Istituzioni e territorio: la Camera di Commercio di ... · Il modello di Mankiw-Romer-Weil (1992)...

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Istituzioni e territorio: la Camera di Commercio di Treviso per lo sviluppo dell’economia locale A cura: Centro Interdipartimentale su Cultura ed Economia della Globalizzazione Università Ca’ Foscari di Venezia (Anni 1995-2005)

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Istituzioni e territorio: la Camera di Commerciodi Treviso per lo sviluppo dell’economia locale

A cura:

Centro Interdipartimentale

su Cultura ed Economia della Globalizzazione

Università Ca’ Foscari di Venezia

(Anni 1995-2005)

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Alla stesura del seguente rapporto hanno partecipato: Responsabile Scientifico prof. Ferruccio Bresolin

Gruppo di lavoro: dott. Quirino Biscaro dott. Alessandro Minello dott. Renato Chahinian

Un particolare ringraziamento al dott. Renato Chahinian, già Segretario Generale della CCIAA di Treviso, sia per il pre-zioso apporto di informazioni che per il concreto supporto di valutazioni critiche.

È consentito l’utilizzo, anche parziale, del contenuto purché venga fatto riferimento alla fonte

Immagine di copertina a cura di: Ufficio Relazioni con il Pubblico, Stampa e Comunicazione

Stampa:Grafiche Vianello - Treviso

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Prefazione del Presidente della Camera di Commercio di Treviso 5

CAPITOLO 1Il contesto ed i riferimenti dell’azione camerale 7

1.1. Premesse 91.2. Il contesto 121.3. Gli obiettivi dell’azione camerale 161.4. Le trasformazioni in atto ed il ruolo dei servizi 181.5. L’azione della CCIAA e i riferimenti alla programmazione regionale e provinciale 211.6. L’azione per “fattori della produzione” 24

CAPITOLO 2Il processo decisionale degli interventi camerali e le sue motivazioni 31

2.1. Premesse 332.2. Metodo di lavoro 332.3. I vincoli cha hanno fatto da sfondo agli interventi camerali 35 Agricoltura 37

Industria 40

Servizi 43

Turismo 47

2.4. Formazione al lavoro e all’imprenditorialità 502.5. Tecnologia e innovazione 572.6. Accesso al mercato 622.7. Gestione finanziaria dell’impresa 65

CAPITOLO 3L’impatto quantitativo degli interventi camerali sul processo di sviluppo locale 69

3.1. Premesse 703.2. Il ruolo del capitale umano nella teoria della crescita 71 Il modello di Nelson e Phelps (1966) 72 Il modello di Romer (1986) 72 Il modello di Lucas (1988) 73

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Il modello di Mankiw-Romer-Weil (1992) 74

Una sintesi 74

3.3. L’impatto dell’investimento in formazione effettuato dalla CCIAA: un tentativo di stima 75

La specificazione quantitativa delle variabili 79

3.5. La stima 80

3.6. Il modello di stima per l’impatto sulla produttività totale dei fattori 82

La stima 84

CAPITOLO 4Una valutazione “quali-quantitativa” di sintesi dell’intervento camerale 87

4.1. Premesse 88

4.2. L’impatto generale dell’intervento camerale 88

4.3. L’impatto degli interventi formativi 91

4.4. L’impatto della tecnologia e dell’innovazione 93

4.5. L’impatto dell’accesso al mercato 98

4.6. L’impatto degli interventi per la gestione finanziaria d’impresa 102

4.7. Valutazioni conclusive per una stima dell’impatto totale 107

CAPITOLO 5 Osservazioni conclusive 111

Bibliografia 114

Le altre pubblicazioni della collana Profili Economici 117

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PREFAZIONE

Viviamo in tempi in cui è sempre più opportuno che un ente autonomo di diritto pubblico, come la Camera di Commercio, si doti di strumenti di monitoraggio e valutazione finalizzati ad una più approfondita valutazione dell’efficacia del proprio operato.

Per la Camera di Commercio la valutazione d’impatto concerne gli effetti economici della propria attività, con particolare riferimento agli interventi diretti per lo sviluppo territoriale e del sistema delle imprese.

Questo lavoro, quindi, nato da una stretta collaborazione tra Camera di Commercio di Treviso ed Università Ca’ Foscari di Venezia, si propone di esplorare le metodologie più consone per una valutazione d’impatto dell’azione camerale.

I principali interventi volti al raggiungimento degli obiettivi strategici della Camera sono analizzati sia sotto l’aspetto qualitativo che quantitativo soprattutto in tema di formazione al lavoro ed all’imprenditorialità, di innovazione, di accesso e permanenza nel mercato e di gestione finanziaria dell’impresa. Sono questi i fattori che il consiglio della Camera di Commercio di Treviso ha individuato come gli assi portanti del programma pluriennale di interventi.

L’applicazione di tali metodologie di analisi ha una valenza sperimentale perchè pochi sono gli enti pubblici che intraprendono questa verifica e persino l’Unione Europea utilizza sistemi diagnostici avanzati solo per i progetti economicamente e socialmente più rilevanti.

Cerchiamo, come sempre, di essere pionieri, in coerenza con l’approccio al miglioramento continuo e alla qualità totale che da tempo l’Ente camerale

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trevigiano sta perseguendo e che di recente ha ottenuto il riconoscimento europeo EFQM (Recognized for excellence) e del Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione.

Una maggiore consapevolezza e trasparenza sui risultati del nostro operato permette una più mirata programmazione per il futuro a sostegno delle nuove esigenze della comunità economica ed a beneficio dell’intera comunità civile.

IL PRESIDENTEDELLA CAMERA DI COMMERCIO DI TREVISO

Federico Tessari

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CAPITOLO 1IL CONTESTO ED I RIFERIMENTI

DELL’AZIONE CAMERALE

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1.1. PREMESSE

La Camera di Commercio di Treviso, come tutti gli enti del sistema camerale, persegue per legge il fine di promozione dello sviluppo del sistema delle imprese nell’ambito dell’economia locale. Ciò comporta per l’ente l’individuazione di una vision e di una mission orientate allo sviluppo del sistema produttivo e, più in generale, allo sviluppo economico locale. Quindi, sotto l’aspetto strategico, lo sforzo maggiore è rivolto alla ricerca dei migliori interventi di promozione dell’economia provinciale per massimizzarne lo sviluppo. In tale ottica, la CCIAA ha finanziato il presente studio, al fine di una valutazione della propria politica di sviluppo. Se, infatti, può essere relativamente semplice supporre che ogni iniziativa promozionale, sia commerciale che economica, in favore delle imprese possa accrescere in qualche modo e misura il loro sviluppo e conseguentemente quello macroeconomico più generale, ben più difficile e complessa risulta la valutazione di tale azione. Infatti, generalmente non si è in grado di affermare se l’iniziativa progettata sia obiettivamente valida, se possa essere migliorata sotto l’aspetto dell’efficienza e dell’efficacia per il sistema, o se sia più conveniente sostituirla con altre alternative. Poiché la gamma di scelta degli interventi è amplissima (e notevolmente diversificata ed articolata), discende il fatto che praticamente ogni ente con scopi promozionali seleziona le proprie iniziative nell’ambito delle richieste che più frequentemente od assiduamente pervengono dal mondo produttivo, compatibilmente con i vincoli normativi e di bilancio e secondo la propria visione dello sviluppo. Con la programmazione e la realizzazione degli interventi prescelti, si cercano poi le motivazioni economiche e si tende ai risultati migliori. In assenza, però, di una valutazione di impatto, ogni risultato e giudizio viene espresso con criteri marcatamente soggettivi, per cui nell’ente attuatore e nei suoi sostenitori prevale l’autoreferenzialità, mentre per gli oppositori si fa strada comunque la critica, anche in presenza di sensibili effetti benefici. Tenendo conto di questi problemi, la Camera di Commercio di Treviso da tempo cerca di adottare sistemi di programmazione e di selezione degli interventi, soprattutto per quelli attuati direttamente (senza

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l’intervento di terzi), secondo i migliori criteri di coerenza e di scelta consapevole, facendo riferimento a vari studi sullo sviluppo economico locale maturati nel corso degli anni. Si è pure sentita progressivamente l’esigenza di compiere valutazioni ex-ante ed ex-post sulla base del reale impatto sull’economia da parte dell’azione camerale. D’altra parte, per il suo specifico campo di intervento, la politica camerale è una tipica politica dell’offerta, i cui risultati vanno ad impattare direttamente sulla produttività e competitività del sistema produttivo, differentemente da quanto avverrebbe con le politiche della domanda (non di competenza camerale), che potrebbero sortire anche effetti indesiderati sull’inflazione e sulla disoccupazione. Proprio per venire incontro all’esigenza camerale ora accennata, l’obiettivo di questa ricerca è di approfondire, nonostante le obiettive difficoltà di valutazione e di stima, gli effetti d’impatto dei principali interventi camerali nel contesto economico locale ai fini dello sviluppo. Per far ciò, si sono scelte le iniziative, effettuate nel quinquennio 2001/2005 (che corrisponde orientativamente al periodo del precedente mandato degli Organi deliberativi dell’ente), più significative per la crescita economica e si sono classificate in base ai fattori di sviluppo che le stesse possono aver attivato. Quindi si è passati ad esaminare sinteticamente lo scenario di fondo dell’economia provinciale in cui si sono inseriti i predetti interventi. Conseguentemente, sono stati approfonditi gli aspetti cruciali dell’analisi, ossia:

• lavalutazionequalitativadegliinterventisuifattoridisviluppo;• l’impatto quantitativo degli stessi interventi sul processo di sviluppo locale.

Data la notevole difficoltà teorico-pratica di quantificare l’impatto, la valutazione è stata limitata all’analisi degli effetti degli interventi di formazione al lavoro e all’imprenditorialità. Ma, considerata la notevole componente formativa presente anche nella realizzazione delle altre tipologie di iniziativa, molti aspetti della valutazione effettuata possono essere estesi a tutte le tipologie. Rimane il fatto che questa ricerca contiene un forte contenuto innovativo volto a risolvere un diffuso, ma trascurato, problema di valutazione degli

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interventi pubblici nell’economia locale, problema comune a tutte le istituzioni locali del nostro Paese (e quindi a tutte le collettività territoriali), che percepiscono sempre più l’esigenza di valutare, sia a preventivo che a consuntivo, il proprio operato ed il grado di raggiungimento del proprio fine di sviluppo. Anche la teoria economica, d’altro canto, pone sempre più attenzione alle economie locali, i cui risultati di sviluppo dipendono molto dall’efficacia dell’azione pubblica sul territorio. Questo studio, pertanto, apre la strada ad ulteriori approfondimenti sulla materia e perciò si dà atto alla Camera di Commercio di aver percepito in anticipo una simile esigenza, che ancora rimane inespressa da parte del nostro sistema generale.

Le aree ad imprenditorialità diffusa, come la provincia di Treviso, diventano una sorta di benchmark dello sviluppo soprattutto grazie a favorevoli condizioni ambientali di vario tipo e spessore, non ultime le reti di fiducia “favorite” dall’operare delle istituzioni locali. È opinione di molti che l’evoluzione che ha interessato la provincia non ne abbia intaccato l’identità culturale, ovvero uno dei fattori che hanno sospinto lo sviluppo dell’area e che hanno ammortizzato gli aspetti critici che ogni modello di sviluppo porta con sé. La crescita della ricchezza, che fa assumere al concetto stesso di sviluppo contenuti non esclusivamente economici, è stata ed è a sua volta favorita da un “capitale sociale” che, intervenendo ogni qualvolta si presentano i cosiddetti “fallimenti del mercato”, consente la continua circolarità tra cultura e scambi economici, e tra gli scambi economici stessi. Sono questi, in estrema sintesi, i caratteri che hanno prodotto lo sviluppo trevigiano caratterizzato da un’accentuata natalità d’impresa ed estremo grado di apertura verso l’esterno. Il capitale sociale e le istituzioni sono fattori della produzione fondamentali per la Marca, ed in esso spicca il coinvolgimento della CCIAA, che da molti anni non punta su interventi di ottica puramente regolamentare, che possono “ingoffire” l’economia locale, a favore invece di progetti di riqualificazione dei punti di forza locale, dei suoi fondamentali “fattori” della produzione: terra, capitale, lavoro e imprenditore. Si tratta di una filosofia di intervento indispensabile per i nuovi bisogni dell’evoluzione

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produttiva, nella consapevolezza che per aumentare l’efficienza dei sistemi d’impresa è necessario dare spazio alle politiche produttive che rispettino le specificità degli ambiti locali, rigettando gli interventi “a pioggia” che di per sé non possono soddisfare tutte le istanze del territorio. In questo la CCIAA si pone in posizione privilegiata, giacché una qualsivoglia politica di sostegno per la PMI deve venire elaborata da chi per natura e per Statuto tiene in debita considerazione le specificità territoriali. La CCIAA è anche per la natura della sua governance, uno dei soggetti maggiormente in grado di individuare le opportunità, i punti di forza e di debolezza, nonché le interrelazioni di un sistema produttivo il cui destino appare sempre più vincolato a quello del territorio in cui opera1. È quindi diffusa la consapevolezza che i decisori pubblici locali avranno un ruolo sempre più importante per lo sviluppo economico del proprio territorio, anche per il crescente decentramento di funzioni che le spinte federaliste comportano. In questo contesto è evidentemente vincente il desiderio dell’amministrazione camerale di attivare tutte le risorse disponibili, umane, finanziarie, ambientali ed istituzionali, al fine di rafforzare il sistema economico localeefavorirneunrilancioallalucedellesfidepostedainuoviscenari;è infatti cresciuto il ruolo che può svolgere nell’indirizzare, sul piano quantitativo e qualitativo, lo sviluppo economico del territorio ed il benessere della comunità che ci vive e lavora.

1.2. Il contesto Il processo di globalizzazione va progressivamente accelerandosi anche nell’attuale congiuntura sfavorevole ponendo in luce al tempo stesso problemi di competitività e di organizzazione dei processi produttivi, oltre che temi sociali legati alla distribuzione del reddito e del benessere. La congiuntura negativa di questi anni, unitamente a fattori internazionali di grande rilievo, pone seri problemi al Veneto ed alla provincia di Treviso per quanto riguarda la competitività e capacità di sostenere i ritmi di sviluppo che ne avevano fatto in passato un caso di

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studio. L’elevato prezzo del petrolio che porta con sé pericolosi focolai di inflazione “importata”, unitamente ad una caduta generalizzata della domanda di consumi e di investimenti nell’economia occidentale, aggravato da una crisi finanziaria, ha causato una crisi depressiva dalla quale ci si potrà risollevare solo con forti iniezioni di fiducia e di efficienza. In questa sfavorevole congiuntura le pur buone “performance” della provincia vengono compromesse sia dalla rivalutazione dell’euro, sia dalla minor domanda internazionale di beni di consumo di qualità e di beni di investimento connessi con la caduta della domanda globale. Infatti il doppio deficit americano della bilancia dei pagamenti e del bilancio federale, unitamente ad un basso livello dei tassi di interesse americani, ha portato ad una cospicua svalutazione del dollaro nei confronti dell’euro ponendo così in difficoltà le nostre esportazioni. Per altro verso l’emergere prepotente sui mercati internazionali di Paesi come la Cina e l’India con tassi di crescita superiori al 9%, esercita una pressione enorme sui prezzi delle materie prime e dell’energia, che sta rendendo difficile la ripresa nei Paesi occidentali, al di là della competizione che questi Paesi esercitano nelle produzioni a bassa tecnologia attraverso i loro ridotti costi del lavoro e in virtù della scarsa tutela accordata alla proprietà intellettuale e ai marchi e brevetti dei competitori occidentali. In questo quadro di congiuntura sfavorevole, la ripresa della economia europea sarà anche condizionata della presenza di “competitor” interni dovuti all’allargamento dell’Unione a dieci Paesi caratterizzati da relativamente bassi costi della manodopera, da elevati livelli di istruzione e dalla presenza di istituzioni favorevoli alla sviluppo di attività produttive labour intensive, riproponendo così una redistribuzione del processo di sviluppo anche all’interno della compagine europea. Queste considerazioni ripropongono in modo forte alcune riflessioni che già si sono avviate nella nostra Regione circa la riqualificazione del modello di sviluppo con una attenzione particolare non solo ai temi della competitività ma anche a quelli della sostenibilità economica, sociale ed ambientale di un processo di crescita che sta manifestando elementi di discontinuità. Treviso continua la sua crescita con ritmi superiori a quelli Italiani ma sta evidenziando preoccupanti fattori di discontinuità rispetto a un modello

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di crescita economico e di benessere che lo aveva portato alla ribalta dell’attenzione nazionale ed internazionale. La crescita che aveva le caratteristiche di crescita endogena ed autocentrata sta evidenziando elementi di esogenità e di esaurimento della spinta autopropulsiva. La stessa interpretazione evoluzionistica, tra l’altro troppo spesso smentita della storia economica e che vedeva nello sviluppo di quest’area la capacità di rigenerarsi continuamente, non regge più, nel senso che il progressivo esaurirsi di alcune risorse chiave impone di operare un salto di qualità. I fattori che hanno consentito lo sviluppo erano essenzialmente, come del resto in tutti i processi di avanzamento sociale e produttivo, fattori di carattere culturale ed istituzionale. Un “ambiente culturale” in cui era presente la voglia di fare, di apprendere facendo, il senso di responsabilità e di imprenditorialità (anche di sè), unitamente ad un forte senso di identità e di appartenenza, hanno prodotto imprenditorialità diffusa, capacità di collaborazione ma anche di competizione in contesti economici che andavano globalizzandosi. Per altro verso i contesti istituzionali locali, si dimostravano interpreti di queste “vocazioni” sorreggendoli con politiche ed interventi atti a favorire lo sviluppo, nel mentre sul piano delle istituzioni informali le “reti di fiducia” diffuse sul territorio consentivano il contenimento dei crescenti “costi di transazione”. La versatilità e la flessibilità tipiche della nostra economia hanno costituito un punto di forza nel processo di integrazione europea e in quello di globalizzazione, punto di forza che può ricondursi senza dubbio a quei fattori di “ambiente” culturale sopra richiamati. Tutto ciò è potuto avvenire dapprima utilizzando le risorse che provenivano da settori con eccesso di offerta di manodopera, come l’agricoltura, poi con una crescente domanda di lavoratori stranieri. La continua riallocazione di manodopera da settori a più bassa produttività verso quelli a maggior capacità competitiva, di per sé fatto fisiologico, è avvenuto a seguito di una specializzazione produttiva che ha visto esaltare le produzioni manifatturiere con forme organizzative decentrate che hanno creato il “sistema diffuso” di piccole iniziative. Ma anche la cultura del lavoro, del fare , la cultura di impresa,

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raggiunge dei limiti, ovvero dei fattori di discontinuità quando le risorse umane, territoriali e infrastrutturali tendono ad esaurirsi, compromettendo così le capacità di promuovere lo sviluppo su basi qualitative nuove e soprattutto in termini di qualità della vita. Paradossalmente l’esaltazione di alcuni valori (come appunto quello del produrre) tende a riproporre un modello di crescita oggi difficilmente sostenibile in termini sociali e ambientali deformando il concetto stesso di benessere della collettività. Benessere che, concepito prevalentemente in chiave reddituale e di lavoro, trascura altri elementi, quelli culturali ad esempio, che sono la premessa per l’avvio di una riqualificazione dello sviluppo. Il raggiungimento della piena occupazione unita ad una struttura produttiva che richiede soprattutto lavoro a scarsa qualificazione, contribuisce infatti ad abbassare il livello di scolarizzazione e di formazione e quindi le premesse per una evoluzione del sistema. Il processo di produzione esige infatti la disponibilità di una gamma diversificata di fattori materiali ed immateriali. Accanto agli “input” tradizionali, capitale, lavoro e progresso tecnico, ci sono componenti umane come il “learning by doing” e la conoscenza, ovvero “input” di lavoro corredati da investimenti in istruzione ed addestramento. Non solo, ma rischia di impoverirsi anche quel complesso di circostanze “residuali”, spesso trascurate nella letteratura, che vanno sotto il nome di “capitale sociale” e che comprendono conoscenze diffuse, valori condivisi, capacità di coordinamento, fiducia e rispetto delle regole che solitamente animano un’organizzazione a “sistema” e che sono in grado di formare istituzioni atte a governare la crescita e la competizione. Emerge sempre più accanto alla necessità di un rilancio della competitività anche l’esigenza di una nuova forma di integrazione e coesione sociale non basata solo sulla capacità di reddito attuale, ma su una riqualificazione di quello che abbiamo definito “capitale sociale”, premessa indispensabile per un rilancio della crescita accompagnata da un miglioramento della qualità della vita e del benessere.

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1.3. Gli obiettivi dell’azione camerale

Treviso, per conseguire i propri obiettivi di riprendere un percorso virtuoso di crescita economica e di benessere “sostenibile”, deve compiere un salto di qualità atto a superare le numerose strozzature e rimuovere i nodi strutturali che di fatto si rivelano pericolosi fattori di discontinuità. Questi nodi strutturali riguardano molti aspetti dell’economia, del territorio e della società. La presenza di una forte interdipendenza tra ambiente esterno, inteso come insieme formato dal quadro giuridico, istituzionale, economico sociale e politico, e l’innovazione, rende necessario esaminare i fattori che spingono al cambiamento e quelli che lo ostacolano. L’interdipendenza dei mercati dei prodotti, dei servizi, dei capitali e dei fattori di produzione in genere, pone in concorrenza non solo le imprese ma anche le istituzioni politiche ed amministrative, i sistemi educativi e di relazione sociale, gli ordinamenti giuridici e i regolamenti che governano i mercati, i contratti e le attività di impresa. Di fatto questi fattori di “contesto” diventano un elemento essenziale del vantaggio competitivo di un paese e di una regione aperta come la provincia di Treviso. Il ritardo italiano e veneto nell’affrontare alcune rigidità strutturali nel mercato del lavoro e nel sistema formativo, nel compiere la necessaria progettazione e realizzazione di nuove opere nel contesto infrastrutturale stradale, autostradale e ferroviario, così come in quello della difesa ambientale e nel settore delle “utilities” costituiscono altrettanti punti nodali nella competitività di sistema. Così come, a scala microeconomica, gli alti costi dell’energia e le complessità burocratiche frenano la competitività delle imprese. La competizione sui mercati globalizzati non si esplica infatti solo nella capacità di esportare o di saper ridurre i costi delocalizzando, ma anche nel saper attrarre capitali ed investimenti dall’estero, capacità di attrazione oggi gravemente compromessa dalla carenza di infrastrutture sul territorio e dagli altri fattori di rigidità. La forte accelerazione impressa dal progresso tecnologico in questi anni impone all’economia una sorta di transizione verso nuovi paradigmi di sviluppo. Ciò che si vuole qui affermare è che la nostra provincia sembra aver

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esaurito la propria spinta ad una crescita “estensiva” e che perciò deve affrontare una difficile transizione verso uno sviluppo “intensivo” nell’uso delle risorse. In altri termini, è giunto il momento di ripensare al proprio modello di sviluppo, sia per affrontare su basi nuove la competitività internazionale, sia per non incorrere nei rischi che il proseguire lungo un sentiero di sviluppo “estensivo” potrebbe comportare. Certo, siamo consapevoli che il nostro sistema produttivo è all’avanguardia in molti settori sia per qualità delle innovazioni introdotte sia per capacità lavorative ed imprenditoriali, tuttavia alcuni segnali ci fanno dubitare non tanto e non solo della persistenza delle capacità competitive, quanto soprattutto della “sostenibilità” sociale, ambientale e territoriale del proprio modello di sviluppo. L’andamento della produttività del lavoro, con riferimento al totale dell’economia del Veneto, appare crescente con ritmi più elevati rispetto all’economia italiana anche se con una ciclicità più accentuata. E’ noto che a determinare queste variazioni concorrano in modo evidente fattori legati all’offerta (progresso tecnico, innovazioni organizzative, tra le quali la delocalizzazione, miglioramento del learning by doing e della qualità dei prodotti) e dal lato della domanda (dimensione e diversificazione dei mercati, loro capacità di spesa e loro contendibilità). Questi dati, seppure positivi, non ci devono indurre ad un facile ottimismo circa la nostra posizione relativa in Europa, vale a dire la nostra capacità competitiva. Infatti non va dimenticato che a determinare l’andamento della competitività totale concorrono anche fattori esogeni o esterni all’impresa, quali le infrastrutture, la qualità e l’efficienza della Pubblica amministrazione e della spesa pubblica ovvero quel complesso di esternalità che hanno grande influenza nella cosiddetta competitività del sistema. Certo che la competitività di un “sistema” (sistema-paese o sistema locale di imprese) si estrinseca nei prezzi, nella qualità dei suoi prodotti e nelle quote di mercato, ma come sappiamo il prezzo in un mercato concorrenziale contiene al suo interno margini di profitto che sono il frutto appunto della competitività e che servono ad alimentare nuovi investimenti, ricerca, innovazioni a loro volta portatori di capacità competitive, secondo un processo cumulativo di “causazione circolare”2.

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1.4. Le trasformazioni in atto ed il ruolo dei servizi

La globalizzazione è un processo diverso dallo scambio in quanto non si limita a internazionalizzare le merci ed i servizi prodotti ma ad internazionalizzare lo stesso organismo produttivo, le imprese dovranno confrontarsi con mutamenti continui dei loro modelli di approccio ai mercati dei beni e dei fattori. Così la competizione globale, sia nei mercati segmentati “intraindustriali” che in quelli dei fattori e dei beni finali, agisce come una sorte di meccanismo di allocazione delle risorse che, mediante il sistema dei prezzi , della qualità e degli altri elementi contrattuali, assegna a ciascuna area regionale un proprio ruolo nella produzione di beni e servizi. L’attuale fase di frammentazione internazionale della produzione, attuata attraverso strategie di (de)-rilocalizzazione produttiva, favorita dalla specializzazione verticale e da cicli produttivi sempre più modularizzati, richiede politiche e strategie del tutto differenti rispetto a quelle centrate su logiche commerciali di puro stampo mercantile. La frammentazione internazionale della produzione implica la trasformazione della mappa delle specializzazioni, non più basata sui beni finiti ma su fasi di produzione caratterizzate da differenti livelli di skill, di conoscenze e di intensità capitalistica. Ecco allora come l’internazionalizzazione rappresenti non più una mera strategia di recupero di competitività per mezzo della riduzione dei costi di produzione, ma tenda a diventare un’espressione del dominio cognitivo e progettuale sulla fase più propriamente produttiva-materiale. Queste trasformazioni coinvolgono importanti aspetti sia micro che macroeconomici. Così sul piano dei dati aggregati anche nella nostra provincia si osserva che ove i vantaggi comparati che davano origini ad un incremento delle esportazioni di beni del settore di specializzazione, oggi invece danno origine a processi che vedono prevalere nel medesimo settore la crescita dell’import. Tale effetto costituisce la conseguenza, solo apparentemente paradossale, del citato processo di frammentazione e della riorganizzazione nei settori di vantaggio competitivo. Questa riorganizzazione si è manifestata soprattutto nel corso dell’ultimo decennio in cui il processo di globalizzazione ha trasformato progressivamente la delocalizzazione produttiva da strumento di efficienza “resource seeking” (per la mera riduzione dei costi di produzione)

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a fattore di efficacia “market seeking” attraverso progetti strategici di innovazione organizzativa e di mantenimento della competitività. Questo fatto comporta che nei settori di specializzazione crescano in misura rilevante anche le importazioni, per cui il flusso crescente di importazioni è correlato non solo e non tanto al soddisfacimento della domanda finale interna, quanto alla capacità di espansione produttiva di un sistema economico ad elevata frammentazione internazionale della produzione. Detto flusso rappresenta sul piano aziendale anche uno strumento per mantenere e/o accentuare il potere di “governance” sulla catena del valore a scala internazionale e allo stesso tempo, una strategia per alimentare continuamente il livello di competitività. A riprova di ciò, si osserva come nei settori di specializzazione, alla crescita delle importazioni corrisponda una crescita sulle esportazioni senza che ciò abbia provocato effetti di spiazzamento e di sostituzione. La correlazione tra la crescita delle importazioni e quella delle esportazioni nei settori di specializzazione è non solo molto elevata, ma è possibile notare come la quota dell’export (in valore) sul totale mondiale dell’Italia e della provincia di Treviso in detti settori sia aumentata nel corso del periodo considerato (1992-2007), fenomeno questo che vale per quasi tutti i paesi ad elevata specializzazione. Perciò l’importazione costituisce all’interno della “supply chain”, un input al quale l’impresa aggrega profitto e salario, ovvero nuovo valore aggiunto. Ogni modulo del processo di produzione, così frammentato, genera nuovo valore, ma è facile intuire che è soprattutto nella fase “to market” che il valore aggiunto è più elevato e, chiaramente, l’appropriazione di questo è l’obiettivo dell’impresa. Non è più il ciclo di vita del prodotto a determinare l’assetto internazionale dei processi produttivi tra paesi avanzati, paesi emergenti e in via di sviluppo, ma quello che potremmo definire il “ciclo di vita” del dominio della conoscenza. Non solo ma la divisione internazionale del lavoro vede il commercio mondiale sempre più positivamente correlato con gli IDE e i movimenti di capitale (e, talvolta, con quelli dei lavoratori), mettendo in discussione i tradizionali teoremi della teoria del commercio internazionale circa la “mobilità” delle merci come sostituto della “immobilità” dei fattori della produzione. La distribuzione mondiale

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della capacità competitiva, e quindi della ricchezza, dipende anche perciò dalla capacità di creare e accumulare conoscenze, sviluppare innovazioni e gestire i flussi finanziari. In sostanza, l’attuale fase di sviluppo dei mercati internazionali e della competitività dimostra come ormai non esistano più settori maturi e settori avanzati, ma come i vantaggi competitivi si manifestino attraverso il posizionamento sul mercato anche di singole fasi di produzione. Naturalmente la ripresa “manifatturiera” della provincia di Treviso è dovuta a due fattori concomitanti: la ricerca della qualità e dell’innovazione di “prodotto” ed il posizionamento su fasce di mercato più ricche. Ciò ha consentito all’economia provinciale do “appropriarsi” di fasi produttive a più elevato valore aggiunto e quindi aumentare il valore delle proprie esportazioni. Di grande rilievo sono anche i cambiamenti richiesti alle istituzioni locali ed alla politica. In primo luogo si manifesta l’esigenza di disporre di servizi qualificati e di infrastrutture atte a questa nuova fase di crescita competitiva affinché la competitività non sia solo di impresa, ma di “sistema”. In secondo luogo competere in un mercato dominato da creatività ed innovazione, ovvero da quella che viene definita “economia della conoscenza”, impone la presenza di strutture formative di capitale umano, di conoscenza e di competenza. In terzo luogo anche il territorio deve riqualificarsi per diventare più competitivo in termini di accoglienza e di attrazione. La riqualificazione del settore industriale libererà aree e volumi prima destinati a produzioni del secondario, ma questo processo andrà guidato e gestito per ridare al territorio un connotato di sostenibilità al proprio sviluppo. La sfida competitiva che caratterizza il processo di globalizzazione comporta quindi l’esigenza di disporre di adeguati strumenti di finanziamento, per penetrare nei mercati internazionali, oltre che per l’accesso alle nuove tecnologie. In particolare, l’innovazione tecnologica richiede investimenti iniziali cospicui, a cui possono far fronte con minori difficoltà le imprese di grandi dimensioni che detengono capacità e competenze per avviare progetti di ricerca e per applicare e diffondere i risultati. Viceversa, le piccole imprese sono caratterizzate dal controllo familiare che, seppur utile per l’avvio di nuovi progetti imprenditoriali

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e per la prima fase di sviluppo, può tuttavia risultare di ostacolo alla successiva espansione dell’attività, per carenza di capitale o incapacità di innovare e/o sfruttare adeguatamente le innovazioni. Non tutta la letteratura sull’argomento giudica però la ridotta dimensione aziendale come fattore di svantaggio competitivo in sé, né è disposta ad ammettere che l’efficienza e la competitività passi necessariamente attraverso le imprese più grandi. Infatti, la concentrazione dell’offerta industriale nei segmenti della piccola dimensione può essere vantaggiosa e rappresentare una modalità efficiente di organizzazione della produzione, qualora questa fosse “a rete”. L’articolazione a rete delle PMI permetterebbe di ottenere risultati migliori rispetto alle singole aziende in quanto in primo luogo facilita lo sviluppo del mercato estero e delle innovazioni. Inoltre il network potrebbe creare vantaggi competitivi e di efficienza, garantendo la sopravvivenza stessa dell’impresa, poiché permette il raggiungimento di obiettivi di lungo termine. In secondo luogo, si ridurrebbe il fabbisogno finanziario delle imprese, sia per la componente del capitale circolante sia per quella del capitale fisso. In terzo luogo, la condivisione di investimenti consentirebbe di frazionare il rischio tra le imprese partner. Questo ultimo aspetto si rivela particolarmente vantaggioso per le banche poiché è stato verificato che nei sistemi produttivi o cluster organizzati in rete si registra un minor numero di fallimenti, contribuendo a migliorare il rating delle imprese. Ne deriva che relazioni durature e formalizzate con aziende consolidate sul mercato e/o in fase di sviluppo, localizzate presso distretti aperti all’internazionalizzazione, meritano rating più elevati e, conseguentemente, condizioni migliori di accesso al credito3.

1.5. L’azione della CCIAA e i riferimenti alla programmazione regionale e provinciale

L’azione della CCIAA di Treviso si è mossa da sempre nell’ambito di esigenze specificatamente locali ma inquadrate nel contesto di una programmazione regionale e in quello ancora più specifico dettato dal “Piano Strategico Provinciale”. La concezione che ha fatto da sfondo al Piano Regionale di Sviluppo

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(PRS) è quella di un sostanziale giudizio di validità circa la persistenza di un sistema di valori e di un ambiente culturale che hanno sotteso il modello di sviluppo Veneto del secondo dopoguerra, pur con i suoi limiti e con i suo i costi. In questa visione l’obiettivo è stato quello di dare continuità allo sviluppo e capacitàdi adattamento a scenarimutevoli;continuità e adattabilità che oggi si scontrano con alcuni vincoli fondamentali. Questi vincoli sono costituiti dall’ambiente, ovvero dagli impatti provocati sull’ambiente fisico dalle attività umane, da carenze infrastrutturali (viarie, di servizio, ecc), da una dinamica demografica in declino e da difficoltà di accesso ai processi innovativi da parte di un settore produttivo ancorato a dimensioni troppo ridotte. A suo tempo gli obiettivi del Piano Regionale si sono articolati essenzialmente su tre direttrici:

• l’uomo,ovverolavalorizzazionedellapersona,intuttelesueespressioni;

• l’ambiente,ovverolatutelaelavalorizzazionedellerisorseambientali;

• l’innovazione,ovverolacapacitàdiinserirel’apparatoproduttivoelavita economica dei grandi scenari dello sviluppo tecnologico.

La realizzazione di questi obiettivi parte dalla considerazione che la finalità del Piano non è solo quella della massimizzazione del reddito, ma una crescita in cui elementi di sviluppo materiale si leghino e interagiscano con elementi di benessere. Se al centro dello sviluppo e della “perfomance” economica del Veneto sta un corretto rapporto tra l’uomo e il suo ambiente culturale, è chiaro che l’obiettivo della massimizzazione del benessere si raggiunge soprattutto attraverso la valorizzazione di questi legami e di queste interdipendenze. L’investimento in capitale umano, la valorizzazione delle risorse ambientali e l’internazionalizzazione intesa come strumento di inserimento in più ampi circuiti di mercato e tecnologici hanno costituito altrettanti obiettivi intermedi o vincoli necessari al perseguimento delle finalità del Piano. Come si vede, il Piano non ha ritenuto di dover esplicitare altri obiettivi, come ad esempio la crescita del reddito o la piena occupazione, in quanto il raggiungimento di questi dipende da un lato dalla intensità e dalla priorità dello sforzo indirizzate ai fattori sopra menzionati, e dall’altro dalle risorse disponibili. Essi peraltro rappresentano scenari

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che fanno da sfondo alla progettualità che costituisce lo strumento per il raggiungimento degli obiettivi di Piano. In sostanza, l’abbandono di obiettivi quali la piena occupazione è derivato da un lato dal fatto che questi obiettivi dovrebbero venire raggiunti attraverso 1o sforzo diretto a valorizzare le risorse, dall’altro dalla lettura di alcuni scenari fondamenta1i che prendevano forma dalla congiuntura economica al momento della stesura del Piano. Quegli scenari possono ora così riassumersi:

1. la crescita della produttività che procede a ritmi superiori alla crescita della produzione, il che significa, soprattutto per il settore industriale, fenomeni di deindustrializzazione in termini di pesi occupaziona1i e comunquedinonproporzionatacrescitadeipostidilavoro;

2. il secondo scenario era dato dalla presenza di forti flessioni nei tassi di natalità e quindi dal prefigurarsi di situazioni sia di insufficiente offerta di lavoro nell’ambito delle classi demografiche “forti “, che di immigrazioni;

3. i1 terzo scenario era dato dalla mutata struttura funzionale dell’economia veneta, che da regione trasformatrice di materie prime era diventata regione orientata alle produzioni finali (e quindi trasformatrice di semilavorati altrui) a più alto valore aggiunto e con unpiùelevatocontenutodi“terziario”;

4. i1 quarto scenario era quello di una crescente terziarizzazione, pera1tro ancorainritardorispettoag1i“standard”prevalentinelNord-Ita1ia;

5. i1 quinto scenario era dato da una struttura dell’offerta di forze di lavoro che privilegia, da un punto di vista qualitativo, le qualifiche intermedie lasciando sguarnite le qualifiche superiori (laureati) e inferiori (generici).

Alla luce di questi scenari il PRS si era dato alcune idee guida che costituivano anche un quadro di riferimento per la pianificazione e la riprogettazione successiva. La prima idea guida stava in una visione della regione come sistema avente unelevatolivellodiinterconnessioneediinterdipendenza;questavisionedel Veneto come sistema reticolare e non come aggregato di aree attorno

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al suo nucleo metropolitano conseguiva direttamente dalla lettura del suo sviluppo strutturale, sviluppo composto da una rete di relazioni i cui punti nodali, pur a vari livelli di importanza e con diversi ruoli gerarchici, erano i tradizionali centri, città e centri minori che componevano (e compongono) il suo policentrismo diffuso e funzionalmente articolato. Se la concezione era quella del Veneto come sistema integrato di relazioni e di funzioni tra centri e punti nodali, assumevano rilievo fondamentale i nodi in cui si articolavano le strutture produttive e insediative nelle singole specificità territoriali. Va notato per inciso che questa visione del Veneto come sistema reticolare non escludeva ma anzi esaltava la gerarchizzazione e la specializzazione deiruoliedellefunzionideivaripoli;maproprioperlalogicadi “sistema” che si era voluto dare alla programmazione, ci si era resi conto che la mancata valorizzazione delle risorse in qualsiasi punto del sistema o il venire meno delle capacità di relazione di qualsiasi nodo dello stesso, avrebbero comportato una perdita di efficienza dell’intera regione e non solo uno squilibrio più o meno socialmente ed economicamente quantificabile e, quindi, aggredibile a posteriori. In definitiva, veniva superato il problema della scelta tra un’alternativa efficientistica costituita dall’intervento prioritario nei punti “centrali” o metropolitani del sistema e l’alternativa “solidaristica” o riequilibratrice attraverso interventi nei punti o negli assi periferici. La seconda idea guida per una strategia di sviluppo regionale è stata quella che puntava sui “fattori” della produzione piuttosto che sui “settori” come prevalentemente attuato nei precedenti piani (anche nazionali).

1.6. L’azione per “fattori della produzione”

Programmare per fattori anziché per settori non è concetto nuovo ma si rifà alle stesse logiche che guidano l’economia di mercato. L’economia è efficiente se le sue risorse, ovvero, i fattori della produzione, quelli tradizionali (come imprenditorialità, lavoro, terra e capitale, credito, non solo, ma anche istituzioni pubbliche e “cultura”), e quelli nuovi (come

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l’innovazione, l’organizzazione, i “labour skills”) possiedono caratteristiche qualitative e quindi versatilità elevate. Pertanto secondo questo approccio, si evita di intervenire sulla domanda o sui settori come strumento di allargamento della base produttiva e occupazionale secondo logiche di tipo keynesiano, (ad eccezione del caso quasi obbligato dell’agricoltura, sia per l’elevato carico di regole amministrative che la dominano, sia per la valenza ambientale che quel settore possiede), nel mentre si concentra l’azione sulle risorse. In questa logica agli Enti locali ed alle istituzioni come la Camera di Commercio spettano compiti essenziali di valorizzazione delle risorse locali e delle loro interdipendenze più che di gestione delle risorse stesse. In tale valorizzazione, naturalmente, occorrerà tenere conto di diversi livelli di concertazione “verticale”: uno tra enti locali (comuni e provincie) e regione; l’altro “orizzontale” tra comuni, traprovincie e traquesti el’impresa e le organizzazioni imprenditoriali e sindacali. In definitiva, programmare per fattori significa valorizzare le risorse, umane ambientali e territoriali, e poi lasciare alla libertà di iniziativa dei singoli e al mercato il compito di rispondere con l’organizzazione e le strutture produttive più adeguate alla sfida degli scenari innovativi che la crescente internazionalizzazione dell’economia impongono. Nel contesto di queste linee direttive si inseriva il concetto o ‘’idea guida” delle pari opportunità da attribuire nella programmazione dello sviluppo alle varie aree.

In sostanza in una programmazione per “fattori” destinata ad un territorio visto come sistema, le pari opportunità costituiscono l’equivalente di una politica di riequilibrio in un contesto di programmazione per settori, però con una profonda innovazione. Nella programmazione per settori il riequilibrio era visto come insiemi di interventi di tipo correttivo effettuato “a valle” del processo produttivo, cioè come misure di tipo compensativo da effettuarsi attraverso incentivi, sussidi e facilitazioni di vario tipo. In sostanza trattasi della logica che ha animato negli anni ‘60 la politica meridionalistica. Nella impostazione per “fattori” il concetto di equilibrio è a monte, vale a dire nella promozione della qualità e della qualificazione dei fattori essenziali allo sviluppo economico.

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Trattavasi comunque di un intervento necessariamente prioritario nella direzione di favorire quello che viene definito oggi come sviluppo endogeno autocentrato o autopropulsivo. In questo senso, il pacchetto di interventi connessi con una logica delle pari opportunità è stato certamente più impegnativo sul piano della progettazione e delle definizione degli strumenti e degli obiettivi di quanto non possa essereuninterventoriequilibratoretradizionale;eranecessario,infatti,valutare e valorizzare attentamente potenzialità e vocazioni delle risorse, in particolare quelle umane, avendo obiettivi di sviluppo che dovevano essere prima concertati e poi guidati. In sintesi, si trattava di sostituire ad un intervento compensativo e correttivo di squilibri passati, un’azione che avrebbe dovuto coinvolgere una progettualità ed una valutazione delle potenzialità dell’ambiente. In questo senso, pari opportunità volevano escludere interventi indifferenziati a “pioggia” di tipo assistenziale e compensativo che già avevano fatto il loro tempo nella cultura dello sviluppo, per concentrarsi su interventi progettuali fina1izzati a valorizzare le risorse che necessariamente devono essere portate al loro massimo livello di competitività e di efficienza.

Dati gli scenari, è abbastanza chiaro quale debba essere il ruolo di un ente come la Camera di Commercio. Se l’obiettivo di un policy-maker locale deve essere quello di accrescere la competitività delle piccole e medie imprese dell’area, un ente di questo tipo deve porre una forte enfasi sulla necessità di:

• aiutare il sistema delle imprese a sviluppare nuove tecnologie ead attuare le opportune innovazioni di carattere manageriale e organizzativo;

• favorireilrafforzamentodellacapacitàdiautofinanziamentoedellastruttura patrimoniale, la possibilità di ottenere capitale di rischio ed unmiglioreepiùfacileaccessoalmercatodelcredito;

• sostenere sforzi volti a realizzareuna efficace e stabilepresenza suimercati (interni ed esteri), sia nelle forme organizzative più tradizionali sia in quelle più recenti.

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È evidente che i primi enti che devono preoccuparsi di tutto questo sono i Ministeri preposti alle attività produttive. Ma non è sufficiente. È necessario e opportuno valorizzare l’attività di quanti operano nel campo della fornitura di “servizi reali” alle imprese: si vedrà successivamente che le delibere camerali si muovono lungo le suddette direttrici. Per realizzare questi obiettivi non era (e non è) sufficiente pensare a specifiche forme di intervento amministrativo a favore delle PMI, ma occorre inquadrare i relativi provvedimenti specifici in una cornice complessiva. Infatti l’intervento della CCIAA a favore delle PMI è stato sostanzialmente rivolto al superamento delle crescenti difficoltà che esse incontrano nel contesto competitivo nazionale ed internazionale. Queste politiche si sono rivolte:

1 all’aiuto,allanascitaedallosviluppodinuovaimprenditorialità;2 al sostegno dei processi di diffusione di nuove tecnologie, di reperimento

del capitale immateriale, della formazione e riqualificazione dei profili professionalinecessari;

3 al superamento degli svantaggi nel reperimento delle risorse finanziarie necessarieallacrescitaedallainnovazione;

4 al sostegno dell’internazionalizzazione verso i paesi extra-comunitari e dellestrutturedicommercializzazioneneglistessipaesi;

5 al sostegno delle innovazioni di carattere organizzativo o manageriale, che da un lato sono parte integrante del processo innovativo, mentre dall’altro rappresentano forse il punto di maggior debolezza delle PMI.

Le esperienze di programmazione basate su di un’ottica settoriale privilegiavano un’economia fondata sulla omogeneità merceologica, lungo linee già codificate dalle strutture amministrative e dalla normativa in campo economico;sitrattadiunaimpostazioneincontrastoconquelladellateoriaeconomica, che ha sempre rivolto la propria attenzione primaria ai fattori della produzione e alla scelta della loro combinazione ottimale, in relazione all’evoluzione dei prezzi relativi dei beni e dei fattori. L’aumentata complessità dei processi produttivi e la crescente rilevanza di funzioni non strettamente produttive hanno fatto diminuire progressivamente le peculiarità settoriali dell’economia, e fatto emergere la superiorità di un approccio trasversale.

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Per quanto riguarda specificamente la provincia, la presenza sul territorio di aree ad alta intensità economica, complesse e dinamiche, dotate di storia ed identità proprie, richiedono analisi specifiche e scelte operative coerenti. Le relazioni territoriali, indispensabili alla riproduzione dei contesti socio-economici, creano esigenze che sfuggono ai classici rapporti gerarchico-funzionali. I nuovi contesti spaziali, parzialmente svincolati dalla rete amministrativa, propongono un nuovo rapporto città-hinterland da gestire non più sul piano settoriale ma su quello fattoriale. La valorizzazione dei fattori della produzione della provincia, prima ancora che ad un rafforzamento dei settori, si è resa necessaria proprio perché i vincoli interessano risorse “chiave”, sia nuove che tradizionali. In ultima analisi, una politica orientata ai fattori della produzione e alle risorse, piuttosto che ai settori, ha l’obiettivo finale di valorizzare le interrelazioni e le interdipendenze che endogenamente ed esogenamente verrebbero attivate.

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Note

1 È un gravissimo errore ritenere che la globalizzazione non abbia bisogno della specificità locale.

2 Sotto questo profilo il confronto tra “produttività totale” fornito dall’OECD dei tre Paesi “big competitors” dell’Italia, vale a dirsi USA, Germania, Francia, può darci un indicatore delle posizioni relative del nostro Paese. Il dato più preoccupante è dato dal ristagno dell’indice italiano tra il 1995 (anno base del calcolo) e il 1999 rispetto ai concorrenti europei. Gli USA continuano a registrare i livelli di produttività più alti, mentre la Germania, dopo il calo dovuto alla riunificazione, riprende la sua spinta.

3 La determinazione del rating è poi modificata a seconda che l’azienda adotti o meno sistemi di pianificazione e controllo e principi contabili internazionali (IFRS/IAS), poiché la loro applicazione può alterare le tradizionali regole che sono alla base delle valutazioni, anche ai fini del merito del credito. Tali principi possono modificare il significato e il contenuto delle singole voci dello stato patrimoniale e del conto economico nonché gli indici di bilancio che sono alla base delle valutazioni aziendali e, quindi, anche del merito creditizio.

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CAPITOLO 2IL PROCESSO DECISIONALE

DEGLI INTERVENTI CAMERALI E LE SUE MOTIVAZIONI

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2.1. Premesse

Per la CCIAA è chiaro che i fattori non sono più soltanto quelli tradizionali, e che sia nelle analisi che nelle politiche si devono prendere in crescente considerazione nuovi fattori la cui importanza sta diventando preponderante, come ad esempio l’innovazione tecnologica, l’informazione, l’accesso ai mercati, la formazione, ecc.. Si è accettata la visione che la base della dinamica produttiva è fortemente condizionata dall’ambiente in cui si svolge e dai fattori che impiega;poiché la produzione di beni materiali e immateriali è opera di processi di trasformazione che l’azienda compie in un determinato ambiente con una data tecnologia. Dall’operato della CCIAA emerge un’azione pubblica decisa sulla base di una attenta considerazione delle possibili alternative e di una valutazione dei loro probabili effetti di breve e di lungo periodo, sia individuali che sociali. Ciò implica la piena adesione ad un’ottica di programmazione per progetti, che è diventata una normale modalità di attuazione dell’azione camerale. Il progetto è visto come un processo supportato da opportune strutture tecnico-amministrative che, avvalendosi anche delle necessarie metodologie, permette di valutare gli interventi in fase di scelta, di attivazione e di valutazione della efficacia degli interventi. La rete di strumenti amministrativi necessari al raggiungimento dell’insieme di obiettivi viene articolata nel tempo e collegata alla politica di bilancio. L’individuazione di alcuni grandi obiettivi, garantendo la possibilità di effettuare opportuni aggiustamenti di rotta, è espressione della volontà di spostare progressivamente in avanti l’orizzonte temporale dell’intervento, ridefinendo obiettivi e politiche.

2.2. Metodo di lavoro

La concreta gestione amministrativa viene legata prioritariamente al sistema del bilancio, nel quale si materializza e si scandisce temporalmente l’attuazione degli interventi programmati. Viene posta particolare attenzione al fatto che una impropria definizione delle funzioni e dei

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rapporti fra progetti può pregiudicare l’operatività dell’intero processo di programmazione. In particolare, è stato posta attenzione all’eventualità che i due processi, quello di piano e quello di bilancio, seguano un “doppio binario”. Da una parte vi sono le decisioni effettive ancorate al sistema dei finanziamenti, dall’altra c’è l’insieme delle indicazioni di piano, capaci di incidere sui reali processi decisionali degli operatori economici: a livello nazionale questa è stata una discrasia, che invece a livello provinciale sembra essere molto attenuata rispetto al passato. Dal punto di vista metodologico si impone la necessità di valutare la tipologia della spesa, per verificare l’elasticità e la precisione degli interventi successivi. Detto questo, in questa sede si discuteranno gli interventi camerali sui fattori dello sviluppo nel periodo compreso tra novembre 2001 e dicembre 2005. La scelta è ricaduta sulle seguenti tipologie:

1. formazione al lavoro e all’imprenditorialità

- Determinazione del Segretario Generale n. 143 del 29/07/2005 - Determinazione del Segretario Generale n. 145 del 29/07/2005- Determinazione del Segretario Generale n. 213 del 23/12/2005 - Delibera di Giunta n. 84 del 07/06/2005- Delibera di Giunta n. 85 del 07/06/2005- Delibera di Giunta n. 99 del 07/06/2005

2. tecnologia e innovazione:

- Determinazione del Segretario Generale n. 259 del 13/12/2005 - Determinazione del Segretario Generale n. 173 del 25/10/2005 - Delibera di Giunta n. 196 del 19/11/2001 - Delibera di Giunta n. 196 del 28/10/2002 - Delibera di Giunta n. 170 del 29/09/2003 - Delibera di Giunta n. 200 del 03/11/2003 - Delibera di Giunta n. 80 del 24/05/2004 - Delibera di Giunta n. 188 del 13/12/2005

3. accesso al mercato

- Determinazione del Segretario Generale n. 183 del 19/09/2003

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- Determinazione del Segretario Generale n. 155 del 29/07/2004 - Determinazione del Segretario Generale n. 174 del 13/09/2004 - Determinazione del Segretario Generale n. 145 del 29/07/2005 - Delibera di Giunta n. 4 del 26/01/2004

4. gestione finanziaria dell’impresa

- Determinazione del Segretario Generale n. 155 del 22/09/2005 - Delibera di Giunta n. 7 del 28/01/2002 - Delibera di Giunta n. 210 del 21/05/2005

2.3. I vincoli cha hanno fatto da sfondo agli interventi camerali

Lo scenario che si presentava per la Provincia nella seconda parte degli anni ‘90 è caratterizzato non solo da grandi ed evidenti opportunità di sviluppo, ma anche dell’accentuarsi di antichi vincoli e dell’apparire di altri del tutto nuovi. Poiché come in tutto il resto del Nord-Est prevale la media e piccola dimensione d’impresa, è a questa realtà che il decisore locale deve dedicare gran parte della propria attenzione. L’evoluzione in atto nel progresso tecnologico e nell’attività innovativa, l’accelerazione nei processi di internazionalizzazione dei mercati e della produzione, le strategie competitive delle imprese nei fatti hanno accentuato l’importanza degli elementi tradizionalmente meno favorevoli alle imprese di minore dimensione. Occorre considerare che l’evoluzione del progresso tecnologico verso sistemi integrati di automazione, il ripristino di più elevate economie di scala e barriere all’entrata, il crescente peso del learning-by-doing hanno rappresentato elementi di discriminazione ulteriore tra le imprese di minori dimensioni: le piccole imprese innovative, che si collocavano già al di sopra delle conoscenze minime hanno potuto svilupparsi ulteriormente e crescere di peso e di dimensioni a seconda dello sviluppo economico del settore merceologico di appartenenza, mentre le altre hanno visto aumentare il divario tecnologico e produttivo. A livello settoriale, gli scenari che si sono dipanati di fronte ai decisori pubblici locali sono stati piuttosto articolati e complessi. Per quel che riguarda il peso degli addetti nei diversi macrosettori, la provincia di Treviso è chiaramente caratterizzata da una forte incidenza

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nel settore industriale, circa il 47,8%, rispetto all’incidenza regionale, del 41,1%. Nel commercio e nel settore edilizio i dati della provincia rimangono allineati con quelli regionali, mentre vi è un notevole divario nel settore dei servizi, in cui Treviso riporta quasi 5 punti percentuali in meno rispetto alla media regionale del 26,4%. Nel complesso, gli addetti della provincia di Treviso costituiscono nel 2001 il 18,7% del totale regionale. Con riferimento solo il settore industriale, la quota trevigiana è apprezzabilmente aumentata dal 1991 al 2001, passando dai 20,3 ai 21,7 punti percentuali. In lieve aumento è stato il settore delle costruzioni, mentre il commercio si è mantenuto stabile. Nei servizi gli addetti trevigiani rappresentano il 15,9% del totale regionale, in leggero calo rispetto al 16,2% del 1991. I valori più significativi sono comunque da attribuire al settore dei servizi: le impreseinVenetocresconodel62,1%mentreaTrevisodel56,1%;attornoal 40% la crescita della dinamica degli addetti per ambo i livelli territoriali. Il numero di imprese e di unità locali del settore industriale invece presenta variazioni negative nel decennio considerato, sia a livello provinciale che regionale. Nel settore commerciale invece ciò accade nella sola provincia di Treviso: tale contrazione è spiegata da una maggiore debolezza di esercizi commerciali a sede unica rispetto a punti vendita appartenenti a reti distributive più strutturate. Il numero di addetti cresce in ciascun macrosettore, ed in particolar modo nell’ambito industriale ed edilizio la provincia stacca la regione. Tale cospicua crescita, a fronte della suddetta diminuzione di imprese ed unità locali, dimostra come vi sia stato un aumento della dimensione media dell’impresa. Analizzando la concentrazione di addetti in base alla dimensione dell’impresa, sebbene in lieve calo rispetto al 1991, rimane nel corso del decennio sempre rilevante il peso delle microimprese (con meno di 10 addetti): sono impiegati il 43,8% degli addetti trevigiani e il 45,9% degli addetti veneti. La piccola impresa (dai 10 ai 50 addetti) occupa a Treviso il 30,4 per cento degli addetti (il 28,3% la quota regionale), dato abbastanza stabile nel corso degli anni. Più interessanti le rilevazioni sulla media impresa (dai 50 ai 250 addetti), soprattutto a livello provinciale: assorbe infatti il 19,4% degli addetti

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della Marca, con un aumento del 3,7% rispetto al 15,4% del 1991. Infine, nella grande impresa (più di 250 addetti) sono impiegati circa il 6,4% degli addetti provinciali, in leggera flessione rispetto al 7,9% del ’91. A livello regionale la grande industria incide maggiormente, circa l’8,5%, in maniera pressoché immutata dal 1991. Esaminando però il numero medio di addetti per impresa, è possibile notare come nelle unità locali nel periodo 1991-2001 si passi sia a livello provinciale che regionale rispettivamente da 4,3 a 4,2 e da 4,4 a 4 addetti. Nelle grandi imprese invece il numero medio degli addetti cresce a Treviso (da 489,7 a 517,2), mentre diminuisce a livello regionale (da 496,4 a 486,2). Le principali differenze che risaltano esaminando gli addetti nelle unità locali nel settore delle industrie consistono in una maggiore concentrazione nel settore delle costruzioni, dei macchinari, e del mobile, per quel che riguarda Treviso rispetto alla media regionale. Per quanto attiene al commercio e servizi il Veneto risulta sensibilmente più specializzato rispetto a Treviso nel commercio al dettaglio e all’ingrosso, negli alberghi e ristoranti, mentre per quel che riguarda altre attività professionali, come ad esempio attività di terziario avanzato, provincia e regione rimangono sostanzialmente allineate. Il settore manifatturiero ha visto nella provincia un aumento degli addetti soprattuttonell’industriadellegno,delmobile,deimaterialiplastici;inlieve aumento anche il settore dei macchinari, e dell’abbigliamento. In calo invece l’incidenza del settore tessile e in maniera ancor più significativa la fabbricazione di autoveicoli.

Agricoltura

Si può affermare che se alla metà degli anni ‘90 esisteva un ambito di attività economiche interessate da consistenti e diffuse innovazioni questo era proprio l’insieme delle attività primarie e delle connesse attività di trasformazione e commercializzazione4. Alla inevitabile evoluzione tecnologica si accompagnavano aspetti inattesi: in taluni casi elevate produttività hanno comportato sovrapproduzioni (con le conseguenti politiche di contenimento), in altri casi profonde modificazioni sui rapporti tra i mezzi di produzione. La provincia di Treviso non fu estranea a tutto questo.

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Alla massiccia ricerca della massima produttività si aggiunse un progressivo mutamento da settore produttivo di materie prime a sistema agro-alimentare, con processi di slittamento di ruoli e di occupazione. La conseguente ristrutturazione degli ordinamenti colturali, che ha coinvolto aree provinciali a produttività inferiore, implicò fenomeni di disattivazione aziendale ed una erosione demografica delle classi più attive di giovani. Né conseguì una diversificazione aziendale, che da un lato fece emergere un’agricoltura tecnologica, dall’altro lato un’agricoltura marginale che sopravviveva grazie ad un difficile equilibrio tra funzioni esplicite ed implicite (difesa del suolo, tutela delle risorse idriche, difesa della ruralità, ecc.). In questo quadro sarebbe stata inefficiente una politica per il primario limitata ad azioni per comparti, richiedendosi invece una evoluzione verso politiche per “fattori”, in particolare quelle per il “capitale umano” e per la commercializzazione. La CCIAA, infatti, ha attuato anche in agricoltura una politica per fattori, stimolando la formazione del capitale umano, l’espansione dell’investimento in capitale di rischio e la promozione della commercializzazione dei prodotti agricoli tipici e di qualità in Italia ed all’estero. In questo modo, si è cercato di favorire lo sviluppo del settore, che nel decennio tra i due ultimi censimenti è drasticamente diminuito in termini di imprese, addetti e superficie agricola utilizzata, come è avvenuto pure a livello regionale e nazionale. Infatti, si è constatato che il notevole disimpegno dovuto alla scarsa redditività di questo settore dipende essenzialmente da un livello diffuso di conoscenze molto basse (la maggioranza degli addetti non svolge professionalmente questa attività), da un frazionamento eccessivo della terra e del capitale investito (per cui le economie di scala sono inesistenti e mancano per lo più anche le attrezzature avanzate per accrescere la produttività) e da una commercializzazione a livello locale che non offre sbocchi di mercato sufficienti. La politica camerale in questo settore, quindi, è stata orientata a migliorare i fattori ora citati con varie iniziative mirate e con la collaborazione delle associazioni imprenditoriali più rappresentative.

In linea generale, sono stati attuati interventi dei seguenti tipi: - corsi di formazione ai diversi livelli per imprenditori agricoli e tecnici

sulle principali problematiche di gestione dell’azienda agricola e delle innovazionitecnologicheinagricoltura;

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- concorsi per contributi in conto capitale, in una certa quota dell’investimento previsto, per l’acquisto di beni strumentali e di attrezzatureinnovativeefortementeproduttive;

- iniziative promozionali, finanziate parzialmente dalla Camera di Commercio ed in parte dagli operatori interessati (entro i limiti imposti dalla normativa comunitaria), per la valorizzazione dei prodotti tipici e di qualità nei mercati italiani e stranieri.

Senza entrare nel dettaglio delle singole iniziative, spesso reiterate anche con modalità simili per ottenere risultati significativi su una vasta massa di operatori minimi, si tenterà di evidenziare qualche effetto generale. Il miglioramento del capitale umano attraverso la formazione ha permesso un innalzamento di livello delle conoscenze di base per una gestione razionale dell’impresa agricola, analizzando gli aspetti economici del processo produttivo per evidenziare tutte le fasi, all’interno dell’azienda e della filiera agricola, che risultano inefficienti o migliorabili e quindi non economiche, ma pure valutando i mercati intermedi e di sbocco dei prodotti e verificandone il grado di concorrenzialità in confronto con la competitività aziendale. Gli apporti dei contributi in conto capitale sono stati decisivi per accedere a degli investimenti troppo onerosi per unità tanto piccole. In questo modo, si è abbassato il costo dell’investimento compatibilmente con le prospettive di redditività futura. Infine, si sono promozionate le produzioni agricole migliori e “di punta”, in grado di rivestire un ruolo primario sui mercati esterni anche internazionali. Ciò è stato attuato con una duplice strategia: partecipando a mostre e fiere specializzate di elevato livello per ampliare i mercati di sbocco facendo meglio conoscere le produzioni selezionate e valorizzando radicalmente i prodotti sotto l’aspetto giuridico (denominazioni di origine) e sotto quello della propensione al consumo (soluzioni eno-gastronomiche di pregio e di immagine). Tutte queste attività hanno creato le premesse per l’evoluzione del settore secondo le tendenze indicate all’inizio di questo paragrafo, ossia sono sorte molte imprese innovative e tecnologicamente avanzate in agricoltura e si è ampliata significativamente la produzione di qualità, mentre le imprese agricole più evolute si sono convertite in aziende industriali agroalimentari. Quest’ultimo settore, al contrario di quello agricolo, si è

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notevolmente espanso e rafforzato, tanto che ora rappresenta un comparto di punta dell’economia trevigiana, ma occupa un posto di rilievo anche nel Veneto e nel panorama dell’industria alimentare italiana. Si confida che quanto perseguito dalla politica camerale possa risultare utile anche alla luce delle nuove promettenti tendenze del settore agricolo che sta presentando nuovi spazi di crescita nel campo degli utilizzi energetici e nell’espansione dei consumi alimentari mondiali in connessione allo sviluppo dei Paesi emergenti.

Industria

Il sistema industriale provinciale si è evoluto mantenendo la prevalenza di imprese di dimensioni modeste, in grado di competere validamente con la struttura industriale di altre aree internazionali. Esauriti i vantaggi che avevano permesso il grande decollo dei decenni passati, le performance attuali si spiegano con la capacità di creare nuovi vantaggi differenziali. Mentre quelli passati furono essenzialmente legati all’ambiente socio-economico, i secondi sono il risultato di una ben precisa e complessa strategia che si articola:

• nellacapacitàdiadottarestrumentidiprogettazioneamedio-lungotermine;

• nell’estendereillivellodiinternazionalizzazioneintermininonsologeografici;

• nellavalorizzazionedellecapacitàinnovativedegliimprenditori.

Le imprese, però, hanno dimostrato una capacità di far fronte più che altro alle innovazioni che riguardano le strutture materiali piuttosto che l’organizzazione, la logistica, i sistemi direzionali, le risorse umane. La loro azione innovativa è stata più efficace se circoscritta alla singola impresa, mentre è risultata più difficile qualora applicata a reti di imprese. D’altra parte proprio nelle innovazioni organizzative vanno individuati i fattori critici per lo sviluppo. In sintesi, dalla metà degli anni ‘90 in avanti le politiche per le attività industriali sono state, ma forse dovevano esserlo di più, “trasversali”, quindi non articolate in manovre settoriali ma con un forte impatto sui fattori della produzione.

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Per tali motivi, la CCIAA di Treviso ha praticato politiche industriali prevalentemente incentrate sui fattori della produzione, anzi proprio nel settore industriale e soprattutto manifatturiero si sono indirizzati i principali sforzi promozionali dell’ente e le maggiori sperimentazioni di stimolo dei fattori della produzione. Infatti, per la visione a medio-lungo termine della Camera, rimane centrale il settore manifatturiero ai fini dello sviluppo, anche se fin dagli anni ’90 si è delineata la tendenza ad un sorpasso del terziario. In realtà, l’ente non ha ritenuto di trascurare quanto laboriosamente e pazientemente è stato costruito per moltissimi anni in questo settore dal tessuto produttivo trevigiano, più che in altre parti d’Italia. Infatti, proprio in provincia di Treviso, ancora nell’ultimo decennio intercensuario (1991-2001), le unità locali industriali sono diminuite dell’1,8%, ma i relativi addetti sono cresciuti di ben il 9,4 %, presentando il più elevato incremento nel Veneto. In questo modo, si è rafforzata anche la dimensione media aziendale (7,7 addetti per unità locale), raggiungendo il 13° posto a livello nazionale, nonostante non vi sia una concentrazione di grandi imprese. Inoltre, si può notare che nel 2001 il settore industriale è stato ancora rilevante, occupando la maggior parte degli addetti provinciali complessivi (175.955 su un totale di 342.931, compresi gli addetti alle istituzioni ed esclusi quelli all’agricoltura). Sempre nello stesso anno il rapporto tra addetti all’industria e popolazione residente era di ben 222 addetti per 1.000 abitanti, occupando così il terzo posto in Italia, dopo Modena e Vicenza. Successivamente, pur in carenza di dati puntuali sugli addetti, si è registrata la tendenza di un certo calo a causa delle ristrutturazioni produttive avvenute soprattutto nel comparto manifatturiero, ma la vocazione industriale dell’area non pare venuta meno, nè inibita nelle prospettive future. In considerazione di tutto ciò, la politica camerale, come emerge dai documenti di programmazione dell’ente e dalle varie relazioni a consuntivo dell’attività, ha continuato a privilegiare il settore industriale per una serie di motivi legati soprattutto allo sviluppo futuro del sistema produttivo. Le principali ragioni di un simile indirizzo possono così riassumersi:

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• sconfinamentodelsettoreagricoloinquelloindustrialerelativamenteal comparto alimentare, come è già stato accennato nel paragrafo precedente;

• maggiorelegameconicanalidistributividelleproduzioniindustriali,in modo da creare una gestione di raccordo tra la produzione ed il commercioavantaggiodientrambe;

• consistente domanda, da parte dell’industria, di servizi avanzatiall’impresa,servizimenorichiestidaglialtrisettori;

• maggiore sensibilità della gestione industriale verso l’innovazionetecnologicaedorganizzativa;

• legamepiùstrettotraconoscenzaeimpresarispettoaglialtrisettori,eccettuato il terziario avanzato.

Tali indicazioni mettono soprattutto in luce due aspetti fondamentali della dinamica di sviluppo propria di questa area e non necessariamente replicabile in molti altri territori del nostro Paese. In particolare, si può dedurre, da un lato, una tendenza a convogliare nell’industria occasioni di sviluppo e di emancipazione derivanti dall’evoluzione di altri settori, dall’altro la funzione disseminatrice e di volano del secondario per innescare quei processi di crescita economica che possono derivare da una politica di forte impatto sui fattori di produzione primari (lavoro e capitale). Come è già stato accennato e come si constaterà meglio nei successivi capitoli, la politica dei fattori operata dalla Camera di Commercio si è basata principalmente sulle seguenti tipologie di intervento destinate a migliorare radicalmente la produttività dei due fattori citati:

• formazioneallavoroeall’imprenditorialità;• tecnologiaeinnovazione;• accessoalmercato;• gestionefinanziariadell’impresa.

Senza entrare nel merito di ciascun fattore, che verrà analizzato nei capitoli successivi, qui è il caso soltanto di sottolineare che si tratta di interventi generalizzabili ad ogni settore, ma gli effetti più efficaci, almeno in una prima fase di sperimentazione, possono essere ottenuti soprattutto nel settore industriale perché più sensibile e strutturato ad accogliere e praticare

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cambiamenti innovativi, anche se, come è noto, nemmeno questo settore è completamente recettivo e maturo per radicali mutamenti verso una gestione moderna ed avanzata. In ogni caso, l’introduzione dei predetti fattori di sviluppo nell’industria, e soprattutto in quella manifatturiera, particolarmente esposta alla concorrenza internazionale, ma per questo fatto più agguerrita e competitiva sul mercato, potrebbe rafforzarne in maniera decisiva la situazione economico-finanziaria a livello d’impresa e di sistema, in modo che, da un lato si creino le condizioni perché il settore sia in grado di proseguire autonomamente con nuovi sviluppi innovativi, dall’altro l’efficacia dei risultati ottenuti possa essere replicata negli altri settori. I principali interventi camerali riguardanti il settore, comunque, verranno descritti nei prossimi capitoli, come è stato già avvertito.

Servizi

Negli ultimi 10-15 anni si è consolidato un fenomeno tipico del mondo industriale, ovvero un atteggiamento “difensivo” e poco strategico nei confronti dei servizi esterni:

• siregistraunbuonutilizzodeisoliservizidibase,mentreilricorsoadaltriservizisembraepisodico;

• nonè “esplosa” ladomandadi servizinel campodella consulenzaorganizzativa e della pianificazione strategica, della consulenza finanziaria;

• la piccola e media dimensione aziendale ancor oggi esprime unadomanda di servizi che privilegia l’assistenza continuativa e la rapida disponibilità, piuttosto che l’innovatività.

Si sono profilati anche dei punti di debolezza tipici dei servizi:

• molti dei servizi di consulenza nella provincia decollano solo perl’impegnoindividualediprofessionisti;-incasinonrariilconsulentenon vanta un’esperienza diretta nei comparti che va ad assistere;-parecchie aziende di servizio continuano ad essere despecializzate, rifuggendo da precise nicchie di mercato.

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Anche in questo settore, perciò, non si può non rilevare l’opportunità di strategie di intervento sui fattori cui si poggiano le attività di servizio. Come è già stato accennato nel precedente paragrafo, la politica dei fattori ha riguardato soprattutto l’industria, ma ha avuto ed avrà ancor più in futuro benefici riflessi sul terziario avanzato. In realtà, con gli interventi di politica industriale avviati dalla Camera si è resa palese una domanda implicita ed inespressa di servizi avanzati che ha portato alla circolazione ed alla diffusione di un modo di concepire in maniera diversa i servizi e le caratteristiche professionali ed organizzative degli operatori in questi campi. Prima degli interventi camerali più qualificanti era consuetudine che le imprese maggiori e quelle più innovative ricorressero ai servizi avanzati e sofisticati prodotti in altre aree del Paese, quasi che la specializzazione nel servizio non esistesse e comunque non fosse di competenza di un territorio dedito ad elevati ritmi di produzione come il nostro. Con il progressivo avanzamento degli obiettivi strategici di sviluppo perseguiti dall’ente camerale, si sta creando la consapevolezza, da un lato, che le aziende industriali abbisognano di servizi più sofisticati anche per le produzioni più tradizionali, ma, dall’altro, che vi è la necessità di servizi avanzati dedicati proprio agli stessi settori tradizionali, servizi che non sempre sono forniti in maniera soddisfacente e mirata da parte delle più note imprese di terziario avanzato a livello nazionale o internazionale, per scarsa conoscenza del contesto locale utilizzatore. In questo modo viene stimolata la domanda territoriale di servizi “ad hoc” e stanno nascendo nuovi servizi più aderenti alle esigenze locali, anche come espansione di quelli più generici già esistenti. Già nel decennio passato (1991-2001) i servizi sono aumentati notevolmente anche in provincia di Treviso (del 12,6% per numero di unità locali e del 36,3% per numero di addetti), anche se su tale incremento pesano pure i servizi alle persone, che stanno attraversando ugualmente un periodo favorevole di crescita. A questi ultimi servizi, inoltre, si è aggiunta l’espansione delle istituzioni del 32,8% in termini di unità, ma di solo il 5,9% per quanto riguarda gli addetti, che si occupano comunque di servizi sociali alle persone. Tralasciando quest’ultimo tipo di servizi che non è di stretta competenza delle Camere di Commercio,

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anche se sempre più si stanno formando spazi comuni di operatività tra imprese, terzo settore e Pubblica Amministrazione e lo stesso ente camerale ha avviato qualche iniziativa in collaborazione con tali realtà, si può ritenere che l’andamento favorevole dei servizi alle imprese (soprattutto industriali ed artigianali) va estendendosi e lo sforzo della Camera nello sviluppo del settore secondario contribuisce anche a quello del terziario. Come è stato osservato in una recente indagine di Unioncamere Veneto sui servizi a livello regionale, inoltre, nelle province a maggior vocazione industriale (Treviso e Vicenza), ma anche nelle altre (seppur in minore misura) una parte dei servizi alle imprese viene internalizzata dalle imprese stesse, acquisendo risorse umane di elevata professionalità in grado di fornire direttamente e con maggiore aderenza alle esigenze aziendali quei servizi che avrebbero potuto anche essere forniti da società esterne di terziario avanzato. Tale tendenza riscontrata esplicita meglio di ogni altra considerazione teorica il fabbisogno dell’impresa industriale di disporre di servizi avanzati e mirati per il business richiesto, senza ricorrere all’assistenza esterna che non sempre può fornire apporti consistenti perché creata sulla base di strumenti concepiti in altri contesti. Ciò non toglie che un terziario avanzato esterno all’impresa ma interno al territorio di competenza possa svolgere una funzione insostituibile di “filtro” tra i modelli scientifici ed innovativi generati a livello globale e le applicazioni specifiche richieste dai contesti locali. Ma il vastissimo campo dei servizi comprende anche il commercio interno ed estero e tutti i servizi di intermediazione in generale. Il commercio interno è certamente l’anello più debole della catena, in quanto la sua struttura ancora in buona parte polverizzata non consente a questo di svolgere le funzioni che sarebbero più adeguate, ossia la distribuzione dei prodotti nei mercati finali secondo le esigenze dei consumi ed a costi contenuti. Anche nel periodo 1991-2001, le unità locali in provincia di Treviso sono scese del 3,7%, mentre gli addetti sono cresciuti del 3,0% a seguito di una progressiva diffusione della grande distribuzione organizzata e tale tendenza dovrebbe essersi mantenuta pure negli anni successivi. Ma non siamo ancora a livelli soddisfacenti, in quanto, da un lato, non si realizzano completamente quelle economie di scala in grado di migliorare

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sensibilmente le condizioni di vendita sotto l’aspetto qualità-prezzo (ma anche e soprattutto il ricarico dei prezzi dalla produzione al consumo) e, dall’altro, non si arriva a quella specializzazione ed assortimento auspicate dal consumatore più esigente (ma disponibile a pagare anche un prezzo superiore). Ne consegue che anche i prodotti di largo consumo non sono alla portata della capacità di acquisto di molte famiglie, mentre non si diffonde ancora una rete estesa di esercizi di vendita di prodotti tipici, di qualità e specializzati ed inoltre abbonda la categoria degli esercizi “di vicinato” non in grado di fornire un servizio economico. Anche in questo campo i servizi camerali al settore hanno riguardato per lo più politiche mirate ai fattori di sviluppo. In particolare, sono stati incentivati la formazione e gli investimenti di capitale in strutture ed attrezzature più moderne, mentre la promozione della commercializzazione è stata effettuata in un’ottica di rivitalizzazione dei centri storici. Per quanto riguarda la formazione, è importante un salto di qualità in una gestione più manageriale degli esercizi commerciali (soprattutto di quelli di minori dimensioni) per ottenere una maggiore economicità aziendale in grado di assicurare contemporaneamente un reddito soddisfacente agli addetti (sia ai lavoratori dipendenti che agli imprenditori) e prezzi accessibili ai consumatori. Con i contributi in conto capitale per il rinnovo e l’ammodernamento delle strutture distributive e dei relativi beni strumentali, invece, si stimola l’investimento privato ad accedere a strutture più moderne e funzionali, per migliorare la produttività aziendale abbattendo i costi fissi per unità di prodotto trattato. Infine, con iniziative promozionali per rivitalizzare o valorizzare i centri storici si aiuta la piccola distribuzione a migliorare i propri standard di servizio al consumatore ed a specializzarsi in quei segmenti di mercato più qualificati per sviluppare l’attività anche in una situazione di marcata frammentazione commerciale, come è stato accennato più sopra. Ma l’evoluzione del settore passa anche attraverso altre strade che ancora sono inesplorate, ma che si pongono all’attenzione degli organi camerali e potrebbero innescare percorsi complementari di sviluppo. Innanzi tutto, nel campo del commercio all’ingrosso le Camere di Commercio da sempre partecipano alle società di gestione dei mercati all’ingrosso e gestiscono direttamente le Borse merci. Per entrambi,

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oggi occorrono sistemi innovativi che riducano drasticamente i costi delle transazioni e che introducano sistemi più trasparenti di rilevazione dei prezzi a vantaggio di tutti gli operatori. A tale proposito, è importante l’introduzione in corso da parte del sistema camerale nazionale, cui partecipa anche la Camera di Treviso, di un sistema informatico e telematico assieme, per la contrattazione on-line dei principali prodotti agricoli trattati nella Borsa merci locale in contropartita con altre piazze italiane. Ma il commercio all’ingrosso può assumere maggiori connotati internazionali, oggi ancora ampiamente trascurati. Dal lato delle importazioni, infatti, sono pochi gli operatori di adeguata dimensione in grado di compiere estese verifiche sulla situazione dei mercati internazionali per scegliere le opportunità di acquisto più convenienti. Per quanto riguarda le esportazioni, poi, le industrie medie e grandi hanno i loro canali distributivi, mentre le unità medio-piccole affidano le loro esportazioni agli importatori e distributori dei Paesi di destinazione. Manca quindi un’attività d’impresa specializzata nella esportazione di prodotti di imprese piccole e micro, in grado di entrare direttamente sui mercati esteri, eventualmente integrandosi con i canali distributivi dei Paesi interessati. In realtà, le cosiddette trading company, specializzate nel commercio internazionale, hanno avuto scarsa rilevanza in Italia ed ancor più nei nostri territori, mentre le esigenze di sbocco sui mercati esteri di tante PMI sono state deluse proprio per l’assenza di questi intermediari innovativi.

Turismo

Da lungo tempo è assodato che per la competitività dell’industria turistica provinciale si deve porre grande attenzione a variabili non solo economiche ma anche, e soprattutto, non economiche. All’indiscutibile opportunità di monitorare fondamentali variabili economiche (come il reddito pro-capite e l’indice dei prezzi al consumo), dalle quali dipende fortemente la componente della domanda, si aggiunge ora l’esigenza di contrastare il carattere sempre più oligopsonistico della domanda internazionale, che allontana tale segmento di mercato dalle regole della perfetta concorrenza. Riguardo alla formazione del reddito

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locale, si è capito che gli effetti moltiplicativi indiretti e indotti non sono così automatici come nelle aspettative, ma dipendenti dal livello di integrazione fra settore turistico ed economia locale.

Con altrettanta chiarezza si è visto che:

• la semplice correzione della logica quantitativanon è sufficiente acatturare nuova domanda, rendendosi necessari criteri che privilegino la qualità dei servizi e la valorizzazione del patrimonio storico e ambientale;

• la domanda comincia a diversificasi sulla spinta di nuovemotivazioni.

In sintesi, anche gli scenari di questo settore travalicano abbondantemente i confini settoriali, richiedendo perciò la stessa filosofia d’intervento prima evidenziata per le attività primarie e secondarie: aggredire le problematiche a monte e non valle, abbandonando cioè le logiche settoriali a favore di quelle fattoriali. La CCIAA di Treviso è intervenuta pure in questo settore con logiche fattoriali, soprattutto incentivando con contributi in conto capitale l’ammodernamento degli esercizi turistici riguardo gli investimenti materiali ed immateriali. Ma i maggiori sforzi, anche perché attuati in comune agli altri attori di sviluppo locale pubblici e privati (enti locali competenti ed associazioni di categoria), sono andati alla promozione delle attrazioni turistiche della nostra zona. In particolare, con molte e notevoli iniziative, sia in sede locale che all’estero, sono state valorizzati, da un lato, il patrimonio culturale ed ambientale del territorio provinciale, dall’altro, le sue tipicità produttive. Infatti, la risorsa turistica può dare i suoi frutti migliori se integrata con quella economica locale. In altri termini, al turista si devono offrire non solo attrazioni culturali e naturali, ma anche i più tipici beni e servizi prodotti nel territorio medesimo. In questo modo, il turista stesso sarà più appagato per aver “vissuto” la località meta del suo viaggio non soltanto per la sua visita, ma anche per la sperimentazione diretta delle tradizionilocali;d’altrocanto,l’economialocalesiavvantaggeràsiadellavendita dei servizi propri del settore turistico, sia di quella relativa ai beni tipici prodotti nel territorio. Tali beni vengono pertanto alienati

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direttamente in loco senza la necessità di intermediazioni esterne o di costi di trasporto per raggiungere il mercato finale e proprio per questi motivi è noto che la vendita al turista non rappresenta altro che la forma più conveniente di esportazione dei beni prodotti a livello locale. Per quanto riguarda le attrazioni turistiche, la provincia di Treviso è ricca di motivi storici, culturali ed ambientali, che vanno dalle memorie medioevali e della Iª Guerra mondiale, alle opere d’arte, alle bellezze paesaggistiche del territorio. Senza entrare nei dettagli, si può osservare che il movimento turistico trevigiano è idoneo soprattutto ad essere praticato da parte di un visitatore evoluto ed esigente e per questo, sinora, le cifre relative agli arrivi ed alle presenze non sono molto elevate, soprattutto se paragonate alle eccellenze che invece si riscontrano negli altri settori produttivi. In sintesi, nel 2006, sono stati registrati circa 600.000 arrivi e 1.600.000 presenze, che hanno corrisposto, nella graduatoria regionale delle province venete, rispettivamente al penultimo ed all’ultimo posto. Ciò è dovuto soprattutto alla vicinanza di Venezia che inevitabilmente attrae enormi masse di turisti ed all’ancora modesta sensibilità del turista medio per quelle attrazioni che non hanno una diffusione a livello globale. Ma la crescita di un turismo culturalmente ed ambientalmente evoluto fa ben sperare per il futuro, anche come complemento alle attrazioni veneziane. D’altro canto, lo standard delle strutture ricettive è buono, proprio perché sorto in connessione con lo sviluppo dell’economia locale e, semmai, le quantità dell’offerta ricettiva dovrebbero essere maggiori. Un’altra opportunità per meglio far conoscere le attrattive del nostro territorio può derivare dal turismo d’affari, proprio in relazione ai fitti legami di business che una provincia produttivamente avanzata intrattiene in misura elevata. Non si tratta solo di creare eventi ed occasioni congressuali di notevole rilevanza (che, d’altra parte, soffrono di una certa carenza di strutture specializzate al riguardo), ma anche di sfruttare turisticamente la normale pratica quotidiana di incontri privati con i numerosi interlocutori delle imprese, provenienti da ogni parte del mondo e che potrebbero essere invitati a trattenersi per scopi turistici qualche giorno in più. Ma le capacità dell’offerta turistica trevigiana emergono maggiormente nel secondo aspetto citato più sopra, ossia nell’integrazione delle attrazioni di visita con quelle produttive locali.

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Esiste, infatti, nella Marca, più che in altri territori, una certa disponibilità di produzioni tipiche e tradizionali ed una loro valorizzazione in termini promozionali rivolta non solo al consumatore locale, ma anche e soprattutto a quello esterno e segnatamente turistico. Si tratta per lo più di produzioni eno-gastronomiche di qualità, ma anche di prodotti artigianali tipici ed industriali (basti pensare, a titolo di esempio, alle calzature ed all’abbigliamento sportivo). In questo modo, il gap turistico della provincia viene probabilmente compensato da un migliore utilizzo della risorsa turistica stessa, che, alla fine, produce unitariamente un valore aggiunto maggiore per l’economia provinciale. Su questo fronte la Camera di Commercio sta lavorando anche a livello di sistema, in quanto da una promozione iniziale allo sviluppo delle produzioni DOC e DOP (oltre che IGT e IGP) si sta passando ad una promozione territoriale di area con pronunciate interdipendenze settoriali tra agricoltura, turismo ed altre attività produttive. Un esempio tangibile è dato dal progetto del distretto del Prosecco, che non dovrebbe limitarsi a stimolare la crescita del settore vitivinicolo, ma lo sviluppo di tutto il tessuto economico locale, compresa la valorizzazione turistica della zona.

2.4. Formazione al lavoro e all’imprenditorialità

I trend demografici sono forieri di numerose conseguenze sul mercato del lavoro e sulla domanda di servizi, che dipendono dall’azione convergente delle seguenti variabili: • la spesa in istruzione aumenta più che proporzionalmente sotto

l’impulso di una domanda che vede in essa un valido e necessario investimento;

• lepersoneconistruzioneelevatatendonoadaumentare,cosìcomelelororetribuzionirelative;

• in una società soggetta a rapida evoluzione anche la struttura perprofessioni della domanda di lavoro cambia rapidamente, anche se in direzioni non facilmente prevedibili.

In questa situazione di incertezza l’unico modo per ridurre il rischio individuale è quello di dotarsi di basi conoscitive sufficientemente

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ampie che permettano di acquisire nuove capacità e specializzazioni. La fruizione dei servizi formativi non è più limitata alla parte iniziale della vita, ma inizia ad articolarsi su tutta la sua durata, con le necessarie diversificazioni funzionali e metodologiche5. Sintetizzando, gli interventi sui fattore formazione devono attivarsi sia attraverso in azioni dirette che indirette miranti a: elevare il livello culturale della forza lavoro, assicurare una formazione di base in grado di evolvere lungo le linee richieste dal mercato e adattarsi con rapidità alla domanda e, infine, a dare vita alla formazione e specializzazione manageriale. Le Delibera di Giunta e le Determinazioni del Segretario Generale prima citate si dimostrano coerenti con tutto questo. La possibilità di introdurre innovazioni (e la velocità della loro diffusione) dipende strettamente dalla disponibilità di forza-lavoro adeguatamente preparata ed “elastica”, in grado di trasferire rapidamente le proprie competenze da un’attività all’altra. Le caratteristiche della forza-lavoro richieste dalle aziende, infatti, cambiano con una velocità che dipende strettamente dall’intensità di fenomeni tradizionali, quali il decentramento produttivo e la segmentazione del mercato del lavoro (in un mercato primario, secondario e marginale), e di fenomeni nuovi, come la corsa alla tecnologia, all’informatizzazione aziendale e alla globalizzazione dei mercati. Questi sono gli aspetti che complessivamente implicano il rinnovamento dei livelli di professionalità richiesti dalle aziende, e delle conseguenti qualifiche, e che stimolano l’emergere di caratteri formativi legati alla capacità di organizzazione e di controllo di situazioni impreviste e complesse. Non è necessario dilungarsi oltre su questi concetti, ben noti e che incontrano il favore unanime degli operatori socio-economici, ma invece è opportuno sottolineare che la complessità dell’intervento in questo campo aumenta per l’interagire tra le variabili demografiche e quelle del mercato del lavoro:

• il livello dei consumi non dipende solamente dal numero deiconsumatori,maancheesoprattuttodallororeddito;pertantoinunaeconomia in espansione il calo demografico non è necessariamente fontedidepressioneeconomica;

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• il carico per lavoratore (residenti per occupato) misura l’oggettivacapacità di sostenere economicamente altre persone, e ciò è da correlaresoprattuttoallapossibilitàdiguadagnodeilavoratori;

• l’innalzamentodelladuratadellavitamediasiaccompagnaadunospostamentoinavantidell’anzianitàfisiologica;ciòimplicaildoverripensare la struttura del tempo di vita per quanto riguarda l’attività lavorativaeiltempodinonlavoro;

• lavariazionedeipostidilavorodipendedirettamentedallavariazionedella produzione; non è esattamente così per l’occupazione, datoche determinate politiche del tempo di formazione e riqualificazione possonofarvariarel’occupazioneaparitàdelnumerodeiposti;

• l’evoluzionedelladomandadi lavoro richiedeunapreparazionedibase sempre più elevata, più compatibile con strutture produttive complesse e con un settore terziario in dirompente evoluzione.

In una realtà così sviluppata e dinamica come quella trevigiana gli ultimi due temi sembrano essere quelli principali. La CCIAA non ha trascurato queste tendenze, intervenendo diffusamente nel settore formativo direttamente mediante Treviso Tecnologia ed indirettamente con il sostegno all’attività delle sedi universitarie dislocate nell’area, come pure attraverso strutture esterne alla Provincia con le quali vi sono accordi strategici sul tema della formazione(CentrodiProduttivitàVenetodiVicenza);quest’ultimoaspettonon è da sottovalutare, poiché dimostra la capacità della CCIAA di fare rete oltre in confini territoriali di sua stretta competenza. Sono stati progettati interventi che consentono di avviare processi di qualificazione, aggiornamento e riqualificazione direttamente rispondenti alle più avanzate esigenze del mercato del lavoro. In questa ottica hanno trovato spazio iniziative che rendono disponibile al sistema delle imprese quelle capacità organizzative, di indirizzo e di innovazione che risultano l’arma vincente nel prossimo futuro. Dal punto di vista quantitativo, tra il giugno del 2004 ed il dicembre del 2005, mediante tre delibere della Giunta Camerale e tre determinazioni del Segretario Generale, sono stati investiti complessivamente 5.081.500 euro, dei quali 320.000 non destinati alla formazione al lavoro ma alla formazione all’imprenditorialità.

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Gli interventi finalizzati alla formazione al lavoro sono così sintetizzabili: A. Formazione sui temi del commercio estero, nella consapevolezza che

l’offertaformativasultemainoggettodebbaesserediversificata;talediversificazione si ottiene realizzando contemporaneamente seminari monografici (di livello avanzato), seminari di aggiornamento, eventi di formazione di base, il tutto a beneficio di color che, indipendentemente dal settore di appartenenza, operano continuativamente sui mercati esteri. L’intervento è avvenuto mediante l’assistenza tecnica del Centro di Produttività Veneto (Fondazione Giacomo Rumor), ente specificamente preposto alla formazione di vario livello, e che realizza non solo corsi di tipo tradizionale ma anche incontri seminariali.

B. Attività formativa sui temi dell’e-learning finalizzata allo sviluppo locale. Trattasi di un progetto pilota, ispirato dalla crescente importanza delle politiche di networking, di marketing territoriale e di gestione delle trasformazioni dei sistemi locali. L’intervento, che è stato portato a termine da Treviso Tecnologia, dimostra la volontà camerale di inserirsi nei processi di “governance” dell’economia locale mediante la creazione ed il sostegno di nuove figure professionali competenti nella pianificazone-programmazione e gestione degli interventi dei processi di sviluppo locale. Quest’iniziativa è anche un’opportunità per diffondere presso altre Amministrazioni Pubbliche il know-how camerale sui temi dello sviluppo.

C. Istruzione universitaria mediante la continuità assicurata al Corso di Laurea in Disegno Industriale dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, con estensione ad un biennio di Laurea Specialistica in Disegno Industriale del Prodotto. Il rinnovo della convenzione, che ha già consentito due cicli triennali del Corso di Laurea, consente alla CCIAA di porsi in posizione di privilegio: si prevede infatti (espressamente in convenzione) una forma di coordinamento anche sulla pianificazione didattica e sulla valutazione dei risultati raggiuntiti. In tal modo la CCIAA può verificare l’aderenza dei temi trattati alle esigenze del sistema economico locale. Il coordinamento si estende poi alle questioni logistiche e amministrative.

D. Istruzione universitaria mediante l’attivazione di un Corso di Laurea in Design della Moda, anche questo gestito dall’Istituto Universitario

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di Architettura di Venezia. L’intervento si ispira alla evidente necessità di rinnovare il sistema moda provinciale; non solo attraverso ilsostegno alla ricerca ed allo sviluppo, ma anche mediante lo stimolo alla creatività ed al marketing. In questa iniziativa la CCIAA ha dimostrato la radicata convinzione che solo importanti sinergie tra mondo accademico, mondo imprenditoriale e operatore pubblico possono portare a compimento detto processo di rinnovamento. L’iniziativa parrebbe a prima vista di tipologia meramente settoriale, ma l’attenzione posta sul complessivo “sistema moda”, su funzioni aziendali riconoscibili anche in altre attività economiche (ricerca e sviluppo, marketing e promozione) e, soprattutto, l’attivazione della citata sinergia di “ampio respiro”, conferiscono un carattere fattoriale giacché l’ideazione e l’architettura del progetto sono facilmente replicabili su qualsiasi settore. Va anche rilevato che tale progetto è stato adottato a seguito di una approfondita discussione interna alla CCIAA, che ha messo in luce i pro e contro dello stesso. Tra i possibili ostacoli che si possono frapporre al pieno successo dell’iniziativa, vi sono i seguenti:

a. Una simile iniziativa ha grandi possibilità di successo se si appoggia su centri accademici di eccellenza a livello internazionale, assenti nella Marca, che possano contare sull’appoggio di grandi marchi (si vedano icasidiGucciePrada);

b. I principali “cervelli” in ricerca e sviluppo, una volta “forgiati” sono spesso“catturati”dapolidiattrazionestranieri;

c. I benefici ottenibili sono di medio-lungo periodo, mentre si avverte l’esigenza di interventi a effetto immediato.

Vi sono però ragioni che giustificano la decisione della CCIAA di procedere nell’iniziativa: a. In ogni settore della Marca, e quindi non solo nel sistema moda,

sono necessarie figure professionali in grado di formulare strategie complesse in condizioni di incertezza, in larga parte derivata dalla globalizzazionedeimercati;

b. L’assenza nella Marca di idonei centri di eccellenza sulla ricerca industriale a maggior ragione rende necessario tentare di attivarne uno in loco, per consentire alle nostre imprese di recuperare i gap tecnologiciaccumulati;

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c. L’appoggio di grandi marchi c’è, come testimonia il coinvolgimento, ad esempio, delle aziende Benetton e Stefanel.

E. Progetto per la formazione ICT mediante il portale WEB 10, gestito da Treviso Tecnologia. Il progetto punta alla qualificazione ed alla specializzazione degli operatori del commercio elettronico. L’iniziativa appare ben finalizzata ed esaustiva poiché si concreta con: a. la gestione, gli aggiornamenti e la selezione redazionale dei

contenuti;b. lapromozioneedilposizionamentodelportale;c. glisviluppitecnicietecnologiciedilconnessomaintenance;d. l’hosting e la gestione della sicurezza.

Vi sono infine da considerare gli interventi finalizzati alla formazione dell’imprenditoria. Nel periodo considerato la CCIAA ha messo in cantiere il progetto “Politiche attive per il governo dei processi di passaggio generazionale nel sistema produttivo trevigiano”, nel quale sono previste anche attività formative per gli operatori che, a vari livelli, dovranno intervenire sulle problematiche del passaggio generazionale delle imprese locali. La CCIAA interviene sul progetto mediante la sua azienda speciale ALPAES. In particolare, la fasi progettuali a spiccato, se non esclusivo, carattere formativo sono le seguenti:

1 sensibilizzazione degli “attori privilegiati” localmente coinvolti nelle problematichedellasuccessioneimprenditoriale;

2 formazione per i formatori che dovranno operare direttamente con i soggettiinteressatidalfenomeno;

3 diffusione in ambito locale, nazionale ed europeo degli interventi suddetti.

La valenza delle suddette attività è la quasi totale assenza sul territorio di formazione specifica su un problema così prossimo, spinoso e latente. Questo progetto ha inoltre il pregio di creare un vasta rete di collaborazioni, che travalica i confini provinciali: si sono infatti coinvolti sia attori locali (Provincia di Treviso, Unindustria Treviso, Confartigianato Treviso, Ascom Oderzo, Coldiretti

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Treviso, Ordine dei Dottori Commercialisti di Treviso), sia attori extra o sovra provinciali come Unioncamere Veneto, Veneto Banca, Enaip Veneto, Associazione Net di Padova. Ma al di là dei progetti ora discussi, è opportuno rilevare che le politiche formative attivate non concorrono solo a ridurre i costi di produzione delle aziende rendendole così più competitive, ma facilitano anche l’adozione di quelle tecnologie avanzate che richiedono una forza lavoro particolarmente qualificata. Riconsiderando in profondità i singoli interventi, si potrà notare come si tratti di una serie di misure dalle quali la CCIAA persegue l’obiettivo di incentivare la pratica formativa basata sull’alternanza tra momenti di apprendimento teorico e momenti di apprendimento in azienda, o perlomeno di attivare un processo formativo più direttamente e spiccatamente orientato all’ingresso nel mondo del lavoro, senza ricadere nel troppo frequente errore della semplice trasmissione di conoscenze ultra-specialistiche limitate a specifici settori di attività o funzioni aziendali. Le difficoltà dell’intervento formativo non sono poche, e la CCIAA le ha sperimentate direttamente, poiché opera su un territorio dove sono presenti ben tre sistemi formativi finalizzati alle attività produttive: quello statale (che si basa sugli Istituti Tecnici e Professionali), quello regionale (gestito dai CSF) e quello privato. Pregi e difetti di questi tre sistemi sono ben noti a tutti, e non è questa la sede opportuna per discuterli. Vale solo la pena di ribadire la volontà camerale di inserirsi nei punti di scollamento tra le tradizionali strutture formative e le dinamiche esigenze produttive delle aziende, tenuto conto anche dei cambiamenti socio-culturali. In ultima analisi dato il contesto generale, le linee d’intervento della CCIAA si contraddistinguono per questi aspetti: • l’aver puntato su qualifiche formative innovative, ancorché

standardizzate;• l’averinvestitonell’integrazioneformazione-lavoro;• l’averestesolaformazioneanuovilivelli;• l’averintrodottopolitichediformazioneperimprenditori.

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2.5. Tecnologia e innovazione

Negli ultimi due decenni le imprese di minore dimensione si sono trovate a dover affrontare uno scenario economico caratterizzato da una accresciuta incertezza tecnologica e da una prevalenza delle innovazioni di prodotto. Lo scenario delle innovazioni di processo è stato caratterizzato da uno spostamento della frontiera verso le applicazioni di sistema, dove più forte è lo svantaggio delle imprese di minore dimensione6;siampliasempre di più l’area delle innovazioni immateriali. Oggigiorno si può rilevare che la migliore performance economica, tradizionalmente ad appannaggio delle imprese con pochi addetti, tende a spostarsi verso le imprese di medie dimensioni. Tra queste ultime emerge un importante elemento di differenziazione rispetto alle imprese minori: la complessità organizzativa e la sua articolazione per aree funzionali7. In questo contesto, e tenuto conto dell’attuale fase dello sviluppo economico locale, nazionale e comunitario, è ben noto che gli interventi nel campo della tecnologia e dell’innovazione hanno una duplice valenza:

1 essi sono universalmente considerati la miglior risposta competitiva all’espansione delle aziende che operano nei cosiddetti paesi “low-cost”,inparticolarele“tigriasiatiche”;

2 se effettuati con opportune modalità, incidono sulla relazione tra produzione e produttività.

I temi della produttività e della competitività si intersecano inevitabilmente con quelli dell’innovazione e della tecnologia. Queste fondamentali componenti del sistema economico, locale e non, hanno attirato l’attenzione della CCIAA, come testimoniano le sei Delibere di Giunta e le due Determinazioni del Segretario Generale emesse tra novembre 2001 e dicembre 2005. Questa intersezione è complessa ma visibile. Si considerino i fenomeni recentemente emersi:

A. La spesa delle aziende in servizi aumenta più che proporzionalmente perché esse ritengono che questa sia la strada necessaria per mantenere competitività sia sui mercati interni che, soprattutto, su

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quelli internazionali. Particolarmente importante è considerata la spesa in ricerca e sviluppo, che viene vista come normale strumento di strategia industriale, anche se è molto concentrata sull’innovazione di prodotto.

B. In questa prospettiva la produzione industriale è caratterizzata quindi

non solo per la modernità delle modalità produttive, ma anche e soprattutto per la progressiva introduzione di nuovi campi di attività a fianco di quelli tradizionali.

C. L’evoluzione tecnologica procede nella direzione di promuovere tecnologie “factor-saving”, sia per quanto riguarda gli sprechi di materiale che l’utilizzo di energia.

D. Viene potenziata e favorita la diffusione dell’informatica come strumento di gestione.

E. Essenziale è la raccolta e la trasmissione delle informazioni. In questo ambito un ruolo particolarmente rilevante viene svolto dai centri di diffusione dell’innovazione nel campo delle tecnologie d’avanguardia.

Su questi temi la CCIAA non si è fatta cogliere impreparata. A tal proposito basta considerare le delibere e le determinazioni prima citate, tenendo presente che 7 su 8 prevedono la collaborazione a vari livelli di Treviso Tecnologia, e che si sono rivolte essenzialmente ai settori trevigiani più esposti alla competizione internazionale (in particolare il calzaturiero):

A. Completamento dell’iniziativa “Mercato virtuale-business elettronico”, avviato nell’anno 2000 con l’assistenza di Treviso Tecnologia. Dopo la prima parte del progetto, che si è concretizzata con azioni di incentivazione verso l’uso delle nuove tecnologie informatiche, con corsi professionalizzanti e con l’attivazione del portale WEB 10, si è proseguito lungo due nuovi filoni:

a. sostegno all’e-commerce tradizionale: mediante addestramento di operatori, facilitazione dei rapporti tra imprese (eventi Business to

Business),attivazionedimercation-linedistrettuali;

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b. iniziative di e-knowledge management: attivazione di comunità virtuali distrettuali.

B. Realizzazione dell’iniziativa “E-knowledge management DICAMO”, a favore del distretto delle calzature di Montebelluna. Il progetto si concretizza con la messa a punta di un portale e dell’infrastrutturazione necessaria al knowledge management.

C. Mantenimento e consolidamento della precedente iniziativa, visto che ha portato alla costituzione di una comunità virtuale nel distretto calzaturiero di Montebelluna: a. estensione di tale comunità ad altri settori b. realizzazione di seminari e convegni sui temi della creatività e

dell’innovazione. Il tentativo di estendere il progetto a settori diversi dal calzaturiero ribadisce l’orientamento della CCIAA ad intervenire sull’economia locale in modo trasversale, cioè con la logica per fattori. D. Sostegno al distretto del legno-arredo nell’accesso ai bandi regionali

sui distretti produttivi. Il motivo di un sostegno limitato a tale distretto risiede nella difficoltà dello stesso ad esprimere una propria progettualità significativa ai fini dei bandi menzionati, capacità che invece posseggono gli altri 4 distretti trevigiani che hanno sottoscritto PattidiSviluppoaifinianzidetti;èquindidaconsiderarsiun’eccezionenella logica camerale di programmazione per fattori, e non una permanente deviazione dalla stessa. L’intervento è opportuno poiché il distretto è rilevante (al momento della delibera contava circa 3.000 imprese e 30.000 addetti), ma al tempo stesso manca della capacità di organizzare il consenso attorno a sé. Di conseguenza sono stati preselezionati i seguenti fattori critici da cui dipendono le scelte finali:

a. sviluppodinuoviprodottiinlineaconletendenzedimercato;b. gestione dei rapporti di filiera, che da un lato deve essere standardizzata

madall’altrodevedarevisibilitàallecompetenzedistrettuali;c. nascitadinuoveprofessionalità;d. sviluppo dell’immagine e dell’identità di distretto. Dopodiché sono

stati definiti due progetti specifici:

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a. “Laboratorio in Rete”: per coordinare soggetti con differenti competenze, perfavorirecollaborazionitraimpreseestruttureformative;b. “Marketplace E-Hub”: attraverso un portale di distretto non tradizionale, diffondere e gestire inmodo integrato le tecnologiepiù avanzate; taleprogetto si articola organicamente lungo tre direttrici ben definite: • in senso strategico, secondo i dettami della e-supply chain

collaboration;• insensotattico,conlalogicadelBusinesstoBusiness;• insensorelazionale,conlalogicae-learningfinalizzataalladiffusione

delle potenzialità di simili strumenti. E. Attività di R&S in merito al Reverse Engineering ed al Rapid Tooling,

nell’ambito delle attività calzaturiere. Si tratta di un’iniziativa ad alto contenuto tecnologico che punta a velocizzare le fasi di progettazione e ingegnerizzazione di nuovi prodotti, quindi con il benefico finale di ridurre il “Time to Market”. Il progetto si articola in una fase di sperimentazione sulle componenti più critiche delle calzature, seguita poi dalla prototipazione ed ottenimento dei campioni, e si conclude con attività di diffusione dei risultati (seminari tematici e pubblicazioni tecniche), fase che sarà affiancata da nuove modalità formative e di training. È opportuno sottolineare che l’iniziativa non va considerata settoriale ma come un tentativo di diffondere ad uno specifico settore un particolare fattore della produzione.

F. Attività di R&S sui temi del Rapid Manufacturing, mirate alla prototipazione e progettazione nel settore calzaturiero. Il progetto ha l’ambizione di ottimizzare i processi di industrializzazione dei nuovi prodotti, giacché l’incremento della competitività del settore non può prescindere dalla compressione del “Time to Market”. Ma non è solo questo: più in generale, dal “presidio” delle fasi di ricerca, sviluppo, progettazione e industrializzazione consegue inevitabilmente il controllo dei gangli vitali del mercato calzaturiero. Per quanto riguarda la logica di sviluppo per fattori vale quanto osservato in conclusione del precedente punto E.

G. Attività di ricerca e trasferimento tecnologico, ancora in tema di Rapid Manufacturing con nanomateriali compositi, nel comparto degli elettrodomestici. Anche in questo caso si tratta di una

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progettualità camerale piuttosto mirata ed alto contenuto tecnologico. Il progetto di ricerca si articola in sperimentazione e diffusione di nuove tecnologie di Rapid Manufacturing, test delle performance dei nanomateriali compositi applicati con tali tecnologie, diffusione delle conoscenze acquisite stimolando l’utilizzo di materiali innovativi. Il fine ultimo è, in breve, introdurre nel comparto una vera e propria nuova metodologia di sviluppo dei prodotti. Anche in questo caso vale quanto osservato in conclusione del precedente punto E.

H. Studio delle condizione tecniche ed economiche per sperimentare sul territorio trevigiano il concetto di Impresa Estesa di distretto. È un progetto di ampio respiro, che si avvale della collaborazione dell’Istituto di Tecnologie Industriali e Automazione del Politecnico di Milano. Le finalità di questa iniziativa sono di natura sistemica, e si possono così sintetizzare:

a.aumentarelacompetitivitàdelleimpresedistrettuali; b. tracciare percorsi evolutivi per le imprese distrettuali che non de

localizzano; c. consolidare la catena del valore distrettuale. Tale progetto, in ultima analisi, presenta un triplice vantaggio: a. è adatto al trasformare l’attuale modello di sviluppo locale da

“estensivo”ad“intensivo”;b. offre sostegno alle aziende che a causa della piccola dimensione e del

mercatodinicchianonsonoingradodidelocalizzare;c. getta le basi per le reti di diffusione delle tecnologie. Anche il contenuto di questa delibera conferma la logica d’intervento fattoriale: infatti, nonostante questa prima esperienza di Impresa Estesa sia applicata ad un solo settore, la stessa delibera sostiene l’opportunità di replicare l’intervento in altri settori.

Dal punto di vista quantitativo, le delibere anzidette hanno implicato investimenti per complessivi 1.406.730 euro. Se si deve fare una valutazione qualitativa di tutti questi interventi, traspare con chiarezza l’intento camerale di puntare non semplicemente all’incremento della produttività e della competitività fine a se stesse, ma ad una superiore e complessiva qualità del sistema economico locale

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attraverso processi di riqualificazione tecnologica e di implementazione diinnovazioni;iprogettiprimadiscussi,infatti,sonomoltomirati.Piùin generale, nella programmazione camerale di queste aree tematiche emerge la consapevolezza che:

• latecnologiaècrucialepoichéassumesialavestedioggettochedisoggettodellosviluppo;

• laqualitànonèpiùunaspetto“collaterale”delleattivitàd’impresamarappresenta un fattore determinante della competitività delle imprese locali che, com’è noto, riescono sempre meno a impostare processi di internazionalizzazione facendo leva sul fattore prezzo, essendo esposte alla concorrenza di prezzo dei paesi emergenti.

2.6. Accesso al mercato

La globalizzazione richiede di strutturare fortemente la propria presenza sui mercati esteri, passando dalla cura dei semplici aspetti commerciali alla costruzione di una presenza stabile, con notevoli capacità di accordo e integrazione con altre aziende. Gli svantaggi che comporta una piccola dimensione produttiva non emergono chiaramente nel breve periodo, nel quale anzi risaltano alcuni elementi di vantaggio8, ma nel lungo periodo sotto l’aspetto della presenza instabile sui mercati esteri. La CCIAA si è dimostrata sensibile a questi temi, consapevole che l’apertura internazionale delle imprese implica una riorganizzazione produttiva su scala mondiale all’interno di nuovi circuiti internazionali di divisione del lavoro. In pratica, la globalizzazione di oggi conduce all’iperconcorrenza (repentina acquisizione e perdita di leadership, adozione di strategie che “sacrificano” prodotti abbreviandone il ciclo di vita, ingresso in alleanze temporanee, ecc.). È pur vero che le PMI della Provincia sono aziende note per operare nei mercati esteri supportate da un riconosciuto know-how tecnico e commerciale, ma per vari motivi spesso sono frenate nel loro successo di lungo periodo rispetto alle concorrenti oltreconfine, soprattutto tedesche e francesi, per alcuni motivi di fondo:

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• rispettoaquantoavvieneneimaggioripaesiUE,èmoltosensibilelaquotadiaziendepiccoleepiccolissime;

• ilsostegnofinanziariononèadeguatoallaconcorrenzaeuropea;• ilproblemadel ricambiogenerazionaledellaclasse imprenditoriale

staemergendoconprepotenza;• la mancata crescita della domanda interna a ritmi adeguati,

conseguente alla politica di rientro dal debito pubblico.

Tenendo presente che:

• quantopiùsonoincertigliscenaridiriferimentoetantopiùlePMItendono a conseguire profitti di breve periodo, portandole così a svilupparsi in mercati tradizionali e/o a non elevato contenuto tecnologico, ma proprio per questo anche più soggetti alla concorrenza internazionale di paesi emergenti e/o di nuova industrializzazione (est europeoesud-estasiatico);

• ènotoatuttimaèbenericordarlo,conlamonetaunicailsuccessosull’export è strettamente legato all’efficienza interna, cioè, coeteris paribus, i prezzi devono poter contare sulla competitività dal lato dei costi di produzione.

Tutto ciò fa sì che molte aziende provinciali entrano solo momentaneamente nei mercati oltreconfine, senza porre le basi per una permanenza di lungo periodo. Su queste problematiche la CCIAA si è attivata a sostegno delle imprese locali sia con iniziative mirate ma che complessivamente contribuiscono a fare “sistema”.

Tra queste vanno ricordate:

A. L’analisi del mercato statunitense. Si tratta di un’indagine conoscitiva realizzata in collaborazione con il Consortium Institute of Management and Business Analyses, che punta a diffondere tra gli operatori locali una più approfondita conoscenza del mercato in oggetto, del quale ben si conosce la buona propensione verso le produzioni di

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qualità italiana medio-alta, mentre invece è molto meno nota la sua segmentazione a livello di singoli Stati.

B. Attività informativa sul mercato egiziano, al fine di offrire agli operatori trevigiani opportunità di cooperazione con imprenditori locali, come pure opportunità di investimento. L’iniziativa si è svolta con la collaborazione dell’Ambasciata egiziana, di Treviso Glocal e del Centro Estero Veneto, attivando così una nuova rete di sinergie verso un Paese emergente.

C. Assunzione della titolarità e del controllo dell’Osservatorio Internazionale di Montebelluna, che com’è noto svolge attività di ricerca, di formazione-informazione, di piattaforma multimediale e di biblioteca. Anche in questo caso il monitoraggio della CCIAA è sostanziale e non solo formale, ma l’Ente va anche oltre: con la titolarità dell’iniziativa si è assunto anche la “cabina di regia” delle attività dell’Osservatorio. Anche in questo caso, è stata attivata una rete di collaborazioni con le Associazioni di Categoria.

D. Attività di promozione della complessiva economia provinciale, mediante la ristrutturazione del portale Treviso System On Line. Si tratta di accesso per entrare immediatamente in “contatto” con il territorio dellaMarcama anche per contattare specifiche imprese;da ciò la sua rilevanza: una sorta di autostrada virtuale per l’accesso immediato alla realtà economica della Provincia, che segna il definitivo passaggio dalla concenzione della old-economy, nella quale i “punti di accesso” sono fisici, alla new-economy, in questo caso caratterizzata da una serie di “vetrine elettroniche” visionabili ovunque e da chiunque.

Si tratta di interventi che sembrano parziali se disgiuntamente considerati, ma che congiuntamente mirano a migliorare il fattore “capacità di accesso e di penetrazione del mercato”. Questi progetti, che assommano ad un valore complessivo di 653.725 €9, confermano lo stile camerale che punta ad accrescere la competitività delle aziende provinciali per consentire loro di mantenere, se non di accrescere, l’attuale grado di presenza sui mercati nel lungo periodo.

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2.7. Gestione finanziaria dell’impresa

La posizione finanziaria delle piccole e medie imprese, com’è noto, provoca l’erosione dei vantaggi di una (eventuale) efficienza economica. Pur se i costi finanziari non annullano la posizione competitiva delle PMI, appaiono evidenti alcune criticità strutturali. È necessario ricordare come lo stesso processo di ristrutturazione-innovazione comporta un elevata tensione finanziaria per le PMI, soprattutto per la rarefazione di strumenti finanziari di carattere anticipativo, predisposti cioè a finanziare i processi innovativi più rischiosi. L’applicazione delle nuove tecnologie, non alle singole macchine ma a sistemi più complessi, ha perciò costituito un elemento di svantaggio finanziario per le imprese minori: infatti, l’adozione di tecnologie su sistemi integrati di produzione implica un più elevato livello di investimento, spesso difficilmente compatibile con la loro struttura finanziaria. In un quadro che in prospettiva presenta esigenze di elevati investimenti, dal rendimento particolarmente incerto e legato alla stabilità della penetrazione su nuovi mercati esteri, emerge con forza il problema del reperimento sia di capitale di rischio che di credito. La CCIAA non può certo frapporsi, in qualità di intermediario, tra le imprese ed il mondo del credito, ma ha altre tre opzioni disponibili:

• contribuire in termini di conoscenza e di analisi del problema, disuggerimento di possibili vie d’uscita, andando cioè a determinare lo statodisalutefinanziariadeisettoriproduttiviprovinciali;

• contribuirefinanziariamenteafavoredichièdeputatoadintermediarieilcontattofraimpresaemondodelcredito(consorzifidi);

• contribuire a determinate spese aziendali, quindi finanziandodirettamente le imprese limitatamente però a quegli investimenti prima citati, che trovano con difficoltà l’accesso ai finanziamenti bancari.

In questa direzione si è mossa la CCIAA, con una Determinazione del Segretario Generale e due Delibere di Giunta:

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A. Aggiornamento di un precedente studio inerente la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di tutte le imprese trevigiane per cui è pubblicamente disponibile un bilancio. Impostando l’iniziativa con un così ampio spettro, si sono sondati tutti i settori industriali locali, oltreché il commercio all’ingrosso ed al dettaglio, per un totale di oltre duecento bilanci per tre anni. Il quadro si è rivelato molto ampio, con risultati estendibili al complesso delle imprese (cioè comprese anche quelle il cui bilancio non è pubblicamente disponibile). Per un commento dell’indagine si rinvia alla pubblicazione camerale che seguirà, per ora non ancora disponibile.

B. Contributi per i confidi della provincia. Si tratta di un intervento che non si configura come “aiuto di Stato”, e quindi non viola le norme comunitarie, e che per il diritto nazionale è legittimo poiché tali aiuti sono finalizzati ai fondi rischi di tali organismi, cioè per la copertura di perdite sui finanziamenti che i confidi garantiscono e non per la copertura di altri oneri di esercizio. I contributi sono stati concessi coerentemente con gli obiettivi esposti nella premessa, nel senso che il loro utilizzo è vincolato non solo al fondo rischi ma anche alla concessione di nuovi o maggiori fidi ( e quindi non solo per posizioni pregresse) e per il privilegiare soprattutto imprese trevigiane, giacché alcuni dei consorzi formalmente trevigiani hanno una operatività sovra provinciale se non anche sovra regionale. In sé per sé, inoltre, la concessione dei contributi dimostra la lungimiranza della CCIAA in relazione alla “pressione” che gli accordi di Basilea 2 prima o poi imporranno ai consorzi fidi.

C. Contributi alle imprese per spese di investimenti che applicano nuove tecnologie. Nel caso specifico trattasi di investimenti per introdurre sistemi di e-commerce per il Business to Business ed il Business to Consumer. I contributi non sono stati concessi a pioggia, ma mediante un regolare bando nel quale si sono stabiliti precisi requisiti dell’investimento da finanziare.

Gli interventi suddetti hanno comportato una spesa complessiva di 1.320.833 €.

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Note

4 Si pensi all’apparire delle elevatissime potenzialità produttive che la ricerca genetica mette a disposizione, o alla manipolazione dei microrganismi utilizzati nei processi di trasformazione.

5 Alcuni punti fermi di questa evoluzione sono i seguenti: un’estensione della frequenza universitaria, una diffusione di corsi post universitari, la realizzazione di una formazione professionale in grado di costituire un effettivo tramite tra scuola e mercato del lavoro, l’esistenza di ampi ed articolati programmi di formazione permanente, la possibilità di fruire di servizi formativi e culturali anche nell’ultima parte della vita.

6 Più carenti delle medio-grandi per disponibilità di competenze specialistiche, così come per la capacità di formarle al proprio interno o di acquisirle dall’esterno.

7 Si tratta di trasformazioni interne, indotte dall’accelerazione competitiva, che possono permettere un più veloce adeguamento all’introduzione delle nuove tecnologie produttive.

8 La presenza poco strutturata di una piccola impresa sui mercati esteri consente di riallocare i flussi di esportazione con costi contenuti in presenza di instabilità nei volumi di domanda e nei tassi di cambio.

9 203.000 € sono però stati spesi congiuntamente ad un’iniziativa nel campo della formazione (portale WEB 10).

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CAPITOLO 3L’IMPATTO QUANTITATIVO

DEGLI INTERVENTI CAMERALI SUL PROCESSO DI SVILUPPO LOCALE

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3.1. Premesse

La provincia sta virando da un’economia materiale verso una soft-economy, sempre più intrisa di elementi immateriali, nella quale la componente dei servizi rappresenta il principale attributo. Se in passato è prevalso l’elemento produttivo oggi prevale quello ideativo-creativo, relazionale e logistico, nell’ambito di un processo di revisione della catena del valore. Laddove un tempo si pensava alla conoscenza come un fattore esogeno, oggi essa rappresenta un fattore pienamente endogeno in grado di spiegare differenze nella produttività e nello sviluppo. L’emergenza di un’economia della conoscenza presenta non poche complessità per il sistema produttivo locale, soprattutto perché una delle sue caratteristiche è, rispetto al passato, quella di non essere incorporata in macchine o prodotti. È pur vero che la provincia dimostra come ciascuna area distrettuale abbia un patrimonio di conoscenze contestuali (o di struttura) fortemente radicate nell’ambiente, che ogni attore trova disponibili e può consumare, ma oggi processi ordinatori prevalgono su quelli antropici e la pressione competitiva si sostituisce sempre più alla gerarchia.

Si è sempre pensato che lo sviluppo provinciale abbia un forte legame con il passato, che i successi odierni possano spiegarsi in una prospettiva path dependent, ovvero collegata alle risorse ed ai risultati precedenti. Questa connotazione viene oggi messa in discussione, poiché se è vero che la “storia conta” è altrettanto vero che essa può essere fonte di inefficienze e di rallentamenti allorquando inibisce od ostacola nuove scelte o nuovi percorsi di crescita. La rivoluzione indotta delle tecnologie ICT comporta una rielaborazione di tutto il paradigma competitivo, cui non si può rispondere solamente mediante l’esperienza, le vecchie regole, i vecchi comportamenti. Enti coma la Camera di Commercio si sono così trovati a governare una discontinuità che presuppone nuove strategie ma soprattutto nuovi meccanismi di rigenerazione e di governo delle interdipendenze sistemiche, non più ancorate solamente su base locale. Si tratta di un contesto in cui gli stessi processi di learning by doing vengono messi in discussione a fronte di processi di learning by using: ma il learning by

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using esige che gli attori sappiano dialogare efficacemente con le nuove tecnologie, altrimenti il processo di feedback si inceppa e così pure lo sviluppo della tecnologia. Oggi è chiaro che il differenziale tra l’economia provinciale e quella dei paesi più avanzati si traduce principalmente in un “gap” di competitività nei settori ad alta intensità di tecnologia. Inizialmente si è ritenuto che la difficoltà all’introduzione di innovazione fosse causata dalle basse dimensioni aziendali delle nostre imprese, in realtà alla base di questa difficoltà v’è l’incapacità di generare conoscenze codificate di natura scientifica che consentano di strutturare tutto il processo che va dalla concezione del prodotto fino alla sua realizzazione. Detto questo, nel tentativo di quantificare l’impatto delle delibere camerali, poiché la modellistica esistente si sofferma prevalentemente sugli investimenti immateriali concernenti il capitale umano, si prenderanno in considerazione gli investimenti in istruzione, formazione e addestramento che dette delibere consentono.

3.2. Il ruolo del capitale umano nella teoria della crescita

Quanto appena detto porta ad analizzare il ruolo degli elementi immateriali e del capitale umano nello sviluppo locale. La teoria economica da tempo si occupa di questo tema, e mette a disposizione modelli mediante i quali si può stimare l’impatto quantitativo di interventi sui fattori immateriali della produzione, cioè interventi simili a quelli realizzati con le delibere camerali qui esaminate. I primi studi volti a cogliere il ruolo dei fattori immateriali nello sviluppo economico risalgono alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, allorché è emersa l’inadeguatezza dei precedenti modelli di crescita nella spiegazione dei differenziali tra contesti nazionali. In particolare dal lavoro pionieristico di Solow (1957) emerse come buona parte della crescita del prodotto interno lordo rimaneva oscura (il famoso “residuo di Solow”), ovvero non poteva essere giustificata dalla variazione nell’impiego dei soli fattori produttivi lavoro e capitale. Il residuo di crescita non spiegato veniva così associato al progresso tecnico.

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A partire dagli anni ’60 si contano una serie di indagini volte ad analizzare l’effetto di investimenti in istruzione, formazione, addestramento, salute fisica delle persone, ovvero l’effetto del capitale umano il cui concetto si è diffuso a partire dagli studi di Schultz (1961) e Becker (1964). Il capitale umano viene poi sistematicamente considerato un elemento fondamentale di sviluppo soprattutto a partire dagli anni ’80 nell’ambito della nuova teoria della crescita endogena, teoria che nasce con Romer (1986). In questi modelli la crescita è alimentata endogenamente dall’accumulazione delle conoscenze e di “skill” nella forza lavoro che, a sua volta, consente un uso produttivo e un perfezionamento delle conoscenze medesime. Le conoscenze si accumulano grazie ad attività di ricerca e sviluppo ed a fenomeni diapprendimento“onthe job”; leabilità siaccumulano invecegrazie adattività di formazione, di istruzione e di apprendimento sul lavoro. I modelli di sviluppo attinenti alla crescita endogena assumono che, diversamente dal capitale fisico, l’accumulazione di capitale umano e di conoscenza permette di alimentare la crescita economica attraverso tassi di produttività crescenti. Tra i vari modelli, quelli più noti sono stati elaborati da Nelson e Phelps, Romer, Mankiw-Romer-Weil, Lucas. Con essi si dimostra come il capitale umano rappresenti una variabile decisiva per spiegare l’endogenità dello sviluppo.

Il modello di Nelson e Phelps (1966)

Nelson e Phelps legano la crescita economica allo stock di capitale umano il quale influenza la capacità innovativa di un paese. L’ipotesi di baseèchel’incrementodiinnovazionetecnologica[∆A(t)/A(t)] dipenda positivamente dal livello di istruzione del capitale umano [(h)] e sia proporzionale al gap tra la frontiera tecnologica [T(t)] e la tecnologia corrente [A(t)]:

T(t) - A(t) A(t) A(t)

=

Il modello di Romer (1986)

Romer fa riferimento alle intuizioni di Arrow (1962), secondo il quale l’incremento della conoscenza conseguente all’attività lavorativa (learning by doing) consente di ottenere crescenti livelli di produttività.

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Secondo Romer la funzione di produzione aggregata dell’intera economia è:

Y = AK L E

t t t

t

capitaleelavoro;Aèuncoefficientecherappresentalaproduttivitàtotale di fattori di produzione, ed in quanto tale incorpora il progresso tecnologico). Si tratta di un modello di equilibrio concorrenziale, con rendimenti esterni crescenti di tipo marshalliano, dove l’output produttivo dipende dallo stock di capitale, dal lavoro e dalle spese in R&D da parte della singola impresa. In questo modello gli spillover derivanti dagli sforzi di ricerca privata determinano un incremento dello stock pubblico di conoscenza. È inoltre un modello di crescita di lungo periodo che considera esplicitamente il ruolo della conoscenza quale input produttivo con produttività marginale crescente. Come in altri modelli di crescita endogena, la conoscenza rappresenta un bene pubblico avendo essa i caratteri della non escludibilità e non rivalità. Proprio la non escludibilità dalla fruizione della nuova conoscenza creata dalla singola impresa genera effetti positivi sulle altre imprese presenti sul mercato. Per altro i due elementi-chiave del modello (rendimenti crescenti e non escludibilità della conoscenza) erano già presenti in Arrow (1962) che aveva già formalizzato l’idea secondo cui è del tutto plausibile considerare rendimenti crescenti, in quanto questi ultimi si configurerebbero come un effetto diretto della scoperta di nuova conoscenza.

Il modello di Lucas (1988)

Come quello di Romer (1986), è un modello di equilibrio concorrenziale nella cui funzione di produzione aggregata sono associati due diversi settori e due diversi tipi di investimento, uno in capitale fisico ed uno in capitale umano (il tasso di crescita della popolazione è esogeno). Se l’accumulazione del capitale fisico avviene secondo l’usuale tecnologia di stampo neoclassico, l’accumulazione del capitale umano avviene secondo un processo per cui ad un livello costante di sforzo corrisponde un tasso costante di crescita dello “stock”. Analiticamente la funzione di produzione assume la seguente struttura:

Y = AK (uh L )

t t tt

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con α<1, β<1, α+β=1 e dove uhL rappresenta il capitale umano, essendo u la porzione di tempo dedicato al lavoro, h la qualità procapite del lavoro, L il numero di lavoratori.

Dalla formulazione di Lucas il capitale umano, che deriva essenzialmente dall’apprendimento scolastico (learning by schooling), rappresenta il motore endogeno dello sviluppo, poiché esso genera un effetto positivo sulla produttività sia del lavoro che del capitale fisico.

Il modello di Mankiw-Romer-Weil (1992)

Seguendo il contributo fondamentale di Romer (1986), modificano la funzione di produzione di Solow inserendovi esplicitamente il capitale umano nel seguente modo:

Y=F(K,H,AL)

Y=K α Hβ (AL)1-α-β

dove: 0<α+β<1 e H rappresenta il capitale umano.

Una sintesi

Dai modelli presentati il ruolo del capitale umano sulla crescita economica si esplica secondo due modalità principali:

• daunlatorappresentaunveroepropriofattoreproduttivo,pertantola sua accumulazione comporta una crescita del prodotto (modelli di Romer,LucaseMakiw-Romer-Weil);

• dall’altro lato agevola il progresso tecnico poiché l’istruzione, laconoscenza e la formazione favoriscono l’adozione e la diffusione delle nuove tecnologie che, a loro volta, consentono incrementi di produttività (modello di Nelson e Phelps).

Nel primo caso il capitale umano determina un incremento diretto del prodotto totale (level effect), in quanto è in grado di compensare la decrescente produttività marginale del capitale, nel secondo caso

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esercita un effetto positivo sulla crescita in quanto favorisce una maggiore innovazione (rate effect), che a sua volta incrementa la produttività totale dei fattori (TFP). In altre parole, nel primo caso la crescita del prodotto è influenzata dalla crescita del capitale umano, nel secondo caso la crescita della produttività è influenzata dalla qualità del capitale umano (la sua capacità innovativa). È evidente come tutto ciò abbia importanti effetti di policy, poiché, considerando l’istruzione quale “proxy” del capitale umano, nel primo caso essa da soltanto benefici correnti poiché la sua crescita non è influenzata dal suo livello, nel secondo caso essa da benefici che si estendono nel medio-lungo periodo.

3.3. L’impatto dell’investimento in formazione effettuato dalla CCIAA: un tentativo di stima

Se si ammette che il capitale umano abbia effetto da un lato sul tasso di innovazione “interno” e dall’altro sull’adozione di tecnologie “esterne”, è il secondo effetto (la cosiddetta absorption capability) ad essere particolarmente importante per le piccole economie e per tutte quelle aree in cui il processo di crescita è basato non tanto sulla creazione di nuove tecnologie quanto sull’adattamento e sulla diffusione di tecnologie prodotte altrove. Nella provincia di Treviso sono peraltro osservabili entrambi gli aspetti: infatti, soprattutto in ambito distrettuale, l’innovazione generata da un soggetto viene poi diffusa e “assorbita” dal resto del distretto. È stato inoltre evidenziato come alcuni dei caratteri del capitale umano abbiano influenza sulla produttività, ed in particolare sulla produttività totale dei fattori (TFP). In alcuni casi sono state calcolate delle elasticità di lungo periodo della produttività dei fattori rispetto al capitale umano. Sintetizzando i risultati di un recente contributo condotto per l’economia portoghese [Teixeira e Fortuna (2003)], la produttività totale dei fattori presenta una elasticità rispetto al capitale umano che spazia da 0,4186 e 0,4205. Nel modello citato il capitale umano viene misurato con il numero di anni di istruzione, ed il risultato ottenuto è simile a quello

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calcolato da altri ricercatori, pur se il capitale umano viene misurato in modo diverso. Ad esempio in Coe e Helpman (1993) mediante un’analisi “cross-country” si evidenzia come l’elasticità della TFP rispetto a variazioni nel livello della spesa in ricerca e sviluppo sia compresa tra 0,074 a 0,233. Più in generale le stime dell’elasticità della TFP rispetto a variazioni del capitale umano evidenziano una notevole influenza sul tasso di crescita della produttività. A sua volta incrementi di produttività generano un positivo effetto di retroazione sul capitale umano medesimo, per cui gli incrementi di TFP sono seguiti da incrementi di investimenti in capitale umano. Questo significa che si genera un effetto positivo a livello di sistema nel quale aumentano i livelli di scolarizzazione e di formazione e questo facilita la transizione verso modelli di sviluppo a maggiore valore aggiunto. In Bassanini e Scarpetta (2001) la variabile obiettivo non è la TFP ma il prodotto pro-capite riferito alla popolazione in età da lavoro (15-64 anni). Attraverso un “pooled mean group estimator”, si stima l’elasticità della variazione del prodotto pro-capite in risposta ad un anno di istruzione aggiuntivo (dopo un minimo di dieci anni di istruzione), elasticità che oscilla tra 0,64 e 0,97. Prima di passare all’impiego di questa modellistica per stimare l’impatto delle delibere camerali sui temi della formazione, è bene soffermarsi sul fatto che, dalle citate analisi (cui si rinvia per dettagli) ancora una volta emergono importanti implicazioni in termini di policy:

• l’investimentoincapitaleumanodeveesserecoerenteconilcontestoin cui si inserisce perché altrimenti i benefici che ne derivano sono limitati;

• inalcunearee l’effettodelcapitaleumanosiesplicamaggiormentesotto l’aspetto della capacità di assorbimento dell’innovazione, in altricontestisottoquellodellacreazionedinuovainnovazione;

• nelprimocasosonopiùefficacipoliticherivolteadelevarei livellidi scolarizzazione e di formazione generale dell’area, nel secondo caso risultano determinanti le dotazioni di particolari figure tecnico-scientifiche (ricercatori).

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Il modello di stima per l’impatto sul prodotto pro-capite. Si deve ora rilevare che nessuno dei tre modelli citati può essere utilizzato direttamente per la quantificazione degli impatti delle delibere camerali, visto che:

• duedelle tre analisi stimano impattimedi perun gruppodi Paesiin cui c’è l’Italia, ma non consentono di derivare uno specifico parametro per il nostro Paese [Coe e Helpman (1993), Bassanini e Scarpetta(2001)];

• l’unicavera“countryanalysis”,cioègeograficamentepiùprossimaadun’area limitata come una Provincia, è quella di Teixeira e Fortuna (2003), ma riguarda il Portogallo.

A questo punto si rende necessaria la definizione di uno specifico modello italiano per la stima degli impatti indagati. La disponibilità di dati e l’ipotesi che in Provincia di Treviso la Funzione di Produzione non sia sensibilmente diversa da quella media italiana costringono/suggeriscono di impostare detta stima su base nazionale, per poi estenderne i risultati a livello provinciale. In questo processo i tre contributi citati comunque offrono validi spunti, e quello più idoneo in tal senso sembra essere lo studio di Bassanini e Scarpetta (2001):

• perché ha un obiettivo (il prodotto pro capite) più facilmenteosservabileedipiùimmediatointeresse;

• perché accoglie l’impostazione di Mankiw, Romer e Weil (1992),cioè quella che ci appare più completa, foriera di sviluppi teorici e di opportunitàd’indaginequantitativa;

• perchéconsentedistimareseparatamentel’impattodimedio-lungoperiodo da quello di breve periodo.

È quindi la logica di Mankiw, Romer e Weil (1992), ripresa da Bassanini e Scarpetta (2001), che farà da sfondo alla stima dell’impatto di investimenti in capitale umano, dei quali le delibere camerali sulla formazione sono un esempio: il tutto in un contesto specificamente italiano, quindi molto più prossimo alla effettiva realtà della Provincia di Treviso di quanto

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non sia quanto il contesto portoghese [Teixeira e Fortuna (2003)], quello medio di 21 paesi OCDE [Bassanini e Scarpetta (2001)], quello medio di 21 paese OCDE più Israele [Coe e Helpman (1993)]. Per completare l’indagine, oltre alla stima dell’impatto che gli investimenti formativi hanno sul prodotto pro-capite si stimerà l’analogo impatto sulla produttività totale dei fattori (TFP), accogliendo così anche l’impostazione di Coe e Helpman (1993) e, soprattutto, quella di Teixeira e Fortuna (2003). Sulla base di tutto questo, riprendendo e sviluppando quanto descritto in Bassanini e Scarpetta (2001), il riferimento di base è una nota Funzione di Produzione di stampo neoclassico:

tY = K (A L )H

t t tt

dove valgono le seguenti: - Y = prodotto - K = fattore capitale fisico- H = fattore capitale umano- L = fattore lavoro- A = parametro che incorpora il progresso tecnologico- α, β = elasticità del prodotto rispetto al capitale fisico ed a quello umano - t = tempo

Posto che l’obiettivo è l’impatto sul prodotto pro-capite, cioè Y/L=y, le variabili K e L vengono esaminate nella forma K/L=k e H/L=h, la cui dinamica può essere espressa come segue:

t ttt t

t

h – (n + d)ht ttt th,t

t

dove valgono le seguenti:

sk = propensione all’investimento in capitale fisico sh = propensione all’investimento in capitale umanon = tasso di crescita del fattore lavoro d = tasso di deprezzamento.

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La struttura del modello che si è deciso di stimare dipende dalla Funzione di Produzione presa a riferimento, dalla natura delle 2 equazioni appena descritte(∆k,∆h)esoprattuttodaquantosegue:

1. l’impatto del capitale umano può essere esplicitato sia in termini di propensione all’investimento (sh) che di stock (h): in questa sede si propendeperunavariabilestock;

2. poiché l’impiego di dati annuali introduce nella stima componenti di breve periodo, si devono poter distinguere gli impatti di medio-lungo periodo da quelli di breve periodo.

Si è così optato per il seguente modello di stima, che differisce da quello di Bassanini e Scarpetta (2001) giacché l’obiettivo non è l’impatto sul tasso di crescita del prodotto pro-capite ma sul suo livello:

t t t t2 3 4O k,t k,t1

dove 1 e 2 rappresentano gli impatti medio-lungo periodo, mentre 3 e 4quellidibreveperiodo;lnindicalatrasformazionelogaritmicaneperiana.

La specificazione quantitativa delle variabili

Posto che il periodo di stima si estende dal 1971 al 2005, le variabili esplicative si quantificano come segue:

1. yt = PIL pro-capite, considerando L come la popolazione in età lavorativa (15-64 anni). Non porre L uguale alla popolazione totale si giustifica con il fatto che in questo tipo di analisi ha rilevanza mettere in risalto chi concorre alla produzione e non chi ne beneficia. Ammesso questo, non si è scelto di porre L pari agli occupati perché la stima non si sarebbe potuta paragonare a molti dei precedenti studi sul tema, che infatti utilizzano il gdp per working age population invece che il gdp per person employed10. Si è utilizzato il database della World Bank;valoriaprezzicostantisubase2000.

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2. ht = numero medio di anni di istruzione della popolazione compresa tra15e64anni;lasceltadiquestafasciad’etàèvincolatadaquellafatta per il PIL pro-capite (la variabile L deve ovviamente essere la medesima). Dal 1971 al 1998 questa variabile era già stata computata in De La Fuente e Doménech (2000) per una serie di Paesi tra cui il nostro, dopodiché la si è aggiornata per il periodo 1999-2005 sulla base di dati OECD (Education at a glance) e ISTAT.

3. sk,t = rapporto tra gli investimenti fissi lordi ed il PIL. Si è utilizzato il databasedellaWorldBank;valoriaprezzicostantisubase2000.

3.5. La stima

I risultati ottenuti dal processo di stima sono esposti nella tabella che segue11:

metodo di stima: minimi quadratiperiodo di stima: 1972- 200512

numero delle osservazioni: 34convergenza raggiunta dopo 9 iterazioni

errore

standard test T prob.

termine costante 8.88515 0.70609 1 2.58366 0 .00000

LN SK 0.30873 0.10938 2.82243 0.00838

LN H 0.83930 0.29741 2.82208 0.00839

AR(1) 0.87433 0.05825 15.00923 0.00000

R2 aggiustato

errore standard della stima

somma del quadrato dei residui

logaritmo della funzione di verosimiglianza

test F

criterio di Akaike

criterio di Schwarz

criterio di Hannan-Quinn

0 .991147

0.017831

0.009538

90.795672

1232.554784

-5.105628

-4.926056

-5.044389

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Dai risultati derivano alcune importanti considerazioni: 1 il modello “interpreta” il fenomeno studiato al 99.11% 2 gliimpattidibreveperiodononsonosignificativi;3 al contrario, lo sono decisamente gli impatti medio lungo periodo.

Quindi si può dire che la realtà italiana si differenzia sensibilmente dalla media OCDE, come desumibile dalle stime di Bassanini e Scarpetta (2001). Tenendo conto che:

1 come prima osservato, la stima sull’intero Paese va giocoforza applicata al contesto provinciale per la mancanza di idonee basi dati locali, ed anche perché è improbabile che la Funzione di Produzione provinciale sidifferenzisignificativamentedaquellanazionale;

2 le variabili indagate sono trasformate mediante logaritmi neperiani,

è possibile stimare l’impatto delle delibere e delle determinazioni camerali, in termini di incremento del PIL pro-capite (sulla popolazione da 15 a 64 anni) in corrispondenza di anni aggiuntivi di formazione messi adisposizionedellacittadinanza;sipensi,adesempio,alleconvenzionicon l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Nel dettaglio, prendendo come base l’ultimo anno di stima (2005), coloro che in Provincia beneficiano di un anno aggiuntivo di formazione hanno la possibilità di incrementare il proprio reddito lordo pro-capite (a prezzi costanti, base 2000) dell’8.59%. Si tratta di un incremento ben superiore a quello stimato per 21 Paesi OCDE da Bassanini e Scarpetta (2001), che si aggira attorno al 6%. Ciò depone ulteriormente a favore della decisione camerale di intervenire in tal senso, poiché l’investimento viene effettuato in un contesto più “reattivo” della media OCDE. Per quanto riguarda i soggetti che potrebbero teoricamente beneficiare di quanto sopra, si consideri quanto segue:

1 i coefficienti d’impatto sono di medio-lungo periodo quindi ha senso testarliinunfuturononprossimo:inquestasedesioptaperil2020;

2 la complessiva offerta formativa “consentita” dalle delibere e dalle determinazioni camerali consiste nel citato Corso di Laurea dell’Istituto

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Universitario di Architettura di Venezia, delle opportunità offerte da Treviso Tecnologia13 e da quelle del progetto Equal “Elisir” (del quale la CCIAA è leader-partner).

Sulla base di questo, a partire dal 2006 e fino al 2020 le persone teoricamente coinvolgibili potrebbero assumere la seguente dimensione: 13 Si considera il sostegno complessivo della CCIAA, e non solo quello delle delibere esaminate.

Tipologia Soggetti per anno Totale al 2020Corso di laurea IUAV 125 per anno del triennio

65 per anno del biennio1.285

Corsi Treviso Tecnologia 2.932 in media all’anno14 43.980

Formazione Equal “Elisir” – 19.30015

Totale 64.568

Come si può notare, al 2020 il numero di soggetti che potenzialmente potrebbe usufruire del citato incremento del reddito lordo pro-capite è considerevole.

3.6. Il modello di stima per l’impatto sulla produttività totale dei fattori

Si riprende ora la medesima impostazione di Teixeira e Fortuna (2003), al fine di testare l’impatto degli investimenti formativi sulla produttività totale dei fattori (TFP). Gli autori derivano la TFP nel modo tradizionale:

dove valgono le seguenti: - Y = prodotto- K = fattore capitale fisico- L = fattore lavoro

t

t

TFPt = Yt L K

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- α, β = elasticità del prodotto rispetto al capitale fisico ed a quello umano - β = 1–α - t = tempo

Successivamente, introducono nell’analisi il concetto di stock interno di tecnologia (ISK) proponendone tre quantificazioni alternative:

- spesa in formazione - spesa in R&D - impiego di scienziati ed ingegneri

e,infine,definisconoduemodellidistima;inquestasedesièsceltoilseguente:

La specificazione quantitativa delle variabili La modesta disponibilità dei dati che misurano il concetto di stock interno di tecnologia (ISK) è stata superata con valori stimati delle serie storiche mancanti, cosicché il periodo di stima si è potuto estendere dal 1971 al 2006. La variabile dipendente (TFP) e le variabili esplicative si quantificano come segue: 1. TFPt= numero indice (base 1990) della produttività totale dei fattori,

ottenuta da Y/Lα K1-α utilizzando per α la quota di PIL assegnata al fattore lavoro. Analogamente a Teixeira e Fortuna (2003), per α s’intende la quota media di un certo numero anni consecutivi: la scelta è caduta sul periodo 1988-1992. Si è utilizzato il database AMECO (valori di Y e K a prezzi costanti su base 2000).

2 Lt = popolazione occupata. Si è utilizzato il database AMECO. 3 Kt = stock netto del capitale fisso. Si è utilizzato il database AMECO

(valori a prezzi costanti su base 2000). 4 ht = numero medio di anni di istruzione della popolazione compresa

tra15e64anni;lasceltadiquestafasciad’etàèvincolatadaquellafatta per il PIL pro-capite (la variabile L deve ovviamente essere la medesima). Dal 1971 al 1998 questa variabile era già stata computata in De La Fuente e Doménech (2000) per una serie di Paesi tra cui il nostro, dopodiché la si è aggiornata per il periodo 1999-2006 sulla base di dati OECD (Education at a glance) e ISTAT.

t t tO 1 3

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5 ISK = spesa complessiva (pubblica e privata) per la formazione. Si è utilizzato il database della World Bank (valori a prezzi costanti su base 2000)16.

La stima

I risultati ottenuti dal processo di stima sono esposti nella tabella che segue17:

metodo di stima: minimi quadrati periodo di stima: 1972-200618

numero delle osservazioni: 35 convergenza raggiunta dopo11 iterazioni

β errore standard test T prob.

termine costanteLN HAR(1)

– 0.722770.337480.87999

0.670470.289460.08143

–1.07801 1.16588

10.80721

0.28909 0.25228

3.28E–12 R2 aggiustato errore standard della stimasomma del quadrato dei residuilogaritmo della funzione di verosimiglianzatest Fcriterio di Akaikecriterio di Schwarzcriterio diHannan–Quinn

0.976922 0.016257 0.008458

96.077865720.630843

–5.318735–5.18542

–5.272715

I risultati della stima implicano quanto segue:

1 il modello “interpreta” il fenomeno studiato al 97.7% 2 sorprendentemente da quanto atteso a priori, l’impatto dello stock

interno di tecnologia non risulta essere significativo.

Il secondo aspetto è ammissibile se parallelamente si ammettono le critiche allo sforzo tecnologico del nostro Paese: poiché è controintuitivo che lo stock di tecnologia sia ininfluente sulla TFP, si deve concordare sul

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fatto che, in linea con la suddetta visione critica, la tecnologia utilizzata nei nostri processi produttivi sia incorporata nei beni capitali e nei fattori produttivi importati. Detto questo, sulla base delle stesse premesse citate per il modello precedente (impatto sul prodotto lordo pro-capite):

- le stime su base nazionale vanno applicate al contesto provinciale sia per la mancanza di una idonea base dati locale sia per l’improbabilità che la Funzione di Produzione locale si differenzi in modo sensibile dalquellamedianazionale;

- il modello stimato è stato ottenuto sulla base dei logaritmi neperiani delle variabili considerate,

si può dedurre che nella nostra provincia l’elasticità tra il capitale umano [misurato in anni di formazione della popolazione in età lavorativa (15-64 anni)] e la TFP (elasticità che nel modello logaritmico è pari a 0.33748) implica che un anno aggiuntivo di formazione aumenta di circa il 3.11% la TFP. Il dato è buono, in linea con le analisi prima citate19, che di per sé giustifica lo sforzo camerale per una crescente qualificazione della forza di lavoro locale, soprattutto se si pensa che il modello indica come variabili significative interne solo la formazione del capitale umano. Se poi si pensa che la nostra TFP tende di per sé a ridursi (si veda il termine costante della regressione), allora l’investimento camerale in formazione non solo è utile ma necessario. Infine, se è pur vero che, come prima osservato, probabilmente si dovrebbe inserire nel modello anche il concetto di stock esterno di tecnologia, è anche vero però che la problematica sottesa alla scelta tra tecnologia interna (generata localmente) ed esterna (incorporata nei beni importati) non appartiene all’orizzonte operativo ed alle funzioni istituzionali di una Camera di Commercio.

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Note

10 Spesso il motivo è che quando si considerano gruppi di paesi, spesso ci si imbatte in differenti definizioni dell’occupazione, mentre invece è molto più omogenea la definizione della working age population.

11 L’eliminazione delle variabili non significative si è basata sul test T di Student, con α=0.05. È stata testata l’autocorrelazione dal primo al terzo grado, ed è stata eliminata con il metodo di Cochrane e Orcutt {è risultata statisticamente significativa solo l’autocorrelazione di primo grado [ar(1)]}.

12 Il periodo di stima passa da 1971-2005 a 1972-2005 per il metodo di correzione

dell’autocorrelazione.

13 Si considera il sostegno complessivo della CCIAA, e non solo quello delle delibere esaminate.

14 In conseguenza della nota precedente, si tratta del numero medio di partecipanti alla complessiva offerta formativa di Treviso Tecnologia. 15 Stima su dati Equal “Elisir”. Si sono considerate le “posizioni proprietarie” (per la definizione si rinvia agli atti del progetto) che al 2005 sono ricoperte da soggetti con età compresa tra i 50-60 anni, supponendo che almeno 1/3 di dette posizioni riguardino il medesimo soggetto.

15 Stima su dati Equal “Elisir”. Si sono considerate le “posizioni proprietarie” (per la definizione si rinvia agli atti del progetto) che al 2005 sono ricoperte da soggetti con età compresa tra i 50-60 anni, supponendo che almeno 1/3 di dette posizioni riguardino il medesimo soggetto.

16 I dati 1971-1985 e 2005-2006 sono stimati.

17 L’eliminazione delle variabili non significative si è basata sul test T di Student, con α=0.05. È stata testata l’autocorrelazione dal primo al terzo grado, ed è stata eliminata con il metodo di Cochrane e Orcutt {è risultata statisticamente significativa solo l’autocorrelazione di primo grado [ar(1)]}.

18 Il periodo di stima passa da 1971-2006 a 1972-2006 per il metodo di correzione dell’autocorrelazione.

19 Coe e Helpman (1993), Teixeira e Fortuna (2003).

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CAPITOLO 4UNA VALUTAZIONE

“QUALI-QUANTITATIVA” DI SINTESI DELL’INTERVENTO CAMERALE

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4.1. Premesse A questo punto, giova esplicitare da un punto di vista pratico i vantaggi derivanti dall’investimento camerale sull’evoluzione del sistema produttivo provinciale alla luce di quanto stimato dal modello teorico presentato, che rappresenta un sensibile “passo in avanti” nell’utilizzo della ricerca economica per indicare ai policy maker, ma anche agli operatori economici in generale, la strada da percorrere verso lo sviluppo. Inoltre, è utile allargare l’applicazione delle conclusioni, cui si è pervenuti a proposito della formazione del capitale umano,anche in termini di orizzonte temporale degli effetti con riferimento pure alle altre tipologie di intervento analizzate precedentemente, in quanto comprendenti vari contenuti formativi.

4.2. L’impatto generale dell’intervento camerale

La Camera di Commercio, quando eroga dei servizi reali per l’economia (formazione, informazione, promozione, ecc.), anche se nel proprio bilancio sostiene una spesa corrente che si esaurisce in un tempo relativamente breve, in realtà effettua un investimento a medio-lungo termine per l’economia locale, perché i suoi vantaggi si manifesteranno in un futuro anche molto lontano20 . A titolo di esempio, nel modello si ipotizza un orizzonte temporale al 2020, ma l’impatto sul PIL potrebbe protrarsi ulteriormente nel tempo. In ogni caso, sono decisivi gli effetti sull’economia, ossia sul come e sul quanto il contesto provinciale possa avvantaggiarsi dei servizi camerali forniti. Tale valutazione è essenziale ma quasi sempre trascurata o calcolata scorrettamente, sulla base di indicatori generici, di breve periodo e derivanti da pure percezioni. Mentre, proprio per il fine dello sviluppo economico, diversamente da quello sociale (in cui emergono anche apprezzamenti soggettivi), si può ricorrere a modelli di stima come quello impiegato, che possono esprimere, seppur in misura approssimata, gli effetti reali sull’evoluzione dell’economia derivante dall’investimento pubblico finalizzato allo sviluppo. Nel caso della formazione al lavoro

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e all’imprenditorialità, quindi, l’ente camerale ha effettuato una serie di investimenti rivolti ad accrescere le conoscenze del capitale umano21, affinché il sistema produttivo si avvantaggi direttamente di queste per ottenere migliori performance in termini di produttività e di competitività. Se certamente gli interventi erano concepiti sin dalla loro progettazione con questi obiettivi e la loro realizzazione era avvenuta nella convinzione e consapevolezza di conseguire in qualche misura tali aspettative, ora il modello economico applicato fornisce un ordine di grandezza ai risultati di impatto conseguibili attualmente e nei prossimi anni. Più concretamente, la stima calcolata sulla base del modello ha accertato che un investimento aggiuntivo nell’istruzione, pari ad un anno in favore di un individuo in età da lavoro, produce nell’economia in cui questo andrà ad operare (ovviamente se i contenuti dell’istruzione sono coerenti con il lavoro da svolgere) un impatto moltiplicativo delle risorse impiegate. Ciò significa, sotto l’aspetto pratico – operativo, sia dal punto di vista delle aziende che del sistema produttivo generale, che ogniqualvolta un lavoratore (dipendente, autonomo od imprenditore) aumenta le sue conoscenze nel campo della sua attività per un apprendimento complessivo in circa un anno di formazione, si ottiene mediamente un duplice benefico effetto nell’economia provinciale consistente nel: a) accrescere il reddito da lui prodotto, per l’applicazione delle sue

maggiori conoscenze, dell’8,59% in termini reali (ossia al netto dell’inflazione), tenendo conto anche delle persone in età lavorativa mediamente a carico. In altri termini, il lavoratore più adeguatamente istruito consente all’azienda di produrre un insieme di beni e servizi che, al netto dei costi delle materie e dei beni importati dall’esterno, possiede un valore aggiunto superiore della percentuale sopra indicata al valore reale dei beni e servizi che sarebbe riuscito a produrre senza ilsupportodelleconoscenzeaggiuntive;

b) diffondere tali conoscenze all’interno dell’azienda (ma eventualmente anche fuori in contesti di economie di gruppo, di filiere o di distretti) in modo che i nuovi investimenti in cui si potranno sempre applicare le medesime conoscenze conseguano una produttività totale (per l’insieme dei fattori capitale e lavoro impiegati in tali nuovi investimenti) pari al 3,11% in più rispetto alla produttività

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che si sarebbe ottenuta dagli stessi fattori in assenza dell’istruzione aggiuntiva e della sua diffusione.

A questo punto, si è in grado di ipotizzare, attraverso un’analisi costi-benefici, gli effettivi vantaggi economici netti di un investimento camerale in formazione (sia al lavoro che all’imprenditorialità).Da un lato, si calcola il costo dell’iniziativa, comprensivo non soltanto dei costi direttamente imputabili alla stessa, ma pure di quelli organizzativi interni all’ente e di quelli eventualmente sostenuti dalle imprese (personale, ecc.) per la sua realizzazione. Dall’altro, si stima il beneficio sulla base dei due effetti sopra evidenziati, che, manifestandosi anche alla distanza di un certo numero di anni, devono essere attualizzati al tempo dei costi sostenuti per l’investimento in formazione. Senza addentrarsi ulteriormente in calcoli complessi, che comunque dovrebbero essere riferiti alle singole iniziative da esaminare, basti pensare che il costo della formazione è generalmente limitato e si sostiene una volta sola per singola unità in apprendimento, mentre i benefici, sia dell’incremento di reddito prodotto che di produttività, si riferiscono ad un congruo numero di anni futuri. Pertanto,alla luce di quanto sopra, si può tranquillamente affermare che, sempre che i contenuti formativi siano coerenti con l’attività produttiva, i benefici superano i costi e la produttività cresce, sia a livello aziendale che di sistema, contribuendo così ad elevare lo sviluppo economico. Ciò vale per gli investimenti pubblici, come quelli attuati dalla Camera di Commercio che si è resa conto della centralità del capitale umano ai fini dello sviluppo, ma è ugualmente valido per gli investimenti privati in formazione da parte delle imprese. Se, quindi, l’impegno camerale può coprire solo una parte delle esigenze formative a livello provinciale per ovvi motivi di disponibilità di fondi e se le scelte dell’ente ricadono su temi maggiormente innovativi per l’economia nel suo complesso, anche le PMI possono fare la loro parte coprendo i fabbisogni di formazione più ricorrenti e specifici per la propria realtà aziendale, nella consapevolezza che i benefici in termini di prodotto e di produttività supereranno i relativi costi e permetteranno una crescita aziendale. Così facendo si saranno poste le basi per una sinergia tra Camera e sistema delle imprese in grado di vincere le più ardue sfide future in tema di produttività e competitività.

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Ma per concludere definitivamente l’argomento, è opportuno soffermarsi brevemente ancora sull’impatto quantitativo nel processo di sviluppo locale per quanto riguarda le singole tipologie degli interventi camerali esaminati.

4.3. L’impatto degli interventi formativi

Sull’impatto degli interventi formativi da un punto di vista generale, si è già trattato sinora, basti qui aggiungere qualche ulteriore precisazione riguardo ai principali interventi attuati dalla CCIAA, già sinteticamente indicati nella valutazione qualitativa degli interventi. A. La formazione sui temi del commercio estero si è rivolta alle imprese

con corsi di base per quelle non operanti abitualmente con l’estero e con seminari avanzati e di aggiornamento per le altre.

Per le prime, l’impatto benefico consiste nella possibilità di entrare in nuovi mercati prima preclusi dalla conoscenza del solo mercato nazionale (a volte, anche soltanto locale), in modo da allargare la produzione aziendale e conseguire economie di scala che, assieme all’aumento dei margini complessivi per le maggiori quantità vendute, accrescano il valore aggiunto aziendale. Per le seconde, il miglioramento delle operazioni aziendali con l’estero e delle strategie di mercato internazionale crea le condizioni per una gestione più economica in termini di minori costi e/o di maggiori ricavi.

B. Il progetto pilota sullo sviluppo locale attraverso tecniche di e-learning ha permesso la diffusione della governance territoriale presso operatori pubblici che attualmente non hanno il know-how necessario per stimolare efficacemente lo sviluppo dei territori di propria competenza. Oltre alla gestione dell’apprendimento su base informatica, l’effetto della formazione è stato quello di rendere i partecipanti più capaci nell’individuare gli interventi di sviluppo con maggiori effetti sul valore aggiunto, nel saperli adeguatamente programmare e nell’esprimere valutazioni corrette. Tali capacità sono indispensabili per ottenere risultati migliori dalle iniziative che poi concretamente verranno operate per far crescere l’economia locale.

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C. L’istruzione universitaria con la stabilizzazione di un corso di laurea triennale e specialistica in disegno industriale è particolarmente adatta al sistema produttivo locale che, proprio perché concentrato più di altri sulla produzione di beni tradizionali, necessita di innovazioni e di design per superare l’acerrima concorrenza dei Paesi emergenti.

Pur in presenza di buone capacità estetiche e creative delle nostre aziende, si sentiva l’esigenza di evolvere le conoscenze pratiche in conoscenze scientifiche e codificate. In questo modo, le imprese locali possono progressivamente beneficiare di professionalità in grado di portare in azienda un contributo collaudato di capacità tecnico-strategiche per attuare significative innovazioni di prodotto, tali da accrescere significativamente la competitività sui mercati internazionali. Simili effetti, ovviamente, si traducono inmaggiori quote di mercato, che, a loro volta, determinano margini economici superiori per le maggiori quantità vendute e per i possibili incrementi di prezzo giustificati dalla più elevata qualità dei prodotti.

D. L’istruzione universitaria di un corso di laurea in design della moda non è soltanto una applicazione settoriale del design industriale appena commentato, in quanto il sistema moda è molto ampio e complesso e presenta comunque aspetti specifici del design che vanno approfonditi a parte. Il contesto locale, in cui il tessile-abbigliamento-calzature è molto diffuso, necessita quindi di figure professionali, da un lato più specializzate nello stile e nell’estetica, dall’altro più generali nell’interpretare le tendenze internazionali della moda e le evoluzioni tecniche della qualità dei materiali. Anche per questo tipo di istruzione valgono le stesse osservazioni del punto precedente sotto l’aspetto dei processi di sviluppo.

E. La formazione sugli strumenti ICT mediante il portale WEB 10 crea le condizioni per un accrescimento delle conoscenze in un campo cruciale per l’aumento della produttività aziendale e di sistema. Senza entrare nel dettaglio dei singoli strumenti, sono noti gli effetti dell’informatica e della telematica sulla riduzione dei costi e sull’aumento delle prestazioni consentiti dalla generalità di tali strumenti.

Ovviamente, anche per questa via si accresce il valore aggiunto e quindi la crescita economica.

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F. Nel progetto per il governo dei processi di passaggio generazionale, invece, l’obiettivo è stato non soltanto quello di accrescere la formazione di chi gestisce la successione in azienda, ma anche quello di preservare le conoscenze accumulate prima del passaggio e parallelamente di innovare e/o integrare le conoscenze non più attuali. Infatti, la preparazione dei formatori e degli “attori privilegiati” è stata indirizzata da un lato a rendere palesi le conoscenze tacite di chi deve lasciare il posto ai propri successori, ma dall’altro anche ad intervenire con strumenti formativi idonei quando la cultura d’azienda e/o la sua attività operativa sono obsolete o comunque inadeguate. In questo modo, si ottiene il duplice fine di non ridurre la produttività esistente determinata dal paziente e lungo accumulo di conoscenze ed esperienze acquisite in passato e di accrescere in futuro la stessa produttività del capitale umano che in passato, al contrario, non è stata soddisfacente. Una diffusione di tali pratiche, già collaudate all’interno del progetto, potrà permettere un notevole impatto sullo sviluppo economico futuro, data la numerosità delle imprese soggette nell’arco dei prossimi anni al passaggio generazionale.

4.4. L’impatto della tecnologia e dell’innovazione

Anche se nel modello quantitativo non è stato preso in considerazione l’impatto della tecnologia e dell’innovazione, è opportuno evidenziare alcune osservazioni al riguardo. Innanzi tutto, è il caso di rammentare che ogni miglioramento tecnologico deriva da una maggiore conoscenza di chi lo effettua e pure ogni innovazione anche al di fuori del campo tecnologico (cioè nel campo organizzativo e commerciale) può essere attuata soltanto da chi possiede le conoscenze per farlo. Da questo punto di vista, pertanto, l’innovazione tecnologica o di altro tipo si può conseguire soltanto se esistono le necessarie competenze. È ben vero che soprattutto l’innovazione tecnologica è incorporata principalmente nelle macchine e nelle attrezzature avanzate progettate e costruite in altri territori (cioè prodotte da fattori esterni), ma anche il

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loro utilizzo ha bisogno di capitale umano interno in grado di capire i vantaggi delle migliori prestazioni e di saperle adeguatamente sfruttare. Analogamente avviene per le innovazioni non tecnologiche, i cui principi metodologici possono anche provenire da invenzioni od idee provenienti da ogni parte del mondo, ma che possono essere applicate nelle realtà aziendali o territoriali soltanto con la decisione e la realizzazione di esperti interni alle organizzazioni interessate. Se ciò avviene, il vantaggio è ancora più marcato della formazione in senso stretto come analizzata nel precedente paragrafo, in quanto le conoscenze aggiuntive che si formano per creare od utilizzare effettive innovazioni permettono di sommare ai benefici già individuati anche quelli derivanti dal ricorso a soluzioni tecnologiche ed innovative individuate da altri, esterni al contesto locale. Quindi, una persona formata adeguatamente in materia tecnologica od in altri campi organizzativi e di mercato è in grado di accrescere la produttività del proprio lavoro anche perché sa sfruttare le innovazioni prodotte da altri. Non si tratta soltanto di far meglio il lavoro di propria competenza, ma di saper utilizzare le competenze altrui per accrescere ancor più i risultati del proprio miglioramento. Sotto questo aspetto, l’impatto della formazione sui risultati economici può risultare ancora maggiore e, se andiamo a ben guardare nei contenuti delle iniziative camerali in innovazione, possiamo verificare che questi solo in parte sono orientati all’innovazione effettiva, cioè all’invenzione di nuovi strumenti o sistemi, mentre per lo più si tratta di sperimentazione o di trasferimento di tecnologie per far crescere le conoscenze degli addetti in queste tematiche. Pertanto, si può presumere che l’impatto di queste iniziative camerali sull’economia, seppur non calcolato, sia quantitativamente maggiore di quello stimato per la formazione nei paragrafi precedenti. Venendo ai singoli interventi, si possono indicare le seguenti specificità:

A. L’iniziativa “Mercato virtuale – business elettronico” ha svolto il compito più generale di sensibilizzare l’utenza individuale ed aziendale sui nuovi strumenti ancora in fase di avvio, ma pure di creare delle professionalità tecniche specifiche ancora inesistenti in grado di diffondere “a cascata” le opportunità ed i vantaggi del business elettronico.

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B. Il portale per il distretto calzaturiero di Montebelluna, unitamente alla costituzione di una comunità virtuale in materia di design industriale ha permesso di diffondere tra gli addetti ai lavori del settore la consapevolezza della loro funzione per l’innovazione del prodotto e delle notevoli potenzialità creative ed operative insite nelle svariate sinergie che si possono instaurare liberamente tra loro. Inoltre, la conduzione dell’iniziativa attraverso tecniche di e-knowledge management ha consentito la possibilità di progredire nelle conoscenze scientifiche della materia in modo da estendere le conoscenze di base e passare a visioni più evolute della propria attività aziendale. L’impatto dell’intervento nel suo insieme da un lato è simile a quello relativo alla formazione in generale, in quanto i partecipanti approfondiscono le loro conoscenze nella complessa e multiforme materia del design, ma dall’altro vengono stimolate le sinergie ed i perfezionamenti in comune per cui si possono creare delle vere e proprie innovazioni che non si sarebbero manifestate se l’apprendimento fosse stato individuale. Questo secondo aspetto determina nel lungo andare una circolazione di conoscenze ed uno sviluppo delle stesse che, se ben inserito nel contesto della comunità produttiva, crea un effetto positivo ulteriore, in termini di produttività del sistema, agli effetti già visti, determinati dall’attività formativa.

C. Il sostegno al distretto del legno-arredo comprende due importanti iniziative che vanno trattate separatamente ai fini del loro effetto sull’economia distrettuale, dato il loro differente contenuto, anche se il fine ultimo rimane quello dello sviluppo locale. Il primo progetto riguarda la realizzazione di un laboratorio in rete per favorire le collaborazioni tecnologiche tra imprese e strutture formative. Il nuovo laboratorio di Oderzo, che non è altro che un innovativo potenziamento di quello già esistente, permette ora l’esecuzione di prove sofisticate, sia secondo le norme tecniche che per testare sperimentazioni ed innovazioni, e la fornitura di servizi tecnologici e formativi “ad hoc”. Si crea così un’utile sinergia tra Treviso Tecnologia che gestisce il laboratorio e le imprese del settore che lo utilizzano, sia per le prove che per nuove sperimentazioni tecnologiche. Gli effetti, pertanto, riguardano la produttività derivante da una formazione

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specialistica, ma anche l’eventuale realizzazione di nuove conoscenze innovative a livello di singole imprese utenti o di sperimentazioni collettive mettendo a disposizione del distretto i relativi risultati. In quest’ultimo caso, si può ottenere un ulteriore beneficio in termini di produttività.

D L’altra iniziativa per il distretto del legno-arredo, denominata “Market-place e-hub”, ha previsto con le tecnologie ICT la formazione di un sistema telematico informativo per i rapporti di filiera, mentre sono state solo progettate le linee strategiche per la realizzazione di un vero e proprio mercato virtuale. A parte questo secondo obiettivo che non è stato ancora conseguito, il primo è stato completamente sperimentato ed ha messo in evidenza tutti i vantaggi del e-supplay chain management, ossia della gestione della filiera produttiva attraverso gli strumenti ICT. In questo modo, si produce un forte abbattimento di tempi e di costi, oltre all’effettuazione di forniture più precise e conformi alle esigenze della clientela. I risultati che ne derivano possono essere rilevanti nelle imprese con numerose e continue forniture, la cui produttività certamente aumenta, ma cresce pure la produttività di tutta la filiera per la gestione strategica più efficiente, che può avvantaggiare la competitività del prodotto finito sul mercato e quindi ampliare le vendite di tutte le imprese facenti parte della stessa catena produttiva.

E Le attività di ricerca e sviluppo e di trasferimento tecnologico di Treviso Tecnologia hanno riguardato soprattutto il rapid prototyping, il rapid tooling ed il rapid manufacturing. Indipendentemente dai contenuti tecnici di tali iniziative, lo sforzo comune è quello di realizzare innovazioni che le singole PMI non riuscirebbero a realizzare da sole e di mettere a disposizione le soluzioni per il loro utilizzo da parte delle singole imprese interessate. Sinora le sperimentazioni sono state fatte per il settore dell’occhialeria, per quello della calzatura sportiva ed è in corso pure una ricerca con nanomateriali compositi nel settore degli elettrodomestici. Tutti comunque hanno come fine la riduzione del time to market per essere più competitivi sui mercati e ridurre i tempi di accesso agli stessi. Ma con il rapid manufacturing si ottiene addirittura la sostituzione della produzione in serie con un

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assortimento di piccole serie prodotte direttamente dalle sofisticate attrezzature di prototipazione, potendo eliminare così la produzione tradizionale di tante piccole imprese con un risparmio incalcolabile di costi di produzione. E’ evidente il vantaggio competitivo di queste soluzioni, anche se ancora le piccole imprese sono restie ad aderire a tali nuovi sistemi che, proprio perché molto innovativi, non vengono percepiti in tutti i loro vantaggiosi aspetti. Comunque, gli effetti per le imprese che credono in queste nuove sperimentazioni sono eccezionali e sono stati valutati in risparmi di costo di oltre il 30% dei costi totali, senza contare i vantaggi sul mercato di poter collocare una produzione più innovativa, con assortimenti più vasti ed in maniera estremamente più tempestiva.

F. Un’ultima iniziativa tecnologicamente avanzata è rappresentata dallo studio sperimentale di impresa estesa di distretto. Si tratta in questo caso di sperimentare tutte le innovazioni possibili in un processo produttivo di PMI per renderle partecipi a tutte le piccole unità facenti parte della stessa filiera o con forti legami distrettuali. Il progetto, in corso per la calzatura sportiva, potrà essere poi esteso ad altri settori, ma il meccanismo innovativo rimane sempre lo stesso: forte ricerca innovativa (in questo caso con il Politecnico di Milano) finanziata dall’ente camerale, per poi trasferire le soluzioni trovate alle PMI interessate ed integrate tra loro mediante cooperazioni produttive.

Si mettono così a disposizione delle piccole unità i risultati di investimenti in R&S che non potrebbero mai essere attuati da ciascuna di queste. I vantaggi che ne deriveranno favoriranno non solo le piccole e micro-imprese a carattere artigianale, ma anche i sistemi distrettuali, i quali attualmente stanno dividendosi irreparabilmente al proprio interno: i gruppi e le filiere guidate da imprese leader in grado di affrontare le sfide dei nuovi mercati e di quelli anche tradizionali, ma offrendo prodotti competitivi, e le altre piccole e micro-imprese destinate per lo più a soccombere alla progressiva concorrenza estera. Proprio per rendere competitive anche queste ultime, si stanno effettuando investimenti come quello in esame. Anche se i fabbisogni del nostro sistema produttivo sono enormi in tal senso, i vantaggi per le imprese che vi aderiranno sono

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essenziali ai fini della loro sopravvivenza stessa e quindi l’impatto finale sull’economia provinciale potrebbe essere il mantenimento di unità recuperate alla loro originaria competitività e che evitano così la cessazione e la disoccupazione dei loro addetti.

4.5. L’impatto dell’accesso al mercato

Gli interventi camerali finalizzati all’accesso al mercato riguardano il commercio estero e soprattutto la possibilità per le piccole imprese di accedere ai mercati internazionali. Nel capitolo della valutazione qualitativa sono già stati indicati i principali motivi di questa politica, ora si tratta di individuarne l’impatto sull’economia in generale alla luce di quanto è stato accennato sinora. Innanzi tutto è da osservare che la vocazione internazionale di Treviso è certamente posizionata ai primi posti in Italia, ma nonostante ciò esistono ampie fasce di imprese, soprattutto piccole e micro, che non hanno mai esportato o lo hanno fatto solo occasionalmente. Inoltre, anche tra le imprese esportatrici i mercati di sbocco sono per lo più limitati a pochi Paesi europei. Ciò comporta una rilevante rinuncia a tante opportunità di business proprio perché non si esplorano abbastanza i nuovi mercati e ci si accontenta di sopravvivere nel mercato nazionale od in quelli comunitari più vicini, già notoriamente saturi. Tale situazione rappresenta un vincolo alle potenzialità di sviluppo, vincolo che la Camera di Commercio tenta di rimuovere con le iniziative in oggetto, basate sull’espansione delle conoscenze in merito ai nuovi mercati ed alle tendenze internazionali dei mercati in generale e pure sulla presentazione e divulgazione della nostra produzione all’estero. Indipendentemente dalle singole iniziative, l’impatto sul valore aggiunto e sullo sviluppo economico è evidente se si considera la ricettività di molti mercati potenziali per il made in Italy e quindi la possibilità di incrementare notevolmente la produzione ed i corrispondenti margini economici. Anche il fattore di sviluppo dell’accesso al mercato, comunque, contiene in sé una forte componente legata alla formazione, poiché tale accesso

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è riservato soltanto a coloro che sono professionalmente in grado di accedervi e le iniziative camerali che promuovono tale comportamento da parte delle imprese in realtà non sono altro che interventi di informazione-formazione per gli addetti ai lavori sulle opportunità offerte dai nuovi mercati e sulle migliori strategie per accedervi. Pertanto, anche se per le singole iniziative possono configurarsi effetti specifici a seconda dei settori-mercati approfonditi e poi della concreta reazione di questi alla materiale offerta delle nostre imprese, da un punto di vista più generale si può supporre che una formazione così mirata al business non produca un effetto inferiore a quello previsto per la formazione-istruzione analizzata dal modello teorico. Ciò premesso, si può logicamente concludere che gli investimenti per promuovere l’accesso al mercato delle PMI, anche se generalmente il loro costo sarà superiore a quello degli investimenti formativi perché bisognerà compiere a monte delle specifiche e vaste analisi di mercato, producono un impatto positivo superiore in termini di prodotto aziendale e di produttività globale dei fattori capitale e lavoro. In altre parole, i contenuti formativi che permettono un accesso nuovo al mercato, od un consolidamento nei mercati già esplorati, seppur non possono essere confrontati con quelli della formazione-istruzione analizzata in precedenza, solitamente daranno luogo a risultati complessivi maggiori, sia come reddito prodotto dai singoli operatori partecipanti all’iniziativa, sia come produttività del capitale impiegato e del lavoro aggiuntivo prestato per l’accesso ad un mercato più vulnerabile e quindi favorevole. Le singole iniziative principali in questo campo hanno manifestato presumibilmente gli impatti rispettivamente accennati nel seguito. A. Analisi del mercato statunitense del sistema moda. Lo studio ha

permesso la conoscenza dei consumi, della produzione e dei mercati interni agli USA nei principali settori del sistema moda. Al riguardo, sono emerse soprattutto le diverse tendenze dei mercati nell’ambito dei principali Stati americani e si è pure osservata la scarsa presenza delle nostre esportazioni al di fuori degli Stati più frequentati dagli operatori italiani. Questa situazione di insufficiente copertura da parte del prodotto italiano dimostra un enorme potenziale di mercato per le nostre aziende, la cui fama nello stile e nel design è ugualmente

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diffusa anche tra i consumatori degli Stati più trascurati. Se quindi le nostre imprese del sistema moda, molto diffuse in provincia di Treviso, sapranno cogliere tale opportunità tenendo conto delle informazioni e suggerimenti contenuti nell’analisi, l’effetto sull’andamento del settore potrebbe essere notevole. Ciò significa che lo sfruttamento delle opportunità indicate può creare un impatto in termini di espansione delle vendite e quindi di aumento dei margini aziendali, sia per l’incremento delle quantità, sia per l’assorbimento di prodotti di più elevata qualità (meno soggetti alla concorrenza straniera). Ne consegue uno sviluppo del prodotto lordo e della produttività d’azienda e di settore.

B. Attività informativa sul mercato egiziano e su altri Paesi del Mediterraneo africano ed asiatico. Oltre ad attività promozionali ed informative su questi mercati, è stato svolto uno studio di marketing sulle relative possibilità di penetrazione con il settore del mobile. Anche qui sono risultate rilevanti le opportunità per le imprese trevigiane del distretto del legno-arredo, le quali, tranne alcune esperienze di avanguardia, non conoscono abbastanza le potenzialità di questi mercati emergenti che invece presentano una serie di condizioni favorevoli: lo sviluppo economico interno dei Paesi e la rapida espansione del loro potere di acquisto, la preferenza verso prodotti a tecnologia media come la nostra, le relazioni diffuse in virtù dell’immigrazione in Italia di larghi strati di queste popolazioni, le opportunità di insediamenti italiani nei Paesi medesimi, ecc.. Tutto ciò, può favorire una rilevante espansione del mercato del mobile con il conseguimento degli effetti già indicati nella precedente iniziativa. In questo caso, ovviamente, si dovrà puntare su una qualità medio-bassa, ma con una forte spinta sulle quantità con soluzioni tecnologiche nella gestione dei componenti, soluzioni che già sono collaudate presso i nostri produttori.

C. Analisi del mercato delle calzature sportive nella nuova Europa. Sono state analizzate le prospettive commerciali nei Paesi entrati a far parte dell’U.E. nel 2005. Dalle indicazioni delle analisi di mercato sono risultate nuove opportunità di business per il distretto della calzatura sportiva di Montebelluna, in quanto proprio nei Paesi dell’Europa

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Orientale sono più sviluppati molti sport e quindi il fabbisogno di larghi strati della popolazione non è da sottovalutare. Anche qui, sebbene evoluto, il settore calzaturiero è cresciuto sui mercati più avanzati, ma non abbastanza in quelli emergenti, lasciando così scoperte ampie fasce di mercato. Non è detto poi che la qualità medio-alta delle produzioni di Montebelluna non possa trovare collocamento nei mercati dell’Est Europa, in quanto, nonostante il livello medio dei consumi non sia tra i più elevati, sussiste sempre (ed anzi è in aumento) la capacità di spesa delle classi più abbienti, che può considerarsi apprezzabile in relazione alla capacità produttiva del distretto. Anche per questi mercati valgono quindi gli effetti di impatto già precedentemente descritti se le imprese sapranno sfruttare le indicazioni ed i suggerimenti dell’analisi.

D. Sempre per il distretto dello sport-system di Montebelluna, è stato costituito un Osservatorio Internazionale della Moda che ha permesso alle aziende di conoscere in anticipo le tendenze internazionali nelle diverse stagioni, potendo così programmare per tempo la propria produzione in sintonia con i continui cambiamenti del mercato. In questo caso, il vantaggio essenziale è basato sul tempo di programmazione, ma anche su un’illustrazione tecnica approfondita delle tendenze della moda e quindi, per le PMI, sulla possibilità di creare prodotti coerenti con le reali preferenze del mercato. Indipendentemente dai Paesi di riferimento, qui si tratta di saper collocare prodotti che incontrino le aspettative dei consumatori sotto l’aspetto estetico e della funzionalità. In un mercato globalizzato come quello della moda, la qualità orientata al gusto dominante del momento è un elemento essenziale per accedere al mercato stesso, talvolta anche più del prezzo. L’effetto positivo di una simile iniziativa è soprattutto quello di permettere alle imprese minori di attrezzarsi per tempo per non venire emarginate dalle mutevoli tendenze sempre anticipate dalla concorrenza più aggressiva. Basta, infatti, sbagliare le collezioni di una sola stagione per andare fuori mercato e rischiare la chiusura dell’attività. In questo caso, pertanto, più che di crescita aggiuntiva si tratta di salvaguardia delle posizioni di eccellenza già conseguite, ma queste si potrebbero tramutare in occasioni di sviluppo

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nel momento in cui altri concorrenti sbagliassero le previsioni o non si adeguassero tempestivamente alle tendenze della moda.

E. Ristrutturazione e potenziamento del Portale Treviso System-on-line. Attraverso tale strumento si utilizzano le tecniche ICT per divulgare la conoscenza dell’economia della Marca trevigiana nel resto del mondo. L’obiettivo è duplice: da un lato far conoscere le caratteristiche economiche e le produzioni trevigiane a fini promozionali per la valorizzazione del sistema produttivo interno, dall’altro attuare una politica di attrattività del territorio nei confronti di nuovi possibili insediamenti dall’esterno. Naturalmente, si tratta di un’attività guidata per far sì che vengano evidenziate le produzioni di punta da valorizzare e che si creino le condizioni di attrazione soltanto per quelle attività in sinergia con quelle locali ai fini di un concreto sviluppo. In questo modo, si diffondono le relazioni e le occasioni di affari per tutti gli operatori trevigiani, in quanto, con una serie di collegamenti successivi, si parte da una conoscenza generale del territorio per arrivare all’individuazione di singole imprese che operano in un particolare settore o distretto. Pur nell’impossibilità di effettuare valutazioni quantitative di impatto di questa struttura, certamente gli effetti sono significativi se si considera l’enorme frequenza di consultazione del sito e si tiene conto del fatto che è rilevante l’utenza straniera (anche in funzione della traduzione in inglese di molte parti del portale) e che spesso si instaurano contatti internazionali con analoghe strutture promozionali di altri Paesi.

4.6. L’impatto degli interventi per la gestione finanziaria d’impresa Gli investimenti camerali in favore della gestione finanziaria di impresa hanno assunto configurazioni molto diverse e pertanto non è possibile valutarne l’impatto con una stessa metodologia di indagine. Infatti, si tratta di iniziative, alcune delle quali hanno assunto contenuti marcatamente informativi e formativi, altre rivolte a facilitare l’accesso al credito delle PMI ed altre ancora a supporto e copertura dei fabbisogni finanziari delle

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aziende per investimenti mirati. Tutte tre queste tipologie, seppur finalizzate a migliorare e supportare la gestione finanziaria d’impresa, che, come è stato già osservato in occasione della valutazione qualitativa degli interventi camerali, è particolarmente critica nelle imprese di minori dimensioni e sotto vari aspetti frenante dello sviluppo aziendale, in quanto non permette un’espansione notevole delle attività ed inibisce gli investimenti più rischiosi (ma suscettibili di migliori prospettive di sviluppo), devono quindi essere analizzate separatamente ai fini di una loro valutazione di impatto. Vengono pertanto richiamate le tre principali iniziative camerali rappresentative di ciascuna delle tipologie citate, per stimarne orientativamente gli effetti, sempre ai fini dello sviluppo economico locale. A. Bilancio aggregato e situazione economico-finanziaria del sistema

produttivo provinciale sulla base della somma dei bilanci delle società di capitale tenute al loro deposito alla Camera di Commercio secondo le norme del Codice civile. Il laborioso e complesso lavoro, sia sotto l’aspetto delle elaborazioni statistiche che per l’interpretazione e l’approfondimento dei fenomeni emersi, ha permesso la valutazione complessiva del sistema e di tutti i settori economici trevigiani con il duplice scopo di conoscere meglio la realtà economica provinciale (ancora scarsamente dotata di dati ed informazioni sulla sua struttura economica e finanziaria) e di fornire alle aziende dei rating di valutazione del loro posizionamento di settore. Tralasciando il primo scopo, troppo generale per essere indagato nei suoi impatti sulla efficacia della programmazione delle istituzioni e delle stesse imprese per lo sviluppo sulla base delle accresciute conoscenze derivanti dai bilanci aggregati, ci soffermeremo brevemente sul secondo. La conoscenza di indicatori specifici di territorio e di settore permette infatti alle imprese (soprattutto a livello locale) di effettuare razionali valutazioni sull’andamento della propria attività in confronto alla media ed a connessi parametri di benchmarking, nonché di relazionarsi in maniera migliore con gli interlocutori esterni e soprattutto con il sistema creditizio e finanziario22 . A tale proposito, è il caso di sottolineare che il nuovo accordo di Basilea II, prevedendo una valutazione di rating più precisa su cui basare la quantità e le

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condizioni del credito, potrebbe creare divergenze e contenziosi tra banca ed impresa che possono essere sanati proprio con indici di settore più aderenti alla realtà economica territoriale e settoriale.

Per tutti questi motivi, l’impatto dei contenuti informativi e formativi della banca-dati e dello studio effettuati può considerarsi rilevante se si tiene presente il miglioramento della gestione economico-finanziaria che può derivare da un confronto con il settore di appartenenza e le condizioni più favorevoli del rapporto di credito che possono scaturire da un più preciso rating sull’affidabilità dell’impresa stessa.

Poiché si tratta comunque di un ampliamento delle conoscenze esistenti per conseguire risultati economici e finanziari migliori, gli effetti possono assimilarsi a quelli individuati per la formazione e pertanto si può ragionevolmente supporre che l’impatto di questa iniziativa sia orientativamente stimabile non inferiore a quello quantificato con il modello economico già sperimentato, sia in termini di incremento del prodotto lordo che per la crescita connessa della produttività totale dei fattori.

B. Contributi annuali ai consorzi fidi operanti in provincia per l’ampliamento dei relativi fondi di garanzia.

Annualmente la Camera contribuisce ad ampliare i fondi rischi dei consorzi fidi per accrescere, da un lato, il plafond di finanziamenti erogabili dalle banche alle PMI associate e per migliorare le condizioni degli stessi finanziamenti (soprattutto per quanto riguarda il tasso d’interesse). In questo modo, le aziende beneficiarie possono ottenere maggior credito a parità di garanzie individuali presentate agli istituti di credito e lo stesso credito può essere acquisito sostenendo oneri finanziari inferiori. Si ottiene, pertanto, il duplice beneficio di allargare il credito di esercizio (ma anche il credito a medio termine, perché alcuni consorzi prevedono tra le linee possibili di affidamento anche tale tipo di prestiti) e pure quello di diminuire il costo del denaro, entrambi vantaggi non indifferenti per le PMI che notoriamente ottengono minor credito ed a costi più elevati. E’ quindi possibile per tali aziende attuare maggiori investimenti, sia a breve che a medio termine, ottenendo da questi un maggior margine aziendale per la

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remunerazione del lavoro e del capitale di rischio. Quest’ultima osservazione merita tuttavia un approfondimento

economico. Se, infatti, le imprese riescono ad attuare nuovi investimenti, il valore aggiunto che ne deriva andrà a sommarsi al valore aggiunto originario e quindi si otterrà uno sviluppo aziendale, che, a parità di altri fattori, contribuirà allo sviluppo del sistema economico generale. Ma altrettanto non si può dire per la diminuzione degli oneri finanziari aziendali, che sono compresi nella composizione del valore aggiunto. Quest’ultimo, infatti, è la somma di quanto viene prodotto dal fattore lavoro, dal capitale di rischio e pure dal capitale di credito. D’altro canto, si può notare che ad un aumento degli utili aziendali per la diminuzione dei tassi d’interesse fa riscontro corrispondentemente una diminuzione degli utili delle banche affidanti per i minori ricavi conseguiti. A livello di sistema, pertanto, il valore aggiunto non si modifica a seguito di una variazione dei tassi di interesse, a meno che la banca creditrice non sia esterna al territorio oggetto d’indagine (nel nostro caso, una banca con sedi legale ed operative fuori provincia) in quanto ad un miglioramento dei margini dell’azienda locale corrisponde un peggioramento dei risultati di una banca appartenente ad un altro territorio (non componente del valore aggiunto locale).

Non è detto, però, che un alleggerimento degli oneri finanziari per le imprese non porti ad alcun miglioramento del valore aggiunto in prospettiva. In realtà, oltre ad uno sviluppo del mercato del credito per la richiesta di maggiori finanziamenti (cui solitamente si accompagnano maggiori investimenti), si creano le condizioni per una migliore funzionalità del mercato, accrescendo la fiducia e riducendo i costi di transazione. In questo modo, vengono ridotti proprio i costi nascosti del funzionamento del mercato del credito, relativi al rapporto banca-impresa, con evidenti (anche se non quantificabili) vantaggi da entrambe le parti. La diffusione di un simile comportamento, che può originare anche dal potenziamento dei confidi, rappresenta una forma di efficienza istituzionale che sempre più viene indicata dagli studiosi come fattore di sviluppo anche economico.

Pertanto, l’impatto degli interventi camerali a sostegno dei consorzi

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fidi riguarda, da un lato, la possibilità di sviluppo del credito delle PMI con espansione della capacità di investimento di queste ultime, dall’altro un effetto indiretto di medio-lungo termine sull’efficienza del mercato del credito. Tale duplice impatto positivo può riflettersi in elevata misura sul livello del reddito prodotto e quindi sul grado di sviluppo del sistema produttivo.

C. Contributi camerali in conto capitale alle imprese per spese di investimenti in nuove tecnologie di e-commerce ed ICT.

Quest’ultima iniziativa ha assunto una forma e quindi una funzione pure diversa rispetto alle precedenti ai fini del conseguimento dello sviluppo. Nel presente caso, l’aiuto finanziario è stato fornito direttamente alle imprese, soprattutto di modeste dimensioni, affinché pure queste siano in grado di effettuare investimenti tecnologicamente avanzati per migliorare il commercio elettronico e dotarsi di più evoluti strumenti di ICT per la produzione od altre aree aziendali.

Indipendentemente dai progetti presentati ed ammessi, che sono stati valutati molto positivamente dalla commissione di esperti che li ha esaminati, l’intervento ha riguardato l’impatto di vari fattori per lo sviluppo. Innanzi tutto, anche in questo caso la formazione rientra come elemento di base per concepire progetti validi e quindi le aziende partecipanti hanno dovuto fare ricorso a risorse umane interne adeguatamente formate o a consulenti esterni che hanno riversato in azienda le proprie conoscenze. Ma pure le competenze così ottenute devono generare nel progetto qualche innovazione operativa in grado di evidenziare il vantaggio della sua applicazione per l’economia aziendale nel suo complesso. Inoltre, la produttività e competitività così ottenute all’interno dell’organizzazione aziendale per lo più si manifestano all’esterno con il guadagno di quote di mercato, prevedendo in questo modo anche strategie di accesso ulteriore a mercati nuovi o già esistenti.

A tutti questi riflessi positivi sui fattori già esaminati nei precedenti paragrafi, si aggiungono anche quelli relativi alla gestione finanziaria d’impresa. Sotto questo aspetto, l’investimento camerale (pari al contributo erogato) si traduce in un investimento aziendale aggiuntivo a quanto

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investito direttamente dall’azienda. Pertanto, anche se quest’ultima fosse comunque stata in grado di effettuare direttamente anche l’investimento aggiuntivo, questa facilitazione permette sia l’esecuzione di ulteriori iniziative aziendali, sia la destinazione vincolata a progetti validi per lo sviluppo del sistema economico23 . L’impatto dell’investimento pubblico, allora, si esplica in una triplice direzione: a) sotto l’aspetto finanziario, si mette a disposizione una fonte aggiuntiva

di capitale di rischio vincolata ad iniziative di sviluppo e si vincolano a tale finalità anche le fonti di capitale privato necessarie a completare l’investimentoammessoalfinanziamento;

b) sotto l’aspetto economico, il finanziamento pubblico costituisce una riserva di capitale gratuita per l’azienda, ma che non può essere distribuita, mentre l’investimento vincolato corrispondente darà in futuro i suoi fruttiinmisuranoninferioreallaredditivitàaziendaleattuale;

c) sempre sotto l’aspetto economico, il valore aggiunto generato dal maggiore investimento (sia pubblico che privato), nonché l’aumento dello stesso per effetto della produttività totale dei fattori accresciuta in seguito all’applicazione di nuove tecnologie, consentiranno un’espansione del complessivo valore aggiunto aziendale e di sistema, elevando così lo sviluppo provinciale. Anche per questa via, pertanto, si ottiene un impatto più che favorevole, seppur non quantificabile in linea generale (anche se qualche stima è possibile nella valutazione di impatto dei singoli investimenti), sulla crescita economica del sistema produttivo locale.

4.7. Valutazioni conclusive per una stima dell’impatto totale

Per concludere l’argomento, è opportuno tentare qualche stima dell’impatto complessivo degli interventi camerali già citati sullo sviluppo economico locale. Ovviamente, si tratta di valutazioni molto approssimative e facilitate da varie ipotesi semplificatrici, ma utili per evidenziare un risultato concreto in termini di benefici dell’azione camerale e per fungere da base di partenza per ulteriori perfezionamenti ed approfondimenti teorici e pratici sul tema. Come è stato accennato a proposito degli obiettivi di questo studio,

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l’assenza di adeguati e precisi metodi di valutazione già collaudati rende molto importanti questi tentativi di trovare comunque dei risultati per l’economia in generale, in grado di permettere l’espressione di un giudizio sull’efficacia degli interventi pubblici in relazione al loro costo. Dopo la presentazione del modello di stima più appropriato ed a seguito del commento della sua applicazione con riferimento alle tipologie di intervento camerale ed alle singole principali iniziative, giova ora tentare una valutazione di impatto complessivo. Per motivi di prudenza nella stima dei risultati, si sono già avanzate alcune ipotesi riduttrici con l’esclusione di alcuni effetti positivi che comunque possono manifestarsi, tra cui: - gli effetti d’impatto derivanti dall’apporto esterno di tecnologie, non

previsti nel modello proprio per concentrare l’attenzione sui fattori endogeni di sviluppo, escludendo volutamente quelli esogeni perché nondipendentidall’azionepromozionaledelleistituzionilocali;

- altri effetti aggiuntivi a quelli determinati dalla formazione, in quanto di ancor più difficile determinazione, ma certamente presenti ed accrescitivi di quelli considerati, perché maggiormente correlati all’attività produttiva ed all’innalzamento della sua produttività.

Complessivamente, quindi, gli effetti stimati in queste note sono certamente inferiori alla realtà e quindi possono essere accettati in ossequio al principio della prudenza, in quanto approssimati per difetto. Gli effetti considerati nel calcolo, infatti, si riferiscono al solo impatto dell’incremento di reddito generato dalla formazione e dalle altre tipologie di intervento camerale perché comprendenti comunque implementazioni di conoscenze ed altri fattori aggiuntivi di sviluppo. Ciò premesso, la stima del beneficio unitario per persona trattata con un anno di formazione aggiuntiva (oltre i 10 anni dell’istruzione di base) è data dal PIL per occupato (che in provincia di Treviso è pari a 57.888 euro, secondo i dati del 2005 assunti come base di partenza per la proiezione degli effetti futuri), moltiplicato per l’impatto annuale della formazione aggiuntiva sul reddito (che il modello ha individuato nella misura dell’8,15%) e moltiplicato ancora per i 15 anni di orizzonte del modello (dal 2006 al 2020) in cui presumibilmente continueranno a replicarsi gli effetti favorevoli. Il risultato così ottenuto, a sua volta moltiplicato per il numero di soggetti beneficiati complessivamente dagli

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interventi camerali in formazione (complessivamente circa 300 soggetti con formazione aggiuntiva di un anno), presenta un beneficio finale per attività di formazione camerale pari a 21.231.000 euro in confronto ad un investimento iniziale di 5.081.500 euro. Se si considera che le variazioni del PIL sono calcolate a valori reali (cioè al netto dell’inflazione) e che come tasso di sconto reale, da applicare ai benefici degli anni futuri, può essere preso il tasso di incremento del PIL reale nei diversi anni, la differenza (o beneficio netto dell’investimento complessivo) dovrebbe superare i 16 milioni di euro. Analogamente si procede per le altre iniziative, che per le ipotesi semplificatrici adottate, dovrebbero presentare analoghi risultati di impatto. Pertanto, il totale dei benefici ottenuti nel quindicennio 2006-2020 dovrebbe aggirarsi su un incremento del PIL provinciale di 35 milioni di euro per effetto di investimenti camerali già attuati per circa 8,5 milioni di euro, ottenendo così un beneficio netto per il sistema produttivo locale di circa 27 milioni di euro. Tutto ciò avverrà se effettivamente la formazione e gli altri fattori di intervento troveranno applicazione pratica nei processi produttivi, mentre il risultato potrà essere evidente a livello di PIL totale se non interverranno eventi negativi, capaci di ridurre per altri motivi i livelli positivi generati dalle iniziative in parola. Certamente le cifre esposte, seppur significative in relazione all’analisi costi-benefici, possono apparire modeste se confrontate con l’importo globale del PIL provinciale (quasi 22 miliardi di euro nel 2005), ma è da tener presente la disponibilità limitata dei fondi camerali e comunque il fatto che tali investimenti hanno un carattere innovativo e di incentivo, volto a stimolare l’emulazione da parte degli investitori privati. Se ciò potrà accadere e altri investimenti simili si potranno avviare, allora l’impatto sull’economia potrebbe essere ben superiore. Non a caso nella descrizione dell’impatto quantitativo della formazione si è ipotizzata una espansione potenziale dei contenuti formativi già sperimentati in ben 64.568 soggetti fino al 2020. Se simile previsione dovesse realizzarsi, il beneficio netto (cioè al netto dei costi di investimento) potrebbe arrivare nei successivi 15 anni, a parità di altri fattori e di fenomeni imprevisti, a ben oltre 5 miliardi di euro (sempre a prezzi costanti).

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Note

20 E’ noto che le politiche dell’offerta producono i loro effetti sempre nel medio e lungo termine.

21 E’ da rammentare che gli interventi camerali sono istituzionalmente destinati al sistema produttivo e quindi anche la formazione deve essere rivolta alle conoscenze riguardanti direttamente le attività economiche. Ciò rende più stretto il legame tra conoscenza degli operatori ed effetti positivi sul sistema delle imprese.

22 E’ ben vero che le banche dispongono già di indicatori e di rating anche molto ampi e sofisticati sulla valutazione dell’affidabilità della propria clientela, ma tali parametri provengono dall’aggregazione di bilanci riferiti ad imprese grandi e medie e per lo più operanti in contesti internazionali. In altri casi, i bilanci aggregati sono formati dalla clientela anche minore della stessa banca, ma la composizione delle aziende-clienti non è mai tale da poter formare un campione significativo dell’universo per settore, dimensione e territorio.

23 Contrariamente a quanto generalizzato da alcuni, l’investimento pubblico, anche se fornito direttamente all’impresa, raramente provoca un corrispondente disinvestimento da parte di quest’ultima per cui si possa affermare l’inutilità del contributo pubblico. Ciò dipende dal fatto che l’agevolazione è vincolata all’investimento da effettuare e lo smobilizzo di altre attività non si concilia con la politica di sviluppo prevista dal progetto.

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CAPITOLO 5OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

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Osservazioni conclusive

La Camera di Commercio di Treviso ha “accompagnato” il delicato processo di trasformazione che il sistema produttivo provinciale si è trovato ad affrontare in questo non facile decennio per l’economia nazionale e del Nord Est. È stata una fase, questa, densa di sfide e di avvenimenti che hanno profondamente modificato il modo di atteggiarsi di fronte al mercato da parte di tutti gli operatori socio-economici. Il grande processo di ricomposizione su scala mondiale della specializzazione e della divisione del lavoro ha messo al centro del processo economico il capitale umano, e più in generale i fattori immateriali della produzione. Dalle Delibere di Giunta e dalle Determinazioni del Segretario Generale si evince piena consapevolezza e grande attenzione proprio al fatto che:

1 l’intervento sui settori passa in secondo piano, poiché il target principalesonoifattoridellaproduzione;

2 il sistema produttivo locale, minacciato dalla concorrenza (dei paesi in via di sviluppo e di nuova industrializzazione) basata sulla costosità dei fattori materiali della produzione, può reggere il confronto solo se punta sulla qualità di quelli immateriali.

Non a caso le Delibere e le Determinazioni esaminate si focalizzano su: - formazioneallavoroedall’imprenditorialità;- innovazione;- accessoepermanenzanelmercato;-gestionefinanziariadell’impresa.

Si tratta di aspetti che la singola impresa considera come “esternalità positive”, ma che la ben nota “mano invisibile” di per sé non sempre garantisce. Gli interventi camerali sembrano infatti assumere il ruolo di “supplenza a carenze di esternalità positive”. Infine, con particolare riferimento al prevalente intervento camerale a favore del capitale umano (formazione al lavoro e all’imprenditorialità), dal punto di vista quantitativo si è dimostrato che un anno aggiuntivo di formazione: a) nel medio-lungo periodo fa crescere il reddito procapite locale delle

persone in età lavorativa (cioè comprese tra 15 e 64 anni) dell’8.59%, controunamediaOCDEdicircail6%;

b) aumenta la produttività totale dei fattori della produzione del 3.11%.

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Questa pubblicazione è edita nella collana: Profili economici della Camera di Commercio di Treviso.

Le precedenti pubblicazioni sono:

1 - I problemi finanziari delle PMI trevigiane: aspetti critici e strategie di intervento (1997)

2 - Riforma fiscale e ricapitalizzazione delle imprese (1998)

3- Le nuove sfide per i distretti industriali: sistemi cognitivi e reti transnazionali (1998)

4 - La “rivoluzione” Euro: quali implicazioni per il finanziamento delle P.M.I.? (1998)

5 - Un progetto di marketing territoriale per il distretto di Montebelluna — Offerta del territorio, contesti competitivi e possibili strategie di rilancio — (1998)

6 - Immigrati: problema o risorsa? - L’immigrazione di extracomunitari nei territori evoluti con particolare riguardo alla provincia di Treviso — (1999)

7 - Le opportunità dell’Euro Nouveau Marchè per le imprese ad alto potenziale di crescita (1999)

8 - Guida “Crea la tua impresa a Treviso” (2000).

9 - Convegno “E– commerce frontiera del nuovo sviluppo”. Tavola rotonda “Marketplace comunità e distretti virtuali. E-uforia o

reali opportunità strategiche di sviluppo”(2000).

10 - IL PROGRAMMA “JEV” - Agevolazioni alle imprese che intendono investire in Europa (2001).

11 - Le politiche commerciali e di Marketing nel settore dell’arredamento – Ricerca sui distretti industriali del Livenza e del Quartier del Piave

12 - Problematiche di internazionalizzazione dei distretti industriali della provincia di Treviso

13 - La qualità nella Pubblica Amministrazione – Alcune esperienze negli enti locali

14 - Analisi dell’organizzazione logistica del distretto industriale di Montebelluna

15 - L’UEM, l’Euro e l’Ampliamento dell’Unione Europea

16 - I Servizi integrati a tutela della Proprietà Industriale

17 - Qualità e certificazione nella Pubblica Amministrazione esperienze a confronto

1 8- Guida “Crea la tua impresa a Treviso”. (2004)

19 - Atti “Giornata dell’economia” (17 Novembre 2003)

20 - Premio Tesi di Laurea sull’Economia Trevigiana (6ª edizione – 2003)

21 - Nuove opportunità di finanziamento per le PMI – Dalla finanza innovativa al mercato expandi – (2 Aprile 2004)

22 - Atti del ciclo di incontri informativi - “La normativa sulla sicurezza e conformità dei prodotti” – Gennaio Dicembre 2003

23 - Studio preliminare sui potenziali nuovi Mercati di sbocco per lo Sport System Montebellunese – Settembre 2004

24 - Atti del convegno “Lean Organization per lo sviluppo dell’eccellenza e della competitività

25 - “Progettiamo il nostro futuro” Il Piano di Marketing territoriale per lo sviluppo di Roncade – Relazioni del Convegno (30 ottobre 2004)

26 - Atti convegno – “Le performance economiche delle imprese trevigiane attraverso l’analisi aggregata dei bilanci” – 15 Novembre 2004

27 - Convegno – “Il circolo virtuoso dell’innovazione: Qualità delle risorse umane, servizi e finanza” – 20 gennaio 2005

28 - Collaborazione industriale e opportunita’ di mercato nelle regioni della nuova europa

29 - Il mercato delle calzature sportive della nuova Europa

30 - Analisi del Mercato dell’Abbigliamento Americano

31 - Il mercato del mobile - Medio Oriente, Turchia e Nord Africa

32 - L’esperienza del Progetto Lisp (Local Initiatives and Social Partnership art. 65 FSE azioni innovative)

33 - “Codici Etici, Conflittualità: gestione del rischio d’impresa - Atti Workshop -12 e 19 Aprile 2007

34 - L’Unità per il Reimpiego di Treviso: Un caso di governo delle politiche del lavoro

35 - Le prospettive di sviluppo infrastrutturale in provincia di Treviso

Finito di stamparenel mese di marzo 2009

nello Stabilimento delle Grafiche VianelloTreviso / Italia