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Catalogo della mostra tenutasi ad Arzignano (VI) in Febbraio 2011

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ITALY - maestri e promesse dell’Arte modernaPalazzo Municipale - Piazza Libertà - Arzignano (VI) - 26 Febbraio - 20 Marzo 2011

Sindaco Dott. Giorgio Gentilin

Assessore alle politiche culturaliPieropan Mattia

A cura diAlberto SgarroMatteo Vanzan

OrganizzazioneAlberto SgarroMatteo Vanzan

Progetti graficiMatteo Vanzan

Videoimpaginazione catalogoMatteo Vanzan

Comune di ArzignanoAssessorato alla Cultura

In collaborazione con:

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Italy rappresenta un viaggio.

Un viaggio nel quale vengono toccate alcune per-

sonalità piuttosto che altre, presentate attraverso le

tecniche più svariate, attraverso, in una storia che

rappresenta ciò che è accaduto in Italia dal 1950

fino ai giorni nostri. Il punto di partenza risale dalla

metafisica, termine usato da De Chirico durante il

suo soggiorno a Parigi tra il 1911 e il 1915, parlan-

do di luoghi, di dipinti propri e delle opere dei grandi

maestri del passato, con una pittura caratterizzata

da architetture essenziali, proposte in prospettive

non realistiche, immerse in un clima magico e mi-

sterioso, e dall’assenza di figure umane, esprimen-

do ciò che esiste oltre l’apparenza sensibile della

realtà empirica. Dall’Impressionismo mediterraneo

di Cascella e il Realismo sociale di Migneco, Guttu-

so, Treccani la mostra attraversa le rivoluzioni con-

cettuali di opposizione al Figurativo dell’arte Infor-

male, del Gruppo Forma 1 e della Pittura analitica:

Vedova e Afro, la cui gestualità si poneva in forte po-

lemica con tutto ciò che può essere riconducibile ad

una forma, sia essa figurativa che astratta; Dorazio,

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Perilli e Turcato sostenitori di un’arte strutturata che

celebrava invece la forma ed il segno nel loro signi-

ficato basico ed essenziale (“Ci interessa la forma

del limone, non il limone”); Verna e Aricò con una

pittura in grado di pensare se stessa nel momento

in cui prendeva corpo, quasi fosse animata da ri-

flessioni impresse nei gesti, da meditazioni in punta

di pennello.

Italy rappresenta un viaggio.

Un viaggio il cui punto di rottura avvenne nel 1960,

con il gesto concettuale di Mario Schifano: il mo-

nocromo ad azzeramento della pittura stessa, non

solo della figura, con l’intenzione di “fare tabula

rasa” dando l’incipit per un nuovo inizio, per una

nuova visione. In quegli anni nasce la Pop Art con

Mario Schifano,Tano Festa, Franco Angeli, Piero

Gilardi, che “spazzò via la soffocante accademia

informale che ancora imperversava l’Europa.” Fu-

rono anni di fermento culturale molto intenso, in un

susseguirsi di dibattiti, confronti e collaborazioni,

che portarono artisti di diverse correnti ad interagire

tra loro, avvicinando, ad esempio, Rotella agli artisti

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t

di Piazza del Popolo e, contemporaneamente, al

Nouveau Rèalisme di Pierre Restany.

Italy rappresenta un viaggio.

Un viaggio che continua con le rivoluzioni degli anni

Ottanta dove, tra gli altri momenti della storia dell’ar-

te, incontriamo la Transavanguardia di Achille Bo-

nito Oliva, tra cui Sandro Chia e Mimmo Paladino

furono protagonisti di un ritorno alla manualità, alla

gioia ed ai colori dopo anni di dominazione dell’arte

concettuale e dell’arte povera. In quegli stessi anni a

Roma, e più precisamente nell’Ex Pastificio Cerere,

si andava delineando un nuovo gruppo di artisti, la

corrente di Piazza San Lorenzo, tra cui Ceccobelli

e Pizzi Cannella il cui contributo originale punta alla

ripresa di interesse per la pittura (e la scultura) con

opere impegnate ad un recupero di sensibilità per

la materia, di ascendenza astratta- informale.

Italy rappresenta un viaggio.

Un viaggio che ora si chiede, dopo un Novecen-

to così ricco di ricerche ed innovazioni, dove sta

guardando oggi l’arte? Nella prima decade del Ter-

zo Millennio, assistiamo alla nascita di una nuova

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generazione di artisti. Luca Pignatelli, Federico

Guida, Tina Sgrò, Alessandro Rinaldi sono alcuni

degli artefici di una nuova rivoluzione dello sguardo

che rielaborano, in chiave moderna, proprio i temi

tanto criticati dall’arte informale rileggendo figura,

forma e paesaggio. Altri artisti, invece, hanno rivol-

to la propria ricerca a nuovi materiali e nuove tecni-

che, proprio come avvenne per la Pop Art e per l’ar-

te Povera dove, oltre all’innovazione del soggetto

rappresentato, era fondamentale considerare l’uti-

lizzo e la ricerca di nuovi materiali.Affiorano nuove

tecnologie usate per la rielaborazione del concetto

fotografico ad opera di Carlo Chechi e Francesco

di Pasquantonio, dell’arte video di Fabrizio Carotti

e della pittura digitale di Manuela Luzi e Fabio Pa-

nichi, nella quale la fusione tra pittura e fotografia

avviene grazie a texture sovrapposte, campioni di

colore e pennelli digitali stesi su file .jpeg o .tiff ad

alta risoluzione.

Buon viaggio

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“Vi sono degli uomini, dei quali probabilmente anche voi fate parte, che, arrivati a un limite della loro arte, si

sono domandati: dove andiamo?”

Giorgio de Chirico

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GIORGIO DE CHIRICO

Volos, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978

Nasce in Grecia da una agiata famiglia italiana. Giorgio

si iscrisse al Politecnico di Atene per intraprendere lo

studio della pittura, studio che continuerà all’Accademia

di Firenze ed infine dal 1906 all’Accademia delle belle

arti di Monaco di Baviera. In questo periodo conobbe

la pittura di Arnold Böcklin e dei simbolisti tedeschi.

All’inizio del 1910, si recò a Firenze dove dipinse la

sua prima piazza metafisica, “l’Enigma di un pomeriggio

d’autunno”, nato dopo una visione che ebbe in Piazza

Santa Croce. Nel 1911 de Chirico raggiunge il fratello Al-

berto a Parigi dove subisce l’influenza di Gauguin da cui

prendono forma le prime rappresentazioni delle piazze

d’Italia. Tra il 1912 e il 1913 la sua fama si propaga, an-

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che se ancora non ottiene un adeguato successo eco-

nomico. In questo periodo comincia a dipingere i suoi

primi manichini. Negli anni parigini, Giorgio dipinge al-

cune delle opere pittoriche fondamentali per il ventesimo

secolo. Allo scoppio della prima guerra mondiale i fratelli

de Chirico si arruolano volontari e vengono inviati a Fer-

rara. Dopo un primo periodo di disorientamento dovuto

al cambiamento di città, Giorgio rinnova la propria pit-

tura, non dipinge più grandi piazze assolate ma nature

morte con simboli geometrici, biscotti e pani. Negli anni

cinquanta la sua pittura è caratterizzata da autoritratti

in costume di tipo barocco e dalle vedute di Venezia.

La migliore produzione pittorica di de Chirico è avve-

nuta tra il 1909 e il 1919, nel periodo dell’invenzione

della pittura metafisica: i quadri di questo periodo sono

memorabili per le pose e per gli atteggiamenti evocati

dalle nitide immagini. All’inizio di questo periodo, i suoi

soggetti erano ispirati dalla splendente luce diurna delle

città mediterranee, ma ha rivolto gradualmente la sua

attenzione agli studi di architetture classiche.

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“L’arte deve creare sensazioni sconosciute in passato; spogliare l’arte dal comune e dall’accettato,sopprimere completamente l’uomo quale guida o come mezzo per esprimere dei simboli, delle sen-

sazioni, dei pensieri, liberare la pittura una volta per tutte dall’antropomorfismo; vedere ogni cosa, anche l’uomo, nella sua qualità di cosa.

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MICHELE CASCELLA

Ortona, 7 settembre 1892 – Milano, 31 agosto 1989

Dopo aver svolto le prime attività artistiche sotto la gui-

da del padre Basilio, nel 1907, tiene assieme al fratel-

lo Tommaso la sua prima mostra personale nelle sale

della Famiglia Artistica di Milano. Nel 1911 organizza

una mostra di disegni a pastello nel Ridotto del Teatro

Nazionale di Roma. Tra il 1914 ed il 1915 collabora a La

Grande Illustrazione pubblicata dal padre Basilio con

disegni ed illustrazioni grafiche, esponendo nel 1917 al

Salone dell’Associazione della Stampa e nella Galle-

ria Centrale d’arte a Milano. A Roma, nel 1919, tiene

una mostra personale alla Galleria Bragaglia e conosce

in quella occasione Carlo Carrà che consente poi il

trasferimento della mostra a Milano nella Galleria Lidel.

Nel 1920 si stabilisce definitivamente a Milano dove fre-

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quenta con entusiasmo il poeta Clemente Rebora, da

cui confesserà di aver tratto ispirazione per la realizza-

zione di alcune sue opere. Nel 1938 esegue le sceno-

grafie dell’opera “Margherita da Cortona” rappresentata

al Teatro alla Scala. Dal 1928 al 1942 è presente a tutte

le edizioni della Biennale di Venezia, risiedendo quindi

a Portofino dal 1938, fonte d’ispirazione delle sue opere

tarde. Dopo la seconda guerra mondiale si fanno più

frequenti le sue mostre all’estero: Parigi, ma anche Su-

damerica e Stati Uniti. E proprio negli USA, in Califor-

nia, si stabilirà per lunghi periodi di tempo ed in Europa.

I soggetti più rappresentati sono fiori, campi di grano e

papaveri, i paesaggi abruzzesi e Portofino. Importanti

sono state le mostre antologiche di questo periodo. In

occasione del centenario della nascita, a Milano, presso

il Palazzo della Permanente è stata allestita una grande

rassegna di opere realizzate tra il 1907 ed il 1946. Par-

ticolare rilievo è da attribuirsi ai suoi ritratti di donne,

realizzati con raffinate tecniche prefuturiste. Pare che

uno di questi, intitolato “Paola”, sia andato perduto nelle

aste di una famiglia nobile decaduta.

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“Non mi sembra però che l’atteggiamento di Michele Cascella possa ritenersi un segno di regres-sione rispetto ai tempi in cui ha vissuto. Al contrario, Cascella ha interpretato l’arte secondo una

valenza sociale assolutamente evoluta, rispettosa dei mutamenti materiali ed ideologici avvenuti nel ventesimo secolo. Cascella credeva insomma che nell’era della civiltà di massa, nell’era della civiltà delle immagini, nell’era della civiltà democratica, l’artista avesse l’obbligo di rivolgersi alla “gente”, di

offrire ad essa parametri artistici in cui identificarsi”

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RENATO GUTTUSO

Milano, 26 agosto 1920 – Milano, 27 novembre 2009

Nel 1938 a soli diciotto anni fonda e dirige il periodico

“Vita Giovanile”, grazie alla fiducia e ai mezzi messi a

disposizione dal padre, fondatore dell’Istituto Treccani

che cura la pubblicazione dell’omonima enciclopedia.

“Vita Giovanile” diventa presto “Corrente”, uno stru-

mento per organizzare ed esprimere la propria oppo-

sizione politica ma anche artistica. Treccani si ritrova

improvvisamente ad avere a che fare con personaggi,

seppur giovani, di una generazione più matura di lui

e di grande rilevanza: Birolli, Migneco, Sassu, Argan,

Ungaretti, Saba, De Grada, Quasimodo, Montale e altri

ancora che influirono notevolmente sulla crescita sua

artistica. Frequentava all’epoca la facoltà di ingegne-

ria e per questo ha avuto modo di entrare in contatto

con i movimenti di avanguardia del fascismo. Intorno al

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1940 inizia a dipingere e la sua prima personale risale

al 1949 presso la Galleria del Milione. Nel 1950, e poi

nel 1952 e nel 1956 partecipò alla Biennale di Venezia

iniziando inoltre ad esporre le sue opere a Londra e a

New York. Con l’inizio della guerra la pubblicazione del-

la sua rivista viene soppressa e come risposta l’artista

aderisce al Partito comunista diventandone un attivista.

Nel dopoguerra, forte dell’esperienza nel partito e delle

nuove conoscenze partigiane, entra nella redazione de

“Il ‘45” una rivista su cui scrivono, tra gli altri, Elio Vit-

torini, Mario De Micheli e Raffaele De Grada. Successi-

vamente, sempre con personaggi del nuovo establish-

ment si distingue all’interno del gruppo di “Pittura”, cui

prendono parte nomi noti come Giuseppe Ajmone, Al-

fredo Chighine, Franco Francese e Giovanni Testori. Nel

frattempo, ormai noto al grande pubblico, entra nel nu-

ovo movimento realista italiano, cui appartengono molti

scrittori ex partigiani. Nel 1978, a Milano, ha dato vita

alla Fondazione Corrente, con un programma mirante

allo studio del periodo storico compreso tra la nascita

del movimento di Corrente e gli anni del Realismo,

oltre al dibattito di temi dell’attualità culturale.

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“Come pittore (e come poeta) Treccani è un frequentatore di quei giardini dell’Eden che sono nell’infanzia e nella memoria di ogni uomo. Il tempo tende, da quei giardini, ad estrometterci;

Treccani ha imparato il segreto per non esserne bandito”

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ERNESTO TRECCANI

Milano, 26 agosto 1920 – Milano, 27 novembre 2009

Nel 1938 a soli diciotto anni fonda e dirige il periodico

“Vita Giovanile”, grazie alla fiducia e ai mezzi messi a

disposizione dal padre, fondatore dell’Istituto Treccani

che cura la pubblicazione dell’omonima enciclopedia.

“Vita Giovanile” diventa presto “Corrente”, uno stru-

mento per organizzare ed esprimere la propria oppo-

sizione politica ma anche artistica. Treccani si ritrova

improvvisamente ad avere a che fare con personaggi,

seppur giovani, di una generazione più matura di lui

e di grande rilevanza: Birolli, Migneco, Sassu, Argan,

Ungaretti, Saba, De Grada, Quasimodo, Montale e altri

ancora che influirono notevolmente sulla crescita sua

artistica. Frequentava all’epoca la facoltà di ingegne-

ria e per questo ha avuto modo di entrare in contatto

con i movimenti di avanguardia del fascismo. Intorno al

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1940 inizia a dipingere e la sua prima personale risale

al 1949 presso la Galleria del Milione. Nel 1950, e poi

nel 1952 e nel 1956 partecipò alla Biennale di Venezia

iniziando inoltre ad esporre le sue opere a Londra e a

New York. Con l’inizio della guerra la pubblicazione del-

la sua rivista viene soppressa e come risposta l’artista

aderisce al Partito comunista diventandone un attivista.

Nel dopoguerra, forte dell’esperienza nel partito e delle

nuove conoscenze partigiane, entra nella redazione de

“Il ‘45” una rivista su cui scrivono, tra gli altri, Elio Vit-

torini, Mario De Micheli e Raffaele De Grada. Succes-

sivamente, sempre con personaggi del nuovo estab-

lishment si distingue all’interno del gruppo di “Pittura”,

cui prendono parte nomi noti come Giuseppe Ajmone,

Alfredo Chighine, Franco Francese e Giovanni Testori.

Nel frattempo, ormai noto al grande pubblico, entra nel

nuovo movimento realista italiano, cui appartengono

molti scrittori ex partigiani. Nel 1978, a Milano, ha dato

vita alla Fondazione Corrente, con un programma mi-

rante allo studio del periodo storico compreso tra la

nascita del movimento di Corrente e gli anni del Re-

alismo, oltre al dibattito di temi dell’attualità culturale.

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“Come pittore (e come poeta) Treccani è un frequentatore di quei giardini dell’Eden che sono nell’infanzia e nella memoria di ogni uomo. Il tempo tende, da quei giardini, ad estrometterci;

Treccani ha imparato il segreto per non esserne bandito”

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GIUSEPPE MIGNECOMessina, 9 febbraio 1908 – Milano, 28 febbraio 1997

Vive gli anni di un’infanzia felice, in piena libertà a Pon-

teschiavo. Questo periodo della vita, vissuta fra la cam-

pagna ed il mare della Sicilia, resterà nella memoria del

pittore come il ricordo di un paradiso perduto che ritrarrà

in molti suoi quadri. All’inizio della sua carriera artistica

Giuseppe Migneco dipinge quadri di contenuto vaga-

mente autobiografico, realizzati in atmosfere vive nella

sua memoria. Nonostante l’impegno e la passione river-

sata nei dipinti il giovane pittore è sempre alla ricerca di

un nuovo modo di esprimersi, fino a che, nel 1934, entra

in contatto con il vero mondo dei pittori: Renato Birolli,

Raffaele De Grada lo guidano alla scoperta di quel mon-

do pittorico verso cui, nebulosamente, ma anche irresist-

ibilmente, si era sempre sentito attratto. Nel 1937 è tra i

fondatori del movimento “Corrente” che raggruppa artisti

provenienti da diversi orizzonti culturali, con il comune

intento di aprirsi alla cultura moderna europea, rifiutando

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l’isolamento culturale imposto dalla politica fascista. Nel

Marzo del 1939 Giuseppe Minieco partecipa alla prima

mostra di “Corrente” che si tiene alla Permanente di Mi-

lano. In “Corrente” affluiscono, nel tempo, artisti con vi-

sioni dell’arte molto diverse, uniti inizialmente per resp-

ingere canoni pittorici ormai superati, che prenderanno

poi strade diverse, come Badodi, Birolli, Broggini, Cas-

sinari, Guttuso, Manzù, Morlotti, Paganin, Sassu, Val-

enti e Vedova. Nel 1940 Giuseppe Migneco inaugura

la sua prima mostra personale alla Galleria Genova di

Cairola e, l’anno dopo, appronta una personale alla “Bot-

tega di Corrente”. Nel 1942 espone a Milano alla Galleria

della Spiga e partecipa al premio Bergamo col quadro

“Cacciatori di lucertole”. Richiamato alle armi, deve inter-

rompere l’attività artistica per riprenderla, nel 1945, alla

fine della guerra, con una mostra alla Galleria San Rade-

gonda di Renzo Bertoni a Milano. Negli anni Cinquanta

la fama, ormai consolidata, consacra Giuseppe Migneco

fra i maestri dell’arte italiana contemporanea. Espone

nelle più prestigiose gallerie nazionali ed estere: Gote-

borg, Boston, Parigi, Stoccarda, New York, Amsterdam,

Amburgo e Zurigo. Nel 1958 partecipa alla XXIX Bien-

nale d’arte di Venezia.

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“I suoi colori sempre forti e vivaci ricordano la sua Sicilia dai tratti violenti e netti, i volti duri e coraggiosi rendono le sue tele espressione della lotta esistenziale, nel continuo e profondo confronto

con l’umanità e con gli eventi che la assediano, nella coscienza e nella speranza di libertà e di memoria, al di là dell’assurda solitudine dell’esistenza”

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RENZO VESPIGNANIRoma, 19 febbraio 1924 – Roma, 26 aprile 2001

Iniziò a dipingere a Roma, durante il periodo di occu-

pazione nazista, cercando di rappresentare la realtà

crudele, sporca e patetica attorno a lui: lo squallore del

paesaggio urbano di periferia, le rovine e le macerie cau-

sate dai bombardamenti, il dramma degli emarginati e

la povertà del quotidiano. Importanti punti di riferimen-

to, che influirono sui suoi esordi artistici, furono Alberto

Ziveri e Luigi Bartolini mentre, soprattutto nei suoi primi

quadri, sembra evidente l’influsso di espressionisti come

George Grosz e Otto Dix. Nel 1945 espone la sua prima

personale e comincia a collaborare a varie riviste politico-

letterarie (Domenica, Folla, Mercurio, La Fiera Letteraria)

con scritti, illustrazioni e disegni satirici. Il suo lavoro, tra il

‘44 e il ‘48 cerca di descrivere il volonteroso e maldestro

tentativo di resurrezione di un’Italia umiliata, affamata e

distrutta dalla guerra. Nel 1956 fonda, con altri intellet-

tuali, la rivista Città Aperta, incentrata sui problemi della

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cultura urbana. Tra gli artisti a lui vicini si possono inoltre

citare Giuseppe Zigaina (e la cosiddetta Scuola di Por-

tonaccio) e, dopo il ‘63, quelli del gruppo denominato Il

pro e il contro, da lui fondato insieme a Ugo Attardi, Fer-

nando Farulli, Ennio Calabria, Piero Guccione e Alberto

Gianquinto. Dal 1969, Vespignani lavora a grandi cicli

pittorici dedicati alla crisi della società del benessere: Im-

barco per Citera (1969), riguardante il ceto intellettuale

coinvolto nel ‘68; Album di Famiglia (1971), uno sguar-

do polemico sulla sua personale quotidianità; Tra due

guerre (1973-1975) un’analisi inflessibile sul perben-

ismo e l’autoritarismo piccolo-borghese in Italia; Come

mosche nel miele (1984) dedicato a Pier Paolo Pasolini.

Nel 1991 espone a Roma 124 opere, tra le quali il ciclo

Manatthan Transfert, una critica all’insostenibile delirio

esistenziale dell’American way of life. Vespignani illustra

il Decameron del Boccaccio, poesie e prose del Leopar-

di, le Opere Complete di Majakowskij, i Quattro Quartetti

di Eliot, i Racconti di Kafka, i Sonetti del Belli, le Poesie

del Porta, il Testamento di Villon e La Question di Alleg.

Nel 1999 viene eletto Presidente dell’Accademia Nazio-

nale di San Luca e nominato Grand’ufficiale dell’Ordine

al merito della Repubblica Italiana.

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“ Per uno scrittore, almeno apparentemente, parrebbe più facile il far coincidere i due momenti di ra-zionalizzazione: quello stilistico e quello ideologico. Assunto il mondo popolare come oggetto, magari solo di pura denuncia o di dolorosa descrizione, egli avrà sempre la possibilità della “mimesis”, in cui far rivivere nella sua vita, far parlare nella sua lingua, quel mondo. Il pittore - Vespignani - ha fermo,

nelle sue linee esterne, davanti a sé, quel mondo: i luoghi dove il proletariato lavora, soffre, ha le sue disperate allegrie, i suoi tremendi grigiori, le sue tristezze senza fondo: riprodurlo significa necessaria-

mente giungere a una contaminazione stilistica”

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AFRO

Udine, 4 marzo 1912 – Zurigo, 24 luglio 1976

Nel 1928, alla sola età di 16 anni espose alla I Mostra

della scuola friulana d’avanguardia (Udine), e l’anno

seguente alla XX Esposizione dell’Opera Bevilacqua La

Masa (Venezia). Sempre nel 1929, grazie ad una borsa

di studio della Fondazione Marangoni di Udine si recò

a Roma dove incontrò Scipione, Mario Mafai e Corrado

Cagli. Nel 1935 partecipò alla Quadriennale di Roma. In-

oltre, in più occasioni espose le sue opere alla Biennale

di Venezia. Le sue prime mostre personali sono datate

1936 e 1937, e si tennero alla Galleria Cometa di Roma.

Nel 1950 Afro si recò a New York, dove iniziò una collab-

orazione ventennale con la Catherine Viviano Gallery. Il

diverso clima culturale, e la varietà della scena artistica

americana, influenzarono profondamente Afro, e la sua

opera si sviluppò di conseguenza, verso l’astrazione. Fu

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tra gli artisti che esposero nella mostra “The New De-

cade: 22 European Painters and Sculptors”, presentata

in varie città degli Stati Uniti. A metà degli anni cinquan-

ta, l’arte di Afro era conosciuta internazionalmente e

nel 1956, ottiene il premio per il migliore artista italiano

alla Biennale di Venezia; sempre nello stesso periodo

aderisce al Gruppo degli Otto, raccolto attorno al critico

e storico dell’arte Lionello Venturi. Afro continuò ad es-

porre le sue opere nel circuito internazionale. Vinse il

primo premio alla Carnegie Triennial di Pittsburgh, ed

il premio italiano al Solomon R. Guggenheim Museum

di New York. Il Guggenheim comprò il suo quadro del

1957 “Night Flight”. Negli anni settanta Afro iniziò a sof-

frire problemi di salute. Morì nel 1976. L’anno dopo, Ce-

sare Brandi pubblicò una monografia su di lui. Nel 1978

la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma gli rese

omaggio dedicandogli un’ampia retrospettiva. Nel 1992

l’opera completa fu esposta a Palazzo Reale a Milano.

Il Catalogo ragionato dell’opera di Afro fu presentato nel

novembre 1997 all’American Academy a Roma, e nel

1998 alla Fondazione Guggenheim di Venezia.

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“Afro capovolge la posizione del quadro, da fondale a schermo: resa di colpo trasparente, la tela, è come se la luce ne uscisse con quei raggi che il sole emette dalle nuvole al tramonto.

La luce diviene la base stessa espressiva della sua pittura, non in quanto rappresentata, ma come germe attivo e operante”

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EMILIO VEDOVA

Venezia, 9 agosto 1919 – Venezia, 25 ottobre 2006

Alla metà degli anni Trenta inizia a disegnare e a dipin-

gere con grande intensità, privilegiando, come soggetti,

prospettive, architetture, figure e molti autoritratti. Nel

1942 espone tre quadri al Premio Bergamo e aderisce

al gruppo milanese “Corrente”. Nel 1946 firma a Mi-

lano il Manifesto del realismo (Oltre Guernica) ed è a

Venezia tra i fondatori del “Fronte nuovo delle arti”. In-

izia la partecipazione ad una serie di mostre collettive

internazionali, tra cui la Biennale di Venezia nel 1948

e nel 1950, la Biennale di San Paolo nel 1951, ancora

la Biennale veneziana nel 1952, Documenta di Kassel

nel 1955. Si associa al “Gruppo degli Otto” (1951), pro-

mosso da Lionello Venturi. Crea collages materici e as-

semblages e lavora in ambito informale con un’intensa

gestualità sulla scala cromatica dei bianchi e dei neri,

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con inserimento dei rossi. Realizza il Ciclo della pro-

testa e il Ciclo della natura. Nel 1954 partecipa alla

II Biennale di S. Paolo del Brasile. Nel 1958 inizia un

intenso lavoro litografico e ottiene il Premio Lissone.

Nel 1960 viene insignito del Gran Premio per la pittura

alla XXX Biennale di Venezia. Dai primi anni Sessanta

lavora ai Plurimi, realizzazioni polimateriche ampia-

mente articolate nello spazio ed estensibili, esposti in

una prima mostra alla Galleria Marlborough di Roma e

presentati da Giulio Carlo Argan. Costantemente rivolto

all’innovazione nella ricerca, crea lastre in vetro in col-

laborazione con la fornace muranese di Venini, Spazio-

plurimo-luce, lavora ai cicli di Lacerazioni e Frammenti,

realizza i Dischi e i Cerchi, inoltre collabora con Luigi

Nono alle scenografie di Intolleranza ‘60 e Prometeo.

La sua forte volontà creatrice si manifesta anche nella

produzione incisoria attraverso sperimentazioni sulle

varie tecniche. Tra le ultime mostre personali si ricor-

dano quelle alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea

di Torino nel 1996, al Castello di Rivoli nel 1998, alla

Galleria Salvatore e Caroline Ala di Milano nel 2001.

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“ E’ con lo sguardo rivolto alla quotidianità, all’immagine del dolore, all’indignazione della gente, che l’artista ripropone nei i suoi messaggi l’opposizione contro una società consumistica e capitalista. La

sua pittura è come l’estremo tentativo, la disperata sollecitazione a non rimanere inerti, a non rasseg-narsi, ad agire subito finché c’è vita”

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PIERO DORAZIO

Venezia, 9 agosto 1919 – Venezia, 25 ottobre 2006

Dopo l’iscrizione alla facoltà di Architettura partecipa

giovanissimo alla difficile evoluzione dell’arte astratta

italiana del dopoguerra, già nel 1946 nel Gruppo Arte

Sociale con Perilli, Guerrini, Vespignani, Buratti, Muc-

cini fino alla redazione (1947) del manifesto e delle

mostre “Forma 1” insieme a Consagra, Turcato, Ac-

cardi e Sanfilippo. Altrettanto precoci la curiosità e la

passione, artistica e politica, per le esperienze degli al-

tri Paesi, coltivate con coerenza durante tutta l’attività

con lunghe permanenze di studio e di lavoro, oltre alla

presenza in mostre ed altre manifestazioni. Dalla fine

degli anni quaranta è così successivamente presente

ed attivo con lunghi soggiorni a Parigi e a Praga, an-

cora a Parigi, ad Harvard e a Berlino, fino al decennio

1960-1970 in cui organizza e dirige il dipartimento delle

Belle Arti dell’Università di Pennsylvania, soggiorno in-

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frammezzato con significative parentesi in Italia e al-

trove (otto mesi a Berlino nel 1968). Espone con mostre

personali alla Biennale di Venezia nel 1960, nel 1966

e nel 1988. Espone più volte a Londra, a New York e

in gallerie svizzere e tedesche. Nel 1974 si stabilisce

a Todi e ivi lavora e insegna nella Scuola Atelier per la

Ceramica moderna e nel proprio studio. Nei primi anni

ottanta una sua grande mostra del Musée d’Art Mod-

erne de la Ville de Paris viaggia nei principali musei

americani e si conclude alla Galleria Nazionale d’Arte

Moderna di Roma. Nel 1985 e nel 1986 il debutto a To-

kyo e a Osaka. In seguito le esposizioni continuano ad

allargare e consolidare la sua presenza culturale nelle

più importanti città europee, mentre ottiene prestigiosi

riconoscimenti: membro dell’Accademia di San Luca;

dell’Akademie der Kunste di Berlino; insignito dei Prix

Kandinsky e del Premio internazionale della Biennale

di Parigi; del Premio Michelangelo dell’Accademia dei

Virtuosi. Fra il 1993 ed il 1996 ha ideato il progetto per

l’esecuzione di cinquanta grandi mosaici di artisti inter-

nazionali nella metropolitana di Roma.

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“Quando nel 1947 Dorazio incomincia a presentarsi in un gruppo programmatico, egli non solo prende violenta posizione contro i neorealisti, e l’arte cosiddetta figurativa in genere, ma non condi-

vide neppure le tendenze di orientamento informale; le radici della sua pittura partono dal mondo futurista-suprematista, rifuggendo tuttavia da un’adesione all’astrattismo che distrugga a poco a poco

la consistenza strutturale dell’opera”

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TANCREDI

Feltre (BL), 25 settembre 1927 – Roma, 27 settembre 1964

Studia all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove nel

1946 stringe amicizia con Emilio Vedova. Nel 1947 com-

pie un viaggio a Parigi e nei due anni successivi divide

il suo tempo tra Feltre e a Venezia, dove nel 1949 tiene

la sua prima personale alla Galleria Sandri. Trasferitosi

a Roma nel 1950, si lega al gruppo Age d’Or, che or-

ganizza esposizioni e pubblicazioni dell’avanguardia

internazionale. Nel 1951 partecipa a una mostra di arte

astratta italiana alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna

di Roma; lo stesso anno si stabilisce a Venezia, dove

avviene l’incontro con Peggy Guggenheim, che gli

fornisce uno studio e nel 1954 gli organizza una mostra

nel suo palazzo. Nel 1952 a Venezia gli viene assegnato

il Premio Graziano per la pittura e nello stesso anno, in-

sieme con altri artisti, sottoscrive il manifesto del Movi-

mento Spaziale, il gruppo fondato da Lucio Fontana

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intorno al 1947 a Milano, che propugnava una nuova

arte “spaziale”, consona all’era postbellica.Tancredi es-

pone in personali alla Galleria del Cavallino di Venezia

nel 1952, 1953, 1956 e 1959, e alla Galleria del Navi-

glio di Milano nel 1953. Nel 1954 partecipa con Jack-

son Pollock, Wols, Georges Mathieu e altri alla mostra

“Tendances Actuelles” alla Kunsthalle Bern. Nel 1955,

espone in una collettiva alla Galerie Stadler di Parigi,

città che l’artista aveva visitato nello stesso anno. Nel

1958 tiene delle personali alla Saidenberg Gallery di

New York e all’Hanover Gallery di Londra, e partecipa

al Carnegie International di Pittsburgh. Si trasferisce a

Milano nel 1959, dove espone diverse volte alla Galle-

ria dell’Ariete; sempre nel 1959 si reca ancora a Parigi,

e viaggia in Norvegia nel 1960; in quest’anno è pre-

sente alla mostra “Anti-Procès” alla Galleria del Canale

di Venezia, dove gli vengono dedicate anche due per-

sonali, nel 1960 e nel 1962. Nel 1962 riceve il Premio

Marzotto, a Valdagno, e nel 1964 espone alla Biennale

di Venezia.

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“Prima condizione della natura è lo spazio: l’uomo è solo parte della natura, di intelligente esiste il pensiero, pura facoltà naturale di assimilazione dell’esistente. L’uomo attraverso il pensiero ha assimilato lo spazio facendone il più perfetto concetto d’infinito, termine illimitato di assoluto. In

quest’epoca l’uomo ha ritrovato l’origine, impegnato a ciò dagli avvenimenti, dove ogni conquista ha organizzato la sua vita in lotta con un esterno dinamico”

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GIULIO TURCATO

Mantova, 1912 – Roma, 1995

Compie studi d’arte a Venezia.Dopo periodi a Palermo

e Milano, nel 1942 espone la sua prima opera alla Bien-

nale di Venezia. Arriva nel 1943 a Roma, dove inizia a

frequentare la trattoria Fratelli Menghi, punto d’incontro

per registi, sceneggiatori, poeti e pittori. Assieme ad

Emilio Vedova e Toti Scialoja, espone alla Galleria dello

Zodiaco e alla Quadriennale di Roma. Nel 1947 Firma il

manifesto “Forma 1”, aderisce al gruppo del Fronte nuo-

vo delle arti, e partecipa in questo gruppo alla Biennale

del 1948. Turcato se ne distacca per aderire nel 1952 al

cosiddetto Gruppo degli otto, insieme ad alcuni dei più

noti esponenti dell’astrattismo informale italiano: Afro, Bi-

rolli, Corpora, Santomaso, Morlotti, Emilio Vedova, Mat-

tia Moreni. Intanto il suo astrattismo stava ormai trovan-

do una dimensione unica ed originale. Con un percorso

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forse inverso a quello di Emilio Vedova, Turcato andava

“raffreddando” le sue creazioni, con colori che paiono

sgorgare lentamente dalla tela, usando materiali quali la

sabbia, ricorrendo al monocromo e all’uso della gomma-

piuma. L’attività espositiva e la fortuna critica di Turcato

hanno pochi eguali nell’arte italiana del ‘900: egli è pre-

sente alla Biennale anche nel 1954, 1956, 1958 (Sala

personale e vincitore del Premio Nazionale), 1966 (Sala

personale), 1968, 1972 (Sala personale), 1982, 1986,

1988, 1993 e ancora un’ultima volta nel 1995, portando

a 15 le sue partecipazioni alla rassegna veneziana. Nel

1955 la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma ac-

quistò un suo “Reticolo” per l’inserimento nelle collezioni

permanenti. In altri anni vinse anche il primo premio e il

premio della Presidenza del Consiglio. Espone con per-

sonali in tutto il mondo, tra cui le rassegne documenta di

Kassel e la Biennale di San Paolo. Fra i musei, espone

al MoMa di New York, al Padiglione d’Arte Contempora-

nea di Milano, alla Staatsgalerie Moderner Kunst di Mo-

naco, al Musée de l’Athenée di Ginevra, il Philadelphia

Museum of Art e molti altri.

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“Turcato è un esploratore straordinario che ha fatto della pittura il codice per interpretare il mondo in tutti i suoi aspetti dalla biologia all’astronomia sino all’entomologia.

Tutto diventa occasione per nuove invenzioni di forme e colori che ridefiniscono l’immaginario”

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RODOLFO ARICÓ

Milano, 1930 – Milano, 2002

Si forma al Liceo artistico con Guido Ballo. La prima

personale è nel 1958 al Salone Annunciata di Milano.

Partecipa alle ricerche di una via d’uscita dall’informale.

Nel 1964 espone alla XXXII Biennale di Venezia. Alla

seconda metà degli anni ‘60 risale la messa a punto

un’impostazione rigorosamente strutturale delle sue

opere. Allestisce una sala alla XXXIV Biennale di Vene-

zia. Con gli anni ‘70 arricchisce il dipinto di indicazioni

prospettiche. Espone con Battaglia, Verna e Griffa alla

collettiva ‘Iononrappresentonullaiodipingo’, presentata

nel 1973 da M.Fagiolo dall’Arco allo Studio La Città di

Verona. Nello stesso anno è invitato da Fagone a ‘Pre-

senze e tendenze della giovane arte italiana’ nel contesto

della XXVIII Biennale di Milano. Lungo il decennio orga-

nizza il tessuto pittorico in un tipico sensibile puntinismo

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pulviscolare entro una dominante monocromatica. Aricò

è compreso nell’area della ‘Nuova pittura’. È invitato da

G.M. Accame alla mostra che rilegge il percorso della

‘Nuova pittura’, sotto il titolo ‘Ragione e trasgressione’,

nel convento di S. Rocco di Carpi, quindi a Milano e

Udine. Nel 1982 espone a ‘Idea e conoscenza’ in oc-

casione della Triennale di Milano e a ‘Costruttività’ alla

Tour Fromage di Aosta. Partecipa a “L’informale in Italia”

alla Galleria d’arte moderna di Bologna nel 1983, e nello

stesso anno espone alla III Biennale della Grafica euro-

pea di Baden Baden. Espone al PAC di Milano nel 1984,

presentato da G.Ballo. Il museo d’arte moderna di Milano

acquista un suo lavoro del 1967. Alla metà degli anni ‘80

l’artista lavora tornando ad una pittura allusiva di stesure

corsive vicine alla monocromia su superfici dal profilo

irregolare. Espone nella sezione ‘Il colore’ della Bien-

nale di Venezia una struttura della prima metà degli anni

‘60. Nel 1993 a Venzone alla mostra di G.M.Accame ‘La

memoria dell’antico’ insieme con G.F.Pardi. Nella sec-

onda metà degli anni ‘90, Invernizzi a Milano e Plurima

di Udine sono le sue gallerie di riferimento.

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“Lo stendere la pittura sul campo geometrico (anche il rettangolo del telaio tradizionale è geometria) mi sollecita un fascino sensorio, umano. La struttura segnica iniziale, a volte posta come architet-

tura, viene cancellata, coperta. invisibile o distrutta. In termini semantici ne risulta che la specificità dell’opera non sta nei significati che cela, ma nella forma delle significazioni. Niente può rivelarsi se

non si compie in forma e il suo esistere è il processo che si attua dentro il significato”

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CLAUDIO VERNAChieti, 1937

Nel 1959 espone assieme a Guarneri, Masi, Baldi e Fal-

lani alla Galleria Numero di Firenze nella mostra Cinque

informali a Firenze; l’anno seguente tiene qui la sua

prima personale. Dopo un periodo di sperimentazione,

torna alle mostre nel 1967. Nel 1970 gli viene dedicata

una sala personale alla Biennale di Venezia e inizia ad

esporre nelle principali mostre dedicate alla Neo Pittu-

ra, gruppo in cui però intravede subito eccessiva con-

fusione. Nei primi anni Settanta approfondisce questa

riflessione sviluppando la serie intitolata con la lettera A

seguita da un numero progressivo, e la prosegue fino al

1976 quando la serie Archipittura porta a compimento

l’elaborazione geometrica della pittura. Dal 1977 il co-

lore diventa protagonista assoluto dei suoi dipinti e Ver-

na prosegue con ritrovata libertà l’indagine iniziata quasi

vent’anni prima: il colore è un elemento strutturante, ca-

pace di creare lo spazio senza il supporto del disegno.

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Durante gli anni Settanta gli vengono dedicate numer-

ose personali: 1970, Galleria dell’Ariete, Milano; 1971,

Galleria Editalia, Roma e Galleria Ferrari, Verona; 1972,

Galerie M, Bochum; 1973 e 1976, Galleria Il Milione, Mi-

lano; 1975, Studio Condotti 85, Roma; 1976 e 1977, Gal-

leria La Bertesca, Genova; 1977, Galerie Arnesen, Co-

penhagen e Galleria Malborough, Roma; 1978, Galleria

Il Sole, Genova; 1979, Galleria La Polena, Genova. In

quegli anni partecipa anche prestigiose mostre collettive,

tra cui: 1970, Biennale de Peinture a Menton; 1971, Bi-

ennale del Mediterraneo ad Alessandria d’Egitto; 1973,

X Quadriennale di Roma e Un futuro possibile - Nuova

Pittura a Palazzo dei Diamanti di Ferrara; 1974, Museum

of Philadelphia; Kunsthalle, Düsseldorf; 1975, Empirica,

Rimini e Museo di Castelvecchio di Verona; Nordjyllands

Kunstmuseum, Aalborg; Fyns Kunstmuseum, Odense;

1977, Galleria d’Arte Moderna, Torino; 1978, Triennale

di Nuova Delhi. Espone inoltre alle edizioni della Bien-

nale di Venezia del 1978 e del 1980. Alla fine degli anni

Ottanta e durante gli anni Novanta gli vengono dedicate

importanti antologiche: 1988, Museo di Gibellina; 1994,

Galleria Comunale di Spoleto; 1997, Musei Civici-Pac di

Ferrara; 1998, Palazzo Sarcinelli a Conegliano.

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“L’aspetto processuale del fare arte e del fare pittura appare in Verna essenziale quanto e forse più di ogni altro artista “analitico”, soprattutto considerando il fatto che la pratica della pittura per lui si rinnova

sempre di fronte ad ogni opera, e non diventa mai applicazione di uno “statuto processuale” sempre uguale a se stesso, una volta che questo sia identificato e accettato”

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MARIO SCHIFANO

Homs, 20 settembre 1934 – Roma, 26 gennaio 1998

I suoi debutti si possono situare all’interno della cultura

informale con tele ad alto spessore materico, solcate

da un’accorta gestualità. Inaugura la sua prima perso-

nale nel 1959 alla Galleria Appia Antica di Roma. L’

anno successivo alla Galleria La Salita in compagnia di

Angeli, Festa, Lo Savio e Uncini, la critica comincia ad

interessarsi del suo lavoro. In questo periodo la pittura

di Schifano subisce una svolta per certi versi radicale.

L’artista dipinge ora quadri monocromi; delle grandi

carte incollate su tela e ricoperte di un solo colore uni-

forme e superficiale. L’artista opera ora per cicli tema-

tici e verso la fine del 1964 accentua quell’interesse

verso la rivisitazione della storia dell’arte che Io por-

terà. l’anno successivo, ai notissimi pezzi dedicati al

Futurismo. Si occupano in questa fase del suo lavoro

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tanto critici attenti, come Maurizio Calvesi, Maurizio

Fagiolo e Alberto Boatto, quanto scrittori illustri, quali

Alberto Moravia e Goffredo Parise. Agli inizi degli anni

Settanta comincia a riportare delle immagini televisive

direttamente su tela emulsionata, isolandole dal ritmo

narrativo delle sequenze cui appartengono e ripro-

ponendole con tocchi di colore alla nitro in funzione

estraniante. Nel 1974 l’Università di Parma gli dedica

una vasta antologica di circa 100 opere. Diverse sue

opere sono in mostra nel 1979 al Palazzo dei Diamanti

di Ferrara. Nel corso degli anni ‘80 le opere dell’artista

vengono esposte in varie edizioni della Biennale di

Venezia e Schifano. Nel 1996 Schifano rende omaggio

alla sua Musa Ausiliaria, ovvero alla televisione, intesa

quale flusso continuo di immagini in grado di strutturarsi

come vera e unica realtà totalizzate della nostra epoca.

Se alla fine degli anni Sessanta si limitava a estrapo-

lare dai programmi televisivi dei singoli foto-grammi e

a proiettarli decontestualizzati sulla tela, ora, invece,

interviene sulle immagini pittoricamente mutandole ul-

teriormente di senso.

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“Schifano ha in sé come un deposito di immagini. Un po’ come se i suoi pensieri fossero possibili soltanto come iconografie, potessero aver voce uni-

camente attraverso la concretezza dell’immagine e non tramite l’astrazione del puro pensare. È da questo deposito di immagini, ma anche attraverso la disattenzione, intesa nel senso benjaminia-

no di percezione tipica di una società bombardata dall’immagine, che Schifano perviene all’attenzio-ne produttiva, all’immagine personale frutto di elaborazione”

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“L’aspetto processuale del fare arte e del fare pittura appare in Verna essenziale quanto e forse più di ogni altro artista “analitico”, soprattutto considerando il fatto che la pratica della pittura per lui si rinnova

sempre di fronte ad ogni opera, e non diventa mai applicazione di uno “statuto processuale” sempre uguale a se stesso, una volta che questo sia identificato e accettato”

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TANO FESTA

Roma, 2 novembre 1938 – Roma, 9 gennaio 1988

Nel 1957 si diploma all’Istituto d’Arte nella sezione di

fotografia artistica. Nel 1959 ha la sua prima espo-

sizione, con Franco Angeli e Giuseppe Uncini, alla

Galleria La Salita di Roma dove , nel 1961, tiene la

sua prima personale. La sua prima produzione pit-

torica si muove all’interno della rappresentazione

geometrica monocroma rielaborando gli oggetti, es-

trapolati dalla loro quotidianità, e quindi percepiti nel-

la loro essenza: persiane, porte, finestre, armadi e

specchi. Dal 1963 Festa dirige la sua ricerca verso

l’analisi della tradizione artistica italiana del Rinas-

cimento, estrapolando e facendo citazioni dall’opera

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di Michelangelo. Nel 1966 viene invitato ad una im-

portante mostra a Milano, dedicata al cinquantenario

del Dadaismo. Qui conosce artisti come Arp e Man

Ray. Festa tramuta i suoi oggetti dipinti in pittura di

oggetti e continua a lavorare sulla fotografia. Negli

anni ottanta, dopo un lungo periodo di isolamento,

riesce a trovare nuovi impulsi creativi. Realizza la se-

rie Coriandoli, enormi tele fatte di tanti puntini di carta

lanciati sulla tela ricca di materia pittorica. Riscopre,

inoltre, una nuova figurazione espressa nel segno e

nel gesto duro e tagliente. Il nuovo lavoro di Festa è

legato, in questi ultimi anni, all’espressionismo, riletto

e adattato alla sua volontà, di artisti come Munch,

Ensor, Bacon e Matisse. Ma in Festa esiste anche

la solitudine e il vuoto. La critica, attratta da ques-

ta rinnovata creatività, si interessa di nuovo al suo

lavoro. Nel 1980 partecipa infatti alla XL Biennale

di Venezia e nel 1982 è presente alla mostra Artisti

italiani contemporanei 1950-1983 e diverse sono le

mostre personali che vengono allestite.

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“Un pittore, Tano Festa, che agisce in base a un proprio pensiero e non solo in forza delle proprie urgenze espressive. Che traduce in pittura finestre chiuse, armadi ottusi, specchi opachi, per addi-

tarci non un mistero al di là di essi, ma semplicemente la sua presenza di pittore al di qua di essi:colui che affronta tutti i possibili mondi della pittura”

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FRANCO ANGELI

Roma, 14 maggio 1935 – Roma, 12 novembre 1988

Il nome di battesimo è Giuseppe, in arte Franco. Terzo

di tre fratelli, non porta a termine gli studi elementari a

causa della guerra. Dopo un inizio condizionato dall’arte

di Burri, realizzò opere in cui alla tela si alternano garze

di cotone macchiate di vernice, da cui emergevano im-

magini e simboli del potere e della violenza, quali aquile

imperiali, svastiche, lupe capitoline (La lupa di Roma,

1961), falci e martelli, dollari e croci, che sottolineano il

tema della memoria. Nel 1961 partecipa con Lo Savio,

Festa e Schifano alla mostra Nuove prospettive della

pittura italiana, a Palazzo Re Enzo di Bologna. Si tratta

di una generazione di artisti unita da uno stretto legame

esistenziale segnato dalla guerra: vengono definiti mae-

stri del dolore, una qualifica che li distanzia dall’Arte

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Pop. Negli anni successivi diviene poi amico di Renato

Guttuso e poi di Arnaldo Pomodoro e del poeta Frances-

co Serrao. Nel 1964 fu presente alla Biennale di Vene-

zia, manifestazione che introdusse in Italia gli artisti pop

americani; interviene, inoltre, alla XI Quadriennale di

Roma. Dal 1970 vi è un grande impegno politico e ideo-

logico, che lo vedono impegnato sul tema della guerra

del Vietnam, per poi rivolgersi a soggetti figurativi come

lune, piramidi, aeroplani, obelischi, testimonianza dei

suoi viaggi in Oriente. Conosce Marina Ripa Di Meana

con la quale intreccia una tumultuosa relazione poi sfo-

ciata in fedele amicizia. Nel 1982 partecipa alla collettiva

30 anni d’arte italiana 1950-80, organizzata a Villa Man-

zoni, Lecco. Compone opere improntate all’influenza di

Kees Van Dongen (Pensando a Van Dongen).Nel 1988

gli viene dedicata una retrospettiva alla Casa del Ma-

chiavelli (1958-72) nei pressi di Firenze. Presentato da

Marisa Vescovo, espone alla Galleria Rinaldo Rotta di

Genova. Viene invitato al Circolo Culturale Giovanni

XXIII per la Biennale di Arte Sacra: con lui, Enzo Cucchi,

Sandro Chia, Mimmo Paladino e Mario Schifano.

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“Un artista silenzioso e spericolato, genio e sregolatezza dei “favolosi” anni Sessanta: questo fu Franco Angeli, la cui pittura ha ironicamente depredato il repertorio degli emblemi ideologici della

seconda metà del Novecento, con uno sguardo privilegiato sulla realtà romana”

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MIMMO ROTELLA

Catanzaro, 7 ottobre 1918 – Milano, 8 gennaio 2006

Studia arte a Napoli e successivamente si trasferisce a

Roma. Qui conduce ricerche ed esperimenti in varie direzi-

oni: fotografie, foto-montaggi, decollages,assemblages

di oggetti eterogenei, poesia fonetica, musiche primi-

tive. Nel 1951-52 é negli Stati Uniti grazie ad una borsa

di studio della “ Fullbright Foundation “ di Kansas City

ricevuta dapprima come studente e poi come artista.

Nel 1954 Emilio Villa lo invita ad esporre in una mostra

collettiva i suoi manifesti lacerati. Le opere di Rotella

si imposero subito all’attenzione della critica e del col-

lezionismo d’avanguardia ed a questa prima mostra ne

seguirono molte altre. Nel 1961 partecipa su invito del

critico francese Pierre Reastany al gruppo Noveaux

Rèealistes (Arman, Cesar, Deschamps, Dufrène, Hains,

Yves Klein, Martial Raysse, Niki de Saint-Phalle, Spoerri,

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Tinguely, Villeglè). Nel 1963 realizza le prime opere di

arte meccanica ( Mec_Art ) stampando immagini fotogra-

fiche su tela emulsionata. Alla fine degli anni ‘60 realizza

gli artypoplastiques, prove di stampa, colori, percezioni,

riportate su rigidi supporti di plastica. Rotella si é im-

posto per avere fatto dell’arte un comportamento: “

Giocando con l’erotismo e la speculazione intellettuale

Rotella é un agitato che passa attraverso vari stili con

un distacco da dandy “ scrisse Otto Hahn. E questa

sua “ vitale agitazione “ lo porta nel 1990 ad una ri-

approprazione della pittura dipingendo su decollages i

ritratti dei Maestri dell’arte del ‘900. Nel 1992 riceve da

parte del Ministro della Cultura francese, Jack Lang,

il titolo diOfficiel des arts et des Lettres. E’ invitato al

Gugenheim Museum di New York nel 1994 in “ Italian

Metamorphosis “ ,ancora al Centre Pompidou nel 1996

in “ Face à l’Histoire “, e nel 1996 al Museum of Con-

temporary ART DI Los Angeles in “ Halls of Mirror “,

una mostra che farà il giro del mondo. Mimmo Rotella

é tra i più importanti artisti italiani del novecento, le sue

opere sono presenti nelle collezioni pubbliche e private

di tutto il mondo.

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“La dimensione planetaria dell’opera di Rotella è la conseguenza logica di un totale inserimento nella cultura urbana del suo tempo. Una cultura urbana che lo sguardo ha seguito nei momenti successivi

della sua progressiva globalizzazione. Mimmo Rotella è stato un “nouveau réaliste” ante litteram a Roma negli anni Cinquanta, pre-pop a Parigi negli anni Sessanta, gaffitaro e graffitista a Milano negli

anni in cui lo era Basquiat a New York. Oggi come oggi Mimmo Rotella è l’uomo del momento: ecco la storia di una perenne modernità”

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PIERO GILARDI

Torino, 1942

Nel 1963, realizza la sua prima mostra personale “Mac-

chine per il futuro”. Due anni più tardi realizza le prime

opere in poliuretano espanso ed espone a Parigi, Brux-

elles, Colonia, Amburgo, Amsterdam e New York. A par-

tire dal 1968 interrompe la produzione di opere per par-

tecipare all’elaborazione tecnica delle nuove tendenze

artistiche della fine degli anni ‘60: Arte Povera, Land Art,

Antiform Art. Collabora alla realizzazione delle due prime

rassegne internazionali delle nuove tendenze allo Ste-

delijk Museum di Amsterdam e alla Kunsthalle di Berna.

Nel 1969, comincia una lunga esperienza transculturale

diretta all’analisi teorica e alla pratica della congiunzione

“Arte Vita”. Come militante politico e animatore della cul-

tura giovanile conduce svariate esperienze di creatività

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collettiva nelle periferie urbane e “mondiali”: Nicaragua,

Riserve Indiane negli USA e Africa. Nel 1981 riprende

l’attività nel mondo artistico, esponendo in gallerie delle

installazioni accompagnate da workshops creativi con

il pubblico. A partire dal 1985 inizia una ricerca artis-

tica con le nuove tecnologie attraverso l’elaborazione

del Progetto “IXIANA” che, presentato al Parc de la Vil-

lette di Parigi, prefigura un parco tecnologico nel quale il

grande pubblico poteva sperimentare in senso artistico

le tecnologie digitali. Nel corso degli ultimi anni ha svi-

luppato una serie di installazioni interattive multimediali

con una intensa attività internazionale. Insieme a Claude

Faure e Piotr Kowalski, ha costituito l’associazione in-

ternazionale “Ars Technica”. In qualità di responsabile

della sezione italiana di Ars Technica promuove a Torino

le mostre internazionali “Arslab. Metodi ed Emozioni”

(1992), “Arslab. I Sensi del Virtuale” (1995), “Arslab. I la-

birinti del corpo in gioco” (1999) e numerosi convegni di

studio sull’arte dei nuovi media. Tiene la rubrica “Ritorno

al futuro” sulla rivista Flash-Art Italia, per divulgare l’arte

dei nuovi media.

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“Il clima artistico nel quale Gilardi trova la sua ispirazione è quello dell’Arte Povera e della Land Art. Il suo impegno artistico non esime da questo contesto: i soggetti scelti, per quanto descritti da materiali

industriali o attraverso colori artificiali, sono comunque natura, acqua, sassi, foglie. Alcuni dei suoi progetti più importanti sono pensati su larga scala in un legame inscindibile con l’ambiente”

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SANDRO CHIA

Firenze, 20 aprile 1946

Frequenta l’Istituto d’Arte e successivamente

l’Accademia di Belle Arti. Nel 1970 lascia Firenze e

si stabilisce a Roma, dove nel 1971 ha luogo la sua

prima personale presso la Galleria La Salita. Tra il

1971 e il 1975 compie parecchi viaggi in Oriente ed in

Europa. Nel 1975 presenta l’opera Graziosa Girevole

alla Galleria Lucrezia De Domizio a Pescara, in cui un

uomo adagiato su un piano inclinato ripete le parole

suggerite da un altro uomo su una scala accanto a

lui. Attorno al 1976 il suo lavoro ha una svolta, ab-

bandonando le sperimentazioni concettuali rimettere

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mano ai mezzi della pittura e del disegno. Nel 1984

partecipa alla XLI Biennale di Venezia nella sezione

“Arte allo Specchio”. In pittura Sandro Chia ammira e

guarda a Maestri del passato quali Tiziano, Masaccio,

Tintoretto, Lotto, Michelangelo, che rielabora ed as-

sorbe nella sua idea dell’arte che ricerca in se stessa

i motivi della propria esistenza. Nascono così figure

consistenti che appartengono e vivono della pittura,

personaggi melanconici, spesso sospesi tra cielo e

terra. Le sue tele ricche di colore lieve o pesante si

danno come un tutto pieno allo sguardo, affondando le

proprie radici nella tradizione aurea italiana. Durante

gli anni Ottanta il suo lavoro è stato esposto presso

gallerie e musei di importanza internazionale in Italia e

all’estero quali il Castello di Rivoli, il Solomon R. Gug-

genheim di New York nel 1983, il Metropolitan Museum

of Art di New York nel 1984, Villa Medici a Roma nel

1995. Vive e lavora a New York soggiornando spesso

in Italia a Montalcino nel Castello Romitorio.

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“La pittura di Sandro Chia negozia la linea sottilissima tra la cultura pop e ciò che egli potrebbe defini-re il confine o il margine della percezione, o ciò che è stato chiamato in modo classico avanguardia,

riuscendo a riconciliare il figurativo e l’astratto o decorativo, l’ornamentale e l’umano o il tragico”

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MIMMO PALADINO

Paduli, 18 dicembre 1948

Si iscrive al Liceo Artistico, che frequenta dal 1964 al

1968. Muovendo dal clima comune del “concettuale”,

la prima fase dell’attività dell’artista s’incentra princi-

palmente sulla fotografia. Tuttavia le eccezionali doti

di disegnatore di Paladino non rimangono a lungo ce-

late. Nel 1977 infatti realizza un grande pastello sul

muro della galleria di Lucio Amelio a Napoli e parte-

cipa inoltre alla rassegna “Internationale Triennale für

Zeichnung” organizzata a Breslavia. Gli anni a cavallo

tra il ‘78 e l’80 sono da leggersi come un periodo tran-

sitorio tra la posizioni concettuali sulle quali era assiso

inizialmente e la rinnovata attenzione per la pittura

figurativa. Le opere di questa fase sono in prevalen-

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za dipinti monocromatici dalle tinte decise sui quali

campeggiano strutture geometriche, ma anche oggetti

ritrovati quali rami o maschere. Gli inizi degli anni ot-

tanta, però, s’identificano sempre maggiormente con

l’affermazione delle potenzialità di una pittura refer-

enziale. Ad “Aperto ‘80”, nell’ambito della Biennale di

Venezia, il critico d’arte Achille Bonito Oliva propone

la corrente della transavanguardia, di cui fanno parte

Chia, Clemente, Cucchi e lo stesso Paladino. Le mostre

alle quali l’artista campano partecipa in questi anni

testimoniano quanto la sua pittura sia debitrice nei

confronti del passato sia per i contenuti che per le

forme, ma come al tempo stesso sia densa di sim-

boli e capace di aprirsi a nuove prospettive. Grazie a

mostre itineranti a personali l’arte di Paladino viene

conosciuta all’estero dove riscuote immediatamente

larghi consensi. Curioso indagatore e insaziabile speri-

mentatore di ogni tecnica artistica, Paladino si dedica

anche all’attività incisoria. L’acquaforte, l’acquatinta, la

linoleografia, la xilografia interpretano magistralmente

il carattere spettrale delle sue figure primordiali.

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“Nell’opera di Paladino ricorrono immagini che rimandano a un universo arcano e primitivo, dove le forme sono tradotte in segni eleganti e semplificati. Anzi, è proprio il passaggio dall’immagine come

linguaggio analogico al segno a costituire il tratto più tipico dell’universo formale di Paladino. Un uni-verso in cui compaiono e si moltiplicano segni generati da una necessità formale, ma nel quale sem-bra di entrare in contatto con una cultura del tutto nuova che attende di essere decifrata e compresa”

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BRUNO CECCOBELLITodi, 1952

Compie gli studi a Roma frequentando l’Accademia di

Belle Arti con Scialoja. La sua prima collettiva risale al

1971 in Austria. Nel 1976 tiene la prima mostra per-

sonale alla galleria Spazio Alternativo, dove parte da

una ricerca Concettuale (Body Art). Nel 1977 espone

due volte alla sala La Stanza, di Roma, uno spazio au-

togestito dagli artisti, importante perchè molti person-

aggi che diverranno poi operanti negli anni ‘80 vi hanno

presentato la loro prima opera. La sua ricerca si con-

centra sulla via di un’astrazione pittorica che attraverso

il recupero del ready made e una manipolazione dei

mezzi tradizionali dell’arte, approda ad un certo sim-

bolismo spirituale. Nel 1980 è presente alla Biennale

des Jeunes di Parigi. Dal 1984 espone alla galleria di

Gian Enzo Sperone a Roma. Sempre nel 1984 è pre-

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sente nella sezione “Aperto” della Biennale di Venezia. Mentre nel 1986, sempre nell’ambito della Biennale di Venezia, partecipa ad “Arte e Alchimia”. Nel 1988 pre-senta una triplice esposizione a New York, presso la Jack Shainman Gallery, a Roma presso il Centro di Cultura Ausoni e a Madrid, presso la galleria Mar Es-trada. Il progetto porta il titolo “Le figure le case i pozzi” e attraverso questi tre temi poeticamente indagati nelle opere, Ceccobelli si presenta con il suo primo catalo-go ragionato (De luca editore). Nel 1989 espone nelle grandi capitali europee dell’arte, da Parigi a Londra a Barcellona. Nel ‘90 approda al grande mercato tedesco con una mostra a Francoforte e Vienna, a Basilea, e a Colonia. Nel 1997 espone a Palazzo Rasponi-Murat a Ravenna un ciclo di opere su carta di grande formato dal titolo “Tavole Minime”; il catalogo contiene un lungo testo teorico dell’artista. Dal 1998 è rappresentato in Canada presso due gallerie a Montreal e a Toronto. Nel ‘99 espone a Livorno e viene intervistato nel catalogo collegato alla mostra dallo studioso dell’alchimia e crit-ico d’arte Arturo Schwarz. Nello stesso anno espone a Bilbao, in Spagna. Nel marzo del 2000, infine, il Museo Arte Contemporanea di Riccione gli dedica una grande mostra rappresentativa di vent’anni del suo lavoro.

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“Bruno Ceccobelli viaggia, soprattutto, alla periferia della civiltà, e raccoglie bocconi di storia. Sì, proprio di storia. Non frammenti di lapidi incise, né selezionando materie nobili.

Le sue sono reliquie del presente, le cose minime, gli ultimi brandelli del mondo, oggetti che domani si perderanno se non c’è qualcuno che - subito - ha compassione di loro: prodotti con una bellezza

finta, “creati” per finire prima possibile, destinati alla distruzione”

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PIERO PIZZI CANNELLA

Rocca di Papa (Roma), 20 novembre 1955

Comincia a dipingere da piccolissimo. Dal 1974 al 1977

frequenta il corso di pittura di Alberto Ziveri all’Accademia

di Belle Arti di Roma e contemporaneamente si iscrive al

corso di Filosofia alla Sapienza. Ha la sua prima perso-

nale nel 1977, presso la Galleria La Stanza di Roma.

Stabilisce il suo studio nell’ex pastificio Cerere, nel quar-

tiere di San Lorenzo, dando vita, insieme a B.Ceccobelli,

G.Dessì, G.Gallo, Nunzio e M.Tirelli, alla Scuola di San

Lorenzo: apre lo studio al pubblico in occasione della

mostra “Ateliers”, curata nel 1984 da A. Bonito Oliva nell’ex

pastificio Cerere. Prende parte a esposizioni collettive:

La Biennale di Parigi (1985), di Venezia (1988, 1993), di

Istanbul (1989), La Quadriennale di Roma (1987), “Post-

astrazione” alla Rotonda della Besana di Milano (1987),

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“Roma in mostra 1970-79” presso il Palazzo delle Espo-

sizioni di Roma (1995), “Arte italiana. Ultimi quarant’anni.

Pittura iconica” presso la GAM di Bologna (1997), “Ori-

entamenti dell’Arte italiana/Roma 1947-87” a Mosca e, in

seguito, a Leningrado. Partecipa alla prima Biennale di

Pechino nel 2003. In un contesto dominato dalla Transa-

vanguardia teorizzata da Bonito Oliva, il gruppo romano

di Piazza San Lorenzo porta il suo contributo originale

alla ripresa di interesse per la pittura (e la scultura) con

opere impegnate ad un recupero di sensibilità per la ma-

teria, di ascendenza astratta - informale. Pizzi Cannella,

che agli esordi aveva praticato l’area del concettuale, in-

venta una pittura che muove da spessori di pigmento, da

una dilatazione intensa della materia, per farne emerge-

re allusioni visionarie che privilegiano il tema del corpo

umano. Molte delle opere di Pizzi Cannella sono esposte

permanentemente in importanti collezioni pubbliche, ri-

cordiamo quelle al Palazzo Reale di Milano, alla Galleria

d’Arte Moderna di Bologna, al Museo Mumok di Vienna e

al Museo d’Arte Contemporanea di Pechino, nella chiesa

sconsacrata di San Giorgio in Poggiole (Bologna) e al

MACRO di Roma.

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“Dopo gli studi di Accademia aveva praticato l’area del concettuale, inventa una pittura che muove da spessori di pigmento, da una dilatazione intensa della materia, per farne emergere allusioni visionarie

che privilegiano il tema del corpo umano”

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LUCA PIGNATELLI

Milano, 22 giugno 1962

Il suo approccio al mondo dell’immagine avviene at-

traverso l’architettura quando intuisce l’analogia tra

la composizione architettonica e la pittura. Le prime

mostre milanesi precedono la personale di Londra del

1991 al Leighton House Museum, mentre già a Fran-

cavilla al Mare nel 1988 aveva partecipato al Premio Mi-

chetti. Le tonalità cupe si accompagnano all’attenzione

per il dettaglio architettonico in un’atmosfera sospesa

che troverà la sua più riuscita espressione nella scelta

del supporto su cui fissare tali memorie: i teloni ferrovi-

ari degli anni trenta. La mostra del 1998 da Poggiali

e Forconi è il primo vero riassunto di anni di ricerca

improntate sul realismo visionario di aerei da guerra,

mezzi pesanti e locomotive descritti come simboli di

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potenza e metafore dell’idea del tempo. Nel 1999 es-

pone a San Francisco presso la Limn Gallery, a Milano

alla fondazione Mudima introdotto da Achille Bonito

Oliva, l’anno successivo a New York. Nel 2002 è invi-

tato da Marco Di Capua al Museo del Corso a Roma,

ancora al Museo della Permanente di Milano per il

Premio Cairo Comunication. Ancora il critico milanese

lo inserisce come uno degli artisti di punta, assieme a

Giovanni Frangi, nella mostra “La nuova scena artis-

tica italiana”, che si presenta alla Biennale di Venezia

del 2003.All’architettura moderna si affianca l’indagine

di quella archeologica dei templi romani e di Pompei,

come testimonia il catalogo ufficiale della biennale

veneziana. Alla fine del 2003 è invitato ad esporre al

Mart, Museo di Arte Contemporanea di Trento e Rov-

ereto. La frequentazione degli ambienti newyorkesi,

legati al respiro internazionale che ha ormai assunto

la figura di Luca Pignatelli, lo mettono in contatto con

personalità quali Carlo Maria Mariani, ormai da anni

negli USA, con il quale nasce un sodalizio artistico che

da vita all’esposizione On The Appian Way a Firenze,

ancora da Poggiali e Forconi nel maggio del 2004.

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“La ricerca artistica di Luca Pignatelli è tutta sospesa tra la fascinazione archeologica e la esplorazione del mito. La sua pittura vive della dicotomia tra lo sguardo ammirato e struggente della classicità e le

pieghe polverose dell’indagine critica sugli elementi mitici del contemporaneo. La sua poesia, e in questo sta il suo giudizio, vive nel fermo “immagine” del dipinto, della sospensione

in apnea di un frame bloccato nell’attimo prima della tragedia. A lui la paura del lutto o la bellezza ir-raggiungibile delle effigi antiche scalfite dal tempo interessano come atti potenziali di distruzione o di

estasi, non certo per l’indugio sugli scorci idilliaci o temibili. Sospesi e indolori nel tempo fissato.”

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FEDERICO GUIDAMilano,1969

Fin dall’inizio nel suo lavoro il corpo è il protagonista

principale. La sua pittura prende origine dal desiderio

di registrare e inscenare una performance allo scopo

di provare la resistenza fisica dell’oggetto raffigurato

e in fondo anche del sè stesso come artista. Neg-

li anni settanta performance e body art avevano un

chiaro significato etico, e il corpo assumeva in sé il

ruolo trasgressivo e di oppositore nei confronti dei

modelli sociali più tranquillizzanti. Il corpo doveva

soffrire, resistere, provare dolore sulla propria pelle

e anche più dentro, fino alla carne. Nei decenni suc-

cessivi tale condizione etica ha lasciato il posto a una

lettura in chiave estetica; trasformazioni, mutazioni,

slittamenti esibiti nella consapevolezza di un gioco

chiuso su di sé come esatto specchio del tempo.

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Anche gli spazi scenici si sono ristretti e la perfor-

mance ha assunto un tono più domestico e confiden-

ziale, a tratti intimo, quasi un accordo personale tra

il ritrattato e il ritrattante (l’opera e l’artista). Per Fed-

erico Guida la pittura è l’occasione di teatralizzare e

rendere pubblico un evento altrimenti privato. Tra il

2000 e il 2001 raffigura alcuni modelli maschili non

più giovani, anzi particolarmente segnati dal tempo e

dalla vita. Attorno ai loro volti e i loro corpi gira la rif-

lessione di Guida sulle potenzialità della performance

contemporanea, incentrata ancora sul concetto di re-

sistenza, ma priva della necessità dell’opposizione.

Da qui Guida “scopre” il rosso come unicum cromati-

co, colore distribuito in maniera irrealistica, quindi

non narrativa, ma carico di sensi sanguigni e carnali.

I nuovi lavori di Guida approfondiscono ulteriormente

la relazione con la performance: i grandi disegni di

Robert Longo, le azioni di Jana Sterbak, gli spettacoli

di teatro danza di Mercé Cunningham, le coreografie

di Rei Kawakubo sono le pietre di paragone immedi-

ate. Saggiare i limiti del corpo umano fino alle es-

treme possibilità costringendo la pittura a misurarsi

con il confine rappresentativo.

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“Guida è un pittore neoseicentesco contemporaneo. Impasta i fondi per fare in modo che la luce vi rimbalzi sopra creando un effetto di profondità, sug-

gerisce la prospettiva con la contorsione delle figure, scava nel buio alla ricerca di un volto capace di raccontare una mistica rassegnazione, un’improvvisa visione, una pulsione interna e profonda. Anche

se riportati alla modernità, plasmati secondo un gusto da terzo millennio – i corpi sono spesso agili, i seni sono turgidi e mai debordanti, da balia, la bellezza non trova le sue forme ideali nelle rotondità e nell’abbondanza – dipinge santi, bambini e madonne, disegna la vocazione, la prosopopea nobiliare

e il martirio. Protagonisti delle opere sono le amiche pittrici, le contorsioniste, gli schermitori, le giovani collezioniste, i pazienti di una clinica psichiatrica, i carrozzieri che lavorano nel cortile di casa sua, ma secondo una logica caravaggesca, immodesta quanto si vuole, quelle figure, in quel momento, rap-presentano l’afflato divino dell’umanità, il bisogno di raccontare una storia più alta, la voglia di dare un

tocco di sano realismo al desiderio e alla necessità di pensare l’immensità, l’eternità, il senso delle cose”

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TINA SGRÓ

Reggio Calabria, 2 Marzo 1972

Tina Sgrò, con il suo indubitabile talento, s’è prepo-

tentemente inserita in quell’area espressiva che tenta

di rinnovare l’iconografia del paesaggio metropoli-

tano, portandovi il proprio contributo personale con

l’elaborazione di una originale cifra stilistica e di un

particolare modo di vedere (e di rappresentare) la

scena urbana. Quelle che l’artista ci presenta sono

immagini intense ottenute per tramite di un impianto

disegnativo e pittorico robusto, dove la pennellata vi-

aggia sciolta, perentoria e aggressiva e si dispone in

tutte le direzioni possibili con furore ed energia. Le

prospettive privilegiano i campi lunghi, la profondità

spaziale; gli edifici scorrono ai lati della composizione,

sotto cieli tormentati, perdendo le nettezza dei loro

contorni, come per inchiodare il fruitore su un sedile di

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un auto che si muove a grande velocità. Il viaggio con-

tinua e, fra variazioni atmosferiche (vediamo pertanto

le auto riflettersi sul manto stradale viscido e bagnato)

e l’incalzare dell’oscurità (che ci conduce verso not-

turni freddi e raggelanti), siamo continuamente scara-

ventati entro scenari nuovi i quali, però, come in un

continuo susseguirsi di cose e situazioni già viste e

già vissute, hanno un che di straordinariamente noto.

I landscape di Tina riscoprono le potenti suggestioni

della città, dei suoi sobborghi e delle sue tangenziali

attraverso un afflato lirico, imparentato con la catego-

ria estetica del “sublime”, che dà contenuto e preg-

nanza storica ai cosiddetti “non luoghi”, agli “spazi

neutri” della realtà metropolitana. È prima classificata

concorso di pittura e grafica “L’uomo ed il suo tempo”

Reggio Calabria. Seconda classificata “Premio Mor-

lotti Imbersago” (LC). Finalista al Premio Morlotti Im-

bersago e selezionata al Premio Biella per l’Incisione

quale rappresentante dell’Accademia di Belle Arti di

Reggio Calabria tra le venticinque d’Italia. Vincitrice

del Premio Arte Mondadori 2006.

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“La consacrazione dell’oggetto di uso quotidiano è un traguardo importante e possibile. E’ significativo trovare e lodare la poesia dietro la “mediocrità” dell’uso giornaliero di un mestolo o di un piatto, o all’interno di un vivere apparentemente monotono. I dipinti vivono di soggetti fermi, dopo

dell’immediato movimento/uso.La figura, assente, ha compiuto l’azione, scomparendo repentina-mente. Il racconto del dopo-azione. La successione di attimi vitali”

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MAURIZIO GALIMBERTIComo, 1956

Sin da ragazzo partecipa a numerosi concorsi fotogra-

fici, vincendoli, addirittura con nomi diversi come quello

della madre o della moglie. All’inizio usa la classica pel-

licola analogica lavorando molto con una fotocamera ad

obbiettivo rotante widelux in bianco e nero e in diapo/

cibachrome, poi nel 1983 inizia la sua passione - osses-

sione per la Polaroid. La sceglie per il semplice motivo

che non sopportava l’attesa dello sviluppo per vedere il

risultato del suo scatto e anche per una eterna paura del

buio della camera oscura. Si accorge inoltre che la resa

dei colori con la pellicola istantanea è semplicemente

magica ed inizia un lungo percorso fino ad oggi di ricer-

ca e di sperimentazione nell’uso di questo media. Nei

primi anni novanta infatti, abbandona l’attività edilizia di

famiglia e decide di dedicarsi solo alla fotografia. Nel

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1991 inizia la collaborazione con Polaroid Italia della quale diventa ben presto il testimonial ufficiale e che ha come risultato il volume POLAROID PRO ART pubbli-cato nel 1995, vero oggetto di culto per gli appassionati di pellicola polaroid di tipo integrale. Il 1997 è l’anno che vede l’entrata nel mondo del collezionismo d’arte dei suoi mosaici di polaroid. Nello sviluppo di questa sua peculiare tecnica hanno grande influenza il futurismo di Boccioni e il movimento cinetico esasperato di Duch-amp. Galimberti riesce in un istante a visualizzare una complessa scomposizione dell’immagine da ritrarre, matematica nel suo rigore e musicale nell’armonia d’insieme, che realizza di getto leggendo le note nella sua mente. Con la stessa tecnica diviene conosciuto per i suoi ritratti, sempre a mosaico. Arriva nel 1999 la nomina al primo posto nella classifica dei foto-ritrattisti italiani redatta dalla rivista Class. La popolarità e suc-cesso con cui vengono accolte queste inusuali rappre-sentazioni di volti lo portano a partecipare nel ruolo di ritrattista a numerose edizioni del Festival del Cinema di Venezia. Nell’ottobre 2009 in occasione della riaper-tura di Polaroid è invitato in veste di testimonial ufficiale alla fiera della fotografia di Hong Kong per il lancio dei nuovi prodotti.

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“Fotografie che diventano puzzle, immagini che si scompongono e che sembrano prendere vita. Perché il movimento e il ritmo sono alla base di ogni suo scatto”

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FRANCESCO DI PASQUANTONIO

Penne (Pe), 1973

Si avvicina alla fotografia molto presto e, a Roma, lavora

presso alcuni laboratori, segue eventi sportivi, si occupa

di foto di scena a teatro e realizza servizi per il gior-

nale universitario de “La Sapienza”. Di professione in-

formatico, continua il suo percorso di ricerca artistica

e stilistica. Da poco ha deciso di pubblicare i propri

lavori: nascono così la mostra di Glasgow “Earthquake

is an heartquake” nel 2009, la mostra di Milano “Abru-

zzo: prospettive diagrafiche” nel 2010 e il libro Light,

shape and matter pubblicato nello stesso anno dalla

Parker&Co.

“In realtà le sue fotografie non sono immagini toutcourt,

ma arte che scaturisce da mezzi espressivi sconosciuti

e affascinanti”

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CARLO CHECHISiena, 1984

Dopo essersi diplomato in Biologia frequenta nel 2005/06 il Master globale di fotografia Professionale presso la John Kaverdash School di Milano dove in seguito, ha lavorato come fotoritoccatore di sfilate di moda (Milano, New York, Londra, Parigi) per l’agenzia Picturesmedia. La sua ricerca fotografica vuole affrontare tematiche astratte quali le emozioni umane, con le sue immagini cerca di creare una connessione tra il suo pensiero e l’osservatore, vuole trasmettere tramite contesti, situ-azioni, linguaggio del corpo il suo stato d’animo di quel preciso momento, attraverso le lenti di un obbiettivo ci unisce al nostro inconscio.“Colpisce il gioco di forme nude che si percepiscono solo attraverso il tessuto stretch bianco che assume toni argentei con i giochi di luce delle immagini. E poi colpisce la forma in movimento, come prigioniera di situazioni, emozioni, voglia di fuga forse, espressa in modo del tutto singolare”

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FABRIZIO CAROTTI

Jesi (An), 1980

Si laurea in Filosofia indirizzo Estetico all’università di Bologna. Dopo un’accurata ricerca sulle possibilità espressive dei mezzi tecnologici, dal 2008 intraprende la carriera d’artista operando con successo nel campo della pittura digitale. Riscuote ampi consensi tra la criti-ca, tanto da essere selezionato da Gianluca Marziani e Valerio Dehò tra i venti partecipanti al I° Premio di pittura Zingarelli Rocca delle Macìe (2010) e da rientrare tra i 30 finalisti under 35 del Premio Terna02 (2009). Svilup-patosi come artista digitale, Carotti usa come base per le sue composizioni delle fotografie scattate da lui stesso. Ognuna delle sue composizioni è un’opera unica, del-la quale viene stampata una sola copia. Nel suo ultimo lavoro Anime Salve, costituito da una serie di immagini scure e drammatiche, attraverso l’uso di immagini Cara-vaggesche, Carotti esplora i temi del dolore, della morte, della compassione e della sospensione temporale. Una serie di immagini a colori ispirate al mondo del calcio of-fre un interessante contrasto con i temi precedenti, pur mantenendo la stessa qualità allegorica. “Queste immagini, così dense di significati sottointesi, danno ai lavori di Carotti una forza espressiva senza tempo, che permette allo spettatore di interpretarle sotto molteplici aspetti”

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FABIO PANICHITeramo, 1988

Con sorprendente rapidità acquisisce un personalis-simo linguaggio col quale trasfigura la realtà in mondo surreale. Giocando sulla plasticità del corpo pone parti-colare attenzione alle linee compositive, di grande forza ed impatto. Inserito tra i cento giovani fotografi emer-genti, durante le notti insonni esplora i mondi dell’anima, popolati di emozioni che vivono, pulsano, si affannano e si rincorrono, fino a creare le loro metamorfosi visi-ve. Vivere di arte è la sua ambizione, vivere per l’arte il suo dovere. Espone a Teramo, Luglio 2008, “Nocturna Fragmenta”, personale Genova, Maggio 2008, “Body Book”, Sala mostre Biblioteca Berio; Vicenza, Marzo 2008, “Click Art”, Galleria Arte Sgarro; Firenze, Dicem-bre 2007, “Fuoco negli occhi”, Casa Luzzi; Bologna, Novembre 2007, NoArt “TravellArt”; Piacenza, Marzo 2007, “In pixel we trust”, Pacio; Teramo, Luglio 2006, “Introspezioni”, Casa del Mutilato. Vincitore del Premio Italiano per “Surrealism 2008 Competition” di ARTROM Gallery; Copertina del libro Morgenlied, di Nora Roberts; Mensile La Tenda; Fotografo del mese della rivista Ergo Sum; Mensile internazionale Tecnologie Tessili. “L’elaborazione pittorica delle foto gli consente di met-L’elaborazione pittorica delle foto gli consente di met-tere a fuoco ciò che gli interessa e di sovrapporre mate-ria, luce e tatto fra l’osservatore e il suo universo incan-descente”

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MANUELA LUZIViterbo, 1982

Manuela Luzi, nasce a Bassano Romano (Viterbo) il 4 Agosto 1982. Nel 2003 si trasferisce in Irlanda dove scopre la fotografia; torna in Italia e si diploma all’Isti-tuto Europeo di Arte e Design di Roma, nel 2006. Nello stesso anno vince il concorso “Donna, 8 Marzo” indetto da “La Repubblica”, con l’opera “Chador” e collabora con l’artista Dolcenera per la promozione del tour in Germania. L’amore per la musica e i temi sociali resta-no alla base dei suoi reportage che alterna al progetto fotografico personale a cui lavora da due anni e che nel 2007 la porta in Veneto, terra dove oggi vive e lavora.“Fotografare è meravigliare. Il fotografo un interprete. La fotografia un linguaggio”

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Didascalie

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Pag. 13 Giorgio de Chirico - “Riposo presso l’Egeo”, cm 50x70, litografia, anni ‘80

Pag. 17 Michele Cascella - “Paesaggio in fiore”, cm 60x90, olio su tela, 1991

Pag. 21 Renato Guttuso - “Jean Paul Sartre”, cm 55x65, olio su tela, 1978

Pag. 25 Ernesto Treccani - “Figure”, cm 80x100, olio su tela, 1990

Pag. 29 Giuseppe Migneco - “Donna con cesto di limoni”, cm 30x40, olio su tela, 1986

Pag. 33 Renzo Vespignani - “Nudo in bruno”, cm 70x100, olio su tela, 1961

Pag. 37 Afro - “Nerolungo”, cm 32,5x78,5, tecnica mista su carta intelata, 1960

Pag. 41 Emilio Vedova - “Senza titolo”, cm 31x24, olio su carta intelata, 1962

Pag. 45 Piero Dorazio - “Senza titolo”, cm 35x50, pastello e tecnica mista su carta

Pag. 49 Tancredi - “Senza titolo”, cm 35x50, tecnica mista su carta, 1953

Pag. 53 Giulio Turcato - “Senza titolo”, cm 50x70, olio su tela, anni ‘70

Pag. 57 Rodolfo Aricò - “Progetto A-V”, cm 50x70, pastello su carta, 1973

Pag. 61 Claudio Verna - “Invisibili illuminazioni”, cm 100x100, olio su tela, 2007

Pag. 65 Mario Schifano - “Monocromo”, cm 70x100, 1961

Pag. 67 Mario Schifano - “Gigli d’acqua”, cm 100x100, anni ‘80

Pag. 71 Tano Festa - “Senza titolo”, cm 70x100, acrilico su tela emulsionata, 1987

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Pag. 75 Franco Angeli - “Aquila”, cm 70x120, tecnica mista su tela con tulle, anni ‘70

Pag. 79 Mimmo Rotella - “Allegra”, cm 80x123, monotipo, 2004

Pag. 83 Piero Gilardi - “Senza titolo”, cm 100x100, poliuretano e pigmenti, 2002

Pag. 87 Sandro Chia - “Senza titolo”, cm 130x95, tecnica mista su carta, anni 2000

Pag. 91 Mimmo Paladino - “Senza titolo”, cm 70x100, collage su cartone, anni 2000

Pag. 95 Bruno Ceccobelli - “Il raccoglitore di universi, cm 135x73, tecnica mista, 2001

Pag. 99 Piero Pizzi Cannella - “Senza titolo”, cm 75x65, olio su tela, 1999

Pag. 103 Luca Pignatelli - “Aereo e montagne”, cm 60x80, olio su tela, 2005

Pag. 107 Federico Guida - “Stone”, cm 60x80, olio su tela, 2005

Pag. 111 Tina Sgrò - “Tangenziale 7”, cm 90x130, olio su tela, 2008

Pag. 115 Maurizio Galimberti - “Senza titolo” - fotografia, cm 30x40

Pag. 117 Francesco di Pasquantonio - “From the abyss”, fotografia, cm 60x90, 2010

Pag. 119 Carlo Chechi - “Amami”, cm 80x120, fotografia digitale, 2010

Pag. 121 Fabrizio Carotti - “Il letto di Rauschenberg”, pittura digitale su di bond, cm 70x100, 2011

Pag. 123 Fabio Panichi - “Miss your kiss”, cm 100x100, pittura digitale su di bond, 2010

Pag. 125 Manuela Luzi - “Amor”, cm 100x100, pittura digitale su di bond, 2010

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Catalogo realizzato nel mese di Aprile 2011