverso molteplici vie. Accanto alla via

dello yoga, che permette di raggiungere una positiva in-

differenza verso il mondo e il se, accanto alla via dell’agire

indifferente, che permette di operare con noncuranza dei

risultati, esiste anche il sentiero della devozione (bhakti),

ossia dell’amore e dell’abbandono confidente a Dio. Que-

ste tre vie non sono alternative e possono essere percorse

contemporaneamente da chiunque.

1. Atma: termine sanscrito che in senso generico indica l’anima,la realta interiore dell’individuo – da cui l’appellativo di «Ma-hatma» («Grande Anima») attribuito a Gandhi. Nelle Upanishad lo

stesso termine e usato in riferimento al Se supremo, e indical’essenza sostanziale dell’universo: Atma e Brahma, quindi,coincidono.

MODULO 7 Le filosofie orientali

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" Il pacifi-smo estremo

sostenutoda Gandhi

escludela legittima

difesa

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l’addestramento alla non-violenza e diametralmente opposto all’addestramento

alla violenza. La violenza e necessaria per la salvaguardia delle cose esteriori, la

non-violenza e necessaria per la salvaguardia dell’Atma, per la salvaguardia del

proprio onore.

25Se amiamo coloro che ci amano, questa non e non-violenza. Non-violenza e

amare coloro che ci odiano. So quanto sia difficile seguire questa sublime legge

dell’amore. Ma le cose grandi e buone non sono tutte difficili? L’amore per il ne-

mico e la piu difficile di tutte. Ma con la grazia di Dio anche questa cosa diffici-

lissima diventa facile a farsi, se lo vogliamo.

(Antiche come le montagne, pp. 143-44)

L GUIDA ALL’ANALISI

Buddha: Le quattro sante veritaLa vita e dolore e il dolore e causato dal desiderio: per il buddhismo la soluzione sta, quindi,

nell’abolire ogni desiderio, praticare l’inazione e attenersi a otto regole di saggio comportamento.

Questo e, in sintesi, il contenuto delle quattro sante verita enunciate dall’Illuminato nel discorso

di Benares. Si tenga conto che gli unici ascoltatori del sermone sono i cinque eremiti con cui

Siddharta ha condiviso anni di ricerca ascetica. Ebbene, a loro il Buddha si rivolge, invitandoli

apertamente all’abolizione di ogni desiderio. Il principio dell’inazione si applica anche alla vita

ascetica: il desiderio di una perfetta santita e errato, e le pratiche ascetiche estreme, cui lo stesso

Buddha si e sottoposto per anni, sono espressione di una volonta che va abolita. Come ben

spiegano gli otto princıpi di vita, il Buddha predica una via di mezzo, un giusto equilibrio fra gli

estremi di una vita dedita al piacere e l’autolesionismo di un’ascesi troppo severa. Il brano fa

parte del Sutra-Pitaka, l’antico codice buddhista contenente i sermoni dell’Illuminato.

[a] Ci sono due estremi che il religioso errante deve evitare: l’attaccamento ai

piaceri sessuali, vile, volgare, ignobile, causa d’infelicita, e cosı pure la macerazione

di se stesso, penosa, ignobile, causa d’infelicita. Ecco invece, o monaci, ugualmente

scartati questi due estremi, la via di mezzo scoperta dal Tathagata, colui che crea

5l’occhio, che crea la conoscenza, che conduce all’esaurimento, alla conoscenza

soprannaturale, al Risveglio totale, all’Estinzione...

[b] E la santa via delle otto membra, cioe l’opinione corretta, l’intenzione corretta,

la parola corretta, l’attivita corretta, i mezzi di esistenza corretti, lo sforzo corretto,

l’attenzione corretta e la concentrazione corretta...

10[c] Ecco inoltre, o monaci, la santa Verita del dolore: la nascita e dolore, la vecchiaia

e dolore, la malattia e dolore, la separazione da chi ci ama e dolore, il non ottenere

cio che si desidera e dolore.

[d] Ecco inoltre, o monaci, la Santa Verita dell’origine del dolore: essa sta nella sete

Il principio gandhiano della non-violenza si e imposto al-

l’attenzione del dibattito politico mondiale dopo il grande

successo ottenuto nella lotta di liberazione indiana contro

il colonialismo inglese. Ancora oggi e spesso invocato co-

me l’unico strumento possibile per una soluzione pacifica

dei contrasti internazionali. Una posizione alternativa, tut-

tavia, sostiene un atteggiamento piu realistico, facendo

notare come l’idea gandhiana di non-violenza assoluta fi-

nisca con l’escludere il diritto di autodifesa, e quindi l’e-

sercizio di una violenza proporzionata all’aggressione

subita, considerato legittimo dalle leggi in uso in tutti gli

Stati. Si tratterebbe quindi, secondo i critici, di un principio

di grande valore etico ma non applicabile all’ambito poli-

tico.

1. Le vie dell’illuminazione ITINERARI DI LETTURA

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che porta a rinascere, accompagnata all’attaccamento al piacere, che si rallegra qua

15e la, cioe la sete del piacere, la sete dell’esistenza, la sete dell’inesistenza.

[e] Ecco inoltre, o monaci, la Santa Verita della cessazione del dolore, che consiste

nella cessazione e nel distacco completo da questa stessa sete, il suo abbandono, il

suo rifiuto, il fatto di essere liberato.

(Sutra-Pitaka, pp. 95-96)

L GUIDA ALL’ANALISI

Buddha: La purificazione della menteIl passo, l’inizio del Dhammapada (letteralmente «Parole della Legge»), appartenente al gruppo

dei cosiddetti Discorsi minori dell’Illuminato, e molto indicativo dello stile filosofico del Buddha.

Non enuncia espressamente una dottrina in termini formali e razionali, ma parte da esempi,

casi, eventi per suggerire generalizzazioni, spesso espresse in forma metaforica.

3

Mi insulto, mi maltratto,

mi sorpasso, mi derubo.

Cosı si impregnano di malevolenza:

di questi l’odio non svanisce.

4

Mi insulto, mi maltratto,

mi sorpasso, mi derubo.

[a] La via media tracciata dal Buddha consiglia di evitare sia

la passione amorosa sia l’eccessiva tensione ascetica. Si

tenga presente che il discorso di Benares e pronunciato dal

Buddha alla presenza dei cinque asceti con cui ha condi-

viso, negli anni precedenti, una durissima esperienza di

«macerazione». Tathagata, letteralmente «venuto per la

realta», e uno dei principali appellativi del Buddha. Con

«occhio» si intende la dottrina buddhista.

[b] I primi due precetti, attinenti la dimensione intel-

lettuale, tendono a favorire una giusta comprensione della

dottrina. Di ordine etico sono i tre precetti seguenti. La

«parola corretta» comanda il rifiuto di ogni uso negativo

del linguaggio, dalla menzogna alle espressioni indecenti.

L’«attivita corretta» e poi ulteriormente specificata da altre

cinque norme: non uccidere alcun essere vivente, non ru-

bare, non commettere eccessi sessuali, non mentire, non

usare droghe e sostanze inebrianti. La correttezza nello

scegliere i mezzi d’esistenza consiglia di improntare il

proprio agire a criteri di onesta. Gli ultimi tre ammonimenti

prescrivono una sorta di igiene mentale, fondata sul retto

sforzo, ossia la consapevolezza dei fini ultimi del proprio

agire, sulla retta attenzione, ottenibile sottoponendo la

mente a una continua vigilanza, e la retta concentrazione,

ossia la capacita di preservare le proprie energie mentali

dalla confusione del mondo.

[c] La prima santa verita spiega l’ineluttabilita del dolore,

connaturato alla vita umana. Sono qui elencate le piu

frequenti cause del dolore, a tutti comuni: la nascita, la

vecchiaia, la malattia, la separazione da cio che si ama, il

non raggiungere cio che si desidera. Ma non si tratta di

un elenco esaustivo: questi, infatti, sono solo esempi

della sofferenza universale che avvolge ogni essere vi-

vente.

[d] Il dolore e sempre causato dal desiderio. Si desidera

avere cio che non si ha ed essere cio che non si e: chi e

povero vorrebbe essere ricco, chi e malato vorrebbe essere

sano e cosı via. Paradossalmente, puo esistere anche una

«sete dell’inesistenza», ossia un eccessivo desiderio di

raggiungere al piu presto la perfezione ascetica e quindi la

beatitudine nirvanica.

[e] La via principale per sconfiggere il dolore e il desiderio

sta nel principio dell’inazione. La «sete» che si tratta di

estirpare e la voglia di vivere. Essa non e solo perniciosa,

come fonte di desideri che non possono essere soddisfatti,

ma anche illogica, perche implica l’aspirazione a rendere

permanente cio che non puo esserlo.

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Ma non albergano malevolenza:

in questi l’odio scompare.

5

Non davvero con l’odiare

svaniranno mai i rancori.

Svaniscono non odiando:

questa e una legge eterna.

6

Altri, anche, non pensano

che cosı andiamo in rovina.

Coloro che a cio pensano,

calmano i loro litigi.

7

Chi vive contemplando cose piacevoli,

incontrollato nei sensi,

smodato nel cibo,

indolente e senza energia,

questi, davvero, e in balia di Mara,

come un’esile pianta lo e del vento.

11

Considerando l’essenziale nel non essenziale,

e vedendo il non essenziale nell’essenziale,

Non otterranno l’essenziale,

alimentando errati pensieri.

13

Proprio come nella dimora mal soffittata

penetra la pioggia,

Cosı nella mente non ben sviluppata

penetra la passione.

15

Qui si lamenta, dopo la morte si lamenta,

nei due casi si lamenta chi fa il male.

Si lamenta e si affligge

vedendo la impurezza delle sue azioni.

16

Qui gioisce, dopo la morte gioisce,

nei due casi gioisce chi fa il bene.

Gioisce e si rallegra

vedendo la purezza delle sue azioni.

(Dhammapada, pp. 18-21)

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" Nota comele indicazioni

fornitedal Buddhasiano quasi

tutte in formanegativa:

non odiare,non reagire

ecc.

" Nel pan-theon india-

no il dioMara rappre-senta il male,

il tentatore

" Il buddhi-smo e sem-

pre piupopolare in

Occidente:molti intel-

lettualie persone

di prestigio sisono conver-

titi alle dot-trine dell’Illu-

minato. Co-me spieghi

questo fatto?

38

Confucio: Le massimeLa forma con cui il pensiero di Confucio e stato tramandato e quella delle massime: brevi

proposizioni affermative, non problematiche e presentate come definitive, introdotte da un ri-

chiamo all’indiscussa autorita del maestro, il Saggio per antonomasia. Il brano seguente riporta

le prime dieci massime dei Dialoghi di Confucio.

1 Il Saggio ha detto: Colui che apprende e si esercita continuamente nelle cose

studiate non e forse soddisfatto? E se riceve un amico che viene da lontano, non

prova forse piacere? Se non viene stimato secondo i propri meriti e non se ne

adombra, non e forse un uomo nobile?

52 Il Saggio Yu ha detto: Colui che rispetta e onora il padre e la madre e il fratello

maggiore raramente contrastera i suoi superiori. Un uomo che rispetti l’autorita

costituita non puo partecipare a una rivolta. L’uomo nobile coltiva la radice delle

cose, e se trova la radice, si genera la via. Il rispetto verso il padre, la madre e gli

antenati e la radice del bene.

103 Il Saggio ha detto: La dove sono le belle parole e un’apparenza perfetta, rara-

mente ha sede il bene.

4 Il Saggio Tseng ha detto: Ogni giorno io esamino me stesso su tre punti: con-

sigliando gli altri, sono stato sincero? Nei miei rapporti con i miei amici, il mio

cuore e la mia lingua sono stati sinceri? Ho forse trascurato l’insegnamento che mi

15e stato trasmesso dagli Antichi?

5 Il Saggio ha detto: Chi governa uno Stato forte di mille carri da guerra, curera

onestamente gli affari pubblici; sorvegliera da vicino le spese, si dimostrera bene-

volo verso tutti e convochera il popolo solo al momento opportuno.

6 Il Saggio ha detto: In casa, il giovane deve dimostrarsi rispettoso verso i genitori;

20fuori casa, deve dimostrarsi rispettoso verso i superiori; deve essere prudente nel

promettere e mantener fede alla parola data. Sia ben disposto nei confronti di tutti,

ma si leghi solo con i buoni. Una volta adempiuto ai suoi doveri, se gli rimangono

delle energie, si dedichi allo studio delle lettere e delle arti.

7 Tseu-hia ha detto: Se viene ritenuto privo di cultura un uomo che rispetta coloro

25ai quali deve dei riguardi; che si prodiga per il padre e la madre; che e pronto a

sacrificarsi per il suo principe e che e onesto con i suoi amici, quest’uomo, io lo

considerero sempre colto.

8 Il Saggio ha detto: Un uomo nobile che agisca con sventatezza non viene ri-

spettato, e i suoi studi gli serviranno a poco. Apprezza sopra ogni altra cosa la

30fedelta e l’onesta. Non fare amicizia con qualcuno che non sia simile a te. Se hai

commesso uno sbaglio, affrettati a correggerti.

9 Il Saggio Tseng ha detto: Se (il principe) sapra onorare un morto al momento del

decesso e dopo il decesso, la virtu fiorira tra il popolo.

10 Tseu-k’in chiese a Tseu-kong: Quando il nostro Maestro giunge in uno Stato e

35si informa ogni volta del suo governo, forse che interroga e indaga? O sono gli altri

che vengono a informarlo? Tseu-kong rispose: Il nostro Maestro e conciliante e

sincero con tutti, i suoi modi sono affabili; egli e pacato, modesto e rispettoso;

grazie a cio ottiene tutte le informazioni; il suo modo di interrogare non somiglia

affatto a quello degli altri.(Dialoghi, pp. 91-92)

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39

Lao-tzu: Il tao trasforma senza parlareSe si pensa che Confucio e Lao-tzu sono contemporanei, stupisce come abbiano potuto elaborare

dottrine tanto diverse. Prova infatti a confrontare questo passo con T5. Tanto e precettistico

Confucio quanto formalistico e Lao-tzu; tanto il primo e interessato ai contenuti della morale

quanto il secondo si pone oltre la morale. La «via» perfetta (il tao) in cui si chiede di confidare

non possiede alcuna determinazione: e un principio che sta oltre o al di la di ogni opposizione: e

destra e sinistra, e grande e piccolo. E, insomma, un’energia naturale, una forza prima, assoluta

e non caratterizzata, che determina l’agire di ogni essere vivente. Il problema quindi, per Lao-

tzu, non e osservare specifici precetti etici, legandosi cosı a una determinata visione del mondo,

ma agire in accordo con questa dimensione primigenia della natura. La morale, insomma, non

arriva alle radici del problema: postulando una via, per quanto sorretta da alti valori, non riesce

a evitare il conflitto e la competizione con le altre vie. Come l’evoluzione naturale, invece, il tao e

duttile e opportunista: sceglie di volta in volta i propri contenuti in base alle situazioni.

Confidare nel perfetto

1 Come e universale il gran tao!

2 puo stare a sinistra come a destra.

3 In esso fidando vengon alla vita le creature

4 ed esso non le rifiuta,

5 l’opera compiuta non chiama sua.

6 Veste e nutre le creature

7 ma non se ne fa signore,

8 esso che sempre non ha brame

9 puo esser nominato Piccolo.

10 Le creature ad esso si volgono

11 ma esso non se ne fa signore,

12 puo esser nominato Grande.

13 Poiche giammai si fa grande

14 puo realizzar la sua grandezza.

Oltre al testo attribuito a Lao-tzu, molte edizioni moderne del Tao-te ching comprendono anche

il commento di Ho-shang kung, un asceta taoista che nel IIII secolo a. C. fu invitato dal-

l’imperatore Wen Ti a chiarire l’opera del grande maestro.

1 Dice che il tao e universale, sembra galleggiante e sommerso, esistente e ine-

sistente. A guardarlo non lo vedi, a parlarne difficilmente lo definisci.

2 Il tao puo stare a sinistra come a destra, non v’e luogo che non gli convenga.

3 Le diecimila creature vivono fidando nel tao.

54 Il tao non le rifiuta ne le contrasta.

5 Sua: il tao non la chiama opera sua.

6-7 Sebbene il tao ami e nutra le diecimila creature, non e come un padrone

umano che qualcuna sceglie e qualcuna scarta.

8-9 Il tao cela la sua virtu e nasconde il suo nome, timorosamente non agisce:

10sembra impercettibilmente piccolo.

10-11 Le diecimila creature si volgono al tao per ricevere il ch’i, ma esso non e

come il padrone umano che qualcosa proibisce e qualcosa impedisce.

12 Il libero andare e venire delle creature fa sı che il suo nome sia indipendente da

loro. Percio il nome migliore e Grande.

1513 Il santo si uniforma al tao: cela la sua virtu e nasconde il suo nome. Non si fa

pieno e grande.

1. Le vie dell’illuminazione ITINERARI DI LETTURA

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" Lao-tzudescrive il di-venire di due

forze oppo-ste e un

principio as-soluto sotto-stante. Quale

filosofo gre-co ti ricorda?

" Il ch’i e lamateria.

Ricevere ilch’i significa

quindi iniziarela vita terrena

40

14 Il santo con la sua persona ammaestra e grida, trasforma senza parlare. Poiche

ogni cosa e regolata e ordinata, egli puo completare la sua grandezza.

(Tao-te ching, pp. 2, 89-90, 93-95, 10-12)

Tre storie zenNella introduzione al volume 101 storie zen, da cui sono tratti questi brevi racconti, i due

curatori, Nyogen Senzaki e Paul Reps, ricordano che «lo zen ha molti significati, nessuno del

tutto definibile. Se sono definiti, non sono zen». Ne consegue che, in senso stretto, spiegare in

termini discorsivi il vero significato di queste storie e un compito impossibile. Sarebbe come

tentare di svolgere razionalmente una barzelletta, cosa che, e ben noto, non si puo fare man-

tenendone l’effetto comico. E, in effetti, vi e qualcosa in comune fra una storia zen e una battuta

di spirito: entrambe si rivolgono non alla ragione ma all’intuizione, cercando un ribaltamento

della normale prospettiva, tale da provocare una specie di corto circuito cognitivo.

1 Una tazza di te

Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji, ricevette la visita di un professore

universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo zen.

Nan-in servı il te. Colmo la tazza del suo ospite, e poi continuo a versare.

5Il professore guardo traboccare il te, poi non riuscı piu a contenersi. «E ricolma.

Non ce n’entra piu!».

«Come questa tazza», disse Nan-in, «tu sei ricolmo delle tue opinioni e conget-

ture. Come posso spiegarti lo zen, se prima non vuoti la tazza?»

2 Ah sı?

10Il maestro di zen Hakuin era decantato dai vicini per la purezza della sua vita.

Accanto a lui abitava una bella ragazza giapponese, i cui genitori avevano un ne-

gozio di alimentari. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, i genitori scoprirono

che era incinta.

La cosa mando i genitori su tutte le furie. La ragazza non voleva confessare chi

15fosse l’uomo, ma quando non ne pote piu di tutte quelle insistenze, finı col dire che

era stato Hakuin.

I genitori furibondi andarono dal maestro. «Ah sı?» disse lui come tutta risposta.

Quando il bambino nacque, lo portarono da Hakuin. Ormai lui aveva perso la

reputazione, cosa che lo lasciava indifferente, ma si occupo del bambino con

20grande sollecitudine. Si procurava dai vicini il latte e tutto quello che occorreva al

piccolo.

Dopo un anno la ragazza madre non resistette piu. Disse ai genitori la verita: il

vero padre del bambino era un giovanotto che lavorava al mercato del pesce.

La madre e il padre della ragazza andarono subito da Hakuin a chiedergli per-

25dono, a fargli tutte le loro scuse e a riprendersi il bambino.

Hakuin non fece obiezioni. Nel cedere il bambino, tutto quello che disse fu: «Ah

sı?»

3 Non si puo rubare la luna

Ryokan, un maestro di zen, viveva nella piu assoluta semplicita in una piccola

30capanna ai piedi di una montagna. Una sera un ladro entro nella capanna e fece la

scoperta che non c’era proprio niente da rubare.

Ryokan torno e lo sorprese. «Forse hai fatto un bel pezzo di strada per venirmi a

trovare», disse al ladro, «e non devi andartene a mani vuote. Fammi la cortesia,

accetta i miei vestiti in regalo».

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" L’era Meijiindica la se-conda meta

dell’Ottocento

" Si puo pa-ragonare

questo tipodi indifferen-za all’ataras-sia predicatadagli stoici?

" La via zenribalta siste-

maticamentele aspettative

41

35Il ladro rimase sbalordito. Prese i vestiti e se la svigno.

Ryokan si sedette, nudo, a contemplare la luna. «Pover’uomo», penso «avrei

voluto potergli dare questa bella luna».(101 storie zen, pp. 13, 16, 21)

L GUIDA ALL’ANALISI

LAVORO SUL TESTO

& | T1 Leggi il brano sull’etica induista e svolgi le attivita proposte.

O Perche il dio Krishna definisce impura ogni azione compiuta in vista di uno scopo?

O Cio che egli suggerisce e non agire o agire in modo diverso?

O Qual e il senso della sua affermazione secondo cui e meglio fare imperfettamente il proprio dovere

che perfettamente il dovere di un altro?

O Krishna risponde alle domande di Arjuna invitando a compiere in modo «disinteressato» il suo

dovere castale. Che cosa intende con cio? Come deve quindi comportarsi Arjuna?

O Sai spiegare che cosa significa l’invito a non dipendere «dal frutto del karma»?

O Riassumi il brano utilizzando le seguenti parole chiave: «azione», «non-azione», «fine», «guerra»,

«violenza», «scopo», «dovere», «casta», «etica», «perfezione spirituale», «salvezza», «yoga».

2 | T2 Leggi il brano di Gandhi e svolgi le attivita proposte.

O Confronta questo brano con il precedente (T1). L’etica giainista della non-violenza e compatibile

con l’etica castale induista?

O «Se si da al tiranno abbastanza da mangiare, viene un giorno in cui si sente sazio», afferma Gandhi.

Qual e la tua idea in proposito? Rispondi motivando la tua scelta.

O Nella costituzione di molti Paesi democratici si sottolinea il rifiuto della guerra come mezzo di

risoluzione dei conflitti internazionali. Indica la differenza fra questi princıpi programmatici e l’idea

gandhiana di ahimsa.

3 | T3 Rifletti sui princıpi buddhisti enunciati nel brano e svolgi le attivita proposte.

O Alla luce del discorso di Benares, prova a spiegare perche Buddha afferma che il nirvana consiste

nell’«essere spento».

O Qual e l’ideale di santita favorito dalla pratica della «via media» consigliata da Buddha?

4 | T4 Rifletti sulle indicazioni etiche buddhiste suggerite nel brano e svolgi le attivita pro-

poste.

O Riassumi in forma discorsiva il pensiero del Buddha, usando queste parole chiave: «felicita», «infe-

licita», «disciplina», «purificazione», «giusto» e «ingiusto», «ignoranza», «apparenza», «sofferenza»,

«passioni».

O L’invito del Buddha a non odiare e del tutto evidente. Confronta la sua dottrina con quella cristiana

che invita ad amare il proprio nemico. Prevalgono le somiglianze o le differenze?

Confrontando i tre racconti e possibile identificarne una

struttura comune secondo i seguenti parametri: 1) si parte

da una questione ordinaria della vita quotidiana; 2) si

presenta una soluzione che, per quanto possibile e prati-

cabile, e sommamente inusuale e almeno apparentemente

contraria al buon senso; 3) lo scarto dalla via ordinaria e

presentato senza enfasi, senza commenti, senza spiega-

zioni; 4) l’effetto e un ribaltamento improvviso degli usuali

criteri di giudizio; 5) la conclusione e un disorientamento

logico, uno scavalcamento dei conformismi e delle regole

prestabilite.

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5 | T5 Leggi le massime di Confucio raccolte nel brano, individuandone un filo conduttore,

poi svolgi le attivita proposte.

O Prova a riassumere queste proposizioni usando le seguenti espressioni: «virtu», «interiorita», «poli-

tica», «gerarchia», «regole sociali».

O Qual e per Confucio il rapporto tra etica e politica?

O Qual e la relazione fra individuo e societa?

O Qual e la relazione fra famiglia e Stato?

6 | T6 Anche sulla base del brano, rifletti sul taoismo svolgendo le attivita proposte.

O Qual e il ruolo della contraddizione nel sistema taoista?

O Qual e il significato della metafora secondo cui il tao «puo stare a sinistra come a destra»?

O Quando cerchiamo di capire la cultura di societa molto diverse dalla nostra, dobbiamo frenare la

naturale tendenza a interpretarne i princıpi sulla base delle nostre categorie mentali. Tenendo

presente questa norma, poni a confronto il concetto di tao con quello di logos. Componi un elenco,

in ordine gerarchico, di quelle che, a tuo avviso, sono le maggiori diversita fra l’approccio greco e

quello cinese.

7 | T7 Leggi i brani proposti e rifletti sullo zen secondo le indicazioni di lavoro fornite.

O Prova a trovare una conclusione zen a questa brevissima storia: un allievo pose al suo maestro la

seguente domanda: «Possono gli animali, un cane ad esempio, raggiungere l’illuminazione?» In-

venta una possibile risposta.

O Sai esprimere in maniera discorsiva il significato dell’invito zen a «svuotare la propria mente»?

O Come mostrano questi racconti, lo zen 1) non si presenta come una dottrina ma come un’e-

sperienza; 2) professa un’aperta ostilita verso ogni forma di erudizione; 3) insiste sul valore del-

l’autodisciplina; 4) ostenta disprezzo per ogni formalismo.

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& Indicazioni bibliografiche

I Opere da cui sono tratti i testi

Bhagavadgita, Roma, Edizioni Asram

Vidya, 1974

101 storie zen, a cura di N. Senzaki e

P. Reps, trad. it. di A. Motti, Milano,

Adelphi, 2000

J. L. Cavalan, H. Vernay, M. Luterani,

L’arte del combattere. Intervista a Kenji

Tokitsu, trad. it. di P. Magagnato,

Milano, Luni Editrice, 1993

Confucio, Dialoghi, in D. Leslie,

Confucio. La vita, il pensiero, trad. it. di

G. D. Giani, Milano, Edizioni Accademia,

1973

Dhammapada. I detti del Buddha, a cura

di T. Cleary, Milano, Mondadori, 1990.

M. K. Gandhi, Antiche come le

montagne, trad. it. di L. P. Maccia,

Milano, Edizioni di Comunita, 1963

Lao-tzu, Tao-te ching, Milano, Tea, 1994

Sutra-Pitaka, in A. Bareau, Buddha.

La vita, il pensiero, i testi esemplari, trad.

it. di L. Rossi Mazzucchetti, Milano,

Edizioni Accademia, 1972

I Saggi critici citati o consigliati

F. Capra, Il Tao della fisica, trad. it. di

G. Salio, Milano, Adelphi, 1982

A. K. Coomaraswamy, Induismo

e buddismo, trad. it. di U. Zalino, Milano,

Rusconi, 1973

G. W. F. Hegel, Introduzione alla storia

della filosofia, trad. it. di A. Plebe, Bari,

Laterza, 1971

C. G. Jung, Prefazione alla traduzione

inglese dell’«I-ching», Roma, Astrolabio,

1950

A. Sen, Anche l’Oriente ha i suoi lumi,

«Avvenire», 1 febbraio 2001

E. Zolla, La filosofia perenne. L’incontro

fra le tradizioni d’Oriente e d’Occidente,

Milano, Mondadori, 1999

43

TEST DI AUTOVALUTAZIONE& Induismo

1. L’idea centrale dell’induismo, la metempsicosi, sitrova anche in altre culture ed e presente anchein quella greca. FV

2. La legge del karma fa dipendere la qualita diun’esistenza da quelle precedenti. FV

3. Il «nirvana» e uno stato di beatitudine terrenaraggiungibile con pratiche meditative come loyoga. FV

4. Il dharma indica la nozione di reincarnazione ed etraducibile come reincarnazione. FV

5. La ahimsa, ovvero l’idea di non violenza, e con-naturata all’induismo e presente in tutte le suetendenze e varianti. FV

6. Lo yoga si basa fondamentalmente sul controllodel flusso respiratorio. FV

7. I giainisti costituiscono una delle caste interme-die dell’induismo, fra i brahmani da una parte e iparia intoccabili dall’altra. FV

8. La presenza di un Brahma dimostra la naturatendenzialmente monoteistica dell’induismo.

FV

& Buddhismo

9. Il buddhismo, in particolare nella tendenza Ma-hayana, predica la necessita di un ascetismoestremo. FV

10. Un problema discusso dai seguaci di Buddha eperche questi scelse di continuare a vivere anchedopo aver raggiunto l’illuminazione. FV

11. La nozione di nirvana e un prodotto originale delbuddhismo e indica il principio della non vio-lenza. FV

12. Buddha concepı la necessita di una via medianaall’illuminazione dopo aver sperimentato l’inutilitadelle pratiche ascetiche piu rigorose. FV

13. Nel discorso di Benares Buddha spiega come lafonte primaria di ogni dolore sia la «sete», ossia ildesiderio di avere una vita colma di soddisfazioni.

FV

14. In India, il buddhismo ha prodotto una profondacritica del sistema castale. FV

15. Interrogato su questioni che considerava assurde,Buddha praticava il silenzio come una rispostapossibile. FV

16. In punto di morte Buddha pronuncio precise indi-cazioni per evitare la sua deificazione. FV

& Taoismo

17. L’insistenza sul tema del divenire del mondo e

delle cose apparenta il taoismo ad alcune cor-

renti della prima filosofia greca e a Parmenide in

particolare. FV

18. L’etica e la filosofia della politica taoiste sonocentrate sulla valorizzazione di cio che non sideve fare. FV

19. Il taoismo prevede una precettistica che regolaogni rapporto della vita sociale e familiare.

FV

20. Secondo il taoismo la pace e la saggezza possonoessere raggiunte solo ripristinando la sapienzaoriginaria dei testi sacri. FV

& Confucianesimo

21. Il confucianesimo predica la necessita di superarele convenzioni imposte dalla famiglia e dalla so-cieta. FV

22. L’insistenza sulla precettistica e sulla normativagiuridica del confucianesimo e funzionale allastabilizzazione di una societa castale. FV

23. Secondo il confucianesimo non esistono relazioniumane, neppure quelli amicali, che non sianofondate su un rapporto di gerarchia. FV

24. Si deve alla cultura del confucianesimo l’usanzadi sottoporre i candidati alle cariche dello Stato aun esame su base meritocratica. FV

25. Il confucianesimo si appella alla natura, invitandoa seguirne i ritmi, cosı da entrare in un rapportodi armonia «ecologica» con l’ambiente. FV

& Zen

26. L’affermarsi dello zen in Giappone ha soppian-tato la piu antica tradizione shintoista. FV

27. Lo zen si distingue per un uso rigoroso dellacategorie razionali, il che spiega anche il suosuccesso nella cultura dell’Occidente contempo-raneo. FV

28. Lo zen comprende la proposta di compiti senzasoluzione, assurdi e paradossali. FV

29. In opposizione alle filosofie razionalistiche, lo zenha sostenuto il valore della semplice saggezza,dando importanza alle persone anziane sino agenerare una gerontocrazia. FV

30. La ritualita zen assegna un significato particolarea certe azioni tipiche della vita quotidiana.

FV

PUNTEGGIO: ................ / 30

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LABORATORIO

Rielaborazione concettuale

1 | Osserva lo schema del tao e svolgi le attivita proposte.

I Perche all’interno della zona bianca vi e un punto nero e viceversa?

I Osservando lo schema grafico, spiega perche il tao rappresenta il principio generatore di tutte le

contraddizioni e la loro armonica composizione nel tutto.

2 | Osserva lo schema sulla Ruota della Dottrina e rispondi ai quesiti proposti.

I La Ruota della Dottrina ricorda il discorso con cui, a Benares, il Buddha inizia la sua predicazione. I raggi

della ruota rappresentano l’Ottuplice Sentiero. Sai indicare qual e la loro funzione all’interno della

dottrina buddhista?

I La tradizione tibetana del buddhismo pone al centro della Ruota della Dottrina il simbolo del tao,

tratto dalla cultura cinese. A tuo avviso, buddhismo e taoismo devono essere considerate dottrine

incompatibili fra loro?

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Confronti

3 | Leggi il brano e rispondi ai quesiti posti.

Fritjof Capra, l’autore de Il Tao della fisica, da cui e tratto il passo seguente, non e un filosofo, ma uno

scienziato americano contemporaneo, un fisico specializzato nel campo delle alte energie e della fisica

subatomica. Proprio a partire da questi suoi interessi, egli sente il bisogno di approfondire le dottrine

filosofiche orientali, in cui rintraccia non poche «risonanze» con le piu attendibili ipotesi della scienza

moderna, ad esempio la teoria dei quark.

TT 8 Capra: Echi del taoismo in Eraclito

E sorprendente che, nello stesso periodo

in cui Lao-tzu e i suoi discepoli elabo-

ravano la loro concezione del mondo, gli

aspetti essenziali di questa visione taoista

furono insegnati anche in Grecia, da un

uomo i cui insegnamenti ci sono noti solo da

pochi frammenti e che fu ed e ancora molto

spesso frainteso. Questo «taoista» greco era

Eraclito di Efeso. Il suo pensiero ha in co-

mune con quello di Lao-tzu non solo l’im-

portanza data al mutamento continuo,

espresso nel famoso detto «tutto fluisce», ma

anche l’idea che tutti i mutamenti sono ci-

clici. Egli paragono l’ordine del mondo a «un

fuoco sempre vivente, che divampa secondo

misure e si spegne secondo misure»,

un’immagine che in realta e molto simile

all’idea cinese del tao, il quale si manifesta

nell’interazione ciclica tra yin e yang.

E facile vedere in quale modo il concetto di

mutamento, inteso come interazione dina-

mica degli opposti, abbia portato Eraclito,

analogamente a Lao-tzu, alla scoperta che

tutti gli opposti sono polari e quindi formano

un tutto unico. «La strada all’in su e all’in giu

e una sola e la medesima», disse il filosofo

greco, e ancora: «il dio e giorno e notte, in-

verno estate, guerra pace, sazieta fame».

Come i taoisti, egli vedeva ogni coppia di

opposti come un’unita ed era ben consape-

vole della relativita di tutti questi concetti.

Ancora una volta le parole di Eraclito: «Le

cose fredde si riscaldano, il caldo si raffredda,

l’umido si dissecca, il riarso si inumidisce» ci

ricordano quelle di Lao-tzu: «Il difficile e il

facile si completano l’un l’altro [...] i suoni e la

voce si armonizzano l’un l’altro; il prima e il

dopo si seguono l’un l’altro».

E strano che la grande somiglianza tra le

concezioni del mondo di questi due saggi

del sesto secolo a. C. non sia in genere co-

nosciuta. Eraclito viene spesso menzionato

in rapporto alla fisica moderna, ma quasi

mai in rapporto al taoismo. Eppure proprio

questa connessione col taoismo mostra nel

modo piu chiaro che la sua concezione del

mondo era quella di un mistico e in tal

modo, a mio giudizio, colloca nella giusta

prospettiva le corrispondenze tra le sue idee

e quelle della fisica moderna.

(F. Capra, Il Tao della fisica, trad. it. di G. Salio,

Milano, Adelphi, 1982, pp. 133-35)

I Il confronto fra Eraclito e Lao-tzu proposto da Capra ti sembra convincente?

I L’affermazione di Lao-tzu in base alla quale «il tao «puo stare a sinistra come a destra» (T6) potrebbe

rientrare nella visione eraclitea del mondo?

I Capra sottolinea la stranezza del fatto che questo paragone fra i due grandi pensatori non sia mai stato

posto in risalto dagli storici della filosofia. Come spieghi questo fatto?

Intersezioni

4 | Rifletti sull’affermazione hegeliana.

Nei primi anni dell’Ottocento, il filosofo tedesco Hegel sostiene che, in senso stretto, non esiste una

filosofia orientale.

LABORATORIO

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TT 9 Hegel: La filosofia e solo quella occidentale

L’autentica filosofia comincia in Occi-

dente. Solo in Occidente nasce la liberta

dell’autocoscienza, la coscienza naturale tra-

monta e quindi lo spirito si approfondisce in

se stesso. Nel fasto dell’Oriente l’individuo

scompare, solo in Occidente la luce diviene

lampo del pensiero che penetra in se stesso e

ivi crea il suo mondo.

(G. W. F. Hegel, Introduzione alla storia

della filosofia, trad. it. di A. Plebe,

Bari, Laterza, 1971, p. 140)

I Dopo aver letto questo Modulo, pensi che la sua affermazione debba essere confermata o smentita? In

base a quali argomentazioni?

5 | Rifletti sul tema suggerito dal brano.

Il seguente passo e tratto da un articolo di Amartya Sen, economista e pensatore indiano vincitore del

premio Nobel per l’economia.

TT 10 Sen: Artificiosita della distinzione fra «valori asiatici»e «valori occidentali»

L a conseguenza di questa supremazia

occidentale oggi e che le altre culture e

tradizioni vengono spesso identificate e de-

finite in opposizione al modello occidentale.

Prendiamo il caso dei «valori asiatici» che

vengono spesso messi in contrasto con i

«valori occidentali». Per il fatto che esistono

in Asia molti sistemi di valori e di tipi di

ragionamento, i «valori asiatici» possono

essere definiti in mille modi, ciascuno for-

nito di una citazione corrispondente. Sele-

zionando le citazioni di Confucio, alle spese

di altri scrittori asiatici, l’impressione che i

valori asiatici veicolano la disciplina e l’or-

dine, piuttosto che la liberta e l’autonomia

come in Occidente, e rinforzata e, allo stesso

momento, giustificata. Come ho indicato in

altre occasioni, e allora difficile, considerate

le rispettive letterature, sostenere la tesi di

una opposizione radicale tra Oriente e Oc-

cidente [...]

Mettere in questo modo l’accento su cio

che altrove differisce dal modello occiden-

tale puo rivelarsi di un’efficacia temibile e

generare delle distinzioni artificiali. Si ritor-

nera forse a domandarsi perche Gautama

Buddha, Lao-tzu, Ashoka1, Gandhi o ancora

Sun Yat-sen non erano dei «veri» asiatici [...]

Ma una volta accettata l’idea che molte

delle nozioni considerate come fondamen-

talmente occidentali possono ritrovarsi in

altre civilta, allora si vede bene che queste

nozioni non sono specifiche di una sola

cultura, come a volte si pretende. Questo e il

motivo per cui non bisogna disperare, al-

meno in questo ambito, di vedere pro-

sperare un giorno nel mondo un umanesimo

dettato dalla ragione.

(A. Sen, Anche l’Oriente ha i suoi lumi,

«Avvenire», 1 febbraio 2001)

I Dopo aver letto questo Modulo, sei in grado di specificare in che cosa consistono gli stereotipi indicati

da Sen come «valori occidentali» e «valori orientali»?

I Su che cosa puo basarsi l’argomentazione riportata da Sen secondo cui il Buddha, Lao-tzu e Gandhi

non sarebbero «veri» asiatici?

I Individua, tra i brani proposti nell’Itinerario di lettura di questo Modulo, quelli che possono sostenere

un’immagine dell’Oriente come «disciplina e ordine».

I Individua poi, tra i brani proposti, quelli che possono sostenere un’immagine dell’Oriente come «li-

berta e autonomia».

1. Ashoka: re dell’India (morto nel 232 ca. a. C.) convertitosi al buddhismo.

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6 | Leggi il brano e rispondi al quesito proposto.

Alla luce del concetto di tao (T6), spiega il significato delle seguenti massime attribuite a Lao-tzu.

TT 11 Lao-tzu: La visione sottile

O gni volta che vuoi ottenere una cosa,

bisogna iniziare dal suo opposto.

Se si vuole restringere, bisogna estendere.

Se si vuole indebolire, bisogna rafforzare.

Se si vuole prender possesso, bisogna of-

frire.

Questo e cio che si chiama una «visione

sottile».

(Lao-tzu, Tao-te ching, Milano, Tea, 1994)

I La «visione sottile» suggerita da Lao-tzu e compatibile con il principio di non contraddizione?

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QUESTIONI CHE CONTANO

FILOSOFIA E ALTRI LINGUAGGI

Lo zen e le arti marzialiKenji Tokitsu e insegnante di arti marziali orientali e autore di numerosi libri di successo, quali Lo zen e la via del Karate

e Shaolin Mon. Verso l’arte marziale del futuro. Personaggio poliedrico, dopo essersi laureato a Tokio e diventato

dottore in sociologia a Parigi e docente universitario di Educazione fisica.

TT 12 Tokitsu: La via del guerriero

Il brano riprende parte di L’arte di combattere, una lunga intervista concessa da Tokitsu a un

gruppo di giornalisti e psicoanalisti.

H. VERNAYERNAY – La parola mushotoku, che in

giapponese significa «senza scopo», «senza

oggetto», «senza spirito di profitto», caratte-

rizza la pratica dello zen. Esiste veramente

uno scopo, un obiettivo nella pratica delle

arti marziali, e qual e?

K. TOKITSUOKITSU – Considero che vivere bene

significhi tracciare la linea che termina con

la morte, nel modo piu soddisfacente pos-

sibile. Si cerca di avanzare. Non sono sod-

disfatto di cio che sono attualmente e voglio

andare piu lontano. Oggi va meglio di ieri e

meno bene di domani. L’obiettivo e di

camminare bene fino alla morte. Nell’arte

della spada dei samurai si insegna che, per

sopravvivere, bisogna prima morire.

H. VERNAYERNAY – Cosa vuol dire «bisogna

morire»?

K. TOKITSUOKITSU – E come dire che non bisogna

aggrapparsi alla vita, bisogna sopprimere il

desiderio di vivere, ed e in questo momento

che si puo vivere. Nel combattimento di

spada, la paura e quella di essere trafitti, e la

paura della morte. Colui che e determinato a

morire potra reagire in modo adeguato, cosa

che gli assicurera la via della sopravvivenza.

L’attaccamento alla vita fa morire, e l’ab-

bandono della vita fa vivere. Un paradosso...

H. VERNAYERNAY – E questa la via del guerriero?

K. TOKITSUOKITSU – Un guerriero diceva al suo

maestro che ogni volta che partecipava ad

una battaglia, non vedeva niente. Faceva

giorno, eppure c’era l’oscurita. Il maestro

rispose che quando si comincia a vedere

chiaramente, si e gia un grande guerriero.

Per paura, il corpo si appesantisce e la vi-

sione si restringe. Quando si e dominata la

propria paura, essendo pronti a morire, si

vede piu chiaramente, cosa che rende mag-

giore la probabilita di sopravvivere.

(J. L. Cavalan, H. Vernay, M. Luterani,

L’arte del combattere. Intervista a Kenji Tokitsu,

trad. it. di P. Magagnato, Milano, Luni Editrice,

1993, pp. 88-89)

TT 13 Zolla: La pratica del karate fra il corporeoe lo spirituale

Ecco il commento dello studioso Elemire Zolla a L’arte di combattere.

L’ arte marziale compatta corpo e mente.

Insegna a plasmare la mente attraverso

il corpo. Oppure disciplina ad agire sul loro

nesso, sullo strato intermedio fra corporeo e

spirituale: l’immaginazione. Come si svi-

luppa? I modi sono infiniti, ciascuno ha il

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suo. Tokitsu suggerisce l’esempio piu fa-

moso della letteratura esoterica giapponese,

Hakuin, che insegnava a immaginarsi un

uovo di crema profumata sulla cima del

cranio, a rappresentarsi poi il lento colare di

quella cremosita sulla testa, su tutto il corpo,

per cui ogni male o difetto si lava via. [...]

Il corpo e un ente al quale di solito non si

bada. Si rivela soltanto nel dolore. Ma l’arte

marziale insegna ad accostare il corpo del-

l’avversario, che riflette il nostro. Tokitsu

raccomanda di avvertirlo a occhi chiusi.

Lucien Koch, uno psicoanalista che inter-

viene nell’opera, parla del corpo come

proiezione della volonta guidata dal mae-

stro, il quale incarna una tradizione; il corpo

ci giunge dal futuro. In un certo senso e il

risultato del rilassamento totale, che a rigore

ne cancellerebbe la sensazione, ma com-

battendo si avverte il corpo del rivale e il

corpo nostro allora si manifesta come effi-

cacia istintiva.

Si resta meravigliati a questo punto, per-

che si e parlato di karate. Karate in giappo-

nese denota la «mano vuota», ma significo

all’inizio del secolo, quando fu introdotto in

Giappone, «mano cinese». Si era sviluppato

ad Okinawa, ma la sua origine non e delle

piu nitide. Credo che la leggenda secondo la

quale un miserabile cinese lo insegno fuori

d’un tempio, per poi svanire nel nulla, co-

munichi l’essenziale. Fu una prerogativa

della nobilta locale, tenuta strettamente se-

greta. Ma Tokitsu sa che all’origine il karate

fu l’esercizio d’autosuggestione degli scia-

mani cinesi che «diventavano» gru e si fon-

devano in transe col rivale, tramutandosi in

corpi simili a folti d’alghe nel mare, piegati

da ogni corrente, senza che si emanino or-

dini per ottenerlo.

(E. Zolla, La filosofia perenne. L’incontro fra le

tradizioni d’Oriente e d’Occidente, Milano,

Mondadori, 1999, pp. 36-39)

DALLA FILOSOFIA ALL’ESPERIENZA

O L’idea che l’azione debba essere «senza scopo» e tipica ed esclusiva dello zen o si presenta anche in

altre filosofie religiose dell’Oriente?

O Rintraccia nel brano di Tokitsu e nel commento tutti i luoghi argomentativi caratterizzati dalla tecnica

tipicamente zen dell’inversione paradossale.

O In che cosa consiste la transe sciamanica cui accenna Zolla? In che modo e accostabile alla pratica del

karate?

FILOSOFIA E CITTADINANZA

Il buddhismo tra filosofia e religiosita popolareSe il buddhismo e diventato a tutti gli effetti una religione, cio e avvenuto contro la chiara volonta espressa dal suo

fondatore. Le ragioni di questa trasformazione, argomenta il brano, sono da ricercarsi soprattutto nell’ambito sociale,

politico e persino economico.

TT 14 Bareau: Spiritualita libera dalla liturgia

L a vita monastica antica era completa-

mente sprovvista di apparati liturgici e

religiosi nel senso comune di questa parola.

Non esistevano, fra le attivita dei bhikshu1,

ne la preghiera, ne sacrifici rivolti a un

qualsiasi dio, ne alcuna di quelle pratiche

1. bhikshu: letteralmente «mendicante», indica il monaco buddhista.

QUESTIONI CHE CONTANO

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superstiziose tipiche al tempo stesso della

magia e della religione. Tutto cio era giudi-

cato inutile e anche nocivo al progredire

verso la salvezza; era denunciato for-

malmente dal Buddha e dai suoi discepoli

come un «legame», un «nodo», di cui biso-

gnava liberarsi al piu presto.

Quanto ai rapporti fra i monaci e il

Buddha essi si limitavano alla venerazione

dovuta dai discepoli al maestro e alla rico-

noscenza a colui che aveva indicata la via

della salvezza. Mentre egli era in vita si

esprimevano con gesti e parole di rispetto

analoghi a quelli prescritti dalla educazione

indiana ordinaria. Dopo il parinirvana2, non

potevano manifestarsi nei suoi confronti che

pensieri d’ammirazione e di gratitudine,

poiche il Buddha era definitivamente

scomparso. Una vecchia tradizione attribui-

sce al grande maestro morente la racco-

mandazione fatta ai monaci di non

preoccuparsi dei suoi funerali e di abban-

donarne completamente l’incarico ai laici.

E precisamente presso quest’ultimi che e

nato e si e sviluppato ben presto il culto del

Buddha, cui si aggiunse in breve tempo

quello dei suoi grandi discepoli considerati

come santi (Arhat 3) e quello dei prede-

cessori di Gautama. Alcuni antichi tumuli

funerari vengono considerati come tombe di

tali predecessori. Testimonianze epigrafiche

irrefutabili provano che duecento anni dopo

il parinirvana questo triplice aspetto del

culto buddhista era largamente diffuso nel-

l’India del Gange. Si narra che, l’indomani

stesso della morte del Buddha, i capi delle

diverse tribu dei territori che egli aveva tanto

spesso percorso si divisero cosi avidamente

le sue ceneri che un conflitto fu evitato a

stento.

Le ragioni di questo culto delle reliquie

sono ben lungi dall’essere cosı spirituali

come le avrebbe volute colui che ne fu

l’oggetto principale, e cio spiega indubbia-

mente la lunga resistenza che i monaci op-

posero a codesto culto. Infatti soltanto nelle

parti piu recenti delle opere canoniche e

presso poche scuole troviamo prove della

partecipazione dei religiosi a questo culto

con regolamenti particolari concernenti gli

omaggi da rendere alle reliquie del Buddha e

dei santi; partecipazione nettamente minore

a quella dei laici e ridotta a qualche segno di

rispetto compatibile con la dignita e la ri-

servatezza raccomandata ai bhikshu. Docu-

menti sicuri e antichi provano in effetti che il

culto delle reliquie praticato dai laici si

ispirava largamente a quello riservato alle

divinita indiane ordinarie e da esso ci si at-

tendevano effetti simili. Le ceneri del

Buddha e dei suoi santi discepoli erano

considerate da quelle genti superstiziose

come talismani e come tali utilizzate. I ricchi

mercanti le portavano con se in viaggio per

proteggersi dai molti pericoli della strada,

principi guerrieri facevano la stessa cosa

quando partivano per la guerra vedendo in

esse un pegno di vittoria, la gente piu umile

le considerava una protezione contro le

malattie le carestie, gli incidenti ecc. [...] Si

comprende come i monaci, fedeli agli inse-

gnamenti del Buddha, abbiano disapprovato

queste pratiche e se ne siano tenuti lontano.

Si comprende anche come altri bhikshu ab-

biano tentato di arginarle mediante un in-

sieme di regolamenti e di impedire che

questo culto rivolto al Buddha assorbisse dal

paganesimo ambientale elementi che, come

i sacrifici cruenti, erano contrari alla dot-

trina. D’altra parte, autorizzando le forme di

devozione compatibile con essa, si poteva

utilizzarne la popolarita per la propaganda

del buddhismo.

(A. Bareau, Buddha. La vita, il pensiero, i testi

esemplari, trad. it. di L. Rossi Mazzucchetti,

Milano, Edizioni Accademia, 1972, pp. 79-82)

2. parinirvana: l’«estinzione completa» che si producealla morte di un santo (Arhat) o di un Buddha. Implica lascomparsa definitiva di tutte le componenti, materiali espirituali, che formavano la persona, la quale non rina-scera mai piu in alcun corpo.

3. Arhat: il «meritevole», il santo che, avendo raggiunto ilnirvana gia in questa vita, e destinato a non reincarnarsipiu.

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DALLA FILOSOFIA ALL’ESPERIENZA

O Con quali motivazioni Buddha sconsiglia di dedicare la propria vita alla ricerca eroica di una perfetta

condizione ascetica? Con quali argomenti rifiuta di considerare il proprio messaggio come l’annuncio

di una nuova religione?

O La vicenda del culto delle reliquie del Buddha mostra una tensione esistente fra la religiosita popolare

e le piu raffinate analisi dei monaci. Anche nella tradizione cristiana si e posta la questione della

sacralita e dell’importanza delle reliquie e dei presunti miracoli ad esse connesse. Qual e,

tradizionalmente, l’atteggiamento della Chiesa di fronte a queste credenze popolari?

O La storia del buddhismo invita a riflettere su due diversi aspetti della dimensione religiosa: la ritualita e

la spiritualita. Da una parte essi appaiono come elementi inscindibili, presenti in ogni tradizione,

dall’altra e facile pensare a possibili conflittualita. E immaginabile una religione del tutto priva di

liturgia?

O Il messaggio del Vangelo e sovrastorico, ma ogni epoca sviluppa un modo proprio di viverlo. Come si

pone oggi il rapporto fra ritualita e spiritualita?

O Qual e l’atteggiamento attuale della Chiesa nei confronti dei fenomeni di religiosita popolare, ad

esempio le apparizioni, le lacrimazioni di statue, i miracoli?

FILOSOFIA E CONOSCENZA DI SE

Lo yoga e PlatoneL’uscita dal mondo delle sensazioni e delle passioni propugnata dallo yoga puo essere comparata con l’analogo invito

platonico? E ancora: lo stato mentale conseguente alla meditazione yoga e assimilabile alla condizione mistica?

Quando si cerca di capire il significato di nozioni lontane dalla propria tradizione, si finisce spesso per interpretarle alla

luce della propria cultura.

TT 15 Coomaraswamy: Il pensiero fluttuante

«L o yoga e abilita nelle opere» (Bha-

gavadgita, II, 50). Lo yoga e anche la

«rinuncia (sannyasa) alle opere» (Bhaga-

vadgita, VIVI, 2). In altri termini, mirare allo yoga

non significa affatto fare di piu o di meno di

quel che e necessario, ne fare niente, bensı

agire senza provare attaccamento ai frutti

delle azioni, senza pensare al domani. «E nella

verita colui che vede l’azione nell’inazione e

l’inazione nell’azione» (Bhagavadgita, IVIV, 18 e

passim). E la dottrina cinese del wu-wei.

Yoga significa letteralmente ed etimolo-

gicamente il «giogo» che si impone ai cavalli;

a questo proposito, bisogna tener presente

che per gli indiani, come per gli psicologi

della Grecia antica, i «cavalli» legati al «carro

corporeo» sono le facolta sensitive che lo

spingono nell’una o nell’altra direzione,

verso il bene o verso il male, o verso il fine

ultimo stesso, se i cavalli sono ben control-

lati dall’auriga che li tiene alle redini. L’in-

dividualita e la cavalcatura da domare, il

Conduttore o l’Uomo Interiore e l’auriga.

L’uomo, quindi, deve «aggiogare se stesso

come una cavallo disposto a obbedire»

(Rigveda Samhita, VV, 46, 1).

In quanto disciplina fisica e mentale, lo

yoga e contemplazione, dharana, dhyana,

samadhi, che corrispondono alla considera-

tio, contemplatio, ed excessus o raptus dei

cristiani. Una volta attuato, e inteso quindi

nel suo significato piu completo, lo yoga

implica la riduzione delle cose separate al

loro principio di unita e comporta di con-

seguenza cio che viene talvolta chiamato

«unione mistica»; ma deve essere ben chiaro

che lo yoga differisce dall’«esperienza mi-

stica», perche non e affatto un metodo pas-

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sivo, bensı attivo e «controllato». Lo yogi

perfetto puo passare a piacimento da uno

stato all’altro: il Buddha ne e un esempio.

Ogni indu e in una certa misura un pra-

ticante dello yoga, e lo e con uno spirito che

e quello stupendamente descritto da Plato-

ne, Repubblica, 571, D, s: [...] [giungendo alla

piena coscienza di se].

Ma quando si tratta di ardui esercizi di

contemplazione compiuti con l’intenzione

di ascendere alle piu alte vette, il discepolo

deve prepararvisi con appropriati esercizi

fisici; in particolare, prima di dedicarsi a

qualsiasi esercizio di concentrazione men-

tale, deve aver acquisito un perfetto con-

trollo e una sicura conoscenza delle

modalita della respirazione. Nessuno di

questi esercizi deve essere, del resto, tentato

senza un maestro. Si avra un’idea del primo

ostacolo da superare, il quale consiste nel-

l’arrestare il pensiero fluttuante e nel ridurlo

sotto il proprio controllo, se si prova a pen-

sare a una cosa determinata, non importa

quale, anche solo per una decina di secondi;

si scoprira, non senza sorpresa, e forse con

un po’ d’imbarazzo, che cio non puo essere

ottenuto senza una lunga pratica.

(A. K. Coomaraswamy, Induismo e buddismo,

trad. it. di U. Zalino, Milano, Rusconi,

1973, pp. 76-77)

DALLA FILOSOFIA ALL’ESPERIENZA

O A quale mito platonico allude Coomaraswamy definendo lo yoga come «il giogo che si impone ai

cavalli»?

O Prova a mettere in pratica il semplice esercizio consigliato da Coomaraswamy: misura con un orologio

la durata di tempo in cui riesci a concentrare il tuo pensiero su un contenuto qualsiasi. Cerca di capire

in base alla tua esperienza perche e cosı difficile e faticoso sostenere tale concentrazione.

La sapienza dell’oracolo

TT 16 Jung: I-ching, sull’aspetto accidentale degli eventi

Il celebre psicanalista Carl Gustav Jung spiega in questo brano come debba essere preso in

considerazione l’I-ching, uno dei testi piu antichi della cultura cinese, un oracolo consultabile da

chiunque senza che si renda necessaria la mediazione di alcun indovino. Il voluminoso testo,

disponibile anche nella traduzione italiana, consiste in una serie di 64 «risposte» (che sono in

realta collezioni di immagini, sentenze, proposizioni ambigue e simboliche) offerte a chi ponga

al libro una domanda. Non tutte le domande vanno bene. Non si puo chiedere all’oracolo che

tempo fara domani o in che citta mi trovero fra una settimana; bisogna che la questione sia di

tipo esistenziale, riguardi cioe il dubbio su una scelta da compiere. Ma come scegliere la risposta?

Assolutamente per caso, lasciando che a decidere sia il lancio di alcune monete.

Q uesto libro ha destato il sospetto di es-

sere una collezione di antiche formule

magiche e di essere quindi troppo astruso

per riuscire intelligibile, o di essere privo di

valore. [...] Posso assicurare i miei lettori che

non e davvero troppo facile trovare un ac-

cesso congruo a questo monumento del

pensiero cinese, cosı infinitamente diverso

dal nostro modo di pensare. Per capire in

generale di che cosa tratti un simile libro e

assolutamente imperativo buttare a mare

certi pregiudizi della mentalita occidentale.

E un fatto curioso che della gente cosı dotata

e intelligente come i cinesi non abbia mai

prodotto quella cosa che noi chiamiamo

scienza. La nostra scienza, comunque, e ba-

sata sulla causalita, e quest’ultima e consi-

derata verita assiomatica. [...]

Non abbiamo sufficientemente tenuto

conto del fatto che, per dimostrare la validita

invariabile delle leggi di natura, abbiamo

implicitamente bisogno del laboratorio con le

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sue incisive restrizioni. Lasciando che la

natura faccia da se scorgiamo un quadro ben

differente: ogni processo subisce delle in-

terferenze parziali o totali da parte del caso, e

cio in misura tale che un regolare corso di

eventi, rispettoso della legge, forma quasi

un’eccezione in circostanze naturali. La

mentalita cinese, quale io la vedo all’opera

nell’I-ching, sembra invece preoccuparsi

esclusivamente dell’aspetto accidentale degli

eventi. Cio che noi chiamiamo coincidenza

sembra essere la cosa della quale questa

peculiare mentalita principalmente si inte-

ressa, e cio che noi adoriamo come causalita

passa quasi inosservato. Dobbiamo ammet-

tere che qualche cosa si possa dire in favore

della immensa importanza del caso. Un

importo incalcolabile di sforzo umano e

destinato a combattere ed a limitare i danni o i

pericoli rappresentati dal caso. Spesso la

considerazione causale appare pallida e

polverosa in confronto degli effetti pratici del

caso. [...]

In altre parole: chiunque sia stato l’in-

ventore dell’I-ching, era convinto che l’esa-

gramma costruito in un dato momento coin-

cideva con questo anche nella qualita e non

soltanto nel tempo. Per lui l’esagramma era

l’esponente del momento in cui lo si otteneva,

piu ancora anzi del misuramento del tempo,

in quanto lo si comprendeva come un indi-

catore della situazione essenziale prevalente

al momento della sua origine. Questa as-

sunzione implica un certo strano principio

che io ho denominato sincronicita, concetto

che formula un punto di vista diametralmente

opposto alla causalita. Siccome quest’ultimo

e una verita meramente statistica e non as-

soluta, essa e una specie di ipotesi di lavoro

esprimente come gli eventi evolvono l’uno

nell’altro, mentre la sincronicita considera la

coincidenza degli eventi in spazio e tempo

come significatore di qualche cosa di piu di un

mero caso, cioe di una peculiare interdi-

pendenza di eventi oggettivi tra di loro, come

pure fra essi e le condizioni soggettive (psi-

chiche) dell’osservatore o degli osservatori. La

mentalita cinese antica contempla l’universo

in una maniera paragonabile a quello del

fisico moderno, il quale non puo negare che il

suo modello dell’universo e una struttura

decisamente psicofisica.

I 64 esagrammi dell’I-ching sono ora l’i-

strumento mediante il quale il significato di

64 differenti ma pure presumibilmente tipi-

che situazioni puo essere determinato.

Queste interpretazioni sono equivalenti a

spiegazioni causali. La connessione causale e

statisticamente necessaria e puo percio es-

sere assoggettata all’esperimento. Ma poiche

una situazione e unica e non puo essere ri-

petuta, sembra essere impossibile fare degli

esperimenti con la sincronicita sotto condi-

zioni ordinarie; il solo criterio di validita per

l’ultima ipotesi poggia sull’opinione del-

l’osservatore che il testo degli esagrammi sia

equivalente ad una pittura fedele delle sue

condizioni psichiche soggettive. Si presume

che la caduta delle monete o la divisione del

fascio di steli sia proprio quella che in una

data «situazione» dev’essere, in quanto

qualsiasi cosa che avviene in quel momento

vi appartiene quale indispensabile parte del

quadro. Una manata di fiammiferi gettati al

suolo forma il disegno caratteristico di

quell’istante. Ma una verita cosı ovvia come

questa rivela la sua significativita soltanto nel

caso che sia possibile leggere questi disegni e

verificarne l’interpretazione, in parte me-

diante cio che l’osservatore conosce della

situazione soggettiva, in parte mediante la

conferma apportata dagli eventi susseguenti.

Non e evidentemente un procedimento

gradito ad una mente critica abituata alla

verificazione sperimentale dei fatti o al-

l’evidenza fattiva. Ma per qualcuno che ami

gettare uno sguardo sul mondo valendosi

dell’angolo di visuale sotto il quale l’antica

Cina lo ha scorto, l’I-ching puo presentare

qualche attrattiva.

La suesposta argomentazione non e mai

venuta in mente, si capisce, a nessun cine-

se.Al contrario, secondo l’antica tradizione

sono degli «agenti spirituali» operanti in

modo misterioso quelli che fanno dare una

risposta sensata agli steli di millefoglie1.

(C. G. Jung, Prefazione alla traduzione inglese

dell’«I-ching», Roma, Astrolabio, 1950, pp. 11-15)

1. steli di millefoglie: bastoncini usati al posto delle monete per scegliere la risposta dell’oracolo sulla base del caso.

QUESTIONI CHE CONTANO

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DALLA FILOSOFIA ALL’ESPERIENZA

O Cosa intende Jung con il termine «sincronicita»?

O Perche, secondo lo psicanalista, la scienza occidentale non e in grado di studiare i fenomeni secondo il

criterio della sincronicita?

O Perche il procedimento proposto dall’I-ching e inaccettabile dal punto di vista scientifico?

O Continuando la sua prefazione all’I-ching, Jung racconta di come volle mettere alla prova l’oracolo

ponendogli in tutta serieta un problema che gli stava a cuore. Ottenne, a suo dire, una risposta

«sensibile» e «intelligente». Fai anche tu questa esperienza.

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