Italia, Unione Europea e NATO per la sicurezza in Europa e nel Mediterraneo

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1 CICLO SEMINARI AESI 2015 ELABORATO FINALE ITALIA, UNIONE EUROPEA E NATO PER LA SICUREZZA IN EUROPA E NEL MEDITERRANEO di Ilaria Danesi “L’ordine di sicurezza mondiale sta precipitando e l’Europa è uno dei maggiori punti critici di questo collasso. […] In effetti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe risolvere ogni settimana una nuova crisi. Invece istituiamo grandi strutture surrogate come il G7, G8 e G201 . Con questo monito, affidato alle pagine della rivista tedesca Der Tagesspiegel, l’ex ambasciatore tedesco negli Stati Uniti Wolfgang Ischinger rifletteva sul futuro del vecchio continente alla vigilia della 51° Conferenza Internazionale sulla Sicurezza, che avrebbe da lì a poco presieduto a Monaco di Baviera. Per molti anni gli Stati membri dell’Unione Europea e le realtà genericamente legate al filo- occidentalismo hanno dato la pace per scontata, ma da qualche tempo e prepotentemente il tema della sicurezza è tornato a dettare l’agenda europea. Non soltanto appare tutt’altro che superata la crisi economica esplosa ormai nove anni fa, solo in parte riassorbita dagli Stati Uniti ed ancora acuta in Europa, ma a minacciare la stabilità europea sono intervenute o si sono aggravate una serie di crisi diplomatiche, sociali e militari in Medioriente, in Libia, financo nella stessa Europa. Il tutto mentre il raffreddamento delle speranze di ripresa coltivate in Europa nell’ultimo biennio, e quelle ancor più ambiziose suscitate dall’inizio dell’era Obama negli Stati Uniti, contribuisce a diffondere una sensazione generale di incertezza sul futuro prossimo venturo. La manifestazione delle minacce che impensieriscono l’Europa prende forma in particolar modo in tre situazione di crisi: - La crisi ucraina; - La crisi mediorientale; - La crisi libica. 1 http://www.tagesspiegel.de/politik/vom-islamischen-staat-bis-zur-ukraine-die-internationale-ordnung-zerfaellt- gerade/11301556.html

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CICLO SEMINARI AESI 2015

ELABORATO FINALE

ITALIA, UNIONE EUROPEA E NATO PER LA SICUREZZA IN EUROPA E NEL

MEDITERRANEO

di Ilaria Danesi

“L’ordine di sicurezza mondiale sta precipitando e l’Europa è uno dei maggiori punti critici di

questo collasso. […] In effetti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe risolvere ogni

settimana una nuova crisi. Invece istituiamo grandi strutture surrogate come il G7, G8 e G20”1.

Con questo monito, affidato alle pagine della rivista tedesca Der Tagesspiegel, l’ex ambasciatore

tedesco negli Stati Uniti Wolfgang Ischinger rifletteva sul futuro del vecchio continente alla vigilia

della 51° Conferenza Internazionale sulla Sicurezza, che avrebbe da lì a poco presieduto a Monaco

di Baviera.

Per molti anni gli Stati membri dell’Unione Europea e le realtà genericamente legate al filo-

occidentalismo hanno dato la pace per scontata, ma da qualche tempo e prepotentemente il tema

della sicurezza è tornato a dettare l’agenda europea. Non soltanto appare tutt’altro che superata la

crisi economica esplosa ormai nove anni fa, solo in parte riassorbita dagli Stati Uniti ed ancora

acuta in Europa, ma a minacciare la stabilità europea sono intervenute o si sono aggravate una serie

di crisi diplomatiche, sociali e militari in Medioriente, in Libia, financo nella stessa Europa. Il tutto

mentre il raffreddamento delle speranze di ripresa coltivate in Europa nell’ultimo biennio, e quelle

ancor più ambiziose suscitate dall’inizio dell’era Obama negli Stati Uniti, contribuisce a diffondere

una sensazione generale di incertezza sul futuro prossimo venturo.

La manifestazione delle minacce che impensieriscono l’Europa prende forma in particolar modo in

tre situazione di crisi:

- La crisi ucraina;

- La crisi mediorientale;

- La crisi libica.

1 http://www.tagesspiegel.de/politik/vom-islamischen-staat-bis-zur-ukraine-die-internationale-ordnung-zerfaellt-

gerade/11301556.html

2

Si tratta a ben vedere di instabilità che muovono lungo le direttrici tradizionalmente critiche per

l’incolumità degli stati europei (i confini ad Est e l’area a Sud del Mediterraneo) e per cui gli stessi

stati si sono adoperati attraverso alleanze in ottica difensiva. La minaccia proveniente da Est in

particolare, ha visto la piena applicazione dell’azione politico-militare della NATO, che ha avuto un

ruolo fondamentale nella difesa dei propri alleati nell’era URSS. La caduta dell’Unione Sovietica e

la fine della Guerra Fredda hanno fatto riemergere una serie di conflittualità in qualche modo

congelate nella logica dei blocchi contrapposti, che sono dunque esplose con virulenza più o meno

marcata sulla base di rivendicazioni di carattere etnico, religioso o nazionale. Di fronte al nuovo

paradigma rappresentato da questa instabilità generale figlia della molteplicità di situazioni critiche,

la NATO ha dovuto necessariamente ridisegnare i suoi strumenti e le sue strategie, in un’ottica di

prevenzione o contenimento delle crisi. L’Unione Europea da par suo, ha cercato di plasmare anche

a livello istituzionale una propria capacità strategica di risposta alle crisi, più improntata alla

dimensione economica e impostata sulla dimensione politico-diplomatica, alla luce da un lato di

un’effettiva e peculiare propensione al dialogo e all’attività di peace-building, dall’altro di una

cooperazione militare abbozzata ma ancora lontana dal concretizzarsi. I due approcci, che trovano

riferimento teorico nei rispettivi documenti strategici di cui si fornirà un breve sunto, operano in

dialogo non sempre lineare ma costante per la difesa e la sicurezza del territorio europeo, ma

sembrano oggi, alla luce di nuove sfide che vanno dalle rivendicazioni russe, al subbuglio

nordafricano e mediorientale, all’emergenza migratoria lungo il mediterraneo, sino alle minacce

terroristiche e all’approvvigionamento energetico, necessitare di una ridefinizione consapevole

dell’urgenza di trovare una risposta all’instabilità internazionale.

1. SVILUPPO DELLA PARTNERSHIP TRA UNIONE EUROPEA E NATO

Unione Europea e Nato percorrono da oltre quindici anni un cammino di avvicinamento reciproco,

tanto in termini di membership (22 membri comuni), quanto a livello di condivisione di obiettivi

strategici, di funzioni e di potenziale raggio d’azione. Le due organizzazioni svolgono due ruoli

complementari e di reciproco sostegno per la tutela della pace e della sicurezza internazionale,

conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite.

L’istituzionalizzazione delle relazioni tra NATO e Ue è stata avviata nel 2001, muovendo dai passi

compiuti nel corso degli anni ’90 per promuovere una maggiore responsabilità europea attorno ai

temi della Difesa. Fino al 1999, l’interlocutore della Nato per il dialogo sulla difesa sul territorio

europeo era stata l’Unione Europea Occidentale (UEO), la crisi dei Balcani del 1999 rese però

3

manifesta l’esigenza per l’Europa di dotarsi di un’autonoma capacità logistica per la gestione delle

situazioni di crisi, portando all’avvio della riflessione per una Politica Comune europea di Difesa e

Sicurezza (PESD). In occasione del Consiglio Europeo di Helsinki del 1999, vennero così definiti

gli obiettivi (Headline goals) per dotare l’Unione di capacità militari in grado di attuare le missioni

Persberg, missioni umanitarie o di evacuazione volte al mantenimento della pace, nonché missioni

costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino

della pace. Col trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1 maggio 1999, la responsabilità di tali

missioni è stata poi trasferita all’UE. La NATO da par suo col summit di Washinton dell’aprile

1999 aveva manifestato la propria disponibilità a rendere fruibili le risorse strategiche dell’Alleanza

per operazioni a guida UE, anche in contesti in cui la competenza NATO non era inizialmente

prevista: quella partnership operativa è stata confermata in una dichiarazione congiunta NATO-UE

del dicembre 2002, per poi essere formalizzata nel marzo 2003 con gli accordi Berlin Plus, che

consentono all’Ue di accedere alle capacità di pianificazione e comando NATO e utilizzarne i

mezzi per realizzare missioni di gestione delle crisi.

Sotto il profilo istituzionale, la partnership si concretizza in un’intelaiatura organizzativa leggera,

che si esplica in una ripartizione delle competenze improntata alla flessibilità, con cellule di

collegamento tra le due strutture militari, in aggiunta alla supervisione del Deputy Supreme Allied

Commander Europe.

Il nuovo e ad oggi più recente Concetto strategico NATO, approvato nel vertice di Lisbona nel

novembre 2010, ha fatto del rilancio dei rapporti tra NATO e Ue un pilastro dell’azione

dell’Alleanza per il prossimo decennio: esso stabilisce che L’Ue rappresenta un partner essenziale

per il mantenimento della sicurezza nell’area euro-atlantica, e pertanto sottolinea l’importanza di

una cooperazione da perseguire come obiettivo fondamentale tramite: il rafforzamento della

partnership strategica nello spirito di piena e reciproca trasparenza e rispetto per la relativa

autonomia ed integrità; il miglioramento della cooperazione pratica nelle operazioni; un’estensione

delle consultazioni politiche nelle questioni di comune interesse; una più completa cooperazione

nello sviluppo delle capacità per migliorare l’efficienza e diminuire i costi.

Il Concetto Strategico è documento particolarmente importante, dal momento in cui uno degli

obblighi principali di ogni organizzazione di sicurezza collettiva è quello di concordare

periodicamente fra gli Stati membri quale approccio strategico debba essere seguito nella situazione

politica in atto, per far fronte alle minacce, ai rischi ed alle sfide che li potranno coinvolgere nel

breve e nel medio termine. Ci fornisce in questo senso la “guida generale per lo sviluppo delle

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politiche di dettaglio e dei piani militari”. 2 La NATO aveva inizialmente mantenuto segreti i suoi

concetti strategici fin dal 1950, rendendo pubbliche solo le linee essenziali, finché, con la fine della

Guerra Fredda ed in assenza di un nemico dichiarato, non prevalse l’esigenza di ricercare il

consenso dell’opinione pubblica rispetto alle necessità di segretezza. Il primo Concetto strategico

emesso dalla NATO risale al 1991, è quindi immediatamente successivo alla dissoluzione

dell’URSS e del Patto di Varsavia, in un clima di cambiamento che impose all’organizzazione di

ridefinire il suo ruolo di alleanza politica e militare del fronte atlantico. Il secondo, datato 1999,

coincideva con lo scoppio della guerra in Kosovo. Quello che mutava rispetto alle strategie d’azione

precedentemente elaborate era la natura stessa del documento: si passava da linee strategiche intese

come vere e proprie dottrine militari, ad un documento che svolge una funzione di orientamento. Il

Concetto strategico del 2010 inoltre, differisce dai precedenti per aver formalizzato l’intento

collettivo di spingere l’Alleanza verso un impegno globale. Resta un’alleanza atlantica, ma con una

proiezione sia politica sia operativa di portata ben più ampia. Analizzando il Concetto strategico

possiamo dunque comprendere come siano cambiati la NATO e i suoi obiettivi. Il primo documento

del 1991, aveva segnato la transizione dal concetto di minaccia a quello di rischio (l’eventualità che

accada un certo evento), che ha una natura multi-sfaccettata ed è per questo di più difficile

previsione de definizione. Segna il passaggio ad un atteggiamento più flessibile , conseguenza della

fine del sistema a blocchi. Il Concetto strategico del 1999 non ha apportato particolari novità

essendo una revisione del precedente, ma era figlio dell’esperienza dell’ex Jugoslavia e del conflitto

kosovaro, e più che al mantenimento di un equilibrio strategico in Europa rispondeva all’esigenza di

una ridefinizione del ruolo dell’Alleanza, in bilico tra gli squilibri regionali e quindi promotrice di

una gestione delle crisi studiata caso per caso e via consenso, oltre che tramite programmi di

partnership, cooperazione e dialogo. L’11 settembre 2001 e l’emersione del terrorismo

internazionale qaedista hanno profondamente cambiato la versione degli interessi strategici NATO.

Il documento elaborato a Lisbona nel 2010 è stato concepito in un arco di tempo che ha coperto

l’intervento in Afghanistan, l’invasione anglo-americana dell’Iraq, la guerra russo-georgiana,

l’inizio dell’allargamento a Est e il deterioramento dei programmi di non proliferazione nucleare e

dei progetti di difesa missilistica in Europa: una serie di avvenimenti che hanno chiamato i Paesi

membri a riorganizzare caso per caso obiettivi e interessi strategici. La crisi diplomatica che ha

seguito l’intervento in Iraq ha dato una spinta alla ricomposizione delle divergenze tra gli Stati

membri per ristabilire la credibilità dell’Alleanza, ponendo così le basi per il nuovo Concetto

2 http://www.atlanticocisalpino.it/index.php/articoli/approfondimenti/80-i-concetti-strategici-della-nato-e-

dell-ue

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strategico, d’impronta sempre più politica e globale. Quest’ultimo riafferma il valore dell’articolo 5

del trattato di Washington e ne globalizza il pensiero: la NATO deve proteggere e difendere anche

da minacce che non conoscono confini nazionali (terrorismo, proliferazione di armamenti, guerra

cibernetica). Per farlo, individua tre principali obiettivi strategici: 1) difesa collettiva (i membri

NATO forniranno mutua assistenza l’un l’altro contro gli attacchi, in accordo con l’art.5); 2)

gestione delle crisi (la NATO possiede un potenziale politico militare robusto e univoco per poter

affrontare l’intero spettro di una crisi, prima durante e dopo i conflitti); 3) sicurezza cooperativa

(l’Alleanza è influenzata e può a sua volta influenzare gli sviluppi politici e di sicurezza al di là

delle sue frontiere. Si impegnerà inoltre per garantire la sicurezza internazionale attraverso dei

partenariati). Il summit tenuto in Galles nel 2014 ha poi meglio definito le minacce alla sicurezza

previste per il decennio venturo.3

Secondo l’Ammiraglio Sanfelice di Monteforte4 si possono fare alcune rapide considerazioni sulla

base del documento. Anzitutto, lo scopo inespresso è in mantenimento della situazione di relativa

prosperità che esiste nell’Occidente. In secondo luogo, il concetto di “sicurezza” si differenzia da

quello di “difesa”: il concetto di “difesa” si presta a poche obiezioni, mentre la “sicurezza” è

anzitutto una sensazione collettiva, e quindi appartiene alla sfera “politica”. Inoltre, esso tende a

essere spiralizzante: meglio si sta, più ci si preoccupa della sicurezza. Infine, “l’aumento della

sicurezza di uno Stato o di qualsiasi sua componente si traduce inevitabilmente in un aumento

dell’insicurezza per gli altri” (Gen. Jean): in breve la NATO incaricandosi di garantire la sicurezza

dell’alleanza può trovarsi coinvolta in situazioni difficili da controllare, senza averne adeguati

strumenti. Inoltre, laddove il documento parla di “strumenti politici e militari” e non più di

“approccio omnicomprensivo”, segna una certa rassegnazione ad accantonare al ruolo di

ricostruzione. Questo approccio è d’altronde perfettamente coerente con l’iniziale accezione della

cosiddetta “Europa della sicurezza e Difesa” (UEO prima e CSPD poi), dato che l’Alleanza aveva

sempre proposto la propria struttura militare come braccio esecutivo dell’Unione, cui rimaneva il

compito di stabilizzazione e ricostruzione. In quest’ottica, una stretta cooperazione Ue- NATO si

pone come ulteriore tassello per lo sviluppo di un comprehensive approach, un approccio globale

internazionale alla gestione delle crisi (principio ribadito nel vertice di Chicago 2012), che richiede

l’applicazione effettiva sia di strumenti militari sia di strumenti civili.

Analogamente alla NATO, anche l’Ue si è dotata di una strategia europea in materia di sicurezza

(ESS), elaborata da Javier Solana, allora Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza

3 http://www.ilcaffegeopolitico.org/22151/evoluzione-della-nato-cosa-cambia-dopo-il-summit-in-galles

4 http://www.atlanticocisalpino.it/index.php/articoli/approfondimenti/80-i-concetti-strategici-della-nato-e-dell-ue

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comune (PESC) e approvata dal Consiglio Europeo tenutosi a Bruxelles il 12 dicembre 2003.

Anch’esso, come il corrispettivo prodotto in seno all’Alleanza, manifesta la volontà di superare una

fase di profonde divisioni tra i partner in merito all’intervento militare in Iraq ed individua tre

obiettivi strategici che l’Ue deve porsi per “difendere la sua sicurezza e promuovere i suoi valori”.

Sono obiettivi di natura non esclusivamente militare, ed inseriti tanto nell’ambito della PESC

quanto nell’ambito PSCD: 1) affrontate le minacce; 2) estendere la zona di sicurezza/stabilità nel

vicinato europeo; 3) ordine internazionale fondato sul multilateralismo efficace. Nel 2008, il

“Rapporto sull’attuazione della Strategia Europea in materia di sicurezza” ne ha poi rafforzato ed

aggiornato il contenuto, fornendone al tempo stesso un bilancio sull’attuazione. Più recentemente,

il Consiglio Europeo di dicembre 2013, è stato dedicato specificatamente al tema della Difesa

Comune Europea, e ha visto la conferma di una Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC)

che continuerà a svilupparsi in piena complementarietà con la NATO, nell’ambito della partnership

stipulata e nel rispetto dell’autonomia e delle procedure decisionali di entrambi i partner. Ciò

significa che l’Ue deve disporre dei mezzi necessari e mantenere un livello sufficiente di

investimenti. Prioritaria tra gli impegni presi è la cooperazione per lo sviluppo delle capacità

militari che deve mirare a garantire l'interoperabilità. Nelle Conclusioni del recente Vertice NATO

di Newport 2014 si è ribadito che l'UE resta un partner unico ed essenziale per la NATO e che le

due organizzazioni condividono valori ed interessi strategici comuni. La NATO riconosce

l'importanza di una Difesa europea più forte e capace, in grado di rendere più forte anche

l’Alleanza Atlantica.

Mentre i rapporti sul terreno sono normalmente fluidi e costruttivi, il dialogo politico-strategico è

intermittente e contraddittorio, nonostante, sulla carta, i meccanismi di cooperazione istituzionale

NATO-UE appaiano organici e articolati. Restano ad esempio un reale ostacolo l’irrisolta disputa

tra Cipro (membro dell’UE, ma non della NATO) e la Turchia (membro della NATO ma non

dell’UE). Margini di cooperazione ancora inesplorata esistono in particolare nel dialogo politico-

strategico e nella definizione di un’agenda complessiva comune. A tal riguardo, sarebbe auspicabile

avviare un processo di revisione della Strategia di sicurezza europea, datata al 2003, che appare

rimasta indietro rispetto al Nuovo Concetto strategico della NATO. È quindi ovviamente possibile

migliorare la cooperazione sul campo. L’indiscutibile superiorità della NATO rispetto all’Ue in

termini di risorse e capacità militari potrebbe suggerire l’impiego dell’Alleanza in operazioni ad alta

intensità di combattimento o che prevedano una robusta presenza militare, in modo da contenere o

prevenire l’esplosione di violenze in aree instabili. L’Ue, anche in ragione dei suoi assets non

militari di gestione delle crisi, potrebbe per contro essere più adatta ad operare in zone già

parzialmente pacificate o dove i rischi di escalation siano limitati e con compiti di ricostruzione e

7

assistenza, più che di combattimento o di ristabilimento dell’ordine. Una prima forma di sinergia

già attuabile è quella del "passaggio di consegne" tra missioni NATO e missioni PSDC una volta

che le condizioni di sicurezza siano sufficientemente stabili. Il comprehensive approach alle crisi

potrebbe dunque costituire il grimaldello che apre la porta ad una cooperazione più strutturata tra la

NATO e l’Ue. Quest’ultima potrebbe mettere a disposizione della NATO le sue capacità civili di

gestione delle crisi (assistenza amministrativa e giudiziaria, forze di polizia, controllo delle

frontiere, ecc.), così come l’Ue si serve degli assets NATO per condurre alcune operazioni militari

in base agli accordi Berlin Plus.

2. LE SFIDE IN CORSO: LO SCENARIO UCRAINO

Senza scendere in giudizi sulle azioni, militari e non, intraprese da Mosca nell’ancora aperto

conflitto Ucraino, dal punto di vista degli equilibri internazionali è interessante osservare quella che

è una manifestazione del riscoperto interesse nazionalistico russo, tendente alla ricostruzione di una

fascia di sicurezza e influenza lungo i propri confini. La politica estera di Mosca si era fatta

progressivamente più aggressiva a partire dal secondo conflitto iracheno (2003), giungendo ad una

sempre più marcata contrapposizione con la NATO, dopo una fase di apparente distensione e

apertura tra gli ex nemici storici.

Diversi sono i fattori che hanno contribuito a deteriorare i rapporti sino ad una radicalizzazione da

parte russa. Da un punto di vista geopolitico, l’espansione progressiva verso Est di NATO e Ue, i

difficili rapporti con l’amministrazione Bush e lo scoppio delle rivoluzioni “colorate” in Georgia

prima (2003) e Ucraina poi (2004) con l’avallo dell’Occidente, hanno causato forti reazioni

nazionalistiche nell’élite russa, ridestando quella storica paura di “accerchiamento” che

tradizionalmente influenza le scelte strategiche di Mosca. Da un punto di vista economico, la

crescita russa, legata in particolar modo al settore petrolifero che ha beneficiano a lungo dell’alto

prezzo del greggio sui mercati internazionali, ha garantito a Putin una certa capacità di manovra.

Inoltre, lo sviluppo economico cinese ha secondo alcuni rappresentato un input per l’élite russa a

perseguire il tradizionale progetto di ridimensionamento globale degli Stati Uniti. 5 In

contrapposizione a questi scenari, Mosca ha strutturato la sua proposta di Unione Euroasiatica, volta

ad estendere la propria influenza su realtà come Estonia, Lettonia e Lituania, mai del tutto uscite

dall’orbita di influenza russa ed abitate da nutrite minoranze russofone, come la Crimea.

5 http://www.europinione.it/sicurezza-in-europa-tra-nato-ue-e-la-russia/

8

La gestione della crisi ucraina ha mostrato tutti i difetti della politica estera di un’Unione Europea

che si è mostrata ancora una volta poco reattiva, non compatta, concentrata sulle problematiche

economico-finanziarie e non su una visione d’insieme, e ha dunque riaperto il dibattito

sull’opportunità di una Politica Estera di Sicurezza Comune e Una Politica Europea di Sicurezza e

Difesa più integrate, con un vero e proprio esercito europeo a rafforzare l’autorevolezza dell’Ue in

ambito internazionale. Per quel che riguarda il tema qui trattato, è evidente che un passo di questo

tipo comporterebbe anche un cambiamento negli equilibri con la NATO, da cui la politica di Difesa

UE potrebbe progressivamente affrancarsi. Occorrerà sotto questo punto di vista dividere oneri e

responsabilità tra le due sponde dell’Atlantico in modo da evitare inutili sovrapposizioni di strutture

e funzioni. Dal mondo politico giungono in questi giorni svariate dichiarazioni d’intenti in funzione

di una maggiore cooperazione. Si pensi alle parole dell’Alto Commissario Mogherini in chiusura

del vertice internazionale di Antalya in cui si è parlato di tensioni con la Russia, immigrazione, crisi

Libica (“Ue e Nato hanno nature diverse ma interessi comuni” e l’UE “non necessariamente”

risponde alle crisi con un “approccio militare”, benché questo non possa essere escluso a priori),6 o

a quelle del Ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier (“La cooperazione tra Ue e Nato

sarà intensificata. Il modo in cui questo processo sarà portato avanti verrà discusso ad un

prossimo incontro a Bruxelles tra l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e il

Segretario generale della NATO”)7, che ha fatto particolare riferimento alla “guerra ibrida” (che

utilizza cioè non solo mezzi strettamente militari ma anche cyberattacchi, disinformazione, tagli alle

forniture del gas e ritorsioni economiche) di Putin. Anche dai vertici NATO arrivano messaggi in

tal senso “Dobbiamo lavorare assieme per gestire le crisi, portare sollievo e proiettare stabilità

oltre i nostri confini” dal momento che questa “è una fase critica per la sicurezza dei nostri Paesi”,

ha detto pochi mesi fa il Vice Segretario Generale Alexander Versbow, secondo cui “la comunità

euro-atlantica deve affrontare nuove minacce e sfide, sia sulle frontiere orientali sia su quelle

meridionali”. La NATO preme per mantenere un atteggiamento assertivo verso una Russia che

“viola le regole internazionali” destabilizzando Ucraina e stati limitrofi, mentre riconosce

all’Unione Europea “un ruolo chiave per aiutare paesi come Ucraina, Georgia e Moldavia nelle

riforme politiche ed economiche, per costruire istituzioni forti e combattere la corruzione”. 8

Opinioni analoghe sono state ribadite successivamente dal Segretario Generale Stoltenberg 9 anche

6 http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2015/05/14/nato-ue-mogherini-sfide-comuni_1cecf0f2-4dcc-4e91-

a2f0-b3e5c272cb12.html ; http://www.affaritaliani.it/affari-europei/nato-ue-367235.html 7 http://it.sputniknews.com/politica/20150514/388484.html

8 http://www.nato.int/cps/en/natohq/news_117948.htm?selectedLocale=en

9 http://www.nato.int/cps/en/natohq/news_118367.htm?selectedLocale=en

9

in seguito ai vertici europei, 10

a suggerire che sia questa la strada intrapresa dal partenariato euro-

atlantico sulla questione ucraina.

3. LE SFIDE IN CORSO: LO SCENARIO MEDITERRANEO

Per secoli il mar Mediterraneo è stato uno dei principali centri di espansione commerciale, politica

ed intellettuale del pianeta. Per l’Europa, ha rappresentato un’enorme opportunità culturale,

economica e strategica, caratteristiche che potrebbero risultare persino enfatizzate dall’escalation

della crisi diplomatica tra i membri dell’unione e la federazione russa, ma che risultano messe a

repentaglio dalle criticità che provengono dalle coste sud del Mediterraneo. Le regioni nordafricana

e mediorientale sono dilaniate dai due epicentri dei conflitti libico e siriano, dall’avanzata

prepotente dell’autoproclamato Stato Islamico con le sue atrocità e da tutta una serie di crisi locali

che sono causate e al tempo stesso alimentano un’instabilità generale della regione, favorendo tra

l’altro traffici illeciti sovranazionali di vario genere, dalla vie della droga alla tratta di esseri umani.

Il mondo arabo, già diviso dalle divergenze sunnita-sciite, vede oggi il radicalizzarsi dello scontro

intra-sunnita e dell’islamismo politico, in una galassia di movimenti un tempo visti di buon occhio

dalle potenze occidentali e ora apparentemente sfuggiti a qualsiasi forma di controllo. Nel

recentemente pubblicato “Libro Bianco per la Difesa”, il governo italiano pone in primo piano

proprio la crisi dello Stato tradizionale nel Mediterraneo come emergenza principale del contesto

geopolitico: l’assenza o la debolezza di controparti istituzionali su cui fare affidamento, impedisce

lo sviluppo di un sistema di sicurezza regionale in grado di neutralizzare le minacce che gravano

sempre più forti a sud dell’Ue, motivo per cui l’Italia intende adottare un approccio multilaterale

alla sicurezza internazionale, ricalcando temi che dovrebbero essere proposti con maggiore vigore a

livello europeo, ovvero: la condivisione della sicurezza e della difesa entro un’”architettura

condivisa multinazionale”; la partecipazione attiva alla sicurezza e difesa sia nella prevenzione,

nella deterrenza e nella eliminazione di minacce, sia nel contributo per garantire condizioni di pace

e sviluppo; la molteplicità dei campi d’azione, non limitata alla mera azione militare, ma inserita in

una cornice diversificata e pluridisciplinare. 11

La crisi Libica riguarda da molto vicino il nostro Paese ed è emblema tanto della difficoltà di

operare in determinati contesti geopolitici, tanto delle problematiche che ancora limitano il processo

di piena integrazione europea sui temi di Difesa e Politica Estera e di collaborazione tra Unione e

10

http://www.nato.int/cps/en/natohq/opinions_119822.htm 11

http://www.difesa.it/Primo_Piano/Documents/2015/04_Aprile/LB_2015.pdf

10

NATO. Svariate sono le criticità e gli interessi che non permettono una visione univoca della crisi.

Al momento dell’intervento la comunità internazionale era compatta nell’intenzione di impedire la

minaccia posta da Gheddafi nei confronti dei ribelli, si agiva pertanto nell’ambito della

Responsibility to Protect; ma non sono mancate anche pressioni di tipo politico, in particolare da

Parigi. La gestione è però risultata inefficace, lasciando il campo ad una situazione di estrema

instabilità. Come in molti Paesi che hanno vissuto le Primavere Arabe, l’entusiasmo della

rivoluzione ha lasciato spazio ad un caos generalizzato e sfociato in una guerra civile in cui è prima

di tutto difficile scindere le parti in causa cui fornire eventuale appoggio politico e/o militare.

Secondo molti esperti, un intervento armato in Libia in questo momento sarebbe controproducente.

Anzitutto la situazione non è cristallizzata ma è al contrario ancora fluida e non permette facili

letture. In secondo luogo, quella che si delinea in Libia è un’emergenza sociale che renderebbe

inutile se non dannoso un intervento di tipo militare senza solide basi che preludano ad un futuro

stabile nella regione. Anche eventuali sanzioni o blocchi navali rischierebbero di essere

controproducenti per un Paese ormai al collasso, e che anzi necessiterebbe di un massiccio

intervento di aiuti internazionali , in attesa di ridurne la grave dipendenza dal settore pubblico e

dalle esportazioni di petrolio; senza considerare la basilare mancanza di coesione dei Paesi

occidentali e di quelli arabi sul futuro del Paese. Servirebbe un dialogo tra mondo arabo, Unione

Africana e occidente per trovare obiettivi realmente condivisi da cui partire, anche attraverso la

legittimazione alle proprie azioni fornita dalle Organizzazioni Internazionali africane o comunque

dalle unità statuali limitrofe più solide.12

A seguito di un’adeguata attività diplomatica volta a

stabilizzare il Paese scongiurando nuovi vuoti di potere, rivolte ed ipotetiche derive islamiste,

potrebbe allora risultare utile una presenza militare in forma di peace-keeping e capacity-building,

attività in cui l’Europa si è sempre mostrata particolarmente capace, mentre l’intervento armato

dovrebbe essere limitato a singole operazioni mirate, da svolgersi con forze speciali in caso di

necessità. L’Italia, oltre ad avere una conclamata ed apprezzata esperienza in attività di sostegno

alla ricostruzione statuale, ha tutto l’interesse nel cercare di districare l’ingarbugliata situazione

libica, quale partner storico del Paese a livello economico-commerciale. L’intelligence italiana

conosce bene il territorio libico e potrebbe collaborare fruttuosamente con i corrispettivi dei Paesi

arabi se venisse organizzata una maggiore cooperazione in tal senso.

La sua posizione strategica ha reso il nostro Paese crocevia dei network di origine nordafricana in

rotta verso il resto d’Europa, e come tale l’Italia svolge un ruolo cruciale anche nella lotta alle

minacce che attraversano il Mediterraneo. In un mondo globalizzato emerge sempre più

12 http://www.comitatoatlantico.it/it/documenti/la-libia-e-il-futuro-della-sicurezza-cooperativa/

11

chiaramente l’incapacità degli Stati di agire singolarmente e la necessità di una sinergia di sforzi tra

gli alleati europei. In quest’ottica la partecipazione alle missioni NATO e all’estero non è solo

legata al vincolo di solidarietà con i Paesi partner, ma è volta soprattutto alla tutela degli interessi

nazionali e del sistema-Paese. Operazioni che comprendono sia la prevenzione di minacce alla

sicurezza nazionale, come nel caso della lotta al terrorismo e alla pirateria, sia quelle agli interessi

energetici ed economici, come nel caso di normalizzazione e stabilizzazione politica di alcune aree,

il mantenimento della pace e la prevenzione dei conflitti. Per questo l’Italia ha sempre dato pieno

supporto alle missioni NATO, anche nei Paesi più geograficamente distanti o dove non vi erano

particolari interessi nazionali, contribuendo in termini finanziari, operativi e umanitari. In virtù di

questa evoluzione dal concetto di difesa collettiva a sicurezza cooperativa, nonché della sua

posizione strategica, l’Italia deve cercare di svolgere un ruolo il più possibile propulsivo in seno

all’Alleanza.13

Dal 2002 il nostro Paese è promotrice dell’avvicinamento della Nato alla Russia e

della creazione di un Consiglio Nato-Russia; allo stesso modo è impegnata nel dialogo

mediterraneo e a rafforzare le relazioni nell’Adriatico con i Paesi balcanici candidati all’Alleanza.

Per perorare i propri interessi di sicurezza nazionale, l’Italia deve mantenere e possibilmente

accrescere la credibilità acquisita nel tempo, migliorando in particolar modo la propria

interoperabilità con le Forze Alleate tramite un sempre maggiore ammodernamento e una sempre

maggiore professionalizzazione del proprio apparato militare, obiettivo d’altronde dichiarato della

nostra Difesa e perseguito tramite il processo di riforma dello Strumento Militare nazionale avviato

con la legge 244/2012.

4. CONCLUSIONI

Si sono cercati di delineare a grandi linee i passi avanti e le problematiche che hanno caratterizzato

il recente operato dell’Ue e della NATO nello scenario allargato di interesse italiano ed europeo.

Un nodo cruciale per il futuro della partnership euro-atlantica e per il destino degli equilibri

geopolitici in seno e attorno all’Europa, potrebbe essere rappresentato dalla ridefinizione del

rapporto NATO-Ue-Russia. Le ultime dichiarazioni dei vertici istituzionali lasciano bene intendere

quali siano le intenzioni degli Stati Uniti rispetto a Mosca e alla sua “guerra ibrida”, ma non pochi

analisti concordano nel ritenere poco lungimirante un eccessivo isolamento della Russia negli

equilibri internazionali e una sua esclusione dalla gestione delle crisi in atto. La Russia potrebbe per

13 http://www.formiche.net/2014/09/01/nato-galles-manciulli/

12

esempio ritagliarsi un ruolo importante nella risoluzione della crisi libica, anche in funzione del

dialogo che sta portando avanti con l’Egitto, oltre che per il benestare ad un’eventuale risoluzione

ONU.14

Dal canto suo la Russia potrebbe trovare nel Mediterraneo una sponda a sud (in cui rientra

anche il suo ruolo in Siria-Iraq) per alleviare la pressione a est (Ucraina-Baltico).

Quanto alla ridefinizione del rapporto NATO-Ue, appare scontato come, se da un lato la

costituzione di vero e proprio esercito europeo porterebbe l’Unione ad agire con maggior forza,

compattezza ed autorevolezza in ambito internazionale e a fare un passo decisivo nella propria

integrazione, dall’altro lato questo porterebbe ad un cambiamento di equilibri con la NATO. La

sovrapposizione che verrebbe a crearsi ridimensionerebbe il peso dell’Alleanza sul continente, ma è

un affrancamento che l’Ue non sembra in grado di affrontare al momento, e forse non solo per

questioni operative, stando al ripiegamento sui singoli interessi nazionali evidenziato dagli Stati

membri negli ultimi anni. La stessa risposta tardiva e i contrasti tra le principali potenze europee

riguardo al futuro dell’Ucraina e ai rapporti con la Russia, sono cartina di tornasole dell’immaturità

europea in termini di politica estera, e non è ancora pronosticabile se, nel suo essere espressione

massima della cessione di sovranità nazionale, una strategia di politica estera e di difesa comune

concreta ed effettiva possa oggi rappresentare un volano o per contro un freno all’integrazione

europea.

L’Italia in questi scenari ha un ruolo cruciale conferitole dalla sua posizione geografica e dai

rapporti che ha tessuto negli anni con il partner libico e con la Russia. La collocazione mediterranea

espone il Paese ai rischi delle criticità in atto e ai traffici illegali che attraversano il Mare Nostrum

con tutti le minacce connesse. A livello di dichiarazione di intenti l’Ue si è detta disposta ad un

maggiore sostegno e una più profonda cooperazione per contenere le emergenze del Mediterraneo,

ma è presto per verificare la reale volontà o quantomeno la reale efficacia delle contromisure

studiate. L’Italia dovrà lavorare, possibilmente col supporto degli altri Stati del sud dell’Europa, per

riequilibrare l’agenda europea in funzione di una maggiore attenzione alle crisi che provengono

dall’area mediterranea, dopo anni di “schiacciamento baltico”. In questo senso fanno ben sperare gli

studi approfonditi dell’European Union Institute of Strategic Studies (EUISS), think tank di punta

europeo che ha recentemente posto l’attenzione sul Maghreb e la Libia. Lo studio EUISS “Tre

scenari al 2025 per il mondo arabo” delinea un possibile “balzo arabo” in cui la stabilizzazione

libica ha un ruolo fondamentale e vede la partecipazione di Algeria ed Egitto, con la prima a contro-

14

http://www.formiche.net/2015/03/04/renzi-putin-russia-libia/ ; http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-03-05/renzi-mosca-porta-mazzo-fiori-ricordo-nemtsov-080427.shtml?uuid=ABahMT4C

13

bilanciamento del fatto egiziano.15

L’Italia dovrà cercare di svolgere un ruolo attivo in nome della

sua expertise nel Paese e delle sue capacità di peace-building, ma dovrà farlo avendo ben chiaro

quali siano gli interessi nazionali, da perseguire in maniera coerente coi tradizionali interessi

energetici ma senza anteporre questi ultimi ad una visione strategica d’insieme come successo in

passato. 16

La crisi libica con le sue sfaccettature è un banco di prova per tutte le parti in causa:

l’Italia dovrà dimostrare di essere in grado di proporre una lettura strategica d’ampio raggio, il

comprehensive approach del partenariato euro-atlantico dovrà dare risposte coerenti alle diverse

dimensione delle moderne sfide alla sicurezza, NATO e Ue potranno dare prova tangibile della

dichiarata volontà di una più stretta cooperazione. Se è vero che è di fronte alle minacce che

alleanze ed organizzazioni internazionali hanno spesso fatto passi decisivi per il proprio sviluppo,

la crisi libica presenta numerosi fattori che se colti ed efficacemente combinati, offrono

un’opportunità per rinnovare i partenariati e il ruolo delle istituzioni euro-atlantiche nella regione

mediterranea.

15

http://www.iss.europa.eu/uploads/media/Report_22_Arab_futures.pdf 16

http://www.analisidifesa.it/2015/02/libia-15-errori-da-non-ripetere/

14

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Ultima consultazione di tutti i documenti citati: 9/6/2015.