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ANTONIO BELLINGRERI Le nuove famiglie come emergenza educativa 1. Nuove relazioni di coppia Un fenomeno sembra connotare le società occidentali della tarda modernità, quello dell’estrema pluralizzazione delle forme familiari: ci troviamo di fronte ad un vero e proprio arcipelago di famiglie e non pare più sensato parlare della famiglia usando il singolare; così come peraltro ogni coppia pare formi «una coppia mista» 1 . Se analizziamo questo fenomeno, i dati che lo descrivono con un minimo di esattezza e le linee di tendenza, nella prospettiva dell’educazione, una prima considerazione, ancora molto generale, può essere fatta per avviare la riflessione: proprio gli aspetti relativi alla formazione della coppia, alla scelta o meno di sposarsi, alle forme familiari che si sceglie di realizzare, evidenziano la frattura tra le generazioni, quelle dei figli e quelle dei padri. Per dir tutto in modo sintetico, ci troviamo di fronte ad una nuova cultura delle relazioni umane, d’altro genere rispetto al passato; tratto 1 C. Saraceno, Coppie e famiglie. Non è questione di natura , Feltrinelli, Milano 2012, p. 9.

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ANTONIO BELLINGRERI

Le nuove famiglie come emergenza educativa

1. Nuove relazioni di coppia

Un fenomeno sembra connotare le società occidentali della tarda modernità, quello dell’estrema

pluralizzazione delle forme familiari: ci troviamo di fronte ad un vero e proprio arcipelago di

famiglie e non pare più sensato parlare della famiglia usando il singolare; così come peraltro ogni

coppia pare formi «una coppia mista»1. Se analizziamo questo fenomeno, i dati che lo descrivono

con un minimo di esattezza e le linee di tendenza, nella prospettiva dell’educazione, una prima

considerazione, ancora molto generale, può essere fatta per avviare la riflessione: proprio gli aspetti

relativi alla formazione della coppia, alla scelta o meno di sposarsi, alle forme familiari che si

sceglie di realizzare, evidenziano la frattura tra le generazioni, quelle dei figli e quelle dei padri. Per

dir tutto in modo sintetico, ci troviamo di fronte ad una nuova cultura delle relazioni umane, d’altro

genere rispetto al passato; tratto qualificante dal momento che è proprio essa a fondare i simboli

della coppia e della famiglia.

Può introdurci ad una conoscenza più analitica del pianeta famiglie, prendere in esame una

recente indagine psico-sociale condotta in Italia nel 2011 e dedicata alle nuove relazioni di coppia2.

È descritto un dato che s’impone su altri: fare coppia, vivere una relazione affettiva o sessuale, non

è ipso facto fare famiglia; risulta problematico che debba esserci una relazione essenziale tra le due

realtà; anzi, appare piuttosto un rebus, a queste coppie “a prescindere” dalla famiglia, definire cosa

sia e possa significare il matrimonio. È invece un fenomeno emergente quello delle coppie che si

autodefiniscono poliamory, sintomatico per se stesso anche se dal punto di vista statistico coinvolge

ancora una minoranza; sino a qualche anno fa forse le avremmo chiamate coppie aperte, in quanto

scelgono e pattuiscono di vivere contemporaneamente più relazioni con partner diversi e di limitarsi

a convivere solo per periodi definiti di tempo. È interessante apprendere dalle interviste che quanti

1 C. Saraceno, Coppie e famiglie. Non è questione di natura, Feltrinelli, Milano 2012, p. 9.2 Riferimento a P. Donati (a cura di), La relazione di coppia oggi. Una sfida per la famiglia. [XII] Rapporto Famiglia Cisf [ in Italia] 2011, Erickson, Trento 2012.

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scelgono di vivere questo tipo di esperienza la motivano parlando del desiderio di poter ricevere

maggiore arricchimento da persone diverse: ogni relazione è preziosa perché porta sempre qualcosa

di unico che nessun altra può supplire.

Sostiamo però ancora sull’indagine psico-sociale e sul dato che s’impone: emerge un tipo di

coppia che è maggioritaria e sembra un modello più diffuso, che tende a diventare oggi prevalente.

Facendo ricorso ad un termine proposto da C. Saraceno, possiamo definirla semplicemente coppia

«post-moderna». Questo concetto significa che essa sancisce la crisi del modello moderno della

coppia, che è stato a fondamento della «famiglia coniugale intima», origine e legittimazione

autonoma, anche sul piano simbolico e dei valori, dell’esser famiglia della famiglia secondo il

modello «cristiano-borghese»3.

La nuova coppia «post-moderna» è piuttosto «coppia-conversazione», all’interno della quale

ogni partner costruisce il proprio sé, grazie ad una (al limite, ininterrotta) narrazione interattiva.

Non è più possibile descrivere la vita di questa coppia semplicemente come unità fusionale tra due

metà che si cercano per ricostituire un’unità originaria. La vita della coppia nasce invece da una

qualche, preliminare scoperta dell’altro col quale si entra in relazione. Tale conoscenza personale

aiuta ad accettarne i limiti; e poiché egli non è inteso come la propria metà, viene messa in

questione ed entra in crisi la sua esclusività4. È questa coppia che tende a non concepire più la

propria esperienza d’amore e il proprio cammino come fondamento o anche solo come preparazione

al matrimonio e alla famiglia. Essa vuole essere «relazione pura», per impiegare un termine caro ad

A. Giddens e che porterebbe a sintesi – a suo parere - il senso della trasformazioni dell’intimità

nell’età contemporanea5.

2. Nuove forme familiari

Per fare avanzare la nostra riflessione, teniamo ora presenti altre indagini psico-sociali, che ci

aiutino a conoscere meglio i mutamenti che hanno toccato la famiglia negli ultimi decenni in Italia.

Fanno al caso nostro alcuni volumi che pubblicano i rapporti biennali preparati dal CISF (Centro

Internazionale Studi Famiglia), raccolte di dati e proposte di interpretazione di fenomeni emergenti,

ma anche monitoraggio di nuovi corsi di azioni pratiche 6.3 Cfr. C. Saraceno, op.cit., pp. 46-56.4 Cfr. A. Bellingreri, La famiglia come esistenziale. Saggio di antropologia pedagogica, La Scuola, Brescia 2014, pp. 27 ss.5 A. Giddens, La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nella società moderna (1990), trad. it. di D. Tasso, il Mulino, Bologna, 20072.6 Dal Primo, dedicato a «L’emergere della famiglia autopoietica»: P. Donati P. (a cura di), Primo rapporto Cisf sulla famiglia in Italia, San Paolo, Cinisello Balsamo 1989; al Settimo: Id. (a cura di), Identità e varietà dell'esser famiglia: il fenomeno della «pluralizzazione». Settimo rapporto Cisf sulla famiglia in Italia, ibid., 2001; al Decimo: Id. (a cura di),

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Anche nel nostro Paese, il pianeta famiglia nel decennio 1965-1975 ha conosciuto quella

«grande fenditura», di cui parla riferendosi alla Francia E. Sullerot e per descrivere la quale usa

espressioni molto forti come «grande trambusto», crescita apicale di uno «smarrimento di vaste

proporzioni». L’esito non è stato però la «morte» della famiglia, come pure preconizzavano alcuni

autori più radicali, nell’ottica di una sorta di darwinismo sociale. Il mutamento più significativo può

essere descritto in modo abbastanza oggettiva dicendo di un passaggio dalla famiglia normativa alla

famiglia affettiva. Da un lato, sul versante della vita di coppia, questo ha significato, accanto ad una

pattuizione debole, l’affermarsi di una affettività forte, nell’orizzonte di quanto possiamo definire il

mito autogenerativo della coppia. Dall’altro lato, sul versante della genitorialità, un grande

attaccamento e insieme una sempre più debole progettualità coi figli, nell’orizzonte del mito del

bambino fondatore della coppia7.

Propongo d’interpretare questo grande mutamento come passaggio dalle famiglie nucleari a

quelle post-nucleari, termine che designa piuttosto un plesso, un insieme molto variegato di

fenomeni, a volte anche molto diversi l’uno dall’altro. Se ne può tentare, come da più parti è stato

proposto, una descrizione «morfogenetica», il cui criterio può esser dato dal rilievo che in ciascuna

delle forme familiari assume il patto. Si danno forme in cui la coppia che sceglie di costituire una

famiglia intende il patto come norma non-fattuale (o contro-fattuale, in un senso non

necessariamente giuridico); ma per altre coppie il patto può avere solo la funzione di una regola

soggettiva o essere accettato solamente come una procedura anagrafica. Stante questo criterio,

possiamo dire che veramente alternative, rispetto a tutte le altre forme familiari, sono le realtà

coniugali che non sono – non vogliono essere – definite da nessun patto; sono forme di convivenze

che in senso proprio devono essere definite non normate; sono tali in primo luogo le convivenze o,

come è preferibile esprimersi, le unioni libere. Forse potrebbero essere considerate con questa stessa

dizione di famiglie alternative anche le famiglie monoparentali; come è noto, sono nella stragrande

maggioranza, matricentriche8.

In molti studi non compare il termine che qui sto proponendo, si parla in generale di nuove

forme familiari. La scelta del concetto può essere relativa, dobbiamo ammettere però che alcune

realtà, riguardate nelle modalità secondo cui vanno emergendo nelle società contemporanee, in

qualche modo hanno aspetti non presenti in passato. Tali possono essere le famiglie ricostituite,

definite anche acquisite o, con il termine inglese che intende questo stesso significato, stepfamilies;

Riconoscere la famiglia. Quale valore aggiunto per la persona e per la società? Decimo rapporto Cisf sulla famiglia in Italia, ibid., 2007.7 Vedi, per tutti, M. Barbagli – M. Castiglioni – G. Dalla Zuanna, Fare famiglia in Italia. Un secolo di cambiamenti, il Mulino, Bologna 2003. Riferimento nel testo al libro di E. Sullerot, Le grand remu-ménage. La crise de la famille, Fayard, Paris 1997.8 Cfr. G. D’Addelfio, Nuove famiglie. Percorsi, nodi e direzioni per l’educazione, il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2012; ma già V. Iori, Separazioni e nuove famiglie. L'educazione dei figli, Cortina, Milano 2006.

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realtà che esigono specifiche competenze nei genitori e negli educatori che li accompagnano. E per

tanti versi tali possono essere considerate le famiglie costituite da persone che decidono di formare

una coppia (per lo più, in senso statistico, coniugata), ma che scelgono anche di non generare figli –

che vogliono essere childfree o con un acronimo DINKS9.

Diverso, probabilmente non alternativo e certamente non nuovo, il caso delle sedicenti famiglie

unipersonali; ancor più diverso e sicuramente d’altro genere nella prospettiva dell’educazione è il

caso delle famiglie che non potendo generare figli, scelgono di adottarli, anche andandoli a trovare

in altri continenti. Sono le famiglie adottive, ma anche – come giustamente da qualcuno è stato

proposto di chiamarle – le famiglie internazionali; sono, a mio modo di vedere, forme familiari

veramente nuove nella prospettiva dell’impegno e del lavoro educativo, come lo sono molte

famiglie affidatarie, che vivono l’esperienza della genitorialità allargata10.

3. L’esser-coppia della coppia

Il discorso sulla novità portata dalle famiglie contemporanee e sull’opportunità che esse possono

offrire per un’autentica crescita educativa, utilmente può ripartire da una riflessione su quelle

coppie formate da persone che quando affermano di voler vivere delle «relazioni pure», lo dicono

espressamente nel senso che non accettano di conferire alcun senso specifico al loro stare insieme.

Sono spesso persone che, quando si ragiona di famiglie - quando ci si chiede se la loro coppia formi

o no una famiglia -, generalmente dicono che non sono famiglie, sono semplicemente delle coppie.

Come cercherò di mostrare col seguito della mia riflessione, per parte mia reputo si debba scrivere

che queste coppie effettivamente non formano in senso proprio delle famiglie; esse formano solo

delle unioni nella misura in cui scelgono di restare libere da ogni sorta di legame, da loro percepito

solo come un impaccio. Non tutte le coppie formano una famiglia; ma quanto all’esser coppia, si

dovrebbe qui parlare di coppie non normate: a significare solo che di fatto esse sono un ménage,

una semplice convivenza di persone che si amano.

Cominciamo intanto a concentrarci su questo tipo di «relazioni pure», che dire di esse? Una

riflessione fenomenologica aiuta a cogliere un limite in questo tipo di scelte, la negazione di un dato

elementare che pure s’impone con evidenza. Apprendiamo infatti dalla fenomenologia dei rapporti

interpersonali che ogni relazione per il solo fatto di porsi implica comunque l’istituirsi di un patto

fiduciario, anche per così dire minimale, tra i due partner. La differenza semmai, nelle modalità di

9 Cfr. R. Berger, Stepfamilies: a Multidimensional Perspective, Howorth Press, New York/NY 1998; e, inoltre, D. Demetrio – F. Rigotti, Senza figli. Una condizione umana, Cortina, Milano 2012.10 Cfr. L. Pati (a cura di), Famiglie affidatarie. Risorse educative della comunità, La Scuola, Brescia 2008.

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costituzione delle coppie, è data dal fatto che in alcuni casi il patto può essere inteso e vissuto come

regola puramente soggettiva o privata e pertanto vale solo per i partner coinvolti, mentre in altri

casi esso è una norma pubblica o oggettiva, in quanto viene accettata almeno dalla comunità storica

di appartenenza dei partner. Ma, non può esser diversamente, una norma specifica sempre ogni

relazione, perché questa si dia e si dia come vissuto umano sensato; per l’esattezza, è il reciproco

riconoscimento del patto a porla in essere come relazione normata o sensata.

Questo significa che di fatto le coppie e le realtà (di tipo familiare) che si autodefiniscono unioni

libere sono sempre segnate da quanto qui denoto norma; esso costituisce il criterio di senso

dell’essere uniti da parte dei partner, del cammino di vita insieme che hanno intrapreso. Per la

riflessione pedagogica è del massimo interesse vedere ed intendere questa sorgente di senso:

prendendo atto che se se ne debba parlare alla stregua di un tratto essenziale dell’esser-coppia della

coppia; per riuscire, poi, articolando la riflessione, a coglierne il senso che svolge per l’esser-

famiglia della famiglia11.

Può destare perplessità una tale esigenza dell’essenziale e la ricerca di chiarimento ontologico,

dal momento che da tutta l’analisi è emersa piuttosto come dato inequivocabile quello dell’estrema

pluralizzazione delle realtà che stiamo studiando. Cominciamo con l’osservare che questo richiamo

alla pluralità e ai contesti sempre mutevoli, in quanto è un richiamo all’esperienza e alla storia, ha

un rilievo critico anche per il pedagogista. Sennonché, proprio l’impegno educativo non vive nella

dimensione dell’esser concreto e differente, senza doversi rivolgere insieme - e forse in modo che

risulta veramente costitutivo e proprio - al poter essere e al dover essere della vita singolare e

comunitaria delle persone. Ci si trova dunque di fronte ad un problema squisitamente filosofico; e,

nei momenti di grandi trasformazioni, non è semplice riconoscere e definire l’essenza: proprio in

ragione dei mutamenti occorsi, diviene possibile piuttosto misconoscere i tratti veramente costitutivi

di una determinata realtà12.

Per quel che mi riguarda, ho tentato altrove di assumere questo problema, in una ricerca in cui la

fenomenologia della vita di coppia e della comunità familiare forma il momento teoretico di

un’antropologia pedagogica del famigliare, scienza di confine tra la pedagogia fondamentale e la

filosofia della persona. Vi argomento sull’essenza di questi fenomeni; e la variante grafica che

propongo, parlando di famigliare, serve proprio a rimarcare il fatto che nella riflessione

fenomenologica il termine non ha innanzitutto una referenza empirica specifica; è termine che

significa piuttosto l’essenza colta dall’intuizione intellettuale dei molteplici fenomeni empirici, in sé

plurali e indefinitivamente differenziati13.

11 Rimando a A. Bellingreri, op.cit., pp. 59 ss, 139 ss.12 G. D’Addelfio, op. cit., p. 186.13 Il riferimento, all’inizio di questo periodo è alla mia opera, citata prima nella nota 4.

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4. Il divenir-famiglia della coppia

4.1. Il momento sorgivo

In questo contributo mi limito a richiamare alcuni dei punti qualificanti di una tale fenomenologia.

Il primo reperto è offerto dal fenomeno dell’incontro tra due persone, che è sempre,

originariamente, incontro tra due corpi animati viventi e, in quanto tali, sessuati. È l’interesse per

l’intero della persona incontrata, per il suo corpo e il suo cuore – per la sua anima – a destare

l’amore: il soggetto coinvolto può prender atto di essere, nel primo impeto che lo muove, più un

oggetto che un soggetto, di esser vinto dalla passione e dalle emozioni; certamente egli deve

riconoscere di esser definito dall’intenzionalità erotica o amorosa. È un senso che si offre alla sua

consapevolezza, anche se è prima nelle cose per così dire che non nella coscienza; ma

riconoscendolo, egli è chiamato a significarlo: a portarlo a parola, configurandolo di fatto in un

linguaggio affatto caratteristico. In effetti, il suo mondo singolare vien in tal modo ad esprimersi nel

momento stesso in cui inizia a rivelarsi; può apparire una novità anche al soggetto che vi è

coinvolto, mostrando aspetti o inspetti di sé in qualche modo segreti, quasi un testo occulto rimasto

sinora nascosto.

Il momento sorgivo dell’amore è probabilmente quello determinante, esso porta la differenza,

destinata a segnare la relazione e il suo senso. L’intenzionalità amorosa infatti, all’interno di una

precomprensione ma insieme articolandola in una nuova comprensione, può esser significata

dall’amante innanzitutto ed essenzialmente come intensificazione della vita personale. Se il

soggetto vive però quanto incontra solo come esperienza e possibilità reale di una promozione del

sé, l’altro che pure egli ha di fronte, vien posto e insieme viene tolto: tanto da dover dire che proprio

della relazione in questo incontro, già non ne è più niente. Questo linguaggio fenomenologico un

po’ asciutto descrive la modalità coscienziale del single; ora, se l’intenzionalità amorosa è compresa

da single, non solo la relazione non si pone, ma il soggetto tende a concepirsi come sé autopoietico:

la sua felicità è indipendente dalle relazioni e viepiù dai legami; l’orizzonte di comprensione

dell’esistenza è una sorta di individualismo espressivo e il massimo d'impegno va nel senso di una

promozione estetica della propria vita – del beautiful Self14.

Si tratta di una possibilità reale, ma solo di una possibilità; non è impedita infatti una diversa

esperienza dell’altro e di sé, e di sé proprio nella relazione all’altro. L’intenzionalità amorosa può

14 A. Bellingreri, op cit., pp. 51-54.

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infatti esser vissuta e significata seguendo un codice d’altro genere: essa può diventare una sorta di

offerta incondizionata di sé alla persona da cui si è attratti irresistibilmente; tanto da decidere di

vivere, da quell’ora e per sempre, per l’altro – non più per se stessi. Qui, con evidenza,

l’intenzionalità amorosa è segnata da un’originaria istanza di gratuità, tutto infatti è fatto per niente

ossia senza percepire e affermare un qualche tornaconto; e da un’altra istanza di incondizionatezza,

trattandosi della percezione chiara che il proposito di donarsi all’altro senza nulla voler trattenere

per se stesso s’impone come massimamente preferibile15.

Il punto più importante è però un altro: nel momento sorgivo dell’amore infatti l’amante decide

di viver così, di esser definito dalla gratuità e dall’incondizionatezza, senza esser all’inizio garantito

dal sapere che l’altro corrisponda il suo amore: nel momento sorgivo egli ancora non sa nulla

dell’altro, il quale dunque resta per lui veramente un altro. È questa, a mio modo di vedere, una

percezione determinante, destinata per così dire a marcare l’essenziale, già un frutto maturo

d’amore che si presenta nel momento della germinazione: per amare veramente, per permanere

nella realtà dell’amore, l’altro deve permanere nella sua intrascendibile alterità. È il tratto essenziale

dell’amore e si mostra come tale sin suo primo apparire: l’amore è sempre amore dell’altro; e forse

– mi sembra onesto evidenziarlo subito - in questo rilievo si trova la radice di senso della

convinzione che amare è sempre amare il proprio altro: che per l’uomo è la donna, per la donna è

l’uomo16.

Ma un amore unilaterale, per quanto forte e senza condizioni, non è sostenibile, e c’è una

ragione: esso chiede d’esser riconosciuto, d’essere pertanto amato per quello che è, nella sua

gratuità. Può accadere allora, e accade, che l’amata/l’amato sia mossa dall’amore che riceve: che

possa riconoscerlo come la cosa più desiderabile, divenendo lei stessa/lui stesso, a sua volta,

amante. Una seconda intenzionalità, che possiamo chiamare oblativa, segna ora la relazione; e

bisogna notare che tale intenzionalità, significando l’amore accolto e riofferto, vale e s’impone

proprio come esaltazione della relazione. È un evento di novità, emergenza d’essere e di senso:

infatti, proprio perché ciascuno dei due – l’amante/l’amato – scopre sé per l’altro in assoluta

reciprocità, a ciascuno è donata ora la possibilità d’intendere, sia pure in modo iniziale, il proprio

nome. È questa la novità: questa scoperta di un’identità personale nuova segna a tal punto la

relazione da trasformarla in una realtà d’altro genere, più ricca; possiamo intenderla rinominandola

col termine legame, a significare che ora non si tratta più di un io e, a lui prossimo ma separato, di

un tu: la novità d’essere è il noi, l’avvento di una realtà nuova non riconducibile ai singoli poli17.

15 Riferimento principale per questa analisi fenomenologica del momento sorgivo della relazione erotica resta J.L. Marion, Il fenomeno erotico. Sei meditazioni (2003), tr. it. di L. Tasso e D. Citi, Cantagalli, Siena 2007, pp. 17-27.16 J. Lacan, Lo stordito, «Scilicet», 1977, n. 4, p. 366; citato da M. Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Milano, Feltrinelli 2013, p. 86.17 Tesi centrale nel bel libro di E. Scabini e V. Cigoli, Il famigliare. Legami simboli e transizioni, Cortina, Milano 2000.

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4.2. Il principio-generosità

La fenomenologia dell’incontro interpersonale diviene fenomenologia della coppia amorosa, in

quanto coppia fenomeno irriducibile nella sua specificità. Ora, vi ho fatto cenno, la coppia come

tale va distinta dalla famiglia, questo è il reperto che si manifesta: come tale essa non è per se stessa

realtà familiare. Proprio la descrizione fenomenologica però ci aiuta a capire che tra queste due

realtà si può porre una relazione reale che va evidenziata; al punto che ha senso scrivere che per

parlare della famiglia, è necessario far segno sulla coppia; ma anche, reciprocamente, che per poter

parlare della coppia in modo adeguato, bisogna far segno sulla famiglia. Vorrei tentare di chiarire

queste affermazioni, cominciando con la semplice notazione che la famiglia si presenta, nella realtà

della coppia, come una possibilità già da subito aperta, in qualche modo ad essa immanente. In

effetti, la coppia che si pone e si concepisce come noi, può scegliere di esser definita da un principio

simbolico che costituisca la fonte di ogni significato dello stare insieme; è evidente, un tale

principio vale e s’impone perché trascende le emozioni le intenzioni e i pensieri dei singoli,

divenendo piuttosto sorgente di affetti di volizioni e di vedute comuni. Possiamo chiamarlo

principio di donatività o, più semplicemente, di generosità; di nuovo, riconoscerlo e istituirlo fa

tutt’uno con la presa d’atto che il legame porta o offre esso stesso un senso più ampio dei mondi

singolari di ciascuno, quasi coincidesse con un mondo comune, inedito e singolare.

La coppia definita in primo luogo ed essenzialmente da questo principio simbolico è il nucleo

germinale reale della famiglia. Questa già si pone in essere anche se i partner decidono di concepire

tale principio esclusivamente come patto fiduciario, soggettivo o privato; accade così nelle famiglie

formate da conviventi, che promettono nel proprio cuore di appartenersi, fondando tutto sulla

fiducia reciproca e sull’affidamento dell’uno all’altra. Le convivenze o unioni libere, secondo questo

mio modo di vedere, già sono realmente delle famiglie; presentano infatti una parentela ontologica,

per volersi così esprimere, con le altre forme di famiglie, il cui fondamento è costituito da

articolazioni diverse del principio di generosità. Ma tra le coppie standard, ci sono delle coppie che

possono scegliere di andare oltre il semplice patto fiduciario, di riprendere e continuare il cammino.

Alcune possono scegliere d’intendere il principio simbolico come istituzione matrimoniale; accade

a quanti scelgono di sposarsi secondo il rito civile. Essi fanno questa scelta perché accettano come

positiva la mediazione della legge a sostegno del loro amore, in particolare della loro fragilità. E lo

fanno davanti a dei testimoni della società civile: quanto in modo eloquente solennizza il carattere

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non più privato ma pubblico di questa diversa forma di patto, che istituisce la famiglia come

struttura sociale18.

Altre coppie interpretano il principio simbolico di donatività in modo che appare il più radicale:

accade quando è dato di percepire, sotto qualche aspetto, che il fatto d’amarsi, sin dal suo momento

sorgivo, è per se stesso un fatto sacro. Esso infatti sembra essere segnato da un significato

inequivocabile: introduce in una contrada della realtà non solo d’altro genere, ma in qualche modo

intangibile da parte di ogni uomo e di ogni donna. Le intenzionalità costitutive della relazione e del

legame s’elevano, si sublimano mentre sono ricomprese in una figura esistenziale definita da

un’intenzionalità che chiamerei semplicemente sponsale. Dunque, le coppie che scelgono con

consapevolezza e libertà l’alleanza sponsale e di contrarre matrimonio secondo un rito religioso –

ad esempio secondo il rito cattolico che intende il matrimonio come sacramento della creazione,

come accade ancora alla maggioranza di quanti, in un paese come il nostro, scelgono il rito religioso

– in qualche modo vivono e intendono qualcosa che li introduce nell’universo e nella logica del

dono19.

5. L’esser-famiglia della famiglia

La coppia dunque è un nucleo germinale che può configurarsi come famiglia, divenendo così una

struttura sociale specifica irriducibile ad altre. Come abbiamo visto, il XII Rapporto CISF dedicato

alle relazioni di coppia, evidenzia un fenomeno che in qualche modo, per le proporzioni ma anche

per le convinzioni che lo sostengono, si presenta come nuovo: un numero già significativo,

comunque crescente, di coppie sceglie di formare e di vivere la vita di coppia, ma di non formare

una famiglia. Si tratta di una possibilità di vita, di un modo d’intendere la coppia e la vita insieme

che spesso è definito da idealità morali oggettivamente positive; ma a fronte di questa linea di

tendenza, possiamo forse apprezzare maggiormente la scelta di chi inizia un cammino di coppia e,

nelle forme che abbiamo preso in esame e che possiamo ora anche definire stazioni nell’itinerario di

crescita proprio come coppia, responsabilmente decide di mantenersi aperto alla possibilità di

generare dei figli.

Reputo che questo sia uno dei tratti più interessanti del presente momento storico, in una società

della tarda modernità: quanto migliaia e migliaia di generazioni di uomini e donne hanno percepito, 18 Cfr. P. Moreau, Mariage et parentalité. La reconnaissance de la médiation de la loi, in D. Bramanti (a cura di ), Coniugalità e genitorialità: i legami familiari nella società complessa, Atti del Primo Seminario Internazionale del REDIF, Vita e Pensiero, Milano 1999, pp. 31-48.19 Cfr. i due testi di X. Lacroix, Il corpo di carne. La dimensione estetica, etica e spirituale dell'amore (1992), tr. it. di G. Zaccherini, Dehoniane, Bologna 1997; e Id., I miraggi dell'amore (2010), tr. it. di M. Porro, Vita e Pensiero, Milano 2011.

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nei secoli e nei millenni, come un fatto “naturale”, oggi è compreso piuttosto come termine di una

scelta responsabile. Forse però veramente nuovo, più d’ogni altro aspetto, appare il nesso che, sin

dal suo sorgere, può legare in modo essenziale la famiglia alla coppia: se la norma che la pone in

essere e che forma il suo criterio autonomo di senso è il principio di generosità, la famiglia può

essere intesa e vissuta come piena fioritura del principio. Anzi, una tale efflorescenza può mostrarsi

come quella che porta a pieno e perfetto compimento il dono e la logica che lo segna. Il dono infatti

è quello della vita che può essere trasmessa, una possibilità reale immanente alla relazione al

legame e all’alleanza tra un uomo e una donna; un puro dono, offerto senza che sia richiesto 20. È il

dono che suscita dal suo niente un rapporto con un terzo che – secondo una parola poetica -

«sempre viene da altrove».

Nella prospettiva dunque che qui vado disegnando per profili, la possibilità che dalla vita di

coppia germini una famiglia è consegnata alla scelta di viverne le intenzionalità costitutive - erotica

oblativa e sponsale – in una fondamentale disposizione o disponibilità ontologica. Le cose mi pare

si debbano prospettare in questi termini, volendo restare fedeli alla realtà che si mostra e facendo

ricorso ad un linguaggio che ad essa sia il più possibile aderente. Anche se, va notato subito, la

questione del linguaggio ci obbliga quasi a fare delle precisazioni, cercando di giustificare, ossia di

rendere evidente, il significato / i significati di un termine come famiglia, che oggettivamente

«intende molte cose», rischia pertanto di risultare generico o a tratti equivoco, come già prima

notato.

Vorrei limitarmi in questa sede solo a poche osservazioni, tenendo come riferimento per una

interlocuzione critica l’antropologia strutturale di C. Lévy-Strauss. Questo maestro parla della

famiglia come di uno dei (pochi) fenomeni «di più lunga durata»; lo definisce anche fenomeno

«universale»; «fatto sociale globale»; «archetipo culturale»; «invariante antropologica». La

notazione di maggior rilievo, a mio modo di vedere, resta però un’altra: ogni gruppo sociale, ogni

società e ogni cultura umana nella storia presentano forme differenziate di famiglia, tanto che – in

una prospettiva che può essere quella dell’antropologia culturale, ma che è anche della sociologia

della famiglia e della psicologia della famiglia – la si può considerare una «costruzione sociale». A

margine di questa notazione, possiamo osservare che dunque per ogni gruppo sociale e per ogni

generazione nella storia dell’umanità, famiglia è il termine che intende un progetto che sempre,

nella storia, l’umanità ha portato con sé; esso sempre resta da realizzare, e viene di fatto articolato o

effettuato nelle forme le più diverse21.

20 Cfr. X. Lacroix, Di carne e di parola. Dare un fondamento alla famiglia (2007), tr. it. di P. Gomarasca, Vita e Pensiero, Milano 2008, passim.21 C. Lévy-Strauss, Le strutture elementari della parentela (19672), tr. it. di A.M. Cirese e L. Serafini, Feltrinelli, Milano 1969, pp. 39-50; 51-67.

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Come definire allora, il senso o – col linguaggio della fenomenologia e dell’ermeneutica – le

intenzionalità costitutive di un tale progetto sempre offerto come compito aperto per ogni

generazione? Mi pare che una definizione in sé già subito minimamente adeguata possa essere

quella proposta da E. Scabini e da P. Donati, in contesti disciplinari differenti, ma movendosi

all’interno di un paradigma simbolico-relazionale nell’intendere la famiglia. La famiglia è un

progetto sempre aperto, segnato dall’intenzionalità costitutiva della trasmissione di beni, che

avviene: su base duale, ossia tra i generi maschile e femminile; su base triadica, ossia tra

generazioni e tra stirpe diverse; su base culturale, perché ne va sempre di universi simbolici e di una

loro qualche comunicazione o consegna. In ragione di ciò, essa risulta, fra i fenomeni umani il

luogo generativo per eccellenza, sul piano biologico, economico, sociale, culturale ed educativo;

quanto la rende struttura sociale originaria, sia in senso filogenetico che in senso ontogenetico;

originale o irriducibile ad altre; in qualche modo necessaria22.

Certo, a proposito di questa ultima affermazione, va fatta una distinzione, tutt’altro che

secondaria. Come struttura della società, la famiglia è necessaria sul piano dei «motivi a causa dei

quali» esiste, perché assume e tenta di soddisfare bisogni primari delle persone. Essa è però una

realtà relazionale possibile, sul piano dei «motivi al fine dei quali» si forma, perché la relazionalità

– al limite: una vita relazionale veramente feconda e vitale per le persone – è piuttosto per essa e in

essa un fine da raggiungere. Con evidenza la distinzione risulta subito essenziale: significa che, se

limitiamo la nostra riflessione al piano morale, la famiglia è solo una possibilità, non ha cogenza se

non etica. Infine, fondare e rifondare il matrimonio e la famiglia restano compiti aperti per ogni

generazione e per ogni persona, un percorso o una «carriera morale»23.

6. La famiglia come esistenziale

Nella mia ricerca di antropologia pedagogica del famigliare già più volte richiamata, ho espresso ed

insieme approfondito questo risultato critico, proponendo la tesi che la famiglia, visualizzata nel

rapporto reale qui istituito che la intende come fioritura del nucleo germinale della coppia, è un

esistenziale, una struttura costitutiva dell’esistenza personale24. Da un lato, questa tesi significa che

è possibile vedere e interpretare le categorie intrafamiliari, tutte le relazioni interne o proprie della

vita di famiglia, come autentico poter essere della persona: tale è l’esser figlio/figlia, sposo/sposa, 22 Mi riferisco, in particolare, da un lato a E. Scabini e V. Cigoli, Alla ricerca del famigliare. Il modello relazionale-simbolico, Cortina, Milano 2012; dall’altro, a P. Donati, Sociologia della riflessività. Come si entra nel dopo-moderno, il Mulino, Bologna 2011.23 Secondo la bella espressione di Janet Finch; la trovo citata in C. Saraceno e M. Naldini, Sociologia della famiglia, il Mulino, Bologna 20072, p. 83.24 Tesi centrale del mo libro La famiglia come esistenziale. Saggio di antropologia pedagogica, op. cit.

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padre/madre, fratello/sorella. Ora, affermare che tali realtà relazionali sono degli esistenziali vuol

dire non concepirli solo come “fatti” naturali, come semplici “fenomeni” biologici o sociologici o

psicologici; esse, adeguatamente intese dall’antropologia pedagogica, sono piuttosto un dono

possibile che nell’esistenza personale s’impone e solo s’attua come un compito offerto alla libertà e

alla consapevolezza di chi lo riceve. In questa prospettiva, in breve, esse possono diventare cifre

dell’esistenza o della vita della persona.

Ma, riguardando questa tesi da un altro lato, essa significa anche che nella famiglia diviene

possibile trovare e riconoscere quanto propongo di chiamare la genealogia della persona. Nella

famiglia infatti il soggetto trova l’ethos originario; si potrebbe dire, ricordando un celeberrimo

topos della cultura psicoanalitica, che grazie alla famiglia la persona riceve una mente, che è

insieme un cuore ed è un’anima, perché è il segreto della persona, il punto in cui sono legati e da cui

si dipartono tutti i fili che tengono il suo mondo. Ma si potrebbe anche scrivere, col linguaggio

dell’analitica dell’esistenza nei mondi della vita, che la famiglia è il «ci dell’esser-ci», il posto

concreto cui ogni persona è consegnata e che si configura come definito mondo di abitare il mondo.

Il luogo della originaria consegna è, per il soggetto, la sua archeologia; esso però porta anche la sua

teleologia: è mondo già sempre dato o trovato, che può essere inteso dalla libertà come plesso di

possibilità reali aperte.

Che questo accada nell’esistenza di una persona, che l’autentico poter essere si concreti nelle

linee di un progetto di vita il cui esito sia un avvenimento del sé, è il compito specifico

dell’impegno educativo. Un tale impegno ha il suo momento iniziale e per certi versi determinante

in famiglia, che dunque giustamente è il luogo originario dell’educazione. Nella mia prospettiva, in

particolare, ho proposto di vedere e intendere le relazioni intrafamiliari come forme di relazioni di

riconoscimento: modi diversi, ma analogicamente correlati, di portare risposta ad un fondamentale

bisogno di riconoscimento del soggetto; forse è questo il nome del bisogno della persona cui

originariamente cerca di portare una qualche risposta qualsiasi impresa educativa familiare.

Per un verso, è il bisogno del soggetto di essere accudito e preso in cura, ma anche accolto e

amato; per essere, si potrebbe affermare, è necessario essere riconosciuti attivamente e fattivamente

nell’essere. A questo, che costituisce il lato affettivo del bisogno di riconoscimento e che possiamo

denotare semplicemente bisogno di intimità, corrisponde il sistema di regolazione relazionale che

chiamiamo codice materno, il cui centro è la figura, reale o simbolica, della madre; è grazie ad esso,

in ragione dell’amore che è portato alla propria singolarità, che il soggetto matura la coscienza della

personale preziosità. Per un altro verso, è il bisogno di essere introdotto nella realtà, in tutta la realtà

umana e cosmica; quanto coincide con l’ingresso in un universo simbolico. Ogni comportamento è

umano, vi ho fatto cenno, in quanto segnato da un senso, offerto dalla realtà o a questa conferito dal

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soggetto; non è possibile un’esistenza umana degna senza questo riconoscimento attivo del mondo,

condotto in prima persona. È il lato simbolico o etico del bisogno di riconoscimento, che possiamo

chiamare anche bisogno di dignità; ad esso corrisponde l’altro sistema di regolazione, il codice

paterno e la figura, reale o simbolica del padre. È grazie ad esso, in ragione di questo

accompagnamento e dell’introduzione in un universo simbolico, che una persona abita una mondo:

può eticamente dimorare nel mondo25.

In questa prospettiva la famiglia va vista come sistema di relazioni di reciproco riconoscimento:

possiamo intendere allora tutte le categorie della sua vita come forse differenti di questa identica

istanza relazionale – forme analogiche di relazionalità riconoscente. Proprio l’educazione ci fa

intendere che in questo compito, nell’assunzione e nella presa in carico del bisogno di

riconoscimento, la famiglia non basta a se stessa; il suo lavoro è prezioso, ma sempre sotto qualche

aspetto strutturalmente manchevole, necessitando sempre di una qualche integrazione con altri

ambiti educativi; è la insuperabile finitezza e la fragilità che esigono il sostegno e la cura.

7. Il diritto di ogni forma familiare alla tutela educativa

Tenendo insieme tutte le argomentazioni qui presentate, riportandole al tema specifico al centro

della nostra riflessione, reputo si debba conclusivamente fare questa proposta: ogni forma familiare

ha diritto ad una tutela educativa, a motivo di un diritto fondamentale della persona ad una

relazionalità riconoscente, termine primo ed ultimo dell’impegno, teoretico pratico e poietico, della

pedagogia come scienza umanistica. Ma un’attenzione e una cura educativa specifica va rivolta

soprattutto alle realtà familiari che in modo evidente presentano delle fragilità. Ora, ogni forma

familiare problematica può essere intesa come «lente d’ingrandimento di un aspetto della realtà

familiare che riceve rilievo particolare»; la tutela educativa a questo innanzitutto deve essere rivolta.

Di conseguenza, l’atteggiamento idoneo di base dell’educatore deve qui essere di aiutare ogni

coppia a interrogarsi sulle modalità concrete che possano servire per realizzare il progetto che essa

di fatto porta e da cui vuole essere definita.26.

Prendiamo in considerazione, ad esempio, tra quelle famiglie che prima abbiamo definito

alternative, le monogenitoriali, che sono nella stragrande maggioranza matricentriche; esse restano

caratterizzate da fragilità sociali e molto spesso economiche, ma sono segnate soprattutto da

«assenze educative», nella fattispecie a motivo di una «paternità a distanza variabile».

Monogenitorialità è un concetto problematico, perché la genitorialità è una relazione

25 Cfr. A. Bellingreri, Senso e metodo dell’autorità educativa dei genitori (2008), Terzo annesso in op. cit., pp. 307-327.26 G. D’Addelfio, op. cit., pp. 181 e 180.

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costitutivamente duale; e anche se in generale questa deprivazione non è lesiva del’identità di

genere, per questi figli diventare adulti sarà più difficile. Il compito della madre e degli educatori

che l’accompagnano e la sostengono ha da essere rivolto alla elaborazione della situazione di crisi:

l’impegno per la crescita educativa dei figli esige innanzitutto la mediazione materna nel continuare

a far vivere il loro rapporto coi padri; il ruolo più importante che la madre è chiamata a svolgere è

quello di recuperare la figura paterna 27.

Diversamente problematica si presentano le famiglie ricostituite: qui fa la sua comparsa un

«terzo genitore», il compagno di mamma o la «vice-mamma»; e anche per i coniugi non è facile

accettare e apprendere a vivere coi figli dell’altro: cartina al tornasole, come è stato scritto, di una

«complessa clinica familiare»28. Ora, il nodo di tutto, ciò su cui va posizionata la lente

d’ingrandimento, è il permanere del compito educativo dei figli, che resta sempre,

indipendentemente dalle scelte affettive dei genitori. Dai figli, per ricordare un titolo efficace, «non

si divorzia mai», e la condizione per preservarli dai conflitti di fedeltà, è quella di fare del proprio

divorzio un «buon divorzio». Quanto consente di vivere la co-genitorialità anche da separati: di

sostenere nei ragazzi in crescita l’esperienza del dis-attaccamento, aiutandoli ad elaborare il senso

della perdita, il loro lutto reale o virtuale. Esige da parte dei genitori la virtù di saper riconoscere i

propri errori, di saperli riconvertire; consapevoli che comunque gesti e parole della propria storia

sono irreversibili, sono destinati a restare29.

Ho scritto sopra che a proposito delle famiglie adottive e di quelle affidatarie, si debba parlare di

famiglie veramente nuove. È necessario precisare subito questa affermazione: è noto che entrambe,

in particolare le prime, sono sempre esistite; nuova però è la consapevolezza con cui esse oggi sono

costruite: segnate da un desiderio di paternità e di maternità che non viene bloccato, ma è esaltato

dai limiti della generazionalità. Spesso si affrontano difficoltà di ogni tipo, e non sono innanzitutto

quelle di tipo materiale o economiche, pur di poter diventare padri e madri: di «generare un figlio

già nato». Cresce il numero delle adozioni di bambini che vengono in Italia da tutti i paesi del

mondo; per tale ragione queste nuove famiglie sono chiamate internazionali e sono probabilmente il

vero esempio di famiglie miste30.

Qualcosa di analogo va detto a proposito delle famiglie affidatarie, luoghi di prova – come ho

scritto prima – di una genitorialità «allargata». Ora, l’affido ancorché temporaneo può essere

autentico a condizione di esser sorretto da un’istanza di genitorialità adulta e generativa, che già si

vive all’interno della famiglia con altri figli. È uno strumento giuridico che deve essere incoraggiato 27 V. Iori, op. cit, pp. 99-120.28 A. Oliveiro Ferraris, Il terzo genitore. Vivere con i figli dell'altro, Cortina, Milano 1997, pp. 49 ss., 99 ss., 135 ss.29 Cfr. L. Pati (a cura di), Pedagogia della famiglia, La Scuola, Brescia 2014, Introduzione; tesi centrale anche nel magnifico libro di N. Galli, Pedagogia della famiglia ed educazione degli adulti, Vita e Pensiero, Milano 2000.30 Citazione, in questo periodo, del titolo del libro curato da L. Sanicola (ed.), Adozione Generare un figlio già nato, Cantgalli, Siena 2012.

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perché «può dare consistenza all’istanza pedagogica di costruzione della famiglia come comunità

educante». Non si tratta però di un lavoro che possa essere svolto dalle sole famiglie; hanno un

ruolo importante perché abbia un qualche successo formativo le comunità territoriali, reti di

solidarietà primaria che con le loro risorse informali e coi servizi sostengono il crescere di una

«genitorialità diffusa»31.

Vorrei da ultimo, a conclusione della mia riflessione, fare qualche notazione a proposito delle

coppie formate da persone dello stesso sesso e di quelle che alcuni reputano possano essere

chiamate famiglie omosessuali. Riconosco che, se si sceglie di affrontarlo nella prospettiva della

pedagogia come scienza umanistica, si tratta di un tema d’indagine molto complesso e alcuni suoi

aspetti restano problematici. Molte ricerche empiriche presentano ancora, allo stato attuale,

difficoltà metodologiche, soprattutto nella scelta dei campioni; e si comprende il perché: spesso ci si

trova di fronte a «esperimenti esistenziali complessi», come si è espressa C. Saraceno, per orientarsi

nei quali mancano «carte di navigazione» e «codici condivisi», sia di tipo psicologico che

culturale32. Un solo punto mi pare s’imponga con una certa chiarezza: ci si trova di fronte a persone

che si amano, deve essere difeso pertanto il diritto ad avere la propria vita affettiva singolare. Un

diritto che, in questo caso, possiamo chiamare diritto all’omofilia e che ha affinità, ontologica e

logica, con quanto prima ho proposto di denotare diritto alla relazionalità riconoscente.

Però anche quando ci troviamo di fronte a relazioni intime di affetto, va riconosciuto che si tratta

di forme di amicizia amorosa, e non di coppie sponsali o familiari: In effetti, la differenza sessuale

sembra divenga in qualche modo secondaria, quando non viene annullata: perché diviene

secondaria o viene annullata la funzione procreativa della relazione; perché è una coppia che non

trova la sua radice di senso nella possibilità di generare generazioni. Un’ultima notazione,

relativamente alle adozioni richieste e ottenute da due persone dello stesso sesso che convivono: è il

figlio a patire «la perdita del codice relazionale» duale fra i genitori; e nella prospettiva

dell’educazione, resta molto problematico «che si ometta lo specifico delle funzioni educative

maschile e femminile»33. Reputo si debba prendere atto, con onestà morale e intellettuale, delle

difficoltà e delle situazioni che restano problematiche.

È questo atteggiamento, infine, che ci aiuta a scorgere nel tempo presente e ad accogliere con

realismo un nuovo «umanesimo dell’intimità»: per esso, il sacro pare «insediarsi stabilmente nei

cuori delle persone che s’amano»34. Ci permette di vedere con una sensibilità nuova la famiglia

31 L. Pati (ed.), Famiglie affidatarie. Risorse educative della comunità, La Scuola, Brescia 2008, pp. 11-14.32 C Saraceno, Coppie e famiglie. Non è questione di natura, op. cit., p. 110.33 Tesi fondante per L. Pati (ed.), Pedagogia della famiglia, cit.34 L. Ferry, Famiglie vi amo! Politica e vita privata nell'èra della globalizzazione (2007), tr. it. di C. Spinoglio, Garzanti, Milano 2008, p. 17 s.

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come luogo generativo e rigenerativo per eccellenza; magnifico programma libidico e simbolico,

forse tra le realtà umane il più grande operatore di felicità e di senso.

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