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ISTRUZIONEGradoAPPRENDISTA (Tavola A. Calderisi 5-10-09) 1 ISTRUZIONE DEL GRADO DI APPRENDISTA R.S.M. 5 ottobre 2009 (già Forli 1994) Carissimi fratelli, ritengo opportuno far precedere la trattazione specifica del tema da una premessa che considero indispensabile. Per brevità mi limiterò questa sera alla premessa, per poi proseguire, se riterrete e vorrete, alla cosiddetta vera e propria “istruzione”. L’apprendista Libero Muratore, con una metafora tratta dal linguaggio della Libera Muratoria operativa, viene definito una pietra grezza da lavorare. Fuori di metafora, invece, il Libero Muratore è un Uomo, un figlio del suo tempo, che ha sì ricevuto l'iniziazione ma che per la sua recente provenienza dal mondo profano è ancora molto condizionato dai quattro “idola” che il filosofo Bacone chiamo "idola specus, idola fori, idola tribus e idola theatri ", che sono le sovrastrutture, i pregiudizi, le forme mentali derivanti dall'origine familiare, dall'ambiente che si frequenta, dagli influssi della cosiddetta opinione corrente e dalla formazione culturale che si riceve. Questi “idola”, seppure con minor peso, dovettero avere in ogni tempo qualche influenza sul comportamento degli uomini, se già nella scuola italica di Pitagora gli iniziati al primo grado -i cosiddetti acusmatici- dovevano starsene per lungo tempo in silenzio, isolati dal mondo esterno, fino a quando non si fossero liberati dalle scorie mentali della profanità. Nei paesi moderni, soprattutto dell'Occidente, già da anni investiti dalle sollecitazioni edonistiche della pubblicità, conquistati dal culto delle apparenze, dal pensiero pragmatico e meccanicistico della cultura media dominante, gli “idola” vengono distribuiti a domicilio, con tutto il loro potere agglutinante, a milioni di utenti delle reti audiovisive, insieme ai consigli per gli acquisti, ai feticci delle ricchezze, del sesso e del successo, oltre a dosi massicce di cronache violente, di spettacoli d'evasione, di musiche devastanti, concorrenti in varia misura alla formazione di quel concentrato di futilità, di volgarità e di banalità che oggi è l'essenza del senso comune. Perciò l'atto preliminare che l'apprendista deve compiere per predisporsi all'addestramento, è una riflessione autocritica per valutare fino a che punto egli si senta attratto da quei feticci e segnato dall'influenza di quegli “idola”. Questo è il primo passo, forse il più difficile, per chi decide di sottrarsi ai condizionamenti ambientali ed ai modelli di comportamento della sottocultura di massa, per avvicinarsi, con la mente sgombra da meccanismi di rifiuto, alla conoscenza esoterica, quella propria della realtà iniziatica che dobbiamo percorrere lungo il sentiero. Una conoscenza, devo precisare, che non si nutre di nozionismo enciclopedico, nè di velleitaria tuttologia, nè di assurde frammentazioni del sapere superspecialistico, ma viene alimentata dall'osservazione della natura, dell'Uomo e dei segni dei tempi, dall'interpretazione dei testi tradizionali e dall'immaginazione, che non e la facoltà d'inventare qualcosa bensì di vedere quello che c'è nelle cose sotto la luce delle apparenze. Ma prima di tutto la vera Conoscenza è la capacità di cogliere in ogni momento il senso reale del citatissimo aforisma greco "en to pan" -l'uno nel tutto- cioè il rapporto che esiste con il Principio, con l'Uno ovunque presente che, per semplificare il discorso, potremmo anche chiamare Spirito Universale. Purtroppo in questa società opulenta, attivissima produttrice e voracissima consumatrice, che ci offre caterve di prefabbricati, di precotti, di pret-a-porter, di prendi tre e paghi due, si può trovare di tutto, persino l’aria di montagna in bomboletta spray. Vi è un solo prodotto, che non avendo più mercato, resta fuori anche dai circuiti pubblicitari: lo Spirito. Un bene ricordato raramente anche dai sacerdoti che, quali ministri di una religione salvifica, preferiscono raccomandare ai loro fedeli i precetti per la salvezza dell’anima, soffio vitale del corpo, per la palingenesi finale. Ma -voglio precisarlo senza alcuna intenzione competitiva e concorrenziale- quella che noi percorriamo nelle nostre Logge, non è una via di salvazione, è una via di liberazione, di Conoscenza, in cui il nostro Io, valicati i limiti del suo isolamento, acquisisce la consapevolezza dell’unione con il vero Se, essenza superiore del nostro essere. Un impegno totale, questo, che tuttavia non prevede nè atteggiamenti di costrizione, né un estraniamento dai quotidiani doveri sociali e dall’ambiente dove compiamo la nostra esperienza umana, ma comporta un’intensa attività per cercare ciò che è vero, ciò che è giusto, ciò che è buono e, mi piace aggiungere, ciò che è bello, poichè nella vita come nell'arte, la bellezza rende più attraente la verità verso cui tendiamo, per migliorare noi stessi con il proposito di migliorare gli altri.

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ISTRUZIONEGradoAPPRENDISTA (Tavola A. Calderisi 5-10-09) 1

ISTRUZIONE DEL GRADO DI APPRENDISTA R.S.M. 5 ottobre 2009 (già Forli 1994)

Carissimi fratelli, ritengo opportuno far precedere la trattazione specifica del tema da una premessa che considero indispensabile. Per brevità

mi limiterò questa sera alla premessa, per poi proseguire, se riterrete e vorrete, alla cosiddetta vera e propria “istruzione”.

L’apprendista Libero Muratore, con una metafora tratta dal linguaggio della Libera Muratoria operativa, viene definito una pietra grezza da lavorare. Fuori di metafora, invece, il Libero Muratore è un Uomo, un figlio del suo tempo, che ha sì ricevuto l'iniziazione ma che per la sua recente provenienza dal mondo profano è ancora molto condizionato dai quattro “idola” che il filosofo Bacone chiamo "idola specus, idola fori, idola tribus e idola theatri ", che sono le sovrastrutture, i pregiudizi, le forme mentali derivanti dall'origine familiare, dall'ambiente che si frequenta, dagli influssi della cosiddetta opinione corrente e dalla formazione culturale che si riceve.

Questi “idola”, seppure con minor peso, dovettero avere in ogni tempo qualche influenza sul comportamento degli uomini, se già nella scuola italica di Pitagora gli iniziati al primo grado -i cosiddetti acusmatici- dovevano starsene per lungo tempo in silenzio, isolati dal mondo esterno, fino a quando non si fossero liberati dalle scorie mentali della profanità.

Nei paesi moderni, soprattutto dell'Occidente, già da anni investiti dalle sollecitazioni edonistiche della pubblicità, conquistati dal culto delle apparenze, dal pensiero pragmatico e meccanicistico della cultura media dominante, gli “idola” vengono distribuiti a domicilio, con tutto il loro potere agglutinante, a milioni di utenti delle reti audiovisive, insieme ai consigli per gli acquisti, ai feticci delle ricchezze, del sesso e del successo, oltre a dosi massicce di cronache violente, di spettacoli d'evasione, di musiche devastanti, concorrenti in varia misura alla formazione di quel concentrato di futilità, di volgarità e di banalità che oggi è l'essenza del senso comune.

Perciò l'atto preliminare che l'apprendista deve compiere per predisporsi all'addestramento, è una riflessione autocritica per valutare fino a che punto egli si senta attratto da quei feticci e segnato dall'influenza di quegli “idola”.

Questo è il primo passo, forse il più difficile, per chi decide di sottrarsi ai condizionamenti ambientali ed ai modelli di comportamento della sottocultura di massa, per avvicinarsi, con la mente sgombra da meccanismi di rifiuto, alla conoscenza esoterica, quella propria della realtà iniziatica che dobbiamo percorrere lungo il sentiero.

Una conoscenza, devo precisare, che non si nutre di nozionismo enciclopedico, nè di velleitaria tuttologia, nè di assurde frammentazioni del sapere superspecialistico, ma viene alimentata dall'osservazione della natura, dell'Uomo e dei segni dei tempi, dall'interpretazione dei testi tradizionali e dall'immaginazione, che non e la facoltà d'inventare qualcosa bensì di vedere quello che c'è nelle cose sotto la luce delle apparenze.

Ma prima di tutto la vera Conoscenza è la capacità di cogliere in ogni momento il senso reale del citatissimo aforisma greco "en to pan" -l'uno nel tutto- cioè il rapporto che esiste con il Principio, con l'Uno ovunque presente che, per semplificare il discorso, potremmo anche chiamare Spirito Universale.

Purtroppo in questa società opulenta, attivissima produttrice e voracissima consumatrice, che ci offre caterve di prefabbricati, di precotti, di pret-a-porter, di prendi tre e paghi due, si può trovare di tutto, persino l’aria di montagna in bomboletta spray. Vi è un solo prodotto, che non avendo più mercato, resta fuori anche dai circuiti pubblicitari: lo Spirito. Un bene ricordato raramente anche dai sacerdoti che, quali ministri di una religione salvifica, preferiscono raccomandare ai loro fedeli i precetti per la salvezza dell’anima, soffio vitale del corpo, per la palingenesi finale.

Ma -voglio precisarlo senza alcuna intenzione competitiva e concorrenziale- quella che noi percorriamo nelle nostre Logge, non è una via di salvazione, è una via di liberazione, di Conoscenza, in cui il nostro Io, valicati i limiti del suo isolamento, acquisisce la consapevolezza dell’unione con il vero Se, essenza superiore del nostro essere.

Un impegno totale, questo, che tuttavia non prevede nè atteggiamenti di costrizione, né un estraniamento dai quotidiani doveri sociali e dall’ambiente dove compiamo la nostra esperienza umana, ma comporta un’intensa attività per cercare ciò che è vero, ciò che è giusto, ciò che è buono e, mi piace aggiungere, ciò che è bello, poichè nella vita come nell'arte, la bellezza rende più attraente la verità verso cui tendiamo, per migliorare noi stessi con il proposito di migliorare gli altri.

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L’iniziazione che l’apprendista riceve -lo sapete tutti- è soltanto l’inizio di un lungo viaggio sul sentiero, che egli percorrerà giungendo sino al punto dove potranno portarlo le sue qualificazioni personali, la sua volontà e l'assiduità al lavoro sia individuale che di Loggia.

Il lavoro individuale prende le mosse da quell'esortazione scolpita sulla facciata del tempio di Delfi "conosci te stesso". Operazione non facile, da fare senza compromessi auto-assolutori, e dalla rimozione di quel senso comune su cui ho insistito nella prima parte della tavola. Poi continua con lo studio della Tradizione, l’affinamento delle proprie qualità e la ricerca di uno stabile equilibrio interiore sino a quando finirà il proprio soggiorno sulla terra.

Il lavoro di Loggia . L'addestramento del primo grado dovrebbe vertere quasi esclusivamente sulla inesauribile tematica massonica, sull’uso degli strumenti dell’arte e sullo studio della Tradizione unica da cui discendiamo, organizzando anche conversazioni informali nella sala dei passi perduti, con la possibilità -in tal modo- di un colloquio diretto, di domande e di risposte. Metodo di cui ho sperimentato personalmente l’efficacia, diciamo “didattica”, quando questo esperimento è stato fatto nella sala dei passi perduti a Rimini ed in tante altre Logge.

Esaminiamo ora singolarmente i vari supporti, utili all’addestramento.

Primo supporto: la catena d'unione, formata fisicamente dai fratelli che si raccolgono in cerchio attorno al quadro di loggia, include idealmente anche gli assenti e tutti coloro che ne hanno fatto parte nel tempo. Sul piano spirituale è un'entità collettiva fortissima il cui potere aggregante e protettivo è tanto più efficace quanto più è intensa la concentrazione e la tensione dei singoli componenti.

Secondo supporto: i simboli. Sono il veicolo della crescita spirituale ed il linguaggio di comunicazione degli iniziati. Non vanno confusi, come spesso accade nel mondo profano, con i segni, gli emblemi, i distintivi e le allegorie.

La parola simbolo è il sostantivo derivato dal verbo greco “sin-bàllei” che significa mettere insieme, unire. A differenza del segno, dell’emblema o del distintivo che contiene un'unica indicazione, come ogni cartello della segnaletica stradale, il simbolo racchiude in sè molteplici significati, talvolta apparentemente divergenti tra loro ma sempre intimamente correlati. E proprio riunificando valori separati ricrea un' ordine ed un'armonia superiore, contrastanti con l'azione contraria del "dià-bàllei" cioè del separare quel che è unito, da cui trae origine il diabolico, inteso letteralmente come una forza di nefasta disgregazione, una forza da tempo assai attiva.

Agendo sull'uomo a livello personale sensoriale, psichico ed intellettivo, il simbolo ha un forte potere di evocazione delle conoscenze metafisiche primordiali, dall'Uomo conservate, seppure a diversi gradi di offuscamento, non nel subconscio -come suppone qualcuno- bensì nel superconscio, riferibili allo stato corticale, il più nobile del nostro cervello.

Ogni simbolo evoca sempre valori superiori a quelli materialmente espressi. Mi spiego: una ruota dipinta sull’insegna di un riparatore di carri non è che un emblema del suo lavoro, un richiamo per i possibili clienti. La stessa ruota, a quattro o sei raggi, che troviamo scolpita in un tempio orientale ed occidentale, ha innumerevoli significati, da interpretare a seconda del contesto in cui è inserita. Può raffigurare il sole, il ciclo vitale, l’evoluzione, l’eterno ritorno, il divenire, l’irradiarsi da un unico centro dei diversi sentieri iniziatici.

Per citare un altro esempio ricordiamo il triangolo isoscele e quello equilatero. Per un testo scolastico sono soltanto due figure geometriche piane. Esotericamente i triangoli regolari, tracciati con il vertice in alto simboleggiano il fuoco, il maschio, il ternario, tutte le triadi della Tradizione, ed altrettanti valori di segno opposto se il vertice è rivolto in basso.

Volendo formulare una definizione sintetica si può dire che il simbolo è l'espressione sensorialmente percettibile di realtà critiche superiori altrimenti inesprimibili.

E poichè i tramiti di comunicazione sono i cinque sensi, cinque sono le categorie dei supporti simbolici di cui citerò quelli più noti nel sistema massonico. I simboli visivi: le luci, il quadro di loggia, le posizioni all'ordine, le decorazioni del Tempio, l'uniformità del vestiario, il libro della legge, i cappucci, la pietra grezza e quella lavorata, squadra e compasso. I simboli auditivi: (prevalenti nelle tradizioni dei popoli nomadi): le batterie, i colpi di maglietto, i suoni, il tintinnio ed il fragore delle spade, le parole di passo. I simboli tattili: i guanti, i toccamenti, l'acqua, l'aria, il fuoco durante il processo iniziatico, il piede scalzo dell'iniziando che rievoca il mito di Giasone ed il carrum navalis dei misteri isiaci. I simboli olfattivi: le fumigazioni con i diversi incensi.

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I simboli gustativi: il liquido dolce e amaro bevuti dall'iniziando, la carne d'agnello, le erbe amare, l'acqua ed il vino dell'agape rituale.

Riassumendo ricordiamo: il segno è convenzionale, unilaterale, riferibile a un dato noto, si rivolge alla mente, è fine a sè stesso. Il simbolo non ha nulla di convenzionale, ha sempre molteplici significati, si riferisce all’ignoto, si rivolge all’immaginazione, ha sempre valenze superiori alla realtà simboleggiata. Il simbolo infine è l’essenza del Rito, che possiamo definire sinteticamente una dinamizzazione del simbolo.

La parola RITO deriva, attraverso il latino “ritus”, dal sanscrito “rità” che letteralmente significa ciò che è correttamente eseguito, ciò che è conforme all’ordine. Ed effettivamente, realmente, il Rito ristabilisce la congiunzione tra ordine cosmico e ordine terreno, producendo sicuri effetti spirituali se celebrato con rigorosa correttezza.

I profani, e non soltanto loro, purtroppo, usano senza distinzione le parole rito e cerimonia, quasi che fossero due termini interscambiabili. Nello stesso errore incorrono anche molti dizionari.

Ebbene, almeno noi cerchiamo di ricordare, che nella Libera Muratoria, come in ogni organizzazione tradizionale, non esistono cerimonie ma soltanto Riti.

Riti essoterici: quali sono per noi il Rito funebre, la confermazione matrimoniale, l’adozione degli ulivelli, cui possono assistere anche i nostri familiari ed alcuni amici a noi vicini.

E Riti esoterici: riservati soltanto ai fratelli con il vincolo del silenzio, come la purificazione del Tempio, l'apertura e la chiusura dei lavori, l'investitura del Venerabile, gli aumenti di salario e di luce, l'agape fraterna.

Ma il Rito più antico, più coinvolgente e suggestivo è il Rito d'iniziazione, un dono inestimabile di cui un Uomo può beneficiare una sola volta nel corso della sua esistenza e di cui nessuno per nessuna ragione potrà mai privarlo.

Quel dono, che il candidato riceve dopo aver terminato i quattro viaggi probatori nel quaternario degli elementi, è una trasmissione di luce, una folgorazione, che risvegliando le sue potenzialità latenti, gli consentirà di trasformarsi, di rigenerarsi e, se dotato di buone qualificazioni, di accedere al superiori stati di coscienza e di porsi in comunicazione con la parte di sè che trascende l' abituale stato di esistenza.

Non essendo possibile, per mancanza di tempo, analizzare tutte le azioni rituali che si compiono in Loggia, a questo punto mi pare opportuno rilevare una singola peculiarità del Rito iniziatico, il “misterion” come lo chiamavano i greci, che nessun profano, per quanto dotto, potrà mai intendere ed immaginare: alludo alla circostanza che chi trasmette la luce -il Venerabile- non abbia una nozione precisa di ciò che trasmette e che il candidato, ignaro dei poteri dell'iniziatore e frastornato dalla tensione emotiva, non abbia alcuna consapevolezza di quello che riceve. Tuttavia se il Rito viene celebrato secondo le regole prescritte conserva pienamente intatta la propria efficacia.

Delle tre forme di iniziazione esistenti nel mondo, la più elevata spiritualmente, la gianica, a cui possono accedere gli indù della casta superiore, non si ha notizia che sia stata mai trasmessa nel mondo occidentale.

L’iniziazione bactica, detta anche cavalleresca, ricevuta dai Templari e dai nostri Fedeli d'Amore, si è estinta in Europa intorno al 1375, lasciandoci immancabili testimonianze del suo patrimonio di conoscenza nella Divina Commedia e Vita Nova di Dante, nelle opere poetiche di Cavalcanti, Guinizzelli, Lapo Giani, Cecco d'Ascoli, nelle opere dei trovatori provenzali nonchè nelle tele e negli affreschi dei nostri pittori più celebri del XIII e XIV secolo, ma nessuna traccia ci ha lasciato di organizzazioni superstiti.

Sopravvisse, invece, e si diffuse rigogliosamente tra le gilde dei franchi muratori, l'iniziazione di mestiere, la nostra, in forma carmica, forse già operante nei “collegia fabrorum” dell'antica Roma, concettualmente fondata sul principio secondo cui trasformando la materia con il lavoro l'uomo trasforma anche se stesso.

E nessuno potrà dubitare delle vaste conoscenze iniziatiche di quei nostri abilissimi fratelli edificatori delle cattedrali gotiche, monumenti di superlative arditezze architettoniche e vere enciclopedie di pietra, in cui, eludendo i rigori degli inquisitori, hanno saputo occultare gli arcani delle Tradizioni e i più gelosi segreti dell'ermetismo alchemico.

A quei liberi muratori operativi nei quali si realizzava una piena armonia di identificazione dell'artefice con la materia lavorata, sarebbe stato superfluo spiegare la funzione dei nove strumenti dell'Arte che essi maneggiavano quotidianamente e il loro uso simbolico traslato sul piano interiore.

Ogni apprendista sapeva che per sgrossare la pietra il martello deve colpire con forza la testa dello scalpello, ma scegliendo il punto di minor resistenza della scaglia da eliminare, ne ricavava ben presto la lezione che la forza senza discernimento, e il discernimento senza forza, sono in egual misura vani.

E discorsi analoghi, con la stessa doppia chiave di lettura, materiale e simbolica, sono riproponibili per la leva e per tutti gli altri strumenti usati prevalentemente dai compagni d'arte e dai maestri, quando la massoneria era operativa.

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ISTRUZIONEGradoAPPRENDISTA (Tavola A. Calderisi 5-10-09) 4

Noi che da due secoli non costruiamo più ponti, palazzi e cattedrali, che non trasformiamo più la materia, ora per trasformare noi stessi dobbiamo ingegnarci a recuperare, con immaginazione creativa, i valori simbolici di quegli strumenti, utilizzandoli per la costruzione del nostro tempio interiore e di quello comune della fratellanza.

L'assidua partecipazione alle tornate e la corretta ripetizione dei riti , però, non ci esonera dall'impegno del lavoro individuale.

I vecchi alchimisti raccomandavano ai loro allievi: "lege, relege, quaere, lavora, denim invenies occultum lapidem" cioè “leggi, rileggi, cerca, lavora e infine troverai la pietra occulta”, la prima materia insostituibile per il compimento dell'opera.

Ma anche studio, ricerca e lavoro, non possono dare gran frutto se contemporaneamente ognuno non compie quella revisione

del rapporto con sè stesso e con le suggestioni del mondo profano su cui ho insistito all'inizio della conversazione.

Durante il nostro Rito iniziatico il candidato, superata la prova della terra nel gabinetto di riflessione, viene condotto nel Tempio con una corda al collo a cui si attribuiscono vari significati ma che resta un simbolo del cordone ombelicale rescisso per venire alla luce di una vita nuova. E in questo senso l’iniziato, secondo l’appellativo usato dagli esoteristi indù, è veramente “un nato due volte”.

Se quella rescissione non è completa, però, il neofita resta a metà del guado, in una condizione alienante tra la sponda della profanità, ad una distanza ormai siderale dalla luce dello spirito, e la sponda della plurimillenaria Tradizione esoterica, di cui la Libera Muratoria ha l'onore e l'onere di essere l'unica legittima erede in Occidente.

Ed ancora una volta, come in ogni mio intervento, voglio ricordare che senza una Tradizione esoterica non esisterebbe alcuna forma di iniziazione regolare e senza iniziazione non esisterebbe, anzi non avrebbe ragione di esistere alcuna Massoneria.

Ho finito, ma prima di congedarmi voglio formulare l’augurio che ogni apprendista divenga in breve tempo un vero “ lucifero”, cioè un fervido portatore di luce in questo mondo che sta perdendo il senso del sacro cioè la capacità di collegare il cielo con la terra e in cui, come scriveva Herman Hesse, “nulla pare risulti così ostico all'uomo come il percorrere la strada che lo conduce a se stesso”.