Introduzione: cambiamento e continuità, potere e creatività

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Introduzione: cambiamento e continuità, potere e creatività Una panoramica su alcuni cambiamenti – L’importanza della continuità Perché le industrie culturali sono importanti? Le industrie culturali producono e mettono in circolazione testi Le industrie culturali organizzano e mettono in circolazione la creatività Le industrie culturali sono fattori di cambiamento economico, sociale e culturale Schema dell’esposizione Questioni di definizione Termini alternativi Dall’industria culturale alle industrie culturali Le industrie produttrici di testi: tratti distintivi Attività rischiosa Creatività vs. commercio Alti costi di produzione, bassi costi di riproduzione Beni semi-pubblici: il bisogno di creare scarsità Compensazione di mancati successi mediante creazione di repertori Concentrazione, integrazione e aggregazione della pubblicità Scarsità indotta artificialmente Ricorso ai format: star, generi e serializzazione Controllo debole sui creatori di prodotti culturali, controllo forte sulla distribuzione e sul marketing L’autore al lettore

Transcript of Introduzione: cambiamento e continuità, potere e creatività

Introduzione: cambiamento e continuità, potere e creatività■ Una panoramica su alcuni cambiamenti – L’importanza della continuità

■ Perché le industrie culturali sono importanti?

Le industrie culturali producono e mettono in circolazione testi

Le industrie culturali organizzano e mettono in circolazione la creatività

Le industrie culturali sono fattori di cambiamento economico, sociale e culturale

■ Schema dell’esposizione

■ Questioni di definizione

■ Termini alternativi

■ Dall’industria culturale alle industrie culturali

■ Le industrie produttrici di testi: tratti distintivi

Attività rischiosa

Creatività vs. commercio

Alti costi di produzione, bassi costi di riproduzione

Beni semi-pubblici: il bisogno di creare scarsità

Compensazione di mancati successi mediante creazione di repertori

Concentrazione, integrazione e aggregazione della pubblicità

Scarsità indotta artificialmente

Ricorso ai format: star, generi e serializzazione

Controllo debole sui creatori di prodotti culturali, controllo forte

sulla distribuzione e sul marketing

■ L’autore al lettore

2 LE INDUSTRIE CULTURALI

Una panoramica su alcuni cambiamentiL’importanza della continuità

Quasi tutti i commentatori convengono sul fatto che le industrie culturali hanno

subito, a partire dai primi anni Ottanta, modificazioni di rilievo. Si elencano qui

alcune delle più importanti trasformazioni di cui si tratterà in seguito.

• In molti paesi e in larga parte del mondo, le industrie culturali si sono progres-

sivamente avvicinate al centro della scena economica. Le società che operano

nell’industria culturale non possono più essere considerate secondarie rispetto

all’economia «reale», in cui sono prodotti beni durevoli e «utili». Alcune di

queste società sono oggi imprese globali di grandi dimensioni, annoverate fra le

più discusse e criticate aziende del pianeta.

• Proprietà e organizzazione delle industrie culturali sono radicalmente mutate. Le

società più grandi non sono più specializzate in un singolo ambito dell’industria

culturale – cinema, editoria, televisione o musica; operano invece trasversalmente

in numerose, differenti industrie culturali. Vero è che queste conglomerate media-

li sono in concorrenza, ma, oggi più che mai, sono connesse – tra loro e con altre

industrie – a formare reti complesse di alleanze, partnership e joint venture.

• Ciò nonostante, un numero crescente di piccole e medie imprese è attivo nel-

l’economia della cultura, mentre contemporaneamente aumenta la complessità

delle relazioni tra grandi, medie e piccole società.

• I prodotti culturali circolano in misura crescente al di là dei confini nazionali. Si

può rilevare un flusso senza precedenti di prestiti e adattamenti di immagini,

suoni e narrazioni; il che produce certo nuovi ibridi, ma ribadisce anche, in talu-

ni casi, il valore dell’autenticità culturale. La prolungata egemonia degli Stati

Uniti nella distribuzione culturale parrebbe in calo.

• Si è verificata una notevole proliferazione di nuove tecnologie comunicative,

segnatamente di Internet, e di nuove applicazioni delle tecnologie preesistenti.

• Il modo in cui le industrie culturali concepiscono le loro audience sta cambian-

do. Si attribuisce maggiore importanza alla ricerca sull’audience, al marketing e

alla conquista di pubblico di nicchia.

• La politica culturale e la relativa regolamentazione hanno subito trasformazio-

ni rilevanti. Tradizioni consolidate in materia di proprietà pubblica e regolamen-

tazione sono state smantellate. Decisioni strategiche importanti vengono assun-

te in misura crescente a livello internazionale. Al tempo stesso, le industrie cul-

turali hanno acquisito maggior peso nelle politiche urbane e sociali locali, come

mezzi per rilanciare l’economia e acquisire vantaggi competitivi su altre città e

regioni.

• Si è verificato un forte incremento nelle somme di denaro che le industrie desti-

nano alla pubblicità. Ciò ha contribuito ad alimentare la straordinaria crescita

delle industrie culturali.

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 3

• I gusti e le abitudini culturali delle audience sono divenuti più complessi. La

produzione e il consumo di testi, così come l’obsolescenza dei gusti e delle

mode, si sono fatti più rapidi.

• I testi1 (secondo chi scrive, il miglior termine disponibile per designare l’insie-

me delle «opere» prodotte dalle industrie culturali: programmi televisivi, film,

riproduzioni audio, libri, fumetti, immagini, periodici, quotidiani ecc.) hanno

subito trasformazioni radicali. Si è verificata una crescente infiltrazione di mate-

riali promozionali e pubblicitari in domini precedentemente protetti: ciò vale

particolarmente per le televisioni europee, ma anche per un buon numero di

altre industrie culturali. Vi sono sempre più prodotti di ogni tipo, disseminati su

un più ampio spettro di generi e un più ampio spettro di forme di attività cul-

turale. Diverse forme di autorità culturale sono in misura crescente oggetto di

critica e satira.

È tuttavia da chiedersi se, e in quale misura, siffatti cambiamenti nelle industrie

culturali costituiscano davvero trasformazioni importanti ed epocali del modo in

cui la cultura viene prodotta e consumata. Dopo tutto, in concomitanza con tali

cambiamenti, sussistono molte importanti continuità, che potrebbero essere oscu-

rate da un eccesso di enfasi sul cambiamento. Per esempio, la televisione continua

a giocare un ruolo significativo nella vita quotidiana come fonte di informazione e

di intrattenimento; le star rimangono il principale meccanismo mediante il quale

le società operanti nell’industria culturale promuovono i loro prodotti; gli Stati

Uniti sono ancora percepiti, in tutto il mondo, come il centro planetario della cul-

tura popolare; il copyright rimane essenziale per la comprensione delle industrie

culturali. Poiché tali continuità sono frammiste ai cambiamenti appena menziona-

ti, si farà d’ora in poi riferimento alle diverse modalità di cambiamento/continuità

nelle industrie culturali. Questo problema – l’interconnessione di cambiamento e

continuità – è il tema centrale del libro.

Perché le industrie culturali sono importanti?

Le industrie culturali producono e mettono in circolazione testi

Più di altri tipi di produzione, le industrie culturali partecipano alla produzione e

alla distribuzione di prodotti – vale a dire di testi – che influenzano la nostra com-

prensione del mondo. La discussione sulla natura e la portata di tale influenza

costituisce «il nucleo contestato della ricerca sui mezzi di comunicazione», per

riprendere qui una preziosa messa a punto concettuale (Corner 2000, p. 376). I

migliori contributi a tale discussione sostengono la natura complessa, negoziata e

1 Nel libro, si ricorrerà al corsivo in grassetto per indicare i concetti-chiave presenti nel glossario,al grassetto per evidenziare asserzioni–chiave e al semplice corsivo per i titoli e per i termini cuisi intende dare risalto.

4 LE INDUSTRIE CULTURALI

spesso indiretta dell’influenza esercitata dai mezzi di comunicazione, ma non

lasciano adito a dubbi su un punto: essi la esercitano effettivamente. Siamo

influenzati da testi informativi come i quotidiani, i telegiornali, i documentari e i

saggi, ma anche dall’intrattenimento. I film, come le serie televisive, i fumetti, la

musica e i videogame forniscono continue rappresentazioni del mondo, e agisco-

no pertanto come una sorta di resoconto su di esso. In modo altrettanto decisivo,

essi sfruttano e contribuiscono a formare la nostra vita interiore, privata, e il nostro

sé pubblico: le nostre fantasie, emozioni e identità. Contribuiscono fortemente al

nostro senso di identità e di che cosa significhi essere donna o uomo, africano o

arabo, canadese o newyorchese, eterosessuale o omosessuale. Per queste semplici

ragioni, i prodotti dell’industria culturale sono ben più di un mero passatempo –

un semplice diversivo rispetto a cose diverse e più importanti. Ugualmente, la

notevole quantità di tempo spesa nella fruizione, seppur distratta, di questi testi, è

sufficiente a rendere le industrie culturali un fattore importante delle nostre vite.

Pertanto, lo studio delle industrie culturali ci può aiutare a capire come i testi

assumano la forma che hanno, e come essi siano giunti a occupare un ruolo così

centrale nelle società contemporanee. È rilevante osservare come la maggior parte

dei testi che consumiamo sia messa in circolazione da potenti corporation. Queste

corporation, come ogni impresa, sono interessate a realizzare profitti e tendono a

promuovere le condizioni affinché le imprese in generale – in particolare le loro –

possano realizzare grandi profitti. Il che solleva un problema decisivo: le industrie

culturali sono in ultima istanza al servizio degli interessi dei loro proprietari, dei

loro amministratori, dei loro alleati politici ed economici?

Si devono assolutamente evitare risposte semplicistiche a questo problema cru-

ciale. Nel corso di questo studio, si sosterrà una concezione delle industrie cultu-

rali – e dei testi che esse producono – come complesse, ambivalenti e contraddit-

torie. (Alcune importanti e prestigiose analisi delle industrie culturali hanno sot-

tovalutato tali aspetti: a questo riguardo si veda il Capitolo 1). In società nelle quali

le industrie culturali rappresentano un grosso business, le imprese operanti nell’in-

dustria culturale tendono a favorire le condizioni in cui grandi gruppi industriali e

i loro alleati politici possono realizzare profitti: condizioni che includono una

costante domanda di nuovi prodotti, una regolamentazione minima da parte dello

Stato eccettuata una generica legislazione sulla concorrenza, una relativa stabilità

politica ed economica, una forza-lavoro motivata a lavorare sodo. Tuttavia, nelle

società contemporanee, molti dei testi prodotti e distribuiti dalle industrie cultura-

li non favoriscono univocamente tali condizioni. Molto spesso, non solo occasio-

nalmente, essi tendono a orientare le loro audience verso modi di pensare che non

coincidono con gli interessi del capitale, come per esempio della dominanza strut-

turale del maschio sulla donna o del razzismo istituzionalizzato (il tema sarà ulte-

riormente trattato nel Capitolo 2).

Se ciò è vero, perché accade? In parte, per il semplice motivo economico che le

industrie culturali devono competere e difendere le condizioni generali dell’accu-

mulazione, e pertanto tendono a superarsi a vicenda soddisfacendo la domanda

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 5

dell’audience anche per ciò che è scandaloso, blasfemo e ribelle. In parte, a causa

di fattori socio-culturali profondamente interiorizzati in molte società, relativi a

quel che ci si attende dall’arte e dallo spettacolo. Il che ci conduce alla seconda tesi

in ordine d’importanza esposta in questo libro, e a un ambito che è stato trascura-

to nella discussione, accademica e pubblica, degli ultimi anni.

Le industrie culturali organizzano e mettono in circolazionela creatività

Le industrie culturali si occupano essenzialmente dell’organizzazione e della vendi-

ta di un particolare tipo di lavoro. Fin dal Rinascimento – e soprattutto dal

Romanticismo del XIX secolo – si è largamente affermata la tendenza a pensare

l’«arte» come una delle massime forme di creatività umana. Sociologi e marxisti

hanno sostenuto, per contro, che il lavoro artistico non è molto diverso da ogni

altro tipo di lavoro, in quanto entrambi sono finalizzati alla produzione di oggetti o

di esperienze (Wolff 1993, fornisce, nel primo capitolo, un’ottima sintesi del dibat-

tito). È una concezione importante per contrastare l’idea che gli «artisti» siano

diversi dal resto dell’umanità, che siano dotati di una forma speciale, mistica, di

creatività. Nondimeno, nell’area di creatività, spesso detta «arte», v’è un nucleo

distintivo. L’invenzione e/o l’esecuzione di storie, canzoni, immagini, poemi, motti

di spirito ecc., in qualsivoglia forma tecnologica, comporta uno specifico tipo di

creatività: la manipolazione di simboli allo scopo di intrattenere, informare e, forse,

anche “illuminare”. Anziché il termine «arte», con le sue connotazioni di genialità

individuale e ispirazione mistica, si preferisce qui usare la più ingombrante espres-

sione creatività simbolica2 e, anziché «artisti», l’espressione creatori di testi3 per

quanti inventano, interpretano o rielaborano storie, canzoni, immagini4 ecc.

I creatori di testi sono stati quasi totalmente ignorati nelle recenti teorizzazioni

delle industrie culturali, per via di una comprensibile, ancorché eccessiva, reazione

al feticismo dell’«eccezionalità» del lavoro artistico. Per molti anni, negli studi cul-

turali e in quelli sui media, questa reazione ha assunto la forma di un’accentuazio-

ne della creatività dell’audience e di quanti non operano professionalmente come

creatori di testi. Negli anni Novanta, tuttavia, un certo numero di studiosi ha inizia-

to a riportare l’attenzione sui creatori di testi (Born 1993a, 1993b; McRobbie 1998;

2 Il termine è dovuto a Willis (1990), dalla cui accezione tuttavia ci si discosta: laddove egli sioccupa della creatività dei giovani come consumatori, ci si concentra qui sulla creatività simbo-lica industrializzata.

3 (N.d.C.) L’espressione originale usata da Hesmondhalgh in questo contesto è “symbolic crea-tors”. Poiché una traduzione italiana letterale di questo concetto si è rivelata inefficace, si è pre-ferito adottare l’idea di “creatore di testi” o di “creatore/ideatore di prodotti culturali” comealternativa al concetto di artista, poiché i prodotti dell’industria culturale sono in effetti identi-ficati dall’autore come “testi” (Cfr. ad esempio il Capitolo 10).

4 Secondo il mio uso del termine, i giornalisti e quanti operano nei settori più orientati all’infor-mazione delle industrie culturali sono anch’essi creatori di testi. Gli studi sul giornalismo van-tano una lunga e gloriosa tradizione nel richiamare l’attenzione sui creatori di testi per eccel-lenza – vale a dire i giornalisti.

6 LE INDUSTRIE CULTURALI

Toynbee 2000). Dopo tutto, essi sono i principali operatori nella produzione di pro-

dotti culturali. I testi, per definizione, non esistono senza di loro, benché essi, per

converso, dipendano da sistemi industriali quanto a riproduzione, distribuzione,

promozione e remunerazione del lavoro, ma ciò non significa che si debba esaltare

romanticamente il lavoro di tutti i musicisti, sceneggiatori, registi ecc. In conclusio-

ne, l’interesse che qui si indirizza ai creatori di testi deriva, come quello che ha

mosso le indagini di Born, McRobbie e Toynbee, dalla percezione che la creatività

simbolica può arricchire la vita quotidiana, anche se spesso ciò non accade.

Altri filoni di studio si sono concentrati su ideatori di prodotti culturali particolar-

mente ricchi di talento o celebrati, facendo talvolta appena menzione dei mezzi con

cui autori, musicisti ecc. hanno raggiunto il loro pubblico. Alcuni di questi studi sfo-

ciano in una devota, compiacente celebrazione dei risultati della civiltà occidentale

(Clark 1969). I lavori di Raymond Williams (1981) e Pierre Bourdieu (1996), tra gli

altri, suggeriscono modi migliori di storicizzare la creatività simbolica, mostrando

come essa sia stata una presenza quasi costante nella storia dell’umanità, benché la

sua organizzazione e circolazione abbiano assunto forme altamente differenziate in

società differenti. In Europa, per esempio, talune forme di mecenatismo diedero ori-

gine, nel corso dell’Ottocento, all’organizzazione di mercato della creatività simboli-

ca. Fu in quel momento che le industrie culturali cominciarono a emergere. Dai

primi del Novecento, l’organizzazione del mercato ha cominciato ad assumere forme

nuove e complesse (Capitolo 2). L’indagine sui cambiamenti nelle industrie cultura-

li ci permette di riflettere su come la creatività simbolica sia stata organizzata e messa

in circolazione nel nostro tempo e sui modi in cui ciò potrebbe cambiare.

Ma vorremmo ancora insistere sulla natura fondamentalmente ambivalente delle

industrie culturali. Il modo in cui esse organizzano e fanno circolare la creatività sim-

bolica rispecchia le acutissime disuguaglianze e ingiustizie visibili nelle società capi-

talistiche contemporanee (divisioni di classe, genere, etnia e d’altro tipo). Esistono

profonde disparità d’accesso alle industrie culturali. Quanti ottengono l’accesso sono

spesso trattati in modo indegno, e molti di coloro che vogliono creare testi lottano

per un salario indecoroso. Il fallimento è di gran lunga più frequente del successo.

Forti pressioni spingono alla produzione di certi tipi di testi anziché di altri, ed è dif-

ficile ottenere informazioni circa l’esistenza di organizzazioni e testi che seguano vie

divergenti. Alcuni tipi di testi sono resi più disponibili di altri. Questi sono gli aspet-

ti oscuri nel paesaggio dell’industria culturale; ma poiché la creatività simbolica, ori-

ginale e distintiva, è altamente apprezzata, e le industrie culturali non la possono mai

controllare interamente, proprietari e dirigenti elargiscono concessioni ai creatori e

agli ideatori di prodotti culturali, garantendo loro un’autonomia (autodeterminazio-

ne) molto superiore a quella goduta da produttori di pari status in altre industrie, e

dalla maggior parte dei produttori nella storia. Paradossalmente, tale libertà – in fin

dei conti limitata e provvisoria – può quindi operare come forma di controllo, man-

tenendo desiderabili lavori precari e mal retribuiti. Tuttavia, può anche aiutare a

spiegare l’ambivalenza dei testi cui già si è fatto riferimento.

Le società operanti nell’industria culturale devono affrontare anche un’altra dif-

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 7

ficoltà: trovare un’audience per i testi prodotti. Di norma, il problema non è quel-

lo di massimizzare l’audience per un prodotto: gruppi diversi tendono a sviluppa-

re gusti diversi, sicché gran parte del compito delle società operanti nell’industria

culturale consiste nell’adattare i testi alle audience, nel trovare i modi appropriati

per far circolare i testi in quelle audience e nel rendere nota alle audience l’esisten-

za di quei testi. Come si vedrà, è un business ad alto rischio. Molti testi si rivelano

insuccessi – anche quelli da cui le società si attendevano il contrario. La risultante

di tali processi è che le aziende esercitano un controllo molto più stretto sulla cir-

colazione che non sulla produzione dei testi.

L’importanza della creatività simbolica spiega perchè questo libro si concentra

prevalentemente sulle modalità di cambiamento/continuità nelle industrie cultu-

rali anziché, per esempio, di cambiamento/continuità nei testi prodotti da tali

industrie, o sul modo in cui le audience comprendono i testi. Come dovrebbe esse-

re ormai chiaro, ciò non significa che qui ci si limiti a considerare le industrie cul-

turali come sistemi produttivi; l’interesse fondamentale va alle relazioni tra siste-

mi produttivi e testi. Ma poiché chiunque scriva, dati i limiti di tempo e di ener-

gia, deve decidere a che cosa rivolgere prioritariamente la propria attenzione, l’in-

teresse primario del nostro libro – anziché andare ai testi e, solo secondariamente

e di riflesso, alle industrie – si focalizzerà sulle industrie culturali.

Le industrie culturali sono fattori di cambiamento economico, sociale e culturale

Il terzo e ultimo motivo che giustifica una ricerca sul cambiamento e la continuità

nelle industrie culturali, dipende dal fatto che esse sono fonti sempre più importan-

ti di profitto e occupazione in molte economie. Quantificare tale importanza è diffi-

cile, ed esistono controversie, raramente utili e spesso noiose, sul miglior modo di

calcolarla (Capitolo 6). Molto dipende dalla definizione che si dà delle industrie cul-

turali – e che vedremo più avanti in questa Introduzione. Pare corretto assumere,

tuttavia, che il peso economico della produzione culturale è in aumento, ancorché

non tanto o tanto rapidamente come sostenuto da commentatori e vertici strategici.

Che le industrie culturali possano produrre maggior ricchezza e occupazione è

un fatto significativo in sé; esso ha inoltre conseguenze sul modo in cui compren-

diamo i rapporti tra cultura, società ed economia. Molte delle discussioni più

importanti dell’ultimo trentennio circa tali rapporti si sono concentrate su quelle

che si potrebbero chiamare «teorie della transizione». Le società industriali si sono

effettivamente trasformate in società postindustriali o dell’informazione, basate su

una valorizzazione più che mai spinta della conoscenza? Si tratta di un orienta-

mento introdotto negli anni Sessanta e Settanta, fra gli altri, dagli studi di Daniel

Bell (ad esempio, Bell 1974), e proseguito negli Ottanta e Novanta da studiosi

come Manuel Castells (1989, 1996). È vero che le nostre società si sono trasforma-

te da «moderne», con più accentuati tratti di effimero, frammentario e transitorio,

a una condizione che si potrebbe meglio caratterizzare come «postmoderna», in

8 LE INDUSTRIE CULTURALI

cui quei tratti si accentuano al punto che razionalità e significato paiono implode-

re (Harvey 1989; Lyotard 1984)? In un resoconto della discussione, alcuni autori

(segnatamente Castells 1996; Lash e Urry 1994) hanno ipotizzato che la creatività

simbolica e/o l’informazione vadano assumendo un ruolo sempre più nodale nella

vita economica e sociale. Un importante corollario, esplicitato più ampiamente da

Lash e Urry che non da Castells, era che le industrie culturali avrebbero perciò for-

nito modelli sempre migliori per la comprensione delle trasformazioni sopravve-

nute in altre industrie. Altri sostenevano, per contro, che le industrie culturali si

andassero assimilando alle altre industrie, perdendo quindi le loro specificità eco-

nomiche settoriali (Padioleau 1987).

Sul finire dei Novanta, la nascita di Internet e del World Wide Web diede ulte-

riore impulso a questa discussione. Analisti d’impresa e del management ripresero

i temi enucleati dagli accademici, valorizzando sempre più i valori immateriali,

soprattutto i valori del brand (una versione divulgativa è in Wolf 1999). La marca

può essere valorizzata solo mediante massicci interventi sul nome dei prodotti e sul

logo, oltre che sul modo in cui essi vengono rappresentati e messi in circolazione.

Società operanti nell’industria culturale, come Disney, vista la loro esperienza nella

valorizzazione del brand (in un certo senso, ogni film, ogni star, ogni libro costitui-

scono in qualche misura un brand) erano spesso menzionate insieme a società

come Nike, e a marchi più tradizionali come Coca-Cola, tra i leader del settore.

Quello del marchio, tuttavia, era solo un aspetto dell’incessante ritornello sul

ruolo crescente dell’informazione, della cultura e della conoscenza nelle economie

moderne. Vi fu un profluvio quasi inarrestabile di saggi sul «mondo senza peso»

(Coyle 1999) o su come, nella futura economia della conoscenza, saremmo vissu-

ti di «aria rarefatta» (Leadbeater 2000) anziché di beni materiali. Parallelamente,

negli Stati Uniti in particolare, fu tributata enorme attenzione alla «nuova econo-

mia» (per un riesame critico, Henwood 2003), in cui il tradizionale ciclo economi-

co di espansione e di frenata sarebbe stato sostituito da una crescita continua. Le

tecnologie della comunicazione, i marchi, l’informazione e la cultura erano visti

tutti come elementi nodali della nuova configurazione. Nei primi anni del XXI

secolo, tali concetti sono stati associati sempre più a un concetto nuovo, diretta-

mente rilevante per ciò di cui tratta questo libro: la cosiddetta «economia creati-

va» (Howkins 2001)5.

Sarebbe un grave errore credere che, con l’esplosione della cosiddetta «bolla

dot.com» nel 2000-2001, tali idee siano tramontate. Certo, il linguaggio della lette-

ratura divulgativa non è oggi più millenaristico com’era sul finire del XX secolo, ma

riformulazioni dell’idea che viviamo in società ed economie basate sull’informazio-

ne, la conoscenza e la cultura hanno seguitato a proliferare in periodici influenti e

largamente diffusi come Wired e Newsweek. Quest’ultimo, per esempio, nel 2006 ha

5 Nel Capitolo 5 si discuterà ampiamente l’assunto che la «creatività» sia diventata sempre più

rilevante nelle economie e nelle società moderne. Mosco ha elaborato un’analisi estremamen-

te accurata dei modi in cui i computer e il cyberspazio hanno contribuito a tale pensiero «miti-

co» dell’economia e della società del futuro (Mosco 2004).

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 9

dedicato il consueto numero speciale sulle previsioni per l’anno nuovo alla «rivo-

luzione della conoscenza», con ampi dibattiti sulla nuova, magica parola «creati-

vità» (Florida 2002 e 2005). Studiosi, nel frattempo, sostenevano che la creatività

«sarà il pilota del cambiamento sociale ed economico nel secolo venturo» (Hartley,

2005, p. 1). Se è vero che le industrie culturali hanno un ruolo centrale in tali ipo-

tetiche transizioni – verso la società dell’informazione o della conoscenza, verso

economie basate sui marchi, sui segni e i significati, sulla creatività – sorprende la

rarità di analisi sistematiche e storicamente documentate dei cambiamenti in dette

industrie, condotte da quanti hanno partecipato alle discussioni. Analisi del genere

potrebbero contribuire alla chiarificazione delle nozioni qui menzionate, e del pos-

sibile eccesso d’enfasi sul cambiamento a scapito della continuità.

Schema dell’esposizione

In relazione alle modalità di cambiamento/continuità nelle industrie culturali, due

problemi paiono rivestire importanza cruciale; entrambi ne comportano di ulterio-

ri, con una serie di questioni a loro volta importanti. In primo luogo, com’è possi-

bile spiegare tali modalità? Quali forze hanno spinto al cambiamento e garantito

la continuità? Quali gruppi hanno assunto le decisioni chiave nel determinare

nuove modalità di cambiamento/continuità? Di quali interessi erano portatori?

In secondo luogo, com’è possibile valutare il cambiamento e la continuità? Ciò

implica due ulteriori passi: la considerazione dell’entità del cambiamento e la sua

misurazione. Quali fenomeni costituiscono le trasformazioni fondamentali nella

produzione culturale, e quali invece sono semplici cambiamenti di superficie? Su

quali principi politici ed etici ci possiamo basare per stabilire gli aspetti positivi e

negativi del modo in cui le industrie culturali sono strutturate, governate e orga-

nizzate sul finire del XX secolo e agli inizi del XXI?

Nel prosieguo dell’Introduzione si abbozza la definizione operativa delle industrie

culturali cui ci si atterrà nel corso della trattazione. Vi si spiega quindi l’etimologia

del termine e le ragioni che inducono a preferirlo rispetto a termini alternativi, enu-

cleando i tratti distintivi delle industrie culturali. Tali tratti sono importanti per gli

sviluppi successivi, in quanto concorrono a spiegare i cambiamenti e le continuità

nel modo in cui le industrie culturali sono strutturate, organizzate e governate.

La Parte Prima, che segue l’Introduzione, consta di tre capitoli che definiscono

i riferimenti analitici del libro e tratteggiano la storia del cambiamento e della con-

tinuità nelle industrie culturali dal 1980. Il Capitolo 1 prepara il terreno alla valu-

tazione e alla spiegazione, considerando i principali approcci all’industria cultura-

le. Esso propone un approccio basato su un tipo particolare di spiegazione in ter-

mini di economia politica e, insieme, sulla tradizione prevalentemente europea

degli studi sulle industrie culturali (anziché sulla tradizione americana che viene

spesso identificata con l’economia politica). Si sottolinea inoltre l’importanza dei

contributi della sociologia della cultura e degli studi sulle comunicazioni di matri-

10 LE INDUSTRIE CULTURALI

ce liberal-pluralistica allo studio delle industrie culturali, ma al contempo se ne

evidenziano alcuni limiti. L’assunto è che i migliori contributi forniti dagli studi

culturali siano potenzialmente compatibili con le migliori interpretazioni fondate

sull’economia politica. Benché il capitolo possa essere tralasciato da lettori privi di

interesse per le questioni accademiche, esso introduce alcune importanti categorie

a sostegno delle analisi e delle tesi esposte in seguito.

Il Capitolo 2 è nodale, in quanto tratta del modo in cui si possono valutare le

modalità di cambiamento/continuità nelle industrie culturali. A tale scopo, esso

fornisce una sintesi degli aspetti chiave di quella che, parafrasando Raymond

Williams, si può definire l’epoca professionale complessa della produzione cultu-

rale. Tale forma altamente professionalizzata di produzione ha visto la luce nelle

società industriali avanzate degli inizi del XX secolo e, dalla metà del secolo, è dive-

nuta dominante.

Gli aspetti chiave sono discussi utilizzando le seguenti categorie:

• il ruolo complessivo della produzione culturale nelle economie e nelle società

(incluso il processo di lungo periodo di mercificazione della cultura)

• la proprietà e la struttura delle imprese operanti nell’industria culturale

• l’organizzazione della produzione (inclusi i problemi dell’autonomia o dell’indi-

pendenza dei produttori creativi dal controllo commerciale e statale)

• la natura del lavoro culturale e della sua remunerazione

• l’internazionalizzazione della produzione culturale e l’egemonia ivi detenuta

dall’industria statunitense

• i cambiamenti testuali.

La discussione di ciascun aspetto suscita due tipi di problemi. Il primo riguarda

l’entità dei cambiamenti sopravvenuti dal 1980. Un obiettivo essenziale del libro è

stabilire se i cambiamenti avvenuti a partire da quella data abbiano significato la

nascita di un’epoca del tutto nuova nella produzione culturale, oppure se essi

costituiscano modificazioni interne all’epoca professionale complessa e pertanto un

insieme di trasformazioni limitate ancorché potenzialmente significative. Il secon-

do riguarda la misurazione dei cambiamenti e delle continuità. Viene delineato un

insieme di criteri normativi del perché si valutino importanti le industrie cultura-

li, dipendente dall’esame delle interpretazioni abbozzate nel Capitolo 1 e dallo

schema reperibile nell’Introduzione.

Il Capitolo 3 discute di come sia possibile spiegare il cambiamento, valutando le

interpretazioni concorrenti che accentuano i fattori economici, politici, tecnologici

e socioculturali. Esso introduce alla vicenda dei recenti cambiamenti/continuità

nelle industrie culturali esaminando come un certo numero di tali fattori abbiano

interagito nel determinare una crisi economica, politica e culturale nelle società

occidentali dei tardi anni Sessanta e Settanta. Si sostiene qui che tali crisi intercon-

nesse abbiano dato il via a molti dei cambiamenti strutturali discussi nel libro. La

«recessione» delle economie industriali avanzate a partire dai tardi Sessanta è un

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 11

contesto essenziale per comprendere sviluppi anche recentissimi. La crisi ha concor-

so a suscitare un’importante risposta politica e normativa che, in generale, coinci-

de sia con la nascita del neoliberismo sia, soprattutto per i settori dell’informazione

e della cultura, con la nascita del discorso sulla società dell’informazione. Tuttavia,

il capitolo sostiene anche la necessità di comprendere tre ulteriori forme di cambia-

mento che hanno guidato i mutamenti nella produzione e nel consumo culturale.

Si tratta dei cambiamenti avvenuti nella strategia commerciale, dei cambiamenti

socioculturali e testuali e dei cambiamenti tecnologici. Sottolineando tale moltepli-

cità di fattori si eviterà il pericolo di una visione riduzionista.

I Capitoli 4 e 5 costituiscono la Seconda Parte del libro. In essi, verranno deli-

neate le trasformazioni politiche fondamentali nel determinare alcuni dei cambia-

menti esaminati in seguito. Il Capitolo 4 analizza come i governi abbiano mutato

le politiche delle telecomunicazioni e del broadcasting tra gli anni Ottanta e gli

anni Novanta, incoraggiando lo sviluppo di industrie culturali commerciali me-

diante la privatizzazione di corporation pubbliche, nonché «allentando» la norma-

tiva in materia di mezzi di comunicazione e cultura. La storia della privatizzazione

e della deregulation suonerà familiare ad alcuni lettori. La spiegazione tentata qui

si discosta tuttavia da altre per l’accento posto sul contesto internazionale e per la

periodizzazione del cambiamento.

È possibile individuare quattro ondate sovrapposte di trasformazione nelle poli-

tiche della comunicazione attuate dai diversi governi nazionali:

• la prima negli Stati Uniti degli anni Ottanta

• la seconda in altri paesi industriali avanzati, dalla metà degli Ottanta alla metà

dei Novanta

• la terza nelle società di transizione dopo il 1989

• la quarta, che perdura tutt’oggi, e tocca contemporaneamente tutte le aree

menzionate, coinvolgendo la controversa convergenza delle industrie culturali

con i settori delle telecomunicazioni e dell’informatica.

Il Capitolo 5 tratta dei cambiamenti in altri due settori politicamente cruciali: la

politica culturale e le leggi sul copyright. Come già sottolineato, tali cambiamenti

politici sono stati un’importantissima base per altri cambiamenti. Essi rappresenta-

no mutamenti nel modo in cui creatività e produzione culturale sono concepite in

relazione al mercato e al capitale.

La Parte Terza si basa poi sui principi introdotti nella Parte Prima e Seconda per

esaminare i cambiamenti e le continuità nei diversi aspetti dell’epoca professiona-

le complessa della produzione culturale delineata nel Capitolo 2. I singoli capitoli

non si limitano a misurare l’entità dei cambiamenti, ma tentano di fornire criteri

di valutazione dei fatti.

Nel Capitolo 6, vengono presi in esame i cambiamenti e le continuità nella pro-

prietà e struttura d’impresa, e nella posizione delle industrie culturali all’interno

delle economie moderne. A seguito della recessione economica e della sua dure-

12 LE INDUSTRIE CULTURALI

vole influenza, le imprese operanti nell’industria culturale hanno adottato forme

differenziate di organizzazione societaria e di strategia organizzativa, per compete-

re efficacemente fra loro e con imprese operanti in altri settori. Le industrie cultu-

rali erano già tendenzialmente soggette al dominio di poche, potenti società; ten-

denza che si intensificherà tuttavia dopo il 1980. Esistono importanti cambiamen-

ti nelle conglomerate che dominano la produzione e la distribuzione di beni e ser-

vizi culturali: società indipendenti hanno seguitato a proliferare – e a fallire; si sono

stabilite nuove relazioni fra conglomerate e indipendenti. A questo punto, va

posto il problema della misura in cui le industrie culturali costituiscono una quota

importante delle economie nazionali e del mercato globale. Si sostiene qui la tesi

che la sempre maggior importanza assunta da tali industrie vada compresa come

una fase della mercificazione di lungo periodo della cultura. Le conseguenze ambi-

valenti di tutto ciò saranno tratteggiate in seguito.

Il Capitolo 7 tratta dei cambiamenti e delle continuità nell’organizzazione della

produzione e del lavoro culturale. Le interminabili dispute sulla prevenzione dei

rischi e l’organizzazione della creatività hanno ricevuto risposte nuove e significa-

tive a partire dagli anni Ottanta. Soprattutto, un’attenzione crescente si è concen-

trata sul marketing e le ricerche di mercato. Si sono verificati anche cambiamenti

significativi nella cornice e nelle condizioni del lavoro culturale. Questi cambia-

menti hanno rappresentato una svolta fondamentale nei rapporti sociali di produ-

zione culturale?

Uno dei modi più importanti in cui le imprese hanno tentato di competere nel

nuovo contesto di mercato creato dalla recessione e dal successivo declino e da sva-

riati cambiamenti socioculturali concomitanti, è stata l’internazionalizzazione delle

operazioni. Le conseguenze di ciò sono valutate nel Capitolo 8.

L’internazionalizzazione delle industrie culturali ha concorso alla produzione di

una maggiore complessità nei flussi internazionali di cultura, ma ha anche significa-

to una crescente presenza globale di grandi corporation. Pertanto, è necessario

domandarsi se si debba pensare alla recente internazionalizzazione delle industrie

culturali come a una nuova tappa dell’imperialismo culturale, oppure come a un

indice di un’inedita interconnessione globale dagli effetti potenzialmente democrati-

ci (in questo capitolo ci si chiede anche se il dualismo imperialismo–interconnessio-

ne sia un modo adeguato di porre problemi fondamentali).

Le imprese operanti nell’industria culturale hanno altresì tentato di competere

introducendo e utilizzando nuove tecnologie di comunicazione. Il Capitolo 9 si

concentra su quello che è generalmente accettato come lo sviluppo chiave dell’ul-

timo ventennio – la digitalizzazione. La digitalizzazione ha effettivamente determi-

nato una trasformazione radicale delle industrie culturali? Aspetti particolarmen-

te significativi della digitalizzazione sono la nascita di Internet e la televisione mul-

ticanale. La digitalizzazione è spesso menzionata come un fattore decisivo nella

trasformazione dell’organizzazione e della fruizione della produzione culturale. In

particolare, i discorsi sulla convergenza tra industrie culturali, telecomunicazioni e

informatica sono spesso basati su luoghi comuni, al punto da rasentare l’insignifi-

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 13

canza. Com’è possibile valutare gli effetti di Internet e della televisione digitale? In

quale misura le innovazioni hanno alterato i rapporti di potere finora prevalenti

nelle industrie culturali? Nel capitolo verranno altresì considerati i videogames

come nuovi media.

Il Capitolo 10 tratta degli effetti di tutte quelle modalità di cambiamento/conti-

nuità sul punto in cui, presumibilmente, le industrie culturali esercitano i più

profondi effetti sulla vita sociale e culturale: i testi. Come i testi prodotti dall’indu-

stria culturale e il loro consumo da parte delle audience sono (o non sono) cam-

biati in modo significativo tra gli anni Ottanta e i Novanta? In quali modi ciò ha

influenzato le istituzioni, le forme organizzative e l’economia delle industrie cul-

turali, o ne è stato influenzato? Saranno egualmente considerati tre importanti ma

complessi aspetti della valutazione dei testi: la loro diversità, la loro qualità e la

misura in cui essi servono gli interessi delle imprese operanti nell’industria cultu-

rale e dei loro alleati politici.

Infine, il capitolo conclusivo compendia le tesi avanzate nel libro e ne ribadisce

l’importanza per comprendere le mutevoli relazioni tra potere e giustizia sociale

nell’ambito della produzione culturale.

Questioni di definizione

Il termine «industrie culturali» presenta notevoli difficoltà di definizione. Se defi-

niamo la cultura, nella più vasta accezione antropologica, come «“il modo di vive-

re globale” di un popolo distinto o di un altro gruppo sociale» (Williams 1983, p.

19)6, è possibile sostenere che tutte le industrie sono industrie culturali, in quan-

to implicate nella produzione e nel consumo di cultura. Secondo questa definizio-

ne, infatti, gli abiti che indossiamo, il mobilio delle nostre case e dei luoghi di lavo-

ro, le automobili, i bus e i treni che usiamo per spostarci, il cibo e le bevande di cui

ci abbuffiamo fanno egualmente parte della nostra cultura, e sono quasi tutti pro-

dotti in modo industriale allo scopo di trarne profitto.

Tuttavia, va rilevato che un’accezione tanto estesa rischia di cancellare la diffe-

renza tra l’industria culturale e altre industrie. Il termine «industrie culturali» è

stato tendenzialmente impiegato in un’accezione assai più ristretta, implicitamente

basata su una definizione di cultura come «il sistema significante attraverso il quale

(sebbene in concomitanza con altri mezzi) un sistema sociale viene trasmesso,

riprodotto, sperimentato e esplorato» (Williams 1983, p. 21, corsivo dell’autore).

Semplificando, le industrie culturali sono state concepite abitualmente come quel-

le istituzioni (soprattutto imprese basate sul profitto, ma anche imprese pubbliche

e organizzazioni non-profit) che sono direttamente implicate nella produzione di

6 (N.d.C.) Qualora di un testo sia disponibile la traduzione italiana si farà riferimento a essa per le

citazioni. I riferimenti biblliografici completi dall’originale citato e della traduzione sono reperi-

bili nella sezione Riferimenti bibliografici.

14 LE INDUSTRIE CULTURALI

significati socialmente condivisi. Così, quasi tutte le definizioni di «industrie cultu-

rali» includeranno televisione (anche via cavo e satellite), radio, cinema, quotidia-

ni, periodici, case editrici, case discografiche, pubblicità e arti sceniche. Attività, in

definitiva, il cui scopo primario è comunicare con un’audience e creare testi.

Tutti i materiali culturali sono testi, nel senso che sono aperti all’interpretazio-

ne. Un’automobile, per esempio, ha un valore significante, e gran parte delle auto-

mobili presenti sul mercato implicano un design significativo e input di marketing.

Tuttavia, lo scopo primario delle automobili non è significare, bensì trasportare.

Ciò che definisce un testo è quindi questione di gradi, di equilibrio tra aspetti fun-

zionali e comunicativi (per una tesi analoga, Hirsch 1990/1972). Nei testi (canzo-

ni, narrazioni, performance) la significazione ha peso maggiore rispetto alla fun-

zionalità: essi sono concepiti innanzitutto in vista di uno scopo comunicativo. Il

box 0.1 presenta le principali industrie culturali, alla cui analisi questo libro si limi-

ta. Sono industrie culturali centrali perché hanno essenzialmente a che fare con

la produzione e la circolazione industriale di testi.

C’è un altro insieme di industrie culturali che si potrebbero definire «periferi-

che». Si tratta di industrie comunque importanti, e il termine non ha alcuna

intenzione di sminuire la creatività di quanti sono impegnati in quel lavoro. Al

pari delle industrie culturali centrali, le industrie più periferiche sono essenzial-

mente dedite alla produzione di testi. Ma la produzione impiega in questi casi

metodi semi-industriali o non industriali. Il teatro, per esempio, ha adottato solo

di recente quelle che si potrebbero definire forme industriali di produzione e

riproduzione (Capitolo 7). Produzione, esposizione e vendita di opere d’arte

(dipinti, installazioni, sculture) generano ogni anno enormi flussi di denaro e di

cronache, ma la riproduzione è limitata o non esiste affatto. L’industria della gra-

fica, ad esempio, limita artificialmente la riproduzione, e impiega procedimenti

laboriosi per aggiungere valore alle copie. In seguito ci riferiremo talora ad alcu-

ne di queste industrie, ma per rendere più leggibile il libro, ho preferito focaliz-

zarmi sulle principali industrie culturali elencate nel Box 0.1. È tuttavia impor-

tante osservare che le industrie centrali e quelle periferiche interagiscono signifi-

cativamente. Per esempio attori e scrittori possono lavorare tanto per la televisio-

ne quanto per il teatro, mentre le scuole d’arte formano artisti che si muovono

liberamente fra diverse forme di produzione commerciale, incluse la regia cine-

matografica, la pubblicità e la musica.

Come in ogni definizione di fenomeni complessi, vi sono parecchi casi-limite

significativi:

• Lo sport. Industrie come il calcio e il baseball programmano spettacoli dal vivo

che sono, sotto molti aspetti, estremamente simili al settore di intrattenimento

live delle industrie culturali. I consumatori pagano per essere intrattenuti in

diretta, in presenza di giocatori di grande talento (o di scarso talento, a secon-

da della squadra per cui uno tifa). Eppure, vi sono notevoli differenze rispetto

all’intrattenimento live delle industrie culturali. Lo sport è fondamentalmente

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 15

competitivo, laddove la creazione simbolica non lo è. I testi, nell’accezione che

qui si usa del termine, tendono a essere più sceneggiati, o quanto meno preor-

dinati, rispetto agli sport, che sono essenzialmente improvvisati sulla base di un

certo numero di regole di gioco7.

• Elettronica per il consumo/hardware dell’industria culturale. La realizzazione di un

programma televisivo dipende da un atto intenzionale di comunicazione cultu-

rale, e dovrebbe essere inclusa in qualsivoglia definizione dell’industria cultura-

le. Ma la fabbricazione di apparecchi televisivi fa parte dell’industria culturale?

Le industrie di elettronica per il consumo progettano e producono macchine

mediante le quali si fruiscono i testi. Tali industrie sono estremamente importan-

ti per la comprensione del cambiamento e della continuità nelle industrie cultu-

rali, poiché forniscono l’hardware attraverso il quale i testi sono riprodotti o tra-

smessi (hi-fi, apparecchi televisivi, lettori MP3 e DVD). Questi prodotti, assieme

ad altri beni (frigoriferi, forni a microonde), dipendono dall’input decisivo di

designer e di operai, spesso sottopagati, della catena di montaggio, ma non sono

centrati sulla produzione di beni primariamente simbolici al modo delle industrie

culturali. Essi escono dunque dalla definizione che qui si intende adottare.

• Software. L’industria del software presenta notevolissimi paralleli con le indu-

strie culturali. Squadre di creativi lavorano insieme per sperimentare e produr-

re risultati significativi, ma l’aspetto finale del software non assume forma di

testo. I suoi aspetti funzionali – svolgere certi compiti computerizzati – vanno

oltre le pur importantissime dimensioni estetiche della progettazione.

• Moda. La moda è un affascinante ibrido di industria culturale, nel senso qui

usato del termine. L’alto grado di equilibrio tra funzionalità e significazione la

rende un caso particolarmente complesso, reso ancor più interessante dalle spe-

cifiche forme organizzative (si veda l’importante contributo di McRobbie 1998).

Si potrebbe proseguire a lungo, trattando i casi-limite che hanno tratti comuni

alle industrie culturali, ma che sono in realtà sufficientemente distinti da richiede-

re uno studio separato. In ogni caso, la posizione qui espressa dovrebbe risultare

chiara: verranno prese in considerazione le industrie basate sulla produzione e cir-

colazione industriale di testi che dipendono fondamentalmente dal lavoro di crea-

tori e ideatori.

Per alcuni studiosi, la centralità attribuita alla creatività simbolica rappresenta

un problema. Keith Negus (2006, pp. 201-202) ha rivolto obiezioni all’impiego di

tale concetto come base definitoria delle industrie culturali, sostenendo che la

creatività e la circolazione di significati potenzialmente influenti sono caratteristi-

che della musica e della televisione quanto «della ristorazione, dell’attività banca-

ria, dell’industria del tabacco e delle assicurazioni». Negus ha ragione nel sostene-

re che le industrie culturali non sono l’unico luogo in cui si esplichi la creatività

simbolica, e si può convenire che gli operatori delle industrie culturali non vada-

7 Grazie a Jason Toynbee per avermi chiarito queste differenze.

16 LE INDUSTRIE CULTURALI

no mitizzati come individui eccezionali. Ed è certo vero che le sigarette così come

i conti in banca possiedono un significato culturale alla stregua di programmi tele-

visivi e canzoni. Tuttavia, attenuando le differenze, si perde qualche cosa di essen-

ziale. Per comprendere in modo adeguato la produzione culturale, dobbiamo pun-

tare sulla specificità delle industrie culturali. Il che significa valorizzare la differen-

8 Laddove il termine sembra designare la pubblicazione di spartiti, abbraccia invece un dominio

assai più ampio, che comprende la proprietà e il controllo dei diritti sulle composizioni musicali.

BOX 0.1 Le principali industrie culturali

Le industrie elencate operano essenzialmente nella produzione e nella circolazione industriale

di testi, e costituiscono pertanto quelle che, ai fini del libro, saranno individuate come le indu-

strie culturali centrali:

• broadcasting: le industrie radio-televisive, incluse le forme più recenti (tv via cavo, satellitare,

digitale)

• industrie cinematografiche: includono la diffusione di film in video, DVD e altri supporti, e la

loro messa in onda televisiva

• elementi di contenuto dell’industria di Internet: altri elementi fanno parte dell’industria dei

computer o delle telecomunicazioni

• industrie musicali: registrazione (che ovviamente include la registrazione di suoni non musi-

cali, ma è essenzialmente registrazione di musica), edizione8 ed esecuzione dal vivo

• editoria a stampa ed elettronica: include libri, CD-ROM, database online, servizi d’informazio-

ne, periodici e quotidiani

• videogame• pubblicità e marketing: a paragone di altre industrie culturali, i prodotti pubblicitari e di marke-

ting tendono ad aver maggior valenza funzionale, in quanto ideati per vendere e promuove-

re altri prodotti. Tuttavia, si basano sulla creazione di testi, e richiedono il lavoro di ideatori e

creativi (Capitolo 2 per una più approfondita disamina di come il marketing risponda ai crite-

ri definitori delle industrie culturali).

Tutte le industrie culturali centrali hanno dinamiche specifiche, che verranno discusse in capito-

li diversi del libro. Nondimeno, una delle conclusioni più importanti dell’elaborazione teorica

sulle «industrie culturali» è stata la scoperta delle loro complesse interazioni e interconnessioni.

Ciò dipende in larga misura dalla reciproca concorrenza per le stesse risorse. Le risorse più

importanti sono (Garnham 1990, p. 158):

• una quantità ristretta di reddito disponibile del consumatore

• una quantità limitata di entrate pubblicitarie

• un tempo limitato da dedicare alle attività di consumo

• forza-lavoro specializzata, sia creativa sia tecnica.

Vista la competizione per le stesse risorse, così come le loro comuni caratteristiche di produttri-

ci di testi, le industrie culturali possono essere considerate come un settore o un sistema arti-

colato di produzione (nelle analisi economiche e di mercato si discute circa l’espressione più

appropriata, ma il punto non è qui in questione). L’aspetto non è colto sempre chiaramente,

neppure dagli specialisti.

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 17

za tra attività strutturalmente connesse alla fabbricazione di prodotti che constano

prioritariamente di simboli, e attività sociali di altro genere. I banchieri, dopo tutto,

non somigliano ai musicisti.

Termini alternativi

«Industrie culturali» è indubbiamente termine controverso e difficile, la cui problema-

ticità, come si può evincere da quanto detto, discende da difficoltà nella definizione di

«cultura» (per tacere di «industria»). Considerati tutti i problemi di definizione, perché

non abbandonare semplicemente il termine «industrie culturali» per un termine alter-

nativo? Una certa gamma di possibilità pare offrirsi spontaneamente. Un libro sulle

«industrie dell’informazione» potrebbe trattare dell’industria culturale come di un

esempio parziale del crescente predominio dell’informazione nelle economie, società e

culture contemporanee9. Un libro dettagliato come The Leisure Industries (Roberts

2004), si occupa di sport e turismo oltre a quelle che qui si definiscono industrie cultu-

rali. Chi si occupa di analisi economico-finanziaria d’impresa ricorre spesso al termine

«industria dell’intrattenimento», specialmente negli Stati Uniti. I riferimenti alle indu-

strie culturali si intrecciano spesso con quelli alle «industrie dei mass media»: ma nep-

pure il concetto di mezzi di comunicazione di massa è scevro di problemi definitori.

Indubbiamente l’alternativa di gran lunga prevalente a «industrie culturali» è industrie

creative. Molti politici e taluni studiosi accademici si avvalgono attualmente del termi-

ne; il Capitolo 5 offre una panoramica su alcuni problemi connessi a esso, inclusa la

discussione degli aspetti in cui quelle che i politici etichettano come «industrie creative»

differiscono, in generale, da quelle etichettate come «industrie culturali».

Il tempo libero, l’informazione, l’intrattenimento, i mezzi di comunicazione sono

oggetti di trattazione in questo libro; tuttavia, il termine «industrie culturali» è qui

preferito alle alternative disponibili. Esso infatti non fa solo riferimento a un tipo di

attività industriale, bensì rimanda a una precisa tradizione di studi sulla predetta atti-

vità e sulle relazioni tra cultura ed economia, testi e industria, significato e funzione.

Dall’industria culturale alle industrie culturali

La storia del termine prende le mosse da un testo di Theodor W. Adorno e Max

Horkheimer, due filosofi tedeschi di origine ebraica, legati all’Institut für

Sozialforschung di Frankfurt, l’Istituto per la Ricerca Sociale o Scuola di Francofor-

9 Il termine «industria dell’informazione» era in auge nei tardi Ottanta e Novanta (Sadler 1997

offre un’interessante analisi dell’industria discografica come industria dell’informazione); tutta-

via, anche tra quanti lo impiegavano c’era chi (per esempio Wasko 1994) riconosceva come esso

relegasse al margine l’intrattenimento, nonché gli aspetti artistici, espressivi e culturali della

creazione di segni. Per una discussione delle relazioni tra informazione e cultura si rimanda a

Schiller 1994.

18 LE INDUSTRIE CULTURALI

te (Adorno e Horkheimer 1977/1944). Benché fosse stato impiegato anche prima,

il termine industria culturale è parte del titolo di un capitolo della loro Dialettica

dell’Illuminismo (Dialektik der Aufklärung), composta negli Stati Uniti nei primi anni

Quaranta, dopo l’esilio dalla Germania nazionalsocialista. Il libro scaturiva dalla

convinzione che la vita nella democrazia capitalistica statunitense fosse, per certi

aspetti, altrettanto vuota e superficiale della vita nella Germania da cui Adorno e

Horkheimer erano espatriati, ancorché non altrettanto brutale e tremenda.

“Industria culturale” era un concetto coniato per colpire. Adorno e Horkheimer,

come molti di coloro che hanno impiegato il termine «cultura» nel XIX e nel XX

secolo, identificavano il modello ideale della cultura con l’arte e con forme specia-

li, eccezionali, di creatività umana. Per loro, e per l’intera tradizione filosofica hege-

liana da cui provenivano, l’arte poteva agire come una forma di critica sul resto

della vita, e fornire una visione utopica di come sarebbe possibile una vita miglio-

re. Nella concezione di Adorno e Horkheimer, tuttavia, la cultura ha quasi comple-

tamente perduto la capacità di agire come critica utopica, giacché è mercificata –

qualcosa, cioè, che può essere comprato e venduto. Cultura e Industria sono pen-

sate, in quella concezione, come opposte; ma, nella moderna democrazia capitali-

stica, esse sono naufragate insieme. Di qui l’industria culturale10.

Nei tardi anni Sessanta divenne evidente che cultura, società e impresa si stava-

no intersecando in misura inedita, poiché le multinazionali investivano nel cine-

ma, nella televisione, nell’industria discografica, e tali concentrazioni assumevano

una crescente importanza sociale e politica. Adorno, Horkheimer e altri membri

vecchi e nuovi della Scuola di Francoforte, conquistarono una notorietà interna-

zionale quando studenti e intellettuali di sinistra ne ripresero le idee per interpre-

tare quelle trasformazioni. Il termine «industria culturale» divenne di largo impie-

go nelle polemiche contro le avvertibili limitazioni della moderna vita culturale.

Esso fu ripreso da alcuni sociologi francesi (soprattutto Morin 1962 Huet et al.

1978; Miège 1979), nonché da militanti e politici11, e venne trasformato in quello

di «industrie culturali».

Perché optare per la forma plurale anziché per quella singolare? La differenza è

rivelatrice, e più significativa di quanto possa apparire a prima vista. I sociologi

francesi che usavano «industrie culturali» respingevano l’uso al singolare di

Adorno e Horkheimer, giacché esso postulava un «campo unificato», in cui tutte

le molteplici forme di produzione culturale coesistenti nella modernità sono sup-

poste obbedire alla medesima logica. Il loro intento era invece di mostrare quanto

10 Steinert (2003, p. 9) chiarisce che Adorno e Horkheimer usavano il termine in due accezioni

distinte: «industria culturale» designava la «produzione di merci come principio di una forma

specifica di produzione culturale», mentre «l’industria culturale» designava un ramo specifico

di produzione.11 Il termine si diffuse internazionalmente nella sfera politica grazie alla mediazione dell’UNESCO.

Nel 1979-1980, l’UNESCO promosse un programma internazionale ad ampio raggio di ricerca

comparata sulle industrie culturali, che culminò nella conferenza di Montréal del giugno 1980,

i cui atti furono pubblicati in inglese dall’UNESCO nel 1992.

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 19

complesse siano le industrie culturali, e di individuare le differenti logiche in atto

nei diversi tipi di produzione culturale: per esempio come le industrie di broadca-

sting operino in modo estremamente diverso dai giornali o da industrie ispirate a

modelli di produzione «editoriali» o a stampa (Miège 1987). Di conseguenza, pre-

ferivano parlare di industries culturelles, al plurale12.

I sociologi delle industrie culturali respingevano l’approccio di Adorno e

Horkheimer anche per diversi, consistenti motivi, com’è stato chiarito dal più auto-

revole rappresentante della scuola francese, Bernard Miège, nella prefazione alla

traduzione inglese di una miscellanea dei suoi saggi (Miège 1989, pp. 9-12)13. In

primo luogo, essi ricusavano la nostalgia di Adorno e Horkheimer per le forme

preindustriali di produzione culturale. Seguendo altri critici della Scuola di

Francoforte, fra cui l’amico e contemporaneo di Adorno Walter Benjamin, Miège

argomentava che il passaggio della produzione culturale all’industrializzazione e alle

nuove tecnologie ha sì condotto a una crescente mercificazione, ma anche a nuovi,

stimolanti sviluppi e innovazioni. La mercificazione della cultura, pertanto, è pro-

cesso di gran lunga più ambivalente di quanto non concedesse il pessimismo cultu-

rale di Adorno e Horkheimer (come si vedrà nel prossimo capitolo, l’intuizione è

condivisa da alcuni approcci ispirati alla tradizione degli studi culturali). In secondo

luogo, anziché assumere il processo di mercificazione della cultura come lineare e

incontrastato, i sociologi delle industrie culturali hanno studiato la natura parziale e

incompleta dei tentativi di estendere all’ambito della cultura il modo di produzione

capitalistico. In altre parole, essi hanno concepito le industrie culturali come con-

tradditorie – un’area di conflitto permanente – laddove, in Adorno e Horkheimer,

domina l’impressione che la battaglia sia già stata perduta, che la cultura sia già stata

sussunta dal capitale e dal sistema astratto della «ragione strumentale».

Tali modificazioni delle tesi di Adorno e Horkheimer sull’industria culturale costitui-

scono autentici sviluppi. Non si tratta semplicemente di dimostrare che i due intellet-

tuali, scrivendo alla metà del XX secolo, sbagliavano. Adorno e Horkheimer sono

importanti per molte ragioni, compresa la formulazione di una versione assai interes-

sante e sofisticata di un modo di pensare ancora diffuso. Si possono spesso leggere o

ascoltare opinionisti di quotidiani che liquidano la cultura industrializzata come impo-

verita. Scrittori, insegnanti e studenti cadono spesso in preda a un pessimismo analo-

go a quello del capitolo sull’industria culturale della Dialektik der Aufklärung, anche

quando fruiscono e si sentono arricchiti da molti prodotti delle industrie culturali.

Adorno e Horkheimer formulano una versione più ricca e acuta rispetto alla visione

estremistico-pessimista dell’industrializzazione della cultura. Per Miège e altri, tuttavia,

anche la versione sofisticata del pessimismo culturale non coglie nel segno. Rifiutare

tale estremo pessimismo non significa celebrare compiacenti le industrie culturali esi-

12 Molti autori (per esempio, Lash e Urry 1994, e Garnham 2000 – ma non Garnham 1990) usano

il termine «industrie della cultura». La differenza è poco rilevante, ma si preferisce qui «indu-

strie culturali» poiché indica il superamento dell’approccio della Scuola di Francoforte.13 La mediocre edizione inglese costituisce la fonte principale per la conoscenza dei lavori della

scuola sociologica francese sulle industrie culturali. Si vedano anche Lacroix e Tremblay 1997.

20 LE INDUSTRIE CULTURALI

stenti. Le parole chiave sono, va ripetuto, complesse, ambivalenti e contraddittorie. Tali

termini guidano lo sforzo che si tenterà nel seguito di spiegare e valutare le industrie

culturali. L’uso del termine «industrie culturali» indica sia la consapevolezza dei pro-

blemi dell’industrializzazione della cultura, sia il rifiuto di banalizzarne valutazione e

spiegazione.

Industrie che producono testi: tratti distintivi

Alla luce dei lavori di Miège e altri (incluso soprattutto Garnham, 1990) è possibi-

le enucleare i tratti distintivi delle industrie culturali in relazione ad altre forme di

produzione capitalistica. Essi sono ricapitolati nel Box 0.214. I primi quattro tratti

consistono nei problemi specifici affrontati dalle industrie culturali, mentre i cin-

que successivi consistono nelle più comuni risposte, o tentativi di soluzione, ten-

tate dalle imprese operanti nell’industria culturale. Questi tratti distintivi hanno

implicazioni di rilievo per il resto del libro: essi aiutano a spiegare le strategie ricor-

renti nella gestione e organizzazione della produzione culturale da parte delle

società attive nell’industria culturale e a cogliere le costrizioni operanti su chi

intenda lavorare come creatore di testi o creare proprie organizzazioni culturali,

indipendenti e/o alternative. Offrono inoltre gli strumenti per capire le differenze

tra industrie culturali, poiché alcuni tratti sono più visibili in certe industrie che in

altre, ovvero gli stessi tratti assumono forme diverse.

Attività rischiosa

Tutte le attività industriali comportano un certo grado di rischio, ma le industrie

culturali sono un tipo di attività particolarmente rischiosa (come dimostra il titolo

del libro sull’industria cinematografica di Prindle 1993, probabilmente in omaggio

al divertente film del 1983 con Tom Cruise), poiché si basano sulla produzione di

testi da comprare e vendere. Per Garnham, influenzato da Bourdieu 1984, il

rischio dipende dal fatto che le audience usano le merci culturali in modi altamen-

te volatili e imprevedibili, spesso per esprimere la loro differenza rispetto agli altri

(Garnham 1990, p. 161)15. Ne risulta che oggetti o stili di moda, benché fortemen-

te commercializzati, possono improvvisamente venire percepiti come obsoleti; e

che, per converso, altri testi possano ottenere un successo imprevisto. Tali rischi,

che originano dal consumo e dai modi in cui le audience tendono a usare i testi,

14 Un certo numero di autori ha tentato di definire le caratteristiche delle industrie prioritariamen-

te impegnate nella produzione e circolazione di beni simbolici, pur senza impiegare il termine

«industrie culturali». Molte di esse sono in ultima analisi compatibili con i termini usati da

Garnham nel suo schema classico (notevoli gli esempi offerti da Caves 2000; Baker 2002; Grant

e Wood 2004). Lo schema qui offerto si distingue perché presenta tali caratteristiche come insie-

me di problemi e tentativi di soluzioni o risposte.15 Anche se non consideriamo il problema in questo modo, è evidente che il consumo di testi è

suscettibile di essere altamente soggettivo e irrazionale.

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 21

sono aggravati da due ulteriori elementi connessi alla produzione. In primo luogo,

come già visto, le società assicurano ai creatori di prodotti culturali una limitata

autonomia, nella speranza che costoro realizzino qualche cosa di abbastanza origi-

nale e diverso da risultare un successo. Il che però significa anche che le società

operanti nell’industria culturale sono impegnate in una lotta incessante per il con-

trollo di quel ci si attende che i creatori producano. In secondo luogo, una singo-

la società operante nell’industria culturale (Società A) si appoggia su altre società

operanti nell’industria culturale (Società B, C, D ecc.) onde comunicare all’audien-

ce l’esistenza di un nuovo prodotto, o i benefici e piaceri connessi alla fruizione del

prodotto. Anche se la società A è proprietaria delle società B o F, non è possibile

controllare il tipo di accoglienza che il testo potrà ricevere, poiché è difficile preve-

dere come critici, giornalisti, radio, produttori e presentatori televisivi ecc., potran-

no valutare i testi.

Tutti questi fattori significano che le società operanti nell’industria culturale

affrontano problemi peculiari di rischio e imprevedibilità. Ecco alcuni dati statistici:

• nel 1998, sono usciti negli Stati Uniti circa 30.000 album, dei quali meno del

2% ha venduto più di 50.000 copie (Wolf 1999, p. 89);

• gli 88 campioni di incassi del 1999 – lo 0,03% delle uscite – hanno totalizzato

un quarto delle vendite discografiche degli Stati Uniti (Alderman 2001);

• Neuman (1991, p. 139) cita una regola empirica dell’editoria, per cui l’80% dei

profitti deriva dal 20% dei titoli pubblicati;

• Bettig (1996, p. 102) sostiene che solo 10 dei circa 350 film usciti ogni anno negli

Stati Uniti, nel periodo considerato dal suo studio, sono stati campioni di incasso;

• Driver e Gillespie (1993, p. 191) riferiscono che solo un numero compreso tra

la metà o un terzo dei periodici inglesi hanno un bilancio in pareggio, e solo un

quarto realizza utili;

• secondo i dati citati da Moran (1997, p. 444) circa l’80% dei 50.000 libri pub-

BOX 0.2 I tratti distintivi delle industrie culturali

Problemi:• Attività rischiosa• Creatività vs. commercio• Alti costi di produzione, bassi costi di riproduzione• Beni semi-pubblici: il bisogno di creare la scarsità

Risposte:• Compensazione di mancati successi mediante creazione di un repertorio• Concentrazione, integrazione e aggregazione della pubblicità• Scarsità indotta artificialmente• Ricorso ai format: star, generi e serializzazione• Controllo debole sui creatori di prodotti culturali, controllo forte sulla distribuzione

e il marketing

22 LE INDUSTRIE CULTURALI

blicati annualmente negli Stati Uniti alla metà degli Ottanta sono stati insuc-

cessi commerciali.

È tuttavia importante capire che, prendendo le industrie culturali nel loro com-

plesso, il rischio è affrontato con successo dalle società di dimensioni maggiori:

• secondo Neuman (1991, p. 136), i profitti della televisione ammontano tradi-

zionalmente al 20% del fatturato;

• Compaine (1982, p. 34, citato da Neuman 1991, p. 136) sostiene che, negli Stati

Uniti, i profitti dell’industria cinematografica tendono a superare i profitti medi

di una percentuale variabile tra il 33 e il 100%. Tali profitti, tuttavia, sono alta-

mente fluttuanti per effetto della competizione all’interno e all’esterno delle

industrie;

• Dale (1997, p. 20) cita dati del 1992, che mostrano i crescenti margini di profit-

to (ricavi d’esercizio/spese) in differenti industrie:

– televisione via cavo: 20%;

– televisione broadcast: 17,5% circa;

– stampa ed editoria: 12% circa;

– musica, network televisivi e periodici: poco sotto il 10%;

– cinema e agenzie pubblicitarie: valori inferiori al 10%;

• i profitti dell’industria cinematografica sono caduti dalla media del 15% negli

anni Settanta al 10% circa dei primi Ottanta, fino al 5-6% circa dei tardi

Ottanta, per recuperare poi nei primi Novanta (Dale 1997, p. 20);

• nei primi anni del XXI secolo, le grandi compagnie in posizione dominante nelle

industrie culturali denunciavano o altissime perdite temporanee, riflesso dell’e-

levata spesa per fusioni o investimenti, o bassi tassi di profitto: meno del 5% per

Disney, e meno del 3% per Viacom nel 2002 (Grant e Wood, 2004, p. 100).

Le industrie culturali, pertanto, possono essere altamente profittevoli nonostan-

te il livello particolarmente elevato di rischio di molti investimenti, benché per le

singole società sia sempre più difficile raggiungere alti livelli di profitto.

Creatività vs. commercio

Quanto sostenuto a pagina 5 potrebbe indurre a credere che i creatori di prodotti

culturali lavorino in condizioni relativamente autonome nelle industrie culturali,

poiché tale relativa autonomia è generosamente concessa loro dalle società. La

realtà, tuttavia, è assai più complessa. Una tale autonomia è al tempo stesso il pro-

dotto di un modo storicamente determinato di intendere la creatività simbolica; in

particolare, della concezione per cui l’arte (o, per usare il termine qui preferito, la

creatività, da intendersi come creatività simbolica – vedi il paragrafo Le industrie

culturali organizzano e mettono in circolazione la creatività) è incompatibile con

la ricerca del profitto. Le concezioni romantiche dell’arte nelle società occidentali

hanno rafforzato l’idea per cui l’arte è spiccatamente diversa, in quanto rappresen-

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 23

ta l’espressione originale di un singolo autore. In un certo senso, si tratta di una

mistificazione; e ugualmente superficiale è la forte opposizione tra creatività e

commercio posta da gran parte del pensiero estetico romantico e modernista. Per

dubbia che possa essere la mossa romantica di opporre l’arte e la creatività al com-

mercio, essa ha sortito nel lungo periodo l’effetto di produrre acutissime tensioni

fra creatività e commercio, nodali per la comprensione delle industrie culturali.

L’opposizione creatività/commercio concorre a produrre la relativa, provvisoria,

autonomia di cui godono molti creatori di prodotti culturali. Essa accresce anche

l’incertezza e la difficoltà del contesto in cui opera l’industria della cultura. Vi sono

importanti paralleli con altri campi; nelle scienze, per esempio, c’è tensione fra lo

scopo di rendere disponibile al pubblico la conoscenza e quello di ricavarne un

vantaggio economico. Tuttavia è impossibile cogliere la specifica natura della pro-

duzione culturale senza comprendere la dialettica commercio/creatività. I temi

saranno ulteriormente indagati nei Capitoli 2 e 7.

Alti costi di produzione, bassi costi di riproduzione

La maggior parte dei prodotti culturali ha elevati costi fissi e bassi costi variabili: la

produzione di un disco può costare molto in ragione del tempo e lavoro richiesti

dalla composizione, dalla registrazione, dal mixaggio, e dalla stampa al fine di otte-

nere il suono voluto dagli autori e dall’audience cui essi si rivolgono. Una volta

realizzata la «prima copia», però, le successive hanno costi relativamente modesti.

Il punto cruciale è qui il rapporto fra costi di produzione e di riproduzione. I chio-

di, per esempio, richiedono un basso input di design: il primo esemplare è prodot-

to a basso costo, e i successivi non costano molto meno. Ciò origina un mercato di

tipo diversissimo da quello prevalente nelle industrie culturali. Le automobili

somigliano più ai testi prodotti dalle industrie culturali, ma al tempo stesso ne dif-

feriscono anche sostanzialmente: il prototipo di una vettura è particolarmente

costoso, con quantità enormi di input in design e progettazione, e i costi di ogni

nuova vettura ottenuta dal prototipo sono egualmente elevatissimi, in ragione dei

materiali e dei necessari controlli di sicurezza. Così, benché i costi fissi siano eleva-

ti, il rapporto costi fissi/costi variabili è relativamente basso. Il rapporto molto più

alto costi fissi/costi variabili nelle industrie culturali significa che grandi successi

generano profitti elevatissimi. Ciò perché una volta che il costo di produzione è

stato recuperato attraverso un certo livello di vendite, il profitto realizzato dalla

vendita di ciascuna unità addizionale può essere considerevole16, compensando in

tal modo l’inevitabile alto numero di insuccessi che dipendono dalla natura vola-

tile e imprevedibile della domanda. Ciò induce nelle industrie culturali un fortis-

simo orientamento a «massimizzare l’audience» (Garnham 1990, p. 160).

Come possono, allora, le imprese operanti nell’industria culturale tentare di

16 Le industrie culturali che non vendono direttamente beni ai consumatori, specie il broadcasting

e, in misura crescente, Internet, lavorano in modi differenti ma connessi. In essi, l’unità addi-

zionale consiste nelle audience «vendute» agli inserzionisti.

24 LE INDUSTRIE CULTURALI

rispondere allo specifico insieme di problemi che si pongono loro in quanto tenta-

no di realizzare profitto e accumulare capitale producendo cultura?

Beni semi-pubblici: il bisogno di creare scarsità

Raramente le merci culturali si distruggono con l’uso. Esse tendono a comportar-

si come quelli che gli economisti chiamano «beni pubblici», beni cioè il cui consu-

mo da parte del singolo non riduce l’altrui possibilità di consumo. L’esperienza di

chi ascolta un CD, per esempio, non modifica affatto quella di chi lo riceve dal

primo ascoltatore. Il che non vale certo per il consumo di una torta. L’uso di un’au-

tomobile ne diminuisce il valore per un altro utente assai più di quanto non

avvenga per la visione di un DVD. Inoltre, i mezzi industriali di riproduzione dei

beni culturali hanno costi relativamente bassi. Ciò significa che le imprese devono

indurre la scarsità che conferisce valore ai beni, limitando con mezzi artificiali l’ac-

cesso a beni e servizi culturali.

Compensazione di mancati successi mediante costruzione di repertori

Lo straordinario accento posto sulla massimizzazione dell’audience comporta che,

nelle industrie culturali, le società tendano a compensare i mancati successi

mediante una «sovrapproduzione» (Hirsch 1990/1972), tentando cioè di allestire

un vasto catalogo o «repertorio culturale» (Garnham 1990, p. 161). Per dirla altri-

menti, esse tendono a «gettare fango» – o sostanze del genere – «contro il muro»

per vedere che cosa accade (Laing 1985, p. 9; Negus 1999, p. 34). Se, come sugge-

risce Garnham, un disco su nove è una hit e gli altri otto sono insuccessi, allora

una società che pubblica cinque titoli ha meno probabilità di trovare hit capaci di

tenerla a galla di quanti ne abbia una società con un repertorio o catalogo di 50

titoli. È una delle pressioni verso la crescita dimensionale subite dalle imprese cul-

turali, benché vi siano controtendenze a favore di società più piccole.

Concentrazione, integrazione e aggregazione della pubblicità

Le compagnie operanti nell’industria culturale amministrano il rischio e il bisogno

di assicurare la massimizzazione dell’audience mediante strategie che trovano

riscontro anche in altri settori.

• Integrazione orizzontale. Si acquistano altre compagnie del settore, onde ridur-

re la concorrenza per la conquista dell’audience.

• Integrazione verticale. Si acquistano altre compagnie operanti in fasi diverse del

processo di produzione e distribuzione. Una società potrebbe acquistare «a

valle», come accade quando una casa di produzione cinematografica acquista

una casa di distribuzione di DVD, ovvero «a monte», come accade quando una

casa di distribuzione o un’emittente (per esempio, una società televisiva via

cavo) acquista una società di produzione.

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 25

• Internazionalizzazione. Acquistando e associando altre compagnie estere, le

corporation possono vendere massicce quantità di copie eccedenti di un prodot-

to di cui hanno già coperto le spese di produzione (benché, ovviamente, debba-

no affrontare nuove spese di marketing).

• Integrazione multisettoriale e multimediale. Acquistando in aree diverse ma

correlate della produzione dell’industria culturale, le industrie culturali punta-

no ad assicurarsi una promozione incrociata.

• Importante è anche il tentativo di «cooptare» critici, DJ e diversi altri soggetti

responsabili della promozione dei testi, mediante socializzazione, invio di rega-

li, copie-omaggio ecc.

Tali forme di integrazione hanno condotto alla formazione di società più grandi e

potenti. Quasi tutti i settori strategici – dall’alluminio alla biochimica all’abbiglia-

mento – sono dominati da grandi gruppi. Vi sono poche prove che le industrie cul-

turali raggiungano livelli di concentrazione industriale superiori a quelli di altre

industrie. È tuttavia presumibile che le conseguenze di una mancata crescita o inte-

grazione siano più pesanti per le industrie culturali che per molte altre, poiché il set-

tore rivela un elevatissimo numero di fallimenti di società più piccole. Il che, a sua

volta, si spiega in base al fatto che le piccole società sono incapaci di scaricare il

rischio sul repertorio. È estremamente rivelatore che gli effetti della dimensione e

del potere raggiungano la massima intensità nelle industrie culturali, in quanto

capaci di produrre beni – i testi – che modificano i nostri orientamenti sulle loro ope-

razioni, sulle altre industrie e, almeno potenzialmente, su tutti gli aspetti della vita.

Scarsità indotta artificialmente

Garnham (1990, pp. 38-39 e 161) ha individuato una pluralità di modi in cui si

può indurre la scarsità nell’ambito dei beni culturali (che, secondo quanto detto

sopra, non tendono alla scarsità poiché hanno sovente carattere di beni pubblici).

Il più importante è l’integrazione verticale. Il controllo proprietario di canali di

distribuzione e vendita al dettaglio permette alle società di controllare i livelli di

fornitura, assicurando l’adeguata disponibilità di beni.

Egualmente importanti sono tuttavia:

• la pubblicità, che limita l’importanza della vendita di beni culturali in rapporto

ai profitti

• il copyright, che mira a impedire la libera riproduzione dei testi

• la limitazione di accesso ai mezzi di riproduzione, che rende difficile produrre copie.

Ricorso ai format: star, generi e serializzazione

Un altro modo utilizzato dalle società operanti nell’industria culturale per

ammortizzare gli elevati livelli di rischio del settore, consiste nel minimizzare i

danni degli insuccessi mediante il ricorso ai format nei prodotti culturali (Ryan

1992)17. Uno dei metodi più importanti nella costruzione di format è lo star system,

26 LE INDUSTRIE CULTURALI

che associa ai testi il nome di sceneggiatori, interpreti ecc. che godono dell’aura di

star. Ciò comporta rilevanti sforzi di marketing, volti a promuovere uno scrittore o

un interprete come nuova star, o ad assicurare la continuità dell’aura di una star.

Un tale ricorso al format è riservato esclusivamente ai testi privilegiati dai quali le

industrie culturali sperano di ricavare grandi successi. Dei 126 film che, negli anni

Novanta, hanno incassato più di 100 milioni di dollari negli Stati Uniti, 41 include-

vano una delle 7 star che seguono: Tom Hanks, Julia Roberts, Robin Williams, Jim

Carrey, Tom Cruise, Arnold Schwarzenegger e Bruce Willis (Standard & Poor,

«Movies and Home Entertainment Industry Survey», 11 maggio 2000, p. 14).

Un altro metodo essenziale per la creazione di format è il ricorso ai generi, come

«film horror», «album hip hop», «romanzo di qualità». Il genere funge da etichet-

ta, in modo simile al marchio, e suggerisce all’audience il tipo di piacere che potrà

ricavare dalla fruizione del prodotto. Il genere potrebbe non essere capito da tutti

e addirittura non essere usato esplicitamente, ma l’importante è che un certo tipo

di prodotto culturale venga consigliato e associato a specifiche pratiche di consu-

mo e piacere. Molti prodotti culturali, promossi e pubblicizzati essenzialmente

mediante il ricorso ai generi, recano anche i nomi degli autori: finché l’autore non

diviene una star, tuttavia, il genere è dominante.

Infine, la serializzazione rimane un tipo importante di costruzione di format,

specialmente laddove l’autore e il genere sono meno significativi. È stata una

caratteristica importante dell’editoria – letteratura popolare, fumetti ecc. – ma la si

rinviene anche nel cinema e nella musica (per esempio, la compilation di grande

successo dei pezzi più ascoltati nel Regno Unito, Now That’s What I Call Music, pub-

blicata dal 1983 con periodicità diversa. Now 70 è, al momento, la più recente).

Controllo debole sui creatori di prodotti culturali, controllo forte sulla distribuzione e il marketing

Nel corso della precedente discussione sui creatori di prodotti culturali si è sottolinea-

to come essi si vedano garantita una notevole autonomia nel processo di produzio-

ne – molto maggiore, di fatto, di quella goduta dalla maggioranza di chi lavori in altri

tipi di industria. Questa situazione ha ragioni culturali – in particolare, concetti inve-

terati sull’auspicabilità morale dell’autonomia creativa, che discendono dalla conce-

zione romantica della creatività simbolica, e tradizioni connesse alla libertà d’espres-

sione – ma anche economiche e organizzative. I manager reputano l’originalità un

requisito dei grandi successi e della creazione di nuovi generi, star e marchi di serie.

I creatori di prodotti culturali sono di solito controllati solo a distanza dai «manager

17 Il termine «format», largamente impiegato nell’industria televisiva, fa riferimento alle caratte-ristiche di base di un particolare programma, ad esempio Chi vuol esser milionario?, Il grande fra-

tello o La prova del cuoco. Si tratta di programmi spesso sviluppati su un mercato nazionale e poivenduti in forma di «idea» o di«concept» sul mercato estero e protetti da copyright (Moran eKeene 2004). Benché Ryan non intenda il termine in questa accezione, la strategia può esserevista come un modo per scaglionare gli elevati costi fissi connessi allo sviluppo dell’idea di unprogramma, e incassare il premio dai costi variabili, relativamente bassi.

INTRODUZIONE: CAMBIAMENTO E CONTINUITÀ, POTERE E CREATIVITÀ 27

creativi» (Ryan 1992) come gli editor e i produttori televisivi, che agiscono da inter-

mediari fra i creatori e gli imperativi commerciali della società. Coloro che divengo-

no star – il cui nome promette cioè un certo tipo di esperienza – ottengono compen-

si enormi, ma la maggioranza dei lavoratori dell’industria culturale vive in una vasta

riserva di talenti sottoimpiegati e sottopagati, obbligati ad accettare lavori saltuari. In

molti casi, la produzione sarà affidata a una società separata e indipendente. Tali

«indipendenti» – spesso legate in realtà a compagnie più grandi per quanto riguar-

da questioni di finanziamento, diritti e distribuzione – si ritrovano di frequente nelle

industrie culturali, per la ragione fondamentale che i creativi e alcune audience

temono il controllo burocratico sulla creatività, riflettendo ancora una volta radicati

assunti culturali sull’arte. Al fine di controllare i rischi associati alla creatività mana-

geriale, i senior manager esercitano un controllo più stretto sulla riproduzione, la

distribuzione e il marketing – vale a dire, sulla circolazione – rispetto a quello eser-

citato sulla produzione, spesso grazie all’integrazione verticale.

Si potrebbe obiettare alla determinazione finora proposta dei tratti distintivi

delle industrie culturali che alcuni di questi tratti sono condivisi da altre industrie.

Si tratta di un’obiezione del tutto fuori luogo: rilevante è infatti la natura comples-

siva delle specificità individuate18. Neppure il fatto, già sottolineato, che gli affari

delle industrie culturali siano connessi ad altri gruppi industriali e ad altri ambiti

di business, invalida l’idea che si possano tracciare confini utili, ancorché provvi-

sori e permeabili, a delimitare il settore. L’analisi dei tratti distintivi complessivi

aiuta a comprendere la produzione e il consumo di cultura. Il punto nodale, tut-

tavia, è che le società operanti nell’industria culturale reagiscono in modi peculia-

ri (ancorché variabili) a difficoltà percepite nella realizzazione del profitto, e che

tali dinamiche distintive giocano un ruolo importante nella spiegazione del cam-

biamento e della continuità fornita in questo volume.

L’autore al lettore

Nelle prime pagine dell’Introduzione, si è brevemente indicato ove risieda e vada

cercata l’importanza delle industrie culturali: nel loro potere di influenzare il pub-

blico, nei disparati modi in cui esse organizzano il lavoro dei creatori di testi, nel

favorire un cambiamento generalizzato, industriale, sociale e culturale. Il tentati-

vo di porre in relazione i concetti fondamentali del libro con la mia formazione

personale può contribuire a rendere i concetti più concreti e aiutare a contestua-

lizzare il particolare approccio adottato nei confronti delle industrie culturali;

approccio sviluppato nei prossimi tre capitoli.

Da adolescente, ero fortemente irritato da quelle che percepivo come menzogne e

18 Altre industrie sono state analizzate in termini di caratteristiche differenziali, e Caves (2000, p.

1) ne ricapitola utilmente alcuni esempi: l’industria farmaceutica, caratterizzata dall’intensità

specifica della competizione per l’innovazione; le industrie chimiche, caratterizzate dalla con-

correnza per l’installazione di nuove capacità; l’industria alimentare, caratterizzata dalla diffe-

renziazione dei prodotti e dall’affermazione di marchi dominanti.

28 LE INDUSTRIE CULTURALI

distorsioni della televisione e dei giornali ultraconservatori che i miei genitori legge-

vano (un aspetto tipico di una certa sezione della classe operaia e della piccola bor-

ghesia dell’Inghilterra settentrionale). Il Daily Mail e il Sunday Express parevano conti-

nuamente a caccia di chiunque tentasse di promuovere la giustizia sociale

nell’Inghilterra dei tardi Settanta – sindacati, femministe, attivisti di gruppi antirazzi-

sti. Il ruolo dell’Inghilterra nell’Irlanda del Nord era descritto come quello di pacifica-

tore tra fazioni tribali. Quindicenne, conoscevo già abbastanza di storia irlandese per

respingere quella tesi. La stessa stampa quotidiana era egualmente tiepida nel con-

dannare i gruppi neonazisti i cui graffiti, diretti contro le minoranze inglesi di origine

sudasiatica, campeggiavano nella città in cui sono cresciuto. Fin dall’adolescenza, ho

creduto che le industrie culturali avessero un ruolo essenziale nel mantenere i vigen-

ti rapporti di potere e nel distorcere la loro comprensione collettiva.

L’altro fondamentale rapporto con i mezzi di comunicazione e la cultura popola-

re è stato quello del fan – e un fan continuo a essere tuttora. Anche se alcuni mezzi

di comunicazione parevano prendere posizione contro tutto ciò in cui credevo, c’era

una gran quantità di cultura popolare stimolante, interessante ed eccentrica. Il che

sembra valere anche oggi, ed è una delle ragioni per cui non accetto la versione delle

industrie culturali elaborata in alcuni saggi – un mostruoso sistema per il manteni-

mento del conformismo. Nei tardi Settanta e nei primi Ottanta, il punk rock mi sem-

brava l’incarnazione di una rilevante energia creativa. D’un tratto, la gamma delle

emozioni contenuta nella mia piccola collezione di dischi fu massicciamente amplia-

ta: la musica poteva essere sgradevole o freddamente distaccata; intelligente o

aggressiva; divertente o mortalmente seria. I musicisti punk parlavano in continua-

zione dell’industria discografica, e sostenevano spesso che la si poteva cambiare,

allargando i confini della creatività e facendo sì che la maggior parte dei profitti

andasse a beneficio dei creatori di musica. Il senso dell’importanza (e dell’ambiva-

lenza) dei mezzi di comunicazione e della cultura popolare mi ha spinto infine verso

l’insegnamento, e quindi all’incontro con un gran numero di studenti disposti a con-

dividere le mie prospettive. La passione per la cultura popolare americana (in parti-

colare il cinema classico hollywoodiano, quello dei giovani registi degli anni

Settanta, la musica nera e la comicità ebraica), e la ripugnanza per il ruolo del gover-

no degli Stati Uniti nella geopolitica mondiale, mi hanno portato dalle parti di

Chicago per il conseguimento di un dottorato. Insegnamento e studio sono stati

d’impulso per scrivere questo libro, che risente anche dell’esperienza di produzione

scientifica e ricerca sulle industrie culturali condotta negli ultimi anni. Tra i profes-

sori universitari, domina la convinzione che i testi più prestigiosi debbano risultare

più o meno incomprensibili per gli studenti. Da parte mia, ho lavorato sodo per ren-

dere il libro interessante e utile ad altri insegnanti e ricercatori, e contemporanea-

mente accessibile agli studenti, definendo i concetti più complessi al momento della

loro introduzione, e tentando di spiegare perché ritengo importanti gli argomenti

trattati. Dunque, il libro richiede una certa conoscenza e un certo interesse per la

materia, ma ho comunque cercato di non dare nulla per scontato.