Ipersonetto - Galateo in bosco

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Ipersonetto - Zanzotto

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IPERSONETTO

premessa

(Sonetto dello schivarsi e dell'inchinarsi)

Galatei, sparsi enunciati, dulcedinidi giusto a voi, fronde e ombre, egregio codice...Codice di cui pregno o bosco godie abbondi e incombi, in nascite e putredini...

Lasciate ovunque scorrere le rediniintricando e sciogliendo glomi e nodi...Svischiate ovunque forze e glorie, o modicibollori d'ingredienti, indici, albedini...

Non pi che in brezze ragna, o filigranadubbiamente filmata in echi e lucisia il tuo schivarti, penna, e l'inchinarti...

Non sia peso nei rai che da te emananoprescrivendo e secando; a te riducisegno, te stesso, e le tue labili arti...

I

(Sonetto di grifi ife e fili)

Traessi dalla terra io in mille grifiminimi e in unghie birbe le ife e i filidi nervi spenti, i sedimenti vilidel rito, voglie cos come schifi;

manovrando l'invitto occhial scientificoe al di l d'esso in viste pi sottili,da lincee linee traessi gli stiliper congegnare il galateo mirifico

onde, minuzie riiarse da morte- corimbi a greggia, ombre dive, erme fronde -risorgeste per dirci e nomi e forme:

rovesciati gli stomaci, le immondefauci divaricare, la coortedei denti diroccata: ecco le norme.

II

(Sonetto degli interminabili lavoro dentarii)

In debil morso ahim denti perdenti,lungo iniqua sottil falcidia espuntio a colpi a strappi, e in falso poi congiunti,masticazioni, bulimie dolenti,

come infiniti addendi trovo dentidi giorni e di anni in ebbre ire consunti:impronte e ponti, tagli incastri punti,del trauma orale essenza ed accidenti.

Ahi che testa non fui, non bocca o zannadi fera o serpe, ma incerta collanadi segni-morsi da prtesi inferti:

odio chi in pasto reo si affanna e scanna,ma pi chi indura a cincischiar la vanasorte battendo i denti in gesso inserti.

III

(Sonetto di stragi e di belle maniere)

Moto e modi cos soavementeed infinitamente lievi/sadici,dondolii, fibre e febbri, troppo radio fitti per qualunque fede o mente,

stasi tra nulla e quasi, imprese lente opi rapide che ovunque rai s'irradino,per inciampi stretture varchi guadiun reticolo gi vi stringe argenteo,

un codice per cui vento e bufera,estremo ciel, braciere, cataclismacederanno furor per altre regole...

Ma quali mai distinguo, e in qual maniera,quali belle maniere, qual sofismale stragi vostre aggireranno, prego?

IV

(Sonetto del decremento e dell'alimento)

Ahi sottil pena ahi ago ahi rovo e spina,ahi frangersi di stelo, ahi della fogliaesaurirsi allo sguardo, ahi sparsa dogliadi tutto il bosco che all'autunno inclina...

Ahi languore che in strami si trascina:e s: ma d'alimento cresce voglia,e s: ma tutto al trogolo convogliala gran voglia, appetiti figlia, affina.

Catene alimentari vanno al trogolo,in miriadi s'impennano mandibolea vuoto o a pieno, salivati stimoli.

Disciolta furia e cura dentro il fimoaureo, macello senza sangui, rogosenza fiamma, pia lex: per te peribo.

V

(Sonetto dell'amoroso e del parassita)

Mentre d'erba la man ritraggo ratto,dall'erba/serpe infida in fitte e spini,mentre mi discorono dai divinirai serali e la notte prendo in atto,

o memoria con meco t'incammini,lo sparso accordi e riconformi il fratto:
qui gi per lei venni in furore e mattoqui da lei ebbi succhi suoi pi fini.

Col passo avaro, indocile, acre, rompoall'aldil che in falde e felci sfrangiasul botro; oltre le serpi e i pruni zompo.

E nell'alto aldil, nei fondi tenerido di tacco, do a sacco, sfregio veneri,falsifico simbiosi: ora si mangia.

VI

(Sonetto notturno con fari e guardone)

Spesso ove mi sommerse il cuor del boscoo nel mezzo a cesure che verzurefollemente feriscono, nel loscotrarsi a iatture delle mie venture,

l dove tutto che fu mio conosco,acri sciami di pollini, erbe impuree purissime al mel siccome al tosco,ore preste alla sferza in pioggie o arsure,

l dove sottopalmo e sottofelcela fragola rinvenni e dell'accesafichina l'umido lieve turgore,

coi fari sfonda il guardone, tra l'elcee l'orno e il faggio, tra la foglia e il fiore;deluso fa retromarcia, in ripresa.

VII

(Sonetto del soma in bosco e agopuntura)

Graffio di sottil tigre, ideogrammacui do a cura la mia sostanza grama,di yin e yang tremando nella trama,cercando i punti in cui la vita fiamma,

mentre l'ago mi fruga dramma a dramma -spine unghie lame da una man che ama -meriidiane linee in me diramayin e yang frangendo ogni diaframma.

S mi sent'io, s il mio torpido somasotto tal man, sotto tal tigre estrema,qual se Cupido a mille in me s'imprima;

ma non che per di Te fia domala fisima, il sofisma, l'entimema,e del tuo stral deliro pi che in prima.

(sic)

VIII

(Sonetto di sterpi e limiti)

Sguiscio gentile che fra mezzo erbe serpi,difficil guizzo che un enigma orienta,che nulla enigma orienta, e pur spaventail cor che in serpi vede mutar sterpi;

nausea, che da una debil quiete scerpime nel vacuo onde ogni erba qui s'imprenta,per che in vie e vie di serpi annientaluci ed arbusti, in sfrigolio di serpi;

e tu mia mente, o permanere, al limitedel furbo orrido incavo incastro rischio,o tu che a rischi e a limiti ti limi:

e non posso mai far che non m'immischio,nervi occhi orecchi al soprassalto primise da ombre e agguati vien di serpe il fischio.

IX

(Sonetto di Linneo e Dioscoride)

Vige il lume, s'allenta; in prode roridestacca e scavalca, a s fidando, il lume:erba e fronde a vorago marea fiumeche a me per colmi e conche foste floride,

di Linneo l'occhio invidio e Diioscoridetanto fecondo il far vostro, e il costumemolteplice e l'aspetto, e i nomi acumepi che a lingua dulcedo di clitoride.

Ma testa ahim, ma punta questa testa,di serpe, squama e schiena a serpe questain che v'inchiostro e innodo e circonfondo.

Ma non testa la mia; non voce o testoche venga a penna, a gola non qesto;non mondo o immondo io; n mai pur mondo.

X

(Sonetto di furtivit e traversie)

Ieri, di maggio freddissimo ventoondando di erbe in erbe, immoto io vidi,scolorando erbe e de le fronde i fidiaspetti sconvolgendo il mutamento;

e pur era di luci acri lo stentofin del folto nei pi riposti nidi,intime angustie strisci sfasci stridiorgasmi in cieca fuga in cieco avvento -

e imprendibilit, come di plurimeserpi sospite a traversie, di tossicheinvenzioni onde al niente si va appresso:

cos quanto imprendibile a me stessoa tutto, a tutti, com' il tutto, io fossi,furtivit per dossi orme echi oscuri.

XI

(Sonetto del che fare e che pensare)

Che fai? Che pensi? Ed a chi mai chi parla?Chi e che cerecec d'augl distinguo,con che stillii di rivi il vacuo impinguodel paese che intorno a me s'intarla?

A chi porgo, a quale ago per riattarlaquella logica a cui fili m'estinguo,a che e per chi di nota in nota illinguoquesto che non fu canto, eloquio, ciarla?

Che pensi tu, che mai non fosti, main pur in segno, in sogno di fantasma,sogno di segno, mah di mah, che fai?

Voci d'augei, di rii, di selve, intensimoti del niente che s a niente plasma,pensier di non pensier, pensa: che pensi?

XII

(Sonetto di sembianti e diva)

Deh mostra a noi, mostra il tuo bel sembiante:ma sembiante non hai pi che la polladi lume onde la selva l s'ammollae satolla, in se stessa vagolante;

n spiiarti giammai valse tra piantetu in secco aspro trapianto entro la follad'ombre che di se stessa ora s'accollas come ora si disfa, fredda amante...

Casta, diva, ulcerale stigma, erranteanzi aberrante ardir che di legamimai visti intreschi stili steli stami

e ratta li rintuzzi, nel roveschiod'ogni sentir, d'ogni cognosco o nescio -mero licor di lingua, e mai-sembiante...

XIII

(Sonetto di Ugo, Martino e Pollicino)
1778-1978

Qual fia ristoro a' d perduri un sasso:ma qual sasso tra erratiche macerie,quale scaglia da cumuli e congerieidentificher nel bosco, ahi lasso?

Ch se pur m'aggirassi passo passoper Holzwege sbiadenti in mille serie,quale a conferir nome alle miseriemie pietra svilirei, carierei masso?

Nel buio-orco che si maciulla in rupi,dell'orbe a rupi dento i covi cupi,quali mai galatei cemeteriali

rasoterra e rasoombra noterannoalmen la traccia in che l'affanno e il dannodei d, persi lapilli, vivo; quali?

XIV

(Sonetto di veti e iridi)

Quali torpori di radici porto,pigre radici in urto, in moto sordo,sforzo che non ha tregua e insegue ingordoper stasi e stacchi il proprio senso morto,

il proprio vivo senso che arde assortoe d'ombre e selve eterne cede al bordo;con che radici terre e terre mordoma in quante tetre piante torno aborto.

Terre e radici plumbee faccio viridi,veti nella vetaia estirpo e tolgo,poi vengo meno e in mie asme impaludo;

qua e l, sangue, per secche sto e trasudo;vetusta talpa grufolo, sconvolgo,e spio nel piombo insorgere mille iridi.

POSTILLA

(Sonetto infamia e mandala)

Somma di sommi d'irrealt, paeseche a zero smotta e pur genere a vistavermi mutanti in di, cos che acquistanel suo perdersi, e inventa e inforca imprese,

vanno da falso a falso tue contese,ma in s variata ed infinita listache quanto in falso qui s'intigna e intristal col vero via guizza a nozze e intese.

Falso pur io, clone di tanto falso,od aborto, e peggiore in ci del padre,accalco detti in fatto ovver misfatto;

cos ancora di te mi sono avvalso,di te sonetto, righe infami e ladre -mandala in cui di frusto in frusto accatto.