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IO SO IN CHI HO POSTO LA MIA FIDUCIA (1Tm 1,12)

In quest’anno vogliamo irrobustire e alimentare la nostra fede e lanostra speranza, vivendo la pienezza della carità, in cammino e incomunione con tutti i nostri fratelli e sorelle in Cristo. Ci lasceremoguidare dal cap. 13 del documento papale Porta fidei, che sarà il filoconduttore e l’anima del nostro itinerario spirituale.

“Sarà decisivo nel corso di questo Anno – scrive il Santo Padre-ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede il mistero insondabiledell’intreccio tra santità e peccato”. E noi vivremo insieme il medesimopercorso suggerito dal Papa, confrontandoci con le figure o categorie dipersone, che egli stesso pone come riferimento e modello per il cristiano.

“In questo tempo – continua Benedetto XVI - terremo fisso losguardo su Gesù Cristo, Colui che dà origine alla fede e la porta acompimento” (cfr Porta fidei 13).

1 La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelleche non si vedono (Eb 11,1);

2 Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credetteall’annuncio;

3 Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro;4 Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno

all’insegnamento degli Apostoli;5 Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità

del Vangelo;6 Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo,

lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelical’obbedienza, la povertà e la castità;

7 Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cuinome è scritto nel Libro della vita, hanno confessato la bellezza diseguire il Signore Gesù;

8 Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo delSignore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia.

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La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedonoTESTO DI RIFERIMENTO: Eb 11,1-12,2

Lectio divinaIniziamo questo nuovo anno di grazia all’insegna della fede. Il Santo Padre

Benedetto XVI, indicendo l’anno della fede, invita in particolare i cristiani, ma anche icredenti in Dio delle altre religioni, e persino i non credenti o atei, animati però da unasincera ricerca della Verità, a riflettere su questa particolare e specifica dimensionedell’uomo, ossia sulla sua profonda e innata esigenza di credere: “Il nostro cuore èinquieto e non ha pace finché non riposa in Dio”, esclamava con lucida intelligenza eprofonda razionalità il grande ricercatore della Verità, Agostino di Ippona. Per noi credenti in Cristo si tratterà di riconoscere nella propria esperienza di fede ildono sublime e immeritato di grazia, ricevuto mediante la persona del Cristo Gesù: ilPadre ce lo ha donato, non risparmiandolo, ma consegnandolo per tutti noi (cfr Rm 8,32).

In questa prima tappa del cammino vogliamo aprire la pagina della Sacra Scritturadi Eb 11,1-12,2, che sembra essere il riferimento e il richiamo biblico di Porta fidei 13.Si tratta di un brano piuttosto difficile sul tema specifico della fede, che rischia di essereincomprensibile se, paradossalmente, non lo si legge con fede. Infatti, la parola fides(pìstis nell’originale greco), richiamata all’inizio del testo, si ripete a mo’ di ritornelloper l’intera pagina, quasi a scuotere di volta in volta il lettore e a provocarlosull’esperienza, di cui si sta parlando. Essa riguarda altri (Abele, Enoc, Noè, Abramo,Sara ecc.), ma il richiamo continuo con l’espressione “per fede” sembra voler dire allettore che tale medesima esperienza è ciò che lo accomuna profondamente con tutticostoro, finché, giunti al termine dell’elenco dei vari personaggi, finalmente compare ilnoi, ossia ciascuno di noi, cioè io, chiamato a vivere di questa fede. Ma andiamo con ordine e notiamo innanzitutto che il brano si apre con una definizionedella fede. Avendo in precedenza parlato delle sofferenze causate dalla fedeltà a Dio (Eb10,32-34) e rincuorato il lettore perché il giusto vivrà per fede (Eb 10,38; cfr anche Gal3,11), l’autore della lettera agli Ebrei si preoccupa ora di fondare biblicamente la suaesortazione e la sua riflessione teologica, dicendo che cos’è la fede, per poi esplicarlacon una serie di esempi presi dalla stessa esperienza biblica. La fede – egli dice – è fondamento (ipostasi) della speranza e prova (dimostrazione)della perfetta visione: la speranza è ciò che si spera; la perfetta visione è ciò che ora nonsi vede. La fede fonda la speranza ed è garanzia della perfetta visione. Le parole originaligreche ipostasi (ypòstasis) e dimostrazione (èlenchos) sottolineano che l’esperienza dellafede è un fondamento e una profonda dimostrazione di ciò che è essenziale e verso cuinoi tutti tendiamo. Essa implica anche l’approvazione stessa di Dio, che accoglie comevera e autentica la ricerca dell’uomo (cfr Eb 11,2) e lo porta alla conoscenza perfetta ealla scienza sublime della verità (cfr Eb 11,3), ossia alla scienza che non confonde. Sonodescritte con brevi ma profonde pennellate le caratteristiche dell’esperienza di fede: essaè fondamentale (ipostasi) per la nostra vita; ci offre le garanzie (dimostrazione) per lasua buona riuscita; ci dona l’approvazione stessa di Dio, e ci conduce infine verso laperfetta conoscenza. In altre parole, una fede autentica e vera produce in noi la perfettavisione del mistero. Tale mistero abbraccia Dio stesso, spesso da noi vagamenteconosciuto; ha a che fare con il mistero della nostra persona (chi sono e dove vado?);riguarda, infine, il mistero dell’universo (che senso ha questo infinito agglomerato di

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stelle, pianeti e satelliti, che ruotano in questo spazio infinito?). Tutta la nostra vita, ilmistero che noi siamo, la nostra stessa conoscenza, tutto il nostro essere sono avvolti dalfondamento della fede e dalla sua sicura certezza. Essa è fondamento e prova per unavita interamente rinnovata. Detto questo, l’autore riporta gli esempi della storia biblica. Si tratta di personaggi, chehanno vissuto la loro esistenza in sintonia con il proprio sentire autentico, illuminatodalla fede. Per ognuno di loro l’autore evidenzia una particolare esperienza diilluminazione: Abele offre un sacrificio migliore (Eb 11,4; cfr Gn 4,4); Enoc è gradito(Eb 11,5; Gn 5,22-24; Sir 44,16); Noè è giustificato e salvato (Eb 11,7; Gn 6,9; 8,1; 1Pt3,20); Abramo è obbediente (Eb 11,8-10; Gn 12,1-4; At 7,1-4) fino all’offerta di Isacco(Eb 11,17-19; Gn 22,1ss.); Sara è feconda (Eb 11,11-12; Gn 17,19; 18,11-14; 21,1-2);Isacco prima e Giacobbe in seguito donano la benedizione (Eb 11-20-21; Gn 27,27-30;49,1ss.); Giuseppe sogna l’esperienza dell’esodo per i suoi figli (Eb 11,22; Gn 50,24);Mosè rifiuta gli onori, preferendo di essere maltrattato con il popolo di Dio econdividendo con esso l’esperienza della liberazione (Eb 11,24-26; Es 2,10ss.); cadonole mura di Gerico (Eb 11,30; Gs 6,20); Racab non perisce con gli increduli (Eb 11,31;Gs 6,17.23). L’elenco si allunga e l’autore sembra non abbia neanche il tempo diterminare (cfr Eb 11,32), essendo tanti gli uomini della storia biblica che hanno agitounicamente per fede (Gedeone, Barak, Sansone, Iefte, Davide, Samuele, i profeti). Tutticostoro hanno gustato l’approvazione del loro operato da parte di Dio stesso (Eb 11,39),perché tutto ciò che essi hanno realizzato è stato motivato dalla loro fede. Ma rispetto a tutti costoro noi, credenti in Cristo, abbiamo un di più. Per noi, infatti -continua l’autore – Dio ha predisposto qualcosa di meglio, a causa del dono del suoFiglio (cfr Eb 11,40). Perciò, ora siamo in grado di correre nella fede con lo sguardofisso su di Lui. Si tratta di un meglio, che ha a che fare con l’essenziale, perché in GesùCristo, il Figlio donatoci dal Padre, la fede è vera e autentica. Senza di lui l’uomocammina a tentoni (cfr At 17,27), è cieco e la sua fede non è perfetta. Cristo, infatti, èl’origine della fede ed è Colui che la porta a compimento (Eb 12,1-2).

Piste per la riflessione e per la preghiera personale o di gruppo:- Alla luce della vostra esperienza e del vostro cammino personale, comunitario e

associativo date una vostra definizione della fede.

- Aiutati dal proprio assistente o dal proprio parroco, o da un sacerdoteappositamente invitato, fate la lectio divina di Eb 11,1-12,2; vivete poi momentidi preghiera in gruppo, meditando sul medesimo testo biblico.

- Provate a completare, sulla scia del testo biblico, la seguente frase: Per fede l’Associazione parrocchiale dell’Apostolato della preghiera di

…………………………………………………………………………….. (proprio paese)…………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………. (scrivete in breve, dopovari incontri di meditazione e preghiera, ciò che l’Associazione parrocchiale ha vissuto

negli anni passati e potrà vivere durante l’anno della fede).

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La fede di MariaTESTI DI RIFERIMENTO: Lc 1,46-55

Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenutaMadre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suocanto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità(cfr Lc 2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dallapersecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione erimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti dellarisurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise aiDodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4).

BENEDETTO XVI, Porta fidei 13

“Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc1,45). Con queste parole Elisabetta elogia la fede della Vergine, quando Maria, nonappena ricevuto l’annunciazione dell’angelo, si reca nella casa dei genitori delprecursore. Maria è beata perché ha creduto; la sua è una beatitudine legata alla fede;ella è nella gioia perché ha sperimentato il senso pieno dell’abbandono e dellafiducia. Maria ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore, fidandosiciecamente di Dio. Il suo stupore puramente umano (Com’è possibile? Non conoscouomo; Lc 1,34) la rende donna capace di tuffarsi un uno slancio di totale abbandononella potenza di Dio, che può tutto, perché nulla Gli è impossibile (cfr Lc 1,37).Afferma Sant’Agostino con mirabile eloquenza che “Maria credette e in lei quel checredette si avverò” (Discorso 215,4); e ancora: “credette in virtù della fede, concepìin virtù della fede (Discorso 25,7); e il Concilio Vaticano II aggiunge: “Per la suafede e la sua obbedienza ella generò sulla terra lo stesso Figlio del Padre” (LumenGentium 63). Potremmo dire senza mezzi termini che la fede in Maria ha raggiuntol’àpice dell’esperienza umana. Nessuno ha creduto come lei, né quanto lei. In Mariala fede è stata un’esperienza che nessuna creatura umana ha in nessun modo vissuto,né mai potrà vivere. Non c’è stata e non c’è fede come quella della Madre di Dio. Lafede di Maria rappresenta il culmine dell’autenticità e della verità di tale esperienza,perché quanto lei ha creduto si è pienamente realizzato. L’oggetto della fede di Mariaè l’incarnazione del Verbo di Dio. Maria ha creduto che il Figlio di Dio è diventatosuo figlio; che l’Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dioda Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, della stessa sostanza del Padre, si èincarnato nel suo seno verginale e si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo.L’incarnazione del Verbo Dio, che Maria ha creduto, si è realizzata nel suo corpo,nella sua anima e nel suo spirito. Perciò non c’è fede più grande di quella di Maria:Ella precede di molto tutte le altre creature, celesti e terrestri (Lumen Gentium 53). InMaria fede e compimento si sono mirabilmente integrati nel suo corpo e nel suocuore, cioè in tutta la sua persona. Scrive San Bernardo di Chiaravalle: “Hai sentito, oVergine, il fatto; hai sentito anche il modo….hai udito il fatto e hai creduto: credianche al modo in cui esso si compirà (In laudibus Virginis Matris 4,8). L’esperienzadell’annunciazione ha provocato il coinvolgimento totale di tutta la sua persona,

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anima e corpo; così come accadrà sotto la croce, dove “una spada le trafiggel’anima” (cfr Lc 2,35). La fede ha certamente segnato tutta l’esistenza della Vergine,perché nel momento dell’annunciazione e in seguito al suo assenso la sua vita è stataprofondamente ribaltata e ancorata unicamente su Dio. Fidandosi di Dio solo e di SanGiuseppe, suo castissimo sposo, Maria affronta con estrema fiducia i disagi e le provedi ciò che l’attende. L’esultanza nella casa di Zaccaria, il viaggio a Bethlemme per ilcensimento, la nascita nella grotta, l’arrivo dei pastori, la visita dei Magi, lapersecuzione del tiranno, il travaglio dell’esilio in Egitto, il silenzio di Nazareth, lavita pubblica seguita con discrezione e coinvolgimento amoroso, fino alla passione,alla morte sul Calvario e sepoltura nella tomba, che rimarrà vuota, tutto in Maria èstato vissuto all’insegna della fiducia e segnato dalla fede forte e coraggiosa. Il suostabat sotto la croce e il suo starci nel cenacolo con gli apostoli sono i momenti finalidella sua ricca e profonda esistenza; essi rappresentano il traguardo sul podio nellasofferenza e l’inizio dell’avventura della Chiesa, che nasce sotto la croce conl’affidamento a lei del discepolo prediletto (Gv 19,25-27). Da quel momento la fedenell’incarnazione di Dio diviene in Maria fede nella Chiesa e con la Chiesa. Maria èmadre della Chiesa, perché lei la genera nella grazia; perché la sua fede ha generatola fede della Chiesa. Insegna il Concilio Vaticano II che Maria “è veramente madredelle membra di Cristo perché ha cooperato con la sua carità alla nascita dei fedelinella Chiesa, i quali di quel capo sono le membra. Per questo è riconosciuta qualesovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa e sua immagine edeccellentissimo modello nella fede e nella carità” (Lumen Gentium 53). Per questo –conclude il Concilio - “la chiesa cattolica con affetto di pietà filiale la venera comeuna madre amatissima (ibid.).

“Santa Maria, donna dei nostri giorni, vieni ad abitare in mezzo a noi. Dandoti per nostramadre, Gesù ti ha costituita non solo conterranea, ma anche contemporanea di noi tutti”;“Santa Maria, donna dell’ultima ora, mettici in regola le carte, perché giunti alla porta delparadiso, essa si spalanchi al nostro bussare”; “Santa Maria, donna coraggiosa, rincuoracicol tuo esempio a non lasciarci abbattere dalle avversità. Aiutaci a portare il fardello delletribolazioni quotidiane, non con l’anima dei disperati, ma con la serenità di chi sa di esserecustodito nel cavo della mano di Dio” (Tonino Bello).

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La fede degli ApostoliTESTO DI RIFERIMENTO: Mc 3,13-19

Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28). Credetteroalle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr Lc11,20). Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento, lasciandoloro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi discepoli dopo lasua morte (cfr Gv 13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portareil Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore, annunciarono a tutti la gioia dellarisurrezione di cui furono fedeli testimoni (Porta fidei 13,1).

Ci confrontiamo in queste mese con la fede degli Apostoli, i Dodici, costituiti talida Gesù (cfr Mc 3,13-19), resi pescatori di uomini (cfr Mc 1,17; 5,10), pietra e colonnebasilari della Chiesa (cfr Mt 16,18; 18,18). All’origine della loro fede c’è l’opera el’azione di Gesù. È lui che li vede (Mc 1,16.19; Mt 9,9), li chiama a sé (Mc 1,20; 3,13); litrasforma e li costituisce (Mc 3,14.16; Gv 15,16); li rende uomini nuovi (Mt 16,18),cambiando ad alcuni di loro persino il nome, sulla scia dei patriarchi e dei profetidell’Antico Testamento (Mc 3,16-17; cfr anche Gn 17,5). Gesù li conduce sul monte,chiamando a sé quelli che volle, per costituirli, al fine di stare con lui e di predicare escacciare i dèmoni. Notiamo come nel racconto di Marco c’è una forte insistenza sulrapporto di intimità dei Dodici con Gesù: chiamò a sé quelli che egli volle…, perchéstessero con lui…Costituì i Dodici (cfr Mc 3,13-15). Non si era mai visto nell’AnticoTestamento una tale dimensione di intimità. A parte Eliseo nei confronti del propriomaestro Elia (cfr 1Re 19,19-21; 2Re 2,1-2.9-10), per il resto l’Antico Testamento sembraignorare un rapporto di discepolato così come lo esige Gesù nei confronti dei propridiscepoli, di cui il gruppo dei Dodici ne è l’emblema e il paradigma. La loro è unachiamata di profonda condivisione, comunione e fiducia. Gesù li chiama innanzitutto afidarsi di lui, della sua parola e della sua potente presenza nella storia. Li chiama aspogliarsi di tutto; a lasciare tutto, a porre in lui un atto di totale ed estrema fiducia. Lasua è una chiamata veramente esigente; non c’è spazio né a ripensamenti né acompromessi: o tutto o niente. All’azione del Signore nei loro confronti e alla suarichiesta incondizionata gli Apostoli reagiscono con una profonda e personale risposta difede. In primo luogo essi lasciano tutto per il Maestro (cfr Mc 1,18.20; 10,28; Lc 5,11).Come Abramo, Mosè e i profeti, i Dodici lasciano le proprie sicurezze e le propriecertezze umane per porsi dietro a Gesù. Ciò implica una fiducia cieca e piena neiconfronti del misterioso profeta di Nazareth. La fede è innanzitutto questo: è fidarsiciecamente di Gesù. Gli Apostoli si sono fidati unicamente della sua parola e di tutta lasua persona. Emblematico a riguardo è l’episodio della pesca miracolosa (Lc 5,4-10),dove Pietro sulla sua parola (cfr Lc 5,5) getta di giorno, dopo aver lavorato per l’interanotte, le reti in mare, contravvenendo, da persona esperta del mestiere, alla propriaesperienza e competenza di pescatore. La fiducia in Gesù richiede a volte, per ildiscepolo, il rinnegamento persino delle proprie competenze. Fidandosi di Gesù, Pietro egli altri undici sperimenteranno di volta in volta la propria impotenza umana egusteranno la potenza del misterioso e grande profeta di Nazareth (Lc 5,8-9; Mc 4,41). Insecondo luogo gli apostoli presteranno fede alle parole con le quali Gesù annunciava ilRegno di Dio, presente e realizzato nella sua persona. Ed è questo il punto emblematicodel discepolato. Il Vangelo di Marco, a riguardo, sembra il più esplicito. Dopo aver

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istruito gli apostoli riguardo alla sua identità di messia, espressamente riconosciuta daPietro nel celebre episodio a Cesarea di Filippo (Mc 8,29), ciò che segue nel raccontoevangelico è una continua e profonda catechesi (Mc 8,31; 9,31; 10,32-34), fatta da Gesùmedesimo lungo la via (cfr Mc 8,27; 9,33; 10,17.32.52), riguardante la paradossalerealizzazione del regno di Dio attraverso la sofferenza e morte del Figlio dell’Uomo. Losbigottimento e l’incomprensione dei Dodici esprimono la sovrumana faticanell’accettazione di un tale paradosso, che andava oltre i criteri della logica umana epersino dell’economia salvifica dell’Antico Testamento. Gesù dovrà faticare non pocoper guarire e aprire gli occhi dei discepoli (cfr Mc 8,22-26; 10,46-52), affinchépotessero comprendere che quanto gli dovrà accadere era in sintonia con le Scritture,soprattutto con la spiritualità profetica (cfr Mc 9,11-13; 1Cor 15,3; anche Is 53,1-12). Lafede è accettazione del paradosso di Dio nella propria vita a spese anche della propria epersonale realizzazione, sapendo che Dio, Padre amorevole e misericordioso, nonabbandonerà nel sepolcro il proprio consacrato (cfr At 2,31). I discepoli, inoltre, silasceranno istruire da Gesù. Emblematica a riguardo è l’ultima notte che Giovannidescrive quasi al rallentatore (cfr anche Lc 22,15). Il maestro si alza da tavola e si faservo (cfr Lc 22,24-27), lavando loro i piedi (cfr soprattutto Gv 13,12-16). E poisprofonda in un intimo, personale e caloroso colloquio con i suoi (cfr Gv 13,1),commuovendosi ed esternando loro tutto il proprio amore (Gv 13,21; 14,1), finoall’immagine della vite e dei tralci, segno della loro appartenenza e immanenza reciproca(Gv 15,1-8). Infine, la fede nel loro Signore morto e risorto li porterà ad essere testimonie missionari fino all’estremità della terra. In sintonia con le profezie veterotestamentarie(cfr Is 42,1.4; 49,1.6), gli apostoli sono inviati a tutte le genti per annunciare la salvezzarealizzata da Gesù con la sua venuta nel mondo (cfr Gv 1,7.9) e con la sua gloriosa mortee resurrezione (Mt 28,19-20). La fede in Lui li guiderà e li condurrà fino agli estremiconfini, perché la salvezza raggiunga tutti gli uomini (cfr Mc 16,15).

- L’esperienza di comunione con il Cuore Sacratissimo di Gesù è uno dei pilastri dellaspiritualità dell’Apostolato della Preghiera. Quale intimità con il Signore vivono i soci ele socie della propria associazione parrocchiale?

- Che cosa l’Associazione dell’Apostolato della preghiera è invitata a lasciare per vivereuna sequela più vera e autentica lungo la via della croce?

- Quale fiducia nel Signore l’Apostolato è invitato a testimoniare nella propria comunità esul territorio?

- Quanto l’Associazione si lascia istruire dal Signore con un percorso sistematico dicatechesi e di formazione alla scuola del Vangelo di Gesù?

- Quale profezia l’Associazione è chiamata a vivere per una testimonianza incisiva di fedenella propria comunità parrocchiale?

- Quale mandato missionario l’Associazione dell’Apostolato della Preghiera ha ricevutooggi dal Signore morto e risorto, per essere annunciatrice del Regno nella propria storia,nella comunità cristiana e sul proprio territorio?

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La fede dei discepoliTESTO DI RIFERIMENTO: At 2,42-47

Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno all’insegnamento degliApostoli, nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quantopossedevano per sovvenire alle necessità dei fratelli (Porta fidei 13,1).

Nei Vangeli sembrano interagire con Gesù tre categorie di persone: il gruppo deiDodici, di cui abbiamo parlato nella precedente meditazione; la comunità dei discepoli ela folla. Mentre la folla appare anonima (cfr Mc 9,14; 10,46), senza volto (cfr Lc 6,17;9,40; 12,13; 23,48), a tratti curiosa (Mc 9,15; Lc 11,29; 19,37; 23,35), a volte ostile (cfrMc 15,8.11), il gruppo dei discepoli presenta delle caratteristiche interessanti perdelineare il senso della sequela di ogni uomo, che desidera diventare discepolo,staccandosi dal resto della folla, per intraprendere un cammino di comunione con ilSignore. Se a riguardo il Vangelo di Marco, in particolare nella seconda parte (Mc 8,28-10,46), presenta esplicitamente le esigenze della sequela (cfr soprattutto Mc 8,34-38;9,35-37; 10,42-45), è però l’evangelista Luca a dipingere, di volta in volta, i volti e lesfumature dei vari discepoli, fino a presentare esplicitamente i primi passi della comunitàdei credenti (cfr At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-15).

Innanzitutto, non sfugge al terzo evangelista la presenza delle donne, le discepoleper eccellenza, che seguivano il Signore fin dalla Galilea (cfr At 8,1-3). Esse, liberatedagli spiriti cattivi e guarite dalle infermità, vivono una particolare relazione con ilSignore, servendolo lungo la Galilea. Si tratta di una comunità itinerante, che però eraattenta ai bisogni primari, soddisfatti soprattutto dall’impegno di queste prime discepole,che assistevano Gesù e i Dodici con i loro beni (cfr At 8,3). Nessun rabbino rispettabile,al tempo del Signore, aveva al proprio seguito delle donne; né tanto meno permettevaloro di assumere l’atteggiamento proprio del discepolato, così come farà Maria che, dadiscepola, starà seduta ai piedi del Maestro, per ascoltarlo, secondo la prassi propria delrabbinato (cfr Lc 10,39); e, fatto del tutto inaudito, Gesù non si scandalizzerà davanti aduna prostituta, che nella casa del fariseo Simone lava i suoi piedi e li asciuga con icapelli (Lc 7,38); accorderà ancora il suo paradossale perdono ad una donna adultera (Gv8,1-11); e saranno, infine, proprio queste discepole a guardare da lontano il luogo dellasepoltura (Lc 23,49) e a scoprire all’alba della domenica di Pasqua la tomba vuota delSignore (Lc 23,55; 24,4-5), divenendo insieme con Maria Maddalena le prime testimonidella resurrezione (cfr Gv 20,18). Da queste rapide pennellate è facile dedurre laparticolare attenzione alla donna da parte di Gesù, chiamata ad essere pienamentediscepola del Regno, alla pari degli uomini, senza alcuna differenza di dignità (cfrGIOVANNI PAOLO II, Mulieris dignitatem, 1988; Lettera alle donne, 1995).

Colui che è chiamato a vivere il discepolato è in primo luogo un mandato, ossiaun missionario. Non si diviene discepoli per un proprio tornaconto o per un qualchepiacere personale. Discepolo è colui che è pronto per essere mandato. È il caso deisettantadue discepoli, inviati dal Signore a due a due, avanti sé nelle diverse città a cuistava per recarsi (Lc 10,1). Il discepolo qui è designato come colui che giunge prima delSignore stesso, per preparare il suo arrivo. L’ingresso del discepolo non è mai fine a sestesso, ma è finalizzato alla venuta del Signore. Interessanti, inoltre, le indicazioni cheGesù impartisce ai settantadue discepoli al fine di realizzare una missione degna delVangelo e secondo lo stile evangelico: pregate; andate come agnelli in mezzo ai lupi;

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non portate con voi se non l’essenziale; non salutate lungo la via; donate la pace;fermatevi in quella casa servendovi di ciò che hanno, senza andare di casa in casa. Lostile del discepolo è orante, sobrio, essenziale, pacifico. La missione della Chiesa siconfigura quindi essenzialmente come il “far diventare discepoli di Gesù tutti i popolidella terra” (cfr Mt 28,19-20).

Il discepolo, ancora, è chiamato ad accogliere il linguaggio profetico di Gesù,anche se suona duro alle proprio orecchie e al proprio cuore di pietra (cfr Gv 6,60). Peressere veri discepoli del Signore occorre ribaltare le proprie logiche, accogliendo lospirito che dà la vita e rinunciando alla logica della carne che non giova a nulla (Gv6,63). Siamo nel contesto tipicamente giovanneo del discorso sul pane della vita, che èla carne di Gesù per la vita del mondo (cfr Gv 6,51). All’interno dell’orizzonteeucaristico, dunque, il discepolo è colui che si sazia della carne di Gesù, facendoEucarestia, realizzando cioè nel proprio cuore e nella propria esistenza l’incarnazionedel Verbo (cfr Gv 1,14), e rinunciando alla logica della carne, contrapposta allo spirito.È, in definitiva, la scelta per Dio e per il suo Regno in opposizione a quella per il mondo. La separazione e quasi lo strappo del discepolo rispetto alla folla emerge, inoltre,all’inizio del viaggio di Gesù a Gerusalemme, dove egli decide di recarsi per compiere leScritture (cfr 9,51) e soprattutto, e in un modo del tutto particolare, nel suo gesto divoltarsi verso la folla (Lc 14,25), al fine di chiarire i criteri della sequela (cfr Lc 14,25-27e 9,57-62). In questi passi del vangelo lucano il discepolato si configura come sceltaradicale, senza precedenti, coinvolgente del tutto l’esistenza del chiamato. Il discepolonon è più padrone della sua vita, perché egli decide di donarla per la causa di Cristo e delVangelo, rinunziando agli affetti (Lc 14,26), alle ricchezze (Lc 14,33), al fine di esserelibero di prendere la propria croce per mettersi dietro a Gesù (Lc 14,27). Tutto ciò comporta nei discepoli una tale intimità con il Signore da diventare lasua stessa famiglia (cfr Mt 12,46-50). Anche qui emerge il passaggio radicaledall’appartenenza alla folla anonima e senza volto per divenire i familiari di Gesù:stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre ed ecco i mieifratelli» (Mt 12,49).

Il discepolo è, in conclusione, colui che segue Gesù, come sua unica verità; entrain intimità con Lui, condividendo la sua stessa vita, perché seguendo il Signore e ilMaestro, egli sa di non camminare nelle tenebre, ma di avere in dono la luce della vita(cfr Gv 8,12).

- Alla luce di questa meditazione quali elementi trovi caratterizzanti la fededei discepoli?

- Quali differenze è possibile individuare tra la fede degli Apostoli o deiDodici e quella dei discepoli?

- Quali differenze essenziali è possibile cogliere tra l’appartenenza alla folla el’appartenenza al gruppo dei discepoli del Signore?

- Lectio divina sui testi lucani di At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-15.

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La fede dei martiriTESTO DI RIFERIMENTO: Ebr 12,1-3; Ap 7,9-17

Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo, che li avevatrasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propripersecutori (Porta fidei 13,1).

Ci confrontiamo in questo mese con la fede dei martiri, una categoria dicredenti piuttosto particolare, perché rappresenta l’àpice dell’esperienza cristiana. Iltermine greco martire (màrtys) significa testimone e sta ad indicare un aspettoessenziale della vita del cristiano, ossia l’esperienza concreta di un incontro e di unavita condivisa con il Signore Gesù (cfr At 1,21-22), fino al dono supremo di sé.Testimone, dunque, è chi ha fatto un’esperienza forte, di tipo esistenziale, che l’haprofondamente coinvolto ed è ora disposto a dare tutto e a rinunciare a tutto, peressere fedele alla Verità incontrata e sperimentata, ossia alla persona del Cristo. Laparola testimone-martire, insieme con i suoi derivati (testimonianza, testimoniare,testimonio, martirio), è uno dei termini più frequenti in tutto il Nuovo Testamento(oltre 150 ricorrenze), ad indicare certamente la sua importanza nell’esperienzaevangelica. Il primo martire è Gesù stesso. Egli è il testimone del Padre (Gv 8,13.18;10,25), venuto per rendere testimonianza della presenza di Dio nella vita di Israele enella storia di tutta l’umanità (cfr 1Tm 6,13). Inoltre, egli rende testimonianza dellaVerità (Gv 18,37) e la sua testimonianza è vera, perché Egli viene dal Padre. Gesù è,dunque, il testimone per eccellenza, perché egli viene dal seno del Padre, necondivide l’intimità e gli appartiene in una relazione di reciproca immanenza (cfr Lc2,49; Gv 1,18). Gesù è, in definitiva, il testimone della vita divina e tutta la sua vita inmezzo agli uomini è stata una vera e propria rivelazione della sua intimità con ilPadre e della sua relazione amorosa, che è lo Spirito divino. Anche Giovanni Battistaè testimone della presenza di Dio nella storia, che egli vede realizzata e pienamentecompiuta nella persona di Gesù di Nazareth. Questi è l’Agnello di Dio (Gv 1,29.36),l’inviato dal Padre, il Figlio di Dio e l’eletto (cfr Gv 1,32). Giovanni gli rendetestimonianza (Gv 1,34) fino a donare se stesso per l’avvento del regno (cfr Mc 1,14;6,17.21-29). Testimoni, inoltre, sono i discepoli, mandati dal Risorto sino ai confinidella terra, per evangelizzare e battezzare tutte le genti (cfr Is 42,4; 49,6; Mt 28,19-20). Essi sono i testimoni della resurrezione (cfr Lc 24,48; Gv 21,24; 1Pt 5,1) eannunciano in Gesù il compimento dell’opera di Dio per la salvezza dell’umanità.Testimoni, infine, sono Stefano, primo martire (At 7,54-60), Paolo di Tarso,l’evangelizzatore delle genti (cfr At 9,15-16), il diacono Filippo (At 8,29-30.40) e unaschiera immensa di uomini e donne, che lungo la storia hanno reso testimonianza delproprio incontro con Gesù e della propria appartenenza a lui. Perciò – concludel’autore della lettera agli Ebrei – circondati da un così gran numero di testimoni (Ebr12,1), anche noi corriamo nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù. I testimonidi tutti i tempi sono per noi provocazione e spinta interiore a procedere speditamenteverso la mèta, che è Cristo Gesù. Il traguardo, che ci sta davanti, già raggiunto daitanti testimoni della storia, ci sprona a correre con perseveranza e coraggio versol’incontro con il Signore Gesù, autore e perfezionatore della fede (Ebr 12,2). Un

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posto particolare e un ruolo di rilievo è dato ai martiri nel libro dell’Apocalisse.Quando l’Agnello apre il penultimo sigillo (Ap 6,12) appare una moltitudineimmensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua (Ap7,9). Di tutti costoro, a colpire Giovanni sono in particolare quelli vestiti di bianco(Ap 9,13). Uno dei vegliardi spiega al veggente che costoro sono i martiri, passatiattraverso la grande tribolazione, ossia il martirio, e hanno lavato le loro vestirendendole candide col sangue dell’Agnello (Ap 9,14). I martiri sono descritti quicome coloro che hanno condiviso in modo del tutto particolare l’esperienza dellatestimonianza, che li accomuna in modo speciale con il Cristo stesso, Agnelloimmacolato. Per questo – continua Giovanni – ad essi è riservato un posto specialedavanti al trono di Dio, prestandogli servizio giorno e notte (Ap 9,15-17). Sempre deimartiri si parla poco prima, all’apertura del quinto sigillo (Ap 6,9), quando appaionoal veggente le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio edella testimonianza che gli avevano resa. Giovanni non nasconde il dolore e iltravaglio subito dai martiri, a causa della persecuzione ingiustamente resa loro (Ap6,10). Ma invita tutti costoro a pazientare, perché la storia raggiunga il suo pienocompimento, fino alla pienezza dei tempi (Ap 6,11). Perché ciò si realizzi ènecessaria la persecuzione contro i testimoni, così come è stata necessarial’immolazione di Gesù (cfr Mc 8,31; 9,12; Lc 17,25), primo martire e testimoneinnocente. Come Gesù, il cristiano è testimone della presenza di Dio nella storia; egliè convinto che Dio cammina con gli uomini e realizza con loro la storia dellasalvezza. Per questa sua profonda certezza egli spesso si trova ad andare controcorrente, denunciando le gravi ingiustizie e le sofferenze, perpetrate soprattuttocontro gli ultimi, i poveri, i piccoli e gli indifesi. La sua fede nel Signore Gesù lorende spesso odioso e insopportabile ai potenti di questo mondo, i quali gli muovonoguerra, perché non tollerano che la logica evangelica possa pervadere gli orizzonti e icriteri della vita civile e sociale, dell’economia e della politica. Ma egli non si perded’animo, perché sa che la sua lotta è, in definitiva, la realizzazione del regno di Dio,che è regno di pace, di giustizia e di verità. Per esso i santi Profeti hanno dato la vita;Gesù di Nazareth, Agnello benedetto di Dio, ha donato se stesso; Giovanni Battista gliha reso testimonianza; i beati martiri di Otranto non hanno esitato a offrirsi inolocausto; Massimiliano Kolbe si è offerto per amore; mons. Oscar Arnulfo Romeroha lottato fino a risorgere nel suo popolo; Tonino Bello ha sognato il suo avvento e lapiena realizzazione nel compimento della giustizia e della pace; e tanti, tantissimialtri testimoni hanno sofferto e immolato se stessi, esattamente come il chicco difrumento, che morto nella terra, ha portato il frutto della vita.

- Alla luce di questa meditazione quali elementi trovi caratterizzanti la fede dei martiri o testimonidel Regno?

- Contemplando Gesù, testimone del Padre, e Giovanni Battista, testimone dell’Agnello, qualetestimonianza è chiamata a dare l’Apostolato della Preghiera?

- Quale esperienza di martirio l’Associazione può vivere all’interno della propria comunitàparrocchiale e sul territorio?

- Lectio divina sui testi biblici di Ebr 12,1-3 e Ap 7,9-17.

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fede dei consacratiTESTO DI RIFERIMENTO: Mc 10,17-31

Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa pervivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa delSignore, che non tarda a venire (Porta fidei 13,1)

La fede dei consacrati è una particolare risposta di tanti uomini e donne, chenella Chiesa avvertono l’esigenza e realizzano la propria vocazione di vivereradicalmente il proprio battesimo attraverso i voti di povertà, castità e obbedienza. Setutti i cristiani sono chiamati da Cristo a vivere la propria chiamata battesimale nellapovertà o distacco dai beni della terra, nell’obbedienza in Cristo, e nella castità,ciascuno nel proprio stato di vita, i consacrati lo fanno attraverso unaradicalizzazione totale delle esigenze evangeliche. Essi diventano, così, segniprofetici dell’appartenenza a Cristo; si svuotano di tutto, al fine di appartenergli; eattraverso i voti di povertà, castità e obbedienza non appartengono più a se stessi, maunicamente a Dio, a cui si sono totalmente donati in uno slancio di amore unico edisinteressato. Nel trattato Il precetto e la dispensa San Bernardo di Chiaravallescrive che la vita monastica o religiosa “è stata istituita, non perché non fosse lecitovivere altrimenti, ma perché è meglio vivere in questo modo, non avendo altro fine senon il vantaggio e la difesa della carità”. E ancora il santo asceta e dottore dellaChiesa afferma che “a causa della perfetta rinuncia al mondo e della superiorità tuttaparticolare della vita spirituale, la vita monastica rende coloro che l’abbracciano el’amano simili agli angeli, diversi dagli uomini”. E conclude che la vita consacrata“ricostituisce nell’uomo l’immagine divina, conformandolo a Cristo, come avvienenel battesimo”. “In definitiva – afferma Bernardo – “quando di nuovo ci rivestiamo diCristo, come inseriti in Lui nella similitudine della sua morte, attraverso lamortificazione delle nostre membra terrene, è come essere battezzati una secondavolta”. Da queste semplici pennellate di un mistico amante della vita religiosa, comelo era Bernardo di Chiaravalle, emerge che nella consacrazione della vita religiosanon si aggiunge nulla rispetto al battesimo, ma semplicemente se ne radicalizza laportata. Il consacrato non ha niente di più di un singolo battezzato, ma viveprofondamente le esigenze battesimali. Questa radicalizzazione si esprime attraversola totale obbedienza a Cristo e alla Chiesa, che il religioso vive concretamentenell’obbedienza al proprio superiore; nella perfetta castità, che esige il rispetto totaledel proprio corpo e di ogni persona; nella povertà, che si esprime nella volontà di nonpossedere nulla di proprio, perché tutto appartiene alla propria comunità. Se ilbattesimo ci ha tutti strappati dal potere della morte e del peccato, coloro che nellaChiesa sono chiamati alla vita monastica o religiosa, dunque, radicalizzano la sceltabattesimale con i voti della povertà, castità e obbedienza. Per Bernardo, questaradicalizzazione battesimale per amore di Cristo è ciò che rende bella e autentica lascelta del monastero. Essa è tutta da vivere nell’impegno dei voti professati e nellapiena adesione alla Regola di San Benedetto, maestra di vita e cammino di perfezionenel lavoro quotidiano e nella preghiera comune. Ora et labora non è per Bernardoun’imposizione, ma una scelta libera e gioiosa. Ogni cristiano è chiamato a vivere

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l’obbedienza della fede, la castità del proprio corpo e il distacco dai beni materiali,ma nella vita monastica ciò emerge come impegno radicale di totale abbandono aCristo Signore, divenendo tale scelta di vita faro luminoso per ogni cristiano eseguace del Vangelo. Ciò non significa che la vita cristiana abbia dei diversi gradi diperfezione, ma semplicemente che la scelta religiosa è nella vita della Chiesa segnoconcreto di totale abbandono nei confronti del Maestro, al quale ogni consacratoabbandona tutto di sé, al punto che nulla più gli appartiene, nemmeno il proprio corpoe la propria volontà. Ne va di mezzo – sembra dire Bernardo – la propria felicità. SeCristo chiama ad una totale donazione di sé, pur essendo liberi di rispondergli di no,tale negazione influisce non poco sulla piena realizzazione della propria vita e sullaautentica felicità. Ne è prova il testo evangelico del giovane ricco (Mc 10,17-22), chepur vivendo un’appartenenza a Dio nell’osservanza scrupolosa della sua Legge,tuttavia anelava a un di più, che Cristo gli indica nella scelta radicale di svuotarsi ditutto, di rinunciare a tutto, pur di avere Dio solo, o meglio di lasciarsi appartenere.Questa prospettiva è presentata da Gesù come l’unica possibilità di realizzazione delproprio sé. La risposta negativa del giovane, ancorato troppo su di sé e su ciò chepossedeva, lo parta irrimediabilmente verso la tristezza, che implica la nonrealizzazione piena e totale dei propri sogni. Ogni cristiano, che ha incontrato Cristo,sa che solo in Lui possiede la gioia del cuore; il religioso, che si consacra a Dio nellapovertà, obbedienza e castità, sa che Cristo è l’unica sua ricchezza, l’unica sua gioia,l’unica sua intimità. E incontrerà gli altri, facendoli ricchi di Cristo, nonspadroneggiando in nessun modo su di loro e amandoli teneramente nella verità.Scrive il Concilio Vaticano II (Perfectae caritatis 25): “Tutti i religiosi, animati dafede integra, da carità verso Dio e il prossimo, dall’amore alla croce e dalla speranzanella futura gloria, diffondano in tutto il mondo la buona novella di Cristo, in modoche la loro testimonianza sia palese a tutti e sia glorificato il Padre nostro, che è neicieli. Così, per l’intercessione della dolcissima Vergine Maria Madre di Dio, «la cuivita è regola per tutti», essi progrediranno ogni giorno di più e apporteranno frutti disalvezza più abbondanti”. Segno concreto di speranza, la vita consacrata è nellaChiesa un dolce faro luminoso per ogni cristiano, chiamato a rinunciare al mondo, peressere solo di Cristo. Nelle faccende della vita quotidiana, egli consacra il mondo nellavoro e nelle competenze proprie, ma sapientemente distaccato e proteso verso ilRegno dei Cieli.

- Alla luce di questa meditazione quali elementi trovi caratterizzanti la fededei consacrati alla vita religiosa?

- Come l’associazione dell’Apostolato della preghiera può e deve vivere lapropria consacrazione al Cuore di Cristo?

- Come ogni singolo socio è chiamato a vivere la propria consacrazione aCristo nel proprio stato di vita?

- Lectio divina sul brano evangelico del giovane ricco (Mc 10,17-22 e testiparalleli).

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La fede dei laiciTESTO DI RIFERIMENTO: Gv 3,3-8; 15,1-8

Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro dellavita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù, là dove venivanochiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vitapubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati (Porta fidei 13,1).

Sono tanti gli uomini e le donne, che nella Chiesa lungo il corso dei secoli hannotestimoniato una fede adulta e convinta, vissuta nei propri stati di vita e nellacoerenza piena alla propria adesione a Cristo. Essi sono i Christifideles laici, ossiatutti i battezzati, appartenenti al popolo santo di Dio. Scrive il Concilio Vaticano IIche “ogni laico deve essere davanti al mondo il testimone della resurrezione e dellavita del Signore Gesù e il segno del Dio vivo (Lumen Gentium 38). La fede dei laici è,pertanto, il fondamento della vita cristiana. Entrati attraverso il Battesimo nella vitatrinitaria e configurati a Cristo nella propria appartenenza a Lui, tutti i fedeli laicisono testimoni viventi della vita evangelica, in Cristo Gesù; ricevuto il sigillo delloSpirito, essi vivono nel proprio cuore della stessa energia divina; chiamati dal Padrealla vita nuova, essi sono strettamente uniti a Lui in un’appartenenza coinvolgente evitale. “Tutti insieme, e ognuno per la sua parte – continua il Concilio – devonoalimentare il mondo con i frutti spirituali” (Lumen Gentium 38; Gal 5,22) “e in essodiffondere lo Spirito, da cui sono animati i poveri, i miti e i pacifici, che il Signorenel Vangelo chiamò beati (cfr Mt 5,3-9). Vocazione di ogni cristiano laico è, dunque,la santificazione del mondo, alimentandolo dei frutti spirituali. Si tratta di unachiamata specifica e personale, che riguarda ogni battezzato laico, che vive la propriaconsacrazione battesimale a contatto con le realtà del mondo. Essendo esse il“terreno” in cui agisce l’uomo, anche se segnate dal peccato e dalla corruzione, ilcristiano è chiamato a riportarle a Dio, ossia alla sua origine e alla sua sorgente. Ilmodello per eccellenza della vocazione laicale è Cristo stesso, o meglio la suaincarnazione: “nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”,per cui tutte le realtà del mondo trovano “in Lui la loro sorgente” e toccano “il lorovertice”. Cristo è “l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianzacon Dio, resa deforme a causa del peccato”. La vita di Cristo, che “ha lavorato conmani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amatocon cuore d’uomo” è il paradigma e il modello per ogni fedele laico (Gaudium etspes 22). Come incarnandosi e nascendo da Maria vergine, Egli ha unito a sé tutta larealtà terrena, così ogni cristiano laico, incarnandosi nelle diverse esperienze dellavita di ogni giorno, rinnova nella fede le realtà temporali che lo coinvolgono. Nelmistero dell’incarnazione del Verbo di Dio il fedele laico trova la sorgente della suavocazione. Scrive San Bernardo di Chiaravalle che il mistero dell’incarnazione“contiene tre aspetti, che meritano di essere considerati, cioè il modello di umiltà, laprova dell’amore e il sacramento della redenzione (Sermone 119): guardando a questitre aspetti, il fedele laico può vivere nell’umiltà la sua incarnazione nel mondo;sentire nell’amore la propria appartenenza alla storia; redimerla, riportando le cosetemporali alla stessa santità di Dio. Nell’incarnazione del Verbo il fedele laico trova il

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fondamento teologico della propria vocazione laicale. Unito intimamente a Cristoattraverso il dono del battesimo (cfr Gv 15,1-8), egli vive la propria chiamata acontatto con le realtà terrene, che egli deve santificare e orientare a Dio. Nellafamiglia, nella professione sociale, nella vita pubblica, nella politica, nell’economia,nell’esercizio dei carismi e dei ministeri, il battezzato santifica ogni realtà, in cui egliè chiamato ad agire da cristiano. Come ricorda il dialogo tra Gesù e Nicodemo (cfrGv 3,3-8), in forza del battesimo l’uomo rinasce dall’alto e in questa sua rinascita eglieleva verso l’alto tutto ciò che gli appartiene. Si tratta di una rinascita spirituale, chelo rende nuovo e trasforma in novità l’intera sua esistenza. La vocazione laicale è,pertanto, l’essenza stessa della fede cristiana. Poiché incarnandosi, il Verbo haassunto tutto ciò che appartiene all’uomo, perché tutto ciò che è umano è di per sestesso autentico e profondamente significativo, così la vocazione laicale abbraccial’uomo nella sua integrità e lo riporta alla sua verità e autenticità. Non si trattasemplicemente di riconoscere la complessità pastorale del mondo contemporaneo,che rende in un certo senso necessaria l’azione pastorale dei laici, ma piùprofondamente va affermato che il loro apostolato deriva “dalla loro stessa vocazionecristiana” e come tale “non può mai venir meno nella chiesa” (cfr Apostolicamactuositatem 1). Poiché il fondamento teologico della vocazione e del ministerolaicale è l’incarnazione del Verbo e poiché il mistero dell’incarnazione è il centrodella fede cristiana, ne deriva che ogni fedele laico, in forza della sua laicità, non puònon avvertire di essere nel cuore della Chiesa, che ha la sua ragione di essere e diesistere solo per riportare la storia e il mondo intero a Cristo e, attraverso Cristo, alPadre (cfr 1Cor 15,24). Questa vocazione è stupendamente insita nel dono delBattesimo, che rende ogni fedele laico un consacrato e un vivente per Dio, in CristoGesù. Ma questa è la vocazione profetica, quella scelta da Gesù, che ha fatto dellaprofezia il senso profondo del suo ministero (cfr Mc 12,1-12). Essa si configuraessenzialmente come una sana e santa provocazione a vivere lo spazio religioso nellaverità e nell’autenticità della propria appartenenza a Dio. La scelta religiosa, nellalinea profetica, esige scelte coraggiose di giustizia, di giusti equilibri e di denunciasociale (cfr Am 8,4-6). Ed è questa la vocazione laicale: lungi dall’essere una sorta diprolungamento della sacrestia, la chiamata ad essere cristiani nel mondo è il cuoredella fede profetica, che va a toccare il centro più profondo della storia dell’uomo,per orientarlo alla sua propria essenza e verità. “In una parola: «ciò che l’anima è nelcorpo, questo siano nel mondo i laici» (Lumen gentium 38).

- Se la vocazione laicale è il cuore del cristianesimo quale contributo puòdare la spiritualità del Cuore di Cristo?

- Quali attenzioni è possibile attuare per fare della spiritualità del Cuore diCristo il faro di attrazione della vocazione laicale?

- Alla luce di questa meditazione quali elementi trovi caratterizzanti la fededei laici?

- Lectio divina sui brani evangelici dell’incontro con Nicodemo (Gv 3,3-8) edella vite e i tralci (Gv 15,1-8).

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La nostra fedeTESTO DI RIFERIMENTO: Lc 17,5-6

Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostraesistenza e nella storia (BENEDETTO XVI, Porta fidei 13,1).

Al termine di questo percorso all’insegna dei testimoni della fede (cfr Ebr 11,1-12,2), aiutati dall’esortazione del papa Benedetto XVI (Porta fidei 13,1), anche noi,“circondati da un così gran numero di testimoni” (cfr Ebr 12,1), desideriamoprofessare la nostra fede nel Padre, nel Figlio suo, Gesù Cristo, e nello Spirito Santo,datore di vita. Che uno solo sia Dio e che non ci sia altro dio all’infuori di lui (cfr Dt4,35; 6,4; 7,9; 10,17) noi lo professiamo all’inizio del nostro Credo o Simbolo,quando all’unisono affermiamo: “Credo in un solo Dio”. Ciò implica che Dio sia unessere personale, ossia persona, che incontra ciascuno di noi da persona a persona.Attraverso l’incarnazione divina in Gesù Cristo Dio ha voluto incontrarci alla pari. Lafede nell’unico Dio, che noi condividiamo con gli Ebrei, nostri “fratelli maggiori”, econ i musulmani, “figli di Abramo”, è un’esperienza che ha a che fare con laprofondità più intima del cuore umano. Scrive a riguardo il Concilio Vaticano II: “Gliuomini delle varie religioni attendono la risposta agli oscuri enigmi della condizioneumana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell’uomo (Nostra aetate1). Soltanto Dio, che è Uno e niente lo uguaglia, può dare la risposta definitiva alleansie e alla sete del cuore dell’uomo, proteso verso l’infinito. Credere nell’unicità diDio implica per ciascuno di noi il saper riconoscere la sua straordinaria assolutezza erifiutare, di conseguenza, ogni forma di idolatria nel possesso sia delle cose che dellepersone. Noi crediamo che questo essere unico e trascendente non è lontano da noi,perché Egli è Padre, che ci accoglie nelle sue viscere materne e misericordiose; la suaonnipotenza è garanzia per noi che il suo amore può tutto, perché eterno e infinito;egli è il Creatore di tutte le cose, che ha creato e formato ciascuno di noi fin dal senodi nostra madre. Il Figlio suo Gesù Cristo, Verbo eterno, nato dal Padre prima di tuttii secoli, perché da Lui generato, ma non creato, essendo Egli della stessa sostanza delPadre, è per noi Signore e Salvatore. Egli era nel seno del Padre suo, condividendo lastessa natura divina e la medesima intimità, essendo luce da luce e Dio vero da Diovero. Questi è disceso dal cielo per noi uomini, affinché arrecasse a ciascuno di noi lasalvezza. A tal scopo, il Verbo si è incarnato nel seno purissimo di Maria purissima,facendosi uomo come noi, fino alla morte e alla morte di croce. Ma è risorto il terzogiorno, come era stato predetto dai profeti, rinnovando per noi la vita e restaurando ilregno del Padre suo, che non avrà fine. Lo Spirito Santo è anch’Egli Signore, alla paridel Padre e del Figlio Suo; la sua particolare caratteristica è quella di essere per noidatore di vita, in quanto Egli è l’artefice della vita divina. La differenziazione rispettoal Padre è data dalla processione: mentre, infatti, il Figlio è generato dal Padre, loSpirito Santo procede dal Padre, nel senso che la vita divina, che è lo Spirito stesso diDio, ha la sua sorgente dalla paternità divina. Nell’essere donato a ciascuno di noi, loSpirito Santo procede dall’amore misericordioso del Padre e del Figlio suo GesùCristo, che morendo ha donato a noi il suo stesso Spirito, datore di vita (cfr Gv19,30.34). Noi adoriamo, dunque, le tre persone della Santissima Trinità e

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glorifichiamo la loro presenza, data a ciascuno di noi con il dono della vita e in modoeminente nel sacramento del Battesimo. Attraverso la profezia lo Spirito ha parlatoper mezzo dei profeti e parla oggi nella sua Chiesa, chiamata ad essere nel mondo enella storia segno profetico della potenza di Dio e del suo Santo Spirito. Questa è lanostra fede, che noi ci gloriamo di professare; essa è la fede trinitaria, consegnatacidagli Apostoli e trasmessa lungo i secoli, fino a noi; essa è la fede della Chiesa, che itestimoni di tutti i tempi hanno professato, e per la quale i martiri hanno dato la vita, isanti hanno vissuto la loro esistenza nella fedeltà, ogni cristiano lotta e soffre. Inquesta fede vogliamo vivere anche noi, riconoscendo il Signore Gesù vivo e risorto,presente nella nostra vita e nella storia degli uomini. Di fronte alle esigenze eclatantidi Gesù (cfr Lc 17,3-4), la risposta dei discepoli consiste in una preghiera: “Signore,aumenta la nostra fede” (Lc 17,6). Essa, se da una parte rileva la difficoltà a vivere laradicalità del Vangelo, dall’altra, tuttavia, evidenzia la possibilità di poter raggiungereuna fede matura, pur nella consapevolezza della propria fragilità e mediocrità (Mt17,20; Mc 9,24). In una delle sue lettere, San Barsanufio, monaco eremita, vissuto nelVI° secolo nel monastero di San Seridone presso Gaza in Palestina, scrive: “Prima ditutto, io glorifico la santa e consustanziale Trinità e dico: Gloria al Padre e al Figlio eallo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen. Non è fuori propositoche io incomincio con una simile dossologia, ma è che voglio dimostrare al demonio,nemico del bene, che nelle fantasie che egli provoca in noi non compare nulla cheabbia a che fare con questa dossologia, bensì solamente turbamento, tristezza escoraggiamento. Incominciamo anche noi a rendere grazie al Padre, che ha avutopietà del mondo e non ha risparmiato di inviare il suo Figlio unigenito come salvatoree redentore delle nostre anime. Rendiamo grazie al Figlio che ha umiliato se stesso,divenuto obbediente fino alla morte e morte di croce per noi uomini. Rendiamograzie allo Spirito Santo, che dà la vita, che ha parlato nella Legge e nei profeti”. Lanostra fede nella Santissima Trinità accompagni sempre il nostro cammino; crescaogni giorno in consapevolezza e comprensione del cuore; ci faccia cogliere lagrandezza di un Dio misterioso, che è comunione e incontro agápico di tre Persone,uguali e distinte, che si amano profondamente e sprigionano il loro intenso amoreverso ogni creatura, e in particolare verso ogni uomo, immagine della Trinità.

- Quale significato e valore ha per l’Apostolato della Preghiera la fede trinitaria?- Come soci e socie dell’Apostolato della Preghiera, quale esperienza mistica e

di preghiera è possibile vivere alla luce della fede nella santissima Trinità?- Quale relazione è possibile evidenziare tra la mistica del Cuore di Cristo e la

contemplazione delle tre Persone Divine?- Aiutati dal Parroco o dal proprio assistente spirituale, organizzate una serie di

incontri sull’origine e sul significato del Credo o Simbolo niceno-costantinopolitano.