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Istituto MEME associato a Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles LE EMOZIONI DANZANTI AL RITMO DEI COLORI Scuola di Specializzazione: Arti Terapie Corso di Alta Formazione per le Professioni di Aiuto: Counselling Musicoterapia & Arti Terapie Relatore: dott.ssa Roberta Frison Contesto di Project Work: Progetto “Spazi attrezzati” gestito dall’Istituto I.P.S.I.A.”F. Corni”di Modena Tesista Specializzando: Lucia Falcone Anno di corso SST: Primo Modena - 2010 Anno Accademico: 2009 - 2010

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Istituto MEME associato a

Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles

LE EMOZIONI DANZANTI AL RITMO DEI COLORI

Scuola di Specializzazione: Arti Terapie

Corso di Alta Formazione

per le Professioni di Aiuto: Counselling Musicoterapia & Arti Terapie

Relatore: dott.ssa Roberta Frison

Contesto di Project Work: Progetto “Spazi attrezzati” gestito

dall’Istituto I.P.S.I.A.”F. Corni”di Modena

Tesista Specializzando: Lucia Falcone

Anno di corso SST: Primo

Modena - 2010 Anno Accademico: 2009 - 2010

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Indice dei Contenuti

1. Premessa ...…..………………………........................ 3

2. L’arteterapia come professione alla relazione d’aiuto …………………………..…….. 5

2.1. Excursus storico …………………................……….. 5

2.2. Significato attuale ……………………………...……. 9

2.3. Al di là degli schemi abituali ………………..…..…. 11

2.4. L’Arteterapia: connessione tra mente e corpo ........... 11

2.3. Accendi l’emisfero destro! ...........………………… 11

2.4. L’espressione artistica come interfaccia del mondo interiore e il linguaggio dei simboli ……………..…..… 12

2.5. Un’esperienza di gruppo …………………..……… 13

2.6. Obiettivi dell’arteterapia ……………………..……. 13

2.7. Contesti e ambiti di applicazione ………..………... 14

3. Il project work ………………………...………... 20

3.1. Le emozioni danzanti al ritmo dei colori .……...…. 20

3.2. F. la semplicità che diventa poesia …..………...….. 21

3.3. Conclusioni ……………………………………..… 23

4. Bibliografia ……..………………………….……. 25

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1. Premessa

Vedere il mondo in un granello di sabbia

E il cielo in un fiore di campo,

Tenere l’infinito nel palmo della tua mano,

E l’eternità in un’ora.

(William Blake, Auguries of Innocence)

Ciò che chiamiamo vita comprende l’infinito movimento di questa

enorme estensione di spazio e tempo, con il suo ritmico ciclo di nascita

e morte, cui tutti siamo soggetti: esseri umani, alberi, stelle. Un

movimento che è trasformazione, vibrazione continua. L’energia, la

luce, il mare, i pensieri, le orbite dei pianeti: c’è un ritmo vitale alla

base di tutto, musica, suono, armonia.”1 Partendo da queste personali

premesse epistemologiche, mi viene spontaneo creare logici paralleli tra

queste mie convinzioni di tipo filosofico-spirituale di derivazione

buddista e l’idea che ho dell’arteterapia. A mio parere, coincidono sul

presupposto dell’esistenza di grandi potenzialità creative in ognuno di

noi a prescindere da condizioni di diversità o anomalie, si riconoscono

entrambi nell’idea che l’universo che è in noi comprenda già le risposte

a tutte le domande e le soluzioni per ogni problema e che contenga a

priori una grande energia che se liberata può illuminare, creare valore

nella nostra vita, nel nostro ambiente familiare, professionale e sociale.

Un’energia di cui siamo tutti ugualmente dotati, senza distinzioni di

razza, sesso, cultura o quoziente intellettivo, che non si preoccupa né si

1 Istituto Buddista Italiano, Felicità in questa vita, Edito in proprio dall’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, 2001.

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occupa di ciò che è superfluo, legato al bisogno illusorio dell’”avere” o

dell’”apparire”, così importanti, invece, nella nostra cultura

contemporanea occidentale. Ciò che attrae e cattura questa energia è il

valore umano che rappresenta l’unico elemento utile alla trasforma-

zione finalizzata al raggiungimento di uno stato di pace e felicità

universale. Fondamentali nel buddismo, quindi, i concetti di

potenzialità latenti e di trasformazione esattamente come

nell’arteterapia che attraverso l’attività artististica, all’interno di un

setting strutturato secondo propri principi, intende provocare sblocchi

emotivi, richiamare conflitti ed emozioni e creare le condizioni per una

trasformazione in positivo della sofferenza o quantomeno per

l’espressione di quelle emozioni e sentimenti ambivalenti che

esercitano un potere coercitivo su stato d’animo e umori. I temi

proposti durante il mio project work fungevano da pretesti per

esprimere emozioni celate, per resuscitare ricordi caduti nell’oblio, per

rianimare parti di sé sospese e disconnesse, per identificare conflitti e

blocchi emotivi e trovare soluzioni nuove e possibili. Rintracciare

quelle risorse e potenzialità nascoste che possono addirittura

compensare disabilità e superare limiti, aumentando la conoscenza di

sé, l’autostima e l’autoconsapevolezza. Il gruppo stesso ha

simbolicamente rappresentato un contenitore, un microcosmo, una

protezione per esprimersi liberamente ma anche la prova, l’evidenza di

essere accomunati da una condizione esistenziale comune, sia pure

nella specificità dei propri vissuti. Inoltre nel gruppo hanno potuto

sperimentare nuove strategie di comportamento ed incrementare le

capacità relazionali e comunicative. Mi piacerebbe dare a questi ragazzi

la possibilità di sviluppare il percorso iniziato e di aprire nuove porte,

sperimentare nuove direzioni tra le numerose possibili potenzialità

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latenti.

2. L’arteterapia come professione alla relazione d’aiuto Secondo Rollo May, uno dei padri fondatori del counselling insieme a Rogers, il counsellor ha il compito di «favorire lo sviluppo e l'utilizzazione delle potenzialità del cliente, aiutandolo a superare eventuali problemi di personalità che gli impediscono di esprimersi pienamente e liberamente nel mondo esterno [...] il superamento del problema, la vera trasformazione, comunque, spetta solamente al cliente: il counsellor può solo guidarlo, con empatia e rispetto, a ritrovare la libertà di essere se stesso».2

Premesso ciò, parallelamente al counsellor, l’arteterapeuta propone l’uso dell’espressione artistica con l’intento di promuovere la salute e favorire processi di guarigione, I contesti applicativi sono molteplici e vanno dalla riabilitazione al miglioramento della qualità della vita. Le risorse sono le potenzialità che ognuno di noi possiede senza alcuna differenza di età, sesso, cultura…

2.1 Excursus storico

Da sempre l’uomo ha utilizzato il mezzo artistico per esprimersi e per curarsi. Tale creatività dell’uomo primitivo è testimoniata dai graffiti rupestri dalle tombe, utensili, maschere, nei riti divinatori accompagnati da canti e danze. L’arte tribale conteneva la dimensione del mistero e del magico ed accompagnava tutti i momenti importanti della vita dell’uomo: feste, iniziazioni, caccia, riti di guarigione. Lo stregone conduceva il rito modulando il ritmo delle danze e della musica, fino a raggiungere lo stato estatico e comunque l’intensità necessaria al conseguimento dello scopo della celebrazione, sia che fosse la guarigione di un membro della tribù o il rituale dedicato al culto dei morti o un rito propiziatorio per la caccia e il raccolto. Danze estatiche, pitture rituali del viso e del corpo sia degli uomini che degli animali, uso di maschere, canti sciamanici accompagnavano le richieste e le divinazioni. Molte popolazioni tribali che vivono ancora oggi allo stato

2 Rollo May, L'arte del counselling, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1991.

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primitivo utilizzano tali pratiche in cui si mescolano cura, arte, magia e medicina tradizionale.

Nella civiltà egizia si invitavano le persone affette da disturbi mentali a coltivare interessi artistici frequentando balletti e teatri. Gli antichi greci usavano il teatro e la musica come strumenti catartici per liberare emozioni represse. Per gli ebrei la fruizione di musica e poesia permetteva di sviluppare relazioni sane. I filosofi romani incoraggiavano l’utilizzo delle arti per raggiungere salute e felicità. È altresì vero che fino al romanticismo l’arte era considerata alla pari di altri mestieri solo dal romanticismo in poi l’arte inizia a rappresentare uno strumento terapeutico e nelle istituzioni psichiatriche si riconosce l’urgenza creativa del malato. Lombroso scrive nel 1822 “L’arte dei pazzi” dove mette in parallelo genialità e follia. All’interno di un tubercolario Adrian Hill, un insegnante ed artista inglese lì ricoverato, per combattere la noia, inizia a dipingere. Nota che attraverso l’espressione artistica emergono vissuti angosciosi di lutto e di dolore legati alla guerra e che questa attività produce effetti benefici in lui e negli altri pazienti che praticano le arti visive. In questa occasione che viene coniato il termine arte terapia. Con il Bauhaus3, dove troviamo Kandinsky, Klee, Itten, si ha la grande svolta e cambia la concezione dell’artista. In questi anni si può parlare della prima arte terapeuta: Friedli Dicker Brandele che a Terezin usa l’arte nel suo lavoro sui bambini sopravvissuti nei campi di concentramento. Freud si interessò molto all’arte. Egli definisce l’artista come “uomo che si distacca dalla realtà poiché non riesce ad adattarsi alla rinuncia del soddisfacimento pulsionale che la realtà inizialmente esige, e lascia che i suoi desideri di amore e di gloria si realizzino nella vita della fantasia” (1911). L’artista, cioè, “trasforma le sue fantasie in una creazione artistica invece che in sintomi”. Per cui, il prodotto artistico per Freud si rivela specchio del mondo interno del soggetto, delle sue strutture e dei suoi processi psichici, e la creazione artistica diventa 3 Bauhaus è l'abbreviazione di Staatliches Bauhaus, una scuola di arte e architettura della Germania che operò a Weimar dal 1919 al 1925, a Dessau dal 1925 al 1932 e a Berlino dal 1932 al 1933. Erede delle avanguardie anteguerra, fu non soltanto una scuola, ma anche il punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento d'innovazione nel campo del design e dell'architettura conosciuto come razionalismo, funzionalismo, "architettura moderna" o addirittura "stile Bauhaus". I suoi insegnanti, appartenenti a diverse nazionalità, furono figure di primissimo piano della cultura europea. L'esperienza didattica della scuola influirà profondamente sull'insegnamento artistico e tecnico fino ad oggi. Più in generale il Bauhaus fu un momento cruciale nel dibattito novecentesco del rapporto tra tecnologia e cultura.

www.wikipedia.org/wiki/Bauhaus#Lezioni_di_Klee_e_Kandinsky

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materiale di interpretazione per l’analista. Anche se appare evidente la concezione patologica dell’arte (Freud coniò anche il termine patografia), e l’attenzione sul prodotto più che sul processo artistico, resta però il fatto che già Freud aveva colto la straordinaria peculiarità dell’arte come strumento privilegiato di accesso ed espressione dei propri contenuti interni. Anche se da un’ottica molto diversa, Jung ha parlato di arte come un mezzo per contattare e esprimere le immagini appartenenti all’inconscio. A differenza di Freud, però, Jung (1966) porta l’attenzione sul processo creativo, che consiste, a suo parere, nell’attivare le immagini archetipe inconsce, rielaborarle e tramutarle in un prodotto finito. L’artista è dunque colui che traduce le immagini archetipe che derivano dal profondo inconscio nel linguaggio del presente, rendendole così comprensibili a tutti. A partire dalla sua teoria degli archetipi e dal concetto di inconscio collettivo Jung attribuisce all’arte un valore sociale. Del valore sociale dell’arte, in quanto mezzo fondamentale di comunicazione in cui le emozioni individuali diventano generali e collettive, ha parlato anche Vygotskij. Egli ha inoltre trattato del concetto di creatività e di immaginazione, ritenuti due momenti integranti e indispensabili ad una corretta conoscenza della realtà. La creatività stimola alla ricerca di nuove soluzioni e al cambiamento, dunque l’espressione artistica non è più una fuga dalla realtà, bensì ne diventa uno strumento di conoscenza fondamentale. Con il surrealismo (1935) si assiste al trionfo dell’assurdo e del diverso e cresce l’attenzione sull’attività artistica dei malati di mente e nasce così l’art brut (Debuffet)4. Da ricordare il concetto di riarazione di M. Klein e la teoria dell’attaccamento di Bowlby5. Winnicot arriva ad affermare che gioco e arte sono entrambi una libera manifestazione della pulsione vitale. L’arte rappresenta una area intermedia di esperienza che allevia la tensione (Van Gogh, Munch).

4 Il concetto di Art brut (in italiano, letteralmente, Arte grezza) è stato inventato nel 1945 dal pittore francese Jean

Dubuffet per indicare le produzioni artistiche realizzate da non professionisti o pensionanti dell'ospedale psichiatrico che operano al di fuori delle norme estetiche convenzionali (autodidatti, psicotici, prigionieri, persone completamente digiune di cultura artistica). Egli intendeva, in tal modo, definire un'arte spontanea, senza pretese culturali e senza alcuna riflessione.

www.wikipedia.org/wiki/Art_Brut 5 L'attaccamento può essere definito come un sistema dinamico di comportamenti che contribuiscono alla formazione di un

legame specifico fra due persone, un vincolo le cui radici possono essere rintracciate nelle relazioni primarie che si instaurano fra bambino e adulto. In psicologia, il termine attaccamento è legato alle ricerche sullo sviluppo e sull'infanzia, in relazione ai legami che si creano con le figure di accudimento. Il primo a proporlo come concetto cardine, per spiegare il comportamento dei bambini, fu John Bowlby[1], un ricercatore britannico di scuola psicoanalitica. Secondo l'autore, il bambino, appena nato, è tendenzialmente portato a sviluppare un forte legame di attaccamento con la madre o con chi si prende cura di lui (figura anche definita con il termine inglese di caregiver).

www.wikipedia.org/wiki/Attaccamento

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Nel 1943 nasce ad Amsterdam la rivista Cobra. Comunque, quelle che sono considerate le vere fondatrici dell’arteterapia sono Margaret Naumburg e Edith Kramer. Margaret Naumburg (1947), di stretta derivazione psicodinamica, ha una visione molto vicina a quella di Freud e considera il prodotto artistico (disegno spontaneo) del paziente come uno strumento d’accesso ai suoi contenuti inconsci, da utilizzare nel corso della terapia come materiale da interpretare e favorire così l’insight e la risoluzione dei conflitti interni. La proiezione pittorica è finalizzata alla produzione verbale. L’espressione artistica del paziente è dunque vista ed utilizzata esclusivamente come strumento diagnostico. L’arte, dunque, come strumento ai fini della terapia, e non arte come terapia. Edith Kramer (1958) apre un dipartimento di arte terapia a N.Y. si muove da un’ ottica completamente diversa e concentra l’attenzione sul processo creativo, ritenuto di per sé uno strumento terapeutico. L’espressione artistica del paziente non è vista solo come mezzo per l’espressione dei conflitti inconsci, ma come strumento per la loro risoluzione e come risorsa per la crescita e la maturazione personale. Arte, dunque come terapia, come modello di funzionamento dell’io e zona franca dove è possibile esprimere e saggiare nuovi atteggiamenti e risposte emotive anche prima che queste modificazioni si realizzino nella vita quotidiana. È dunque dalla Kramer in poi che si può parlare di arteterapia vera è propria, e cioè, come si è già detto, con lo spostamento dell’attenzione dal prodotto artistico come materiale da interpretare, al processo creativo vero e proprio, che, avvalendosi di simboli e metafore, coinvolgendo il soggetto in attività che implicano un impegno sensoriale e sinestesico, si propone come un mezzo per identificare ed esprimere le proprie emozioni, e per comprendere e risolvere certe difficoltà. L’arteterapia come disciplina attinge da una varietà di approcci teorici, come quello psicoanalitico, quello psicodinamico, quello cognitivista, quello gestaltico, e, in generale, da tutti quegli approcci terapeutici che mirano a contattare e riconciliare i conflitti emotivi, alla promozione dell’autoconsapevolezza e dell’accettazione di sé, e allo sviluppo di abilità relazionali e comunicative. Tra questi approcci sottolineo l’importanza del modello polisegnico che si basa su una matrice artistica e non psicologica, che si rifà alle regole dell’arte (composizione) vista come linguaggio che facilita il flusso di coscienza. Le immagini si leggono attraverso il linguaggio plastico-visivo seguendo le regole proprie della costruzione dell’immagine

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(linee, colore, forma, luce, ombra, spazio) della composizione (ritmo, peso, equilibrio, simmetria, movimento). L’arte terapeuta deve usare il codice artistico per inquadrare il cliente senza fare diagnosi o dare interpretazioni e descrizioni. Il suo compito è unicamente quello di leggere l’immagine. De Gregorio ha individuato 6 funzioni del linguaggio visivo: 1-strumentale; catarsi, sublimazione, superamento meccanismi di difesa, scarica pulsionale (action painting). 2-regolatoria; attività ripartiva dell’oggetto interno distrutto manipolandolo e dipingendone un sostituto. 3-immaginativa; creazione di un mondo illusorio basato su icone, simboli, metafore. 4-interattivo-comunicativa; esplorazione della realtà, contatto con il mondo esterno, ricerca di riconoscimento sociale. 5-personale; autostima, gratificazione, ricomposizione confini del sé. 6-conoscitiva; necessità culturale di conoscere nuovi strumenti. Durante il percorso di arte terapia il cliente sceglierà la funzione che sente idonea, anche ai suoi bisogni difensivi, e l’arteterapeuta dovrà assecondarla.

2.2 Significato attuale Attualmente l'arteterapia viene applicata all'interno di molteplici realtà e con molteplici finalità; per esempio con bambini, adolescenti, adulti, anziani, in contesti educativi, sociali, riabilitativi, legali, con finalità di recupero, superamento di traumi, sostegno emotivo ed affettivo, sviluppo delle facoltà creative.

Il concetto di arteterapia è quindi relativamente nuovo. Come già accennato le sue origini, tuttavia, possono essere rintracciate nell’antico ed eterno rapporto tra cultura, arte e sviluppo sociale. “Alcuni autori sono arrivati a suggerire che tra arti e società esiste un legame inscindibile: perciò, la salute di una società si riflette nella sua attività artistica, e viceversa. Analogamente, si è detto che l’esercizio del diritto a produrre la propria impronta creativa può essere considerato come indice di salute dell’individuo.” (Warren,1993)6.

L’arteterapia può essere definita come l’uso dell’espressione artistica allo scopo di promuovere la salute e favorire la guarigione, e si propone 6 Warren Bernie, Arteterapia in educazione e riabilitazione, Edizioni Ericson, Gardolo-Trento, 1995.

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come una tecnica dai molteplici contesti applicativi che vanno dalla riabilitazione al miglioramento della qualità della vita. Le risorse utilizzate sono le potenzialità che ognuno di noi possiede, chi più chi meno, di elaborare il proprio vissuto e di esprimerlo creativamente; dove educare sta per e-ducere, cioè portar fuori dal buio verso una maggiore conoscenza e consapevolezza. Il focus dell’arteterapia, più che sul prodotto artistico finale, è sul processo creativo in sé. Ciò che è importante è soprattutto l’esprimersi, il creare. L’atto di produrre un’ impronta creativa, infatti, permette all’individuo di accedere agli aspetti più intimi e nascosti di sé, di contattare ed esprimere le emozioni più recondite e spesso inaspettate, e di sperimentare e potenziare abilità spesso ignorate o inutilizzate. In questo senso il processo creativo, al di là del contenuto e del risultato finale, è già terapeutico in sé. Ciò non toglie che queste impronte creative, e cioè i prodotti finali dell’espressione artistica, possano svolgere altre importanti funzioni. Prima di tutto rappresentano per “il creatore” una traccia di sé, la testimonianza della propria auto-affermazione e il ricordo delle esperienze vissute durante la sua produzione, e dunque un punto di partenza per ulteriori riflessioni. Inoltre, in quanto rappresentazione simbolica del mondo interno del soggetto, rappresenta uno strumento privilegiato di accesso ai suoi contenuti interni, e dunque un materiale molto ricco ai fini di una maggior comprensione del cliente.

Da sempre l’arte è considerata una forma di comunicazione importante, che riesce ad arrivare dove le parole non riescono ad arrivare. Cosa dire sulle potenzialità di questo strumento e cioè in che modo l’arteterapia, e cioè il fare arte, può diventare momento di trasformazione?

Ci sono una serie di caratteristiche intrinseche al fare arte che rendono l’impegnarsi in questa attività di per sé terapeutica. È stato dimostrato che quando una persona è immersa in un’attività creativa riceve una serie di sollecitazioni a livello fisico, intellettuale ed emozionale che portano a mutamenti organici e psicologici che favoriscono i processi di guarigione. A queste proprietà benefiche del fare arte, l’arteterapia unisce la guida competente dell’arteterapeuta, che deve saper utilizzare al meglio questi strumenti, adattandoli via via alle persone e alle situazioni, e amplificando determinati aspetti piuttosto che altri a seconda degli obiettivi prefissati.

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2.3 Al di là degli schemi abituali

Sono le modalità di conoscenza e azione sul mondo tipiche del bambino a fungere da modello nel fare arte. Vi è infatti, come nel gioco infantile, una totale presenza e coinvolgimento verso ciò che si sta vivendo; vi è la possibilità, e lo stimolo, a prendere confidenza e sperimentarsi in tutte le ipotesi che la realtà e le proprie potenzialità presentano, e per di più divertendosi, e non con la fatica, e spesso l’ansia, che invece di solito presenta l’adulto nel momento i cui deve ricercare soluzioni o prendere decisioni, e che spesso lo porta a rinchiudersi in automatismi e comportamenti fissi e ripetitivi, sicuramente più comodi e rassicuranti ma anche, appunto, fissi, stabili, non in evoluzione. In questo senso l’arteterapia, oltre a costituire un mezzo elettivo per “lavorare” con i bambini, favorisce un allargamento degli schemi abituali con i quali l’adulto vede e si relaziona alla realtà, sia interna che esterna, e lo stimola a prendersi la libertà di individuare, contattare e sperimentare tulle le potenzialità inespresse, sia dentro che fuori di lui.

2.2 L’Arteterapia: connessione tra mente e corpo

Il creare utilizzando il linguaggio dell’arte coinvolge l’individuo nella sua totalità mente-corpo. L’attività creativa richiede infatti non solo un impegno intellettivo e cognitivo legato all’immaginazione e all’ideazione del ‘prodotto artistico ma anche un impegno percettivo, sensoriale, e motorio, legato alla produzione artistica in senso stretto. Le tecniche legate all’arteterapia hanno dunque la funzione di porre in miglior comunicazione soma e psiche, mente e corpo, e di far in modo che vi sia un rapporto più fluido ed equilibrato, e dunque più sano, tra questi due inscindibili aspetti che ci costituiscono, troppo spesso vissuti in maniera separata.

2.3 Accendi l’emisfero destro!

Fare arte, nel senso di impegnarsi in un’attività nuova e creativa, promuove inoltre l’attivazione dell’emisfero destro del cervello, che presiede appunto alle attività creative, alla fantasia, all’intuizione, alla

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comunicazione e ai segnali corporei (pensiero analogico). Nella nostra società contemporanea, e in particolar modo in quella occidentale, il pensiero analogico viene ritenuto di solito come meno importante rispetto al pensiero logico-razionale, dovuto invece all’attività dell’emisfero sinistro. In realtà, invece, come necessitiamo di due gambe per poter camminare correttamente, allo stesso modo abbiamo bisogno dell’attività congiunta dei due emisferi del cervello per poterci adattare adeguatamente alla mutevole realtà. Il così detto “pensiero laterale”, infatti, il cui sviluppo viene promosso dall’attivazione dell’emisfero destro, è fondamentale per arginare i limiti del pensiero logico-formale. Come bene sintetizza il medico psicologo De Bono, il pensiero laterale permette di riconoscere i criteri e le idee dominanti che di solito polarizzano la percezione di un problema, di cercare dunque modalità nuove di guardare ed operare sulla realtà, e quindi di rendere più flessibile il rigido controllo del pensiero logico-razionale e stimolare lo sviluppo della creatività. L’arteterapia dunque diviene un’importante opportunità per dedicare spazio e tempo, e dunque promuovere e potenziare, queste fondamentali capacità.

2.4 L’espressione artistica come interfaccia del mondo interiore e il linguaggio dei simboli

L’arte ricorre al linguaggio dei simboli. Dipingere, disegnare, plasmare, danzare, implicano un’attività nella quale tutti i nostri sensi vengono stimolati e noi veniamo assorbiti nella nostra totalità. Ciò che proviamo e sperimentiamo si riflette nella nostra produzione artistica in termini di qualità ed intensità di linee, tratti, colori, movimenti, nel modo in cui usiamo il tempo e lo spazio, eccetera. Per cui l’espressione artistica si propone come un riflesso, una rappresentazione simbolica del nostro mondo interno e delle modalità che solitamente usiamo nel rapportarci alla realtà, sia esterna che interna. È proprio la caratteristica di utilizzare il linguaggio dei simboli, e dunque non solo quello verbale, che rende l’arteterapia un canale privilegiato rispetto alle altre forme di terapia. L’espressione artistica funge infatti da fattore di protezione e contenimento, e da oggetto mediatore nella relazione tra l’utente e l’arteterapista, e così, pur rispettando i meccanismi di difesa, in qualche modo li aggira e favorisce la libera espressione del proprio mondo interiore, una maggiore autoconsapevolezza e l’attivazione di risorse creative. È infatti più facile parlare di un disegno, di una poesia, di un brano

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musicale, di un film o di qualsiasi altro prodotto artistico, che parlare di sé.

2.5 Un’esperienza di gruppo

Va aggiunto anche il fatto che l’arteterapia, pur essendo utilizzata anche nel corso di terapie individuali, si svolge di solito in un contesto di gruppo. La presenza del gruppo svolge infatti molteplici funzioni. Prima di tutto, crea quell´atmosfera di spontaneità e quella sensazione di contenimento necessaria affinché ogni membro possa esprimersi liberamente. Inoltre, consente al soggetto di rendersi conto di non essere solo in una situazione difficile unica, ma di trovarsi, sia pure nella specificità dei propri vissuti personali, in una situazione comune ad altri e da altri “partecipata”. L´intero gruppo, infatti, discute e si confronta sui vissuti dei singoli membri, e questo non solo permette al singolo di percepire una rassicurante sensazione di contenimento, ma offre anche all´intero gruppo un´importante occasione di confronto e di crescita.

2.6 Obiettivi

Per tutte queste caratteristiche intrinseche del fare arte, l’arteterapia riesce a superare i limiti delle terapie esclusivamente verbali. Facendo ricorso alle modalità infantili, ai più diversi registri sensoriali e comunicativi, e stimolando la creatività, l’arteterapia permette a tutti, e soprattutto a chi ha, per qualsivoglia ragione, difficoltà di comunicazione di:

esprimere emozioni e sentimenti inibiti, o di cui è difficile parlare;

identificare ed affrontare conflitti e blocchi emozionali;

migliorare la conoscenza e il rapporto con il proprio corpo;

aumentare l’autoconsapevolezza;

incrementare l’autostima e la percezione di autoefficacia;

affermare sé stesso e la propria identità/individualità;

sviluppare nuove strategie di comportamento;

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incrementare le capacità relazionali e comunicative;

2.7 Contesti e Ambiti di applicazione

L’arteterapia viene usata nei contesti più vari. Questa diversità rispecchia la natura multidisciplinare dell’arteterapia e la pluralità degli approcci teorici cui questa fa riferimento, e riflette non solo l’efficacia della semplice partecipazione ad un attività creativa, ma anche le molteplici funzioni che questa può svolgere a seconda dei diversi momenti e obiettivi. L’arteterapia, infatti, contribuisce sia al trattamento del disagio, fisico, psicologico o sociale che sia, nonché alla prevenzione del disagio stesso. Per fare ordine possiamo suddividere gli ambiti di applicazione dell’arteterapia in tre grandi aree, e cioè, quella della terapia, quella della riabilitazione, e quella dell’educazione

Sin dalla sua nascita l’arteterapia si è subito sviluppata principalmente come strumento di sostegno nelle cure psichiatriche di persone con gravi disturbi psichici, come ad esempio gli psicotici e gli autistici (area terapeutica). Fu infatti presto chiaro a medici e psicologi che queste persone riuscivano ad esprimersi meglio con il corpo o con i gesti, modellando la creta, ballando, o raffigurando nei disegni le proprie angosce, piuttosto che attraverso le parole, per cui il ricorso all’espressione artistica poteva aiutarle a superare le gravi difficoltà di comunicazione, tipiche delle persone affette da questi disturbi. Tali risultati portarono ad estendere l’uso di queste tecniche anche a pazienti con disturbi “meno gravi”, come ad esempio disturbi dell’umore e disturbi d’ansia, nei quali si riscontra grazie all’uso dell’arteterapia un aumento dell’autostima, un consolidamento dell’Io e un miglioramento delle capacità di socializzazione. I successi ottenuti nell’ambito della terapia portarono, con il passare del tempo, ad estendere l’uso dell’arteterapia al campo della riabilitazione di soggetti con danni neurologici e con handicap fisici, ma senza vere e proprie patologie psichiche, ambito di applicazione più frequente oggi. Esprimersi in attività creative aiuta queste persone a ridurre la negazione della disabilità, sviluppare maggiore autonomia personale e sviluppare relazioni sociali. Infatti “Insegnando alle persone a vedere ciò che le circonda, a esprimere le loro emozioni, e affermando continuamente che loro, e soltanto loro, possono tracciare quei particolari segni sulla carta o sulla tela, queste persone hanno maggiori

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opportunità di conoscere se stesse e il loro diritto di essere rispettate e di volersi bene” (Warren, 1993)7. Ma l’uso dell’arteterapia nell’area della riabilitazione non riguarda solo i disabili. L’arteterapia, infatti, viene spesso usata anche come strumento di sostegno nel trattamento di malati terminali di AIDS e dei malati oncologici, dove grazie anche ad un semplice scarabocchio, ballando o assumendo determinate posizioni, è possibile scaricare lo stress e le tensioni e alleviare quel senso di torpore che spesso fa dimenticare di avere un corpo. Per quanto riguarda invece l’area dell’educazione, l’ idea è quella di utilizzare l’arteterapia anche con persone “normali”, o comunque non portatrici di disagi specifici, come forma di educazione, appunto, alla sensibilità, alla creatività, all’autoconsapevolezza e alla accettazione di sè. Sono tante, infatti, le situazioni “normali” in cui le persone, sia adulti che bambini, avvertono una situazione di “crisi” e il bisogno di ristabilire l’equilibrio con se stessi e con il mondo esterno (lutti, separazioni, insuccessi a scuola o nel lavoro, etc.). L’arteterapia, come abbiamo visto, può aiutare queste persone a contattare, esprimere ed elaborare le proprie emozioni, ad affrontare i propri conflitti, e a ritrovare la fiducia in sé. Inoltre, in una società che dà sempre meno spazio ed importanza alla creatività e alla fantasia – intese nel senso di capacità di esprimere se stesso e di relazionarsi con il mondo in maniera sempre nuova ed originale, e dunque nel senso di flessibilità e capacità di adattamento – e in un mondo talmente frenetico e in eccesso di stimolazione che sempre meno conosciamo realmente noi stessi e le nostre emozioni, ritengo che l’arteterapia possa costituire quello spazio e quel tempo in cui incontrare noi stessi, esprimere le nostre emozioni, qualunque esse siano, confrontarci con i nostri aspetti più profondi, e sperimentarci in diverse abilità, per promuovere l’autoconsapevolezza e mantenere o ritrovare il benessere psicofisico.

Tra le forme d’arte principalmente utilizzate in arte terapia si possono menzionare tutte le arti grafiche, dal disegno alla scrittura; la danza; la musica; il teatro e la cinematografia.

Il disegno e la pittura: Il disegno e la pittura vengono utilizzate in arteterapia per acquisire o potenziare la capacità di contattare le

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Warren Bernie, Arteterapia in educazione e riabilitazione, Edizioni Ericson, Gardolo-Trento, 1995.

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emozioni e rappresentarle in una dimensione fantastica attraverso la forma e il colore. Inoltre, richiedendo l’attivazione della coordinazione oculomotoria e la capacità di movimenti fini e precisi, comporta un giovamento anche da un punto di vista strettamente motorio. Il disegno assume infatti in arteterapia tre significati: un significato ludico (per creare), un significato narrativo (per raccontare di sé), e un significato conoscitivo (per porsi e rispondere a delle domande). Ma soprattutto il disegno ha un valore proiettivo. Il disegno infatti permette di esplicitare i propri conflitti e le proprie ansie che, assumendo concretezza e divenendo finalmente qualcosa di esterno a sé, trovano finalmente il distacco necessario per poter essere affrontate in maniera meno ansiogena. Noti sono i numerosi test proiettivi che utilizzano le arti grafiche e in particolar modo il disegno. A prescindere dai test, qualsiasi tipo di disegno contiene ovviamente aspetti proiettivi, che si ritrovano nel modo in cui viene utilizzato lo spazio (in questo caso il foglio), il tipo di tratto, e i colori utilizzati. Il disegno può inoltre essere utilizzato in arteterapia come strumento di analisi delle dinamiche di gruppo e del modo in cui ciascun soggetto interagisce nel gruppo. Proponendo, ad esempio come in uno dei laboratori del mio project work, un disegno di gruppo – in cui sia lo spazio (il foglio), che gli strumenti (colori, matite, etc.), che il tema sono unici per tutto il gruppo – potranno rendersi evidenti le dinamiche di potere all’interno del gruppo e le modalità che il gruppo elabora per la risoluzione degli eventuali conflitti, nonché il modo in cui ciascun membro si relaziona al gruppo, alle sue dinamiche di potere e al conflitto. Per quanto riguarda la pittura possono essere utilizzati tutti gli strumenti e tutte le tecniche pittoriche, come ad esempio i pennarelli, le tempere, gli acquarelli, i colori a dita, il collage e così via. Va tenuto presente che anche la scelta di un certo strumento ha un valore simbolico. Mentre, ad esempio, i pennarelli, facili da usare e con un tratto nitido e definito, danno sicurezza, le tempere e, ancora di più, i colori a dita sporcano e richiedono un coinvolgimento maggiore, e infatti di solito non vengono usati da persone con tratti ossessivo-compulsivo. O ancora il collage, che richiede un minor impegno creativo perché si tratta solo di assemblare, viene di solito scelto da persone che si sentono in qualche modo minacciati da un’attività creativa troppo libera. La scelta, invece, di usare più strumenti insieme, è indice di grande flessibilità ed è molto utile nello sviluppo del pensiero laterale, che esula dagli schemi classici. Anche il modo in cui i soggetti si avvicinano ed effettuano la scelta ci dice molto di loro.

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L’uso della scrittura: L’uso della scrittura in arteterapia prende vari nomi a seconda della tecnica principalmente usata, ma stanno tutti ad indicare l’uso intenzionale della scrittura come strumento terapeutico. La scrittura viene infatti usata in arteterapia in diversi modi, da scegliere ed adattare a seconda delle caratteristiche delle persone e degli obiettivi terapeutici. In linea generale possiamo distinguere tra una modalità attiva e una modalità passiva. Nella modalità attiva i soggetti vengono invitati a comporre dei brani poetici o letterari, in maniera libera o a partire da un tema o parole chiave indicati dal terapeuta. In questo caso la scrittura ha principalmente una funzione espressiva e rappresenta un’importante occasione per entrare in maggior contatto con sé stessi, raggiungere una maggiore autoconsapevolezza e nuovi, e spesso inaspettati, insight. La modalità passiva, invece, richiede la lettura, secondo un’interpretazione personale, di brani già esistenti. In questo caso la funzione è principalmente evocativa, e fa leva sui meccanismi di proiezione ed identificazione. L’utilizzo della scrittura è particolarmente indicato con persone molto razionali e che di solito hanno difficoltà a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, in quanto tradurre in parole le proprie emozioni richiede proprio un lavoro di questo tipo.

La danza: anche per quanto riguarda l’uso della danza sono state elaborate diverse varianti che condividono l’uso del movimento, con o senza musica, come principale strumento terapeutico. Il presupposto teorico su cui si basano queste forme di terapia, è quello in base al quale tensioni muscolari e modalità posturali e di movimento (uso dello spazio, tempi, ritmi, etc.) riflettono tensioni e modalità psicologiche; per cui, lavorare per prendere consapevolezza e sciogliere tali tensioni fisiche comporta l’entrare in contatto e il risolvere i blocchi emotivi e psicologici. La danza può essere vista come un dramma, in cui il linguaggio del corpo sostituisce quello verbale. L’obiettivo principale è mettersi in contatto con il proprio corpo e dare ascolto alle emozioni che vi albergano, ma i benefici dell’uso del movimento e della danza si estendono a più livelli. Ad un livello puramente fisico permette di ampliare il repertorio motorio e migliorare la coordinazione ed il tono muscolare, ad un livello psicologico si interviene sulle modalità di espressione di sé e sui livelli di adattamento alla realtà, ad un livello sociale, infine, si lavora sul modo di interagire con il gruppo e dunque sulle capacità comunicativo-relazionali.

La musica: Per quanto riguarda l’uso della musica in terapia si parla principalmente di musicoterapia. La musica rappresenta uno strumento

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molto potente soprattutto per la sua valenza evocativa e regressiva. Fare o ascoltare musica, infatti, attiva le zone ipotalamiche del cervello legate ai più antichi meccanismi di sopravvivenza, mentre il ritmo riporta al contatto con il ritmo cardiaco materno in fase intrauterina. La musica, cioè, introduce la persona in un’atmosfera psicologica dove la relazione con gli aspetti coscienti di sé si indebolisce permettendo di entrare in contatto con le parti più profonde della psiche. Inoltre, la musica facilità il rilassamento sia fisico che mentale e migliora tutta una serie di funzioni fisiologiche, come la respirazione, il battito cardiaco e la pressione sanguigna. Anche la musica può essere usata in terapia sia in forma attiva, cioè producendo musica con diversi strumenti (di solito le percussioni), che passiva, cioè lasciandosi cullare dalle note di brani musicali scelti dal terapeuta a seconda delle finalità terapeutiche. Lo scopo, in generale, è quello di aiutare il soggetto ad esplorare i vissuti emotivi derivati dal contatto con la musica e rielaborare le immagini e i ricordi suscitati.

Il teatro: L’idea che il teatro potesse avere effetti benefici, e dunque potremmo dire terapeutici, risale fino ad Aristotele e all’antica Grecia. Gli effetti benefici di cui parlava Aristotele, la catarsi che derivava dall’assistere ad una tragedia, erano però di tipo passivo, mentre in arteterapia le tecniche teatrali vengono utilizzate in maniera attiva, come e ai fini della terapia. La scoperta del teatro quale strumento terapeutico si deve principalmente a Moreno, ideatore dello psicodramma, ma dopo di lui è stata acquisita e sviluppata dai più svariati approcci terapeutici ed ha trovato largo impiego nei più diversi ambiti di applicazione. Psicodramma, teatroterapia, drammaterapia, playback theatre, eccetera, hanno tutti in comune l’utilizzo della drammatizzazione quale principale strumento terapeutico. Drammatizzare, e cioè tradurre in azione, permette infatti un accesso più diretto ai contenuti interni del soggetto, che potrà rivivere eventi del passato, elaborare e risolvere i conflitti riattualizzandoli, esplorare i propri “fantasmi” rendendoli concreti ed esterni a sé e quindi più accessibili e più facilmente modificabili o, ancora, sperimentarsi in situazioni nuove accrescendo così le proprie competenze e la conoscenza di sé. Le tecniche derivate dal teatro utilizzate in arteterapia sono molteplici e svariate anche perché il terapeuta le applica adattandole via via ai pazienti e alle situazioni e spesso arriva crearne di nuove. Oltre alla rappresentazione vera e propria e allo psicodramma, ricordiamo i giochi teatrali, di solito usati come “riscaldamento” del gruppo, e cioè per creare l’atmosfera necessaria ad un’espressione libera e spontanea di sé; l’uso delle maschere, che solitamente vengono

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fatte costruire e dipingere dagli stessi soggetti; e l’interpretazione di monologhi.

La cinematografia: Musatti (1950) è stato tra i primi ad approfondire gli aspetti e le funzioni psicologiche del guardare un film, segnalando l’analogia tra sogno e cinema. Sia nei sogni che al cinema le immagini presentano un carattere di realtà pur non inserendosi nella realtà, rispondono ai bisogni immaginari e alle pulsioni più intime permettendone la soddisfazione allucinatoria, e sono sottoposte agli stessi processi intrapsichici: spostamento, proiezione, oblio, eccetera. Anche la cinematografia viene usata in arteterapia sia in forma passiva, e dunque più vicina agli effetti catartici di cui parlava Aristotele, sia in forma attiva e cioè coinvolgendo il gruppo sia nella stesura della sceneggiatura che nella produzione stessa del film, di cui, ovviamente, saranno i protagonisti.

Le arti possono essere ovviamente utilizzate anche in sinergia. Ad esempio, si può invitare i soggetti a fare un disegno lasciandosi ispirare dalla musica, o chiedere di rappresentare a livello teatrale o con la danza un certo brano poetico o musicale. Utilizzare insieme diversi registri sensoriali e comunicativi, o passare dall’uno all’altro può essere infatti molto utile per promuovere flessibilità e fluidità e affrontare gli stessi temi da una prospettiva diversa.

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3. Il project work

C’era la bassa marea, e, davanti a loro, si stendeva una specie di palude, fatta di melma grigia, piena ancora di pozze d’acqua: ma il sole, tramontando, dava a quel pantano il colore dell’argento, argento brunito il fango, argento lucidissimo l’acqua; un ricamo immenso d’argento.

(P.P. Pasolini, ”L’odore dell’India” Longanesi&C., Milano,1974)

3.1 Le emozioni danzanti al ritmo dei colori

10 ragazzi provenienti da scuole diverse ma anche da origini, famiglie, culture e religioni diverse. Uno di loro L. si unirà al gruppo solo al quarto incontro perché impegnato in “Ologramma” un bellissimo progetto di musicoterapia che porterà a termine con grande successo.

Nella prima parte di questa tesi ho utilizzato tutta la mia razionalità per riflettere sui principi teorici dell’arteterapia ma ora per l’esposizione del mio project work lascerò parlare anche e soprattutto la mia intelligenza emotiva, la mia percezione sensoriale emozionale ed affettiva tentando di connettere il senso e la direzione delle cosiddette risonanze richiamate. Risonanze che come entità energetiche hanno silenziosamente aperto un canale di scambio e di comunicazione tra i nostri mondi interiori animati da infinite narrazioni di sensazioni emozioni affetti.

Tutti gli incontri si sono strutturati in tre fasi.

Una prima fase di accoglienza con scambio di saluti e novità e subito dopo il rituale d’apertura con la danza del cerchio al suono delle arpe celtiche che nella fase di chiusura al centro, all’interno del cerchio, provocava il contatto dei corpi e scambi di sguardi e sorrisi. Questa danza ha rappresentato, oltre che un rituale che contiene, rassicura i partecipanti ed estromette invasioni dall’esterno fatte di regole, giudizi, richieste di prestazioni stressanti e quant’altro, anche la possibilità, per me, di osservare la prossemica, il rapporto col proprio corpo e con quello degli altri e le eventuali possibili aree d’intervento creativo. È servita anche per rompere il ghiaccio iniziale permettendo una

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comunicazione non verbale dolce fatta di emozioni e sensazioni di contatto leggero, di accettazione e di contenimento all’interno del cerchio, nel gruppo, nell’abbraccio simbolico corale. Seguivano alcuni esercizi di riscaldamento fisico, di rilassamento, brevi lavori sulla voce (modulazione del volume e del ritmo, imitazione del tono e dell’intenzionalità delle parole -eco-) e, per alcuni temi, semplicissime esperienze di immaginazione guidata. L’introduzione al tema prescelto sottolineava la possibilità di cambiarlo ed in questa occasione venivano ripetute le poche e semplici regole da rispettare e cioè: non giudicare le creazioni dei compagni e non disturbare il lavoro altrui.

Terminata questa prima fase tutti insieme ci siamo occupati della sistemazione e suddivisione dei materiali, delle sedie e della grande scrivania collettiva. Tutto questo spostamento è avvenuto senza creare caos anzi con un atteggiamento di sveglia collaborazione che denotava il desiderio di fare, di lavorare insieme. Per ogni laboratorio ho scelto generi musicali diversi che, di volta in volta, mi sembravano più adatti a creare atmosfere inerenti al tema. Con “Le stelle” da me ribattezzato “Il piccolo principe” ho utilizzato pezzi di Brian Eno e Robert Frip, con “La maschera” le musiche di Habib Koitè (Mali). Tra le suggestioni musicali proposte quelle create da Ravi Shankar, Sigu Ros, Yann Tiersen, Edith Piaf, Mozart, Renè Aubry, Lisa Gerrard, Dead can dance, Canti degli Indiani d’America. Durante l’attività creativa, ognuno era libero di parlare, di chiacchierare, di alzarsi, di raccontare, di fermarsi, di danzare. Finita questa fase si concludeva con un momento di restituzione che consisteva semplicemente in un giro libero di impressioni sull’esperienza. In genere si rifletteva su come ci si era sentiti durante tutto il tempo, con chi avevamo parlato volentieri, cosa era successo di gradevole o di sgradevole ma soprattutto cosa ci aveva incuriositi, sorpresi o spaventati. La chiusura avveniva ogni volta con la stessa danza del cerchio al suono delle arpe celtiche, salutavo tutti con un arrivederci e uno scambio di sguardi prolungati, intensi e sorrisi sinceri e infantili. Uniti al centro del cerchio stringendo le mani dei compagni vicini, chiedevo di trattenere più volte l’urlo finale per poi lanciare la voce in un sonoro e liberatorio “Ciao!!” o “Brucia” o “Amo la natura” e altro ancora.

3.2 F. la semplicità che diventa poesia

F. ha una diagnosi di ritardo grave, è una ragazza spesso sorridente e

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allegra. Dopo un approccio iniziale più timido si è lanciata alla scoperta, alla manipolazione e all’utilizzo dei numerosi materiali e delle tecniche artistiche proposte. Ho preferito inserire i diversi materiali e le diverse tecniche gradualmente per evitare una iperstimolazione che avrebbe potuto inibire piuttosto che favorirne la libera e serena sperimentazione. Nei suoi elaborati, sempre conclusi e sotto un certo senso didascalici, F. utilizza, in genere, colori e soggetti luminosi dal tratto delicato e sottile che denotano un approccio al mondo dolce e al tempo stesso infantile. Un mondo di case dai tetti colorati tra i prati d’erba verde pastello e fiori a quattro petali. Anche la sua maschera, che a differenza dei suoi compagni si è sviluppata maggiormente in senso orizzontale, quasi una proiezione del suo corpo piccolo e robusto, sembra narrare le meraviglie di luoghi silvestri misteriosi e accattivanti al tempo stesso. Paura ed eccitazione, fuga e attrazione..durante il lavoro osservo la sua ricerca, quasi voluttuosa, di materiali particolari e la soddisfazione dipinta sui suoi lineamenti infantili mentre mostra ai compagni la sua maschera, la sua personale impronta creativa che trasporta sensazioni, paure, fantasmi… In generale partecipa sempre volentieri alla preparazione e al riordino dei materiali, lavora con evidente piacere ed entusiasmo. Più di una volta ha parlato di sé e di sentimenti provati e rievocati durante il laboratorio, dell’allegria di una giornata al mare nella puglia calda e ridente, delle paure di aerei e voli di uccelli o di scarpe con tacchi alti, dell’affetto che prova per la sua amica e compagna C., del rammarico, durante il laboratorio “Il mio nome”, verso “chi” non rispondeva mai alle sue chiamate facendola sentire trasparente e non riconosciuta. Ovviamente non è un caso che il bisogno di essere ascoltati e riconosciuti emerga durante un lavoro sul proprio nome ma ciò che conta è che F. abbia avuto l’opportunità di prendere contatto con emozioni e ricordi, senza ansia o preoccupazione, in un contesto favorevole ad una rielaborazione positivamente connotata, alla co-costruzione di un nuovo significato e di una nuova narrazione sia attraverso il dialogo che attraverso la trasformazione nell’esperienza estetica dell’espressione artististica. Ha trovato un clima e un contesto (setting) adatto per esprimere liberamente pensieri, paure, incertezze, ricordi, sentimenti, emozioni senza il pericolo di giudizio o moralismi, ha potuto comunicare, socializzare, mostrarsi per ciò che è senza il timore di un paragone con la cosiddetta “normalità”. Si è sentita accolta, accettata ma anche stimolata e liberata nelle potenzialità che comunque contiene. Potenzialità affettive e creative che spalma sul foglio dipingendo a tinte calde. F. ha stretto amicizia sia con C. che con Cr. con la quale spesso si è scambiata quelle confidenze tipiche tra

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giovani adolescenti. In questo senso la partecipazione ha favorito il miglioramento delle sue capacità relazionali e in generale la socializzazione nel gruppo. Ogni tanto, durante il lavoro, venivo chiamata in causa per un parere su scarpe, gonne, orecchini, e ho provato sentimenti di tenerezza (risonanza?)verso quelle giovani adolescenti piene di stupore di fronte alle trasformazioni del proprio corpo… F. ha manifestato più volte la sua gioia e il suo sentirsi bene durante i nostri incontri. Il ricordo delle esperienze e delle emozioni vissute durante i laboratori, delle relazioni create saranno una solida base di riflessione e l’aver sperimentato la possibilità di esprimere le proprie paure, sentimenti conflittuali, il proprio mondo interiore, sia attraverso l’attività creativa che nelle relazioni all’interno del setting, ha rafforzato la fiducia nelle proprie potenzialità e allargato i confini del suo sé. A metà dell’ultimo incontro F. mi ha chiamata in disparte e mi ha detto commossa “qui io sto bene ” e quando le ho chiesto come si era sentita con noi tutti durante tutto il nostro percorso mi ha risposto , secondo me poeticamente, … quasi un Haiku.

”Mi fa piacere fare queste cose… fare i disegni….

… mi sento felice perché quando disegno c’è il sole ….

con la maschera mi trasformo in cenerentola e la strega cattiva strappa il vestito….

cenerentola è bella… la sartina Anna del centro 1…

cenerentola balla mentre balla pensa…

alla mamma e al papà”

3.2 Conclusioni

Eccetto F. ci conoscevamo già perché avevo partecipato alla conduzione del laboratorio di musicoterapia del semestre precedente, esperienza bella e difficile. Prima di allora mi ero sempre chiesta come avrei reagito se mi fossi trovata di fronte a quella dimensione, a quel mondo esistenziale così lontano e diverso. Le mie possibili risposte

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contemplavano quasi sempre la possibilità di un atteggiamento di incomunicabilità e fuga ma la realtà dei fatti mi ha ancora una volta sorpresa. L’approccio era stato calmo, rilassato, lento, naturale, musicalmente come una melodia fresca e carezzevole, come se conoscessi quel modus vivendi da sempre o che comunque fosse parte dei possibili modelli mnemonicamente riconosciuti a disposizione del genere umano al quale appartengo esattamente come i miei ragazzi. Qualcosa di arcano, che mi riconduceva all’idea degli archetipi junghiani e che mi stabilizzava in una disposizione relazionale spontanea ma attenta e lucida. Ho studiato e strutturato il mio lavoro per ogni incontro, nulla è stato lasciato al caso senza forzare gli eventi, ho lasciato che gli accadimenti si susseguissero e al tempo stesso ho tenuto il polso della situazione, ho accolto e contenuto per concedere tempo, spazio, sperimentazione di umori, emozioni, atteggiamenti, comportamenti, relazioni… ho scandito il ritmo e come si dice tra musicisti, ho dato il là… e i miei ragazzi hanno colto con prontezza componendo sinfonie emozionali fatte di multiformi tratti, colori, ritmi, spazi… e la bellezza insita nei loro lavori ha immediatamente affascinato insegnanti di sostegno e coordinatori scolastici al punto che è stata proposta su due piedi, l’organizzazione di una mostra nei corridoi della presidenza ed anche la partecipazione alla IX edizione del concorso internazionale di disegno “diritti a colori”.

GRAZIE RAGAZZI !

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4. Bibliografia

- Istituto Buddista Italiano, Felicità in questa vita, Edito in proprio dall’Istituto

Buddista Italiano Soka Gakkai, 2001.

- Rollo May, L'arte del counselling, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1991. - Warren Bernie, Arteterapia in educazione e riabilitazione, Edizioni Ericson,

Gardolo-Trento, 1995.

- P.P. Pasolini, L’odore dell’India, Longanesi&C.,Milano, 1974.

Sitografia

- www.wikipedia.org/wiki/Bauhaus#Lezioni_di_Klee_e_Kandinsky