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Istituto MEME associato a Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles UN NIDO DI MUSICA Educazione musicale all’Asilo Nido e alla Scuola d’Infanzia Scuola di Specializzazione: Musicoterapia Relatore: Dott.ssa Roberta Frison Contesto di Project Work: Asilo Nido e Scuola d’Infanzia Tesista specializzando: Dott.ssa Laura Spinazzè Anno di corso: Primo Modena, 27 maggio 2007 Anno accademico 2006-2007

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Istituto MEME associato a

Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles

UN NIDO DI MUSICA Educazione musicale all’Asilo Nido

e alla Scuola d’Infanzia

Scuola di Specializzazione: Musicoterapia

Relatore: Dott.ssa Roberta Frison

Contesto di Project Work: Asilo Nido e Scuola d’Infanzia

Tesista specializzando: Dott.ssa Laura Spinazzè

Anno di corso: Primo

Modena, 27 maggio 2007

Anno accademico 2006-2007

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LAURA SPINAZZE’ – MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A. 2006/07

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Indice dei contenuti

1. Introduzione ……………………………………………………………………………4

2. Il bambino e la musica…………………………………………………………............7

2.1 Lo sviluppo della musicalità nel bambino…………………………………… 8

2.2 Perché il neonato è così attratto dai suoni e dalla musica?.......................... 9

2.3 La Music Learning Theory di Edwin Gordon…………………………… 10

3. La musica e il bambino nelle esperienze europee. Cenni sui principali metodi di

educazione musicale …………………………………………………………………….12

3.1 Cos’è la propedeutica musicale?....................................................................12

3.1.1 Il metodo Jacques-Dalcroze…………………………………………...13

3.1.2 Il metodo Orff……………………………………………………….. 18

3.1.3 Il metodo Kodaly…………………………………… ………………..21

3.1.4 Il metodo Willems……………………………………………………..23

3.1.5 Il metodo Giordano Bianchi…………………………………………...28

3.2 Metodi di educazione musicale per l’asilo nido……………………………. 32

3.2.1 Il metodo Delalande………………………………………………….. 32

3.2.2 Il metodo Gordon……………………………………. ……………….43

3.2.3 L’apprendimento musicale del bambino secondo la

Music Learning Theory……………………................................................44

4. Materiali e metodi…………………………………….………………………………47

4.1 Periodo ottobre-dicembre 2006……………………………………………...47

4.1.1 Centro Infanzia “Peter Pan”………………………………………….. 47

4.1.2 Centro Infanzia “Il Giardino”………………………………………… 48

4.2 Scuola d’Infanzia “Il Giardino”……………………………………………..48

4.2.1 Programma per i bambini di 3 anni…………………………………... 51

4.2.2 Programma per i bambini di 4 anni…………………………………... 52

4.2.3 Programma per i bambini di 5 anni………………………………….. 52

4.3 Periodo gennaio-aprile 2007………………………………………………...56

4.3.1 Gruppo “Le Coccinelle” ……………………………………………….56

4.3.2 Gruppo “I Coniglietti”………………………………………………….62

4.3.3 Gruppo “I Gattini”……………………………………………………...68

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4.3.4 Giochi musicali proposti…………………………………………….........68

5. Risultati e discussione ……………………………………………………..................72

6. Conclusioni …………………………………………………………………………..114

7. Bibliografia…………………………………………………………………………...116

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1 Introduzione

La parola non è il solo mezzo di comunicazione che distingue l’uomo fra tutti gli

abitanti del mondo animale. Ne esiste un altro: la musica.

Musica intesa come linguaggio, sonoro ed universale, semplice ed immediato per

ogni bambino. Rumori e suoni sono parte inscindibile dell’infante già dalle prime

settimane di gestazione e, per il resto della vita, saranno fonte di emozioni, cura per

l’anima e per il corpo, nutrimento per il cervello.

La pratica musicale, che coinvolge l’udito, il tatto, la vista (anche se non

necessariamente), il moto, l’emozione e l’interpretazione dei simboli, attiva meccanismi

tali per cui, in un contesto formativo quale i centri per la prima infanzia, tutte le attività

ludico/didattiche si alimentano reciprocamente al punto di poter concretamente parlare di

un percorso olistico dove arte e suoni, psicomotricità e ritmo, teatro e canto, linguaggio ed

ascolto si fondono attraverso un’unica fondamentale variabile: la creatività.

La dimestichezza con i suoni e i materiali che li producono favorisce l’acquisizione

di alcune importanti capacità percettive:

• le capacità visive (pensiamo ai giocattoli sonori, in cui le parti che producono i

suoni/rumori sono molto caratterizzate quanto a forma e colore) e ovviamente

• le capacità uditive (anche un bimbo molto piccolo è in grado di distinguere l’intensità

di un rumore, sa riconoscere il timbro della voce di una persona conosciuta, e così via:

abbiamo dunque la prova che anche in tenerissima età i bambini sanno riconoscere le

principali caratteristiche dei suoni).

Inoltre familiarizzare con i suoni e la musica stimolerà il bambino ad acquisire la

capacità di organizzare l’esperienza secondo le categorie spazio-temporali,

incoraggiandolo a identificare, nei suoni, non soltanto l’altezza, l’intensità e il timbro, ma

anche la durata (si presenta la nozione di tempo) e la provenienza (prime intuizioni

relative allo spazio).

Le attività dei giochi sonori, le canzoncine accompagnate da esercizi di psicomotricità

e simili affinano nel bambino la capacità di operare discriminazioni somatognosiche e

tattili; inoltre le attività di animazione e drammatizzazione, svolgendosi essenzialmente

con movimenti del corpo, delle dita, delle mani, delle braccia, contribuiscono alla

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strutturazione dell’immagine corporea e al miglioramento della coordinazione (ad esempio

tra l’occhio e la mano, tra una mano e l’altra, tra mani e piedi, ecc.).

Le attività con materiali sonori si prestano ottimamente a sviluppare nel bambino il

riconoscimento che da una certa premessa (ad esempio un determinato gesto su un

giocattolo sonoro) discende necessariamente una precisa conclusione (nell’esempio

precedente: la realizzazione di un particolare suono o rumore) e promuovono pertanto lo

sviluppo logico del bambino.

Le attività di musica d’insieme, come ad esempio il cantare in coro delle canzoncine,

si basano sul riconoscimento e sul rispetto di determinate regole (le parole da pronunciare,

l’alternarsi di suoni e silenzi, e così via) che, come tutte le regole, possono però essere

poste in discussione ed eventualmente modificate, poiché sono originate da una

convenzione.

La musica può contribuire validamente alla creazione di un clima positivo

nell’ambiente educativo, sia preparando e sottolineando i momenti di relax necessari per

ristorare le energie bruciate nel corso delle varie attività, sia caratterizzando i momenti

sensorialmente e culturalmente più vivaci.

L’induzione di uno stato di quiete può essere favorita abbinando l’ascolto di una

musica appropriata ad alcuni movimenti di massaggio praticati dall’educatore a turno a

ciascun bambino: le percezioni tattili e cinestesiche favoriranno il rilassamento fisico e

psicologico dei bambini, il che è particolarmente indicato dopo un’attività intensa o per

prepararsi gradualmente al riposo. Allo stesso modo è appropriato far ascoltare una musica

vivace, che induca all’azione, quando si desidera stimolare i bambini ad intraprendere

un’attività impegnativa, che richiede un notevole dispendio di energie.

Inoltre la musica, essendo uno dei famosi linguaggi non-verbali, stimola l’espressione

e la comunicazione e contribuisce perciò a far sì che il bambino stia bene con se stesso e

con gli altri: come ogni attività artistica stimola l’autonomia e la creatività ma nel

contempo si avvantaggia della cooperazione (pensiamo ai giochi musicali d’insieme, al

cantare in coro, all’animazione e alla drammatizzazione di gruppo) e incoraggia dunque

alla socializzazione e alla collaborazione.

Possiamo concludere dunque che far familiarizzare i bambini con i suoni e la musica

può contribuire validamente allo sviluppo globale dei bambini stessi, promuovendo la

formazione non soltanto del gusto e della sensibilità estetica, ma anche la formazione

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logica, l’acquisizione delle coordinate spazio-temporali, la strutturazione dell’immagine

corporea e della coordinazione motoria.

Infine la musica, mediante la realizzazione di attività di gruppo, può contribuire alla

socializzazione del bambino, favorendo il consolidarsi di nuovi rapporti sociali che

integrino e arricchiscano il ristretto numero di rapporti che è proprio della famiglia

nucleare moderna.

Il primo approccio musicale all'asilo nido è rappresentato dalla scoperta dei suoni e dei

rumori, corporei ed ambientali; successivamente alla scuola dell'infanzia il percorso si

spinge oltre, diventando più tecnico, sviluppandosi attraverso l’uso consapevole della voce

- primo strumento musicale dell'uomo -, la notazione prima simbolica, poi ritmica e

melodica, per approdare infine alla propedeutica al pianoforte, al flauto e altri strumenti.

In questa tesi presenterò la mia esperienza di insegnante di educazione musicale in due

centri infanzia (o asili nido) e di propedeutica musicale in una Scuola d’infanzia.

E’ stata la mia prima esperienza in un centro infanzia con bambini di età dai 6 ai 36

mesi, quindi è stato un lavoro di “esplorazione”, di ricerca e studio personale dei metodi

usati con i bambini così piccoli, che approfondirò comunque meglio nel corso dei prossimi

anni. Per i bambini di età prescolare mi sono avvicinata al Metodo Gordon e alla Music

Learning Theory, che è ancora oggetto di studio e approfondimento personale (non l’ho

finora utilizzato), che presenterò nei suoi aspetti principali nei prossimi due capitoli,

assieme alle metodologie didattiche più conosciute e utilizzate nell’educazione musicale

del bambino. Di seguito presenterò il lavoro svolto con i bambini quest’anno da ottobre

2006 ad aprile 2007.

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2. Il bambino e la musica

“Immaginate come sarebbe meraviglioso se noi fossimo capaci di mantenere la

prodigiosa abilità del bambino il quale, mentre è intento a vivere gioiosamente, saltando e

giocando, è capace di imparare una lingua con tutte le sue complicazioni grammaticali.

Che meraviglia sarebbe se tutto il sapere entrasse nella nostra mente semplicemente

vivendo, senza richiedere sforzo maggiore di quello che ci costi respirare o nutrirci”.1

Maria Montessori

Le intuizioni dei grandi pedagoghi, confermate dai risultati della ricerca e

dall’osservazione scientifica, hanno portato ad una nuova visione del bambino in età

neonatale. Non più trattato come creatura avente bisogni esclusivamente fisiologici o

visto come una “tabula rasa”, è oggi finalmente considerato un individuo capace di entrare

in relazione con gli altri fin dalla nascita e di apprendere in autonomia, senza bisogno di

insegnamenti finalizzati al risultato o alla prestazione.

Eppure, questa nuova visione del bambino non può non condurre ad una riflessione

sul modo in cui il mondo degli adulti lo accoglie nella propria cultura e nel proprio

ambiente, fin dai suoi primi giorni di vita.

I luoghi dell’infanzia, infatti, sono spesso caratterizzati da un “tutto pieno” di

suoni, forme e colori che poco spazio lascia all’assorbimento dei linguaggi secondo i

tempi e i bisogni del bambino. Allo stesso tempo, molti, fra gli adulti che si prendono cura

di lui, tendono ad intrattenerlo senza sosta, dirigendo di continuo la sua attenzione e le sue

azioni, riducendo in tal modo le opportunità di ascolto e di relazione, tanto importanti per

interagire con lui nei suoi “cento linguaggi”2.

D’altronde l’attenzione intensissima che il bambino è in grado di prestare ai diversi

linguaggi che costituiranno il suo patrimonio espressivo, dovrebbe indurci a riflettere su

quanto sia importante per lui ascoltare a lungo, prima di essere spinto a dimostrare “cosa

sa fare”.

L’obiettivo di un’educazione musicale al Nido non deve essere dunque quello di

aggiungere altri stimoli ai tanti già presenti nella vita del bambino di oggi, o di riempire

ulteriormente il suo tempo per distrarlo o intrattenerlo, ma quello, semmai, di promuovere 1 M. Montessori, La mente del bambino, Milano, Garzanti Elefanti, 2002, 26. 2 C. Edwards – L. Gandini – G. Forman, I cento linguaggi dei bambini, Bergamo, Edizioni Junior, 1995, 9.

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una relazione adulto-bambino, all’interno della quale l’uno possa rivolgersi all’altro per

comunicare non più solo attraverso le parole e il racconto, ma anche con il canto e

l’ascolto musicale.

2.1 Lo sviluppo della musicalità nel bambino

Chi ha avuto esperienze nell’insegnamento e conosce i bambini e i loro processi

evolutivi afferma, spesso scherzosamente, che desidererebbe morire giovani ma il più tardi

possibile. La capacità di apprendimento, infatti, è più sviluppata al momento della nascita

e decresce progressivamente con l’età. Il periodo più fecondo è senz’altro quello che va

dalla nascita, o addirittura dal periodo prenatale, fino al compimento dei diciotto mesi di

vita, intervallo nel quale il bambino impara attraverso l’esplorazione e la guida non

strutturata dei genitori e delle persone che gli stanno vicino.

Tra i due e i cinque anni, il bambino comincia a ricevere, oltre alla guida di tipo

informale di tipo non strutturato, una guida informale di tipo strutturato, una guida

informale di tipo strutturato sia all’interno della famiglia sia nell’ambiente prescolare.

Ciò che apprende durante i primi cinque anni di vita forma le basi del successivo

sviluppo formativo che, tradizionalmente, comincia con la frequenza della scuola

d’infanzia o della prima elementare, dove inizia a ricevere la prima forma di istruzione

teorico-formale.

Una precoce guida informale nello sviluppo delle basi dell’apprendimento da parte

di genitori o insegnanti darà modo al bambino di trarre, successivamente, un maggiore

vantaggio dalla propria istruzione; viceversa, un intervento tardivo ridurrà i benefici

futuri: non è possibile restituire al bambino le opportunità perdute durante il periodo in cui

vengono poste le basi dell’apprendimento con un’istruzione di tipo compensativo.

Un’educazione in grado di recuperare pienamente il tempo perduto, infatti, è

impraticabile; negli anni successivi il bambino non sarà più in grado di sviluppare la stessa

capacità di apprendimento caratteristica dei suoi primissimi anni di vita: ciò che si è perso

non potrà più essere recuperato. Per convincersene, basta osservare le difficoltà che

incontrano gli adulti nello studio di una seconda lingua: è impossibile impararla con la

stessa velocità e precisione della lingua madre, che si apprende intuitivamente, poiché

viene generalmente studiata in un momento successivo, dunque intenzionalmente.

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2. 2 Perché il neonato è così attratto dai suoni e dalla musica?

Durante i primi anni di vita, il bambino sembra essere spontaneamente incline a

comunicare in modo musicale o, per meglio dire, secondo modalità vicine al linguaggio

musicale: lancia gli oggetti sul pavimento coordinando gesto motorio, respiro e voce,

proprio come fanno i musicisti col proprio strumento; sbatte ritmicamente le cose fra loro

con l’energia ritmica di un percussionista; emette vocalizzazioni intonate quando sente

musica intorno a sé; produce suoni con la voce mentre corre, salta o si butta per terra;

pronuncia il proprio nome quasi cantando, come fosse una piccola melodia.

Le manifestazioni descritte, così come tante altre da lui naturalmente messe in atto,

sembrano indicare un’innata vicinanza al linguaggio musicale senz’altro riconducibile al

ruolo al ruolo che proprio il suono riveste nella relazione fra mamma e bambino durante la

vita prenatale. Questa, infatti è caratterizzata, per tutta la sua durata, dalla presenza di

vibrazioni sonore che risuonano nel corpo materno. Nel liquido amniotico, i suoni che la

mamma emette volontariamente, parlando o cantando, e quelli prodotti dal corpo (battito

cardiaco, respirazione, rumori viscerali, ecc.) risuonano e arrivano al bambino che, prima

ancora di ascoltare con l’orecchio, percepisce sulla propria pelle, come una sorta di

massaggio, le vibrazioni sonore trasmesse proprio dal liquido amniotico.

Fin dai primi momenti, quindi, il suono è un mezzo privilegiato di relazione con la

madre3. Non a caso, numerosi autori hanno descritto il momento della gravidanza e l’utero

materno come luogo di risonanza sonora e Tomatis, in particolare, come vero e proprio

“universo sonoro”4.

Successivamente, durante i primi mesi di vita, la comunicazione fra mamma e

bambino ha caratteristiche sonoro-musicali evidenti. La madre, nel dialogo intimo vis à vis

col neonato, quasi a garantire continuità con il bagno sonoro della vita prenatale,

accompagna le proprie espressioni facciali con vocalizzazioni di suoni, piccole melodie,

ritmi e saliscendi di intonazione, che vanno ad integrare quel repertorio comunicativo

definito da Stern “coreografia del comportamento umano”5.

3 A. Montagu, Il tatto, Milano, Garzanti, 1975, 219. 4 Per un approfondimento sul tema si vedano, fra gli altri: A. Tomatis, Dalla comunicazione intrauterina al linguaggio umano, Como, Ibis, 1993. 5 D. Stern, Le prime relazioni sociali: il bambino e la madre, Roma, Sovera Multimedia, 1989, 21.

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Il suono dunque ha una grande importanza fin dai primissimi istanti della nostra

vita e spesso rappresenta per noi una presenza rassicurante. Il bambino ce lo conferma

quando lo osserviamo cantare spontaneamente delle piccole nenie, in quei momenti tanto

delicati di transizione fra la veglia e il sonno6.

Anche nella vita adulta la musica è spesso presente con un forte ruolo rassicurante,

specie in situazioni di insicurezza o di smarrimento spazio-temporale: riempie, ad

esempio, il tempo di attesa al telefono, le fasi precedenti il decollo di un aereo, in molti

ospedali, i momenti che precedono un’operazione chirurgica e aiuta a superare la

diffidenza tra estranei che condividono un luogo in cui si sta vicini senza conoscersi,

come, ad esempio, in un locale notturno.

La naturale vicinanza del bambino al linguaggio musicale non farà

necessariamente di lui un adulto in grado di comprendere musiche complesse o di suonare

uno strumento. Al contrario, dobbiamo purtroppo constatare che queste capacità sono

patrimonio di pochi nella nostra società.

Dalla ricerca scientifica sappiamo che l’attitudine musicale si sviluppa fino a circa

i 9 anni di età, durante i quali, e in modo particolare nei primi tre, l’assorbimento di

stimoli musicali di qualità potrà incidere sulle future potenzialità d’apprendimento.

Intorno ai nove anni, l’attitudine musicale si stabilizza e da quel momento in poi le

esperienze vissute nel proprio ambiente potranno si incidere sul rendimento nelle attività

musicali, ma non più sul potenziale di apprendimento.

Alla luce di quanto detto riveste un’importanza fondamentale il fatto che il

bambino possa vivere i suoi primi anni di vita in un ambiente in cui gli adulti attorno a lui

ascoltano musica con piacere, lo lasciano libero di partecipare e di condividere i momenti

di ascolto e, soprattutto, cantano per lui in modo espressivo e naturale.

2.3 La Music Learning Theory di Edwin Gordon

La Music Learning Theory (MLT) è una teoria che studia le modalità di

apprendimento musicale del bambino a partire dall’età neonatale fondata sul presupposto

che la musica si possa apprendere secondo gli stessi processi del linguaggio parlato.

6 D.W. Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore, 1993, 23 ss.

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Sviluppata attraverso anni di ricerca e di osservazione scientifica7, pone in primo piano il

bambino e i suoi processi di apprendimento musicale, prima ancora di delinearsi come una

vera e propria metodologia di educazione musicale.

Parallelamente agli studi sull’attitudine musicale e sulle capacità di “audition”, che

costituiscono la base teorica della MLT, si è sviluppata, da alcuni anni anche nel nostro

paese, una metodologia che ne applica i principi, portando diverse e sostanziali novità nel

campo dell’educazione musicale.

Innanzitutto ha contribuito a spostare i tempi della formazione musicale

nell’infanzia: è infatti sempre più diffusa l’opinione che l’età migliore per iniziare un

percorso di avvicinamento alla musica sia quella neonatale.

In secondo luogo, ha messo in luce quanto sia fondamentale, anche in musica,

offrire al bambino la possibilità di attuare spontanei tentativi di interazione attraverso

vocalizzazioni di suoni e accenni ritmici, esattamente come fa nel linguaggio parlato con i

balbettii e la lallazione.

Infine, distinguendo l’attitudine dal rendimento musicale, permette di rispettare

ogni bambino nei suoi tempi e nelle sue modalità di apprendimento, ponendo l’accento

sull’importanza dell’ascolto e dell’assorbimento di stimoli musicali di qualità prima che

sulla produzione immediata di piccoli saggi di competenza.

Nel prossimo capitolo presenterò tra gli altri il metodo Gordon, che si basa sui

principi della MLT.

7 Le prime pubblicazioni riguardanti la Music Learning Theory risalgono agli anni ’70 (E.E. Gordon , The psychology of music teaching, Enlgewood Cliffs, Prentice Hall, 1971). Attraverso continui approfondimenti e nuove applicazioni si è arrivati alle pubblicazioni degli ultimi anni fra le quali si può citare di E. E. Gordon: Learning sequences in music, Chicago, GIA pubblication 1997, A music learning theoryfor newborn and young children, Chicago, GIA pubblication, 1997, tradotto in italiano e pubblicato con il titolo: L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare, Milano, Edizioni Curci, 2003; Introduction to research and the psychology of music, Improvising in the music classroom, Chicago, GIA pubblication 2003; Am I musical? Chicago, GIA pubblication 2003, tradotto in italiano con il titolo Ascolta tu. Scopri il tuo potenziale musicale, Milano Edizioni Curci, 2005 e, in Italia oltre al presente testo, E.E. Gordon, A. Apostoli, Canti melodici e ritmici senza parole, Milano, Edizioni Curci, 2004.

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3. La musica e il bambino nelle esperienze europee. Cenni sui principali

metodi di educazione musicale.

3.1 Cos’è la Propedeutica musicale? Una parola difficile per un’idea pedagogica semplice: la musica si impara facendola

e non astraendola. Imparare a scrivere le note sul pentagramma non significa “imparare la

musica” ma imparare a codificarla: cominciare a valle invece che a monte.

La musica si “impara” invece, in primo luogo, traducendo in concreto il proprio

bisogno di viverla fisicamente ed emotivamente, così che essa contribuisca alla nostra

formazione e crescita globale come individui.

Si “impara” attraverso una esperienza creativa e collettiva che coinvolga tutto ciò

che alla musica è o può essere inerente: gesto, movimento, danza, scansione verbale,

vocalità, strumentario musicale, drammatizzazione e performance. Attraverso tutto ciò

potremo “imparare”, cioè “capire” la musica: capire come e perché essa nasce,

individuarne le componenti espressive e strutturali e, infine, razionalizzarla, anche

attraverso la notazione come indispensabile forma di memorizzazione e di comunicazione.

La musica è un mondo che riesce a entrare nella sfera delle emozioni, facendo

sbiadire quelle tristi, negative creandone di nuove, intense che fanno vibrare l’anima ed

elevare il pensiero.

I bambini hanno il diritto di essere avvicinati il più presto possibile a questa

bellezza. Perchè costringerli a strazianti e interminabili lezioni di teoria musicale prima di

aver maturato l’amore, prima di essere stati catturati da ritmi e melodie ? Perchè privare di

questo aspetto positivo, armonioso la crescita della personalità di ogni bambino?

TUTTI I BAMBINI HANNO BISOGNO DELLA MUSICA, pochi di essi sono veramente

portati per acquisire le competenze tecniche per lo studio dello strumento. In ogni caso

quei pochi hanno la possibilità di far emergere il loro talento e orientati nella giusta

direzione.

Contrariamente alle proposte didattiche italiane, elaborate sperimentalmente da

insegnanti o studiosi del problema educativo ma anche direttamente impegnati

nell’educazione (Maria Montessori), i metodi stranieri di maggiore rilievo sono stati tutti

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ideati da musicisti assai noti, come ad esempio Orff e Kodály, che hanno sviluppato

percorsi per un apprendimento facile e immediato della musica, tenendo conto di alcuni

noti comportamenti infantili e favorendo al massimo diverse componenti della persona,

come la creatività, la spontaneità, l’interesse, il bisogno motorio.

Poiché molti principi e richiami di questi metodi sono presenti nella didattica

attuale della musica, mi sembra opportuno descriverli brevemente, mettendo in rilievo

alcuni aspetti che sono ritenuti efficaci ancor oggi, e che in modi diversi sono inseriti nei

programmi odierni della scuola dell’infanzia italiana.

3.1.1 Il metodo Jaques-Dalcroze

Sperimentato per la prima volta nel 1898, si tratta di un metodo impostato essenzialmente

sul ritmo, il movimento, l’educazione dell’orecchio. In quell’anno Dalcroze scriveva:

“ Sogno un’educazione musicale in cui il corpo stesso svolga il ruolo di intermediario tra

i suoni e il nostro pensiero, diventando lo strumento diretto dei nostri sentimenti. Si

rafforzerebbero così le sensazioni dell’udito, stimolate dai molteplici elementi capaci di

vibrare e risonare in noi; la respirazione scandirebbe i ritmi delle frasi, i dinamismi

muscolari, esprimerebbero quelli dettati dall’emozione musicale. A scuola, dunque, il

bambino imparerebbe non soltanto a cantare e ad ascoltare correttamente e a tempo, ma

a “muoversi” e a pensare correttamente e ritmicamente. Si inizierebbe coordinando il

meccanismo della marcia, accompagnandola con la voce e i gesti di tutto il corpo. Si

tratterebbe di un’educazione al ritmo e “mediante” il ritmo”8.

Per poter ascoltare attentamente ed esprimersi poi con gesti appropriati e

movimenti corretti, è necessario un orecchio attentamente educato e disposto a cogliere,

riconoscendole, le altezze, stimando gli intervalli, comprendendo le armonie, distinguendo

le diverse note di un accordo, ecc.

Per una formazione sempre più funzionale del musicista, è necessario poi, secondo

Dalcroze, far uso frequentemente dell’improvvisazione al pianoforte al fine di abituare ed

educare precocemente l’orecchio. L’idea più interessante e quella della creatività, che

8 E. Jacques- Dalcroze, Il ritmo, la musica e l’educazione, Roma, ERI, 1986, 32.

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l’autore pone come uno dei fondamenti del suo metodo, e favorisce poi mediante

l’espressione corporea. Il bambino, in particolare, affinando l’orecchio ed abituandosi a

percepire le differenze di altezza e di tonalità, dovrebbe muoversi di conseguenza, con

movimenti corporei che lo stesso Dalcroze suggerisce. Ad un suono alto corrisponde, per

esempio, un movimento in estensione, ad uno basso, un movimento di raccolta (chinarsi a

carponi, ecc.).

Dalcroze si propone come obiettivo l’apprendimento della musica, in modo però

che tutta la persona ne sia interessata. Non si tratta quindi di un arido apprendimento della

notazione, e dell’applicazione sterile di regole e schemi prefissati, ma di un’acquisizione

graduale che coinvolga tutto l’individuo. Il corpo, infatti, stimolato dall’ascolto di un

brano musicale, riceve attraverso il senso muscolare degli impulsi particolari che lo

spingono a muoversi e a coordinarsi al senso ritmico del brano. Favorire questi movimenti

significa, secondo Dalcroze, dare libertà ad impulsi spontanei che poi, inconsciamente

avvicinano lo spirito all’arte musicale e contemporaneamente favoriscono l’attività

motoria dell’intero organismo.

Lungamente elaborato, ed oggetto di molti aggiustamenti e perfezionamenti, esso

fu applicato sia con bambini che con ragazzi e adulti, in un crescendo di attività e di

esperienze che culminavano poi nella danza. Cominciando da livelli elementari Dalcroze

sviluppa gradualmente il suo percorso metodologico; il bambino quindi, fin da piccolo,

viene condotto a vivere con il corpo i rapporti tra lo spazio e il movimento, così come del

resto suggerisce anche l’odierna psicomotricità.

Sono questi aspetti che rendono in parte attuale il metodo ancor oggi, e che

possono offrire spunti interessanti, non tanto a livello di esercizi didattici, forse troppo

rigidamente contenuti entro precisi percorsi, né di obiettivi, esclusivamente fondati sulla

disciplina e l’apprendimento musicale, ma sul modo di attuare il percorso metodologico,

sulle motivazioni che giustificano il lavoro.

Il Metodo Jaques-Dalcroze, altrimenti noto come Ritmica Dalcroze, è un metodo di

educazione musicale che si pone all’origine dei nuovi sistemi d’insegnamento della

musica di questo secolo. Fu creato all’inizio del ‘900 dal musicista, compositore e

pedagogo svizzero Emile Jaques Dalcroze (Vienna 1865 - Ginevra 1950) il quale, spinto

dalle difficoltà ritmiche e di ascolto che riscontrava nei suoi allievi in Conservatorio, spese

tutta la vita alla ricerca di un metodo di educazione musicale alternativo.

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Egli perseguì l’unione perfetta tra musica, corpo, mente e sfera emotiva e pose il corpo e il

movimento alla base dei suoi rivoluzionari principi educativi.

Il lavoro teorico e pratico di Dalcroze ha influito in maniera decisiva non solo sulla

pedagogia musicale, ma anche sulla danza e la coreografia, gettando le basi per un uso

educativo e rieducativo della musica e del movimento.

La Ritmica, disciplina fondamentale di questo metodo, consiste nel mettere in

relazione i movimenti naturali del corpo, il linguaggio musicale e le facoltà di

immaginazione e di riflessione. In questo modo la coscienza del legame esistente fra

percezione e azione si acuisce e le capacità espressive del corpo si ampliano e si

diversificano favorendo di pari passo l’arricchimento del pensiero musicale. Inoltre,

facoltà diverse quali la riflessione, la memoria e la concentrazione, come anche la

spontaneità e la creatività, vengono esercitate in modo armonioso.

“…l’elemento fondamentale, maggiormente legato alla vita e all’arte del suono è

il Ritmo! Il Ritmo dipende esclusivamente dal movimento e trova l’esempio perfetto nel

nostro sistema muscolare”9.

Le lezioni di Ritmica si praticano in gruppo, ma ogni singolo allievo ne è parte

attiva ed integrante poiché l’esperienza individuale è centrale nella pedagogia dalcroziana.

I diversi aspetti del discorso musicale vengono percepiti e espressi con il movimento,

stimolati e sostenuti dall’improvvisazione pianistica/vocale/strumentale dell’insegnante il

quale adegua costantemente la musica alle capacità ed ai progressi degli allievi tenendo

conto della loro individualità e possibilità espressiva.

La ritmica Dalcroze consente di avvicinarsi alla musica in modo creativo, globale ed

effettivo. Essa sviluppa la consapevolezza corporea, le capacità di coordinamento, la

musicalità, e le abilità di esecuzione vocali, strumentali e corporee.

Uno dei principi fondamentali della ritmica è la creazione di immagini motorie chiare e

definitive mediante l'automatizzazione dei ritmi naturali del corpo, e l'identificazione delle

azioni muscolari con i movimenti sonori. Questa immagine motoria è interiorizzata

soltanto dopo aver acquisito una consapevolezza corporea, raggiunta mediante una

partecipazione attiva, percettiva e globale dell'allievo alle varie esperienze.

La teoria musicale si apprende partendo dalla pratica: l’analisi e la codificazione di

un elemento musicale avvengono soltanto dopo averlo sperimentato e studiato attraverso il

9 E. Jacques-Dalcroze, op.cit.

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movimento. Gli allievi acquisiscono così capacità tecniche ma anche creative ed

espressive applicabili in vari campi: quello musicale (esecuzione strumentale,

insegnamento), dello spettacolo (danza, teatro), della terapia (musicoterapia, logopedia,

psicomotricità).

Particolare attenzione viene data all’aspetto pedagogico: l’insegnante parte sempre

dall’allievo e dalle sue capacità, per fare gradualmente nuove proposte. Ogni allievo

reagisce e si esprime secondo le proprie possibilità. Questo contribuisce ad instaurare un

rapporto di fiducia reciproca e un’atmosfera di serenità, collaborazione e solidarietà nel

gruppo. Questo stile d’insegnamento mette gli studenti in grado di far luce sul loro

pensiero, non fornendo soluzioni ma ponendo domande e proponendo particolari esercizi

corporei, per sviluppare l’ascolto interiore e la capacità di sentire, di interiorizzare e

proiettare pensieri, sentimenti e capacità d’insieme.

Tra gli obiettivi educativi del metodo vi è quello dell’educazione ed

armonizzazione del sistema nervoso mediante esercizi definiti di:

- reazione rapida: la realizzazione rapida di un’azione ( o di una serie di azioni)

musicale su un segnale verbale dato

o su uno stimolo che può essere uditivo, visivo, tattile.

- incitamento: l’uso di energia per stimolare ulteriormente un’azione fisica o mentale

senza spezzare, interrompere o perdere il tempo (musicale)

- inibizione: l’uso di energia per bloccare o trattenere un processo fisiologico o

mentale senza interrompere il tempo.

Questo tipo di esercizi, oltre a richiedere all’allievo una partecipazione percettiva e

attiva globale dove attenzione, (ciò che stimola) e intenzione (ciò che decidi di fare in

rapporto allo stimolo) si adattino all’azione - in altre parole al movimento che si sta

eseguendo - contribuisce a creare una corrente continua tra sistema afferente,

(informazione al cervello) ed efferente (informazione dal cervello al corpo)

Gli obiettivi musicali generali sono:

a. Sviluppare una comprensione degli elementi musicali quali pulsazione, tempo,

ritmo, metro, durata, frase, forma ecc. mediante il movimento.

b. Stabilire collegamenti tra il corpo, la mente e la sfera emotiva dell’allievo,

finalizzati ad una percezione ed assimilazione profonda di tutti gli elementi musicali.

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Il metodo, in continuo sviluppo nei Conservatori ed Università europee e di tutto il

mondo, sta trovando applicazioni non soltanto nell’ambito dell’esecuzione musicale e

delle arti plastiche e visive ma anche in quello terapeutico e dell’educazione generale.

Oltre a contribuire ad accelerare e a facilitare lo studio di uno strumento, a superare

le difficoltà ritmiche, tecniche e di vario tipo che lo strumento presenta - di educare quindi

alla musica -la ritmica educa anche mediante la musica.

Nel mettere al centro del lavoro l’aspetto percettivo vi è la convinzione che più canali

sensoriali utilizza, meglio si permette all’allievo di usare le proprie aree cerebrali di

associazione, per integrare e registrare un’informazione con memorie diverse. In altre

parole, in ogni lezione di ritmica vi è la partecipazione di più aree e funzioni

nell’esecuzione del compito (uditiva, motoria, visiva spazio-temporale, ecc.)10.

L’educazione musicale secondo questo metodo si articola su tre aree di studio:

• la ritmica che sviluppa la capacità di risposta spontanea del corpo alla musica

attraverso il movimento;

• il solfeggio che educa l’orecchio e la voce;

• l’improvvisazione che riunisce tutti gli elementi finora menzionati e libera le

potenzialità creative individuali.

Con i bambini o con gli adulti principianti questi tre aspetti del lavoro vengono integrati in

singole classi nelle quali gli allievi utilizzano il movimento, la voce e gli strumenti in una

varietà di attività che coinvolge l’ascolto, la capacità elaborativa e inventiva.

Gli obiettivi educativi sono molteplici:

• trovare il piacere di esprimersi con il corpo in sintonia con la musica

• sviluppare l’orecchio e acquisire una comprensione musicale globale e profonda

• sviluppare la consapevolezza corporea (coordinazione, reazione, dosaggio

dell’energia, equilibrio, uso del peso ecc.)

• sviluppare la personalità nella sua interezza (sfera cognitiva, affettiva, psico-

motoria)

• educare le capacità creative ed artistiche

• collaborare e adeguarsi al gruppo, nel rispetto di sé e degli altri

10 Ava Loiacono-Husain, Senso e percezione, Copyright Alta Scuola Pedagogica, Locarno.

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Il pubblico cui si rivolge il metodo Jaques-Dalcroze è illimitato. E’ adatto a tutti, dalla

prima infanzia alla terza, quarta, quinta……età. Oltre ai musicisti professionisti, sono

sempre più numerosi gli attori e i danzatori che inseriscono la Ritmica nel loro training.

Inoltre si rivela strumento prezioso per tutti coloro che lavorano nel campo educativo e

terapeutico.

3.1.2 Il metodo Orff

Studiato e realizzato dal musicista Carl Orff , il metodo prevedeva attività per i

bambini dai 6 anni in su, ma può offrire interessanti spunti anche per bambini dai 3 ai 6

anni, poiché si fonda sul ritmo e sul movimento, sviluppando intuizioni già avanzate da

Dalcroze, e ponendo quindi il corpo come fondamento primo del far musica, che diventa

così un mezzo di espressione che favorisce il dinamismo, l’espansione di sé, la liberazione

attraverso gesti e atteggiamenti motori diversi.

Lo stesso Orff, definendo il suo metodo come “musica elementare”, ne spiega i

contenuti e le ragioni:

“Musica elementare è una musica che non è mai sola, ma forma un’unità col

movimento, la danza, il linguaggio. E’ una musica che si fa da soli, in cui si partecipa non

come ascoltatori, ma come attori. E’ genuina, non fa uso di grandi forme, di grandi

strutture architettoniche, ma adopera piccole forme di sequenze, ostinati, rondò. La

musica elementare è vicina alla terra, naturale, fisica, compresa nel raggio di

apprendimento e di sperimentazione di ciascuno, adatta al bambino”11.

Orff quindi fa riferimento alle potenzialità proprie del bambino, esaltandole

massimamente mediante originali stimolazioni ritmiche. Siccome il ritmo è movimento,

esso deve essere vissuto con il corpo; ed ecco l’invenzione, per quei tempi del tutto nuova

e d’avanguardia di far battere ritmi sul corpo e col corpo: battute di mani, di piedi, sulle

cosce, sulle guance, e di far poi eseguire ritmi anche col movimento, ballando, danzando,

saltellando.

11 C. Orff, Conferenza tenuta all’Orff-Insitut Jahrbuch, 1963, B. Shott’s Söhne, Mainz.

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L’utilizzo degli strumenti è un’altra idea geniale del musicista tedesco, che

costruisce un’orchestrina con strumenti percussivi e melodici adatti ai bambini (triangoli,

cembali, piattelli, sonagli, timpani, piatti, il gong, le raganelle, i legnetti, flauti, xilofoni, e

così via). Questi sono aspetti possibili per bambini più grandicelli, mentre la parte più

interessante per i piccoli di 3-6 anni è certamente la prima, quella fondata prevalentemente

sul ritmo, l’invenzione, la creatività. Orff propone filastrocche facendo poi inventare al

bambino (partendo sia dal ritmo che dalla parola) filastrocche, conte, storielle in rima,

frasette semplici o più complesse che poi verranno successivamente musicate, favorendo

in tal modo la creatività musicale e l’invenzione proprie del bambino.

Sono cenni e spunti che trovano poi riscontro anche nella moderna didattica

musicale più avanzata, perché si richiamano a istanze naturali e ad atteggiamenti che sono

tipici del bambino, non imposti mediante forzature ma fatti scaturire dall’esperienza

quotidiana, ed attuati mediante un gioco funzionale e nello stesso tempo gratificante.

Infatti, nella didattica di Orff, specialmente nei primi momenti, l’apprendimento è

una facile conquista fondata su un gioioso attivismo, che permette al tempo stesso di far

musica e di apprendere gradualmente alcune modalità necessarie per l’appropriazione e la

comunicazione musicale.

Volendo esporre un quadro concettuale e metodologico di ciò che noi, oggi,

intendiamo per Orff-Schulwerk, possiamo sintetizzarlo come segue:

a) alla musica ci si accosta facendo musica e non cominciando con l’imparare le note, le

quali non sono che la registrazione grafica delle nostre invenzioni sonore, e come tali ne

sono una conseguenza e non una premessa; il primo apprendimento della musica, incluso

l’avvio alla lettura e alla scrittura della notazione, scaturisce sempre dall’esperienza

musicale e nasce quindi da un approccio esplorativo e sperimentale, non da premesse

astratte e teoriche;

b) la musica, soprattutto nella fase del primo apprendimento, non è separabile dalle altre

attività espressive (linguaggio, gesto, immagine, danza); tali attività si intersecano, si

associano, si confrontano, mutuano spunti l’una dall’altra, trovando la massima coesione

nell’approccio fantastico e creativo e impiegando come materiale tutto ciò che appartiene

al loro potenziale comunicativo: suono corporeo, verbale, vocale e strumentale, linguaggio

e canto, gesto, passo, movenza, mimica; il tutto confluisce in modelli di performance

(drammatizzazione, pantomima, coreografia, teatro-musica) che rappresentano l’esito

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naturale della pedagogia orffiana e che vanno intesi non già come riproduzione di eventi

preordinati ma come rappresentazione organizzata della propria esperienza artistica,

individuale e collettiva, oltre che come dimostrazione delle competenze contestualmente

acquisite;

c) la pratica dell’improvvisazione e della composizione elementari, l’elaborazione in

prima persona di strutture e forme sonore adeguate via via ai diversi stadi dell’evoluzione

psicomotoria, attuate mediante sperimentate tecniche metodologiche e col sussidio di uno

strumentario didattico concepito ad hoc (lo strumentario Orff), perfettamente integrabile

con strumenti d’arte (archi, chitarre, fiati) e con strumenti d’uso (tastiera elettronica, basso

elettrico) restituisce al bambino il suo ruolo di effettivo protagonista, soggetto e non

oggetto dell’azione educativa;

d) l’attività musicale è collettiva e mira, oltre che a tradurre l’esperienza musicale in

apprendimento, a contribuire alla formazione complessiva della persona, alla sua

socializzazione, allo sviluppo delle sue capacità intellettive e creative, all’allenamento ed

all’affinamento delle sue facoltà psico-motorie, e diventa, in tale prospettiva, un mezzo

oltre che uno scopo;

e) da ogni esperienza musicale discendono le adeguate fasi di riflessione estetica, formale

e storica, le prime acquisizioni tecnico-esecutive e le necessarie deduzioni di stampo

teorico-razionale, sempre nel rispetto del momento evolutivo degli allievi con cui si

lavora; ciò conduce ad una conoscenza molto ben interiorizzata - in quanto personalmente

sperimentata - non solo delle diverse musiche possibili ma del fenomeno musicale in sé.

Volendo esprimere i medesimi contenuti in forma più assiomatica, possiamo

indicare i presupposti della pedagogia orffiana mediante le seguenti proposizioni “a

contrasto”:

- la concretezza dell’esperienza musicale (contro le ancor oggi abituali astrazioni

didattiche);

- la sua stretta fusione con i mezzi espressivi della voce e del corpo (contro la divisione in

specificità di genere troppo rigide);

- la spinta all’elaborazione creativa personale, attraverso l’improvvisazione e la

composizione elementare (invece della mera riproduzione di musiche pronte);

- l’elementarità (cioè la prototipicità) dei modelli musicali, e con ciò l’ampia adozione di

materiali popolari e multietnici, l’uso di bordoni, ostinati, delle pentafonie e della modalità

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(contro l’uso di musiche colte semplificate ad uso infantile o a carattere armonico-tonale

troppo schematico e assolutistico);

- il percorso dall’esperienza alla conoscenza musicale, e non viceversa: quindi l’uso di

musiche diverse comprese quelle dell’esperienza quotidiana: il rock, il popular, ecc.

(contro la restrizione dell’apprendimento musicale all’area e alle regole della musica

‘colta’);

- l’utilizzo di strumenti d’uso accessibili, a produzione sonora diretta, adatti ad un rapporto

corporeo immediato e coinvolgente (invece che strumenti tecnologicamente evoluti o a

produzione sonora mediata e complessa);

- lo sbocco naturale di tutto questo in pratica collettiva e forme di drammatizzazione

scenico-musicale (piuttosto che l’esercitazione solitaria e l’esibizione solistica)12.

3.1.3 Il metodo Kodaly

Cogliendo le tradizioni culturali del suo popolo, Zoltan Kodaly sviluppò una

didattica musicale fondata esclusivamente sulla voce e basata su parametri come l’altezza

dei suoni, gli intervalli, l’intonazione, il canto. Già lavorando da tempo nella ricerca dei

canti popolari della sua terra, aveva maturato la convinzione che il bambino potesse

imparare la musica facilmente, così come impara a parlare ed a comunicare senza gli

sforzi di uno studio mnemonico e ripetitivo. E raccogliendo canti, filastrocche, ninne

nanne e altre facili canzoncine infantili, si rese conto di poter disporre di un repertorio alla

portata dei bambini, dagli stessi continuamente fruito per il loro gioco, e quindi eseguito

senza difficoltà. Si convinceva, riflettendo su tali questioni, che allo stesso modo di come

il bambino apprende a parlare mediante le prime lallazioni parlate, allo stesso modo

l’apprendimento musicale può trovare riscontro nelle prime lallazioni cantate, che fanno

parte del patrimonio ambientale, linguistico, storico, culturale ed etnico di un popolo.

Inoltre, riteneva che gli autentici canti popolari dei bambini fossero ricchi di

contenuti e finalità pedagogiche, dal momento che contribuivano all’inculturazione del

piccolo mediante riferimenti, giochi di conoscenza, coordinamento dei movimenti,

12 G.Piazza, Orff-Schulwerk- Musica per bambini, Milano, Suvini-Zerboni, 1979.

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apprendimento di vocaboli e nozioni contenute molto frequentemente nei canti utilizzati

per i bambini e successivamente dai bambini per il loro gioco13.

Queste preliminari considerazioni portarono Kodaly ad ipotizzare perciò un

metodo che favorisse il bambino nella sua espressione musicale fin dai primissimi anni

della sua vita, a cominciare dalla scuola d’infanzia e poi via via nelle tappe scolastiche

successive. Alla scuola materna il musicista fornì un ricco repertorio di piccoli pezzi, di

facile esecuzione grazie alla loro semplice struttura ritmica e alla predominanza della scala

pentatonica, che è caratterizzata dai cinque suoni della scala temperata senza i semitoni e

sulla quale il Kodaly basò gran parte del suo metodo.

La convinzione del musicista ungherese era infatti che il canto fosse un’attività

completa, che permetteva all’individuo di venire a contatto con la musica e di

comprenderla, anche perché cantando partecipava direttamente all’evento musicale,

eseguendolo in tutti i suoi aspetti.

E per questo non prevede l’utilizzo di altri sussidi o strumenti, come ad esempio

Orff, né interventi corporei e motori, come ancora lo stesso Orff e Dalcroze, ma valorizza

esclusivamente la voce, secondo precise indicazioni di modalità esecutive che prevedono

inizialmente l’apprendimento del canto a memoria dietro la guida ed il coordinamento del

gesto dell’insegnante, poi la lettura delle note e il canto a prima vista.

Questo metodo prevede, ancor più degli altri citati, una buona conoscenza da parte

dell’insegnante, sia della musica che del metodo stesso, il che rende la proposta di non

facile attuazione nelle scuole. Inoltre i principi su cui si basava Kodaly, concreti nella sua

terra e negli anni in cui visse e operò, non furono in Italia molto presenti e non lo sono

tutt’oggi.

Certamente le proposte di Kodaly, in linea di massima, possono trovare qualche

riferimento nell’attuale didattica, restando però valide soltanto per l’apprendimento del

canto in quanto tale , quindi con obiettivi ben precisati e definiti nell’ambito di uno

specifico apprendimento musicale.

13 Z.Kodaly, Ruolo del canto popolare nella musica russa ed in quella ungherese, 1946.

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3.1.4 Il metodo Willems

Più che metodo, quello di Willems è uno studio ampio ed organico sulla musicalità

infantile, e sulle possibilità che tutti hanno di fare musica seguendo le istanze naturali;

partendo quindi dal bambino e non dalla disciplina. Questo concetto, apparentemente

elementare, è invece assai nuovo spesso ancor oggi, quando si tende a sviluppare percorsi

in espansione di difficoltà, senza però tener conto delle possibilità anche psicologiche del

bambino e dei suoi modi di apprendimento.

Molto prima di Piaget, Willems conduceva studi sulla psicologia della musica in

rapporto con quella del bambino. Si rifaceva, per questo, a studi dell’epoca, e diverse sue

posizioni sono oggi discutibili anche alla luce delle nuve scoperte psicologiche ed agli

studi più recenti. Ma nella maggior parte dei casi, egli fece delle grandi intuizioni,

attualmente oggetto di studio. Analizzando il comportamento della natura umana e del

bambino, egli volle formulare delle indicazioni di lavoro e del bambino, egli volle

formulare delle indicazioni di lavoro che non possono definirsi metodo, e neppure percorsi

didattici, in quanto non sono altro che spunti, esempi di lavoro. Ma con i suoi studi ha

offerto indubbiamente materiale importante per costruire metodologie musicali coerenti

con le varie situazioni, magari diverse tra loro, ma rispondenti a bisogni effettivi

dell’infanzia, dell’ambiente, della cultura locale, ecc.

Willems studiò in particolare il rapporto tra la musica e il bambino cominciando a

considerare anche i piccolissimi di 2-3 anni14. Analizzò il comportamento infantile di

fronte allo stimolo acustico, proponendo l’uso di piccoli strumenti sonori anche non

strutturati, per favorire nel bambino una corretta educazione dell’orecchio sia acustico che

musicale: proponeva per questo opportuni riconoscimenti di suoni e rumori, appaiamento

di strumenti affini, seriazioni sonore, graduazioni di timbro, di intensità, ecc.

Studiò la questione del canto e della sua formazione nel bambino fin dalla nascita,

proponendo poi canzoncine assai semplici ma alla portata dell’esecuzione dei piccoli, e

dando interessanti suggerimenti per la loro esecuzione, valorizzando opportunamente

anche il timbro, ma senza gli accorgimenti motori propri di Dalcroze o di Orff.

Però approfondì sistematicamente gli studi sull’orecchio musicale, sulla

formazione della musicalità anche in relazione all’ascolto della musica, elaborando una 14 E. Willems, L’educazione musicale dei piccolissimi, traduzione e cura di G.L. Zucchini, Brescia, La Scuola, 1975

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concezione psicologica in parte fondata sul comportamentismo, in parte sulla visione

spiritualistica dell’uomo, dove l’affettività e la spiritualità avessero parte rilevante nella

considerazione dei sentimenti scaturiti dalla musica e dall’ascolto musicale.

Più che un didatta della musica, Willems può essere considerato uno studioso del

problema musicale nella prima infanzia, ed un accorto divulgatore di convinzioni e di idee

anche mediante il suggerimento di proposte pratiche. Forse la sua importanza sta proprio

qui, nell’avere cioè saputo opportunamente combinare l’aspetto teorico con quello pratico,

nell’avere in altre parole offerto la motivazione di taluni comportamenti indotti dal suono

e l’esempio di come poter fare di fronte a certe questioni di apprendimento musicale.

Ma da parte sua non ci fu soltanto preoccupazione di conoscenza della musica,

come avviene in quasi tutti gli altri esponenti della metodologia musicale europea, ma

anche di un’educazione di tutto l’individuo, di tutto l’uomo mediante la musica.

Era convinzione di Willems che la musica fosse una proposta capace di offrire al

corpo (mediante il movimento ritmico) alla mente e allo spirito (cioè alle tre fondamentali

componenti della personalità: la corporeità, la razionalità, l’affettività) quei contributi di

crescita e di maturazione che nessun altra attività avrebbe potuto dare con uguale potenza,

coinvolgimento e nello stesso tempo gratificazione e piacere.

Questo metodo dunque, che si dedica all’educazione musicale e alla formazione

dell’essere umano scaturisce da motivazioni filosofiche e psicologiche e pronuncia questi

concetti fondamentali:

• La consapevolezza che tra musica, essere umano e cosmo esista una stretta

correlazione.

• Il rispetto profondo dell’ordine e delle leggi naturali e gerarchiche esistenti.

• Un itinerario d’intervento didattico che si fonda sull’essenza costitutiva degli

elementi musicali e non esclusivamente sulle apparenze esteriori e superficiali.

• Un itinerario di sviluppo che ricalca da vicino il procedimento della lingua

materna.

L’educazione musicale di base che prende spunto dai concetti sopra enunciati si

rivolge indistintamente a tutti i bambini, dotati o non dotati dall’età di circa 3 anni. Grazie

alla sistematica e vitale formulazione degli atteggiamenti didattici si assicura lo sviluppo

dell’orecchio musicale e di un preciso senso ritmico, entrambi importantissimi per un

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futuro studio del solfeggio, dello strumento o di qualsivoglia ulteriore disciplina

musicale.15

Le basi psicologiche di una tale educazione non si esauriscono nei corsi di iniziazione

musicale per bambini né nella successiva preparazione al solfeggio e allo strumento.

Mantengono intatto il proprio valore educativo anche nell’insegnamento scolastico ed

oltre, che si tratti di attività vocale o strumentale, svolta professionalmente o

amatorialmente ed esercitano un positivo influsso nell’educazione di bambini ritardati,

portatori di handicap o invalidi.

Le basi fondate sul ritmo “ vivo” e sul suono “ vivo” , con tutte le sue peculiarità, sono

senza dubbio importanti anche per la professione futura. Essi sono alla base di

un’esecuzione strumentale “ viva” e musicale, sono essenziali nello studio del solfeggio e

dell’armonia elementare, consolidando notevolmente le più diverse funzioni mnemoniche

che si instaurano sin dall’inizio dello studio sia nella raggiunta maturità musicale e

pedagogica fino al più spinto virtuosismo, e infine, grazie alla plasticità ed allo slancio

ottenuti fondendo ritmo, melodia ed armonia nell’improvvisazione, permettendo

l’acquisizione di un minimo di autonomia creatrice.

La partecipazione attiva degli allievi viene stimolata e presuppone un atteggiamento

metodologico appropriato. Utilizza elementi tratti dalla natura e dall’esperienza vissuta,

elementi che vanno dalla concretezza del suono alla sua stessa astrazione. Ciò favorisce il

passaggio omogeneo dall’istintività alla consapevolezza per giungere, in seguito, agli

automatismi.

Esclude qualsiasi procedimento extramusicale, sia che lo stesso rappresenti un

atteggiamento di fondo o semplicemente un punto di riferimento superficiale (utilizzo di

colori, disegni, rappresentazione di tonalità, storielle, giochi ecc.).

Al contrario utilizza per sperimentazione diretta elementi esclusivamente tratti dalla

musica (suono, movimento sonoro, spazio infratonale, pancromatismo, ritmo, intervalli,

accordi, melodia, scala, canzoni ecc.):

• Ricco materiale uditivo che favorisce la conoscenza delle caratteristiche del suono

per lo sviluppo dell’orecchio musicale

15 E. Willems, Le basi psicologiche dell’educazione musicale, IV edizione riveduta e corretta da Jacques

Chapuis, traduzione di Granca e Ugo Cividino, Editions “Pro Musica” Fribourg, Suisse, 1989

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• Battiti per lo sviluppo del movimento e dell’istinto ritmico, che costituisce il

fondamento della motricità vitale e del calcolo metrico

• Canzoni, scelte in modo tale da favorire sia la sensibilità musicale che il solfeggio

così come la prassi strumentale

• Un vocabolario musicale che sin dall’inizio, senza teorizzazioni, serve

semplicemente ad indicare gli elementi musicali concreti e fondamentali: tono,

intervallo, accordo, melodia, canzone, ritmo, tempo, nome delle note, ecc.

• La scala diatonica, in primo luogo, cioè la nostra attuale successione sonore ed in

seguito il cromatismo, come anche i modi antichi, la pentatonalità, l’esatonalità ed

altro. La nostra scala maggiore viene considerata innanzitutto una successione di

suoni e gradi e soprattutto un insieme di intervalli in rapporto con la tonica ( e non

un concatenamento di tetracordi diatonici di toni e semitoni);

• I movimenti naturali e caratteristici del corpo quali camminare regolare (marcia),

la corsa, il saltello, il bilanciamento, il, ad esempio, il galoppo, il movimento

rotatorio, ecc. Essi hanno come riferimento diretto la musica stessa con lo scopo di

acquisire il senso del tempo ed un marcato senso ritmico, esprimendo in modo

naturale il senso musicale del proprio corpo, e cioè: in ambito fisiologico e plastico

e in ambito espressivo

• Un solfeggio il cui sintetico programma d’insegnamento rispetta lo sviluppo

dell’orecchio nel suo insieme fisiologico, affettivo e mentale della percezione

sonora, parallelamente allo sviluppo di un senso ritmico che trae origine dalla vita

stessa, sarà sempre musicale.

Le canzoni, e soprattutto le canzoni d’intervallo, ricoprono un ruolo molto importante.

Nella decodifica di un testo (dare nome ai suoni) si esercita inizialmente la lettura in

relatività, in seguito la lettura assoluta e al più presto possibile le due insieme.

La scala Maggiore, la scala minore e in seguito altri sistemi tonali diventano oggetto di un

lavoro qualitativo e quantitativo.

Il dettato si fonda sulla memoria musicale, sull’ascolto interiore, sull’automatismo dei

nomi delle note e sulla conoscenza dei valori ritmici.

Si esercitano regolarmente sia l’improvvisazione ritmica che quella melodica.

La teoria musicale sarà avvicinata e presentata solo dopo che l’esperienza musicale sia

stata effettivamente vissuta in modo istintivo, sensoriale ed affettivo.

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Questo itinerario di sviluppo può essere schematizzato come segue:

• Vivere attivamente le esperienze musicali

• “Sentire” le stesse con sensibilità (=affettività).

• Conoscere, ciò che viene vissuto, e più tardi riviverlo con consapevolezza.

Per un massimo di esperienza interiore ci serve, quindi, solo una quantità minima di

teoria. L’insegnamento strumentale vive degli stessi principi fondamentali attribuendo un

peso maggiore all’atto musicale piuttosto che prediligere un atteggiamento didattico

prevalentemente strumentale e preferendo il “ vissuto” alla perfezione formale: suonare

uno strumento richiede il contributo armonioso dell’intero essere umano e della sua vita

interiore(dinamica, percezione sonora “ il sensoriale” , sensibilità e intelligenza).

L’atteggiamento del corpo, della mano e delle dita si identifica con le leggi vitali che

sono condizioni prioritarie nella prassi strumentale. Non si suona con le dita – cioè

esteriormente, così come spesso si sente affermare – ma si trasmette “attraverso” le dita,

che grazie alle terminazioni nervose ed al sistema muscolare, sono collegate all’udito, al

senso ritmico e ai diversi centri cerebrali, sia per ciò che riguarda i suoni così come per il

ritmo, gli accordi, i nomi delle note, ecc.

La prassi strumentale compendia in sé 4 settori diversi, ma tra loro complementari:

1. Suonare “ad orecchio” , nella ricerca e nella riproduzione di canzoni o musica

ascoltata.

2. Suonare leggendo da spartito, che può anche sfociare nella lettura a prima vista,

ciò che implica capacità e conoscenza del solfeggio così come destrezza

strumentale.

3. L’esecuzione strumentale intesa nel senso di interpretazione della letteratura

musicale classica in cui il suonare a memoria, successivo all’esecuzione con

spartito, assume un posto elettivo.

La scelta dei brani, o degli stessi studi atti al raggiungimento di particolare destrezza

strumentale, fondamentale per la conquista di un virtuosismo musicale ed artistico,

avviene a misura di allievo e proporzionalmente agli obiettivi proposti, ponendo

particolare attenzione a che per ogni disciplina, non si dimentichino i valori intrinseci.

4. L’improvvisazione, che rappresenta l’esternarsi di una situazione spirituale o di un

suonare musicale poiché dà spazio alle possibilità strumentali (compresa la voce).

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L’improvvisazione deve essere esercitata fin dall’inizio e può cominciare bel bambino

anche fin dal primo approccio strumentale attraverso piccole esperienze liberamente

inventate. Al posto della tecnica spesso superficiale ed esteriore, con il tempo, si

concretizza un atteggiamento musicale che è necessario per attivare le fondi ritmiche

vitali, rendendo palpabili le relazioni tra suono, melodia ed armonia.

Questo atteggiamento sviluppa la musicalità, conserva lo slancio interiore; ed è

soltanto la musica vissuta e sentita interiormente a permettere i progressi strumentali.

Viene attribuita grande importanza all’ordine dei suoni, del nome delle note, delle dita,

della diteggiatura e della tastiera. Allo stesso modo ci si deve preoccupare di coordinare

tra loro le diverse memorie musicali e strumentali16.

3.1.5 Il metodo Giordano Bianchi Giordano Bianchi è insegnante musicista e musicoterapeuta, fondatore di un

sistema pedagogico musicale e figura che ha saputo e sa fare musica con bambini ed

educatori.

Attraverso una lunghissima esperienza con allievi normodotati e svantaggiati, il

metodo è impostato su un itinerario musicale di base che può essere utilizzato in due

direzioni:

1. proponendo attività di educazione al suono ed alla musica di tipo animativo e

creativo, rivolto ai bambini in età prescolare e scolare, in una prospettiva formativa

e preventiva attenente anche all'integrazione partecipativa di soggetti portatori di

handicap;

2. praticando programmi rieducativi che partendo dal codice sonoro-musicale

puntano ad un'attivazione e ad un recupero funzionale di bambini e ragazzi

svantaggiati, in diverse aree dello sviluppo mentale.

Si tratta dunque di un approccio basato su criteri di globalità e interdisciplinarità, che

pur privilegiando il linguaggio sonoro e i suoi codici, si proietta costantemente su altre

aree dell'apprendimento: quella ludico-espressiva, quella psicomotoria, quella verbale e

logico matematica.

16 Cfr. di E. Willems: Il ritmo musicale, Torino, SEI, 1966; L’orecchio musicale (2 voll.), Padova, Zanibon, 1970-1972.

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Tale metodo è il frutto, con successive rivisitazioni ed integrazioni da parte del

fondatore, delle proposte per una nuova educazione musicale di base, fatte da Dalcroze,

Orff, Kodaly, Willems (ecc), ed anche in questo metodo troviamo il principio della piena

operatività del bambino in tutte le sue esperienze uditivo-musicali: percezione,

manipolazione, selezione, registrazione, analisi, produzione e notazione.

Nel suo metodo, Giordano Bianchi, associa la parte ritmo-musicale ad

un'esperienza di vissuto corporeo, praticata gioiosamente e tendente alla coordinazione

funzionale. Il bambino, grazie ad un andamento ritmico del movimento e ad una

percezione gestaltica della durata, facilita l'elaborazione di quei processi psicomotori

basati su un progetto d'azione.

Corpo, movimento e tempo sono categorie indipendenti, rispetto alle quali il ritmo

percepito, interpretato corporalmente, riprodotto e reinventato musicalmente svolge una

funzione di "organizzatore psichico", sia sul piano motorio che su quello espressivo.

Si rilevano due perni principali di questa metodologia:

1. legame tra suono e gestualità;

2. legame tra movimento organizzato e suoni.

Il suono viene sempre messo in relazione al gesto: percussione e sfregamento sono le

tappe di percorsi di scoperta, di manipolazione, di organizzazione dei suoni, secondo un

procedimento che, partendo da un livello di massima semplicità e informalità guida il

bambino verso risultati più complessi e formalizzati.

D'altra parte il gesto è sempre potenzialmente suono, inteso, in questo caso, come

azione strumentale oppure come vettore di comunicazione con altri bambini ed, il

movimento e l'esecuzione, sono sempre al centro dell'attenzione e dell'intenzione

educativa. Il gesto divenuto così simbolico, segna i vari percorsi del suono (acuto, grave,

lungo, corto, ecc) trasformandosi successivamente anche in materiale grafico che, subendo

diverse trasformazioni, arriva a diventare segno musicale; in questo modo si andranno a

rinforzare i rapporti stabiliti tra schemi-motori-musicali e schemi mentali.

Per quel che riguarda il secondo punto (precedentemente citato) riguardante la

metodologia Bianchi, possiamo dire che, il linguaggio musicale, codificato dal bambino in

base alle sue possibilità, diviene un territorio che aiuta a comprendere alcune procedure di

trasformazione del pensiero atte a costruire nuove mappe cognitive come, ad esempio, la

trasformazione del suono-gesto intesa come invenzione creativa di nuove formule sonore.

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Il territorio musicale diviene il ricettacolo di piste esplorative dove tutto può cambiare ed

essere contemporaneamente tenuto in memoria.

Suono e movimento si coniugano allora con ritmo, tempo e spazio e l'esperienza

musicale arriva ad attivare e sviluppare alcune capacità di base di tipo psicomotorio

(schema corporeo) e cognitivo (attenzione, percezione cognitiva e discriminativa).

La metodologia fin qui illustrata è basata quindi su delle "codificazioni" reciproche

tra informazioni uditive, motorie, visive tattili e cinestetiche; tramite continui passaggi dal

movimento al suono e al segno, l'attività musicale appare come un'opportunità per il

bambino di procedere a semplici trasformazioni fra i differenti codici: quello sonoro,

quello gestuale, quello grafico e quello verbale; essa punta, così direttamente, alla

promozione e al rinforzo dei processi cognitivi elementari del bambino e propone

l'esperienza musicale come un vero e proprio "organizzatore mentale".

L'animazione musicale è uno dei mezzi per superare l'eterogeneità di un gruppo;

altra rilevante finalità è quella di inserire nel gruppo le persone che hanno difficoltà

(soggetti svantaggiati, portatori di handicap integrati nelle comuni strutture scolastiche).

L'animazione musicale non prevede l'insegnamento della musica in modo tecnico e

tradizionale (attraverso la complessa teoria del solfeggio) sostenente che la materia sia

accessibile solo ai pochi dotati, ma ha lo scopo, passando attraverso le sue interdiscipline

(espressione corporea, grafico-pittorica, logico-matematica, il linguaggio verbale, il

tempo…) di educare, attivando la globalità degli individui (attraverso la partecipazione

attiva), in un modo ludico, che riuscisse a creare uno stimolo di ricerca e quindi di

interesse verso questo argomento.

Per lo sviluppo dei programmi ed il raggiungimento degli obiettivi viene utilizzato

in maniera prioritaria il gioco, coinvolgendo: mente, corpo, voce, grafica e disegno.

Il lavoro può essere esteso attraverso seguenti laboratori:

• animazione e didattica musicale di base;

• mimo - teatro e musica;

• voce - flauto e musica d'insieme;

• sonorizzazione e drammatizzazione;

• tecnica vocale, didattica e direzione di coro;

• studio della tastiera (primi elementi teorico pratici);

• danza contemporanea;

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• elementi pratici e compositivi;

• immagini linguaggi e media espressivi;

• danza Sudamericana;

• psicomotricità e musica;

• danza medioevale e rinascimentale;

• voce - Recitazione e musica.

• Alcuni dei principali obiettivi raggiungibili, attraverso le attività proposte, sono:

• stimolazione delle capacità senso - percettive;

• sviluppo delle capacità di intonazione;

• coordinamento audio - motorio ed oculo - manuale;

• giochi per la stimolazione e la conoscenza del proprio corpo e della sua simmetria

in associazione al ritmo, all'imitazione gestuale a specchio, all'ortofonia, alla

memorizzazione ed all'associazione di un antecedente con un suo conseguente;

• ascolto partecipato;

• auto ascolto con ricerca ritmo - timbrica su vari strumentini;

• avvio alla musica d'insieme ed alla sonorizzazione;

• giochi per l'acquisizione dei concetti spazio - temporali;

• prontezza di riflessi e associazione uditiva e visiva attraverso il coordinamento

ritmo - simmetrico; in associazione alla parola e per evidenziare con il corpo e

graficamente l'altezza dei suoni;

• quantità e successione cronologica;

• lateralizzazione;

• approccio alla simbolizzazione grafica;

• sonorizzazione ed espressione corporea;

• intonazione vocale e relativo avvio alla creatività;

• avvio alla discriminazione vocalica in associazione al simbolo gestuale e all'altezza

del suono;

• espressione grafica guidata, per l'acquisizione del senso orizzontale, verticale e

rotatorio;

• sviluppo della percezione uditiva e tattile, mediante giochi di discriminazione dei

materiali sonori metallici e non metallici;

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• utilizzazione di strumentini didattici e del loro contrasto timbrico nell'espressione

"orchestrale" e nella sonorizzazione di semplici pantomime;

• socializzazione attraverso espressioni ludico - affettive

• sviluppo delle capacità logico - matematiche;

• prelettura di cellule verbo - ritmiche più semplici;

• oggettivazione grafica della struttura ritmica delle parole;

• acquisizione ritmo melodica;

• orientamento nello spazio in base al solo udito;

• avvio all'uso di uno strumento semplice che oggettivizzi i suoni;

• avvio degli studi su vari strumenti.

3.2 Metodi di educazione musicale per l’asilo nido

Nei prossimi paragrafi presenterò brevemente due metodi che sto ancora studiando

e approfondendo per l’educazione musicale nei bambini piccolissimi dei centri infanzia

3.2.1 Il metodo Delalande

Tutti i genitori, tutti gli educatori sanno che i bambini producono suoni, con

evidente piacere, prima con la voce, poi con tutti gli oggetti che capitano loro tra le mani.

E’ così che verso il primo anno amano i cigolii, gli sfregamenti e possono trascorrere

parecchi minuti a sfregare con un cucchiaio su un calorifero o a trascinare una sedia sul

pavimento ottenendo delle modulazioni sonore che i genitori non apprezzano sempre nel

loro giusto valore. Non tutti i genitori sanno che questi comportamenti sono già una forma

di invenzione musicale.

In genere si è studiato l’attività senso-motoria del bambino dal punto di vista dello

sviluppo psicomotorio o dell’intelligenza pratica, o nell’ottica della comunicazione se si

tratta delle prime vocalizzazioni, ma molto poco come una forma di attività musicale.

Tuttavia queste esplorazioni che osserviamo possono essere considerate come

l’avvio di comportamenti musicali per almeno tre ragioni. Anzitutto perché padroneggiare

un gesto per ottenere una certa qualità di suono è il lavoro quotidiano di uno strumentista.

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La musica, di solito, nasce dal gesto, da un gesto finemente controllato, regolato

per “accomodamento”, adeguando l’articolazione della mano, il peso del braccio, la

pressione dell’aria alla risposta meccanica dello strumento per ottenere quella particolare

sonorità prescelta. E’ proprio questo controllo senso-motorio che esercita il bambino

quando trascina la sedia sul pavimento. Ma su questa esperienza senso-motoria si

costruisce, per il bambino come per il violinista, un simbolismo del gesto e del

movimento.

Un suono è vigoroso o leggero, delicato o aggressivo, perché il gesto che l’ha

prodotto possiede lo stesso carattere espressivo. Proprio per questo, il bambino acquisisce,

nei primi anni di vita, un vocabolario di equivalenze tra la gestualità e la vita affettiva. E’

sulla base di questa esperienza che per lui una frase musicale sarà leggera, delicata o

vigorosa. Infine, l’esplorazione è uno fondamenti dell’invenzione.

Dal primo anno di vita, l’attività senso-motoria dà luogo a delle “reazioni

circolari”: se il bambino produce per caso un suono che lo sorprende o lo interessa, ha la

tendenza a ripetere il gesto che lo produce dieci o venti volte. All’età di otto mesi è anche

capace di modificare leggermente il gesto per ottenere un ventaglio di suoni leggermente

differenti. Non esplora più l’oggetto materiale che produce rumore, ma piuttosto questa

varietà di espressioni sonore. La sua attenzione si è spostata dall’oggetto al risultato

sonoro e alle sue variazioni.

Per noi musicisti, questo passaggio è fondamentale. Se spogliamo degli aspetti

tecnici e culturali le strategie della creazione musicale troviamo che il cuore

dell’invenzione è proprio questo stessa condotta psicologica: una trovata sonora è uscita,

un po’ per caso, dalla fantasia o è nata sotto le dita, e coglie l’interesse del musicista tanto

che egli ha piacere a ripeterla facendone delle variazioni. E’ quello che chiamiamo una

“idea musicale” – può trattarsi di un tema, di un motivo ritmico, uno slancio dinamico,

una miscela di suoni…- e l’arte di scoprirne tutte le sfaccettature si chiama sviluppo.

Scegliere, nel corso dell’esplorazione, una trovata sonora e svilupparla attraverso

variazioni è una condotta che appare nel bambino prima di un anno.

Il gioco senso-motorio, le reazioni circolari e l’esplorazione sonora che ne

risultano sono dei comportamenti spontanei, nel senso che non c’è bisogno dell’intervento

di genitori o di educatori perché si manifestino.

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Ma l’esplorazione sonora può essere scoraggiata, o al contrario, arricchita se le

condizioni, i materiali, l’atteggiamento degli adulti la favorisce. Come fare? Quali sono i

fattori di rinforzo? Come si sviluppano i comportamenti di esplorazione? Queste sono le

domande che ci poniamo, questo è l’oggetto della ricerca di Delalande. Non ci si

avventura su un terreno completamente sconosciuto. Come capita spesso nel campo della

ricerca, si tratta di conoscere meglio qualcosa che si conosce già, ma male. Oltre ai

genitori che vedono e ascoltano quotidianamente i loro bambini, il gruppo di Delalande ha

in due riprese sviluppato delle campagne d’osservazione sistematica del comportamento di

esplorazione sonora nell’asilo nido. Una volta a Parigi, con Jean-Luc Jéréquel, dal 1983 al

1985 (se ne possono trovare delle tracce su Bambini anno IV, n.1, gennaio 1998) e poi a

Firenze, con Marco Geronimi, nel 1991 e nel 1992.

Queste due campagne hanno fornito un corpus di osservazioni estremamente ricco,

da cui si potrebbe già concludere (non rilevando che i punti essenziali):

- che effettivamente, a partire dai sei mesi, un bambino messo davanti a uno

strumento musicale e lasciato solo si dedica, in un rilevante numero di situazioni, a

esplorazioni di parecchi minuti, - che effettivamente, come si poteva immaginare, il suono

è un fattore di rinforzo essenziale (un tamburello dai suoni sordi non interessa per molto

tempo i bambini);

- che la presenza o assenza di un adulto è una variabile importante di cui bisogna

conoscere meglio gli effetti.

François Delalande è uno degli autori più apprezzati a livello internazionale nel

dibattito sull'educazione musicale; è psicologo, pedagogista musicale e direttore delle

ricerche teoriche del Gruppo Ricerche Musicali dell' Istitut National del l'Audiovisuel

(INA) di Parigi. Sin dagli anni settanta ha rivolto i suoi studi alle condotte d'ascolto e di

produzione della musica, con particolare attenzione ai bambini. Attualmente insegna,

presso la Scuola di Animazione musicale promossa dal Centro Studi "Maurizio Di

Benedetto" di Lecco. Le sue opere sono state tradotte in diversi paesi europei, in America

latina, in Cina e Giappone. Nel nostro paese ha pubblicato diversi articoli e la raccolta di

saggi Le condotte musicali. “La Musique est un jeu d’enfant” (La musica è un gioco da

bambini) fu pubblicato per la prima volta nel 1984, anche se delle successive edizioni

sono apparse nell’84, 90,94 e 97.

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L'ipotesi fondamentale di Delalande è dimostrare come il bambino, nel suo gioco

spontaneo con i suoni, faccia della musica già dai primi mesi e come l'approccio del

neonato non sia dissimile rispetto a quello del musicista adulto.

Il libro mette a disposizione degli educatori musicali uno strumento utile ed

innovativo; l'educatore non viene più visto come colui che "insegna" la musica e introduce

l'allievo in un mondo di regole sempre più complesse, ma come una figura che affianca il

bambino nella sua progressiva scoperta del suono offrendogli nuove occasioni di

sperimentazione.

L'autore illustra in forma di dialogo in modo schematico e preciso le principali

caratteristiche dell'educazione musicale ed i metodi per educare all'ascolto ed offre anche

molti suggerimenti pratici per il lavoro educativo, dall'asilo nido in poi. Egli pone la

pedagogia della musica al centro di una riflessione che guarda alla psicologia,

all'antropologia musicale e alle esperienze della musica contemporanea.

L’ipotesi centrale di questo libro è molto chiara: il bambino, nel suo gioco spontaneo con i

suoni, fa, già dai primi mesi di vita, della musica; quest’attività deve quindi essere

considerata, valorizzata e sottratta alla banale sfera del “rumore”. Quest’affermazione è

sostenuta dal nostro autore con molti diversi dati e osservazioni, sulla cui origine

torneremo in seguito, ma soprattutto con la considerazione che le principali condotte e

motivazioni musicali del bambino sono largamente sovrapponibili a quelle del musicista

adulto, sia nella nostra sia in altre culture. Il concetto di condotta è diventato, da diversi

anni, fondamentale per comprendere il pensiero di Delalande ed è già ben presente in

quest’opera, anche se il termine specifico vi è impiegato raramente.

Il termine condotta fu introdotto in psicologia dal francese Pierre Janet e si distingue da

quello di comportamento in quanto designa una serie di azioni coordinate tra loro in una

strategia con un fine. Due sono quindi gli elementi che caratterizzano una condotta: il

coordinamento di più azioni e l’avere una finalità. Quando usiamo il termine di condotta

dobbiamo quindi porre la massima attenzione sul coordinamento tra gli atti compiuti e

l’intenzionalità del fare musica, avendo delle attese e delle motivazioni relative alle

proprie azioni. Come vedremo, le condotte alla base dell’attività musicale del bambino,

come dell’adulto, sono tre: l’esplorazione, l’espressione e l’organizzazione.

Mi sembra necessario, tuttavia, per contestualizzare, le ipotesi e le proposte di François

Delalande contenute in questo libro, compiere un passo indietro per chiarire a quali diversi

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contributi, ricerche e suggestioni egli abbia fatto riferimento per giungere alle conclusioni

de La Musica è un gioco da bambini.

I grandi punti di riferimento di Delalande sono, in questo caso, soprattutto tre,

provenienti da altrettante diverse discipline o campi d’esperienza e ricerca: la musica

contemporanea, in particolare nella sua corrente concreta, l’antropologia della musica e

l’epistemologia genetica di Jean Piaget.

Iniziamo con l’esaminare il contributo proveniente dalle esperienze della musica

concreta. La musica concreta ha avuto, in Francia, negli anni sessanta e settanta, un

notevole sviluppo, senz’altro superiore a quanto sia accaduto in Italia. I musicisti

concreti si propongono di fare musica attraverso l’esplorazione e la manipolazione di

oggetti e di sonorità che fanno parte della vita quotidiana, eventualmente proponendone

una rielaborazione elettroacustica. E’ il caso, per esempio, di Pierre Henry, che compone

Ventisette variazioni per una porta e un sospiro in cui il materiale sonoro è costituito dai

cigolii della porta di un vecchio granaio e dall’emissione del respiro del compositore,

appena rielaborati elettronicamente e montati su nastro magnetico. Un lavoro, quello di

Henry e di altri compositori, che si è avvalso in modo imprescindibile delle ricerche e

delle sperimentazioni elettroacustiche di Pierre Schaeffer, autore tra l’altro del Traité des

Objets Musicaux, pubblicato a Parigi nel 1966. Se è vero che gli anni cinquanta e sessanta

furono caratterizzati in tutto il mondo dalla sperimentazione elettroacustica, va segnalata

una particolarità francese, che è proprio il contatto con la musica concreta. Anche l’Italia

fu coivolta, per esempio dalle ricerche dell’Istituto di fonologia musicale della Rai di

Milano, che tuttavia erano centrate principalmente sulla produzione di nuove sonorità; al

contrario in Francia la ricerca fu maggiormente rivolta all’elaborazione e al trattamento di

suoni già presenti in natura.

Il pensiero di Delalande è maturato, così, in un clima musicale in cui la

tradizionale distinzione tra “suono” e “rumore” era messa messa totalmente in

discussione; se ammettiamo, con Henry (ma anche con molti altri, come John Cage o in

Italia Giuseppe Chiari), che si possa fare musica facendo cigolare la porta di un granaio, o

trascinando un aspirapolvere su un palco o infine rompendo oggetti di vario materiale

davanti a un microfono, la nostra attenzione si sposta sulla qualità di tutti i suoni prodotti e

producibili e sulle concrete azioni e condotte che si possono impiegare per esplorare i

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suoni e usarli per esprimersi. Un punto di vista, quest’ultimo, che avvicina sempre di più il

gioco musicale del bambino all’attività del musicista adulto.

Lo sviluppo della musica concreta pose inoltre, sempre nel contesto francese, un

altro tema di ricerca. Fu infatti proprio il già citato Pierre Schaeffer che all’inizio degli

anni sessanta iniziò a porre, combinando le esperienze della musica concreta con quelle

della musicologia comparata, , il tema della necessità di un “ritorno alle origini” nella

definizione dell’attività musicale. Si trattava, secondo Schaeffer, di indagare il problema a

un livello più profondo dello studio delle singole “lingue” musicali, centrando piuttosto

l’attenzione sui comportamenti e le motivazioni di chi fa musica. Quindi, secondo

Schaeffer, si affermava la necessità di un “ritorno alle origini” del fatto musicale, che

affrontasse il problema al di là delle specifiche e particolari espressioni culturali.

E’ noto che una delle questioni che hanno affascinato gli studiosi di musicologia

comparata e in seguito di etnomusicologia è stata la ricerca degli universali musicali, vale

a dire di formule ritmiche, di disegni melodici, di intervalli, di scale, che fossero comuni a

tutte le culture musicali. Questa ricerca si è rivelata infruttuosa; non esistono infatti, a

livello delle strutture udibili, degli universali musicali. Le intuizioni e le proposte di

Schaeffer correvano in parallelo, peraltro, con ricerche e posizioni che emergevano in altri

paesi.

Alam Merriam, nel suo Anthropology of Music, aveva posto sin dall’inizio degli

anni sessanta la questione dell’universalità dell’attività musicale in termini innovativi,

definendo la musica un universale come comportamento, ma non come lingua. Merriam

osserva che tutti i popoli fanno musica, con motivazioni, funzioni sociali, significati

simbolici a volte anche molto simili tra loro; le scale, i ritmi, le melodie, gli stili vocali e

strumentali sono tuttavia assolutamente irriducibili a dei tratti comuni. Le osservazioni di

Merriam tracciarono la via in cui si inserì, qualche anno più tardi, un altro antropologo

della musica, John Blacking, che all’inizio degli anni settanta pubblicò un’opera dal

significativo titolo How musical is the man? (Come è musicale l’uomo?). Sin dal titolo, il

lavoro di Blacking chiarisce il suo progetto di ricerca, volto a svelare le basi profonde

della musicalità umana. Secondo Blacking, la musica è articolata in due strati o livelli: uno

profondo, costituito dai processi cognitivi e biopsicologici che stanno alla base del fare

musica e che egli suppone simili presso popoli e culture anche molto lontane tra loro e uno

di superficie, costituito invece dalle concrete forme udibili assunte dalla musica, che sono

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al contrario peculiari di ciascun contesto culturale. La teoria di Blacking può in qualche

misura essere apparentata a quanto Noam Chomsky sostiene a proposito del linguaggio

verbale, quando postula l’esistenza di una capacità innata nell’uomo a pensare e comporre

migliaia di frasi, vale a dire della predisposizione a usare il linguaggio, che si esplica in

seguito attraverso una lingua specifica determinata dal contesto ambientale e culturale in

cui si trova il parlante17.

Il contributo di John Blacking è decisivo per riequilibrare l’attenzione tra il

prodotto musicale e il processo intenzionale che porta alla sua realizzazione; peraltro, se è

vero che da molti anni gli etnomusicologi si sono occupati di raccogliere e analizzare

musiche dei popoli più diversi, solo in tempi più recenti gli antropologi hanno iniziato a

indagare comportamenti, condotte e motivazioni di ciò che Blacking definisce “l’uomo

come music-maker”.

Alla ricerca del modello interpretativo utile per leggere la musicalità umana, del

bambino come dell’adulto, Delalande offre, come vedremo, una sua risposta originale

applicando all’attività musicale lo schema proposto da Piaget a proposito dello sviluppo

del gioco infantile.

Infine, il terzo contributo che confluisce nell’elaborazione di François Delalande

è la teoria del gioco infantile di Jean Piaget. Come è noto, Piaget distingue tre grandi fasi

nello sviluppo del gioco infantile: senso motoria o d’esercizio, simbolica e di regole.

Delalande, anche attraverso la collaborazione di vari insegnanti, analizza in modo

rigoroso il gioco sonoro del bambino alla luce dello schema piagetiano; ciò che è più

significativo, tuttavia, é che secondo il nostro autore, anche le pratiche e le motivazioni del

musicista adulto possono essere interpretate seguendo lo stesso modello.

In particolare, Delalande fa corrispondere al gioco senso motorio o d’esercizio la condotta

esplorativa, basata sul lavoro di scoperta e di sperimentazione sonora. E’ la condotta del

bambino che già qualche mese dopo la nascita esplora le potenzialità sonore degli oggetti

che gli stanno intorno, applicandovi schemi sensomotori diversi (graffiare, picchiettare,

battere, strofinare) che danno luogo alla produzione di suoni differenti tra loro. Anche

l’attività di esplorazione della propria voce è coinvolta in questa condotta. Il musicista

adulto continua a impiegare la condotta esplorativa tutte le volte che cerca di ottenere dal

suo strumento o dalla sua voce una particolare sonorità: è l’esplorazione vocale del

17 J. Blacking, Come è musicale l’uomo?, Milano, Ricordi, 1986.

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cantante ma anche la ricerca del suono “giusto” da parte del flautista o del saxofonista

fondata proprio su un rapporto di tipo senso-motorio con lo strumento, la voce o il suono.

La ricerca delle sonorità che si possono ottenere da uno strumento o dalla voce ha dato

luogo anche a diversi progetti di composizione musicale: basti per tutti ricordare le

Sequenze di Berio.

La fase piagetiana del gioco simbolico si realizza, a livello musicale, nella

condotta espressiva. E’ la fase in cui il bambino attribuisce al suono la capacità di

rappresentare qualcosa, di avere un senso in un certo contesto, di evocare personaggi,

movimenti, situazioni. La musica del bambino non è più, in questa fase, soltanto l’esito

della sperimentazione di uno schema sensomotorio applicato a diversi oggetti, ma il

risultato intenzionale della volontà di esprimersi con i suoni. A proposito del gioco

simbolico, Piaget ha messo in luce come esso sia il fondamento delle attività espressive,

sia nel bambino che nell’adulto; il contributo di Delalande si pone quindi come un

approfondimento specifico sul tema dell’espressione musicale. Anche per quanto riguarda

la condotta espressiva, Delalande indica diverse corrispondenze tra l’attività del bambino e

quella del musicista adulto.

Queste corrispondenze si trovano sia nella ricerca della comunicazione attraverso il

suono sia, per esempio, nella gestualità che viene usata per accompagnare il suono (un

tema, quello del rapporto tra il suono e il gesto, a cui Delalande presta particolare

attenzione).

La terza condotta che sorge nello sviluppo del gioco musicale del bambino è quella

organizzativa, corrispondente alla fase piagetiana del gioco con regole (o di regole). Il

bambino scopre, tra i cinque e i sette anni, il piacere della regola, vale a dire di applicare

delle regole ai propri giochi, ma soprattutto, di crearne di nuove. Se si riflette attentamente

su certi giochi infantili praticati dai bambini e dalle bambine che frequentano i primi anni

della scuola elementare, non può sfuggire il fatto che alcuni di essi, come i giochi con le

figurine o il gioco “dell’elastico” abbiano la ragione del loro successo proprio nella

possibilità di essere aperti alla creazione di regole sempre nuove e diverse. Anche nel

gioco musicale possiamo parlare di gioco di regole, o meglio di condotta organizzativa

ogni volta che il bambino trova piacere nell’organizzare i suoni secondo regole che egli

stesso può stabilire. Una condotta che si prolunga, nella vita adulta, a diversi livelli, che

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possono condurre sino all’attività compositiva (l’organizzazione dei suoni) ma anche in

quella analitica (saper apprezzare l’organizzazione dei suoni).

E’ chiaro così che, dal punto di vista delle condotte, il gioco sonoro del bambino e

la pratica musicale adulta trovano, secondo Delalande, rilevanti corrispondenze; ecco

quindi chiarito il doppio significato che si può attribuire al titolo di questo libro: la musica

è un gioco da bambini perché il bambino, giocando, fa musica, ma anche perché l’attività

musicale degli adulti può essere interpretata pensando al gioco infantile. Peraltro, se

vogliamo restare all’interno dell’orizzonte piagetiano, dobbiamo ricordare come lo

psicologo ginevrino sostenga che, nello sviluppo del gioco infantile, il sorgere di un nuovo

tipo di gioco non sostituisca i precedenti, che continuano a coesistere con i successivi.

Fatto ancor più importante per i nostri fini è che Piaget sostiene che i diversi tipi di gioco

infantile sopravvivono anche nella vita adulta, dando luogo ad attività anche importanti e

significative dal punto di vista sociale (per esempio il gioco simbolico sarebbe alla base

dell’attività drammatica, il gioco di regole sosterrebbe diverse pratiche civili e sociali).

La prospettiva che si apre di fronte agli educatori musicali che accettino i postulati

di Delalande è assolutamente nuova e affascinante. Se infatti ammettiamo che il bambino,

giocando con i suoni, fa musica, e la fa praticando le stesse condotte del musicista adulto,

il ruolo dell’educatore va completamente rivisto. L’educatore, in questo quadro, deve

essere una figura che affianca il bambino nella sua progressiva scoperta del suono, che gli

offre nuove occasioni di sperimentazione, che gli propone esperienze significative per

esplorare i suoni, esprimersi con essi e attraverso la loro organizzazione; non è più colui

che “insegna” la musica e che faticosamente, attraverso un tirocinio tecnico prestabilito

introduce l’allievo a un sistema musicale dato.

E’ in questo approccio all’educazione musicale che si trova il senso del termine

éveil (risveglio) e si definisce il ruolo dell’educatore come guida e come facilitatore della

crescita musicale del bambino. Non è facile tradurre in italiano il termine éveil; si può

accettare il termine italiano di “risveglio” a condizione che si tenga conto che la pedagogie

d’éveil ha avuto sviluppo in Francia non solo a proposito della musica, ma anche di altri

campi d’esperienza e di studio, intendendo un lavoro pedagogico basato sull’attivazione e

lo sviluppo progressivo delle attitudini, motivazioni, capacità del bambino.18

Nel percorso che viene suggerito da Delalande il bambino conquista progressivamente e in

18 M. Disoteo, introduzione a “La musica è un gioco da bambini”, Milano, FrancoAngeli, 2001.

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modo personale la capacità di organizzare i suoni e di usarne i codici di comunicazione;

nella musica d’oggi, peraltro assistiamo a una grande varietà di generi e stili musicali e di

metodi di composizione. La grande varietà di espressione musicale che caratterizza il

nostro mondo è arricchita dalla conoscenza della produzione musicale di popoli anche

lontani da noi; non siamo più ai tempi di Debussy, che dovette attendere l’Esposizione

Universale di Parigi per incontrare la musica balinese.

E’ anche a partire da questi dati che Delalande critica i metodi “storici” di didattica

della musica, come quelli di Orff o Kodàly. Secondo Delalande questi metodi, pur validi

nel loro contesto d’origine, hanno una visione troppo restrittiva della musica, tendono a

proporre ai bambini un sistema musicale dato come assoluto; non è un caso, sostiene il

nostro autore, che chi è alfabetizzato con questi metodi tenda a negare valore a tutto ciò

che non è riconducibile all’immagine di musica che si è formato con essi, rifiutando per

esempio la musica contemporanea.

Abbiamo così già affrontato due questioni che si pongono nel vivo del dibattito

sull’educazione musicale: la distinzione tra la sfera del “suono” e quella del “rumore”, che

purtroppo trova ancora spazio in diverse programmazioni della scuola dell’infanzia ed

elementare e la necessità di collocare nel loro contesto storico e culturale i “metodi” di

Didattica della Musica. In parte collegata a quest’ultima problematica è una terza che è

particolarmente significativa per chiarire alcuni malintesi assai diffusi in tema di

educazione musicale: quella dell’educazione al ritmo, in particolare attraverso il

movimento.

E’ noto infatti che molti testi e metodi per l’insegnamento della musica

propongono un primo approccio alla musica attraverso attività di carattere ritmico-

motorio, nella convinzione che il ritmo sia l’elemento primario e primordiale,

antropologicamente fondato della musica. Sarebbe meraviglioso, dice Delalande, se tutte

le musiche avessero come tratto unificante il ritmo ma purtroppo sostenere ciò è falso.

Esiste una grande difformità, tra le diverse culture, su ciò che si intende con la

parola ritmo: il ritmo è per un musicista africano un concetto completamente diverso da

ciò che intende un esecutore di raga indiani.

Gli elementi che concorrono a definire un ritmo sono diversi nelle varie culture e

specifici di ciascuna di esse; in ogni caso è superficiale pensare che il ritmo sia

concepibile soltanto come un’alternanza di impulsi misurati forti e deboli: non è così in

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molte culture, ma nemmeno nella musica contemporanea europea o, per andare a ritroso

nel tempo, nel canto gregoriano. Si tratta allora, più proficuamente, di accettare

l’affermazione, assolutamente fondata, che la prima esperienza musicale è corporea, ma di

evitare di ridurre questa esperienza alla metrica ritmica occidentale.

Per Delalande la musica d’oggi sta ritornando a essere una musica del suono e del

gesto, e proprio su quest’ultimo punto si incentrano alcune affermazioni e intuizioni di

grande rilievo. La musica si fa con le mani e con il soffio e il suono è la traccia del gesto

che lo produce, ci dice Delalande; ma sarebbe sbagliato ridurre la significatività del

rapporto tra musica e gesto solo a questo. Si tratta invece di costruire, dal versante

musicologico, una vera e propria “semiologia del gesto musicale” e da quello pedagogico

invece aiutare il bambino a sviluppare il controllo della sua gestualità attraverso

l’osservazione del suono. I bambini “entrano nella musica attraverso il gesto” e produrre

suoni significa soprattutto concatenare gesti; l’educatore deve abituarli a spostare

l’attenzione dal gesto al suo risultato sonoro, ma senza mai separarlo dalla sua radice

corporea.

Una visione, e quindi una proposta pedagogica, che va ben oltre le tante attività di

sincronizzazione ritmico-motoria piuttosto direttive e superficiali che supportano ancora

molte programmazioni didattiche. Anche in questo caso, la proposta metodologica è chiara

e va nella direzione di costruire un progetto pedagogico in cui l’educatore non impone al

bambino un determinato sistema musicale, ma lo aiuta e lo sostiene nella sua crescita

musicale, offrendogli occasioni per “risvegliare” le sue attitudini, capacità, desideri di

comunicare in forma sonora. Un progetto pedagogico, quindi, che rispetta e valorizza il

bambino e non cancella quanto di significativo e importante si realizza, a livello musicale,

già nel suo gioco con i suoni.

Su questa linea di ricerca, non sono mancati, negli ultimi anni, in Italia, diversi

contributi ed esperienze che hanno dialogato con la prospettiva musicologica e

pedagogica tracciata da François Delalande. Questi contributi hanno trovato uno spazio

particolare nella non dimenticata esperienza della rivista Progetto Uomo Musica, ma

anche altrove, grazie in particolare ai lavori e alle ricerche di Franca Ferrari, Giovanna

Guardabasso, Luca Marconi, Mario Piatti, Maurizio Spaccazocchi, Gino Stefani e di altri

colleghi, a cui vanno aggiunti diversi progetti didattici in sede locale quali il progetto

coordinato da Giovanni Curti per le scuole elementari del Comune di Reggio Emilia.

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Proprio grazie a questo contesto, ricco di proposte, contributi e fermenti innovativi,

crediamo che pubblicare oggi in lingua italiana “La musica è un gioco da bambini” possa

costituire un contributo importante in un panorama, quale quello della pedagogia musicale

italiana, in rapida e positiva trasformazione. Questa pubblicazione consente infatti di

arricchire ulteriormente il lettore italiano con la proposta di un testo che raccoglie in modo

ampio posizioni e proposte con cui il mondo degli educatori musicali italiani ha già

stabilito un dialogo e che ha tentato di rielaborare attraverso diverse esperienze.

3.2.2 Il metodo Gordon

La Music Learning Theory di Edwin E. Gordon rappresenta un contributo

fondamentale in grado di cambiare molte cose nel campo della didattica musicale. Frutto

di più di quaranta anni di ricerca svolti in diverse università americane, la Music Learning

Theory si inserisce nel quadro delle più moderne teorie dell’apprendimento.

Il presupposto fondamentale di questa teoria sta nell’assunto che la musica può

essere appresa secondo gli stessi meccanismi di apprendimento della lingua materna. Il

bambino, pertanto, dovrebbe essere avvicinato alla musica fin dai primi giorni di vita per

sviluppare il senso della sintassi musicale, premessa indispensabile per trarre i massimi

benefici dalla successiva istruzione formale.

Pensiamo per un attimo a come impariamo a parlare e a pensare nella nostra

lingua. Tutti noi abbiamo vissuto cinque anni pieni di apprendimento informale del

linguaggio passando dall’assorbimento e dall’emissione dei primi fonemi, fino ad arrivare

alle parole intorno al primo anno di vita. Nessuno dà lezioni di lingua ai bambini, nessuno

pretende risultati immediati. Soltanto quando il bambino si esprime nella sua lingua in

modo chiaro e con una grande abbondanza di parole (a 6 anni, infatti, ha già un

vocabolario attivo di circa 13.000 parole e uno passivo molto più ampio) si inizia

l’istruzione formale: la lettura e la scrittura.

Quanti bambini, invece, vengono avvicinati alla musica secondo un percorso

completamente inverso, partendo dal pentagramma, dalla notazione delle altezze e dalle

durate, senza un periodo precedente di apprendimento informale? Non c’è da meravigliarsi

che, anche dopo anni di studio, pochi siano in grado di comunicare musicalmente in modo

spontaneo, attraverso l’improvvisazione, non totalmente dipendenti dalla musica scritta.

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Le ricerche di Gordon, dimostrano infatti che l’attitudine musicale, innata in ogni

individuo, si sviluppa nei primi anni di vita a contatto con l’ambiente musicale in cui si

vive. Ed è la qualità di questo ambiente ad influenzare il potenziale di apprendimento

musicale del bambino in modo evidente nei primi tre anni di vita e via via in modo minore

fino ai nove anni di età circa, momento in cui il potenziale si stabilizza19.

E’ dunque importantissimo iniziare il percorso di educazione musicale in età

neonatale. Ma molte altre sono le novità per chi si avvicina per la prima volta alla Music

Learning Theory.

Il materiale didattico proposto, per prima cosa, è costituito da canzoni e canti

ritmici senza testi che rispondono a tre criteri fondamentali: varietà, complessità e

ripetizione. Non soltanto canzoncine in modo maggiore e metro binario, dunque, ma

canzoni e canti ritmici in tutti i modi e i metri possibili e fin dall’inizio del percorso

didattico. L’uso della voce e del corpo in movimento, più che di strumenti e strumentini da

far suonare ai piccoli allievi, arricchisce il quadro di una metodologia che si focalizza nei

concetti di guida informale ed educazione più che di insegnamento.

3.2.3 L’apprendimento musicale del bambino secondo la Music Learning Theory

Le prime ricerche di Gordon vertevano intorno al tema dell’Attitudine Musicale,

ossia il potenziale di apprendimento in musica, innato in ciascuno di noi, che tanto deve il

suo sviluppo all’ambiente in cui viviamo nei primi anni di vita. Passaggio decisivo fu la

creazione del termine audiation, per esprimere un concetto fondamentale per tutto il lavoro

sulla didattica musicale degli anni successivi.

L’audiation è infatti la capacità di sentire internamente e comprendere suoni non

fisicamente presenti. Lo sviluppo di questa capacità, vera e propria forma di pensiero

musicale, divenne il tema centrale del lavoro di Gordon. E proprio sulla base del concetto

di audiation, Gordon arriva a concludere che un percorso di apprendimento appropriato, è

quello che vede il pensiero e il linguaggio musicale svilupparsi parallelamente a come

avviene per il linguaggio parlato.

Ma cosa prevede in pratica la metodologia didattica che scaturisce dalla Music

Learning Theory? Apriamo simbolicamente la porta di una classe di Musicainfasce, i corsi 19 E.E. Gordon, Developmental and Stabilized Music Aptitudes, further evidence of the duality, Chicago, 2002, GIA publications

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per bambini da 0 a 6 anni riconosciuti dalla Associazione Italiana Gordon per

l’Apprendimento Musicale (AIGAM) e osserviamo.

I piccoli di due o tre mesi sono sdraiati su un tappeto in mezzo all’aula che appare vuota di

qualsiasi oggetto… fisico, perché di “oggetti sonori”, cioè di musica cantata in gruppo

dagli insegnanti e dai genitori, l’aula è piena.

I bambini in grado di mantenere la posizione seduta o di gattonare si trovano in

punti diversi della stanza, liberi di girare a loro piacimento. Una cosa li accomuna tutti:

grandi occhioni e attenzione intensa per l’evento musicale che si svolge fra gli adulti

presenti.

Momenti di musica si alternano a momenti di profondo silenzio da parte degli

adulti. L’assorbimento degli stimoli musicali continua nel silenzio e l’audiation muove i

primi passi nei bambini presenti. Tantissime le risposte dei piccoli agli stimoli musicali.

Un orecchio attento coglie piccoli suoni e vocalizzi spontanei, intonati sulla tonica o sulla

dominante, che costituiscono una vera e propria forma di lallazione tonale e ritmica. Gli

insegnanti immediatamente rispondono intonati ai bambini in un vero e proprio dialogo

fatto di prime “parole” musicali. Un occhio attento coglie innumerevoli risposte motorie.

Ondeggiamenti, manine che sbattono sul pavimento, “gattonamenti” a ritmo,

sospiri e respiri eccitati. Tutto viene valorizzato e diventa parte della lezione stessa. Le

mamme - in maggioranza - e i papà, seduti a terra insieme ai bambini, cantano, sorridono,

e arricchiscono, guidati dagli insegnanti, i brani della lezione con ostinati armonici, pedali

di tonica e interventi ritmici. Qualche bambino guarda l’insegnante ed emette

intenzionalmente suoni per richiamare la sua attenzione e per tentare di comunicare con

lui nel nuovo linguaggio.

Il linguaggio parlato è completamente assente per tutti i quarantacinque minuti di

lezione. Non ci sono commenti e men che meno battiti di manine ispirati dai genitori alla

fine dei brani, non ci sono parole e testi nelle canzoni e nei canti ritmici. Soltanto musica

cantata e movimenti liberi e fluenti, spontaneamente ispirati dalla musica20.

Nel testo A music learning theory for newborn and young children , che negli Stati

Uniti ha ispirato molteplici corsi di musica rivolti alla prima infanzia, Gordon spiega le

fasi e gli stadi di sviluppo dell’audiation da parte del bambino fin dai primi giorni di vita.

20 E. E. Gordon, A music learning theory for newborn and young children, GIA pub.inc. Chicago 1997, pubblicato nel 2003 in Italia con il titolo: L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare ,EDIZIONI CURCI - Milano

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L’importanza della sua teoria è tanto più evidente se la si confronta con i risultati e

le conseguenze di un’educazione musicale che non tiene conto delle acquisizioni della

ricerca scientifica e dei processi di apprendimento. I bambini che non sviluppano un

vocabolario di suoni ascoltati (vocabolario musicale passivo) giungono alla scuola

materna o elementare dove cominciano ad imparare canzoncine per imitazione. Chi di loro

ha una buona attitudine musicale riesce comunque a sviluppare un senso di sintassi

musicale ma, per la media delle persone questo non avviene. E così, guardando cosa

succede nella nostra società, ci si rende facilmente conto che se tutti sono in grado di

cantare “Tanti auguri a te” al ristorante, benché in modo molto poco accurato dal punto di

vista ritmico e tonale; pochi sono in grado di intonare canzoni da soli e pochissimi (anche

fra i musicisti) di improvvisare musicalmente con la propria voce o con il proprio

strumento.

La Music Learning Theory può rappresentare, per quanti fra insegnanti di musica,

educatori, genitori rilevino la relativa efficacia degli approcci tradizionali un’opportunità

di diventare quello che con termine rogersiano si può definire un “facilitatore di

apprendimento” musicale.

Il lavoro di Gordon va a colmare un vuoto nel campo dell’apprendimento musicale,

allineandosi a quegli studi condotti in altri campi dello sviluppo del bambino, nei quali

pensatori come Montessori, Pikler, Goldschmied, Stern ed altri hanno promosso da tempo

una visione del bambino capace di apprendere in autonomia la realtà, in un contesto di

rispetto dei suoi tempi e di comunicazione affettiva.

Passare anche in musica dall’atteggiamento intrattenitorio e dall’idea del saggio di

abilità acquisite alla promozione dello sviluppo musicale del bambino nel rispetto dei suoi

naturali processi di apprendimento, rappresenta senz’altro un fondamentale passo in

avanti.

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4. MATERIALI E METODI

Come già anticipato ho frequentato per il trimestre ottobre- dicembre 2006 due

centri infanzia o asili nido, il “Peter Pan” e “Il Giardino”, e la Scuola d’Infanzia “Il

Giardino” dove invece ho continuato l’insegnamento fino ad aprile 2007.

In questo capitolo cercherò di schematizzare i due periodi dell’anno e i vari gruppi

di bimbi in modo da rendere il più chiaro possibile il mio percorso e il lavoro svolto nei

due centri infanzia e nella scuola d’infanzia.

4.1 PERIODO OTTOBRE- DICEMBRE 2006

4.1.1 Centro Infanzia “Peter Pan”

In questo centro i bambini erano suddivisi in 3 gruppi a seconda dell’età: 6-15 mesi

(12 bambini), 15-24 mesi (15 bambini) , 24-36 mesi (13 bambini). La cadenza degli

incontri era di una volta alla settimana; la durata degli incontri era di 20 minuti per i

piccolissimi (6-18 mesi), di 30 minuti per gli altri due gruppi. Ho potuto realizzare

solamente 10 incontri più la recita di Natale, anche per motivi di organizzazione del centro

e per la scarsa presenza dei bambini causata da ripetute infezioni e malattie infantili

contagiose. Gli incontri si svolgevano nelle aule (sezioni) sempre con la presenza

dell’educatrice di riferimento.

I bambini di questo centro ricevevano pochissime stimolazioni sonore da parte

delle educatrici; i piccoli avevano a disposizione giocattoli sonori per bambini, ma non

venivano stimolati a cantare o ascoltare musica tipo canzoncine per bambini, o altro.

Quindi in questo trimestre ho lavorato con tutti e tre i gruppi solamente stimolando i

bambini all’ascolto di diverse musiche tratte dalla serie “Bimbi felici” (di Achim

Perleberg). Ai bambini del secondo e terzo gruppo ho portato alcune volte gli strumentini

(sonagli, xilofono, maracas) per stimolarne la curiosità.

Per la recita di Natale ho proposto sempre al secondo e terzo gruppo (età 15-36

mesi) la canzoncina “BUON NATALE” che riporterò in seguito: ai bambini più grandi ho

dato delle campanelline (sonaglini) da suonare nel ritornello. Durante gli incontri i bimbi

avevano raggiunto un sufficiente grado di coordinazione ritmica e di linguaggio, poi

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durante la recita l’esecuzione, penso per l’emozione e la presenza dei genitori, non ha reso

come speravo.

Ho dovuto interrompere a gennaio la frequenza al centro per motivi di salute (gravidanza).

4.1.2 Centro Infanzia “Il Giardino”

I bambini del centro “Il Giardino” erano divisi in 3 gruppi: 6-12 mesi, 12-24 mesi,

24-36 mesi: i bambini dai 24 ai 36 mesi a partire da gennaio vengono “spostati” dalla

sezione Nido (“gli Orsetti”) e inseriti nel gruppo dei bambini di 3 anni, “le coccinelle”

(nido integrato).

La cadenza degli incontri era di una volta alla settimana; la durata degli incontri era di

20 minuti per i piccolissimi (6-12mesi), di 30 minuti per gli altri due gruppi.

Inizialmente ho tenuto i 3 gruppi divisi, ma dopo qualche incontro, d’accordo con le

educatrici, ho suddiviso i bimbi solamente in due gruppi: i piccolissimi e tutti gli altri

insieme (età 12-36 mesi). Questa scelta è stata fatta per due motivi:

• in questo centro, al contrario dell’altro, i bambini venivano quotidianamente

stimolati dalle educatrici con canzoncine per bambini fatte ascoltare sia da cd che

dalla voce delle maestre, venivano stimolati con tantissimi giocattoli sonori, anche

qualche strumentino per bambini;

• causa malattie infantili ricorrenti il numero dei bambini dai 12 ai 36 mesi era quasi

sempre limitato, per cui i più presenti erano i più grandi con cui potevo svolgere

tranquillamente l’attività anche senza la presenza di una educatrice.

Con i piccolissimi ho impostato un lavoro di tipo più psicomotorio, proponendo molti

momenti di rilassamento con sottofondo di musica classica adattata per bambini,

accompagnati da massaggi su varie parti del corpo: il tronco, le gambe, le braccia, qualche

volta il viso. A tutti gli incontri partecipavano attivamente le due educatrici. La scelta di

questo tipo di impostazione è stata fatta anche per l’esigenza di favorire il momento della

nanna che si rivelava difficile un po’ per tutti.

Con i bambini più grandi ho portato subito gli strumentini adatti a bambini di quell’età

che mi sono procurata (“Babies makes music kit” per neonati e bambini al di sotto dei 2

anni, e “Kids make music kit” per bambini dai 2 ai 5 anni, entrambi prodotti Remo). In

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particolare erano stimolati dallo xilofono dalle maracas e dai tamburelli. Ho fatto con loro

molti giochi ritmici e di coordinazione ritmica.

4.2 Scuola d’Infanzia “Il Giardino” I bambini sono divisi in 3 gruppi: “le Coccinelle” (3 anni, 15 bambini), “i

Coniglietti” (4 anni, 19 bambini) e “i Gattini” (5 anni, 18 bambini ). Dopo una serata di

presentazione delle attività-laboratori previste per l’anno 2006-2007 (a partire da

novembre) ai genitori, i genitori stessi hanno scelto se far partecipare o meno il proprio

bambino/a al corso di “Propedeutica musicale”.

D’accordo con la direttrice della scuola ho avuto la possibilità di far fare a tutti i

bambini 4 incontri tipo lezione aperta nel mese di ottobre, così che a tutti potesse venire

offerta la possibilità di dire ai genitori se a loro piaceva “giocare con la musica” oppure

preferivano fare un’altra attività. A novembre i 3 gruppi erano composti da:

Coccinelle: 15 bambini di 3 anni + 10 bambini di 2 anni che si sarebbero aggiunti da

gennaio 2007 provenienti dalla sezione Nido.

Coniglietti: 19 bambini (di cui una bimba con Sindrome di Down)

Gattini: 8 bambini

Nella scuola d’infanzia, tra le finalità dell'educazione musicale, è di fondamentale

e primaria importanza l'educazione al suono e la stimolazione acustica che permettono al

bambino di scoprire suoni e rumori della realtà circostante, di interessarsene, di creare

attività divertenti, di rappresentare fantasie, elaborare giochi immaginativi a partire

dall'evocazione prodotta dall'ascolto naturale.

Ascoltare tutti i rumori che ci circondano, imparare a distinguerli, fare attenzione

alle loro caratteristiche, permette ai bambini un approccio più spontaneo verso il mondo

dei suoni musicali veri e propri. Musica e suoni a questa età sono in stretta relazione con

l'educazione motoria, sensoriale e intellettuale. Ecco perché è importante offrire al

bambino specifiche opportunità sonore sin dal primo anno di scuola materna, per

contribuire al processo di crescita nell'armonico sviluppo della sua personalità

OBIETTIVI MUSICALI PER LA SCUOLA D' INFANZIA

• Capacità di comprendere il linguaggio sonoro

• Capacità di riconoscere, denominare, discriminare suoni e rumori

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• Capacità di individuare la fonte sonora

• Capacità di raggruppare e classificare oggetti che producono suoni e rumori

• Capacità di codificare il suono

• Capacità di imitare verbalmente suoni e rumori

• Coordinare suoni e gesti

• Produrre adeguati movimenti secondo determinati eventi sonori

• Coordinare le proprie attività a quelle dei compagni

• Cogliere la differenza tra suono e silenzio

METODOLOGIA MUSICALE PER LA SCUOLA D'INFANZIA

• Far comprendere la differenza tra suoni e rumori

• Far comprendere la differenza tra suoni e rumori specifici di vari ambienti esterni

ed interni

• Far notare la differenza tra suoni e rumori atmosferici

• Far comprendere la differenza tra suoni e rumori di animali

• Lavorare sull'intensità della voce

• Lavorare sulla durata e sul ritmo

• Lavorare sulle differenze di modulazione della voce

I "SILENZI"

Insegnare ai bambini la percezione del silenzio è senza dubbio un obiettivo

importante e ambizioso. Per la maggior parte di loro, infatti, fare silenzio significa

semplicemente non parlare, e solo pochi si rendono conto che per non produrre alcun

suono è necessario anche restare immobili.

L’immobilità, tuttavia, è una condizione estranea alla natura dei piccoli, per i quali

il movimento non è soltanto fonte di conoscenza ma anche di piacere.

Abituare i bambini a mantenere brevi attimi di staticità intervallati dalla pratica

motoria è un ottimo metodo per avvicinarli all’ascolto del respiro e alla percezione degli

stati di rilassamento, di concentrazione, e alla ricerca di sensazioni. È altresì facile

verificare che interrompendo all’improvviso il suono che accompagna qualsiasi

movimento, il corpo tende spontaneamente a fermarsi in una posizione che conserva l’eco

dei gesti appena eseguiti.

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Di conseguenza, questi attimi di immobilità-silenzio potranno essere usati per

enfatizzare la percezione dei suoni e dei gesti precedenti o successivi all’immobilità.

4.2.1 PROGRAMMA PER I BAMBINI DI 3 ANNI

Obiettivi:

• Dimostrare ai bambini il valore e l’importanza della nostra voce, riconoscerla e

giocare con essa e quella degli altri.

• Educare l’orecchio musicale attraverso l’ascolto di canzoncine e l’intonazione

della voce.

• Riconoscere e discriminare suoni e rumori dei luoghi familiari al bambino: la casa,

la scuola, l’ambiente esterno.

• Familiarizzare con gli strumentini ritmici, manipolarli e coordinare movimento e

suono.

Metodo e materiali

Seguendo i temi della casa, della famiglia e della scoperta di sé sono state

proposte:

-attività che mirano alla discriminazione e conoscenza dei suoni e dei rumori che i

bambini sentono quotidianamente all’interno delle loro case, e suoni e rumore

dell’ambiente che li circonda, suoni e rumori prodotti dal proprio corpo

- canzoncine che introducono e scandiscono i diversi tempi della giornata: il momento del

pranzo, il momento del “lavarsi”, il momento della nanna e il momento del gioco e della

lettura.

- canzoncine che favoriscono la scoperta e la conoscenza delle parti del corpo

- canzoncine relative ai membri della famiglia: mamma, papà, nonni…

- canzoncine relative ai momenti di festa durante il corso dell’anno: il Natale, il Carnevale,

la Pasqua, ecc.

- giochi ritmici proposti con l’uso di strumentini didattici.

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Le canzoncine sono state accompagnate da indicazioni di carattere psicomotorio (gesti,

mimi, piccole rappresentazioni, danze, giochi) e l’uso di strumenti ritmici (strumentario

Orff).

4.2.2 PROGRAMMAPER I BAMBINI DI 4 ANNI

Obiettivi:

• Rappresentazione simbolica

• Imitazione ritmica e schema corporeo

• Coordinazione dinamica generale

• Successione temporale

• Sviluppo fono-motorio

• Intensità del suono

• Contrasto suono - silenzio

• Contrasto lento-veloce/orientamento spaziale/Movimento sonoro e motricità fine

• Sviluppo dell'attenzione Sviluppo dell'attenzione e del senso ritmico

• Intensità del suono il rapporto all'ampiezza del movimento

4.2.3 PROGRAMMA PER I BAMBINI DI 5 ANNI

Obiettivi:

• sviluppo fono-motorio

• controllo della respirazione

• spazio-tempo-suono

• percezione uditiva del suono e orientamento spaziale

• movimento sonoro e motricità fine

• riconoscimento della frase musicale

• riconoscimento della frase musicale attraverso il movimento corporeo

• i contrasti

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MATERIALE IMPIEGATO

Strumentario Orff, riproduttore CD, tastiera, fogli di carta da disegno, pennarelli, pastelli a

cera, matite colorate, nastri colorati e materiale vario a seconda della coreografia delle

canzoni o dei giochi proposti.

STRUTTURA DI UNA LEZIONE-INCONTRO:

1. disposizione in classe, canzone di “benvenuto”

2. prima attività utilizzando movimento fisico o voce

3. seconda attività di gioco o disegno

4. terza attività canzoni e ascolto

5. canzone dell’”arrivederci”

Le canzoni di “benvenuto” e dell’”arrivederci” hanno il compito di favorire

l’apprendimento della corretta intonazione dell’intervallo DO-SOL attraverso un piccolo

rituale ripetuto nel corso dell’anno.

Testo della canzone di benvenuto:

DOREMIFASOL

SOLFAMIREDO

CIAO BAMBINI CIAO

CIAO MAESTRA CIAO

OGGI SONO QUA

OGGI SIAMO QUA

SI COMINCIA GIA’

SI COMINCIA GIA’

MUSICA!

Testo della canzone dell’arrivederci:

DOREMIFASOL

SOLFAMIREDO

CIAO BAMBINI CIAO

CIAO MAESTRA CIAO

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OGGI SONO QUA

OGGI SIAMO QUA

E’ FINITA GIA’

E’ FINITA GIA’

MUSICA!

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Come ho già accennato precedentemente in questo capitolo in questo trimestre ho

proposto la stessa canzoncina ai bambini del Centro Infanzia “Peter Pan” e al centro “Il

Giardino” sia al Nido (gli “Orsetti”) con i più grandi (24-36 mesi) e ai bambini della

Scuola d’Infanzia (3-5 anni) da realizzare in occasione della Recita di Natale prevista dalla

Scuola.

E’ stata una mia idea per osservare i diversi tipi di realizzazione create con i bimbi

piccolissimi provenienti da due Nidi diversi, e con i bimbi più grandi della Scuola

d’Infanzia. Si tratta di una canzone realizzata dall’autore per i bimbi più piccoli, i più

grandi hanno utilizzato le campanelle e i sonagli come strumentini.

BUON NATALE Testo tradizionale – Musica M.A. Ciurleo

DIN DIN DIN

DON DIN DIN

E’ ARRIVATO GIA’ NATALE

DIN DIN DIN

DON DIN DIN

SUONERANNO LE CAMPANE

AVREMO DONI E CARAMELLE

ALBERI CON LUCI E STELLE

DIN DIN DIN

DON DIN DIN

A TUTTI BUON NATALE

DIN DIN DIN

DON DIN DIN

A TUTTI BUON NATALE

Finalità:

1. Attività verbale: memorizzazione e riproduzione della canzone

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2. Attività musicale riproduzione di suoni onomatopeici, intonazione della canzone,

esercitazione ritmica con l’utilizzo di strumentini.

4.3 PERIODO GENNAIO-APRILE 2007

4.3.1 GRUPPO “LE COCCINELLE” (Età 2-3 ANNI) Nei mesi gennaio-aprile 2007 ho proposto ai bambini di 2 e 3 anni della Scuola

d’Infanzia “Il Giardino” queste canzoncine tratte dalla raccolta “Nido di Note” di N.

Cinguetti e M. Padovani, ed. Mela Music.

SOLE VIENI FUORI

Tumba tumba

sole vieni fuori

Tumba Tumba

tuffati sui fiori

Tumba Tumba

rotola sul prato

Tumba Tumba

sole scatenato

Rit. Giallo limone

Colore del mio sole

Giallo limone calore del mio sole

Tumba Tumba

sali in altalena

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Tumba Tumba

bacia luna piena

Tumba Tumba

vola sul giardino

Tumba Tumba

sole palloncino

Rit. (2 volte)

Per la sua regolarità ritmica questo canto, una piccola “danza del sole”, richiede

giochi di coordinazione tra mani, braccia, gambe e piedi, e insieme giochi di adattamento

al ritmo.

Ad ogni “Tumba Tumba” è stato di volta in volta associato un movimento: un salto

sul posto, un salto con uno spostamento, un battito di mani, battere le mani sulle

ginocchia, sul tavolino, ecc., mentre tutto il resto della canzone è stato accompagnato da

gesti che mimavano le parole. Il ritornello è stato a volte accompagnato dall’uso di

strumentini: ovetti, maracas, sonagli, tamburelli.

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LAVALE TU

Mani colore di pongo

lavale lavale tu

Mani colore di fango

lavale lavale tu

Mani colore di lotte

lavale lavale tu

Mani colore di latte

lavale lavale tu

Rit. Acqua scende scioglie la macchia

sciacqua risciacqua qua

Acqua scende scioglie la macchia

sciacqua risciacqua qua

Qua qua qua qua

qua qua qua qua

Qua qua qua qua

qua qua qua qua

Mani colore di yogurt

lavale lavale tu

Mani colore di gioco

lavale lavale tu

Mani colore brillante

lavale lavale tu

Mani colore di niente

lavale lavale tu

Rit.

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Questa canzone, oltre ad essere un allegro invito a lavarsi le mani prima del

pranzo, è stata anche un’ottima occasione per iniziare momenti e proposte di contatto tra i

più piccoli.

I bambini una volta si sono lavati a vicenda (a coppie) le mani, con l’acqua e il

sapone, in seguito si sono limitati a disporsi in fila davanti alla porta del bagno, con le

maniche rialzate, e a mimare il gesto di lavarsi le mani, di risciacquare e asciugare.

La canzoncina è stata realizzata interamente con gesti che mimavano le parole, un balletto

del qua qua al ritornello intervallato dal semplice mimo dell’ochetta.

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SUL FUMETTO DELLA PASTA

Ogni volta che mi siedo a tavola con voi

col sorriso tra il cucchiaio e la forchetta

con il naso sul fumetto della pasta

sento tutta l’allegria di una festa

Rit. Ogni volta che

ogni volta che

ogni volta che

ogni volta che

mi siedo a tavola con voi

Ogni volta che

ogni volta che

ogni volta che

ogni volta che

mi siedo a tavola con voi

Ogni volta che mi siedo a tavola con voi

col sorriso tra il cucchiaio e la forchetta

Ogni volta che mi siedo a tavola con voi

con il naso sul fumetto della pasta

Ogni volta che mi siedo a tavola con voi

sento tutta l’allegria di una festa

Rit.

Questo piccolo gospel sottolinea il momento comunitario del pranzo. E’ un canto

di “buon appetito”, che richiede anzitutto di essere…cantato a piena voce.

I bambini hanno apparecchiato la tavola e davanti al loro posto in piedi oppure seduti

hanno mimato le parole della strofa: il sorriso tra le mani che fingono di impugnare il

cucchiaio e la forchetta; il naso sulle mani a coppa che formano un piatto fumante; il gesto

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festoso di battere le mani con le braccia alzate per esprimere l’allegria. A volte invece di

battere le mani a tempo durante il ritornello suonavano gli strumentini.

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4.3.2 GRUPPO “I CONIGLIETTI” (Età 4 anni)

Nello stesso periodo di tempo gennaio-aprile, ho proposto ai bambini di 4 anni

della stessa Scuola d’Infanzia queste canzoncine tratte la prima dalla raccolta citata sopra,

le altre da “Canzoni, Filastrocche e Danze” di M.A. Ciurleo, ed Rugginenti.

Ai bambini veniva proposto l’ascolto della canzone, l’individuazione delle parole e

la loro eventuale spiegazione, la memorizzazione, e poi alla fine veniva data loro la

possibilità (su richiesta) di disegnare liberamente quello che gli suggeriva la canzone

imparata (immagini concrete, oppure emozioni, sensazioni). Durante il disegno i bambini

chiedevano di avere come sottofondo musicale ripetuto più volte la canzone stessa, che

alcuni di loro canticchiavano sottovoce.

OGNI SEGNO UN SOGNO

Sul foglio bianco come la neve

la mia matita mette una nave

tonda la vela piena di vento

dritta la riga dell’orizzonte

Rit. Ogni segno un sogno

Ogni sogno un segno

nasce, cresce, vive il mio disegno.

Ora il mio foglio odora di mare

vola un gabbiano sulle scogliere

sotto la luna gialla banana

sale lo spruzzo della balena

Rit.

Per la realizzazione finale i bambini si sono disposti in piedi, hanno mimato le parole della

canzone, e nel ritornello invece degli strumentini hanno utilizzato dei nastri colorati che

tenevano in mano e facevano dondolare.

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LA NANNA DI UN GATTINO E DI UN PESCIOLINO Testo: tradizionale rielaborato da M.A. Ciurleo

Musica: M.A. Ciurleo

C’era una nave in mezzo al mare

su quella nave c’era un gattino

sotto la nave in fondo al mare

nuotava invece un pesciolino

OH NANNA OE NAO NANNA

OH NANNA OE NAO NANNA

OH NANNA OE NAO NANNA

OH NANNA OOO NA.

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64

Quando la luna saliva in cielo

cantava a tutti la ninna nanna

La nave allora cullava il gattino

E in fondo…il mare cullava il pesciolino

OH NANNA OE NAO NANNA

OH NANNA OE NAO NANNA

OH NANNA OE NAO NANNA

OH NANNA OOO NA.

Finalità:

1. Attività verbale: memorizzazione e riproduzione di tutta la canzone;

2. Attività musicale: intonazione della canzone, sperimentazione con l’aiuto

dell’insegnante di diversi piani sonori, sviluppo delle capacità di vocalizzare su un

testo non sense (vedi ritornello);

3. Attività motoria e corporeità: Coordinazione dei movimenti in relazione al ritmo

della canzone.

Metodo:

Inventare una storia sulla nave, il gattino, la luna ed il pesciolino.

Far ascoltare la canzone ed insegnare il testo.

Giocare con i bimbi modificando il tono e l’enfasi delle strofe cambiando

l’interpretazione. Ad esempio si può immaginare come potrebbe cantarla un burbero

capitano e provare a riprodurre la strofa con un tono più grave, oppure è stato

sperimentato il forte e il piano addolcendo la voce come per cantare una ninna nanna e

utilizzando gli strumentini (ovetti) per simulare il rumore del mare.

Anche di questa canzoncina i bambini hanno chiesto di realizzarne il disegno.

Osservazioni:

Questa canzone nei bambini ha avuto una forte risonanza emotiva. Ogni volta che veniva

proposta alcuni bambini piangevano (ma cantavano allo stesso tempo!); quando chiedevo

loro come mai avevano pianto mi rispondevano: “mi ricorda la mamma”, voglio la

mamma!”. Questi bambini però nei disegni di questa canzone alla richiesta di “disegnare

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cìò che faceva venire loro in mente” non hanno mai disegnato la mamma o altri membri

della famiglia, nonostante, come loro richiedevano, la canzone fosse di sottofondo per

tutto il tempo dell’attività del disegno.

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DANZA INDIANA Testo e Musica : M.A. Ciurleo

Il mio nome è Falco Nero e sono un bimbo indiano

Ho lunghi capelli e corro nella prateria

AUGH AUGH questo è il mio saluto

Col mio arco e con le frecce caccio tutto il giorno

Strumentale

Ogni sera dopo cena iniziano le danze

tutti insieme attorno al fuoco della mia tribù

UUGH CHAA UUGH CHAA segui il nostro ritmo

UUGH CHAA UUGH CHAA danza insieme a noi.

Strumentale

Finalità

1. Attività verbale: memorizzazione e riproduzione di tutta la canzone;

2. Attività musicale: intonazione della canzone ed esercitazione ritmica con voce,

mani e piedi.

3. Attività motoria e corporeità: coordinazione dei movimenti in relazione al ritmo

della canzone.

Metodo:

Inventare insieme ai bambini una storia sul bimbo indiano.

Far ascoltare la canzone, insegnare il ritornello e tutto il testo spiegando le parole non

conosciute.

Insegnare i gesti che accompagneranno le strofe.

Insegnare il ritmo, prima senza la canzone e poi con la canzone.

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I bambini hanno dunque mimato le strofe e hanno battuto il ritmo lento in 4 pulsazioni

sulle ginocchia durante la parte strumentale. Hanno realizzato anche il disegno come per le

altre canzoncine.

Oltre alle canzoncine ho proposto ai bambini i giochi musicali presentati nel prossimo

paragrafo.

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4.3.3 GRUPPO “I GATTINI” (Età 5 anni)

Con gli 8 bambini di 5 anni ho seguito un percorso simile a quello realizzato con i

bambini di 4 anni per quanto riguarda i giochi musicali, ma sono riuscita anche a inserire

alcune lezioni sulla presentazione delle note musicali, del pentagramma, e alcuni cenni

sulla scrittura musicale.

I bambini hanno imparato a riconoscere e a disegnare quasi correttamente (non sanno

ancora disegnare e riconoscere un cerchio) le prime cinque note musicali in chiave di

violino.

Per quanto riguarda le canzoni è stata proposta e realizzata solamente la “DANZA

INDIANA”, in quanto mi sono servita di questa canzone per proporre loro alcune nozioni

di ritmica con l’uso dei bongos. Hanno perciò imparato semplici combinazioni ritmiche e

a improvvisare da soli ritmi diversi.

4.3.4 GIOCHI MUSICALI PROPOSTI

1. Riesco a osservare il silenzio?

I bambini si siedono a coppie l’uno di fronte all’altro e si devono guardare fisso negli

occhi senza ridere, in assoluto silenzio. La coppia che ride viene squalificata. Questo

gioco, molto gradito ai bambini, è utile per dimostrare loro che, quando vogliono, sanno

controllarsi perfettamente ed apprezzare la magia del silenzio.

2. Il gioco del direttore d’orchestra

Per introdurre il concetto di attacco e interruzione del suono, giochiamo a riprodurre

un’orchestra. Al comando dell’insegnante (il direttore) i bambini imitano con la voce e

con i gesti gli strumenti. Il direttore richiede attenzione e silenzio senza l’uso della voce,

dà il segnale di attacco, infine comanda il silenzio. Con una bacchetta per dirigere ogni

bambino a turno proverà a fare il direttore.

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3. Il dizionario dei suoni e dei rumori

Con l’aiuto del cd allegato al testo “Il dizionario dei suoni e dei rumori” di …i

bambini sentono e imparano a discriminare tra suono e rumore e a riconoscere i rumori

dei vari ambienti. Più stimolante se si dividono i bambini in squadre e si fa una gara a

chi ne indovina di più.

4. Disegniamo il rumore e il silenzio

Ogni bambino potrà disegnare ciò che per lui rappresenta il silenzio e ciò che per lui

rappresenta il rumore.

5. Riconosciamo la nostra voce?

Si predispongono due spazi separati da un pannello o da una tenda; si scelgono 3-4

bambini alla volta che andranno a prendere posto dietro il pannello, ben nascosti alla

visuale dei compagni. Il bambino che verrà toccato dall’insegnante dovrà dire la

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“parola magica” e i bambini che stanno al di là del pannello dovranno dire il nome del

bambino che ha detto la “parola magica”.

6. Il gioco delle sedie

Si balla tutti insieme e quando la musica si ferma i bambini si precipitano a sedersi ma

ne resta escluso uno perché manca una sedia. Si può eseguire in diverse varianti:

• l’insegnante fa partire la musica: i bambini ballano; l’insegnante fera la

musica: i bambini cadono per terra come addormentati in completo

silenzio;

• con i cerchi che si utilizzano in psicomotricità o nell’ora di ginnastica: i

bambini devono correre dentro i cerchi ma ne resta escluso uno perché

manca un cerchio

• altre varianti….

7. Riconosciamo il piano e il forte?

I bambini imparano a distinguere un suono piano da una forte: si può utilizzare la

tastiera, un cd preparato appositamente con suoni piano e forte, oppure far ascoltare un

brano di musica classica (Finale della Sinfonia n.38 in Re magg. K.504 “Praga” di

Mozart: quando i bambini sentiranno il forte dovranno alzare le braccia, quando

sentiranno il piano dovranno abbassarle. Oppure si utilizza la voce stessa dei bambini

che a seconda del movimento delle braccia dell’insegnante canteranno piano o forte.

8. Crescendo e diminuendo

Sempre utilizzando la voce stessa dei bambini, con una canzone l’insegnante dirige e

seguendo i movimenti delle sue braccia, i bambini dovranno aumentare o diminuire il

“volume”. A turno proveranno poi loro a fare il direttore del coro.

9. Riconosciamo i suoni gravi e acuti?

L’insegnante fa ascoltare i suoni dei registri grave e acuto del pianoforte . I bambini

camminano o danzano con le braccia in giù quando percepiscono suoni gravi, con le

braccia verso l’alto quando percepiscono suoni acuti.

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10. Lento e veloce

L’insegnante propone tre diverse canzoncine da cd oppure accompagnamenti alla

tastiera o con il tamburo chiedendo ai bambini di ascoltarli attentamente e di eseguire,

in corrispondenza di ciascuno, un passo diverso:

• esecuzione lenta: passo della tartaruga (gattonare lentamente)

• esecuzione media: passo della paperotta (saltelli cadenzati)

• esecuzione veloce: passo della lepre ( corsa sul posto)

I bambini verranno disposti in fila ed il “capotreno” avrà la responsabilità di cambiare

il passo guidato dal proprio ascolto.

11. Gli strumentini

Più che un gioco si tratta di un percorso in cui ai bambini viene presentato di volta in

volta uno strumentino, viene insegnato loro il nome corretto e come si tiene e si suona

correttamente. Verranno poi utilizzati durante le canzoni.

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5 RISULTATI E DISCUSSIONE

Opportuna e necessaria è senza dubbio la verifica e la valutazione conclusiva del

lavoro svolto, che diventa la somma delle esperienze, informazioni, abilità, conoscenze di

cui il bambino si è appropriato nel corso degli anni di scuola, e che dovrebbe in qualche

modo emergere al termine.

Le attività di verifica sono state dunque diversificate nei contenuti, ma possono

svilupparsi mediante l’utilizzo dei seguenti strumenti e seguendo alcune indicative

modalità.

1. Elaborazione di una scheda singola per ciascun bambino, nella quale sono stati

notati i comportamenti degli alunni, l’abilità acquisita, la scioltezza e la

spontaneità di fronte alla proposta.

2. Discussione e confronto tra le educatrici per una valutazione dei risultati e

proposte per aggiustamenti della programmazione.

Poiché si tratta di un progetto di tirocinio pensato e articolato in 3 anni ho avuto

l’autorizzazione da parte della Scuola d’Infanzia di presentare le schede dei bambini

solamente nella tesi finale, avendo la possibilità di mettere a confronto il percorso

formativo che ciascun bambino ha compiuto in questo arco di tempo.

Di seguito riporterò i disegni che i bambini hanno realizzato sia sui temi del suono e

del rumore sia sulle canzoncine proposte.

DISEGNI DEL GRUPPO “I CONIGLIETTI” (Età 4 ANNI)

Titolo: LEZIONE DI MUSICA - 1 dicembre 2006

Ale C.

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Ale L.

Angelica

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Camilla

Carlotta

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Edoardo

Elisa

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Gabriele

Gaia

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Giacomo

Giulia

Marco

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Titolo: NINNA NANNA DI UN GATTINO E DI UN PESCIOLINO

Ale C.

Ale L.

Angelica

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Aurora

Camilla

Edoardo

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Elisa

Gabriele

Giacomo

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Giulia

Marco

Maya

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Samantha

Titolo: DANZA INDIANA

Ale C.

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Ale L.

Angelica

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Aurora

Camilla

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Carlotta

Edoardo

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Elisa

Gabriele

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Gaia

Giacomo

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Giulia

Marco

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Samantha

Titolo: OGNI SEGNO UN SOGNO

Ale C.

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Ale L.

Angelica

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Aurora

Edoardo

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92

Elisa

Gabriele

Gaia

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Giacomo

Giulia

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Marco

Maya

Samantha

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Titolo: Quello che ti è piaciuto di più delle Lezioni di Musica

Ale C.

Ale L.

Angelica

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Aurora

Camilla

Carlotta

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Edoardo

Elisa

Gabriele

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Gaia

Giacomo

Giulia

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Marco

Maya

Samantha

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DISEGNI GRUPPO “I GATTINI” (Età 5 anni)

Titolo: Il silenzio e il rumore

Alberto - Il rumore

Alberto – Il silenzio

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Aurora – Il rumore

Aurora – Il silenzio

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102

Angelica P. – Il rumore

Angelica P. – Il silenzio

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Tommaso – Il rumore

Tommaso – Il silenzio

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Diego – Il silenzio

Titolo: Lezione di Musica

Alberto

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Angelica P.

Daphne

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Titolo: DANZA INDIANA

Alberto

Angelica P.

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Aurora

Daphne

Diego

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Margherita

Tommaso

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Titolo: Quello che ti è piaciuto di più delle lezioni di musica

Alberto

Angelica P.

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Aurora

Margerita

Samuel

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Tommaso

Un ulteriore momento di verifica è stato attuato con le famiglie dei bambini.

Inizialmente avevo pensato di realizzare un questionario da presentare e consegnare ai

genitori in modo tale che potessero rispondere a casa magari assieme per essere anche

un’occasione di dialogo e confronto tra i due genitori.

Per motivi di organizzazione ho dovuto optare per una serie di domande che ho proposto

ai genitori, generalmente le mamme, durante le ore di ricevimento previste dalla scuola.

Non si è trattato di un accertamento rigorosamente scientifico, anche perché non

tutti i genitori si sono presentati nelle ore di ricevimento, ma più che altro di un riscontro

aperto, in cui ho proposto al genitore alcune domande sul comportamento musicale del

bambino anche in famiglia e nella sua vita quotidiana, in momenti lontani dalla scuola.

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QUESTIONARIO PER I GENITORI

L’educazione musicale proposta a scuola ha una risonanza in famiglia e all’esterno?

Cognome e nome del

bambino………………………………………………………età…………

1. Da quanto tempo frequenta il Nido o la Scuola d’Infanzia?

2. Il bambino parla in casa dell’attività musicale che svolge a scuola?

3. Il bambino si muove spontaneamente in seguito a stimolazioni sonore di:

• un suono o un rumore particolare?

• un brano musicale qualsiasi?

4. Il bambino presta attenzione al mondo sonoro che lo circonda?

• rumori o suoni particolari della casa (cucina-bagno, ecc.)?

• rumori o suoni della natura?

• rumori o suoni dell’ambiente esterno tipici del lavoro dell’uomo (traffico,

cantiere edile, ecc)?

5. Ricerca la sonorità di oggetti di uso comune?

6. Inventa canzoncine e filastrocche o riproduce spontaneamente quelle imparate a

scuola?

7. Improvvisa “concertini” con strumenti occasionali (matite, barattoli, coperchi,

ecc.)?

8. Si costruisce strumenti per suonare?

9. Ha degli strumenti ha a disposizione a casa (xilofono, tastiera, chitarra,

tamburi…)?

10. Interpreta con movimenti corporei appropriati brani musicali diversi (es. musica

classica, musica rock)?

11. Che genere di musica ascoltate insieme a lui/lei quando viaggiate in auto o siete in

casa?

Le risposte a tali domande erano aperte e libere in sede di colloquio individuale

(più raramente erano presenti entrambi i genitori). Tutti i genitori hanno riferito che i

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bambini erano entusiasti delle “lezioni di musica” e che attendevano con gioia il

giorno della settimana in cui “c’è musica”.

Questo è stato, oltre a fonte di gratificazione personale, anche un dato importante

per la Scuola, poiché è il primo anno che propongono l’attività di propedeutica

musicale per i bambini della scuola materna (hanno sempre proposto solamente

l’inglese, la psicomotricità e la danza-gioco), e l’attività di “gioco-musica” per i

bambini del Nido.

Per il prossimo anno, se il questionario venisse dato alle famiglie, penserei di

limitare le risposte a SI’, NO, UN POCO da barrare con una crocetta, e poi farmi

restituire il questionario in sede di ricevimento e approfondirlo con altre domande a

risposta aperta.

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6. Conclusioni

L’esperienza all’asilo nido è stata per me entusiasmante. Inizialmente sono partita

“osservando ed esplorando” bambini ed educatrici in un ambiente (centro educativo per

l’infanzia o asilo nido) a me sconosciuta (ho un bimbo di 2 anni ma non frequenta l’asilo

nido). Quando mi è stato proposto di “fare musica” a bambini di età inferiore dai 6 mesi ai

3 anni d’età ero un po’ sconcertata perché non avevo idea di ciò che avrei potuto fare con

bimbi così piccoli. Ma la proposta era affascinante.

Anche se per quest’anno ho potuto frequentare i due centri infanzia solo per un

trimestre basandomi soprattutto sull’intuizione e sulle risposte emotive e motorie dei

bambini e le esigenze delle educatrici, l’esperienza è stata per me di fondamentale

importanza. Mi ha spinto ad approfondire le mie conoscenze in campo di educazione

musicale, che si limitavano ai metodi Orff, Willems, Dalcroze e Kodaly e ad avvicinarmi

al Metodo Gordon e al Metodo Delalande, che sono oggetto del mio attuale studio e

formazione personale. Mi sono anche iscritta alla SIEM (Società Italiana per l’Educazione

Musicale) che dedica dei momenti formativi per la musica nella prima infanzia, rivolti a

educatori e personale dei nidi, di comunità infantili, docenti di scuola dell’infanzia,

studenti universitari, caregiver in generale che si occupano di bambini di questa fascia di

età, ricercatori e studiosi dello sviluppo musicale infantile. Potrò quindi approfondire la

riflessione intorno al valore dell’esperienza con i suoni in tenerissima età ed in periodo

prenatale, gli orientamenti della ricerca internazionale ed i risultati finora ottenuti, le

relazioni esistenti tra i bisogni che scaturiscono dalla pratica educativa e le risposte che la

ricerca ha dato e potrebbe dare per il loro soddisfacimento.

Ho quindi iniziato una formazione specifica per la fascia d’età 0-3 che mi entusiasma e

in cui intendo proseguire, anche in funzione del progetto di tirocinio nei centri infanzia

che continuerò a frequentare nei prossimi anni.

Per quanto riguarda l’insegnamento di “Propedeutica musicale” nella scuola d’infanzia

anch’esso è stata una nuova esperienza, in quanto avevo insegnato tale materia in diverse

scuole di musica private ed “Educazione musicale” alla scuola primaria.

Per il prossimo anno mi è stato chiesto di realizzare nella stessa scuola un programma

particolare di musicoterapia per una bambina di 4 anni con sindrome di Down, per un

bambino di 6 anni con ipoacusia media (che frequenterà la scuola materna un anno in più)

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e un bambino con autismo certificato dalla A.S.L. di 3 anni (che non ho mai visto finora).

La bimba con sindrome di Down, S., e il bambino con ipoacusia, D., avrei dovuto averli

già quest’anno; in realtà D., 5 anni, è stato praticamente sempre assente per tutto il corso

delle mie lezioni, in quanto alla stessa ora aveva la riabilitazione con la logopedista. S.,

invece, ha fatto sì molte assenze per malattia ma la mia proposta all’inizio dell’anno

scolastico era comunque stata di non toglierla dal gruppo dei compagni per farle fare un

percorso particolare di “propedeutica musicale”, ma di farla partecipare normalmente alle

lezioni. Tale scelta è stata apprezzata e sostenuta soprattutto dai genitori, che hanno

difficoltà ad accettare la situazione della loro bimba, e che alla fine di quest’anno hanno

chiesto la possibilità per il prossimo anno di fare anche un percorso di musicoterapica. La

scelta è stata condivisa anche dalla Direttrice della Scuola, anche se avrebbe inizialmente

voluto che già da quest’anno alle lezioni con il gruppo dei compagni fosse affiancato un

percorso individuale. Il prossimo anno quindi potrò fare esperienza nella Scuola anche

come musicoterapeuta.

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corretta da Jacques Chapuis, traduzione di Granca e Ugo Cividino, Editions “Pro Musica”

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Musica” Fribourg, Suisse, 1997.

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