Italiacaritas - Caritas...

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Italia Italia c c a a r r i i t t a a s s MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ANNO XXXVI • N. 1 GENNAIO 2003 Spedizione in abbonamento postale articolo 2 •comma 20/C • legge 662/96 • filiale di Roma Andiamo a Gerusalemme Devolution e “povera gente” Le ferite prevedibili della guerra inaccettable

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Andiamo a Gerusalemme

Devolution e “povera gente”

Le ferite prevedibilidella guerra inaccettable

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3EDITORIALE

AndiamoaGerusalemme

4IL PUNTO SU

I pilastridellapace

5PAROLA E PAROLE

Il “disgusto”e il silenziodi Dio

6DA ESCLUSI A CITTADINI

Quantoflessibile la viaalla prosperità?

10POLITICHE SOCIALI

“Devolution”epovera gente

12VOLONTARIATO E DINTORNI

Non soloperprofitto

14TERRITORIO E CARITAS

E percompagna…la solitudine

15Poverie solinel Nord-Est

23OBIETTIVO EUROPA

L’Europacheverrà

17NON SOLO EMERGENZE

Oltre le transen-ne e ai bordidell’epicentro

SOMMARIO

24IN FONDO AL MESE

Il drammadella famein Argentina

AVVISO AI LETTORI

Italiacaritas viene inviato per due anni a tutti gli offe-renti, perché possano verificare concretamente la de-stinazione delle loro offerte ed essere aggiornati pe-riodicamente su tutte le attività della Caritas Italiana.Le offerte inviate alla Caritas Italiana vengono desti-nate secondo le finalità specifiche indicate dagli offe-renti. Quelle senza esplicita causale vengono destina-te ai bisogni più urgenti. Gli interessi che maturanodalle somme in transito, vengono utilizzati per inter-venti di emergenza o per progetti di sviluppo.Le offerte destinate ai Paesi in via di sviluppo sonodeducibili ai sensi della Legge n. 49 del 26/2/1987.Non è necessario allegare alla dichiarazione dei red-diti la ricevuta: basta conservarla per cinque anni. LaCaritas Italiana, su autorizzazione della CEI, può trat-tenere fino al massimo del 5% sulle offerte per copri-re i costi di organizzazione, funzionamento e sensibi-lizzazione.Le offerte possono essere inoltrate alla Caritas Italia-na tramite:• Conto Corrente Postalle n. 347013• Banca Popolare Etica, Piazzetta Forzaté, 2

Padova C/C n. 11113 – Abi 5018 – Cab 12100• Intesa Bci, Agenzia Rm P.le Gregorio VII

C/C 100807/07 – Abi 03069 – Cab 05032• Cartasì e Diners, telefonando al n. 06/541921, in

orario d’ufficio.

ITALIACARITASMensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della CEI

Via F. Baldelli 41 00146 Romawww.caritasitaliana.it

Direttore Don Vittorio NozzaDirettore responsabile Ferruccio Ferrante

In RedazioneD. Angelelli, P. Beccegato, P. Brivio, G. Dardes,M. lazzolino, R. Marinaro, F. Marsico, F. Meloni,

G. Perego, R. Rambaldi, D. Rosati

Grafica, impaginazione e fotolito:Editrice Adel Grafica srl

Vicolo dei Granari, 10a - 00186 Roma

Stampa: OmnimediaVia del Policlinico, 131 - 00161 Roma

Sede legaleViale F Baldelli, 41 - 00146 Roma

Tel. 06/541921 (centralino)06/54192224-6-7 (redazione)

Fax 06/54192275E-mail: [email protected]

OffertePaola Bandini Tel. 0654192205

[email protected]

Inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie arretrate

Marina Olimpieri Tel. [email protected]

Spedizione: in abbonamento postaleArticolo 2 - comma 20/c legge 662/96

Filiale di Roma

Autorizzazione N° 12478dell’8/2/1969 Tribunale di Roma

8DA ESCLUSI A CITTADINI

Parolad’ordine…accompagnare

Hanno collaborato:Alberto BobbioPaolo BrivioBruno ForteGuido MigliettaWalter NanniGiuseppe PasiniFernanda ScarmagnanMonica TolaMarco Toti

la foto di copertina è di R. Siciliani

26A TU PER TU

Obiettare?Èdissertare

20OSSERVATORIO DI CONFINE

Le feriteprevedibili dellaguerrainaccettabile

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Andiamo a Gerusalemme

Devolution e “povera gente”

Le ferite prevedibilidella guerra inaccettable

Anno XXXVI n. 1 – Gennaio 2003

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Quello che succede, in maniera in-terminabile e insopportabile nelMedio Oriente sta negli occhi e

nelle preoccupazioni di tutti. Siamo co-me estenuati di non capirci niente, dinon poter fare niente. Ma non riuscia-mo a togliere il nostro sguardo da que-sta terra che noi tutti continuiamo achiamare santa. Ciò che avviene in essatocca tutti noi, e il più intimo di ciascu-no. Essa ci parla delle nostre origini, del-la violenza che c’è in noi fin dall’inizio.E ci parla della promessa e della paceche furono consegnate ai nostri padri ealle quali noi continuiamo a credere. Andiamo a Gerusalemme. Questo desi-derio, che ha mosso e muove il cammi-no di persone e di popoli del mondo in-tero, è anche nostro. Lì si rivolgono gliocchi e le preoccupazioni di tutto ilmondo perché è in atto un conflitto ine-stricabile tra due nazioni e una terra, unpiccolo Stato (Israele) e un piccolo popo-lo (i Palestinesi). Conflitto locale che as-surge a simbolo di una linea di incontroe di scontro tra Occidente e Oriente, tramondo giudeo cristiano e mondo arabomusulmano. Gerusalemme è una cittàche sta al crocevia della storia e dei de-stini dell’umanità. Andiamo a Gerusa-lemme con tutti gli uomini di buona vo-lontà, con il desiderio di porre fine auno scontro che non sembra aver vied’uscita; con le armi della diplomazia edegli accordi, per trovare un compro-messo che comunque ponga fine allaviolenza e permetta a tante persone diuscire da un insopportabile clima diodio e di paura.Ma ci andiamo, oggi, soprattutto da pel-legrini, da uomini religiosi che voglionocustodire il sogno che Dio ha su questacittà e che i suoi discepoli affermano e

reclamano in modo diverso, trovandovimotivo di radicalizzare il conflitto e laviolenza reciproca. L’intreccio tra fedi re-ligiose, storie di popoli, culture e ragionipolitiche, è ciò che rende così complessoquesto conflitto; e lo rende significativoper queste ragioni radicali che si pongo-no oggi alle religioni e alle civiltà. Incredibile luogo, Gerusalemme! … cheraccoglie in qualche modo la storia ditutti: le origini, le promesse, le tragedie,le speranze di tutti. Luogo che parla del-le nostre origini: e quindi della violenzache è in noi fin da Caino e Abele (che sisono contesi i favori di Dio). Luogo an-che di una promessa, da cui tutti siamonati. Luogo dove si decide e si spera lapace per tutti. Città dove gli uominiportano tutti i loro conflitti e le nostal-gie di una patria che veramente nessunoha su questa terra; dove tutti aspettanodal cielo Uno che possa portare con noiil peso delle nostre sofferenze e dellenostre violenze, e possa intonare persempre con noi il canto della pace. Andiamo a Gerusalemme. Decisione,questa, che è andata maturando nell’ar-co del 2002 quale frutto di ascolto e pre-sa in carico di un profondo desideriodella Caritas di Gerusalemme di volercondividere con Caritas Italiana il suocarico di sofferenza e speranza. Ciò sirealizzerà, a partire dai primi mesi del2003, con la presenza di un nostro ope-ratore di nome Davide. Se è vero che inessa ogni uomo è nato, Gerusalemmenon è di nessuno come proprietà esclu-siva: appartiene a Dio che la trascende evi scrive il suo nome glorioso. Gerusalemme continuerà ad essere quelluogo unico al mondo da cui tuttisiamo nati, a cui tutti sogniamo di tor-nare. ■

Andiamoa Gerusalemme

Vittorio Nozza

3 gennaio 2003

edito

riale

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(…) Giovanni XXIII identificò le condizioniessenziali per la pace in quattro precise esi-genze dell’animo umano: la verità, la giusti-zia, l’amore e la libertà.La verità – egli disse – sarà fondamento del-la pace, se ogni individuo con onestà pren-derà coscienza, oltre che dei propri diritti,anche dei propri doveri verso gli altri. Lagiustizia edificherà la pace, se ciascuno con-cretamente rispetterà i diritti altrui e sisforzerà di adempiere pienamente i propridoveri verso gli altri. L’amore sarà fermentodi pace, se la gente sentirà i bisogni deglialtri come propri e condividerà con gli altriciò che possiede, a cominciare dai valoridello spirito. La libertà infine alimenterà lapace e la farà fruttificare se, nella scelta deimezzi per raggiungerla, gli individui segui-ranno la ragione e si assumeranno con co-raggio la responsabilità delle proprie azio-ni.(…) Una più grande consapevolezza dei do-veri umani universali sarebbe di grande be-neficio alla causa della pace, perché le for-nirebbe la base morale del riconoscimentocondiviso di un ordine delle cose che non di-pende dalla volontà di un individuo o diun gruppo.(…) Che ci sia un grande disordine nella si-tuazione del mondo contemporaneo è con-statazione da tutti facilmente condivisa.L’interrogativo che si impone è perciò il se-guente: quale tipo di ordine può sostituire que-sto disordine, per dare agli uomini e alledonne la possibilità di vivere in libertà, giu-stizia e sicurezza? E poiché il mondo si stacomunque “organizzando” in vari campi(economico, culturale e perfino politico),sorge un’altra domanda, ugualmente pres-sante: secondo quali principi si stanno svilup-pando queste nuove forme di ordine mondiale?(…) Il problema della pace, rettamente inte-sa, non può prescindere da questioni legate ai

principi morali.(…) Proprio perché le persone sono createcon la capacità di elaborare scelte morali,nessuna attività umana si situa al di fuori del-la sfera dei valori etici. La politica è un’atti-vità umana; perciò anch’essa è soggetta algiudizio morale. Questo è vero anche perla politica internazionale (…). Quanto alladrammatica situazione del Medio Oriente edella Terra Santa (…), la lotta fratricida cheogni giorno scuote la Terra Santa, ponel’urgente esigenza di una politica fondatasul rispetto della dignità e dei diritti dellapersona. Occorre partire da questa verità.(…) Le ripercussioni negative, che sul pro-cesso di pace hanno gli impegni presi e poinon rispettati, devono indurre i Capi diStato e di Governo a ponderare ogni lorodecisione. Se tutti gli impegni assunti de-vono essere rispettati, speciale cura deveessere posta nel dare esecuzione agli impe-gni assunti verso i poveri (…). In questa pro-spettiva, il mancato adempimento degliimpegni con le nazioni in via di sviluppocostituisce una seria questione morale emette ancora più in luce l’ingiustizia delledisuguaglianze esistenti nel mondo. La sof-ferenza causata dalla povertà risulta dramma-ticamente accresciuta dal venir meno della fi-ducia. Il risultato finale è la caduta di ognisperanza. La presenza della fiducia nelle re-lazioni internazionali è un capitale socialedi valore fondamentale.(…) Dio Onnipotente, sorgente di ogni no-stro bene, che dalle condizioni di oppres-sione e di conflitto ci chiama alla libertà ealla cooperazione per il bene di tutti, aiutile persone in ogni angolo della terra a co-struire un mondo di pace, sempre più sal-damente fondato sui quattro pilastri che ilbeato Giovanni XXIII ha indicato a tuttinella sua storica Enciclica: verità, giustizia,amore e libertà. ■

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I pilastridella paceil

punt

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Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata mondiale della pace - gennaio 2003

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Sono in molti ad essere stati colpitidalle parole pronunziate dal papanell’udienza dell’11 dicembre. In ri-

ferimento a un testo del profeta Geremia(14, 19-21) e in particolare alla domandarivolta a Dio «Perché ci hai colpito, e nonc’è rimedio per noi?», Giovanni Paolo IIha detto: «Oltre alla spada e alla fame, c’èuna tragedia maggiore, quella del silenziodi Dio che non si rivela più e sembra es-sersi rinchiuso nel suo cielo,quasi disgustato dall’agire del-l’umanità».Chi si sentisse scandalizzatodavanti a simili espressioni,dovrebbe ricordare che il Papasta commentando un testoprofetico struggente, pronun-ciato in una situazione dram-matica del popolo d’Israele daun uomo, Geremia, che è l’u-nico fra i profeti ad essere sta-to chiamato da Dio a unaconsacrazione totale. Non èdunque difficile cogliere un’a-nalogia fra il grido del Profeta e il grido ri-petuto di questo vecchio papa, che chiedepace e giustizia per i più deboli e non per-de occasione per dire no alla logica folledella guerra come via di soluzione deiconflitti. È come se – davanti alla sorditàdei potenti della terra – il papa si appel-lasse al giudizio di Dio e col Profeta rico-noscesse nel divino silenzio un dramma-tico giudizio sui mali del mondo. Si com-prende allora come questo lamento – lun-gi dall’essere voce di disperazione o addi-rittura di sfida – sia voce dell’amore di chisente tutto il peso del peccato del mondoe legge nel misterioso linguaggio dell’E-terno un appello dolente a ritornare aLui.Ma non è questo un invito utopico? Un

pensatore ebreo, André Neher, che al si-lenzio del Dio biblico ha consacrato forsela sua opera più bella (“L’esilio della Paro-la. Dal silenzio biblico al silenzio di Au-schwitz”, Genova 1983) ci aiuta a trovarerisposta a queste domande, descrivendociun Dio che responsabilizza l’uomo davan-ti al futuro senza garantirgli niente, ren-dendolo attento al valore dell’opera pre-sente a prescindere da ogni risultato o ri-

compensa promessi. «Dio si èritirato nel silenzio – scriveNeher –, non per evitare l’uomoma, al contrario, per incontrar-lo. (…) Cessando di essere un ri-fugio, il silenzio diventa il luo-go della suprema aggressione.La libertà invita Dio e l’uomoall’appuntamento ineluttabile».È nel rischio della libertà che sigioca insomma la vita di ogniuomo davanti al tempo e da-vanti all’eterno: chi in Dio noncerca facili rassicurazioni, ma lanuda roccia della verità, sa che

il bene va fatto anche quando apparisseimproduttivo o perdente. Di fronte al si-lenzio di Dio e alla sua inquietante ambi-guità, l’essenziale è la semina, l’atto che sicompie in obbedienza a Lui, lasciandonelle Sue mani l’intero raccolto dell’avve-nire. Al silenzio di Dio può corrispondereallora solo un atto di amore gratuito e to-tale, che porti a rischiare ogni cosa pur dipiacere a Lui e a costruire la vita e il mon-do secondo la sua volontà. Come dire: oc-corre giocare tutto sulla convinzione chela pace è opera di giustizia, e che senzagiustizia e perdono non ci saranno mai lapace e il bene per tutti. Ma chi dei grandidell’Occidente sarà disposto ad ascoltarequesto grido di dolore, di speranza e di fe-de, in Dio e nell’uomo? ■

5 gennaio 2003

Il “disgusto”e il silenzio di Dio

Bruno Forte

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La parola d’ordine, quando oggi siparla di lavoro e lavori, è ormai unasola: flessibilità. Ma quale? In un re-

cente confronto promosso dall’UfficioNazionale per i problemi sociali e del la-voro della CEI, vari interlocutori, politici,sindacalisti, rappresentanti dell’impresa,dell’associazionismo e del mondo eccle-siale, si sono confrontati sui mutamentiin atto nel mondo del lavoro e sulle for-me di tutela degli antichi e dei nuovi la-vori. Anche la mutazione del linguaggio,più abituato in passato ad usare terminicome diritti, posto di lavoro, contratticollettivi, convertito oggi a termini cometutela, co.co.co. (collaborazione coordina-ta e continuativa), part-time, contratto atermine, interinale, è segno che un mon-do sta velocemente cambiando. Le cifre

riportate nel riquadro ci mostrano unaevoluzione che tende a cambiare radical-mente la dimensione lavorativa della vitadi ogni persona.

Il sabato e l’uomoViene fuori la difficoltà di concepire unariflessione cristiana che sia capace dimantenere la rotta della tradizione delladottrina sociale della Chiesa, senza cederead infatuazioni di diversa natura: unicoriferimento possibile è la centralità dellapersona nella sua dimensione di vita fa-miliare. La domanda alla coscienza cri-stiana ed ecclesiale, posta dalle Acli nel“Manifesto per la flessibilità sostenibile”,è la seguente: «Parafrasando quello che ilVangelo ci dice a proposito del sabato (“Ilsabato è per l’uomo e non l’uomo per ilsabato”), la flessibilità è per la personaumana? La flessibilità può essere, comesostiene mons. Giancarlo Bregantini, unaflessibilità promozionale? Può essere op-portunità per una più ampia distribuzio-ne del lavoro, per un più alto livello diqualità professionale, per un maggior spa-zio di creatività, per una maggiore auto-nomia del lavoratore, per una più facilecomposizione della sua vita lavorativacon le esigenze di crescita personale e divita familiare? O al contrario il mercatodel lavoro sta asservendo l’uomo alla fles-sibilità? La flessibilità rischia di diventareun modo per piegare la persona umana etutti i suoi bisogni radicali alle esigenzedell’economia e della produzione? E an-cora, se così fosse, la via per umanizzare illavoro, non deve forse passare per l’uma-nizzazione della flessibilità?».

Caso Fiat, famiglia e dintorniVolgendo lo sguardo alla crisi Fiat sorgo-no molti dubbi nel presentare la flessibi-

Quanto flessibilela via alla prosperità?

Marco Toti

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Il lavoroche

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lità come un elemento promozionale. Sal-ta agli occhi come sia molto più sempliceessere flessibili ai livelli alti di professio-nalità o nei nuovi lavori che impiegano,da una parte, persone dal notevole curri-culum ed esperienza, spesso con alti gradidi istruzione, e dall’altra giovani leve, piùdinamiche rispetto al cambiamento e, so-prattutto, nell’uso della tecnologia, veroelemento discriminante non solo nelmondo del lavoro, ma sempre più nellavita quotidiana. Per una tutela della persona nell’ambitodella vita familiare presente o da costrui-re, emergono poi alcune necessità cui ildibattito in corso sulla flessibilità non for-nisce ancora adeguate risposte.Per i giovani che si affacciano al mercatodel lavoro, con contratti di vario genere,ma tutti improntati alla provvisorietà, sipongono problemi sia di natura contribu-tiva e previdenziale sia di garanzia di sta-bilità di reddito per programmarsi una vi-ta familiare autonoma: basti pensare aquanto conti la stabilità di reddito percontrarre un mutuo per l’acquisto dellacasa. Emerge sempre più diffusa la chiu-sura di giovani coppie alla vita nascente acausa dell’instabilità economica. Per colo-ro che vengono espulsi, dopo molti annidi esperienza, spesso nella stessa impresa,dal mercato del lavoro ad età non più gio-vane, si pongono problemi seri di trovareun nuovo impiego. Non sono, questi, figlidell’era digitale e spesso hanno avuto deipercorsi formativi lontani nel tempo e dilivello non elevato. La predisposizione alcambiamento e alla mobilità, anche fisi-ca, è molto bassa perché hanno famiglia efigli grandi. I più recenti percorsi di rein-serimento tentati (lavori socialmente uti-li, lavori di pubblica utilità), a volte ter-minati con l’assunzione, la cosiddetta“stabilizzazione”, negli enti locali, nonhanno conseguito, nella maggior partedei casi, i risultati attesi. Non si può facil-mente pensare ad una formazione che li”riqualifichi” da zero (ricordiamo l’infeli-ce suggestione: “da operai ad infermieri”). Rimane così aperto un problema che nonè risolvibile con gli ammortizzatori socia-li, che, seppur necessari, sono tempora-nei. E’ un più generale problema di politi-ca industriale: per imprese industriali che

muoiono ne nascono delle altre o sempli-cemente si abbandona il campo, trasfe-rendo la produzione in altri paesi a piùbasso costo del lavoro, ma anche a piùbassa professionalità? C’è anche un aspet-to di sviluppo territoriale locale: quali in-tuizioni hanno permesso la nascita di di-stretti industriali o di aree di sviluppo le-gate ad un’economia che recupera il terri-torio, dall’agricoltura, all’arte, al turismosostenibile?L’impressione conclusiva è che occorreandare oltre il facile slogan per cui ren-dendo flessibile il lavoro si creano le con-dizioni di una nuova prosperità. E chedunque è indispensabile tornare ad attri-buire alla questione del lavoro – come oc-cupazione e come tutela – una collocazio-ne centrale con riferimento non solo alprocesso produttivo ma anche e soprat-tutto ai diritti di cittadinanza. ■

7 gennaio 2003

• Il tasso di attività (persone 15-64 anni che lavorano o sonodisponibili a lavorare) è il più basso dell’Unione Europea:60,3% nel 2001 a fronte di una media dell’Unione Europea di68,7%.

• Il tasso di occupazione è del 54,5%, contro una media europeadel 63,4%.

• Il divario Nord/Sud non si è per nulla colmato anzi, in molticasi, si è accentuato. Ci sono due Italie del lavoro moltodiverse tra loro. Al Centro-Nord il tasso di disoccupazione è del5%, nel Mezzogiorno del 19,3%.

• Il lavoro nero o sommerso si presenta come una componentestrutturale dell’occupazione rappresentando quasi il 20% deltotale delle persone che lavorano.

• La inoccupazione e la disoccupazione si concentranoprevalentemente, e in modo fortemente difforme dalla mediaeuropea, tra i giovani, le donne e i lavoratori adulti-anziani.

• Il tasso di occupazione delle donne è del 40,7% a fronte di unamedia europea del 54,1%.

• La disoccupazione di lunga durata raggiunge l’8,3% contro unamedia europea del 4,9%. Ovvero ci sono persone che per lungotempo sono sistematicamente escluse dal mercato del lavoroufficiale.

• L’accesso alla formazione continua o permanente è riservato apoco meno del 30% delle persone che lavorano e distribuito inmodo da lasciar fuori da questa opportunità i più deboli, i menoistruiti, gli operai e coloro che lavorano nelle piccole imprese.

LAVORODISOCCUPAZIONEE POVERTÀ IN ITALIA

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50.000,00 € è il finanziamento che laCEI ha riconosciuto al Progetto Poli-coro per le attività dell’anno pastora-

le 2002/03. A sette anni dall’avvio e all’indomani delprimo Convegno nazionale, il Progettopromosso dall’Ufficio nazionale per i pro-blemi sociali e il lavoro, il Servizio nazio-nale per la pastorale giovanile e CaritasItaliana vedrà impegnati, a partire dal 1°febbraio 2003, circa 70 Animatori di co-munità in altrettante Diocesi d’Italia.

Sostenuti dagli Uffici pastorali e dalle as-sociazioni componenti la Filiera tecnica(Cenasca Cisl, Confocooperative, BancaEtica, Acli) e dell’evangelizzazione (Azio-ne Cattolica, Gi.O.C, Giovani delle Acli)questi animatori pastorali accompagne-ranno i giovani, disoccupati o vittime dilavoro irregolare, nella riscoperta della di-gnità e del valore vocazionale del lavoro,spesso nell’avventura dell’autoimprendi-torialità.La Segreteria nazionale del Progetto ha da

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Parola d’ordine…accompagnare!

Monica Tola

L’occupazioneal Sud

e il “progettoPolicoro”, a

sette annidal suo avvio

Da LocriL’UTOPIA

“L’utopia”, cooperativa sociale con sede aGioiosa Ionica (RC) nasce nel novembre del ’99.Occupa 11 trentenni, 4 dei quali con lievihandicap fisici o psichici, in tre diversi settori:informatica, confezioni tessili, commercio equo.Ha curato, tra gli altri, la realizzazione del sitowww.progettopolicoro.it; inoltre, è in costruzionewww.bottegasolidale.com dedicato alle botteghedel commercio equo e solidale, alle cooperativesociali di tipo B e alle imprese nate nell’ambitodel Progetto Policoro. Attualmente è in fase di studio e preparazione unprogetto per l’ingresso della cooperativanell’ambito del turismo sociale. Francesca,vicepresidente della cooperativa: «Abbiamosempre cercato la collaborazione sul territorio. Èsignificativa la sinergia con i servizi sociali e gliUffici pastorali della Diocesi. Il vescovo, Mons.Bregantini, è per noi un sostegno e un promoterd’eccezione». Il Centro Serviziall’imprenditorialità giovanile della Diocesi diLocri-Gerace è gestito dall’associazione da cui è

IL PAESE NON CRESCERÀ SE NON INSIEMEsentieri di riscatto e prospettive di inserimento

nata “L’utopia”. «Ci riconosciamo da sempre neivalori del Progetto Policoro e vogliamo essernetestimoni: la nostra esperienza dimostra che èpossibile essere protagonisti del proprio lavoro»,dice Patrizia, il presidente. Non sono molte lecooperative sociali della Locride. “L’utopia”promuove attivamente il primo Consorzio traqueste realtà della zona, soprattutto perrafforzarsi nei rapporti con le istituzioni esuperare insieme le difficoltà burocratiche. «Èimportante – conclude Francesca – concretizzare ivalori con l’azione. Non basta educare all’internodi contesti privilegiati. Occorre uscire, alzarsi lamattina per cambiare almeno la propria fettina dimondo».

Da NotoSTEFANIA e DANIELA

Daniela e Stefania, 30 anni, sono assistentisociali. Hanno lavorato per tre anni con unaCooperativa nel settore del servizio domiciliare ehanno colto un bisogno sul loro territorio: ladisponibilità di strutture in grado di ospitareanziani e disabili per periodi di vacanza.

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poco avviato il monitoraggio di quantorealizzato dal dicembre 1995 ad oggi.L’indagine è solo all’inizio ma ha già rile-vato quasi 300 nuovi posti di lavoro av-viati nel Sud Italia e distribuiti in oltre160 imprese, tra cui 64 cooperative, soste-nute in vario modo da concreti gesti disolidarietà delle Chiese particolari di rife-rimento.Tre gli impegni prioritari per il prossimoanno:

• rilanciare con decisione i rapporti di re-ciprocità tra le Chiese locali del Nord equelle del Sud Italia, invitandole alloscambio di doni in campo pastorale, so-ciale e di cultura d’impresa;

• concretizzare il rinnovato impegno for-mativo rispetto ai giovani individuatiper essere Animatori di comunità echiamati a coniugare competenze tecni-che e pastorali;

• realizzare una fiera nazionale delle im-

prese promosse dagli operatori del Pro-getto.

Tutto sostenuto dalle convinzioni di sem-pre: l’importanza del lavoro d’insieme(tra gli Uffici pastorali e tra questi e le ag-gregazioni laicali) e dell’assunzione, daparte delle Chiese locali, di specifici stru-menti pastorali per affrontare il problemadella disoccupazione in una prospetti-va di evangelizzazione e promozioneumana. ■

9 gennaio 2003

«Sentivamo il bisogno di superare la precarietàdella situazione lavorativa, ma non volevamolasciare la Sicilia». Qualche mese fa, un’amica,socia dell’Agesci – associazione che fa parte dellaFiliera dell’evangelizzazione del Progetto Policoro– ha segnalato alle ragazze il Centro Serviziall’imprenditorialità della Diocesi di Ragusa. Dopoqualche incontro con l’animatrice di comunità,Daniela e Stefania hanno partecipato a un corso diformazione di primo livello: «È stato utilissimo perchiarirci le idee. Ci ha colpito la disponibilità deidocenti: uno di loro, attualmente, ci accompagnanell’approccio alla legge 215 sull’imprenditorialitàfemminile». Daniela e Stefania hanno giàindividuato la struttura di ospitalità, e pensano dicoinvolgere altri giovani per avviare un’impresacooperativa. «Ci incoraggia aver trovato dei puntidi riferimento. La prospettiva di essere artefici delnostro lavoro ci da sicurezza. Finalmente potremovalorizzare le nostre competenze».

Da PotenzaBIOFLORES-RICERCA NUOVA

La cooperativa sociale “Bioflores ricerca nuova”nasce nel luglio del ‘99. I nove soci, tra i 28 e i 40anni d’età, tre dei quali svantaggiati per handicapfisici, sono impegnati nel settore dell’apicoltura:produzione di miele, propoli, pappa reale, polline e

lavorazione della cera. Gli alveari sono ospitatisu un terreno che la Diocesi di Potenza haconcesso in comodato d’uso gratuito per noveanni. Anna, presidente della Cooperativa:«Siamo ancora in fase di start up: per orapreferiamo pagare tutte le spese piuttosto cheavere un’entrata “fissa”». L’impresa è “figlia”del Progetto Policoro: «Abbiamo partecipato findall’inizio agli incontri proposti. Siamo cresciutinella convinzione che il Paese non crescerà senon insieme: abbiamo costituito la cooperativa eviviamo ogni giorno la sfida della solidarietàreciproca e del lavoro di squadra». Le lentezzeburocratiche rischiano di condizionare l’attivitàdell’impresa ma non mancano idee per il futuro:aumentare la produzione e consolidare lacooperativa per poi sperimentarsi conl’agriturismo e l’allevamento dei lumaconi. «Èimportante crescere nel lavoro di rete tracooperative. Qualche esperienza è partita, maoccorre rafforzarla. Il bello della cooperazionesta nel creare insieme».

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Sciagura o benedizione? La “devolu-tion” proposta dall’on. Bossi ha su-perato in fretta il primo esame parla-

mentare. Non è detto che gli altri tre pas-saggi (è una modifica della Costituzione)saranno agevoli. E ci potrà essere il refe-rendum confermativo. Ma il confronto ècominciato e mette in condizione, alme-no, di sapere di che cosa si tratta e di qua-li potranno essere le conseguenze.Il testo approvato dal Senato si agganciaall’art. 117 della Costituzione, varato nel-le scorsa legislatura. Non ne tocca l’im-pianto basato sulla indicazione delle com-petenze “esclusive” dello Stato (per esem-pio, la difesa, la giustizia) e di quelle“concorrenti”, per le quali lo Stato defini-sce i principi e i parametri ugualitari. Tut-to il resto è demandato alle Regioni. Nécontesta l’art. 116 della Costituzione do-ve si consente che con apposita legge pos-

sano essere attribuite ad una Regionecompiti aggiuntivi rispetto a quelli scrittinella Carta, realizzando così un sistema apiù velocità.

Il senso del verbo “attivare”Semplicemente, la proposta Bossi stabili-sce che le Regioni “attivano” la compe-tenza esclusiva per le seguenti materie: as-sistenza e organizzazione sanitaria, orga-nizzazione scolastica e definizione dellaparte dei programmi scolastici e formatividi interesse specifico della Regione; ed in-fine, la polizia locale.Si noti che è già incardinato in Parlamen-to un Disegno di Legge governativo (LaLoggia) volto a regolare ordinatamente ilpassaggio dal vecchio al nuovo assettoistituzionale. Ma la ragion politica dichia-rata ha imposto di mettere la “devolu-tion” su una corsia preferenziale. Con

“Devolution”e povera gente

Domenico Rosati

gennaio 2003 10

Un verofederalismo

esige unamaggiore

solidarietà.Diversamente

si corre ilrischio diun’Italia

sociale a piùvelocità, e

con dislivelligravi di

giustizia. Lacostruzione

migliora se siparte dallacondizione

delle personenelle diverse

aree delpaese

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quali conseguenze? Curiosamente, i sostenitori della propostahanno affermato che con essa non cam-bia quasi nulla, mentre gli oppositorihanno prefigurato scenari da incubo. Percapire meglio conviene mettere a fuoco ilpunto essenziale di differenza. Che statutto in quell’“attivano la competenza le-gislativa esclusiva”, in base al quale le sin-gole Regioni possono in definitiva sottrar-si, con un atto unilaterale, al regime di“legislazione concorrente” sulle materieindicate. Per farlo, infatti, non hanno bi-sogno di una legge votata dal Parlamentonazionale che le autorizzi a farlo, comeinvece è scritto nell’art. 116. È la stessa cosa? Non precisamente. Men-tre infatti nella struttura in vigore l’attri-buzione di nuove competenze ad una Re-gione diventa una “questione nazionale”che esige una delibera di Camera e Senatoa “maggioranza assoluta”, in quella dellaproposta Bossi un Consiglio regionalepuò procedere da solo al “distacco”, di-chiarando una sorta di “secessione legisla-tiva”.

Il tema dei ricchi e poveriMa c’è anche un aspetto sostanziale cheinteragisce con le diverse potenzialitàeconomiche delle Regioni e quindi con leattese e i bisogni delle popolazioni. Il ti-more è che solo le Regioni più ricche sia-no in condizione di attivare la competen-za esclusiva in tema di sanità, scuola e po-lizia locale; mentre le regioni più povereresterebbero al palo. Come e da chi saran-no regolati i flussi finanziari, una voltacompiuto lo sganciamento dal coordina-mento nazionale? Lo scenario, un pò allucinante, è quellodi un sistema a tre velocità: quelli che“attivano” la competenza esclusiva, quelliche non ce la fanno e restano nell’orbitadi uno Stato (a quel punto residuale) equelli che, al limite, invocano l’art. 116per negoziare con lo Stato forme partico-lari di autonomia. Ma in questa prospetti-va qual è la sorte dell’eguaglianza dei di-ritti sociali e civili sul territorio naziona-le? Come si coniugano autodeterminazio-ne e solidarietà, in assenza di riferimentivincolanti a parametri ispirati al principiodi uguaglianza che pure rimane nella pri-

11 gennaio 2003

ma parte della Costituzione? E che impat-to ha tutto questo sulle condizioni dellapovera gente, nel momento stesso in cuisi riscontrano difficoltà nella stessa for-mulazione dei “livelli essenziali” di pre-stazioni valide per tutto il territorio na-zionale?

Istituzioni e cittadinanza socialeGiustamente anche nel confronto parla-mentare è stata posta una questione nonsempre considerata nel confronto sulleriforme istituzionali. È stato detto cioèche ogni “novella” costituzionale deve es-sere in armonia con i principi fondamen-tali della Carta. Più in chiaro: poiché laCostituzione non è un… regolamento dicondominio, ogni modifica dell’organizza-zione della convivenza deve essere sem-pre in funzione dell’attuazione dei fini dilibertà e di giustizia per tutti i cittadinidella Repubblica e mai in contrasto conessi.Si potrebbe concludere che la confusioneè grande sotto il cielo e che il passaggio alfederalismo è problematico quando nonsi tratta di conferire poteri al centro ma disottrarli. C’è da credere che l’obbiettivopossa esser raggiunto se i prossimi passag-gi saranno meno concitati e più pondera-ti. ■

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Le cooperative sociali non sono deiluoghi che possono essere confusicon un “party tra amici” dove tra-

scorrere allegramente il proprio tempo li-bero; e non sono neanche una sorta di“raduno rave”, al quale non si sa mai concertezza chi partecipa, dove e quanto alungo.Inquadrata nel Terzo settore (tra Stato eMercato), la cooperazione sociale sembraessere oggi una originale e importanteforma di presenza sociale e di impresaeconomica che intende dare un propriocontributo a politiche sociali e del lavorodi tipo solidaristico, progettate e percepitecome “una risorsa per il Paese e per lo svi-luppo”, in linea con la Legge 381/1991che recita: “le cooperative sociali hannolo scopo di perseguire l’interesse generaledella comunità alla promozione umana eall’integrazione sociale dei cittadini, attra-verso: la gestione di servizi socio-sanitaried educativi; lo svolgimento di attività di-verse – agricole, industriali, commercialio di servizi – finalizzate all’inserimentolavorativo di persone svantaggiate”.È questo, in sintesi, il filo interpretativoche può accompagnare la lettura dell’ulti-ma e articolata ricerca “Comunità coope-rative - Terzo Rapporto sulla cooperazio-ne sociale in Italia” (324 pagine, Torino2002), promossa e curata del Centro StudiCGM di Brescia e pubblicata presso le Edi-zioni della Fondazione Agnelli.

Tra impresa e societàSecondo il Rapporto, le cooperative svol-gono un compito che ha una seria porta-ta economica e una importante rilevanzasociale. La portata economica le collocainevitabilmente in un segmento dell’eco-nomia ma che non ha nel solo profitto laragione del proprio essere ed agire. D’al-

tro canto, esse sono imprese con obblighiamministrativi e con la necessità di un bi-lancio aziendale che copra almeno le spe-se di gestione. Inoltre, sono soggette al di-vieto di distribuzione degli utili tra i soci. Per quanto attiene alla rilevanza sociale,hanno la duplice funzione di creare esvolgere servizi, in vari settori: socio-sani-tari, educativi e di inserimento lavorativo,con una particolare attenzione ai soggettideboli (portatori di handicap, dipendentida droga o alcool, persone con disagiopsichico, carcerati, giovani a rischio,ecc.).

Cosa fanno, dove operanoOggi in Italia operano 5.600 cooperative so-ciali, che danno lavoro a 157.000 persone(di cui 14.900 in situazioni di svantag-gio). In epoca recente, nel mondo dellacooperazione ha fatto il suo ingresso ilcosiddetto “fenomeno consortile”, cioè iConsorzi: una forma “reticolare” di aggre-gazione, collegamento, integrazione ecollaborazione, un modo di ricoprire, di-

Non soloper profitto

Francesco Meloni

gennaio 2003 12

Quando lacooperazione

è sociale esolidale: tra

Stato eMercato,

ruolo, limitie prospettive

dellecooperative

sociali inItalia

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rettamente o indirettamente, funzioni dirappresentanza politica e supporto all’at-tività imprenditoriale. Se ne contano già207 (un consorzio ogni 28,3 cooperative).La Legge 381/91 assegna alla cooperazionesociale il compito di perseguire l’interessegenerale della comunità e la promozioneumana e sociale dei cittadini, attraversotre modalità:• “Cooperative di tipo A” (55% del totale)

con la realizzazione di servizi socio-sa-nitari ed educativi (comunità alloggio,assistenza domiciliare, gestione asili,servizi di orientamento, ecc.).

• “Cooperative di tipo B” (40% del totale)con l’inserimento lavorativo di soggettisvantaggiati (alcooldipendenti. tossico-dipendenti, detenuti, persone in tratta-mento psichiatrico, giovani in diffi-coltà, ecc.) attraverso attività produtti-ve, commerciali e agricole.

• Esistono anche le cooperative cosiddet-te “miste” (5% del totale) che presenta-no entrambe le caratteristiche.

In sostanza, il valore della cooperazionesociale è proprio quello di portare nelmondo economico la sfida della solida-

rietà. La nostra Costituzione lega insieme,e non casualmente, il riconoscimento deidiritti inviolabili dell’uomo e la garanziadelle formazioni sociali con “l’adempimen-to dei doveri inderogabili di solidarietà politi-ca, economica e sociale” (articolo 2). È que-sto il legame sociale e di solidarietà che tie-ne insieme i mondi che compongono il“sistema-Paese”, a cui tutti siamo chiama-ti a partecipare: nelle comunità locali maanche nelle scelte più generali dell’econo-mia e della politica.Oggi, la ritirata del settore pubblico dallagestione diretta dei servizi, rischia di daredeleghe in bianco alle cooperative. E qui,come sostiene il sociologo Achille Ardigò,esiste la possibile deriva economicistica diuna cooperazione sociale che punti so-prattutto a perpetuare la propria offerta diservizi, trasformandosi o in impresa eco-nomica di puro profitto o attestandosi inun “parastato” subordinato e dipendentedal settore pubblico. Un rischio da evita-re, pena la perdita del ruolo eminente-mente “sociale”, non solo della coopera-zione ma di tutto il Terzo settore. ■

13 gennaio 2003

Le cooperative italiane agiscono in vari settori: nell’assistenzasociale (2.397cooperative, pari al 51,5% del totale), nellosviluppo economico e sociale (692, pari al 14,9%), nella cultura,sport e ricreazione (476 unità, pari al 10,2%), nella sanità(7,8%), nell’istruzione e nella ricerca (2,9%), nell’ambiente(1,4%) nella cooperazione internazionale (solo 10 cooperative).Nell’insieme, per il 2001, hanno prodotto un giro d’affari di 3,6miliardi di Euro, a fronte di un volume di uscite pari a 2,9miliardi di Euro, con un saldo aggregato positivo, pari a 41milioni di Euro.Nel complesso, 3.980 di esse si avvalgono di dipendenti (85,6%del totale), 84 occupano lavoratori distaccati (1,8%), 1.088utilizzano collaboratori (23,4%), 2.368 ricorrono a volontari(50,9%), 167 registrano la presenza di religiosi (3,6%) e 828contano tra le loro risorse umane gli obiettori di coscienza(17,8%). Oltre agli operatori retribuiti, con esse collaboranocirca 23.000 volontari.Per la distribuzione territoriale, le cooperative “attive” sonolocalizzate in modo piuttosto “polarizzato” e non più a “macchiadi leopardo”, come negli anni passati: il 49,2% nelle Regionidel Nord Italia, il 33,8% (un terzo) nel Mezzogiorno, il 17% nelleRegioni dell’Italia centrale.

LE COMUNITÀ COOPERATIVEchi, come, dove

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La ricerca delle cause di povertà edemarginazione nel ricco Nord Est: èquesta la motivazione, su precisa in-

dicazione espressa nel ’98 della Conferen-za Episcopale del Triveneto, che ha carat-terizzato il secondo Rapporto “La solitu-dine dei poveri”.Allo Studio hanno partecipato 13 Caritasdiocesane su 15: Belluno, Bolzano-Bressa-none, Concordia-Pordenone, Gorizia, Pa-dova, Rovigo, Treviso, Trento, Trieste,Udine, Venezia, Vittorio Veneto, Vicenza.È stata approfondita in particolare la si-

tuazione degli italiani poveri. Una realtàche sconcerta e che stride, soprattuttoperché in un territorio composto da Re-gioni che hanno tassi di disoccupazionemolto bassi e livelli di reddito elevati, conun prodotto lordo pro capite che superaquello medio nazionale del 18%.

Questi i poveri del ricco Nord Est Utilizzando le rilevazioni della Commis-sione nazionale sull’esclusione sociale sigiunge ad una stima pari a 110.000 perso-ne in condizione di povertà assoluta;

mentre i poveri in senso relativo(quelli, per intenderci, che per-cepiscono un reddito inferiorealle metà del reddito medio procapite) sarebbero circa 400.000.L’osservatorio costituito dai CdArende conto in particolare dellepovertà gravi: circa una personaogni 4/5 è entrato in contattocon i CdA o con qualche altrastruttura della Caritas diocesana(la stima è di 18.000 individui). Duramente colpite le persone di-soccupate (70%), con scolarizza-zione molto bassa (il 30% nonva oltre la quinta elementare,l’80% non oltre la terza media),adulte. E poi c’è l’intreccio tra po-vertà e solitudine, invisibilità enon ascolto: il 48% degli utentivive da solo, il 34% con i paren-ti; il 50% non ha mai costituitouna propria famiglia, uno su treha sperimentato la dissoluzionedi un precedente rapporto (rara-mente per il decesso del con-giunto), uno su 4 vive un rap-porto coniugale. I maschi sono colpiti da depriva-zioni più pesanti delle donne: iso-

E per compagna…la solitudine

a cura di Fernanda Scarmagnan

gennaio 2003 14

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Povertà edemarginazionenel ricco Nord

Est: lafotografia delterritorio nel

SecondoRapporto dei

Centrid’Ascolto

Caritas

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15 gennaio 2003

lamento sociale e familiare, accompagna-to spesso a sintomi di disagio, come la di-pendenza, il disagio psichico o problemiderivanti dalla detenzione. La povertà delle donne è più nascosta nellecase e nella vita familiare: in parte per ilreddito basso che caratterizza donne pen-sionate, casalinghe o disoccupate; in par-te per la dissoluzione del rapporto coniu-gale: la responsabilità di occuparsi dei fi-gli ricade quasi sempre su di loro. Il Rapporto si concentra quindi su tregruppi: i solitari, le coppie con figli e ledonne sole con figli. I primi vivono la si-tuazione più difficile: il 30% ha visto lacrisi di un rapporto coniugale e l’11% èvedovo. Quasi due terzi di loro è privo diun lavoro, in particolare i maschi più gio-vani (3/4). Il loro atteggiamento è sostan-zialmente passivo: solo il 4,5% chiedeaiuto per trovare un lavoro, gli altri si li-mitano a richieste di tipo assistenziale. Le coppie con figli si avvicinano di più al-l’immagine tradizionale della povertà. Sitratta di famiglie formate da coppie abba-stanza giovani (spesso conviventi), conun numero di figli superiore alla media (il54% ne ha più di tre), in grande maggio-ranza monoreddito, con entrate modestee precarie e livelli di scolarizzazione estre-mamente bassi. Infine, le famiglie formate da una madresola con figli. Queste donne sono in mag-gioranza separate o divorziate, lavoranopiù spesso di altri gruppi, sono meno difrequente prive di abitazione o di reddito,hanno livelli di scolarizzazione meno bas-si. A pesare, su di loro, è soprattutto il ca-rico dei figli, in carenza di reti familiari disupporto e nella modestia delle risorseeconomiche. Non a caso si rivolgono allaCaritas soprattutto alla ricerca di sussidieconomici.Chiedono generi di prima necessità, comevestiti e alimenti: Il che dimostra che “an-che nel ricco Nord Est non basta avere fi-gli minori, se si è nelle età centrali, per ot-tenere un sostegno adeguato da parte deiservizi pubblici”.

Limiti della protezione socialeLoro, i poveri, diventano così lo specchio“dei limiti dell’offerta pubblica di assi-stenza” e la “spia di carenze più generali

del nostro sistema di welfare”. Da questo punto di vista, il Rapporto in-dividua e denuncia molteplici situazioni:la mancanza di una politica della casa e laristrettezza dell’offerta di alloggi per situa-zioni di difficoltà; l’assenza di misure direddito minimo a tutela delle situazionidi grave emarginazione che colpiscono lefasce di età centrali e le persone esclusedal mercato del lavoro “ufficiale”; la ca-renza di servizi di aiuto alla famiglia e disostegno alla genitorialità e la scarsa con-siderazione sociale del “costo dei figli”;l’insufficienza delle tutele offerte per alcu-ne patologie sociali (dipendenza e distur-bi psichici) rispetto a quelle garantite peraltri tipi di disagio (handicap e malattia).Le soluzioni indicate? Pensare a una iniziativa più convinta daparte dei servizi pubblici e di specifiche ri-sorse, individuare “percorsi di sostegno e diaccompagnamento che vedano una pluralitàdi soggetti assistenziali collaborare tra di lo-ro, condividendo progetti e interventi, suddi-videndo compiti e responsabilità, integrandointerventi volti all’inserimento lavorativo conquelli sociali, facendo cooperare insieme or-ganizzazioni di società civile e servizi pubbli-ci, azione del volontariato e intervento pro-fessionale”. ■

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Ruolo,funzione eprospettive

dei Centri diascolto:

una letturasocio-

pastorale

Poveri e solinel Nord Est

Giuseppe Pasini

L’attenzione dei Media, in occasio-ne della pubblicazione del 2° rap-porto dei Centri di Ascolto delle

chiese del Nord Est, si è concentrata piùsui dati relativi alla povertà, che sul valo-re sociale dei Centri stessi.La ragione di questo sbilanciamento va ri-cercato probabilmente nella disillusionesuscitata dai dati medesimi. Il miracoloeconomico, che ha accompagnato negliultimi decenni lo sviluppo di questa partedel Paese, non è riuscito a debellare la po-vertà. Sono circa 60.000 le persone chehanno bussato in cerca di aiuto ai centridelle Caritas, nel corso del 2001: per unterzo si tratta di nostri connazionali.Gli italiani che si sono rivolti ai centri diascolto versano per lo più in condizioni

di povertà grave: assenza di risorse essen-ziali (oltre il 20% è privo di un reddito),assenza di un lavoro degno di questo no-me (il 51% è disoccupato e solo il 6,6% èoccupato a tempo indeterminato), priva-zione di una abitazione stabile (una per-sona su cinque non ha casa).In particolare, al di là delle carenze eco-nomiche, emerge in termini drammaticila povertà esistenziale: il 48% degli italianipoveri vive in solitudine; uno su tre hasperimentato la dissoluzione di un prece-dente rapporto. La metà non ha mai co-stituito una propria famiglia. La mancan-za di affetto e di legami familiari e le diffi-coltà della vita sembrano insuperabili.Qualcuno trova la forza per continuare avivere nell’alcool, ma sperimenta una di-

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17 gennaio 2003

scesa continua. Povertà e solitudine spes-so si intrecciano strettamente. La solitudi-ne sembra costituire la situazione norma-le, associata a condizioni di estrema po-vertà.Si verificano, inoltre, situazioni non raredi caduta improvvisa dal benessere allapovertà: ci sono persone rovinate dal gio-co – sono cresciute le cliniche per guariredalla dipendenza del gioco – come è suc-cesso ad un ex manager di successo, chein pochi anni s’è mangiato una fortuna alvideopoker ed è finito al dormitorio dellaCaritas; analogamente ci sono professio-nisti, funzionari imprenditori rovinati dafallimenti familiari.I centri di ascolto delle Caritas sono unicinel loro genere. Oltre a rispondere a fina-lità pastorali di ascolto e di orientamentodelle persone in difficoltà, essi svolgonoanche un ruolo di supplenza nell’ambitodelle Amministrazioni civili: comune-mente non esiste, infatti, il costume diprogrammare le politiche dei servizi, apartire da una lettura attenta dei bisogni.Il rapporto mette in guardia i responsabilidi questi preziosi strumenti pastorali datre rischi: quello di trasformarsi in forni-tori di semplice assistenza senza impe-

gnarsi a costruire una vera promozioneumana; il rischio inoltre di deresponsabi-lizzare l’amministrazione pubblica: peresempio, è sconcertante che nel 15% deicasi, siano i servizi pubblici del Comune amandare i poveri alle Caritas, anziché far-sene carico in prima persona); infine, c’èil rischio che venga deformata l’immagi-ne stessa della Caritas e che essa venga re-cepita come centro assistenziale, anzichécome centro di animazione pastorale allacarità.Un suggerimento perciò emerge dal Rap-porto: meglio sarebbe che i Centri diascolto venissero chiamati “Centri diascolto parrocchiali e diocesani”, inveceche Centri di ascolto Caritas. È la comu-nità infatti, nel suo insieme, il soggettoresponsabile della propria crescita nellacarità e dell’attenzione ai poveri. Inoltre il superamento del fenomeno del-la povertà moderna, esige un coinvolgi-mento di tutti gli Uffici pastorali, di tuttigli operatori pastorali (catechisti, anima-tori liturgici, ecc.) e soprattutto dei Consi-gli pastorali. Tale coinvolgimento sarebbepiù facile se tutti potessero guardare alCentro di Ascolto come ad un servizio pa-storale comune. ■

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Il vulcano e il terremoto in Sicilia.Il sisma in Molise e Puglia. Le al-luvioni nelle regioni del nord. È

stato l’autunno inoltrato delle emer-genze. Un rosario di calamità, che hamesso a nudo l’eterno Belpaese deidissesti. Ma ha ribadito che esiste unpaese pronto a tendere la mano.Francesco Carloni, a capo dell’Ufficioemergenze e salvaguardia del creatodi Caritas Italiana, fa il pendolo traLarino e l’Etna. E intanto riflette.

Emergenze sotto i riflettori: comesi concilia il compito pedagogicodella Caritas con lo sforzo logisti-co, i tempi rapidi, gli interventiassistenziali e la ricostruzionemateriale tipici di un’emergenza?

L’azione Caritas si preoccupa della dimen-sione psico-sociale e socio-assistenzialedei problemi causati da una calamità,proiettandosi nel medio-lungo periodo. Ilcompito del primo soccorso e del salva-taggio di vite umane è appannaggio di al-tre agenzie. Ma ciò non significa che Cari-tas Italiana, e la rete delle realtà ecclesialilocali, non debbano essere presenti neimomenti immediatamente successivi aun disastro. I sopravvissuti manifestanobisogni di tipo materiale, ma anche spiri-tuale e morale. Noi ci occupiamo dellepersone “oltre la transenna”: quelle messeal sicuro dal vigile del fuoco, che avendosalva la vita necessitano però di una vici-nanza premurosa.

Ma come sottrarsi al rischio diazioni improvvisate o dettate dal-l’emozione mediatica?

Un accorgimento fondamentale, provatoda ripetute esperienze: occorre partire dal-la periferia di un evento, non focalizzarsi

solo sull’epicentro, esplorare i bordi delcratere di crisi. Si scoprono, in quelle areemarginali, bisogni destinati a rimanereper mesi in un cono d’ombra, non rag-giunti dai circuiti del soccorso e mediati-ci, o dagli stessi circuiti ecclesiali.

Cosa significa operare in un setto-re in cui si registra un proliferaredi sigle e, talvolta, un eccesso dirisposta rispetto ai bisogni reali?

Il rischio è sempre in agguato, nelle emer-genze contemporanee e mediatizzate. Si èverificato anche nel caso del terremotodel Molise, soprattutto attorno a San Giu-liano e ai suoi bambini. Il sistema di pro-tezione civile, però, nel corso degli anni siè affinato: anche in Molise la disciplina el’efficacia dell’intervento sono state mag-giori che in passato. Sul fronte ecclesiale,Caritas si propone di educare la storicapropensione all’aiuto e alla solidarietàpropria del mondo cattolico. Il rischio diun eccesso di risposta non ci esime dal-l’intervenire. Anche perché noi ragionia-mo su tempi medio-lunghi, quando sugliattori locali ricade da un lato la responsa-bilità degli interventi di ricostruzione, ed’altro canto un senso di abbandono. Inquei frangenti si rimane in pochi, e il pe-ricolo di sovrapposizioni viene meno.

Società civile e donatori chiedonosempre maggiori garanzie sul cor-retto e trasparente impiego delleofferte: come risponde Caritas?

Anzitutto con una rigorosa analisi dei bi-sogni, resa possibile da strumenti specifici(centri d’ascolto, osservatori delle po-vertà) e in definitiva dalla capillarità delsistema-parrocchie. Essa permette di di-mensionare le risposte in funzione delleesigenze reali, e questo è garanzia di cor-

gennaio 2003 18

Oltre le transennee ai bordi dell’epicentro

Paolo Brivio

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Il dopo-emergenze e

quando sispengono i

faridell’attualità

mediatica:riflessioni emodalità di

azione diCaritas

Italiana

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retta allocazione delle risorse. La traspa-renza? Siamo abituati a rendere ragionedei criteri d’azione che ci guidano e a do-cumentare i nostri interventi. Faremo al-trettanto anche con i fondi raccolti per lerecenti emergenze.

Caritas Italiana esiste da trent’an-ni. Il sistema di risposta alleemergenze nel frattempo si è evo-luto: anche la cultura della pre-venzione?

Purtroppo è ancora molto labile. Le ulti-me emergenze confermano un malcostu-me tutto italiano, che si parli di ediliziascolastica o di manutenzione del territo-rio. È come se non volessimo impararedalle disgrazie già accadute, rimuovendole lezioni del passato:in Italia il grado di dis-sesto idrogeologico edi vulnerabilità degliedifici è ancora moltoelevato. La Caritas haun ruolo, anche inquesto ambito. Non acaso esiste oggi un uf-ficio “emergenze e sal-vaguardia del creato”:un tema, quest’ulti-mo, che deve interpel-lare sempre più da vi-cino la chiesa.

La vicinanza allecomunità colpiterappresenta un’e-sperienza di cre-scita spirituale e pastorale, oltreche un imperativo morale?

L’esperienza insegna che, nei mesi e neglianni successivi a un disastro, si incontra-no le sensibilità e le culture delle tanteItalie che abitano il nostro paese, e questoè un grande arricchimento, anche sul ver-sante ecclesiale. È vero, inoltre, che nellesituazioni di crisi si manifestano paure,egoismi e protagonismi individuali: ma sesi lavora per mettere a nudo queste chiu-sure, si riesce quantomeno ad abbozzareforme nuove di socializzazione. Far capireche dalle difficoltà si sortisce insieme: èuna conquista difficile, ma è la conquistapiù bella. ■

19 gennaio 2003

Sembra una contraddizione in termini, ma “progettare laprossimità” è lo sforzo cui si sono dedicate Caritas Italiana e lerealtà Caritas locali, all’indomani delle calamità naturali che, traottobre e dicembre, hanno interessato l’area siciliana attornoall’Etna (eruzione del vulcano e terremoto), il Molise e l’altaPuglia (terremoto), infine Liguria, Lombardia e Friuli (alluvioni).Lo slancio e la spontaneità con cui tante persone e tantecomunità, in tutto il paese, hanno inviato offerte o si sono messea disposizione è stato canalizzato nell’azione dei centri dicoordinamento interregionali, che avranno la regia dei Piani diprossimità pensati per le prime due emergenze, e delle reti dicollegamento regionali, che orchestreranno gli interventi nellearee del nord alluvionate.Il centro di coordinamento di Larino, in Molise, sta seguendo giàda fine novembre la ristrutturazione dell’istituto scolastico“Rosano” di Larino, ma soprattutto funge da perno per il Progetto

gemellaggi, che ha già visto molte delegazioniregionali Caritas entrare in contatto con parrocchiedell’area colpita dal sisma: oltre agli aiuti finanziari emateriali, i gemellaggi prevedono l’invio di volontari(alcuni operativi da metà dicembre) per accompagnarele comunità parrocchiali nella gestione dei centrid’ascolto e dare vita a forme di vicinanza alle personepiù bisognose. Quanto ai centri di comunità, edificiprefabbricati adibiti a ospitare attività pastorali, socialie culturali, il centro di coordinamento Caritas haindividuato i paesi dove è necessario intervenire e stadando avvio alla costruzione delle strutture. Vengonoinfine finanziati microprogetti e interventi mirati (ilprimo, l’attivazione di un forno per il pane aProvvidenti), volti a riattivare il tessuto sociale edeconomico locale.In Sicilia, il centro di coordinamento Caritas di Acirealeha provveduto ad attrezzare centri d’ascolto nellelocalità di Guardia, Milo e Santa Venerina, oltre agestire i gemellaggi e a inviare volontari e operatorinei campi di prima accoglienza degli sfollati per attivitàdi animazione. Tra i progetti allo studio, spiccano

l’attivazione di un servizio per l’aggiornamento legislativo inmateria di ricostruzione, di un fondo diocesano per il sostegnoeconomico a famiglie in difficoltà e di percorsi formativi perconsentire a operatori Caritas di agire in situazioni di emergenza.Nelle regioni alluvionate del nord, sono state individuate leCaritas diocesane di Genova, Bergamo e Pordenone come puntodi riferimento per le reti di collegamento locali. Le realtàdiocesane Caritas sono intervenute nella fase acutadell’emergenza fornendo indumenti e coperte alle famigliesfollate, organizzando accoglienze per gli studenti dei centrimontani colpiti al fine di consentire loro di proseguire gli studi,collaborando alla distribuzione di acqua potabile e alla ripulituradegli edifici allagati. In prospettiva, si stanno mettendo a puntofondi diocesani di solidarietà, per sostenere le famiglie piùbisognose, e altre forme di intervento, legate alle specificitàlocali.

PROGETTARE LA PROSSIMITÀ

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Mettere in cantiere le misure piùconsone a limitare le sofferenzedella popolazione civile, che sa-

ranno comunque acutissime: il networkinternazionale Caritas si è preparato conquesto spirito, nella seconda parte del2002, a un appuntamento con la storiacontemporanea apparso, con l’andar deltempo, via via più ineluttabile. L’organi-smo internazionale e i suoi membri han-no insistito sull’inaccettabilità di un nuo-vo intervento militare contro l’Iraq, conprese di posizione che hanno sottolineatoil timore di conseguenze umanitarie pe-santissime, ma ancor prima l’inadegua-tezza etica e la discutibilità legale del ri-corso allo strumento bellico nelle circo-stanze attuali. Le azioni di informazione esensibilizzazione rivolte agli ambienti ec-

clesiali, alle classi politiche e alle opinionipubbliche di molti paesi hanno riecheg-giato i pronunciamenti della chiesa uni-versale: ultimo, poco prima di Natale, inoccasione della presentazione del messag-gio papale per la Giornata della pace, illapidario giudizio con cui monsignor Re-nato Martino, presidente del pontificioconsiglio Giustizia e Pace, ha affermatoche la guerra preventiva «non è strumen-to di giustizia» ed è «in realtà aggressiva»,non potendo nemmeno essere ricondottaa una situazione «in cui prima c’è l’offesae quindi, in base a questa, la difesa».

Almeno diecimila mortiMentre rilanciavano queste considerazio-ni, Caritas Internationalis e molte Caritasnazionali hanno operato per non farsi co-

gennaio 2003 20

Le ferite prevedibilidella guerra inaccettabile

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gliere di sorpresa dalla prevedibile emer-genza. «La guerra in Iraq scoppierà sicura-mente, forse si tratterà addirittura diun’invasione del paese», è stato ripetutopiù volte a Roma, a metà dicembre, nelladue giorni che Caritas Internationalis hadedicato, nella sua sede, alla valutazionedel lavoro compiuto e degli scenari immi-nenti. Lo sguardo sul futuro era percorsoda una (angosciante) consapevolezza,suggerita dalle esperienze del passato maavvallata anche dalle previsioni di autore-voli studiosi: l’eventobellico non potrà noncausare costi umani pe-santissimi, senza conta-re gli effetti economicie sociali devastanti chesortirà su un paese giàallo stremo. Un docu-mento fatto circolareda Cafod, la Caritas in-glese, e firmato dal pro-fessor Paul Rogers, ri-porta il parere di anali-sti anglo-americani, se-condo i quali sono pre-vedibili almeno 10 mi-la morti iracheni tra imilitari e altri 10 milatra i civili, in caso diguerra convenzionale.Ancor più pesante sa-rebbe il bilancio di vit-time in caso di escala-tion del conflitto dovuta all’impiego di ar-mi chimiche e biologiche o, peggio, nu-cleari. A questa macabra contabilità an-dranno inoltre aggiunti i morti (presumi-bilmente altre migliaia) nei mesi e neglianni successivi, per effetto degli stenti pa-titi, del peggioramento delle condizionidi vita e dell’inquinamento ambientale.Non dei morti, però, dovranno occuparsile Caritas. Bensì di uomini e donne moltidei quali, già alla vigilia della guerra, do-vevano la loro sopravvivenza agli aiutiumanitari (si è calcolato che la distribu-zione di pacchi alimentari abbia raggiun-to l’anno scorso tra i 14 e i 16 milioni diiracheni, due terzi dalla popolazione tota-le). Nel 2002 una fitta serie di incontri, vi-site e missioni ha consentito a Caritas In-ternationalis di intensificare l’azione di

21 gennaio 2003

supporto a Caritas Iraq,impegnata a fronteggiarealcuni dei più gravi pro-blemi socio-sanitari e in-frastrutturali provocatidall’embargo proclamatoai tempi della prima guer-ra del Golfo. La vicinanzaa Confrérie de la Charité (ladenominazione originaria

di Caritas Iraq) si è altresì tradotta in unimpegno di formazione, approvvigiona-mento e definizione di un piano di prepa-razione in vista della temuta emergenzabellica.

Le chiese diventeranno rifugiCaritas Iraq ormai da tempo ha il suo uf-ficio di collegamento ad Amman, capitaledella Giordania. Non è tanto una questio-ne di libertà d’azione: è piuttosto la ne-cessità pratica di potersi procurare tuttociò (dalle pompe per depurare l’acqua aimedicinali, dai viveri ai materiali da co-struzione) che è necessario a mandareavanti i progetti in corso e che è difficilereperire, a causa delle sanzioni, a Bagdade dintorni. Lo staff di Amman – il respon-sabile Faiq Bourachi, più altre quattro

Caritas Italiana segue con apprensione l’evolversi della crisiirachena. Nei comunicati emessi in autunno ha più volteribadito un fermo no alla guerra preventiva, ricordando (con leparole del presidente della Cei, cardinale Camillo Ruini) «cheavrebbe inaccettabili costi umani e gravissimi effettidestabilizzanti sull’intera area medio-orientale, eprobabilmente su tutti i rapporti internazionali». L’attenzione di

Caritas Italiana alla situazione dell’Iraq ècominciata nel ’92: da allora non è maimancato il sostegno economico ai progetti diConfrérie de la charité – Caritas Iraq, neisettori dell’aiuto alimentare, dellapotabilizzazione dell’acqua e dell’assistenzasanitaria. Caritas Italiana ha anche contribuitoal finanziamento dell’Appello d’urgenzarilanciato da Caritas Internationalis nelloscorso settembre in vista dell’emergenzabellica, e si appresta a mobilitarsi in relazioneai bisogni causati da una nuova guerra.

CARITAS ITALIANAPER L’ACQUA E LA SANITÀ

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persone – verrà affiancato in caso di guer-ra da una missione speciale di Caritas In-ternationalis, composta da figure specia-lizzate nel fronteggiare le emergenze. Nel2002, però, se l’è cavata egregiamente, nelgestire interventi di cui lo stesso governoe molti organismi umanitari internazio-nali hanno riconosciuto la bontà, l’effica-cia e l’equità. Tra i principali vanno ricor-dati il progetto di potabilizzazione del-l’acqua, che ha consentito di approvvi-gionare quasi 600 mila persone grazie al-l’azione di 13 centri idrici (per il 2003 èprevista l’attivazione di altri tre centri), eil Well baby program, che l’anno scorso hapermesso di curare e alimentare 28.500bambini malnutriti e assistere ed educare11.200 donne in gravidanza o reduci dalparto.Ma quando l’irreparabile avrà avuto ini-

zio, tutto ciò non basterà. Per anticipare itempi neri della guerra, Caritas Interna-tionalis aveva lanciato, a fine settembre,un Appello d’urgenza (Soa 44/2002): sonostati raccolti i 736 mila dollari previsti,grazie ai quali sono stati riforniti di medi-cinali e attrezzature “salvavita” 40 centrisanitari del paese e formati agli interventidi primo soccorso ben 400 operatori. Èstata poi compiuta un’analisi dei possibiliflussi di sfollati in fuga dal teatro bellico esono state stabilite le modalità di inter-vento nei campi profughi da parte delleCaritas di Giordania, Siria, Libano e Tur-chia, spalleggiate dal network internazio-nale. Fra le altre misure di preparazione, èstato messo a punto un progetto per at-trezzare 87 chiese sparse nel territorio ira-cheno, che all’occorrenza verranno tra-mutate in punti di protezione dei civili.Sembra incredibile, ma è proprio così:chiese come rifugi. Sarà davvero, al co-spetto di un male estremo, l’estremo ri-medio.

(a cura dell’Area internazionale)

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«Come cittadino italiano, come cittadino delmondo, come cristiano e sacerdotecattolico». Con questo spirito don MimmoBruzzese, direttore della Caritas diocesana diSan Marco Argentano – Scalea (Cosenza), hatrascorso le prime settimane di dicembre aBagdad, che ha voluto raggiungere “per dareil mio piccolo contributo per la difesadell’articolo 11 della Costituzione (L’italiaripudia la guerra…) e di tutti i valori cheesso esprime» e «per dare sostegno esolidarietà agli sforzi di pace delle NazioniUnite, e rivendicarne il ruolo”. Don Mimmoha visitato Caritas Iraq, ospedali, luoghicolpiti dalle bombe della prima guerra delGolfo. Ha tenuto un vivido diario dei suoigiorni iracheni. Nel quale affioranointerrogativi scomodi: «Ho provato aimmaginare la presa della città. E poi laguerra condotta quartiere per quartiere,strada per strada, casa per casa… Come sipuò pianificare tanto orrore? Quale causa puògiustificare una simile tragedia? E perché danoi tanto perbenismo freddo, distaccato ebenpensante, che non riesce a rabbrividire difronte a tanta sofferenza gratuita né acogliere la gravità del momento?».

UN DIRETTOREA BAGDADTre settimane in Iraq

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23 gennaio 2003

L’Europache verrà

Alberto Bobbio

c’è un’altra ragione: la cultura europea,come ha più volte fatto notare con forzail Papa, ha due polmoni con i quali respi-rare. E non si tratta solo di una questionespirituale e religiosa. C’è la letteratura, c’èla filosofia, c’è la geografia a dimostrarlo.Nessuno spartiacque divide l’Ovest e l’Esteuropeo, nessuna montagna impedisce alvento della steppa di soffiare fino a Trie-ste, o di spazzare Amburgo. Prodi ha capi-

to che aggiustamenti in sensoliberistico solo dei commercisarebbero stati un danno e unatragedia per i popoli europei.L’unificazione “politica” dove-va essere la soluzione e la ri-scossa europea. Non tutti i lea-der hanno mostrato di essered’accordo con la sua scelta dimettere d’accordo prima l’Oc-cidente e poi i Paesi dell’ex-or-bita sovietica. Francesi e tede-

schi hanno cercato di rimettere in pista illoro antico asse preferenziale; gli inglesi,come al solito, hanno frenato; l’idea dellepiccole patrie più che della Grande Unio-ne ha affascinato troppi politici e ha datola stura alle paure delle opinioni pubbli-che. Anche l’idea di una Costituzione eu-ropea è stata accolta con scetticismo. Se lanuova Europa non si attorciglierà tropposulle quote latte, sui contributi agricoli,sulle liti per la pesca forse potrà diventarequel soggetto politico che spaventa gliamericani. I quali fino all’ultimo, insiemead alcuni loro fedelissimi alleati, hannocercato di minarne la consistenza, chie-dendo a gran voce l’ingresso della Tur-chia, o sussurrando l’adesione di altri Pae-si mediterranei che con l’Europa nonhanno niente a che fare. Perché l’Europatutto dovrà essere, meno che una Babeledi culture. ■

La “Grande Europa” che nascerà adAtene il 16 aprile è sicuramente ilpiù significativo evento degli ultimi

due decenni, insieme alla caduta del Mu-ro di Berlino. I due fatti sono tenuti insie-me da un filo rosso, anche se è sbagliatodire che esiste un rapporto di causa ed ef-fetto. Non era infatti naturale che la casaeuropea fosse il destino di Paesi che usci-vano dalla casa rossa. Se non ci fosse statala bancarotta ex-sovietica, la di-sgregazione jugoslava, una certasupponenza americana, e so-prattutto se non ci fosse stato ilprofessor Romano Prodi, ilprossimo 16 aprile sarebbe undata senza storia. Dopo la cadu-ta del Muro di Berlino sembra-va che solo il mercato potesseunificare l’Europa. I busines-sman, i guru della finanza, lelobby militari, gli avventurierisenza scrupoli si erano messi di buona le-na per avviare un grande mercato e perspalmare le terre ad Est di liberismo eco-nomico, a loro parere l’unica ricetta sanae autorizzata. Gli americani hanno contri-buito non poco a diffondere questa cultu-ra, trovando anche qualche estimatore inEuropa. Basta legge l’ultimo libro diEdward Luttwak per capire dove si fermal’analisi americana: non c’è altra moralitànella costruzione di una spazio se nonquella militare, se non quella dei traffici,di solito a discapito di molti e a vantaggiodi pochi. Il Presidente Prodi ha cercato in-vece di dare nuova dignità all’Europa al-largando ad Est uno spazio non solo eco-nomico e militare. Intanto, perché è undovere morale che nasce anche da unasorta di purificazione della memoria col-lettiva degli europei a causa di Auschwitz,del nazismo e anche del comunismo. Poi

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Le prime notizie dei bambini morti difame in Argentina sono arrivate in-torno a metà novembre: 4 bambini

deceduti a Tucumán, nel Nordovest delPaese. Pochi giorni dopo, l’informazionedi altri decessi per la stessa causa: vittimedue bambine, una di un mese e 26 giornidi età ed un’altra di un anno ed otto me-si. Arrivò ben presto ad undici il numerodelle morti di piccoli per fame. Il contototale dei decessi fu presto fatto, sui regi-stri delle cause dei ricoveri dei bambini apartire dall’anno 2000, quelli portati daigenitori corsa finale all’ospedale nel di-sperato tentativo di porre rimedio: al 20novembre risultavano già morti ben 166bambini per denutrizione nella sola pro-vincia di Tucumán.

Tucumàn e l’“Operazione Riscatto”Il governo argentino, intanto, ha annun-ciato l’avvio, a fine novembre, di un pro-

gramma di emergenza chiamato “Opera-zione Riscatto” destinato all’identificazio-ne, di casa in casa, all’aiuto degli abitantidella provincia di Tucumán che soffriva-no le conseguenze dell’estrema povertà edella denutrizione. A fine novembre furo-no comunicati i primi risultati dell’inda-gine effettuata a tappeto: la cifra dei bam-bini denutriti in quel momento raggiun-geva i 13.500 casi scoperti, ma con la pre-visione di toccare soglia 18.000 casi al ter-mine di tutta intera l’operazione. Tu-cumán rispetto al Paese si è dimostrata, inrealtà, solo come la punta dell’iceberg,perché in ogni provincia argentina si pre-sentano casi di denutrizione, bambini eadulti che si recano in emergenza agliambulatori medici, con il problema-fame,anziani che si riducono a consumare soloun pò di cibo, poco più di un terzo dellecalorie che invece sarebbero loro necessa-rie.

Il dramma della famein Argentina

Guido Miglietta

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Secondo le statistiche ufficiali, il 53% de-gli Argentini vive sotto la soglia della po-vertà e il 20% della popolazione infantilesoffre di denutrizione. Il primo dicembregiungeva ancora la triste notizia di un’al-tra bambina deceduta a Tucumán, di unanno e due mesi, e a causa di una cardio-patia provocata dalla denutrizione.

Il piano di emergenzadi Caritas ArgentinaIl 30 novembre la Caritas Argentina, chegià opera in Tucumán con 37 refettori esfamando 15.000 bambini al giorno, halanciato un piano globale di assistenzaimmediata di fronte all’emergenza fame epovertà, a cui Caritas Italiana ha aderitoimmediatamente. Fin dall’agosto scorsola Caritas Italiana sta conducendo in Ar-gentina un programma di interventi sani-tari fornendo medicinali e protesi gratui-tamente per la popolazione in condizionidi indigenza, intervento che si estende sutredici delle 24 province del Paese e ri-guarda, finora con ottimi risultati, 27 Ca-ritas diocesane argentine, tra cui le Regio-ni Nord-orientale e Nord-occidentale (Tu-cumán compresa) dove è emersa l’ulterio-re ’emergenza-fame’. Ora si tratta salvarela vita a migliaia di bambini, anziani, per-

sone in difficoltà. La Caritas Italiana de-volve alla Caritas Argentina tutte le som-me raccolte allo scopo, alla Caritas Argen-tina competente ad attuare il piano diaiuti.Caritas Argentina ha trasmesso i puntiprincipali del piano di emergenza. L’o-biettivo generale del piano è quello diportare avanti iniziative di accoglienza, disostegno alimentare, sanitario e assistenzaalle persone colpite dall’emergenza socio-economica, secondo queste “voci”: ali-mentazione (alimenti deperibili e non de-peribili; medicine (antibiotici, antiperten-sivi, analgesici antipiretici, broncodilata-tori, antimicotici, antianemici, antiparas-sitari, ecc.); materiale per pronto soccorsoe per chirurgia.Le Caritas diocesane del Nord-ovest Ar-gentino in 13 città tra cui soprattuttoTucumán (aiuti per 115.000 persone di cui44.000 in Tucumán), del Nord-est Argen-tino (in 7 città aiuti per 50.000 persone) ela provincia della Grande Buenos Aires(in 18 città, aiuti per 165.000 persone). Lefamiglie in alcuni casi vengono nei refet-tori per alimentarsi; in altri casi ricevonopacchi di alimenti da consumarsi nelle lo-ro case. Le medicine si consegnano supresentazione della ricetta, predisposta daun professionista. ■

25 gennaio 2003

L’Argentina conta 36.027.041 abitanti, con distribuzione nelterritorio molto disomogenea. La città e la provincia di BuenosAires assorbono quasi il 50% della popolazione. L’economiaargentina ha avuto una brusca frenata l’anno scorso e dopo treanni successivi di caduta delle attività. Il 20 dicembre scorso intutto il Paese si è ricordato l’anniversario della crisi politica esociale avvenuta con manifestazioni di massa e rapidi reazionidi governo.Da un anno a questa parte la situazionesocioeconomica è notevolmente peggiorata. La popolazionedomanda attenzione alle proprie necessità di base. CaritasArgentina offre giornalmente assistenza alimentare a 433.000persone, consegna di medicine attraverso le farmacie, gestionedi protesi, elementi di ortopedia, materiale di consumo,consegna di vestiti e calzature, materiali da costruzione, libri ecancelleria, case di accoglienza, rifugi notturni, assistenzalegale.

LE DIMENSIONI DELLA CRISIE LA RISPOSTADI CARITAS ARGENTINA

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Dottor Venditti, trent’anni diobiezione. Come hanno inciso nel-la cultura e nella società italiane?

In senso molto positivo. Si è trattato diun’esperienza che ha contribuito a far fer-mentare una cultura alternativa a quella,secolare, della violenza e della guerra co-me strumenti di regolazione dei rapportitra paese e paese, popolo e popolo, indivi-duo e individuo. L’esperienza dell’obie-zione al servizio militare 40 anni fa eraappannaggio di giovani considerati utopi-sti, quasi degli extraterrestri. Ma oggi lastagione dei movimenti pacifisti e che sibattono per una giustizia sociale globale èanche figlia di quella realtà: il tema e laprassi dell’obiezione di coscienza hannoavuto una funzione di innesco, rispetto acerte sensibilità attuali.

Le istituzioni, però, non sempre sisono mostrate all’altezza di que-sto processo…

Bisogna distinguere. In Italia le istituzionigiuridiche hanno manifestato, in alcunimomenti cruciali, un intuito acutissimo emodernissimo. A cominciare dalla CorteCostituzionale, e dalla sua sentenza che,nel 1985, evidenziò che il tema della dife-sa della patria non può essere ridotto aquello del servizio militare. Ma anche lamagistratura ordinaria e gli stessi tribuna-li militari si sono mostrati sensibili, emet-tendo sentenze o sollevando questioni dilegittimità costituzionale, poi rivelatesifondate, che hanno consentito al dibatti-to sull’obiezione e sulla pace di compierefondamentali progressi.

Obiettare?È dissertare

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Ama tanto la pace, da cercarnel’eco (ha pubblicato sei libri inproposito) persino nella grande

musica classica. Ma soprattuttoha accompagnato da magistrato e

da giurista la lenta, appassionantemarcia dell’obiezione di coscienza

nella società e nella culturaitaliane. Rodolfo Venditti, torinese,già docente universitario di dirittoe procedura penale militare, oggi si

gode la pensione. Ma non hasmesso i panni dell’osservatore

attento. Come ha dimostrato nelsuo intervento al convegno Caritas

di metà dicembre, dedicato ai 30anni di obiezione di coscienza inItalia e ai 25 di servizio civile in

Caritas.

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Anche la legislazione si è adegua-ta: in modo convincente?

Nei trent’anni di storia dell’obiezione inItalia, governo e organismi militari sonostati sicuramente le istituzioni menoaperte. Anche l’attività legislativa del par-lamento, però, si è rivelata spesso lenta eslegata, perché succube delle pressioni de-gli apparati militari. Persino la sospensio-ne dell’obbligo di leva, connessa all’ela-borazione di un nuovo modello di difesa,può essere interpretata come un modoper liberarsi del fastidioso elemento di cri-tica culturale rappresentato dall’obiezionedi coscienza.

Le nuove leggi, però, riconosconocittadinanza al servizio civile…

È apprezzabile, ma si tratta di un fenome-no volontario, che presuppone una matu-razione interiore del giovane, o la sua for-mazione da parte della società civile e delmondo della solidarietà. In altre parole:mi sembra che in generale si assista a unabbandono dei giovani da parte dello sta-to, che rinuncia al suo compito educati-vo. Il rischio è che nulla, sul versante isti-tuzionale, richiami all’assunzione di re-sponsabilità nei confronti della colletti-vità.

Impossibile, dunque, obiettare al-le guerre contemporanee?

È possibile impegnare tutte le proprieenergie per opporsi a una mentalità chepretende di risolvere tutti i problemi conlo scontro bellico. Pietrino Belli, giuristapiemontese del ‘500, azzardava che iltermine bellum, guerra, derivasse da bel-lua, belva: un modo per affrontare i pro-blemi che ricorre alla risorsa della fero-cia. Tipico dell’uomo, invece, è affronta-re i nodi critici per dissertationem: obiet-tare, nel nostro tempo, significa sostene-re che le questioni cruciali dell’oggi nondevono essere risolte dalla prevaricazio-ne, anche solo verbale, di una parte sul-l’altra, ma vanno affidate alla capacità diascolto e al confronto delle idee e degliargomenti.

Cosa ha imparato, in trent’anni,da tanti giovani obiettori, comeuomo e come magistrato?

La generosità, che si esprime nello spen-dersi integralmente. La sincerità e l’one-stà nell’autoesaminarsi, richiamandosi al-le motivazioni profonde delle propriescelte. Infine la recettività riguardo alleidee più alte, che danno senso alla vita,alla professione, ai rapporti con gli altri ela società. I giovani sanno aderire agliideali di pace e servizio, con una forzache spero riesca a essere ancora contagio-sa.

(intervista a cura di P. Brivio)

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NEL MONDO

Progetto emergenzaPalestina

Il progetto della Caritas prevede interven-ti articolati in cinque settori:

CasaNegli ultimi due anni sono state distruttecirca 1.000 abitazioni. Il progetto prevedela ricostruzione/ristrutturazione di 20unità abitative.

SaluteSi prevede il rafforzamento di tutti i servi-zi sanitari esistenti, l’istituzione di centrisanitari nei villaggi più isolati, interventidi potabilizzazione dell’acqua, aggiorna-mento e formazione del personale sanita-rio.

IstruzioneLe difficoltà economiche privano i giova-ni più poveri del diritto allo studio. Ilprogetto prevede l’assegnazione di borsedi studio ed ilsostegno ascuole gestitedalla Chiesa lo-cale.

AgricolturaIntere colturesono state di-strutte. Si pre-vedono inter-venti a soste-gno degli agri-coltori, attra-verso la fornitu-ra di sementi,piante, concimie animali.

Con ilvostro aiuto

Campi profughiSecondo dati ONU, per 1.370.000 profu-ghi scarseggiano i generi di prima neces-sità. Il progetto prevede la distribuzionedi alimenti e coperte.

Campagna di AdvocacyCaritas Italiana ha aderito alla Campagnadi Advocacy di Caritas Internationalissulla Palestina condividendola con le 223Caritas diocesane italiane. Il suggerimen-to che viene dato è che ciascuna Caritasdiocesana possa, a sua volta, organizzaremomenti di informazione e sensibilizza-zione, accompagnati da incontri di pre-ghiera comune per la pace in Terra Santa.

IN ITALIA

Progetto Salute Mentale

Il Progetto nasce dalla necessità di farsiprossimo a quanti soffrono per un qual-che disagio mentale, saper riconoscere i

segni di unasofferenza cosìprofonda, supe-rare la paura e itanti pregiudizi,riuscire a porta-re conforto chesia anche semedi speranza.L’impegno diCaritas Italiana,in quest’ambi-to, ha obiettividiversi e com-plementari traloro.Caritas Italianavuole:

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Per sostenere i Progetti e gli interventisegnalati (specificando sempre la causale)si possono inviare offerte alla CaritasItaliana tramite:• c/c postale n. 347013• Banca Popolare Etica, Piazzetta Forzatè,

2 - Padova - c/c n. 11113 - ABI 5018 –Cab 12100

• Banca Intesa Bci – p.le Gregorio VII,ROMA - c/c n. 100807/07 - ABI 03069 –CAB 05032

• Cartasì e Diners telefonando al numero06/541921, in orario d’ufficio.

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29 gennaio 2003

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☛ Dal 27 al 29 gennaio, a Roma,presso la Caritas Italiana, la secon-da tappa del Percorso: “Osservare,ascoltare, discernere”. Sarannochiamati a confrontarsi gli opera-tori delle Caritas diocesane respon-sabili degli Osservatori delle po-vertà e delle risorse e dei Centri di Ascolto.

☛ Dal 10 al 12 febbraio a Volterra si incontreranno perla seconda tappa, i partecipanti delle Caritas diocesanedel Nord del Percorso “Equipe Diocesana”. L’esperienzavissuta nella Diocesi di Volterra servirà ai partecipantiper verificare come si lavora ed opera direttamente all’in-terno del territorio delle Caritas diocesane.

☛ Il 14 e 15 febbraio, a Roma, presso la Sede della Cari-tas Italiana, gli operatori della comunicazione delle Cari-tas diocesane vivranno il loro secondo appuntamentocondividendo nella giornata di venerdì i lavori del semi-nario “Educazione alla mondialità: globalizzazione,guerre e stili di vita”. La contemporaneità dei due semi-nari servirà a far si che nell’ambito delle comunità cri-stiane, attraverso i propri operatori della comunicazionesi possa mettere in luce quanto emergerà dal seminario,promosso dall’Area Internazionale, che si terrà a Romanei giorni 14 e 15 febbraio. I lavori che il seminario sipropone di analizzare sono legate alle situazione che pre-cedono, caratterizzano o seguono i conflitti violenti, ol-tre a far emergere presso la pubblica opinione quelleguerre che nei vari stati del mondo troppo spesso sonodimenticate perché non riportate dalle cronache quoti-diane alla attenzione dei cittadini.

☛ Dal 17 al 19 febbraio, a Trapani, si incontreranno ipartecipanti dell’area del Sud del Percorso “Equipe Dioce-sane” per la seconda tappa formativa. I partecipanti po-tranno verificare direttamente l’operato della Caritas dio-cesana di Trapani vivendo alcuni giorni a contatto con larealtà locale, cercando di conoscerne i problemi e le diffi-coltà e simulando con gli operatori locali le varie tappedi intervento per raggiungimento degli obiettivi. ■

• essere risorsa per le realtà che attual-mente sono impegnate nel sostenere imalati di mente e le loro famiglie nelpercorso di cura e di riabilitazione pre-visto da una “presa in carico” efficaceda parte del Servizio Sanitario Pubblico.Strumento operativo è il Coordinamen-to Nazionale Salute Mentale che inten-de essere al servizio delle Caritas dioce-sane come punto di riferimento, diconfronto, di scambio, di informazionee di formazione; • sostenere progetti specifici di inter-vento a favore di malati di mente e/odelle loro famiglie, progetti di sensibi-lizzazione della cittadinanza e di forma-zione degli animatori e volontari. Co-me segno specifico dell’Anno Pastoralein corso la Caritas Italiana intende, fi-nanziare, grazie anche a parte dei FondiCEI Otto per Mille, otto progetti chemirano a rendere possibile un’acco-glienza reale nella comunità, promuo-vendo la qualità della vita; • condividere l’esperienza maturata inquesti anni da Caritas Italiana e da al-cune Caritas diocesane, svolgendo fun-zione di sostegno e di accompagna-mento a quelle realtà locali che inten-dano avviare la riflessione e l’attivazio-ne di risposte al disagio mentale; • offrire occasioni di riflessione e cor-retta informazione sul tema, attraversosussidi e pubblicazioni idonee e specifi-che;• richiamare l’attenzione sulla persi-stenza di sei Ospedali Psichiatrici Giu-diziari, luoghi non toccati dalla riformapsichiatrica, negazione di ogni più ele-mentare diritto. Strumento operativosarà un tavolo interdisciplinare di lavo-ro. ■

Percorsidi formazione

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gennaio 2003 30

LIBR

I

Ametà dell’Ottocento,Thomas Joseph Dunning

scrisse parole che, lette oggi,sembrano profetiche:“Il capitale aborre la man-canza di profitto o il profittomolto esiguo, come la natu-ra aborre il vuoto. Quandoc’è un profitto proporziona-to, il capitale diventa auda-ce. Garantitegli il 10%, e losi può impiegare dappertut-to; il 20% e diventa vivace; il50% e diventa veramente te-merario; per il 100% si mettesotto i piedi tutte le leggiumane; dategli il 300% enon ci sarà nessun crimineche esso non arrischi, anchepena la forca. Se il tumulto ele liti portano profitto, essoincoraggerà l’uno e le altre.Prova: contrabbando e trattadegli schiavi”. Se sostituiamo la parola “ca-pitale” con l’espressione “or-ganizzazioni criminali” pos-siamo ben dire che si trattadi graffianti riflessioni cheben si adattano a due scon-certanti fenomeni di oggi: il

traffico di esseri umani e latratta di donne a scopo disfruttamento sessuale. Anche se diversamente dalpassato, è impossibile nonpensare che nuove e aber-ranti forme di schiavitù sia-no un fenomeno drammati-camente attuale, anche nelXXI secolo. E se ancora cifosse bisogno di documen-tarlo basta gettare lo sguardoa due recenti pubblicazioni,entrambe degli Editori Riu-niti: “Le nuove schiavitù – iltraffico degli esseri umaninell’Italia del XXI secolo”(pp. 198), di Enzo Ciconte ePierpaolo Romani; e Animeschiave - nel cerchio dellaprostituzione (pp. 104), diMarco Neirotti. Il primo libro si sofferma sudue feno-meni inparticola-re: l’im-migrazio-ne clan-destinache coin-volge mi-gliaia difuggia-schi co-stretti a lasciare la loro terra;la tratta delle persone (moltele donne minorenni) che,con l’inganno e la violenzavengono reclutate, ridotte inschiavitù e costrette a prosti-tuirsi. Dietro le quinte, l’in-fame “mestiere” dei traffi-canti di esseri umani, mano-vrati da organizzazioni cri-minali transnazionali di

stampo mafio-so, che ognianno realizza-no un fattura-to stimato trai sette e i tre-dici miliardi didollari. Ine-quivocabili i racconti e le te-stimonianze dirette, riporta-te nei capitoli “La prostituzio-ne nigeriana” e “Le schiavedell’Est”.Il secondo libro prende lemosse dalla foto di una pro-stituta china sul finestrinodell’auto di un cliente, lun-go un viale notturno di Tori-no (ma la città potrebbe es-sere una qualunque): daquesta immagine prende lemosse il racconto-indaginesul racket della prostituzio-ne. Cinque le “voci” chel’Autore interpella: innanzi-tutto, le donne costretta aprostituirsi, anche attraversole agghiaccianti deposizionida esse rese in questura;quindi il protettore, il clien-te, il passante moralista e ilpoliziotto. Neirotti ha ascol-tato le schiave (incatenatenon solo nel fisico ma anchenell’anima, come suona il ti-tolo del libro), si è trovatofaccia a faccia con i loro “pa-droni”, ha assistito alla cac-cia e alla cattura dei protet-tori. Ma soprattutto ha rac-colto le testimonianze e rife-rito le sevizie alle ragazze, glistupri, le angherie e le vio-lenze, i ricatti e le minaccealle famiglie lontane (France-sco Meloni).

Animee corpi,in schiavitù

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31 gennaio 2003

Ancora una volta la radio offreimmagini più vivide della tv.

Sono le immagini di Safiya, salva-ta dalla lapidazione anche graziealle 300mila firme raccolte pro-prio in radio; di Amina, altradonna nigeriana su cui pende lastessa condanna; delle esecuzionicapitali consumate nell’ombra inGiappone. Sono, infine, le imma-gini di 300 milioni di bambinicostretti a lavorare, a prostituirsi,a subire violenze e fare la guerra.Il programma quotidiano “Zap-ping”, in onda dal lunedì al ve-nerdì alle 19.30 su Radio Uno,tratta di media, informazione,poesia, libri. E lancia nell’etere lecampagne umanitarie. L’ultimain ordine di tem-po è “Infanzia ru-bata, infanzia vio-lata”, in collabo-razione con l’Uni-cef-Italia. «La cul-tura dei dirittiumani è moltocarente» denunciaAldo Forbice (foto), giornalista,conduttore di “Zapping”. «La tvnon ci vede la notizia. Ma la no-tizia c’è, noi siamo un Paese inte-ressato solo ai fatti di casa nostra.Bisogna invece andare alle causedei problemi, da qualunque partedel mondo provengano. La radiodà ancora la possibilità di ap-profondire». La tv è un mezzo co-siddetto event-oriented, comunicain modo acontestuale, rende dif-ficile la formulazione di un’anali-si. Qualcosa in più ce la può dareproprio la radio, con programmicome “Zapping”, popolari e nelcontempo attenti al mondo checi circonda (Danilo Angelelli).

AVVISOAI LETTORI

Nel presentarvi il mensileItaliacaritas in una vesterinnovata e suscettibile diulteriori modifiche in corsod’opera, esprimiamo lenostre scuse per eventualidisguidi e inconvenienti chepurtroppo si sono verificatinegli ultimi mesi.Per problemi in fase diriorganizzazione del sistemadi gestione informatica delleofferte è possibile che moltiofferenti non abbianoricevuto né una lettera diringraziamento, né alcunecopie della rivista. Così pureè possibile che non sianostate eseguitetempestivamente molterichieste di cancellazione odi modifica di indirizzi e didestinatari. Siamo veramentedispiaciuti per questi disagi,ma siamo anche lieti dicomunicarvi che lasituazione si è oranormalizzata.Vi invitiamo, comunque, asegnalarci eventuali ulterioridisguidi (email:[email protected]. 0654192202) perchépossiamo risolverlirapidamente. Vi ringraziamoper il tratto di stradapercorso con noi sul difficilesentiero della solidarietà eper il contributo finora datoalle nostre azioni in favoredegli ultimi e dei menotutelati. Ci auguriamo dipoter contareanche infuturo sulVostrosostegno peri progetti checontinuiamoa realizzarein Italia e intutto ilmondo.

RADI

O UnoZappingche fa bene

www.superabile.it hauno dei domini più indo-vinati dell’intera rete. Sipresta a diverse interpre-tazioni, orientate a veico-lare un messaggio di nor-malità dal mondo delladisabilità. Il portale è unsistema integrato diinformazioni e consulen-za diviso in quattro cana-li tematici: “Senza bar-riere”, “Superabilex”,“Sport”, “Tempo libero”.Risposte tempestive su:ausili, riabilitazione e ser-vizi tecnologici, automo-bilità, inserimento lavo-rativo, barriere architet-toniche, demotica, leggi,viaggi. Promosso dall’I-nail, l’Istituto Nazionaleper l’Assicurazione con-tro gli Infortuni sul Lavo-ro, ha registrato negli ul-timi nove mesi più di200mila contatti. Traquesti molte persone chenon vivono direttamenteil problema della disabi-lità. Il portale è infattiper tutti e ovviamenteaccessibile a tutti, e offrenotizie a carattere gene-ralista (un esempio è co-stituito dalle news “Ul-tim’ora” dell’agenziaAdn Kronos presenti nel-la home page). Aggiorna-to quotidianamente dauna redazione sempresintonizzata sull’attua-lità, Superabile ricordache anche la disabilitàpuò fare informazione(Danilo Angelelli).

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Andiamo a Gerusalemme

Devolution e “povera gente”

Le ferite prevedibilidella guerra inaccettable

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I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,stampa e spedizione di Italiacaritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:Caritas Italiana – c.c.p. 347013 – viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma – sito internet: www.caritasitaliana.it

(…) Dio Onnipotente,sorgente di ogni nostro

bene, che dalle condizionidi oppressione e di

conflitto ci chiama allalibertà e allacooperazione

per il benedi tutti,

aiuti le personein ogni angolo

della terraa costruireun mondo

di pace (…).

Dal Messaggio di Giovanni Paolo IIper la Giornata mondiale

della pace 2003