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ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE “D’AOSTA”
Viaggio d’Istruzione in Sicilia
Vademecum turistico
classi 3^A, 3^B, 3^C scuola secondaria di I grado
1
ISTITUTO COMPRENSIVO “D’AOSTA” Tutti gli usi della parola a tutti, non perché tutti siano artisti, ma perché
nessuno sia schiavo (Rodari)
Sicilia, il tempo antico delle cose Viaggio di Istruzione in Sicilia 29 aprile 3 maggio 2019Lunedì
Itinerario storico – artistico - ambientale
L’itinerario. Il percorso, che ha il suo centro di riferimento a Siracusa, si snoda lungo la Sicilia
orientale da Messina a Siracusa, passando per Catania, con una diramazione verso occidente
fino ad Agrigento: gli alunni saranno immersi in un ambiente mediterraneo a contatto con il
mare e con parte dell’entroterra del Val di Noto; ai panorami suggestivi esteriori delle terre
siciliane saranno affiancati quelli interiori dei miti greci, della letteratura pirandelliana e della
cultura occidentale in dialogo con quella orientale. Le bellezze monumentali, artistiche e
paesaggistiche saranno le cose che aiuteranno gli alunni alla comprensione che la bellezza ha
radici antiche e ci accompagna sempre, anche quando ne perdiamo la consapevolezza.
1° giorno.Lunedì 29 aprile 2019.
Partenza da Ottaviano Piazza
Giovanni Paolo II ore 6 per Catania.
Durante il percorso pranzo a sacco.
Sosta a Taormina (Riviera dei
Ciclopi), visita alla città. A pochi passi
dallo stretto che separa la Sicilia dalla
penisola italiana, su una terrazza
naturale che guarda verso il mar Ionio,
sorge la splendida città,
l'antica Tauromenion.Col suo aspetto di
borgo medievale, la sua antica anima greca, i colori e i profumi della vegetazione
mediterranea, Taormina è uno dei luoghi da visitare più belli al mondo. Arroccata sul monte
Tauro, la città offre un panorama stupendo che abbraccia uno scorcio del mar Ionio dal golfo di
Catania fino alla punta meridionale della Calabria.Immerso tra cipressi e piante di fichi d’india,
con la cavea scavata nella roccia, il teatro ellenistico di Taormina, trasformato in arena dai
romani offre uno spettacolare panorama sul mare fin sulle coste della Calabria, sulla città di
Siracusa e sulla vetta dell’Etna.Entrando in città da porta Messina, si raggiunge il cuore
medievale di Taormina. Poco lontano dalla porta, palazzo Corvaia e la seicentesca chiesa
di San Pancrazio, che sorge sui resti di un tempio greco. Da visitare, poco distante, anche la
cavea dell’antico Odeon e la vicina chiesa di Santa Caterina d’Alessandria.Nelle vicinanze la
strada si amplia in piazza IX aprile, terrazza da cui si gode un ampio panorama, mentre la porta
di Mezzo aperta nella seicentesca torre dell’Orologio conduce nel quartiere medievale di
Taormina, dai caratteristici edifici con ornamenti ed elementi architettonici romanici e
gotici.Risalgono invece all’epoca normanna il massiccio palazzo difensivo dei duchi di Santo
Stefano, con elementi gotici, arabi e normanni, e la Badia Vecchia.Non solo storia, Taormina è
caratterizzata anche da una rigogliosa natura come quella dei giardini pubblici della Villa
Comunale.
Prosecuzione del viaggio. Sistemazione presso l’Hotel cena e pernottamento.
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2° giorno. Martedì 30 aprile 2019.Catania. Prima colazione in hotel. Partenza per
Catania.Catania, città fondata dai greci nel 729 a.c., ha una storia ricca di eredità culturali di
epoca greca, romana, bizantina, araba,
normanna, sveva, angioina, aragonese,
spagnola che troverete nei suoi monumenti.
La città di oggi, prevalentemente
settecentesca, è il frutto della ricostruzione
dopo il forte terremoto del 1693, realizzata
nello stile Barocco Siciliano che è stato
dichiarato Patrimonio dell'Umanità
Unesco.La città ha origine come
insediamento siculo, rifondato col nome
di Kατάvη nel 729 a.C. da coloni greci
calcidesi. Nel V secolo a.C. fu occupata dai
Siracusani, che la battezzarono Etna, fu poi
conquistata dai Romani nel 263 a.C. Con la
caduta dell’Impero Romano, la città seguì le
sorti della Sicilia, venendo conquistata prima
dagli Ostrogoti, poi dagli Arabi, dai
Normanni, dagli Svevi e dagli
Angioini. Sconvolta dalla terribile eruzione dell’Etna nel 1669 e dal disastroso terremoto del
1693, la città fu quasi interamente ricostruita all’inizio del Settecento, secondo il gusto barocco
del tempo che caratterizza tutta la Sicilia sud orientale. A cominciare dalle notevoli
testimonianze risalenti al periodo romano, tra le quali spicca l’Odeon, che sorge nel centro
storico, accanto al teatro romano. Quest’ultimo edificio fu costruito in epoca greca, ma
restaurato tra il I e il II secolo, ed a questo stesso periodo appartengono anche altre monumentali
strutture, tra cui l’anfiteatro e alcuni edifici termali realizzati con pietre laviche.Da non perdere
la visita al castello Ursino, fondato da Federico II di Svevia nel XIII secolo e oggi museo
civico.Cataniaconserva l’assetto urbanistico progettato dall’architetto Vaccarini, con ampie vie
rettilinee che si raccordano intorno alla principale via Etnea, aperta su piazze e giardini. Tra
queste scenografiche strade si affaccia piazza del Duomo, che si presenta con la
caratteristica Fontana dell’elefante, vero centro della città storica. Piazza Duomo, punto di
partenza preferito di ogni
visita turistica di Catania, può
essere considerata essa stessa
un monumento: infatti, da qui
è iniziata la ricostruzione della
città dopo il terremoto del
1693, perché qui c'erano
sempre state le sedi più
importanti del Governo
cittadino e della Chiesa
:il Municipio e il Duomo. Nel corso del settecento, i più valenti architetti e maestranze
provenienti da tutta la Sicilia, l'hanno disegnata e realizzata in uno splendido barocco. Piazza
Duomo è anche il luogo d'incontro dei catanesi nei momenti più intensi della vita cittadina e
nelle occasioni solenni, come la grande Festa di Sant’Agata - patrona della città - divenuta nel
tempo la terza festa della cristianità nel mondo. Al centro della piazza c'è la Fontana
dell'Elefante, simbolo di Catania; girando il nostro sguardo da nord in senso orario vediamo il
Municipio, il Duomo, l'ex seminario dei Chierici. Ma Piazza Duomo rivela altre sorprese: nel
sottosuolo, dove si trovano le terme Achilliane, e dietro la Fontana dell'Amenano, dove c'è il
tipico mercato del pesce, la Pescheria, a ricordarci che il mare si trova a pochi passi da qui.
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Dopo il terremoto il Senato cittadino decise di ricostruire il Duomo (ingresso incluso) dov'era
già il Duomo normanno (1092). Nel
1709, sull´originario impianto basilicale
a tre navate, l'architetto G. Palazzotto
iniziò ad elevare la chiesa sfruttando le
preesistenze architettoniche. Il problema
di armonizzare le enormi strutture
portanti alla facciata fu brillantemente
risolto da G.B. Vaccarini, abate e
architetto di origine palermitana che fu
uno dei più geniali e scrupolosi artefici
della ricostruzione settecentesca di
Catania. Egli utilizzò molti materiali
preziosi che provenivano dai monumenti
antichi catanesi, quasi a volere ribadire il concetto di continuità tra presente e passato.
All'interno, addossata al secondo pilastro a destra, c'è la tomba di Vincenzo Bellini, grande
musicista catanese (1801-1835).Per i catanesi è particolarmente importante la cappella di
Sant'Agata che custodisce, nella "cammaredda" (la cameretta), il Busto reliquiario e lo Scrigno
con le reliquie di Sant'Agata: l'uscita delle reliquie dalla cameretta il 4 febbraio è uno dei
momenti più commoventi di tutta la festa. Il Palazzo degli Elefanti è il Municipio di
Catania(ingresso incluso), la sede del governo cittadino: nelle sue belle sale si riuniscono il
Consiglio Comunale, il Sindaco e la Giunta Municipale. L'edificio è stato costruito dopo il
terremoto del 1693 in sostituzione del cinquecentesco Palazzo Senatorio (Catania ha un
governo municipale dal 1320, grazie al privilegio concesso da Federico II d'Aragona) ed
è opera di diversi architetti: tra questi Giovan Battista Vaccarini, chiamato a progettare molti
degli edifici del centro storico. Palazzo degli Elefanti ha un forma quadrangolare e un atrio
d’ingresso su ogni prospetto, a sottolineare il carattere di edificio aperto al pubblico e di servizio
alla collettività. Al suo interno sono presenti opere d'arte di Giuseppe Sciuti, Emilio Greco,
Francesco Contraffatto.L’ingresso su piazza Duomo, che è il cuore della città, è caratterizzato
dal grande portale su cui si trova la tribuna (balcone centrale) del primo piano. Proprio
all’ingresso si possono vedere le antiche carrozze del Senato: una fastosa berlina in legno della
fine del XVIII secolo, e un’altra carrozza più semplice, usate nel corso dei festeggiamenti di
Sant’Agata quando, il 3 febbraio, le autorità cittadine a bordo delle carrozze raggiungono la
chiesa di S. Biagio in piazza Stesicoro per offrire la cera alla Santa. Se con la ricostruzione post
terremoto la via Etnea diventerà la strada dei palazzi nobiliari, la via Crociferi sarà la strada che
le autorità ecclesiastiche tracceranno per costruirvi i nuovi monasteri e le nuove chiese: infatti,
in non più di 200 metri si trovano quattro chiese con tre monasteri e un collegio.
Negli anni di massimo splendore via Crociferi era la strada dei giorni di festa quando tanti
cittadini venivano a seguire le cerimonie e i cortei religiosi. Per la bellezza dei prospetti delle
chiese che rendono il luogo molto suggestivo, in tempi recenti è stata spesso scelta
come location per film: appare "Il bell'Antonio" di Bolognini e nella "Storia di una capinera" di
Zeffirelli,ne "I Vicerè" di Faenza e molti altri. Qui, inoltre si svolge uno dei momenti più
toccanti della festa di Sant’Agata, quando le suore benedettine intonano per la santa i loro soavi
canti. Monumento nazionale dal 1940, Casa Verga è oggi museo regionale. Quattro bacheche
espongono le riproduzioni dei manoscritti verghiani. Vi si trovano inoltre la pergamena decorata
da Alessandro Abate; il busto di Verga, opera dello scultore Bruno; due ritratti ad opera di
Michele Grita. Nella biblioteca sei librerie custodiscono i 2500 volumi che erano di proprietà
dello scrittore.
Incastonati tra via Teatro Greco e via Vittorio Emanuele sorgono il Teatro Romano e l’Odeon.
Si presume che la costruzione del Teatro Romano, che riusciva ad ospitare circa 7000 spettatori,
risalga al II sec. d.C., e che esso sia stato realizzato su una struttura preesistente di età greca
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costruita nell’antica acropoli di Catania.In un diametro di circa 80 metri, sono ancora visibili
l’orchestra, la cavea (che poggia su alti corridoi coperti a volta) e alcune parti della scena. Il
teatro fu spogliato dei marmi e delle pietre che lo componevano nel 1098, per volere del Conte
Ruggero, al fine di velocizzare la costruzione della Cattedrale di Sant’Agata.I reperti recuperati
durante gli scavi del XVII secolo sono custoditi nel Museo Comunale. A causa delle diverse
eruzioni laviche e dei terremoti, nel tempo il livello del terreno è sceso e oggi la parte bassa
della costruzione, soprattutto la zona dell’orchestra, è bagnata dalle acque dell’Amenano, il
fiume che scorre sotterraneo alla città, che impedisce l’uso del teatro per le rappresentazioni
contemporanee.
E' probabile che il teatro romano si sia sovrapposto ad un teatro greco di età classica; di questi
edifici precedenti appartenenti alla Katane greca nessun resto sicuro è stato però finora
identificato. Nell'XI secolo, per volere del conte Ruggero il teatro venne largamente spogliato
dei suoi rivestimenti marmorei, che furono adoperati per la costruzione della Cattedrale.
Situato appena ad ovest del teatro, sorge l'Odeon, anch'esso costruito in pietra lavica. L'Odeon
(piccola sala coperta di pianta simile a quella teatrale e destinata ad ospitare esibizioni musicali
ed oratorie) venne eretto dopo l'edificio maggiore, ma la sua cronologia, tra II e III secolo d.C.,
non può al momento essere ulteriormente precisata. Mentre la scena e il suo muro di fondo sono
in parte coperte da costruzioni moderne, la cavea è del tutto in vista. La funzione dei 17 vani
formati da questi muri non è chiara, ad essi comunque si accedeva da una serie di strutture ad
arco che si aprono sulla facciata. L'orchestra era pavimentata in marmo; la decorazione
dell'edificio era fondata sul contrasto tra la pietra lavica (il materiale di costruzione di base) i
riporti in mattoni e le decorazioni in marmo. L'Odeon romano
Le Terme Achilliane si estendono sotto il livello calpestabile del Duomo e della piazza fino a
via Garibaldi. Vi si accede tramite una porta posta sul lato destro della facciata della Cattedrale.
Conosciamo il nome del complesso termale, che fu costruito in epoca romana, probabilmente
intorno al III sec. d.C., grazie ad un’iscrizione risalente al V sec. d.C. e agli atti del vescovo San
Leone, dell’VIII secolo, che ne parlano, ma quale ne sia l’origine è ancora un mistero: alcuni
storici presumono derivi dal nome del costruttore, o da una statua dell’eroe greco Achille, che
non è giunta fino a noi.
Pranzo in ristorante. In serata rientro in hotel per la cena e il pernottamento.
3° giorno. Mercoledì 1 maggio 2019. Agrigento Prima colazione in hotel. Partenza per Agrigento. Visita guidata per l’intera giornata alla
Valle dei Templi.
"Là dura un vento che ricordo acceso / nelle criniere
dei cavalli obliqui / in corsa lungo lepianure, vento /
che macchia e rode l'arenaria” Salvatore Quasimodo
così si esprimeva pensando alla Valle dei Templi; il
parco archeologico dell'antica Akragas, iscritto
dall'Unesco nel Patrimonio dell'Umanità, non può
lasciare indifferenti. E Wolfgang Goethe scriveva
affacciandosi sulla Valle"Mai in tutta la vita ci fu
dato godere una così splendida visione di primavera
come quella di stamattina al levar del sol... Lo
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sguardo spazia sul grande clivo della città antica, tutto giardini e vigneti... verso l'estremità
meridionale di questo altipiano verdeggiante e fiorito si vede elevarsi il Tempio della
Concordia, mentre a oriente stanno i pochi ruderi del Tempio di Giunone".
I grandiosi templi dorici risalgono al quinto secolo a.C., epoca di massimo splendore della città.
Gli scavi hanno rivelato anche altri elementi della città antica, come edifici pubblici, opere
idrauliche, necropoli e fortificazioni, fino ai resti archeologici e monumentali successivi
dell'epoca paleocristiana. Nel parco si snodano anche percorsi naturalistici che attraversano la
macchia mediterranea, tra agavi e fichi d'india, con aree coltivate a ulivo, vite e mandorlo. Fra
tanti luoghi di culto intitolati alle divinità dell'Olimpo, non poteva che essere un mito greco a
spiegare la fioritura precoce dei mandorli in questa zona, con relativi festeggiamenti annuali per
l'arrivo della primavera: merito dell'amore leggendario tra una principessa e un guerriero
ostacolati dal fato. Del suo passato Agrigento conserva numerose tracce anche al di fuori
dell'area archeologica: il nucleo medievale, sulla collina dei Girgenti, mantiene l'andamento
tortuoso delle vie tipico delle città arabe, con numerosi edifici e chiese che si sono succedute
con stili diversi in altrettante epoche.
Sette sono i sacri luoghi di cui si possono ammirare i resti.Tra questi il Tempio di Era, con
pianta rettangolare sulla quale poggiano 34 colonne, il Tempio della Concordia, in ottimo stato
conservativo, e il Tempio di Castore e Polluce.Costruiti in pietra di tufo, i tempi - visti da
lontano - assumono al tramonto un colore dorato creando un’atmosfera surreale.Sulla collina
che guarda verso la Valle dei Templi, si estende la “Città Magnifica”, l’Agrigento di oggi, uno
scrigno di tesori d’arte.
La città di Akragasè fondata da coloni
provenienti in parte da Gela e in parte da Rodi
nel 580 a.C. Essa sorge su di un altipiano non
lontano dal mare, protetto a Nord dai rilievi
della Rupe Atenea e del Colle di Girgenti e a
Sud dalla cosiddetta Colllina dei Templi e
circondato dai fiumi Akragas e Hypsas. Il suo
porto (emporion) si trova alla foce dei due
fiumi, nell’odierna borgata marinara di San
Leone.Fra la metà del VI e la fine del V secolo
a.C. la città è oggetto di un fervore edilizio
senza uguali, di cui sono testimoni la maggior parte delle vestigia oggi visibili e una poderosa
cinta muraria lunga 12 chilometri e accessibile da 9 porte. A partire dalle tirannidi di Falaride e
di Terone fino ad arrivare al periodo democratico, dominato dalla figura del filosofo
Empedocle, Akragas assume le proporzioni di una grande città stato con più di 200.000 abitanti.
Distrutta nel 406 a.C. a opera dei Carteginesi, la città deve attendere l’avvento di Timoleonte sul
finire del III secolo a.C. per vivere un nuovo momento di prosperità. Durante le guerre puniche,
fu un presidio dei Cartaginesi contro i Romani che la conquistarono nel 210 a.C.
In periodo romano, nella città, ormai denominata Agrigentum,furono costruiti nuovi edifici
pubblici, fra cui almeno due tempietti, il teatro ed il bouleuterion(era un edificio che ospitava il
consiglio (boulé) della polis nell'antica Grecia). Si sono conservati diversi resti di questi edifici
nelle antichecittà della Grecia o nelle colonie greche, nell’ambito di un assetto urbanistico
monumentale che ha il suo fulcro nel poggio S.Nicola, dove oggi sorge il Museo Archeologico.
A questo periodo si ascrivono anche le case piùopulente del vicino Quartiere Ellenistico
Romano. La ricchezza degli abitanti di Agrigentum probabilmente dipese anche dall’attività di
estrazione, raffinazione e commercio dello zolfo, documentata dalle iscrizioni.
In età tardo antica e altomedievale, la collina dei Templi è occupata da una vasta necropoli
cristiana sia a cielo aperto che sotterranea.
Durante la conquista musulmana delle popolazioni arabe, berbere, spagnole, egizie, sire e
persiane, avvenuta fra l’829 e l’840 d.C., sembra si siano ritirati sul colle di Girgenti
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(dall’arabo Gergent o Kerkent), dove in seguito si sarebbe sviluppata la città medievale e
moderna. La Valle dei Templi, abitata in modo sporadico, fu destinata alle produzioni agricole e
artigianali, come le officine ceramiche, documentate da alcune fornaci. Nel corso dei secoli i
monumenti della città classica furono via via spoliati dei blocchi, che servirono alla costruzione
degli edifici di Girgenti e del molo antico di Porto Empedocle.
Il tempio di Giunone si trova sullo sperone roccioso più elevato della collina dei Templi,
presso l’estremità est.Come per la maggior parte dei templi agrigentini, non è possibile sapere a
quale divinità fosse dedicato.La sua attribuzione
a Giunone deriva da un’errata interpretazione di
un passo dello scrittore romano Plinio Il
Vecchio, che si riferisce, in realtà, al tempio di
Giunone sul promontorio Lacinio a Crotone, in
Magna Grecia.L’edificio di ordine dorico è
databile intorno alla metà del V secolo a.C. e ha
un basamento di quattro gradini, su cui poggiano
sei colonne sui lati brevi e tredici su quelli
lunghi. Al suo interno il tempio è suddiviso in
atrio di ingresso, cella e vano posteriore, il primo
e l’ultimo con due colonne fra le ante.Fra l’atrio di ingresso e la cella si apre la porta,
fiancheggiata da due piloni con all’interno le scale per l’accesso e la manutenzione del tetto.A
quindicimetri di distanza dall’ingresso del tempio, sul lato est, si trova l’altare con una scalinata
di dieci gradini.Forse Il tempio fu gravemente danneggiato durante la conquista cartaginese del
406 a.C., da un incendio di cui restano le tracce sui muri della cella. L’edificio viene forse
restaurato in epoca romana.
Il tempio della Concordia è uno dei templi in miglior stato di conservazione dell’antichità
greca.L’edificio deve il suo nome tradizionale a un’iscrizione latina della metà del I secolo d.C.
con dedica alla “Concordia degli Agrigentini”. L’iscrizione fu erroneamente messa in rapporto
con il tempio dallo storico e teologo Tommaso Fazello intorno alla metà del ‘500.L’edificio di
ordine dorico è databile intorno alla seconda metà del V secolo a.C. e ha un basamento di
quattro gradini, su cui poggiano sei colonne sui lati
brevi e tredici su quelli lunghi. Unico fra i templi
agrigentini, conserva quasi interamente gli
elementi della trabeazione e i due frontoni sui lati
est e ovest.Al suo interno il tempio è suddiviso in
atrio di ingresso, cella e vano posteriore, il primo e
l’ultimo con due colonne fra le ante. La porta della
cella è fiancheggiata da due piloni entro cui è
ricavata una scaletta di servizio che conduce al
tetto.Secondola tradizione il tempio fu trasformato
in chiesa cristiana intorno alla fine del VI secolo
d.C., quando Gregorio, vescovo di Agrigento, consacrò l’antico tempio ai Santi Apostoli Pietro
e Paolo dopo averne scacciato i demoni Eber e Raps.Le dodici arcate aperte nelle pareti della
cella risalgono all’uso dell’edificio come chiesa cristiana, che ne ha garantito l’eccezionale stato
di conservazione.Infine la dualità dei demoni pagani e la duplice dedica della chiesa cristiana
hanno fatto ipotizzare un’originaria titolarità del tempio a una coppia di divinità greche (fra le
diverse ipotesi, i Dioscuri).
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Il Tempio di Ercole. La divinità, a cui il tempio era dedicato in origine, èErcole (Eracle per i
Greci), il tempio è il più antico dei templi dorici di Agrigento ed è edificato intorno alla fine del
VI secolo a.C.La sua attribuzione all’eroe è ritenuta attendibile sulla base di un passo di
Cicerone che ricorda l’esistenza di un tempio dedicato a Ercole presso l’Agorà, riconosciuta
nell’area immediatamente a Nord.L’edificio di ordine dorico ha un basamento di tre gradini, su
cui poggiavano sei colonne sui lati brevi e
quindici sui lati lunghi. Al suo interno il
tempio di forma stretta e lunga è suddiviso
in: atrio di ingresso, cella e vano posteriore,
il primo e l’ultimo con due colonne fra le
ante.La porta della cella è fiancheggiata da
due piloni all’internodei quali una scaletta
di servizio conduce al tetto; si tratta di una
caratteristica dell’architettura templare
agrigentina, presente qui per la prima volta.
Il tetto era decorato da grondaie per l’acqua
piovana a forma di teste leonine, rinvenute in esemplari di due diverse serie, una della fine del
VI secolo a.C. e una dei primi decenni del V secolo a.C.Ad Est del tempio si trovano i resti
dell’altare monumentale e, ancora più a Est,i resti di un piccolo tempio arcaico, a cui si
riferiscono alcune terrecotte architettoniche.In epoca romana il fondo della cella è suddiviso in
tre ambienti per la costruzione di un piccolo edificio di culto; la trasformazione è forse legata al
trasferimento del culto di Asclepio all’interno del tempio, dove fu rinvenuta una statua del dio
di epoca romana durante gli scavi del 1835.
Il tempio di Giove. Le rovine del tempio di Giove Olimpio (Zeus per i Greci) sono la
testimonianza di uno dei più grandi templi dorici dell’Antichità classica; purtroppo l’area,
probabilmente già danneggiata in antico da terremoti, fu utilizzata come cava sin dal Medioevo
(la cava gigantum citata dai documenti d’archivio) e nel ‘700 per la costruzione del molo di
Porto Empedocle.Secondo lo storico Diodoro Siculo, la costruzione inizia in un momento
immediatamente successivo alla battaglia di Himera, la grande vittoria delle città greche di
Sicilia sui Cartaginesi, nel 480 a.C. Sempre,
secondo lo storico, la costruzione del tempio
non è mai ultimata, perché ancora priva di
tetto al momento della conquista della città
di Akragas da parte dei Cartaginesi nel 406
a.C.L’edificio di architettura originalissima
era collocato su di una gigantesca piattaforma
rettangolare, su cui si ergeva un basamento di
cinque gradini, di cui l’ultimo alto il doppio
degli altri, per formare una sorta di podio e
isolare il tempio dall’ambiente circostante.Il
tempio era chiuso da un muraglione di
recinzione,caratterizzato all’esterno da semicolonne di ordine dorico in numero di sette sui lati
brevi e di quattordici sui lati lunghi; ad esse corrispondevano, all’interno, altrettanti semi-
pilastri rettangolari. L’altezza ipotetica delle semicolonne è stata valutata in più di diciotto
metri.All’esterno figure colossali di Giganti (i Telamoni), alte circaotto metri e colti nell’atto di
sorreggere con la forza delle braccia la trabeazione del tempio, erano poste negli spazi tra le
semicolonne su mensole alte circa undici metri.All’interno di questo altissimo edificio – molto
simile a un recinto – si trovava una cella del tutto originale, in quanto priva di copertura,
probabilmente interpretata da Diodoro Siculo come segno dell’incompiutezza della costruzione.
La copertura, infatti, si limitava probabilmente ai corridoi intorno alla cella.Le fronti erano
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decorate a Est con sculture raffiguranti una lotta tra gli dei e i Giganti (Gigantomachia) e a
Ovest con la presa di Troia (Iliupersis).I resti del monumentale altare rettangolare sono visibili a
breve distanza dalla fronte orientale del tempio.
Pranzo al Ristorante. Nel pomeriggio visita alla casa di Pirandello.
La Casa natale di Luigi Pirandello. La costruzione rurale del XVIII secolo - si trova in una
contrada di campagna, a
strapiombo sul mare, denominata
"Caos", al confine tra i comuni di
Agrigento e Porto
Empedocle.Dichiarata
monumento nazionale nel 1949,
fu acquistata nel 1952 dalla
Regione Siciliana, che ne curò il
restauro e la sistemazione. Luigi Pirandello vi nacque il 28 giugno del 1867: qui si era rifugiata
la famiglia per sfuggire all'epidemia di colera che in quell'anno imperversava in Sicilia.Nelle
stanze del piano superiore sono esposti i documenti che segnano le tappe della produzione
letteraria dello scrittore, a partire da quella giovanile del periodo degli studi liceali presso il
Regio Liceo Vittorio Emanuele II di Palermo. Al piano terra una raccolta di dipinti illustra la
produzione artistica di Rosolina, sorella del drammaturgo, dello stesso Luigi e del figlio
Fausto.All'esterno, un suggestivo percorso conduce all'area del “Pino” e della “rozza pietra” che
dal 1961 accoglie le ceneri dell'illustre agrigentino, nel rispetto delle ultime volontà vergate di
suo pugno.
Nel tardo pomeriggio rientro in hotel per la cena e il pernottamento.
4° giorno. Giovedì 2 maggio 2019. Siracusa e il Val di Noto
Prima colazione in hotel. Partenza per Siracusa. Il nome Val di Noto, al maschile, deriva dal termine usato per indicare le unità amministrative
in cui il Regno di Sicilia era diviso in epoca normanna: il Val di Mazara, il Val Demone e il
Val di Noto. Val sta per Vallo e non come si potrebbe pensare per Valle.
Siracusa. La città è stata capitale della Magna Grecia nel V sec. a.C e poi colonia romana, la
città è rinomata fra i centri di pregio culturale e artistico del Val di Noto. Non si può visitare la
Sicilia senza trascorrere almeno un giorno tra le meraviglie archeologiche e storico-artistiche
della città. Di Siracusa si raccontano molte leggende e miti, dovuti alla cultura greca di cui la
città è stata centro nevralgico. Risale alla seconda guerra punica, per esempio, la curiosa
leggenda secondo cui Archimede, uomo di scienza, contribuì a difendere la città dagli attacchi
dell’esercito romano prima dell’assedio di Siracusa. Si tramanda infatti che Archimede
concentrò i raggi solari attraverso un sistema di specchi posizionati lungo la costa riuscendo
a bruciare le navi romane in arrivo.
Duomo.Si innalza su un’imponente scalinata con il suo fasto architettonico su una delle piazze
principali del centro storico della città, l’isola di Ortigia. Oggi appare ai visitatori come una
cattedrale di stile barocco e rococò anche se la struttura cela le vestigia di diverse correnti e
culture che hanno portato il luogo di culto ad evolversi nel tempo. Destinato sin dall’antichità a
tale scopo, sul sito già nel VI secolo a.C. si ergeva un tempio greco, sostituito poi dal tempio di
Minerva. Alcuni storici ritengono anche che durante la dominazione araba, il luogo di culto fu
persino trasformato in moschea. Solo con l’avvento del cristianesimo la struttura fu adibita a
chiesa e conservò fino al terremoto del 1693 una facciata in stile normanno. Dopo i danni
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procurati dal sisma la facciata fu interamente ricostruita in stile barocco e tardo rococò da
Andrea Palmatrail 1728 e il 1754. Tra le opere maggiori all’interno del Duomo ci sono la
cappella di Santa Lucia dove è conservata la statua d’argento della santa patrona della città e la
cappella del Crocefisso con la tavola di San Zosimo di probabile attribuzione ad Antonello da
Messina e la croce lignea in stile bizantino.
L’isola di Ortigia. È il piccolo isolotto vicinissimo alla terraferma che costituì il primo nucleo
abitativo originario di Siracusa all’epoca dei Corinzi. Quando si parla dell’Isola di Ortigia si
parla della città stessa e non di un’isola della
città. Oggi rappresenta il centro storico di
Siracusa.
Chiesa di Santa Lucia alla Badia. Situata nel
cuore di Ortigia, la chiesa balza subito allo
sguardo del visitatore sin dalla struttura esterna:
la parte inferiore rimanda al fasto dei rilievi
degli stemmi spagnoli mentre la decorazione
dell’ordine superiore riprende il rococò tipico dei pannelli in legno delle sacrestie siciliane. Il
seppellimento di S. Lucia di Caravaggio è esposto nella chiesa dal 2009.L’olio su tela fu
realizzato dall’artista durante il soggiorno a Siracusa dopo la fuga da Malta.
Fonte Aretusa.È una sorgente d’acqua dolce situata a pochi metri dal Mar Ionio. La Fonte
Aretusa forma un grazioso laghetto popolato da anatre e papiri.
La mitologia greca narra che Alfeo era innamorato dell’avvenente ninfa Aretusa che non
ricambiava il sentimento e fuggiva da lui. Un giorno chiese aiuto alla dea Diana che la
trasformò in un’oasi lussureggiante sulle coste dell’isola di Ortigia. Nel libro “L’amore prima di
noi” la scrittrice Paola Mastrocola ne offre una traduzione bellissima di cui si riportano alcuni
passi, sia per il lavoro in classe, sia per una lettura lungo il percorso di viaggio.
Il Parco Archeologico della Neapolis. Il Parco Archeologico della Neapolis (ingresso incluso)
racchiude capolavori famosi sia di epoca greca che di epoca romana, testimonianze della storia
millenaria della città
Anfiteatro Romano. L’Anfiteatro romano è tra i più grandi esistenti ed il più grande della
Sicilia, monumento tipicamente romano in una città dalla fortissima impronta greca. E’ in gran
parte scavato nella roccia e di tutta la parte superiore, costruita, non resta quasi nulla. La cavea
ellittica è su tre livelli con un portico soprastante. Un sistema complesso di aperture consentiva
il rapido flusso degli spettatori. Un corridoio parallelo all’arena ha delle aperture che
consentivano l’accesso ai gladiatori ed agli animali per gli spettacoli. Al centro di essa è un
ampio sotterraneo utilizzato per macchinari. L’anfiteatro aveva due ingressi principali, del quale
quello meridionale era monumentalizzato da un complesso sistema di scale. La datazione di
questo edificio è piuttosto controversa, ma gli studi più recenti lo inquadrano cronologicamente
in età augustea, con modifiche in età successive.
Teatro Greco. E' il monumento più famoso del parco archeologico ed è uno tra i più grandi e
importanti nel mondo antico. Ha origine antiche ed esisteva già nel V sec. a.C.; sappiamo da
fonti letterarie che Eschilo mise in scena "Le Etnee" nel 476 a.C. La sua forma attuale, però, è
riferibile a un progetto unitario, realizzato nel III sec. a.C. da Ierone II, nell'ambito del suo
programma di sistemazione della Neapolis secondo i principi dell'architettura ellenistica del
tempo. Scolpito nella roccia del colle Temenite, il teatro presenta una cavea di grandissime
dimensioni, con 67 ordini di gradini, divisa, in senso verticale, in nove cunei da otto file di
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scalette e, in senso orizzontale, da un ampio corridoio (diázoma). La parete a monte di
tale diázoma, reca incise delle iscrizioni in greco. Al centro è il nome di Zeus Olimpio; ad est
erano i nomi di divinità non più leggibili; ad ovest erano i nomi dei membri della famiglia di
Ierone. Si leggono ancora chiaramente i nomi di Nereide, moglie di Gelone II, figlio di Ierone
II, e di Filistide, moglie di Ierone II.
In epoca imperiale romana il teatro subì profondi mutamenti per rispondere alle esigenze degli
spettacoli e doveva avere un apparato scenico monumentale grandioso e complesso. I lavori
dell’ultima fase del teatro si possono datare al V secolo d.C.
Ad opera di Ierone II, fu realizzato un grandioso portico ad L sulla terrazza sopra il teatro,
davanti alla grotta dove sgorga un ramo dell’acquedotto Galermi. La grotta, esternamente,
presenta due nicchie ed un fregio dorico. Questo complesso è stato identificato come
il Mouseion, sede della corporazione degli attori.
Orecchio di Dionisio. Nel lato occidentale della Latomia del Paradiso è il famoso “Orecchio di
Dionisio”. Dalla particolare forma ad esse, alta 23 metri, è una grotta artificiale, caratterizzata
da un’eco eccezionale, che deve il suo nome al famoso pittore Caravaggio che collegò la forma
della grotta, che ricorda il padiglione auricolare, e la sua qualità acustica al tiranno Dionisio.
Egli poteva così ascoltare le parole dei suoi prigionieri, grazie alla particolare eco del luogo. La
grotta, molto famosa già nel ‘700, è stata riprodotta nelle raffigurazioni dei viaggiatori famosi
del Grand Tour.
Grotta dei Cordari. La Grotta dei Cordari è situata in prossimità dell'Orecchio di Dionisio. E’
così chiamata proprio perché qui a partire dal XVII sec, gli artigiani lavoravano le fibre naturali
e realizzavano, secondo vecchie tradizioni, corde di ogni tipo, favoriti dalla naturale umidità del
luogo. Questa tradizione si è estinta solo pochi
decenni fa.
Ara di Ierone.L'Ara di Ierone II è il grandioso altare
costruito dall’ultimo dei grandi ed illuminati tiranni di
Siracusa. Lunga circa 198 metri e largo oltre 20, ne
rimane la parte scavata nella roccia. Si accedeva al
piano della mensa, dove avvenivano i sacrifici,
attraverso due rampe decorate da due coppie di
telamoni. Davanti, era un portico colonnato ed un
propileo di accesso, considerato di età augustea ma
che recentemente è stato datato al III a.C. L’altare era dedicato a Zeus Eleutherios; le feste
celebrative prevedevano il sacrificio di ben 450 tori.
Latomie. In questo percorso culturale all’interno del Parco Archeologico della Neapolis, non
viene a mancare l’aspetto bucolico, che permette agli amanti della natura di godere della
suggestiva vegetazione nell’area della Latomia del Paradiso, adiacente al teatro e la più
occidentale del complesso delle latomie che cingevano l’antica città. Le latomie erano in antico
delle cave per l’estrazione della pietra ma diventavano anche prigioni. Presenta una
lussureggiante vegetazione, ricca di alberi di limoni ed aranci, capperi, palme e fichi d’india, ed
è oggi luogo incantato e di straordinaria bellezza.
Pranzo in ristorante a piazza Duomo. Nel pomeriggio trasferimento a Noto.
NOTO.A seguito del sisma del 1693 i maggiori centri urbani del Vallo vennero ridotti in
macerie. La successiva ricostruzione vide l’adozione di soluzioni architettoniche e artistiche che
caratterizzano l’intero Vallo. In particolare la città di Noto è definita Giardino di pietra per le
sue meraviglie architettoniche; l’attuale centro urbano risale al periodo successivo al
terremoto del 1693. Dopo il sisma la città fu ricostruita e lo stile artistico che prevale è il
barocco. Nel 2002 Noto è inserita dall’UNESCO tra le città del barocco del Val di Noto.L'asse
principale della città si stende lungo corso Vittorio Emanuele ed è scandito da tre piazze. In ogni
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piazza si trova una chiesa e il corso è annunciato dalla Porta Reale. Quest’ultima è un
monumentale ingresso a forma di
arco di trionfo, eretto nel XIX
sec. La porta è sormontata da un
pellicano, simbolo
dell'abnegazione nei confronti di
Re Ferdinando. Ai due lati si
trovano una torre, simbolo di
fortezza ed un cirneco (antica
razza canina siciliana), simbolo di
fedeltà. Alle spalle si stende un
viale alberato fiancheggiato da un
bel Giardino Pubblico
caratterizzato dalla macchie viola della buganvillea e dai ciuffi delle palme tra i quali emergono
i busti marmorei di famose personalità locali.
Piazza Immacolata.Una statua della Madonna occupa il centro di questa piazza, delimitata dal
Monastero del Santissimo Salvatore dalla facciata curvilinea, il Convento di Santa Chiara con
pregevoli grate in ferro battuto e, soprattutto, la Chiesa di San Francesco all'Immacolata, opera
del Sinatra che presenta una facciata barocca relativamente semplice. All'interno, pezzi
provenienti dalla chiesa francescana di Noto Antica.
Palazzo Ducezio.Sede del Municipio, il Palazzo Ducezio prende il nome dal fondatore della
città. Progettato nel 1746 da Sinatra, fu terminato solo nel 1830. Il piano inferiore si presenta
con un porticato classicheggiante costituito da arcate con colonne con capitelli ionici. Il primo
piano, costruito nel 1951, ha invece un’elegante balconata. All’interno è notevole la Sala degli
Specchi(ingressi inclusi), di forma ovale (perché prima utilizzata per rappresentazioni teatrali,
ma oggi salone di rappresentanza) con mobili in stile Luigi XV e grandi specchi scolpiti
dall’avolese Sebastiano Dugo. Nella volta della sala il pittore Antonio Mazza (XVIII sec.)
rappresentò la fondazione di Noto a opera del condottiero siculo Ducezio.
Cattedrale San Nicolò. L’imponente chiesa rappresenta l’emblema in assoluto del Barocco
netino. La cattedrale fu costruita agli inizi del XVII secolo, a causa di un’anomalia strutturale
mai notata prima nel 1996 un cedimento architettonico determinò il crollo di un pilone, della
cupola e della navata centrale. La magnifica cattedrale barocca (ingresso incluso) fu riportata
alla luce solo nel 2007. La facciata esterna in arenaria si staglia dorata con le scalinate i due
campanili sulla via del Corso che attraversa l’intera città. È dedicata a San Nicolò e risale al
XVIII. La facciata è su due ordini di colonne corinzie, ornata con statue e fiancheggiata da due
campanili gemelli; l’interno invece è a tre navate con cupola (alta 76 metri) e cappelle laterali.
Custodisce numerose opere d’arte e l’urna argentea contenente le spoglie mortali di san Corrado
Confalonieri. Nel 2011 è stato inaugurato il grande affresco della cupola raffigurante la
Pentecoste, opera del pittore russo Oleg Supereko.
Teatro comunale Vittorio Emanuele. Venne inaugurato nel 1870 e dedicato a Salvatore La
Rosa, l’Intendente che lo aveva fortemente voluto nel periodo di maggior prestigio della città
(era infatti diventata Capoluogo, al posto di Siracusa e Diocesi). Solo in seguito alla morte di
Vittorio Emanuele II (1878) venne intitolato al re. Esternamente il prospetto è in stile liberty e
presenta una grande statua in pietra calcarea raffigurante l’allegoria della Musica, opera dello
scultore Giuliano Palazzolo. Ha una capacità di 320 posti a sedere e una galleria con 80
poltrone. Il teatro fu il centro dell’attività culturale di Noto per molti anni, poi decadde e fu
restaurato solo dopo la Grande Guerra. Nuovamente trascurato e in seguito al crollo della volta
nel 1958 subì diversi restauri, fino alla nuova inaugurazione nel 1997 e l’avvio di regolari
stagioni teatrali.
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Chiesa di San Domenico. La chiesa, con la maestosa altezza della facciata, domina la piazza
XVI Maggio.Consacrata alla Santissima Annunziata, è definita la più compiuta realizzazione
del barocco netino. Venne edificata, fra il 1703 ed 1727, come chiesa annessa al convento dei
Padri Domenicani, ad opera dell’architetto Rosario Gagliardi.L’artista Gagliardi volle inserire
nella costruzione della chiesa tutti gli elementi più rappresentativi e tipici del barocco siciliano.
La facciata è a due ordini, il primo dorico ed il secondo ionico. La parte centrale sporge con
forma convessa verso la strada, ed è arricchita con colonne e nicchie.L’interno, a tre navate,
presenta una pianta a croce greca allungata. Presenta cinque cupole decorate da stucchi. Gli
altari laterali presentano dipinti risalenti al settecento.Il prezioso altare maggiore è composto da
marmi bianchi e rossi.Tra le opere custodite all’interno della chiesa spiccano, senza dubbio,i
dipinti raffiguranti la “Madonna del Rosario” realizzato da Vito D’Anna e “San Domenico che
riceve il Rosario dalla Madonna”, opera di Antonio Madonia.Nel ciborio, realizzato in legno
dorato, si può ammirare una Vergine col Bambino, attribuita ad Antonio Basile, risalente al ’700
Il terzo altare della navata di sinistra presenta un Crocifisso e varie formelle marmoree con
raffigurate scene della Passione.
Palazzo di Villadorata. Fu edificato come residenza nobiliare urbana della famiglia dei principi
Nicolaci nella prima metà del XVII secolo. Lo stile architettonico è barocco e il palazzo balza
subito all’occhio per i balconi con decorazioni opulente racchiuse dalle caratteristiche inferriate
ricurve. Sirene, cavalli alati ed ippogrifi sono tra i soggetti prevalentemente scolpiti sulle
facciate del Palazzo cittadino.
Nel tardo pomeriggio partenza per il rientro. Cena e pernottamento in hotel.
5° giorno. Venerdì 3 maggio 2019. Messina
Prima colazione in hotel. Sistemazione dei bagagli e partenza per Messina.
Messina.Nella parte più orientale dell’isola si estende Messina e la sua provincia. Una bellezza
che si affaccia sul mare, ma offre anche parchi, riserve e montagne per uno stretto contatto con
la natura. Dalla spettacolarità delle Eolie al fascino di Taormina, dalle bellissime spiagge ai
monti più verdi. Oggi la città ci appare moderna, signorile e accogliente, con strade larghe e
rettilinee secondo un piano regolatore ispirato a rigorose norme antisismiche. Un meraviglioso
panorama si presenta dal traghetto al turista che viene in visita alla città.
Fu fondata dai Greci che le diedero il nome di "Zancle", che vuol dire "Falce", legato proprio
alla forma del suo porto. In seguito la conquistarono i Romani, poi i Bizantini e quindi gli
Arabi. Infine arrivarono i Normanni. Il massimo splendore fu raggiunto da Messina quando,
sotto il dominio di Svevi, Angioini ed Aragonesi divenne la capitale del Regno di Sicilia e
soprattutto una delle città del Mediterraneo più fiorenti, grazie soprattutto al suo porto ed alla
sua vocazione commerciale.
Nel Museo Regionale di Messina si possono
ammirare due delle ultime opere
di Caravaggio. Il pittore sbarcò a Messina di
ritorno da Malta, dove si era rifugiato dopo aver
ucciso con un coltello un uomo nel corso di una
rissa a Roma nel 1606. Qui egli aspettò invano
il perdono papale, che aveva implorato più
volte.
Le opere che realizzò nell'isola riassumono lo
stato d'animo dell'artista, provato dalla sua
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esistenza ricca di eventi, dalle forze ormai allo stremo e proiettato verso l'idea della morte.
Dipinse l'Adorazione dei Pastori e la Resurrezione di Lazzaro, entrambe caratterizzate
dall'immagine della Croce che ritorna, formata dai corpi degli stessi personaggi raffigurati.
Piazza Duomo è il cuore pulsante del centro storico della città, dove si apprezza l’eleganza
della fontana di Orione e l’imponente Campanile con l’orologio astronomico più grande e
complesso al mondo. Fontana di Orione. In Piazza Duomo molto bella è la fontana di Orione,
che rappresenta i quattro fiumi Nilo, Tevere, Ebro e Camaro.La fontana Orione venne
commissionata dal Senato di Messina a Giovan Angelo Montorsoli, allievo di Michelangelo,
verso la metà del XVI secolo. Per dar risalto alla sua collocazione in piazza Duomo fu
necessario abbattere la chiesa di S. Lorenzo, della quale sopravvivevano soltanto pochi ruderi.
Il Montorsoli dedicò la fontana a Orione, il dio gigante dell’antichità che la tradizione voleva
essere fondatore di Messina. Il bacino inferiore poggia su un basamento di tre gradini di
forma decagonale, interrotto da quattro rientranze simmetriche nelle quali s’incastrano quattro
vasche con mascheroni che ricevono l’acqua dalle anfore che quattro morbidissime statue nude
tengono in grembo. Le statue che rappresentano i quattro fiumi sono disposti in modo che
il Nilo e il Tevere e l’Ebro e il Camaro si guardano, mentre il Nilo e il Camaro e il Tevere e
l’Ebro si danno le spalle.
Duomo. Il Duomo risale al 1120, fu costruito per volere del re normanno Ruggero II. La sua
consacrazione ad opera dell'arcivescovo Benzio avvenne nel 1197 alla presenza del re svevo
Enrico VI. Più volte distrutto da incendi (terribile l'ultimo, quello del 1943, per le bombe degli
alleati) e terremoti, è sempre stato ricostruito conservando nelle linee architettoniche l'antica
struttura normanna. La parte più antica è la
facciata inferiore formata da fasce marmoree
policrome. Nell'anno 1254, durante le esequie in
onore di Corrado IV di Svevia, figlio di Federico II,
il tempio subì una prima devastazione a causa di un
violento incendio che distrusse i magnifici
rivestimenti in legno del soffitto, riccamente
istoriati a colori e dei quali alcuni frammenti sono
conservati al Museo Regionale di Messina. Con i
restauri che seguirono ci furono modifiche che
incontravano il gusto architettonico dell'epoca; la Chiesa si arricchì di opere d'arte di pregevole
fattura e molti monumenti funebri di regnanti, fra cui Costanza di Castiglia, moglie di Federico
III d'Aragona, morta nel 1363, e Alfonso II re di Napoli, morto nel 1494, furono sistemati fra le
navate del Tempio.
Ampia e solenne la navata centrale è racchiusa in due file di colonne monolitiche che la
dividono dalle navate laterali, il soffitto spiovente, raccordato da capriate, rivestito con pannelli
in legno riccamente decorati, riproducono gli antichi pannelli andati distrutti.
L'artistico paliotto, in argento sbalzato, fu eseguito dai F.lli Juvara nel 1701, raffigura la
Vergine nell'atto di porgere la Lettera all'ambasceria messinese
Nell'abside centrale sorge l'altare maggiore riccamente ornato da tarsie marmoree policrome,
dedicato alla Madonna della Lettera. Il barocco baldacchino è stato rifatto, dopol'incendio del
1943, sulle forme di quello originale del Quagliata del XVII secolo. In primo piano, dall'Altare
Maggiore, si può osservare l'Aquila di San Giovanni, artistico leggio in bronzo Nel transetto è
posto l'Organo che, costituito da oltre diecimila canne, è il più grande d'Italia.
Insigni artisti come il Di Gregorio, il Gagini, il Montòrsoli, il Quagliata, nel corso del tempo,
lasciarono la loro impronta con prestigiose opere d'arte delle quali ben poco è rimasto a causa
dei terremoti del 1783 e del 1908, quest'ultimo è quello che provocò i danni più gravi.
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Oltre ad essere uno scrigno d’arte il Duomo presenta al suo interno il Tesoro ricco di ori e di
argenti realizzati da orafi e argentieri messinesi e soprattutto la meravigliosa Manta d’Oro della
Madonna della Lettera, una copertura in oro tempestata di gioielli e gemme preziose ancora
usata per coprire il quadro della Madonna che si trova sull’altare maggiore nel giorno della festa
patronale.
Il Campanile e l’Orologio astronomico. Il Campanile è stato costruito, dopo il terremoto del
1908, su progetto dell'architetto Valenti e inaugurato nel 1933. Ha un'altezza di 60 metri su una
base quadrata di metri 9,60 di lato. La torre quadrangolare è divisa in quattro ordini ciascuno
delimitato da un cornicione, termina con una cornice merlata, raggiunge 48 metri di altezza.
Dagli angoli della torretta si elevano quattro cuspidi che fanno da contorno alla grande cuspide
centrale che raggiunge con la sua cima i 60 metri di altezza. Il
campanile contiene al suo interno l’orologio meccanico e
astronomico più grande del mondo. Progettato dalla ditta Ungerer di
Strasburgo per incarico dell'Arcivescovo dell'epoca Mons. Angelo
Paino, fu inaugurato il 15 agosto 1933. In alto è rappresentato il
ciclo delle fasi lunari, al centro il sistema solare e le costellazioni
dello zodiaco, infine il calendario perpetuo con i giorni del mese, i
mesi dell’anno, l’anno solare e le festività liturgiche. Il tutto
funziona meccanicamente grazie alle ruote dentate, visibili
internamente, frutto di calcoli astronomici e scientifici che permettono di stabilire gli anni
bisestili, la posizione dei pianeti nell’universo piuttosto che le date delle feste mobili.
Un altro primato che gode questo orologio riguarda proprio il planetario. Sappiamo che gli studi
sui pianeti e il Sole e i loro movimenti nell’universo hanno avuto inizio in epoca imperiale (II
sec. d. C.) con Tolomeo, poi la rivoluzione Copernicana e le teorie di Galileo, ma fino agli inizi
del secolo scorso non si era ancora a conoscenza di quanti e quali erano i pianeti del sistema
solare. Paragonandolo con il planetario dell’orologio di Strasburgo, costruito nel 1574 e
restaurato nel 1842, si noterà subito che il planetario messinese è completo: include cioè
Nettuno e Plutone, gli ultimi due pianeti del sistema solare, scoperti rispettivamente nel 1846 e
nel 1930 ovvero successivamente al restauro dell’orologio di Strasburgo. Nella facciata
principale della torre, si notano altri elementi che sono i protagonisti dello spettacolo di
Mezzogiorno e che sono inevitabilmente collegati alla storia di Messina. Dina e Clarenza
scandiscono le ore e i quarti suonando le campane, in ricordo del loro eroico contributo durante
i Vespri Siciliani, mentre statue simboleggianti le fasi della vita (infanzia, adolescenza, maturità
e vecchiaia) si alternano passando davanti alla Morte inesorabile. È il turno del leone rampante,
posto in alto sotto il quadrante dell’orologio, che muove la bandiera di Messina, agita la coda,
ruota la testa verso la piazza gremita di visitatori curiosi e ruggisce per tre volte … un ruggito
che fa sorridere i grandi e spaventare i più piccoli, ma che al tempo stesso fa crescere la
suspense in attesa di quello che avverrà da lì a breve. Tocca di seguito al gallo, che apre le ali,
stende il collo e canta per tre volte. Un acuto che sembra “svegliare” gli spettatori increduli
davanti a una così perfetta esecuzione. La melodia dell’Ave Maria di Schubert inizia a suonare
ed ecco spuntare una colomba dorata, il suo volo rievoca la nascita del Santuario di Montalto sul
Colle della Caperrina in seguito alla guerra del Vespro. Successivamente assistiamo a una scena
liturgica variabile a seconda della festività corrente (Adorazione dei Pastori, Adorazione dei Re
Magi, Resurrezione, Pentecoste). Infine, l’evento più importante nella storia religiosa di
Messina, San Paolo e gli ambasciatori messinesi che sfilano davanti alla Madonna che porge
loro la Lettera da lei scritta nel 42 d.C. celebrandosi patrona della città.
Per 12 minuti lo spettacolo è veramente suggestivo.
Viale San Martino. E’ la strada più grande e importante della città di Messina, con tanti negozi
di vario genere, ed è tutta da percorrere.
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Piazza Cairoli. Se viale San Martino è la strada più importante, Cairoli invece è la piazza
principale di Messina, uno dei luoghi più frequentati della città. Al centro della piazza si
possono vedere gli zampilli della fontana. E sempre nei chioschi di questa piazza si può
assaggiare la tipica limonata al sale.
Pranzo in ristorante. Partenza per Ottaviano. Il rientro è previsto per le ore 21.00 ca.
APPENDICE Il mito di Aretusa ed Alfeo Amor, amor, sussurran l’acque;
a Alfeo chiama nei verdi talami Aretusa” G. Carducci, Primavere elleniche Fonte: https://archeosiracusa.wordpress.com/2007/01/23/il-mito-di-aretusa-e-alfeo/
Aretusa era fra le ninfe a seguito di Diana quella
prediletta, essi trascorrevano le loro giornate nei boschi
che crescevano rigogliosi sotto il Monte Olimpo in Grecia,
inseguendo caprioli e daini. Era bella Aretusa, ma
talmente bella che quasi aveva turbamento e rossore a
mostrarsi agli uomini. Durante una battuta di caccia si
allontanò troppo dal gruppo di ancelle al seguito di Diana
ed arrivò sola davanti alle sponde del fiume Alfeo, le cui
acque erano pure, dolcissime e limpide tant’è che si poteva
scorgere la ghiaia sul fondo. Era una giornata afosa e la
ninfa aveva voglia di fare un bagno. Tutt’attorno v’era di
un silenzio singolare, rotto solo dal cinguettare degli
uccelli e dal verso delle anatre acquatiche. Aretusa,
invogliata forse dal non essere vista e dal caldo
opprimente, si tolse le candide vesti, le poggiò sopra un
tronco d’albero di salice piangente reciso e s’immerse,
iniziando ad entrare in acqua con portamento sinuoso ed
aggraziato. Ebbe subito però la sensazione che verso il centro del fiume, l’acqua attorno a lei
cominciasse a fremere e a formare dei vortici quasi danzanti, qual cosa di magico stava forse per
succedere pensò, sembrava come se quell’acqua la volesse accarezzare ed avvolgere a sé.
Turbata da queste sensazioni cercò di uscire affrettatamente dalle acque, ma fu proprio in quel
momento che il fiume Alfeo si tramutò in un bel giovane biondo che, sollevando la testa fuori
dell’acqua e crollandosi la folta chioma, si mostrò alla ninfa Aretusa, con gli occhi di un
innamorato.
La ninfa però presa dalla paura riuscì a svincolarsi e a raggiungere con grande sforzo la riva,
dove fuggì nuda e gocciolante. Alfeo con un balzo felino uscì anch’egli dal suo fiume e la
inseguì senza vesti e colante di gocce d’acqua. Questo rincorrersi durò parecchio ed Alfeo non
riuscì in un primo momento a raggiungere la ninfa. La seducente Aretusa però, cominciò a
stancarsi e capì che le forze le venivano meno. Sentì che Alfeo stava per raggiungerla e violarla,
lei che era una vergine pudica e che non aveva mai conosciuto l’amore. Aretusa, per paura di
essere raggiunta sopraffatta e profanata, chiese protezione a Diana, invocando di essere
trasformata in sorgente in un luogo possibilmente molto lontano dalla Grecia. Diana prima la
avvolse in una nebbia misteriosa e la celò alla vista di Alfeo, poi la tramutò in una sorgente e la
portò, come in uno strano sortilegio, in Sicilia a Siracusa presso l’isola di Ortigia. Alfeo in
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mezzo a quella foschia perse così di vista la sua bella ninfa, ma non desistette dal cercarla e
restò sul posto. Quando la nebbia però si diradò non trovò più nulla, vide solo come in uno
specchio una fonte d’acqua zampillante ed immersa in un giardino meraviglioso. Alfeo capì il
prodigio ed era talmente innamorato che straripò d’amore. Gli dei ne ebbero pietà e Giove
l’onnipotente gli permise di raggiungere la sua amata, ma Alfeo dovette fare un grande sforzo,
scavò un sotterraneo sotto il Mare Ionio e dal Peloponneso venne a sbucare nel Porto grande di
Siracusa, accanto alla sua bella amata: Aretusa.
Oggi questa sorgente d’acque dolci sgorga a qualche metro dal mare, nell’isola di Ortigia a
Siracusa. Essa forma un piccolo laghetto semicircolare pieno di pesci e dove il verde trionfa e
cresce rigogliosa la pianta del papiro. Una numerosa colonia d’anatre ha ormai da tempo
stabilito la sua dimora in queste limpide acque. Per tradizione locale viene chiamata anche “a
funtana re papiri”. Tutto questo fa dell’attuale Fonte Aretusa un luogo piacevole da visitare e
una meta turistica obbligatoria. Ricordandosi poi del mito e appoggiandosi alla ringhiera in
ferro che sovrasta la fonte, il visitatore avrà la sensazione di vedere le scene del mito perché il
luogo è così pieno di magia che ne rimarrà coinvolto. E’ famoso a Siracusa il passeggiare,
specie al tramonto, lungo la Fonte Aretusa e vedere il sole scendere all’orizzonte dietro i Monti
Iblei. Per i siracusani storicamente è il luogo per eccellenza dove ritrovarsi e come negli
incantesimi si accendono i primi amori degli adolescenti.
Osservazione del monumento. Si noti l’accostamento tra la leggenda e la realtà. Infatti, le
acque della Fonte Aretusa, sorgono direttamente, come una risorgiva, nell’isola d’Ortigia senza
nessun tipo di canalizzazione con la terra ferma. Gli storici ci hanno tramandano notizie dove
segnalano che un tempo le acque della fonte erano dolcissime e non erano minimamente
mischiate con quelle salate. Pertanto si poteva supporre che effettivamente il flusso d’acqua
proveniva veramente da sotto il livello del mare. Questa osservazione può aver indotto gli
antichi a vagare nel mondo del fantastico e ha partecipare alla creazione del mito.
Ma fu sicuramente la presenza di abbondanti acque potabili, una delle principali motivazioni
che permise i primi insediamenti dei villaggi nell’isola già in epoca preistorica.
L’altra osservazione porta a valutare come gli antichi coloni Greci avessero una forte nostalgia e
un profondo vincolo con la madrepatria e non perdessero mai l’occasione per accostare i ricordi
del loro suolo natio, con i miti e le leggende. L’altro racconto favoleggiante tramandatoci, vuole
che in quel periodo greco, quando ad Olimpia si sacrificavano i tori agli dei, le acque della
Fonte Aretusa si coloravano di rosso, segno tangibile che vi era un legame sotterraneo.
Secondo il Mirabella, che volle rafforzare il mito, quell’ampia polla d’acqua sempre dolce che
emerge ribollendo dalle rive del mare nel Porto Grande di Siracusa, detta anche “Occhio della
Zillica”, non è altro che Alfeo che ricongiunge, ancora oggi, le sue acque con quelle dell’amata
Aretusa.
Dal libro “L’amore prima di noi”
Paola Mastrocola, ed. Einaudi pp. 89 e segg.
“Aretusa s’immerge e nuota. Gioca con l’acqua, si lascia galleggiare, trasportare via.
Sente la pelle levigarsi, i muscoli allentarsi. I capelli le fluttuano all’indietro, chiude
gli occhi, l’acqua l’accarezza le palpebre.
Quell’acqua si chiama Alfeo.
(…)
Ho percepito un getto, violento. Qualcosa che mi portava in alto e diventava la mia
stessa forza. All’improvviso ho sentito di avere un’anima fresca, cristallina. L’amore
non è tutto quel buio, quella violenza che temevo. E’ liquido, arrendevole: l’amore è
acqua che si confonde con la mia, e gioca. Non ho capito più chi ero, dove erano i
ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE “D’AOSTA”
Viaggio d’Istruzione in Sicilia
Vademecum turistico
classi 3^A, 3^B, 3^C scuola secondaria di I grado
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miei confini e dove si perdono i suoi. Lui non era più il nemico, capisco che era fatto
della mia sostanza.
E’ nell’acqua che si fonde il mondo e di colpo, per amore, diventa tutte le forme
dell’universo.”