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Introduzione allo studio dell’identità individuale nell’ordinamento costituzionale italiano

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Introduzione allo studio dell’identità individualenell’ordinamento costituzionale italiano

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G. Giappichelli Editore – Torino

Lara Trucco

Introduzione allo studiodell’identità individuale

nell’ordinamento costituzionale italiano

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Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superio-re al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe, n.2, 20121 Milano, telefax 02-80.95.06, e-mail: [email protected]

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Ai miei amati genitorie in ricordo della nonna Mina

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Questo volume viene pubblicato con il sostegno finanziario del MURST, nelquadro delle linee di ricerche del prof. Pasquale Costanzo, che desidero altresìringraziare per avermi seguito e consigliato per tutto il periodo della ricerca.

Sono inoltre grata al professor Giancarlo Rolla per i suoi preziosi suggeri-menti.

Ringrazio infine tutti coloro che in vario modo mi hanno aiutata ed inco-raggiata.

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Indice Sommario

Capitolo I

Considerazioni introduttive

1. Identità e identificazione: alcune osservazioni preliminari2. Le fasi dell’identificazione3. Ordinamento giuridico e rilevazione degli individui 4. La «scoperta» dell’individuo … 5. … e dell’identità individuale6. Individuo e cittadino7. Cittadinanza e Stato

Capitolo II

L’identificazione biologica

1. L’identificazione su base biologica nella legislazione e nellascienza criminologica del XIX secolo

2. La rilevazione dei connotati fisici mediante la tecnica fotograficae la documentazione su carta di identità nel XX secolo

3. L’applicazione delle tecniche identificative biologiche oggi4. I dati somatici a fini di identificazione5. I dati somatici a fini di riconoscimento6. Segue: le riprese visive effettuate all’interno del domicilio: profili

di costituzionalità 7. La videosorveglianza

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VIII Introduzione allo studio dell’identità individuale

8. I dati identificativi biometrici in senso stretto9. Il prelievo del dato biometrico: profili di costituzionalità 10. Segue: la modellizzazione del dato biometrico11. La tutela del dato biometrico12. I dati identificativi genetici13. Segue: le applicazioni in campo giuridico14. La prova genetica nella giurisprudenza 15. La tutela dei dati genetici16. Tendenze evolutive: il corpo umano come «un bersaglio»

Capitolo III

L’identificazione per generalità

Sezione I

L’identità attribuita

1. Il rapporto tra singolo e ordinamento alla luce dell’art. 22 dellaCostituzione

2. L’attribuzione dell’identità. L’«ingresso» del soggetto nell’ordina-mento

3. Segue: l’attribuzione del nome4. Il principio d’immutabilità del nome5. L’attribuzione del cognome6. Tendenze evolutive: il cognome tra unità familiare e parità dei

coniugi nell’ordinamento italiano

Sezione II

L’identità autenticata

7. L’interesse pubblicistico all’identificazione8. L’accertamento dell’identità, dalla carta al «bit»9. Identità e responsabilità personale10. L’interesse privatistico all’identificazione

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Indice Sommario IX

11. L’identificazione del soggetto negoziale12. Tendenze evolutive: identità virtuale e preteso diritto all’anoni-

mato13. Segue: tutela dell’identità virtuale e riservatezza dei dati personali

Capitolo IV

Il nome e la personalità umana

1. La multiforme fenomenologia del nome2. Il nome tra diritto e politica: la Francia rivoluzionaria3. Il nome da segno identificativo a bene giuridico4. Il nome dentro il marchio5. Il nome come simbolo della personalità individuale6. Segue: l’immagine come simbolo della personalità individuale7. Il nome nella giurisprudenza della Corte Costituzionale8. Il nome tra diritto interno e diritto internazionale9. La cognomizzazione dei predicati nobiliari 10. Lo stemma familiare11. Il diritto d’autore12. Il nome prescelto: lo pseudonimo13. I segni distintivi della personalità «secondari»14. Tendenze evolutive: domain name e nome di persona15. Segue: il nick

Capitolo V

L’identità individuale e il libero svolgimentodella personalità

1. L’«identità genetica» e la tutela della salute2. La conoscenza delle proprie origini 3. Segue: il quadro interno

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X Introduzione allo studio dell’identità individuale

4. La conoscenza del proprio destino5. Diritto alla libertà psico-fisica, pieno sviluppo della persona e

«identità»6. Il diritto alla libertà sessuale7. Il diritto all’identità sessuale8. Tendenze evolutive: la personalità individuale nella Rete

Capitolo VI

L’identità individuale nella dimensione sociale

Sezione I

Il diritto all’identità personale

1. Premessa2. Le origini e gli sviluppi del diritto all’identità personale3. L’elaborazione «in provetta» di un nuovo diritto: problemi di or-

dine dogmatico4. Alla ricerca del fondamento normativo dell’identità personale5. Segue: l’identità personale da «limite interno» all’art. 21 Cost. a

proiezione della «pari dignità sociale» ex art. 3 Cost.6. Tendenze evolutive: il «Codice della privacy» tutela anche l’iden-

tità personale7. Segue: l’identità personale ed il divieto di trattamento automatiz-

zato di dati personali

Sezione II

La libertà di manifestazione del pensiero e l’identità personale

8. Il diritto all’identità personale e la sua tutela «a più livelli»9. Segue: la rettifica: tra tutela dell’identità personale e «pluralismo

dell’informazione»10. Il diritto all’identità personale e la libertà d’informazione11. Segue: la pubblicazione dell’immagine fotografica

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Indice Sommario XI

12. Identità personale e diritto di critica, di satira, e di creazione arti-stica

13. L’identità individuale e il diritto all’oblio

Bibliografia

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Capitolo I

Considerazioni introduttive

SOMMARIO: 1. Identità e identificazione: alcune osservazioni preliminari. – 2. Le fasidell’identificazione. – 3. Ordinamento giuridico e rilevazione degli individui. – 4.La «scoperta» dell’individuo … – 5. … e dell’identità individuale. – 6. Individuo ecittadino. – 7. Cittadinanza e Stato.

«No entity without identity»

WILLARD VAN ORMAN QUINE

1. Identità e identificazione: alcune osservazioni preliminari

Nella prima parte del lavoro ci occuperemo dell’«identificazioneindividuale», mentre successivamente l’attenzione sarà portata sulconcetto di «identità individuale», concludendo infine l’analisi conspecifiche considerazioni sul tema dell’«identità personale».

Per attenuare l’inevitabile (ed evidente) tasso di arbitrarietà diuna simile sistematica occorre preliminarmente effettuare alcuneconsiderazioni anche a scopo di chiarificazione e delimitazione deltema trattato.

Il nostro studio riguarderà esclusivamente la sfera individuale, dalmomento che si ragiona spesso anche d’identità collettive come quel-la «nazionale», «europea», «dei popoli», ecc., e altre volte, più prosai-camente, di «identità del partito», «della società», ecc.

In secondo luogo, persuasi che, allorché s’introduca un referenteidentitario, occorra preventivamente intendersi su quali siano i crite-ri in base ai quali enuclearlo, la ricerca farà perno sui due aspetti chela pratica e gli studi in proposito hanno mostrato potersi reputare co-me maggiormente rilevanti nelle operazioni identificatorie, vale a di-re quello «biologico» (o «fisico», o «naturale») frutto della natura, e

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2 Introduzione allo studio dell’identità individuale

1 Cfr. F. REMOTTI, Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari, 2003, 17 e A. MUCCHIELLI,L’identité, Que sais-je?, Puf, Paris, 2002, 10. Secondo A. AKOUN (Dictionnaire de socio-logie Le Robert, 1999): «la complexité du problème tient à la façon dont se nouent les dé-terminations biologiques et les déterminations cuturelles dans la singularité d’une exis-tence».

2 Cfr. A. MUCCHIELLI, L’identité, cit., 38.3 Su cui A. POUSSON, L’identité professionnelle, in L’identité de la personne humaine

(sous la direction de J. Pousson-Petit), Bruylant, Bruxelles, 2002, 565 ss.4 Così la concezione «nominalista», per la quale il concetto di «persona» sarebbe

quello «culturale» («artificiale», «giuridico»), prodotto dell’attività in-tellettuale umana. Ad esempio, su questa base, gli essenziali indici at-traverso i quali vengono identificate le etnie sono rispettivamente lacomponente genetica e la lingua 1.

Vero è che, oltre alla componente «biologica» e a quella «culturale»vengono talvolta messi in luce altri aspetti, come per esempio il «sen-timento di identità» comprendente a sua volta la percezione di unità,di coerenza, di appartenenza, di valore, di autonomia … 2: si tratta tut-tavia di fattori aggiuntivi che nulla tolgono all’essenzialità dei primidue e che semmai si apparentano alla componente culturale. Ma altridiversi referenti identitari sono sovente messi in campo, come adesempio la qualificazione «politica» o «professionale 3»: trattasi per lopiù di settori ritenuti particolarmente significativi nello svolgimento enell’esplicazione della vita umana, che tuttavia non paiono dotati diun così decisivo grado di autonomia rispetto alla componente latusensu culturale.

In terzo luogo occorre subito rilevare la controvertibilità del rap-porto reciprocamente intrattenuto tra i termini «identificazione» e«identità», su cui s’intesse la trama del lavoro.

In particolare, c’è chi sostiene che ogni entità per poter essere co-nosciuta e ri-conosciuta deve essere prima (intellettualmente e se pos-sibile materialmente) identificata. In altri termini, l’«identità» pre-supporrebbe in ogni caso un qualcosa capace di contenerla: in questosenso il rapporto che lega identificazione e identità sarebbe un po’ co-me quello che intercorre tra contenitore e contenuto; in buona so-stanza, così come per sapere cosa c’è dentro il bicchiere devo primaidentificarlo come tale, anche per conoscere l’«identità personale» diun individuo devo prima sapere di quale individuo si tratta 4.

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Considerazioni introduttive 3

A ciò si controbatte, mettendo in evidenza come ogni entità si «dia»al mondo con la propria identità, a prescindere cioè da riconoscimen-ti di sorta, vale a dire senza necessità di «strutture» mentali in cui col-locarla, dal momento che rappresenta un’entità fondamentalmente«naturale» 5.

Un ulteriore motivo di complessità è introdotto dalla stessa pro-spettiva che connota lo studio, dato che, se anche potesse convenirsisul fatto che l’identità «naturale» di un individuo graviti in una sferacompletamente oggettiva e pre-culturale, dal punto di vista giuridicoil rapporto tra i due aspetti già menzionati appare in qualche modo ri-baltato, laddove è per lo più l’attività di identificazione a produrre iconnotati identificativi giuridicamente rilevanti 6.

fondamentalmente una definizione nominale sotto la quale si compendiano un certonumero di capacità funzionali empiricamente accertabili, ma senza riferimento adalcun substrato ontologico che le implichi (cfr. E. AGAZZI, Il significato dell’identità, inA. BOTTANI-N. VASSALLO, L’identità personale, un dibattito aperto, Loffredo, Napoli,2001, 35).

5 Tale approccio, seguito in particolare dalla corrente «sostanzialista», è fatto pro-prio da chi considera l’identità personale un fatto reale, non il frutto di convenzioni(cfr. E. BERTI, Dal personalismo all’identità personale, in L’identità personale, cit., 72).

Particolare la teoria (da più parti ricondotta nel novero del cd. «neoaristoteli-smo») di P. STRAWSON (seguita anche da Kriepke, Wiggins e Putnam, cfr. E. AGAZZI, Ilsignificato dell’identità, cit., 30), secondo cui un individuo è un’entità che deve essereidentificata attraverso un «sortale», ossia un termine che sappia esprimere «di qualesorta di oggetto si tratta», designandolo come portatore di certe proprietà universaliche gli ineriscono (esse sono universali nel senso che possono inerire anche ad altriindividui, e il loro essere riunite tutte in un determinato modo consentirebbe di iden-tificare l’individuo).

6 In particolare, in ambito giuridico un ruolo importante in materia identitaria èstato svolto dall’approccio «costruzionista», secondo cui il confronto ed il riconosci-mento altrui rappresentano componenti essenziali nella formazione dell’identità per-sonale. Dal punto di vista filosofico, G.W.F. Hegel fu tra i primi a mettere in luce la ne-cessità di una relazione di riconoscimento come ciò che precede e permette la costitu-zione dell’identità (nell’analisi dell’autocoscienza svolta paradigmaticamente nel quar-to capitolo della Fenomenologia, la storia stessa è reinterpretata da Hegel in chiave dilotta, o contesa, per il riconoscimento e come condizione per la formazione della pro-pria identità): un’identità non immediata ma nemmeno solo sintetica, piuttosto dia-lettica, bilaterale: il pensiero hegeliano valorizza la necessità dell’altro come condizio-ne senza la quale, come individui, non potremmo definire la nostra specificità, la dif-ferenza che ci identifica (cfr. anche C.H. COOLEY, Human Nature and Social Order,Scribners, New York, 1902 e G.H. MEAD, Mente, sé e società, Giunti, Firenze, 1966).

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4 Introduzione allo studio dell’identità individuale

7 Sul concetto di «identificazione» si veda U. SORRENTINO, Identificazione, in No-viss. Dig. it., VIII, Torino, 1980, 121 ss. e A. INTINI, La identificazione di persone, Lau-rus Robuffo, Roma, 1998.

2. Le fasi dell’identificazione

Un punto d’equilibrio può forse trovarsi nel concepire questi dueconcetti, logicamente diversi e separati, come strettamente legati daun rapporto di strumentalità, ciò che è particolarmente visibile esa-minando la struttura del processo d’identificazione, che comprendesia l’attività, ovvero l’operazione di identificare, sia il risultato di det-ta attività.

Comunque sia, si ritiene opportuno fare qualche ulteriore precisa-zione terminologica.

Il concetto di «identificazione» va distinto rispetto a quello di «ri-levazione», utilizzabile quando ci si limiti a «rilevare» l’indeterminatapresenza di qualcuno 7. Viceversa, l’identificazione riguarda un’entitàche deve essere quanto meno individualizzabile, non essendo signifi-cativo né utile se utilizzato «in incertam personam».

Specificamente, l’identificazione personale giuridica ricompren-de tre principali momenti: vale a dire, rispettivamente, la «fase at-tributiva» dei dati personali, la «fase autenticativa» e quella del «ri-conoscimento».

L’identificazione implica infatti innanzitutto l’attribuzione ad undeterminato soggetto dei propri dati identificativi, vale a dire di quel-le coordinate giuridiche che l’ordinamento ritiene necessarie e suffi-cienti a distinguerlo rispetto a tutti gli altri (il che peraltro presuppo-ne che l’individuo sia già stato riconosciuto tale).

In secondo luogo, essa comprende tutte le operazioni di autenti-cazione, volte al corretto accertamento della corrispondenza dei da-ti attribuiti ai caratteri somatici e genetici peculiari («innati») delsoggetto stesso, attraverso il quale viene riconosciuto, diventandocosì determinato.

Infine, una volta riconosciuto, l’individuo è potenzialmente reperi-bile (e viceversa).

Su questa base è stato osservato che per identificazione di una per-sona si intende «l’accertamento della sua identità, ossia [il raggiungi-mento della] certezza che è proprio quella determinata persona e non

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Considerazioni introduttive 5

8 Così A. INTINI, La identificazione di persone, cit., 19.9 Cfr. nota n. 4 del Documento di lavoro sulla biometria (http://www.privacy.it/ gru-

pridoc 20030801.html) adottato il 1° agosto 2003 del Gruppo di lavoro per la tutela deidati personali (art. 29, direttiva n. 95/46/CE).

un’altra 8». Ancora in altri termini mentre l’«attribuzione» offre la ri-sposta alla domanda: «chi sono io?», dal momento che induce il siste-ma identificativo a riconoscere l’individuo autore della domanda ed adistinguerlo da tutte le altre persone (sempre che il sistema sia in pos-sesso delle informazioni necessarie); viceversa l’«autenticazione» per-mette di dare una risposta alla domanda: «sono la persona che di-chiaro di essere?», inducendo il sistema a verificare l’identità dellapersona grazie all’elaborazione dei dati del soggetto.

Quindi mentre nel primo caso il sistema identificativo darà una so-luzione del tipo «la persona è X» (quindi della forma «1 su n»); invecenel secondo prenderà una decisione del tipo «si/no» (scaturente dalconfronto 1:1 e assumente la forma vero/falso) 9.

Il carattere stipulativo del primo assunto e viceversa descrittivo delsecondo deriverebbe coerentemente dal fatto che mentre nel primo ca-so i dati personali sono attribuiti e dunque rappresentano il frutto diun’attività di tipo volontaristico, viceversa nel secondo caso si ha a chefare con «informazioni innate», ancorché formalizzate dal diritto, ap-partenenti al mondo «dell’essere» e dunque oggetto di un’attività co-noscitiva empirica.

La terza fase, dal canto suo, sebbene rappresenti un po’ la «provadel nove» dell’efficacia dell’intera operazione identificativa, risulta deltutto eventuale, ma non per questo la meno importante, rispondendoalla domanda «sono identificabile?».

A quest’ultimo proposito, una tecnica identificativa può ritenersi«efficace» (e dunque affidabile) se il risultato atteso ed il risultato ef-fettivamente ottenuto coincidono, vale a dire se conduce ad indivi-duare correttamente (presentando una probabilità di errore tendentea «zero») il soggetto «cercato».

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6 Introduzione allo studio dell’identità individuale

10 Significativo in proposito quanto stabilito dal Garante per la protezione dei da-ti personali, vale a dire che non è sufficiente celare il nome della vittima per evitarneil riconoscimento in quanto «esistono informazioni collaterali che, se riferite, posso-no causare un’equivalente identificazione»: in particolare, nella fattispecie, l’indica-zione del comune di residenza (Newsletter 4-10 ottobre 2004).

11 A. LEFEBVRE-TEILLARD, Le nom, droit et histoire, Puf, Parigi, 1990, 30.12 Cfr. G. SICARD, L’identité historique, in L’identité de la personne, cit., 124 ss. 13 Cfr. M. SCHERER, Le nom en droit international privé, LGDJ, Paris, 2004, 31.

3. Ordinamento giuridico e rilevazione degli individui

Ai fini dell’intero processo di identificazione, rileva sia la «quan-tità» di dati utilizzati, sia, soprattutto, la loro «qualità», prodotta que-st’ultima dalla correttezza e dalla «peculiarità esclusiva» dell’informa-zione, «biologica» o «attribuita» che sia 10.

In questo senso l’evoluzione del problema nella dimensione giuri-dica dimostra come le tecniche d’identificazione si siano nel tempo af-finate sia dal punto di vista quantitativo, sia da quello qualitativo, incorrelazione biunivoca con lo svolgimento del rapporto tra autoritàed individuo, nonché, a partire da tempi più prossimi a noi, dell’affer-mazione della centralità dell’individuo nella struttura ordinamentale.

È stato infatti acutamente messa in rilievo la genesi del nome che«comme institution juridique va de pair avec la création d’un Etat 11» epiù in generale di una comunità sociale.

In epoca carolingia, per esempio, vigeva in tutto l’Occidente unasostanziale anarchia in materia che persistette per tutto il Medioevoin applicazione dei principi di diritto romano diffusi quasi ovunque 12.La Chiesa stessa lasciò all’epoca i suoi adepti liberi di scegliere il no-me di battesimo, anche perché in quel tempo, nella generalità dei ca-si non era un fatto di rilievo possedere un cognome sia perché allepersone era sufficiente conoscersi tra di loro, sia perché mancava l’ap-parato amministrativo statale.

La rilevazione statistica dei consociati sarebbe divenuta semprepiù necessaria per il funzionamento e per la gestione del gruppo so-ciale via via che è andata accrescendo la sua complessità; e d’altrocanto, sempre su questa base, avrebbero acquisito progressivo rilievoanche le forme di riconoscimento reciproco tra consociati 13.

Se si getta un rapido sguardo verso il passato, è così possibile ac-

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Considerazioni introduttive 7

14 In generale, sui registri dello stato civile nell’esperienza giuridica greca, A. BI-SCARDI, Stato civile presso i Greci, in Noviss. Dig. it., Utet, Torino, 1971, XVII, 301 ss.

15 Per approfondimenti sul tema G. GLOTZ, La Cité grecque, A. Michel, Paris, 1968;B. MENU-J. YOYOTTE, Droit, économie, société de l’Egypte ancienne, B. Menu, Versailles,1984 e da ultimo G. SICARD, L’identité historique, in L’identité de la persone humaine,cit., 115 ss.

Il più antico dei censimenti di cui è stata trovata traccia è quello tramandato dalVecchio Testamento, il quale fu effettuato da Mosè intorno al XIII sec. a.C. nel deser-to del Sinai; Samuele, poi, ricorda il censimento ordinato da David intorno al 1000 a.C.

16 Per quanto più direttamente ci riguarda, a parte qualche censimento della po-polazione effettuato nella Repubblica Veneta nel corso del XIV sec., veri e propricensimenti generali della popolazione furono svolti solo all’indomani dell’unifica-zione: nel 1871 fu stabilita la periodicità decennale dei censimenti; saltato nel 1891a causa delle ristrettezze finanziarie, censimenti furono svolti nel 1901, nel 1911,nel 1921 e nel 1931, anno in cui fu stabilita la cadenza quinquennale, quindi il suc-cessivo censimento si svolse nel 1936. A causa del secondo conflitto mondiale nonsi svolsero più censimenti fino al 1951. Sotto la vigenza della Costituzione repub-blicana fu ristabilita la cadenza decennale (ad oggi le norme che regolano i censi-menti generali sono contenute nella legge 17 maggio 1999, n. 144).

corgersi che l’esigenza di istituire e conservare registri per ricordarealcune situazioni soggettive di particolare rilievo pubblico (comeper esempio le nascite, i matrimoni, le morti …), aumenta ogniqual-volta l’organizzazione sociale e politica si arricchisce quantitativa-mente e qualitativamente mentre d’altro canto, un po’ come avvienenel gioco degli specchi, le attività di catalogazione a loro volta ali-mentano la complessità sociale.

Lo stesso Platone, ci ha rivelato che apparteneva alla cultura grecadel suo tempo l’esigenza che l’inizio ed il cessare della vita coincidessecon l’annotazione nei «santuari familiari 14». Storicamente, poi, si han-no notizie di censimenti (costituenti le prime forme di rilevazione per-sonale da parte dello «Stato-apparato»), eseguiti ancor prima, peresempio dai babilonesi, dai cinesi, dagli egizi, dagli ebrei e, non ultimo,dal popolo romano 15.

Lo stretto legame tra livello d’organizzazione politica e controllosociale per tramite della conoscenza dei sudditi, risulta confermataproprio dal fatto che nel Medioevo, noto per la frammentazione poli-tica e la relativa «semplicità» dell’organizzazione sociale, i censimen-ti di carattere generale caddero in disuso e furono sostituiti da inda-gini episodiche per finalità limitate 16.

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8 Introduzione allo studio dell’identità individuale

17 La tradizione riporta l’introduzione del census populi dell’ordinamento centu-riato al re Servio Tullio (al quale, peraltro, riporta sistematicamente tutte le più tipi-che istituzioni repubblicane), nel 555 a.C. (cfr. J.P. LEVY, Les actes d’état civil romain,in Revue hist. droit, 1952, 449-487).

18 Cfr. G. SABATINI, Censura, in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1979, 104 e G. COLETTI,Censimento, in Enc. dir., VI, Varese, 1960, 710. Pare che i Romani riconobbero agliEtruschi il merito d’aver insegnato «quo modo tribus [...] centuriae distribuantur, exer-citus constituentur, ordinentur».

19 Il censimento iniziava con la raccolta delle dichiarazioni (professiones) dei cit-tadini (invitati all’uopo a presentarsi ai censori) che dovevano dichiarare: nomina,praenomina, patres aut patronos (secondo che si trattasse di ingenui o di liberti), tri-bus, cognomina et quot annos quisque eorum habet et rationem pecuniae (peraltro era

Invero l’attività di rilevazione statistica non sempre è stata, per co-sì dire, «monopolizzata» dall’autorità pubblica, anzi, storicamente es-sa pare essere stata svolta principalmente dal gruppo familiare ed an-cor oggi risulta che in molti ordinamenti viene effettuata «in via dif-fusa» tra i consociati. La circostanza, tuttavia, non toglie che l’impor-tanza della rilevazione delle componenti di una determinata comu-nità – anche attraverso il nome – aumenta di pari passo con la com-plessità della struttura e dell’organizzazione sociale.

Esemplarmente l’ordinamento romano, fece dell’attività di catalo-gazione dei consociati il perno organizzativo della societas 17. Occorrein proposito ricordare che dalla rilevazione statistica dei beni dei cit-tadini derivava l’inquadramento del soggetto nella struttura della civi-tas (non diversamente, in fondo, dalla riforma di Solone ad Atene) eper suo tramite l’obbligo di adempiere ai propri doveri di prestazione,militari e tributari. E che dall’organizzazione finanziaria e da quellamilitare dipendeva a sua volta l’organizzazione politica, dal momentoche l’inquadramento della cittadinanza, oltre che ai fini della corre-sponsione del tributum e della composizione dell’exercitus, serviva al-tresì per la costituzione ed il funzionamento delle assemblee in cui siesplicava la sovranità del populus 18.

Anche se, invero, è necessario precisare che la collocazione del sog-getto in seno alla civitas dipendeva non solo e non tanto, si sarebbeportati a dire, dai beni che esso possedeva, quanto principalmentedalle valutazioni dei censori, ai quali era riconosciuto il potere di ap-prezzare discrezionalmente anche la sua personalità fisica (recognitioequitum) e morale (nota censoria) 19.

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Considerazioni introduttive 9

Inoltre i censori potevano sanzionare i capifamiglia che deliberata-mente non si presentavano al censimento (incensus), vendendoliall’asta come servi e cedendo tutto quanto apparteneva loro al popu-lus, in quanto avevano tentato di sottrarsi ai fondamentali doveri deltributo e del servizio militare, il cui assolvimento, data la loro impor-tanza ai fini del mantenimento della civitas, costituiva la condizioneessenziale di appartenenza all’ordinamento stesso. Insomma, conl’escludersi dal censo era come se essi si fossero volontariamenteestromessi dalla civitas (!), cessando conseguentemente di essere civese liberi ex iure Quiritium. Di qui la possibilità che si potesse pronun-ciare la loro condanna di «morte civile» e la loro riconfigurazione giu-ridica come semplici «res».

Quanto da ultimo detto offre lo spunto per constatare come in quelcontesto giuridico, vale a dire in un sistema in cui era diffusa una con-

possibile all’epoca cambiare e modificare in qualunque momento il proprio nome,salvo che per fini fraudolenti: il Codex stabiliva infatti che «mutatio nominis non frau-dolosa, libero homini est permissa»).

Specificamente, fino ai tempi di Silla negli atti ufficiali era sufficiente inserire so-lo due nomi: il praenomen e il nomen gentilicium. Il praenomen (una trentina di prae-nomina in tutto) veniva attribuito dal pater familias nove giorni dopo la nascita del fi-glio e veniva poi confermato ufficialmente al momento dell’assunzione della toga vi-rile e dell’iscrizione nelle liste come cittadino; il nomen gentilicium, invece, attestaval’appartenenza a una delle gentes inizialmente costituenti il Populus romanus.

Le prime tracce dell’utilizzo del cognomen (che, almeno inizialmente, esprimevauna particolare caratteristica fisica: così, per esempio, Crassus, Longus …) risalgonoall’epoca della seconda guerra punica; l’aggiunta di un cognomen avveniva per vo-lontà della gens di appartenenza, per indicare al suo interno una particolare brancadinastica: così, per esempio, nell’ambito dei Cornelii la branca degli Scipioni si di-stingueva proprio grazie al cognomen. Inoltre gli imperatori presero l’abitudine,all’indomani di importanti vittorie, di aggiungere un cognome richiamante il nomedella località conquistata (così, per esempio, Africanus, Macedonicus, Germanicus,ecc.), per immortalare in qualche modo e rendere parte di sé la vittoria. Nell’epocaclassica la denominazione ufficiale voleva che oltre all’uso di questi tre nomi, fosseimpiegato anche quello del padre (al genitivo) e quelli della tribù alla quale apparte-neva il cittadino (così, per esempio, per quanto riguarda l’illustre oratore: MarcusTullius, Marci filius, Cornelia tribu, Cicero). La donna portava il nome gentilizio delpadre preceduto da un praenomen al femminile (Gaia, Lucia, ecc.) ed aggiungeva ilnome (al genitivo) di colui che possedeva l’autorità su di lei (che di solito era o il pa-dre o il marito). Lo schiavo portava il nome del suo padrone (al genitivo) seguito daltermine latino puer o da un nome breve che lo identificava e che di solito richiamavale sue caratteristiche fisiche.

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10 Introduzione allo studio dell’identità individuale

20 Cfr., per esempio, N.D. FUSTEL DE COULANGES (che porta alle estreme conseguen-ze la rappresentazione dello stato di cose all’epoca), La città antica, Vallecchi, Firen-ze, 1924.

21 Cfr. G. CRIFÒ, Civis, La cittadinanza tra antico e moderno, Laterza, Roma-Bari, 2000,74.

cezione «funzionale» dei rapporti tra soggetto e ordinamento di ap-partenenza ad esclusivo vantaggio di quest’ultimo ed in cui mancaval’idea dell’individuo come detentore di una personalità autonoma, ac-cadeva che per l’ordinamento rilevava solo ed esclusivamente lo statusdel soggetto (in particolare, il fatto di risiedere su un determinato suo-lo, libero, come maschio e con un determinato «census»), di cui peral-tro era «arbitro». Di qui il controllo pressoché totale sulla persona –oggetto di diritto –, da parte dell’ordinamento, cui corrispondeva unaconcezione del tutto particolare e, secondo alcuni, la mancanza di ve-ri e propri spazi di libertà individuale 20.

In effetti secondo varie ricerche storiche il concetto moderno di«persona fisica» come soggetto di diritti e detentore di una «perso-nalità» fu sconosciuto ai romani: almeno in tutta l’epoca classica e,secondo una diffusa opinione, anche nell’età bizantina, con il termi-ne «persona» essi designarono la maschera, donde le espressioni«personam sustinere, suspicere, habere, …» e comunque l’uomo inquanto individuo in senso fisico, non come soggetto di diritti, man-cando qualunque considerazione della soggettività giuridica indivi-duale per il solo fatto di «essere uomo» 21.

4. La «scoperta» dell’individuo …

Il quadro essenziale di riferimento testé tracciato, cominciò a mo-strare segni di complessità con la grande ondata che travolse le«città–stato» nel periodo delle monarchie dell’età alessandrina e dellaRoma imperiale: «nel tumultuoso sconvolgimento che rimescolò sociie singoli in processi di mobilità sociale discendente e ascendente, nel-la concentrazione del potere imperiale in apparati vasti e sregolati do-minati da vertici dispotici e arbitrari, si produsse l’insicurezza delproprio status, si diffuse l’incertezza dei valori di riferimento, si rea-lizzò la separazione (anzi l’opposizione) tra vita privata e vita pubbli-

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Considerazioni introduttive 11

22 P. FERRARIS, Tra persona e individuo, in Parolechiave: «persona», Donzelli, Ro-ma, 1996, 14.

23 P. FERRARIS, Tra persona e individuo, cit., 14.

ca, e avvenne il ripiegamento dei singoli su se stessi nella ricerca diuna identità interiore autonoma da un mondo esterno incomprensi-bile e incontrollabile 22».

Furono il cristianesimo ed il pensiero filosofico stoico, si sostiene,a sollecitare la speculazione dell’uomo su se stesso, contribuendo adarricchire il concetto di persona di nuove e più profonde connotazio-ni, ed a «sciogliere», in parte, «il valore del singolo dai ruoli sociali epolitici, ormai considerati come segni–maschere estrinseci, artificiali,arbitrari e non fondati 23».

In particolare, lo stoicismo romano (specie di Epitteto e Seneca),avrebbe favorito il «ripiegamento» dell’uomo in se stesso, anche fisica-mente. Si cita spesso in proposito il topos ciceroniano dell’«otium cumdignitate», vale a dire del progressivo imporsi dell’esigenza dell’indivi-duo ad essere lasciato solo: «mihi enim liber esse non videtur qui nonaliquando nihil agit» (Cicerone) e ad abbandonarsi alla propria vitacontemplativa, implicante l’autolimitazione della comunità nei con-fronti del singolo individuo. Tutta l’opera dello stesso Seneca sarebbesignificativa in tal senso.

La morale cristiana, dal canto suo, avrebbe messo in luce la que-stione del rapporto della «persona umana» come entità fittizia con lasua «personalità morale» interiore e, riconoscendo quest’ultima comefatta «ad immagine e somiglianza di Dio», avrebbe finito con l’accor-darle un valore assoluto – esse posse nosse infinitum –, trascendente lasocietà.

Queste «sementi culturali» troveranno però l’ambiente più fecondoper germogliare in tempi meno remoti, assecondando il processod’emancipazione dell’uomo, da «oggetto» a «soggetto» di diritto.

Vero è che ancora nel XVI e XVII secolo, col fiorire delle modernemonarchie assolute, lo «stato di cose» sul piano sociale veniva giusti-ficato sulla base di motivazioni di ordine «naturale» o «divino», ma,in ogni caso, di tipo «fattuale». Rivelatrici sul punto le riflessioni diCastiglione, secondo cui: «Intervien quasi sempre che nelle arme enelle altre virtuose operazioni gli omini più segnalati sono nobili, per-ché una certa forza e proprietà del suo principio a tutto quello che da

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12 Introduzione allo studio dell’identità individuale

24 Si veda in proposito A. BOTTANI-N. VASSALLO, L’identità personale, cit., 14, secon-do cui non ci sarebbe modo di spiegare in che cosa consista l’identità delle personesenza sapere che cosa voglia dire essere una persona e, inversamente, non ci sarebbemodo di specificare la natura delle persone senza spiegare quale tipo di continuità neltempo esse esibiscono. Esisterebbe cioè una rete di sottili relazioni fra il problemadella natura dell’identità personale e quello della natura delle persone, e sarebbe pro-prio il rapporto tra questi due concetti a permettere di chiedersi quando qualcosa èuna persona – quali condizioni necessarie e sufficienti un’entità deve soddisfare peressere una persona – (per esempio, «può un sistema artificiale essere chiamato per-sona?»), e quando due entità sono la stessa persona – quali condizioni necessarie esufficienti un’entità deve soddisfare per essere la stessa persona – (per esempio, «so-no il dr. Jekill e Mr. Hide la stessa persona?»). Su questa base l’identità personale sa-rebbe stata vista, di volta in volta, a seconda del prevalere di un termine del binomiopiuttosto che dell’altro, come «unità nella sostanza» – a partire da Aristotele –, sosti-

esso deriva ed a sé lo fa simile; come non solamente vedremo nellerazze dè cavalli e d’altri animali, ma ancor negli alberi, i rampolli deiquali quasi sempre s’assimigliano al tronco […]».

Qualche tempo più tardi, richiamando l’autorità di Seneca, Grozioavrebbe tuttavia rilevato, non essere «l’uomo né libero né servo ma “lafortuna” impone a ciascuno l’uno o l’altro di questi ruoli […]». E Do-mat avrebbe chiarito che: «quelle naturali riguardano il sesso, la na-scita, l’età […]. Le distinzioni provenienti dalle leggi civili riguardanoinvece il sistema feudale: la nobiltà conferisce agli uomini privilegi edimmunità».

L’apporto culturale fornito da ogni ramo scientifico favorirà «versol’interno» la presa di coscienza dell’uomo del proprio valore, delleproprie capacità e delle proprie caratteristiche peculiari capaci di dif-ferenziarlo dalle altre entità naturali; e «verso l’esterno» la progressi-va ricerca delle logiche sottostanti al proprio «stato di cose», portan-do in certi casi a prendere coscienza della loro irragionevolezza.

5. … e dell’identità individuale

Nel tentativo di ricostruire per sommi capi il percorso svolto in vi-sta della valorizzazione di ogni singola componente sociale, ci trovia-mo a rilevare il ruolo importante svolto dal concetto di «identità per-sonale», inizialmente elaborato da parte del pensiero filosofico nel-l’ambito degli studi e delle teorie filosofiche della persona 24, senza

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Considerazioni introduttive 13

tuibilità o eguaglianza – a partire da Leibniz –, finzione – a partire da Hume –, con-venzione linguistica – a partire da Waismann –, e poi soprattutto da parte della filo-sofia analitica anglo-americana.

25 Nell’ambito dell’approccio «mentalista» per lungo tempo il filone platonico-ago-stiniano, valorizzante la coscienza individuale, occupò un posto di primaria impor-tanza. Peraltro, anche Aristotele, seppur ambiguamente, considerò l’uomo «animalerazionale»: tale definizione fu ripresa da Boezio, che parlò di «persona» come di «so-stanza individuale di natura razionale» e da Tommaso d’Acquino, che, collocandosinel solco della definizione aristotelica di «uomo», pervenne a considerare le personecome «individui dotati di natura razionale», «autoconsapevoli» e dotate di particola-re vita mentale. Cartesio, assumendo una concezione «funzionale» dell’io, concepì l’iopensante come base sicura per fondare la conoscenza. Tale pensiero sarà successiva-mente sviluppato da Fichte, il cui «Io infinito» rappresentò la condizione essenzialedel pensiero. Locke, dal canto suo, fu il primo filosofo a richiamare esplicitamente ilconcetto di «identità personale» nel capitolo XXVII del suo saggio «Sull’intelligenzaumana», concependola come coscienza delle proprie azioni e dei propri pensieri, scri-ve il filosofo: «… fin dove questa coscienza può essere estesa indietro ad una qualsia-si azione o pensiero del passato, fin lì giunge l’identità di quella persona, si tratta del-

dunque tenere conto, in molti casi, delle implicazioni sul piano giuri-dico.

Dall’analisi degli esiti prodotti dalla speculazione filosofica sul te-ma emerge che l’elaborazione di questo concetto è stata causata, tral’altro, dall’esigenza di trovare e valorizzare alcune delle proprietà ca-ratterizzanti l’uomo, sulla base delle quali individuare dei «criteri diqualificazione» per distinguerlo rispetto a tutte le altre entità. Specifi-camente, l’individuazione di tali «caratteristiche» avrebbe reso possi-bile, a un certo momento, da un lato, delimitare l’«insieme» di riferi-mento «persona fisica» e, dall’altro, elaborare i requisiti necessari diintroduzione ed appartenenza ad esso.

In un primo momento tali «peculiarità» furono individuate nellamente umana, così che il nucleo degli studi filosofici sulla persona fudominato, specie inizialmente, dallo «stile» di pensiero «mentalista»(di Cartesio e Locke, per intenderci), che contribuì a mettere in luce lameritevolezza del valore del rispetto di ogni uomo per il solo fatto diessere tale in quanto «essere razionale» e per questo portatore di unapropria «dignità». Corrente filosofica all’interno della quale sono poiulteriormente maturati diversi tipi di approcci a seconda della valo-rizzazione delle qualità «razionali» piuttosto che di quelle «spirituali»o «morali» della persona 25.

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14 Introduzione allo studio dell’identità individuale

Com’è noto, il XVIII secolo s’impadronì di molte delle idee elabo-rate dai filosofi illuminati, in particolare di quella del necessario ri-spetto della «pari dignità sociale», trasformandole in vere e propriemacchine da guerra ideologiche contro l’ordine precostituito.

Il processo è stato quello della progressiva svalutazione della con-cezione della «molteplicità di stati» per dar spazio all’emersione di unconcetto più generale di status che, lungi dall’esser distrutto, andòdapprima celandosi, quindi, successivamente, identificandosi con ilconcetto – di «giuridica invenzione» – di «capacità di diritto», che,non a caso, specie inizialmente, parve identificarsi col riconoscimen-to progressivo della soggettività di diritto a tutti gli uomini per il solofatto di essere tali (appunto in forza dei criteri elaborati dal pensierofilosofico) 26.

Su questa base è dunque possibile ritenere che il processo di «uni-versalizzazione» dei diritti civili, tecnicamente sia stato realizzato daun lato «aprendo» la «classe uomini» attraverso l’ampliamento deicriteri d’appartenenza ad essa elaborati dal pensiero filosofico menta-lista e, dall’altro, applicando ad essa il concetto di giuridica invenzio-ne di «capacità di diritto».

In un secondo momento (logico), il pensiero filosofico si preoc-cupò quindi di cercare di render conto «razionalmente» da cosa fosse

lo stesso io ora e allora ed è dallo stesso io (lo stesso di quello attuale che ora riflettesu di esso) che quell’azione venne compiuta».

L’approccio mentalista fu successivamente messo in discussione dal pensiero diMarx e Nietzsche e poi da Foucalult, Freud, Jung, Hartman, Derida, più in generale,dalle teorie sociali da un lato e dalla neuroscienza dall’altro (cfr. M. DI FRANCESCO, Per-ché non possiamo naturalizzare le persone, in Identità personale, cit., 257), che poseroil dubbio sulla capacità del soggetto di porsi indipendentemente dalle proprie condi-zioni «fisiche», a partire dal proprio «corpo» (che per questo è possibile considerare«corporeisti»). Lacan, in particolare, giungerà a ribaltare completamente il paradig-ma cartesiano affermando il «penso dove non sono e sono dove non penso»; mentreKriepke affermerà che l’identità di una persona richiede l’identità dell’origine del cor-po del soggetto stesso, e Williams perverrà a sostenere che «senza lo stesso corpo nonsi può essere la stessa persona», con ciò capovolgendo altresì le conclusioni raggiun-te da Locke nell’«esperimento delle menti divise» e la concezione dell’identità perso-nale come «coscienza di sé» (cfr. P. GARAVASO, Mens una in corpore uno, in Identitàpersonale, cit., 292).

26 A. IANNELLI, Stato della persona e atti dello stato civile, Napoli, 1984, 101. Un qua-dro storico dettagliato sulla «capacità giuridica in prospettiva storica» è tracciato daG. ALPA, Status e capacità, Laterza, Roma-Bari, 1993, 63 ss.

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Considerazioni introduttive 15

resa possibile la permanenza della medesima sostanza nella mutevo-lezza, vale a dire del medesimo «uomo» nel corso del tempo.

Per questo, sfogliando le pagine dedicate al tema dell’identità, si ri-trova puntualmente l’aneddoto della mitica nave di Teseo, grazie allaquale l’eroe greco sarebbe ritornato ad Atene sostituendo via via le ta-vole deteriorate e praticamente ricostruendola interamente da capo.Ma fino a che punto la imbarcazione poteva essere considerata «lastessa» 27? Ora, se si immagina che tutte le tavole siano state sostitui-te da pezzi in altro materiale, difficilmente potrebbe ritenersi che lanave sia ancora la medesima; se, invece, si sottolinea il fatto che la na-ve venne ricostruita esattamente com’era con tavole in legno e mante-nendone il nome, è agevole riconoscerla come «la stessa (nave)».

Per questa strada, dunque, si è giunti a considerare l’«identità» co-me una specie di collante, «un substrato» capace di tenere uniti i«frammenti» di noi stessi e di contenere e sintetizzare in sé tutti gli«Io successivi nel tempo», tale da indurre da ultimo Goffman a do-mandarsi «cosa sia questa sostanza appiccicosa a cui si attaccano tut-ti gli altri fatti biografici …! 28».

Per rispondere a simili domande intorno alla perdurante «medesi-mezza» individuale è stata sottolineata la spinta impressa dai fattorilegati allo sviluppo dei traffici che necessitavano di elaborare forme di«responsabilizzazione individuale 29». Proponendosi di capire il moti-vo per cui il problema dell’identità personale fosse diventato in fondocosì urgente a partire da Locke, Schopenhauer è giunto a considerarecome esso fosse parte di una tradizione, quella occidentale, che vuole

27 L’aneddoto è riportato anche da Platone nel Fedone, da Hobbes nel De Corpore,Locke nel Saggio sull’intelletto umano, da Leibniz nei Nuovi saggi e nel Trattato di Hu-me; più di recente è ricomparso nelle Foundations of the Social Sciences di Otto Neu-rath. Inoltre è stato ripreso da W. QUINE, Identità, ostensione e ipostasi (trad. it.), in Ilproblema del significato, Ubaldini, Roma, 1966, 74 e da R. NOZICK, Spiegazioni filoso-fiche (trad. it.), Il Saggiatore, Milano, 1987, 49. Si veda da ultimo D. SPARTI, La nave diTeseo, dilemmi dell’identità, in Identità personale, cit., 435.

28 Del resto l’etimologia stessa del termine «identità» deriva dal termine medieva-le identicus, che a sua volta è di derivazione latina: idem, vale a dire «lo stesso».

29 Così, P. Ricoeur evidenzia come, dire «identità» di una persona, significhi prin-cipalmente rispondere alla domanda: «chi ha fatto questa azione, chi ne è l’agente?»(P. RICOEUR, Temps et récit II, Edition du Seuil, Paris, 1984, 375).

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16 Introduzione allo studio dell’identità individuale

30 Significativa in proposito è altresì la concezione di Immanuel Kant della perso-na come di «quel soggetto, le cui azioni sono suscettibili di una imputazione» (così I.KANT, La metafisica dei costumi, Laterza, Roma-Bari, 1982, IV, 26). Si veda anche inproposito F. SCIACCA, Il concetto di persona in Kant. Normatività e politica, Giuffrè, Mi-lano, 2000.

31 Su Soggetto Persona Diritti, cfr. F. RICCOBONO, Napoli, Terzomillennio, 1999; S.COTTA, Persona (filosofia del diritto), in Enc. dir., XXXIII, Giuffrè, Varese, 1983, 159.Per una disamina approfondita del concetto di «persona», si veda altresì A. BERTRAND-MIRKOVIC, La notion de personne, Presses Universitaires d’Aix-Marseilles, Aix-en Pro-vence, 2003.

32 Si pensi esemplarmente alle riflessioni di A. TOCQUEVILLE, La democrazia in Ame-rica, Rizzoli, Milano, 2003, 515 ss.

gli individui uguali nel tempo a se stessi per renderli responsabili (chesarà anche l’idea di Nietzsche) 30.

Secondo la definizione a suo tempo data da Cicerone, infatti, «no-men est, quod unicuique personae datur, quo suo quaeque proprio etcerto vocabulo appellatur»: il nome è cioè lo strumento per mezzo dicui si realizza la continuità storica degli eventi giuridici in capo al me-desimo centro di imputazione, garantendo la mancanza di qualunquesoluzione di continuità dalla nascita del soggetto sino alla sua morte.Ciò risulta tanto più necessario in ambito giuridico, considerato chetutte le strutture normative, dalla legge, alla sentenza, al contratto, as-sumono senso solo se esprimono un elemento di stabilità in cui ognu-no rimanga permanentemente il medesimo soggetto di diritto im-presso nel singolo atto.

Si sarebbe dunque trattato (e da questo punto di vista l’esperienzafrancese sarebbe assai eloquente) di rendere anche giuridicamentefondato il mantenimento degli effetti dell’atto (o del fatto) in caposempre alla medesima persona 31.

6. Individuo e cittadino

Nel corso del XIX secolo furono peraltro poste sul piano culturalenon solo le condizioni per la ricostruzione del senso della perduranteidentità individuale, ma anche quelle intese a far emergere l’indivi-dualità stessa, sia sotto profilo dell’identificazione, sia sotto quellodell’identità 32.

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Considerazioni introduttive 17

33 Ricordiamo in proposito l’idea di Durkeim secondo il quale la complessitàdell’organizzazione del lavoro sarebbe strettamente legata alla presa di coscienza del-la propria specificità (E. DURKHEIM, La divisione del lavoro sociale, Comunità, Milano,1999).

Dal punto di vista strettamente giuridico, il «nodo da sciogliere» fuallora rappresentato dal sistema di voto, che permetteva solo alla clas-se borghese di partecipare alla gestione della «cosa pubblica» (favo-rendone, tra l’altro, la realizzazione sul piano dell’identità economi-ca). Anche in questa luce pare potersi leggere «la lotta» per l’otteni-mento dell’ampliamento della «classe cittadinanza» e con essa dei di-ritti politici, in particolare dell’elettorato attivo e passivo.

A quest’ultimo proposito, a parte l’ovvia considerazione percui an-che il concetto di cittadinanza, come quello di capacità giuridica, co-stituisce una variabile dipendente dai criteri utilizzati per restringer-ne o dilatarne l’accesso (per esempio il criterio censitario oppure in-discriminatamente il criterio della nascita sul territorio), dal punto divista tecnico, l’estensione del diritto di voto ha reso necessario poten-ziare gli strumenti di rilevazione statistica dei cittadini, processo cheè venuto poi dilatandosi al massimo in seguito all’introduzione delsuffragio universale con i vari censimenti generali della popolazione.

Peraltro altri fattori avrebbero catalizzato il processo, favorendol’affinamento delle tecniche d’identificazione: tra questi, particolarerisalto viene dato al progressivo venir meno del ruolo stabilizzatoredelle strutture sociali «minori» tra cui la famiglia (la «società senzapadre» di Marcuse), sempre meno unita e sempre meno legata stabil-mente alla «terra». Ma poi è stata messa in rilievo la dinamicità dellavita dei soggetti stessi a partire dai luoghi di lavoro (non più, solo, «lafabbrica») acuita dall’estrema facilità di dislocazione fisica e assai piùdi recente «virtuale» 33.

In questo quadro quanto elaborato dalle teorie «costruzioniste»,che consideravano l’identità della persona come prodotto della conti-nuità dei riconoscimenti interpersonali (di carattere per così dire pri-vatistico), capaci appunto di assicurare una reidentificabilità socialecome membri di una comunità, fu ad un certo punto avvertito comenon più sufficiente.

Divenne quindi necessario rilasciare in via pressoché esclusiva l’at-tività d’identificazione giuridica ad un soggetto pubblico, più capace

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34 Così G. SIRI (che richiama gli studi della Scuola di Francoforte e di Chicago), Laquestione della identità e della psicologia di fine secolo (in Identità personale, cit., 407),secondo cui un ruolo decisivo nella transizione dall’organizzazione contadino arti-giana, elitaria ed aristocratico religiosa a quella di massa, laica ed industriale sareb-be stato svolto dalla mobilità individuale, a sua volta resa possibile dallo «sciogli-mento» delle coordinate individuali tradizionali e dalla costruzione di soggetti aventiin se stessi le coordinate di riferimento (secondo l’efficace immagine del «giroscopiointerno» di David Reisman).

35 N. BOBBIO, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990 e 1992, IX.36 Così G. ROLLA, La tutela costituzionale dei diritti, Giuffrè, Milano, 2003, 10.

18 Introduzione allo studio dell’identità individuale

di gestirla. Un artefice ma anche un «garante istituzionale», della no-stra «identità attribuita» con tutte le questioni che ne sarebbero con-seguite e che saranno nel prosieguo in varia misura trattate. Mentre«lo stabilizzatore interno» capace di garantire la riconoscibilità, pre-vedibilità e controllabilità dei soggetti individuali, «mobili e avulsidal gruppo e ruolo di riferimento ma giuridicamente responsabili»sarebbe stata proprio l’identità, che in questo senso è diventata «ilcuore del sé 34».

Evidente in ogni caso lo stretto rapporto evolutivo tra identifica-zione giuridica e forma dello Stato, tanto più significativo conside-rando che il passaggio dall’«uomo astratto all’uomo concreto 35» – econ ciò finalmente veniamo ai giorni nostri – ha reso necessario iden-tificare gli individui non solo per la gestione della cosa pubblica maanche perché costoro possano beneficiare di tutte le prestazioni deri-vanti dal welfare e dai fondamentali riconoscimenti racchiusi nelle co-stituzioni rigide.

Per altro verso ancora, l’identificazione ha permesso di addivenireall’elaborazione di quella «nozione più evoluta di persona» considera-ta non più, solo, «monadicamente», ma nella sua dimensione sociale,pervenendo a tutelare «l’uomo e la donna […] in quanto soggetti so-ciali, nella loro qualità di individui storicamente determinati che, im-mersi nella società, partecipano attivamente alla vita pubblica e alleistituzioni e debbono essere messi in condizione di ricavare stimoliper arricchire la propria personalità 36».

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37 Cfr. G. ALPA, Status e capacità, cit., 205.38 Cfr. P. LILLO, Diritti fondamentali e libertà della persona, Giappichelli, Torino,

2001, 20.

Considerazioni introduttive 19

7. Cittadinanza e Stato

L’identificazione individuale è così diventata il presupposto per in-tervenire sulla rimozione degli «ostacoli che, limitando di fatto la li-bertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo del-la persona umana» e che sono diversi da persona a persona. D’altrocanto «si è tornati agli status» per così dire «al contrario», ovvero invista del conseguimento di obiettivi di eguaglianza sostanziale, chetuttavia suppongono l’identificazione del soggetto legittimato a gode-re della disciplina di favore 37.

Si sente sempre più spesso parlare in proposito di «esercizio per-sonalizzato delle libertà fondamentali», rilevandosi, da parte di alcu-ni, che nella maggior parte delle società democratiche e pluralisticheil nuovo orizzonte problematico dei diritti fondamentali sarebbe rap-presentato dalla misura e dal modello comportamentale individuale ecollettivo caratterizzante l’esplicazione delle differenti potenzialitàumane nell’esercizio e nel godimento effettivo di ciascuna libertà giu-ridicamente riconosciuta 38. Così che da un lato si sposta l’attenzioneverso l’analisi e la comprensione dell’effettivo godimento da parte diciascuno delle libertà riconosciute e garantite, mentre dall’altro ognisingolo individuo si farebbe di per sé «segnale» del «grado» di demo-craticità del sistema, che in linea teorica dovrebbe risultare diretta-mente proporzionale al livello di «pieno sviluppo» raggiunto da ognisingola componente sociale. Circostanza questa che, ancora una vol-ta, presuppone l’individualizzazione di ciascuno dei consociati.

Su un piano ancora più alto di generalizzazione, è stato anche rile-vato che mentre in passato le particolari condizioni storiche portaro-no la speculazione scientifica a valorizzare soprattutto gli aspetti «ac-comunanti», oggi, dati «per scontati» i risultati ottenuti, si «ambisce»a qualcosa di più, vale a dire ad ottenere il riconoscimento della pro-pria differenza specifica. E tale tendenza in atto sarebbe assecondatadal contesto sociale, caratterizzato, tra l’altro, dalla crescente diversi-ficazione (dovuta in particolare alla divisione del lavoro) e moltiplica-

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zione dei ruoli e con essi dei gruppi sociali: territoriali, istituzionali,culturali … persino, oggi, mediatici, che se da un lato contribuirebbead accrescere il bisogno ed il sentimento di appartenenza, dall’altroporterebbe anche ad affermare le proprie specificità, rivendicandoneil riconoscimento.

Così che «identificazione» e «identità» sarebbero progressivamen-te venuti a coincidere con la base imprescindibile per poter realizzarel’affermazione di sé, della propria individualità, in seno alla società.

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Capitolo II

L’identificazione biologica

SOMMARIO: 1. L’identificazione su base biologica nella legislazione e nella scienza cri-minologica del XIX secolo. – 2. La rilevazione dei connotati fisici mediante la tec-nica fotografica e la documentazione su carta di identità nel XX secolo. – 3. L’ap-plicazione delle tecniche identificative biologiche oggi. – 4. I dati somatici a fini diidentificazione. – 5. I dati somatici a fini di riconoscimento. – 6. Segue: le ripresevisive effettuate all’interno del domicilio: profili di costituzionalità. – 7. La video-sorveglianza. – 8. I dati identificativi biometrici in senso stretto. – 9. Il prelievo deldato biometrico: profili di costituzionalità. – 10. Segue: la modellizzazione del da-to biometrico. – 11. La tutela del dato biometrico. – 12. I dati identificativi geneti-ci. – 13. Segue: le applicazioni in campo giuridico. – 14. La prova genetica nellagiurisprudenza. – 15. La tutela dei dati genetici. – 16. Tendenze evolutive: il corpoumano come «un bersaglio».

«Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo,trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini

di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole,di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone.Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee

traccia l’immagine del suo volto …»

ANNAH ARENDT

1. L’identificazione su base biologica nella legislazione e nellascienza criminologica del XIX secolo

Parafrasando un noto modo di dire, «per gli altri, siamo innanzi-tutto quel che appariamo». Del resto, la quotidiana esperienza di vitaconferma come la conoscenza tra individui comporti lo scambio dielementi conoscitivi riguardanti spesso in primo luogo l’aspetto fisicodella persona e l’«immagazzinamento» delle informazioni captate chesaranno utilizzate per riconoscerla successivamente.

È verosimilmente su questa base che non solo storicamente ma tut-tora, le informazioni riguardanti l’aspetto somatico individuale costi-

2.

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22 Introduzione allo studio dell’identità individuale

1 Citiamo esemplarmente le opere di C. LOMBROSO, tra cui L’uomo delinquente: inrapporto all’antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, Bocca, Tori-no, 1896-1897 e La donna delinquente la prostituta e la donna normale, Bocca, Torino,1927.

2 D. POUSSON, in L’identité de la personne humaine, cit., 371.

tuiscono il mezzo di riconoscimento e di autenticazione (vale a dire diaccertamento della corrispondenza del dato per generalità con l’entitàfisica di riferimento) maggiormente utilizzato, sia in quei sistemi incui ciò avviene «in via diffusa» (tramite gli altri consociati), sia dovel’identificazione anagrafica è divenuta una funzione pubblica svoltaattraverso strutture amministrative all’uopo deputate.

Quanto al riconoscimento, per lungo tempo si ritenne addiritturache l’aspetto esteriore dell’individuo fosse un’emanazione dell’anima,della sua sfera e delle sue attitudini interiori: durante il Medioevo e ilRinascimento il pensiero popolare sviluppò numerose «regole» sullafisionomia individuale ed ancora nel corso del 1800, era diffusa l’ideache dall’aspetto estetico dell’uomo (ivi incluso il modo di abbigliarsi)fosse deducibile il suo carattere più profondo: parametro sulla base dicui si addivenne a terribili quanto ingiustificate discriminazioni (delresto la letteratura penalistica di quel tempo in proposito è estrema-mente feconda 1).

Venendo invece al profilo dell’autenticazione, pare che storicamen-te sia stata «la mano» il primo «segno di autenticazione» della perso-na in senso stretto: in particolare, si dice che gli egiziani facessero ri-corso alla forma della mano per attribuire correttamente «la pater-nità» dei prodotti manifatturieri ai loro autori 2.

In questa stessa logica, peraltro, si è andati anche oltre i connotatinaturalisticamente scolpiti sul nostro corpo, nel senso di imprimereartificialmente sulla persona umana taluni segni sia a fini di ricono-scimento sia, purtroppo, a fini di controllo. Così, avvenne che in Fran-cia, per tutto il XVII secolo, i soggetti con carichi pendenti e/o tra-scorsi giudiziari vennero «segnati» mediante l’apposizione sulla cutedi marchi a fuoco indicanti la lettera iniziale della pena da scontare (icondannati ai lavori forzati erano resi riconoscibili dal marchio«T»=«Travaux» impresso sulla spalla), mentre ancora vivo è il ricordodella tragica marchiatura della matricola nei lager nazisti in cui eranoracchiuse le persone di appartenenza ebraica.

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3 In particolare, venivano prese le misure di: statura, apertura delle braccia, l’al-tezza del tronco, dimensioni del capo, lunghezza dell’orecchio destro, diametro bizi-gomatico e varie misure degli arti.

4 Sul punto, e più in generale sulla «storia» della carta di identità nell’ordinamen-to francese, si veda P. PIAZZA, Histoire de la carte nationale d’identité, Odile Jacob, Pa-rigi, 2004.

5 P. PIAZZA, Histoire de la carte nationale d’identité, cit., 21.

Uno dei primi metodi d’identificazione personale maggiormente ri-spettosi della persona venne ideato da Alphonse Bertillon: si trattò delc.d. «bertillonage», basato sul segnalamento antropometrico, vale a di-re sull’indicazione di alcune «misure fisiche» particolarmente signifi-cative 3. Tale sistema fu adottato dalle polizie di molti altri Paesi no-nostante presentasse alcuni inconvenienti, legati innanzitutto alla va-riabilità delle misure fisiche nel corso della vita individuale, oltre chealla difficoltà di rilevarle con precisione (al punto che secondo auto-revoli testimonianze «au début de la Troisième République, la policecontinue d’employer des modes d’identification qui, comme sous les ré-gimes précédents, privilégient la surveillance directe des individus 4»).

Questi limiti furono in parte superati grazie all’affinamento delletecniche di identificazione basate sulle impronte digitali: l’applicazio-ne congiunta di «bertillonage» e «dactyloscopie» non solo rese mag-giormente affidabile l’identificazione personale in ambito penale, maportò altresì a ripensare buona parte dell’organizzazione amministra-tiva dello Stato: «[elles] autorisent également à repenser entièrementl’organisation des procédures de mise en carte sur des bases rationnel-les 5».

Queste tecniche sarebbero forse potute essere assistite dalla «foto-grafia», se non fosse stato che essa tardò a trovare un impiego gene-ralizzato in ambito giuridico perché si riteneva che fosse uno stru-mento dall’indole fondamentalmente «artistica», inadatta ed inaffida-bile a scopi identificatori, nonostante l’ispettore generale delle prigio-ni francesi Louis-Mathurin già nel 1854 avesse, pare, proposto di fo-tografare e schedare tutti i carcerati.

La tecnica fotografica trovò successivamente un valido supportoda parte dei fautori dell’antropologia criminale, che a loro volta pen-sarono di poter trovare nella fotografia un efficace strumento di lottaalla criminalità anche a fini preventivi: citiamo il libro dello stesso

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6 Descrivendo l’organizzazione delle strutture in cui venivano svolti i rilievi foto-grafici, Ernest Lacan osservava: «Le travail est incessant et s’exécute avec un ordre etune précision que rien ne vient troubler», Ernest LACAN, Le service photographique de lapréfecture de police, in Le Moniteur de la photographie, 16 aprile 1877, 62. Secondo al-cune testimonianza l’atelier photographique della prefettura di Parigi, specie all’inizioincontrò qualche problema nell’applicare la tecnica fotografica, si trova scritto in pro-posito: «les épreuves qu’ils confectionnent n’obéissent à aucune règle précise de cadrageet de format car les policiers, apprentis praticiens, s’inspirent des règles artistiques pro-pres à la photographie commerciale. […] [Les photos] sont plates, sans modelé, sansombre, complètement imparfaites ou grossières […] il y aurait lieu de tenir un meilleurcompte de l’anatomie du visage afin de ne pas enlever la ressemblance du sujet générale-ment rebelle au «Ne bougeons plus» des photographes du préfet de police» (G. MACÉ,Mon musée criminel, G. Charpentier, Paris, 1890, 83).

7 In una lettera del 27 settembre 1883 indirizzata al prefetto, il ministro dell’Inter-no Pierre Waldeck-Rousseau scriveva: «Mon attention a été appelée, dès le début, surles études faites pour perfectionner la méthode des signalements et constater l’identité dechaque individu déterminée en notant les dimensions corporelles qui le caractérisent dela façon la plus personnelle».

Louis-Mathurin dal titolo “Le monde des coquins”, pubblicato nel1863 e l’opera di Arnould Bonneville de Marsangy: «de l’améliorationde la loi criminelle en vue d’une justice plus prompte, plus efficace, plusgénéreuse et plus moralisante» e, poi, per tutti, le opere di Cesare Lom-broso tra cui «l’uomo delinquente» del 1879.

A quanto ci risulta il mezzo fotografico cominciò ad essere utilizza-to sistematicamente da parte delle forze dell’ordine francesi a partiredal 1877 6, epoca in cui erano ormai sufficientemente sviluppate anchele altre due tecniche, il bertillonage 7 e la dattiloscopia.

Il 1° febbraio 1888 furono inaugurati a Parigi i nuovi locali del«Service de l’Identification des détenus»; a partire dal 1893, i rilievi an-tropometrici e quelli fotografici furono incorporati e cominciaronoad essere svolti nell’ambito del medesimo «Service de l’Identité judi-ciaire» diretto da Alphonse Bertillon. Di lì a breve si aggiunse anchela tecnica dattiloscopica e l’impiego di questi strumenti di identifica-zione fu esteso in tutte le carceri non solo francesi ma anche algerinee tunisine.

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8 Della fotografia del volto, Alphonse Bertillon apprezzava la capacità di riassu-mere l’individuo nel suo complesso e di fissare dettagli capaci di coglierne le specifi-cità, in particolare il profilo e le specificità dei lobi delle orecchie.

9 Durante i primi anni del XX secolo molti paesi sudamericani si ispiraronoall’esperienza francese per instaurare carte di identità contenenti i dati derivantidall’applicazione del bertillonage integrati da quelli dattiloscopici. In un articolo pub-blicato nel gennaio del 1915 nella “Rivista penitenziaria e di diritto penale” si trovascritto che in quegli anni gli uffici avevano prodotto all’incirca 18000 carte d’identità.

10 Prosegue P. Piazza: «symptomatique de la transformation des pratiques poli-

2. La rilevazione dei connotati fisici mediante la tecnica fotografi-ca e la documentazione su carta di identità nel XX secolo

Bertillon fu il più strenue sostenitore della necessità di applicare aidocumenti di identità sia la fotografia del soggetto sia la sua impron-ta digitale: solo in tal modo, infatti, sarebbe stato possibile accertarela corrispondenza dell’identità contenuta nel papier al possessore, in-dipendentemente dal fatto che costui avesse avuto dei trascorsi giudi-ziari 8.

Al contrario, tutti i documenti che erano stati resi obbligatori inprecedenza prescindendo da tali dati erano del tutto inutili a fini iden-tificativi perché privi di alcun elemento capace di autenticarne coninoppugnabile immediatezza l’appartenenza al soggetto detentore: ri-spetto ad essi contava il mero possesso materiale ed il fatto di poterliesibire alle autorità, perché era da tali evenienze che dipendeva lapossibilità per il soggetto di poter usufruire dei diritti di libertà incor-porati nell’atto (specificamente, della libertà di circolazione e sog-giorno nel territorio dello Stato).

L’arricchimento dei papier delle nuove informazioni consentì diestendere il controllo sulle persone, oltre che sull’oggetto posseduto, edi tenere sott’occhio determinate categorie di soggetti considerati pe-ricolosi: la legge del 16 luglio 1912 istituì i c.d. «carnet dei nomadi»,presto seguiti dall’aggiornamento delle carte «dei vagabondi» e più ingenerale «degli stranieri 9». Come è stato acutamente osservato, si co-minciò ad assistere al progressivo superamento della logica della«sorveglianza occasionale» a favore di quella del «controllo mirato»,esercitato tramite il binomio «fichier central-carte d’identité», finaliz-zato «à exercer un contrôle généralisé et subtil sur la société 10».

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cières d’identification qu’engendre la consolidation du fait national, elle préfigurel’avènement d’une nouvelle logique étatique de contrôle des individus. Initialementappliquée aux nomades puis, dès 1917, à tous les étrangers, la mise en carte s’impo-se progressivement comme la solution politico-administrative la plus appropriée afind’assurer une stricte protection de la communauté nationale» (P. PIAZZA, op. cit.,21).

Osserva in proposito Foucault: «in altre società […] possiamo dire che l’indivi-duazione è massimale dalla parte dove si esercita la sovranità e negli strati superioridel potere. Più vi si è detentori di potenza o di privilegio, più vi si è marcati come in-dividui […]. In un regime disciplinare, al contrario, l’individualizzazione è discen-dente, nella misura in cui il potere diviene più anonimo e più funzionale, coloro suiquali si esercita tendono ad essere più fortemente individualizzati» (M. FOUCAULT,Sorvegliare e punire. Nascita della prigione. Einaudi, Torino, 1976, 210).

11 A. TAMASSIA, Ancora sull’identificazione personale, Prem. Officine grafiche di C.Ferarri, Verona, 1917, 1.

Le prime notizie sulla proposta di creare una carta di identità «na-zionale» per i cittadini francesi risalgono al 1916, anno in cui furonopresentati parecchi progetti di legge in tal senso. Esse trovarono tut-tavia nel rifiuto dei francesi di sottoporsi ai prelievi dattiloscopici unmuro invalicabile: passi a farsi fotografare, passi altresì al farsi misu-rare alcune parti del corpo, ma la rilevazione delle proprie improntedigitali non parve andare proprio giù!

In un rapporto del settembre 1917 il deputato Jean Hennessy am-mise con un certo sconforto che «l’apposition des empreintes digitalessur ce titre d’identité ne peut ètre que facultative car elle apparait enco-re, à certains, comme appartenant aux mesures anthropométriques ré-servées jusqu’ici aux services policiers et serait de nature à froisser lesentiment des citoyens»: nel 1921 la situazione era immutata.

In quegli stessi anni nel nostro paese le cose non erano certo mag-giormente evolute dal punto di vista tecnico, se è vero che Tamassia 11,procedendo nelle sue ricerche sulla «segnalazione personale dedottadal decorso delle vene cutanee delle varie regioni del corpo» ancoranel 1917 notava «come già feci sulle vene del dorso della mano, dellafronte, del polso, che anche il dorso del piede può fornire con le figu-re date dal decorso delle sue vene cutanee, un segno fedele e sicuro diidentità personale»; egli quindi indicava come fare per rilevare questotipo di informazioni sottolineando, con un pizzico di compiacimento,che la tecnica da lui ideata «non espone il soggetto da esaminare né a

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12 Scrive Tamassia: «[…] ed è appunto per questa varietà di decorso e quindi di fi-gure venose in ciascun caso, che balza la nota individuale, che così viene a meritarsila dignità di segnalazione antropometrica sicura; e ciò perché (come avviene nellamano) in ciascun individuo n’è l’un piede offre ramificazioni venose o semplicemen-te affini all’altro e tanto meno tra soggetti diversi hanno affinità nei due piedi; tantoche mi credo autorizzato ad affermare che ciascun individuo porta con queste figurevenose una propria segnalazione, che non può esser confusa per somiglianza conquella d’un altro». Aggiunge quindi l’autore, riferendosi al «bertillonage»: «indaginequesta non ingenua e sicura come le mie segnalazioni, che incontrò il favore tra glistudiosi e in taluno ufficio pubblico intento alla prevenzione della criminalità» (A. TA-MASSIA, Ancora sull’identificazione personale, cit., 2).

dolori, né a pericoli, né a quelle incruenti, ma asfissianti, torture delc.d. bertillonage …! 12».

Tuttavia per altri aspetti l’ordinamento italiano bruciò le tappe, vi-sto e considerato che di li a breve il «Testo Unico delle leggi di pubbli-ca sicurezza del 1931 avrebbe istituito la carta di identità «a fini di po-lizia», sebbene, si badi, senza prevedere l’inserimento delle improntedigitali né tanto meno dei rilievi antropometrici ma solo della foto-grafia del soggetto. Mentre sul suolo francese fu solo il regime di Vi-chy a riuscire ad arrivare laddove per anni gli altri governi non eranogiunti: la legge del 27 ottobre 1940 istituì la «carte d’identité defrançais», nel rilasciare la quale si sarebbe dovuto fare bene attenzio-ne, nel caso, ad apporre sopra la scritta «carte» un marchio rosso del-le dimensioni di 1,5 x 3,5 cm, con la menzione «juif» o «juive».

3. L’applicazione delle tecniche identificative biologiche oggi

Ancor oggi, nel nostro paese, nonostante le tecniche identificativesi siano diversificate ed evolute, il riconoscimento di tipo «fisico-so-matico» continua ad essere il mezzo di riconoscimento personale piùdiffuso ed utilizzato anche a fini legali. Basti pensare al fatto che sul-la carta d’identità si indica l’altezza, il colore dei capelli e i c.d. «segniparticolari», e vi si appone inoltre la fotografia del soggetto. In parti-colare, i c.d. «contrassegni fisici» (riscontro di tatuaggi e cicatrici), leevidenti particolarità ontologiche personali, le deformazioni, gli esitifratturativi, le protesi di qualsiasi tipo, i «segni» (c.d. «stigmate») pro-fessionali, ecc., sono tutti «elementi» che vengono usati dalla medici-

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na legale per l’identificazione del soggetto 13. Nelle indagini di poliziapoi, quando al termine del riscontro sui dati di archivio non si riescead ottenere risultati, solitamente si effettua una ipotetica ricostruzio-ne cranio-facciale (c.d. identikit) e la si fa circolare, secondo le normedi legge, sui media e nei luoghi pubblici 14.

La scelta di continuare ad accordare fiducia ai dati identificativisomatici tiene evidentemente conto di una pluralità di fattori, tra cuiquello del livello di certezza che la tecnica è idonea a garantire è sol-tanto uno, ed in molti casi nemmeno il principale, dovendosi conside-rare anche (tutti insieme):

1) il costo del loro impiego, ed in particolare le risorse necessarie alloro utilizzo su vasta scala;

2) l’agevole fruibilità da parte dell’«uomo medio»;3) la pratica instauratasi sulla base di convenzioni internazionali15,

nonché;

13 Si vedano in proposito A. DRUSINI-C. CRESTANI, Identificazione personale su restischeletrici: dal sopralluogo al laboratorio, in Riv. it. med. leg., 1991, 1085-1106 e, dei me-desimi autori, Metodologia di indagine nella identificazione personale su resti scheletri-ci, in Riv. it. med. leg., 1992, 911-919; C. CRESTANI-D. BORDIGNON-D. BETTI-F. PRADELLA-P. CORTIVO, La diagnosi di età dentaria, in Riv. it. med. leg., 1996, 387-415; D. BETTI-C.CRESTANI-P. CORTIVO, L’immagine radiologica degli impianti ai fini dell’identificazionepersonale, in Riv. it. med. leg., 1997, 959-968; V. FINESCHI-A. MOMICCHIOLI-F. MONCIOTTI-F. NIGI-L. VANNUCCINI, Istologia dentaria e stima dell’età: ulteriore contributo metodolo-gico e casistica, in Riv. it. med. leg., 1997, 983-1000; F. ERAMO, Tecniche di accertamen-to dell’età minorile, in Giust. pen., 2001, III, 442-448.

14 Cfr. S. CIAPPI, Serial killer, Metodi di investigazione e procedure investigative,Franco Angeli, Milano, 1998; G. PIRONE, Identi-kit e photo-fit. Sistemi di identificazio-ne personale basati sulla descrizione fornita dai testimoni, in Giust. pen., 1984, I, 29-32.

Il Garante dei dati personali ha avuto in più occasioni l’opportunità di intervenirein proposito, inibendo la diffusione di foto segnaletiche fuori dei casi consentiti dallalegge (si veda per esempio il Comunicato del Garante del 21 novembre 2003: il Ga-rante: illecite le foto segnaletiche; il Comunicato del 26 novembre successivo: Il Garan-te vieta la diffusione delle foto segnaletiche; e quello dell’8 aprile 2003: No alle foto se-gnaletiche. Possono essere diffuse solo per fini di giustizia o di polizia).

15 Cfr. per esempio la Risoluzione dei rappresentanti dei governi degli Stati mem-bri, riuniti in sede di Consiglio, del 17 ottobre 2000 che integra le risoluzioni del 23giugno 1981, 30 giugno 1982, 14 luglio 1986 e 10 luglio 1995 per quanto riguarda lasicurezza dei passaporti e degli altri documenti di viaggio (2000/C 310/01), reperibileall’indirizzo telematico http://www.vehicle-documents.it/lex/documenti/CEE/pas1.pdf.

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4) la compatibilità con i principi di ordine costituzionale.

Così, solo per fare un esempio estremo, con riguardo a quest’ultimopunto comporterebbe sicuri problemi di costituzionalità la previsionedi sistemi identificativi correlati all’innesto di microchip nel corpoumano 16.

Peraltro, come si accennava, a queste procedure «tradizionali», percosì dire «ad occhio nudo», si sono affiancate, nel corso del tempo,tecniche identificative più raffinate capaci di cogliere elementi identi-ficativi assolutamente unici.

Si cercherà nel prosieguo di dare conto del regime giuridico di tut-ti gli elementi identificativi – vecchi e nuovi –, non solo in relazione al-le specifiche utilizzazioni a fine d’identificazione, ma anche con ri-guardo agli altri collaterali aspetti che sul piano costituzionale e legi-slativo questa stessa utilizzazione ha messo in tensione, in particolareil principio di pari dignità sociale, di presunzione di innocenza la li-bertà di domicilio e di circolazione, e più in generale la libertà perso-nale e la privacy da un lato e l’ordine pubblico in senso materiale e ilprincipio di personalità della pena dall’altro.

Abbiamo poc’anzi visto che l’impiego dell’informazione biologica inambito giuridico anche storicamente è avvenuto in modo preponde-rante a fini di sicurezza pubblica, data l’essenzialità del suo impiegoper «ricostruire» l’identità del soggetto al fine di riconoscerlo e repe-rirlo, e, attualmente, anche per autenticarne la corrispondenza con ildato anagrafico 17. Così, solo per fare qualche esempio, il codice di pro-cedura penale prevede che la polizia giudiziaria debba procedere allaidentificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le inda-

16 A parte la notizia, non si sa fino a che punto fondata, del microchip che sa-rebbe stato inserito sotto pelle del soldato polacco rapito in Irak nel maggio 2004(http://www.pinoscaccia.rai.it/torre/archives/001360.php), richiamiamo gli articoli delCorriere della sera del 19 luglio 2003: «Il chip sottocutaneo sbarca in Messico»; e l’ar-ticolo del 22 maggio 2004 dal titolo: «La nuova tecnologia adottata dal “Baja BeachClub” di Barcellona, niente più code per i Vip con chip sottocutaneo: nel locale chi lo in-dossa viene subito riconosciuto. È più piccolo di un chicco di riso e viene inserito sottola pelle del braccio» (http://www.corriere.it/).

17 J. Rostand parla in proposito di «biologizzazione del diritto» (J. ROSTAND, Labiologie fera-t-elle la loi, in Revue de Paris, 1958, 26). Si vedano sempre sul tema gli ar-ticoli di A. Conti pubblicati su La Stampa del 1 maggio 2004, 55: Il futuro racchiusonei nostri occhi, e L’identità perduta dei pregiudicati senza impronte.

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gini anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici (oltre che fo-tografici e antropometrici) nonché altri accertamenti 18. Ed in vistadell’esecuzione della pena «sul giusto soggetto» l’art. 667 c.p.p. preve-de che laddove vi sia ragione di dubitare dell’identità della persona ar-restata per esecuzione di pena o perché evasa mentre scontava unacondanna, il giudice dell’esecuzione debba interrogarla e compiereogni indagine utile alla sua identificazione, ordinandone immediata-mente la liberazione in caso di dubbio sulla sua identità.

Per comodità espositive, pare opportuno subito proporre una tri-plice classificazione di tali dati in dati somatici, dati biometrici «insenso stretto» e dati genetici. In questo senso, appartengono al primoinsieme i dati che riguardano la persona così come appare nel mondoesterno, il fenotipo per intenderci; al secondo tutta quella serie di ca-ratteri fisici «di confine», vale a dire che, ad occhio nudo, stanno ametà tra i connotati somatici e quelli genetici, come per esempio leimpronte digitali o l’iride; e, infine, al terzo, le tecniche identificativebasate sull’analisi del DNA, ovvero riguardanti il c.d. genotipo.

4. I dati somatici a fini di identificazione

La prima categoria di dati sopra indicati costituisce una delle basimaggiormente rilevanti per lo statuto dell’identità «attribuita»: già aisensi dell’art. 3 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (Tulps), infatti, il do-cumento di identità, così come i «documenti equipollenti» che svol-

18 In particolare, l’art. 4 del Tulps dispone la possibilità per l’autorità di Pubblicasicurezza di sottoporre a rilievi segnaletici le persone pericolose o sospette e coloroche non sono in grado o si rifiutano di provare la loro identità. Rinviamo in proposi-to a G. FONTANA, L’identificazione delle persone, finalizzata allo svolgimento della inda-gine preliminare, alla luce delle modificazioni apportate al codice di procedura penale inmateria di «giusto processo», in http://www.diritto.it/articoli/proc_penale/fontana2.html.

Ci limitiamo qui a osservare che i «rilievi segnaletici» comprendono:– i rilievi descrittivi, che consistono nella descrizione generale dell’individuo, co-

me per esempio il colore dei capelli, il colore degli occhi, la presenza di segni parti-colari sul corpo, ecc.;

– i rilievi dattiloscopici, vale a dire, come visto, il prelievo delle impronte delle fa-langi delle dita e del palmo delle mani;

– i rilievi fotografici, consistenti nella fotografia dei particolari del volto (vistefrontali e laterali) e del corpo intero.

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19 Tale disposto era contenuto nell’art. 3 del d.P.R. 22 ottobre 1999, n. 437: «Rego-lamento recante caratteristiche e modalità per il rilascio della carta di identità elettro-nica e del documento di identità elettronico, a norma dell’articolo 2, comma 10, dellalegge 15 maggio 1997, n. 127, come modificato dall’articolo 2, comma 4, della legge 16giugno 1998, n. 191».

gano una funzione identificativa (da ultimo art. 35, d.P.R. n. 445 del2000 19), devono essere muniti di fotografia. Che, poi, l’inserimentodella fotografia assolva alla precisa funzione di «autenticazione» e«riconoscimento», ovvero di accertamento della corrispondenza tra ildato biologico e quello attribuito, è confermato, anche, attualmente,dalle disposizioni contenute nel T.U. sulla documentazione ammini-strativa (d.P.R. n. 445 del 2000) che all’art. 1 considera «documento diriconoscimento» «ogni documento munito di fotografia del titolare[…] che consente l’identificazione personale del titolare» e «docu-mento d’identità» «la carta di identità ed ogni altro documento muni-to di fotografia […] con la finalità prevalente di dimostrare l’identitàpersonale del suo titolare».

È inoltre possibile, a titolo di esempio, citare l’art. 116 (norme di at-tuazione c.p.p.), secondo cui se per la morte di una persona sorge so-spetto di reato, il procuratore della Repubblica deve prima di tuttocompiere le indagini occorrenti per il riconoscimento: a tal fine, nel ca-so in cui si tratti di una persona sconosciuta, prima ancora di ordina-re l’autopsia, egli può ordinare che il cadavere sia esposto nel luogopubblico a ciò designato e, occorrendo, sia fotografato. E l’art. 361c.p.p. in base al quale quando risulta essere necessario per la imme-diata prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero «procede allaindividuazione di persone, di cose o di quanto altro può essere oggettodi percezione sensoriale» che può essere sottoposto in immagine a chideve eseguire la individuazione.

Più in generale è possibile constatare l’indole sia preventiva, sia re-pressiva delle norme che impongono l’esposizione ad altri delle nostresembianze, in vista del perseguimento di valori che possono ascriver-si alla tutela dell’ordine pubblico materialmente inteso. Eloquenti intal senso sono l’art. 85 del Tulps, che pone il divieto di comparire ma-scherati in luogo pubblico ed altresì l’art. 5 della legge 22 maggio1975, n. 152 che pone il divieto di usare, senza giustificato motivo, ca-schi protettivi e qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il ri-

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conoscimento delle persone durante «pubbliche manifestazioni» svol-gentesi in luogo pubblico o aperto al pubblico 20.

5. I dati somatici a fini di riconoscimento

Ma i dati identificativi somatici sembrano suscettibili anche diun’autonoma considerazione, a prescindere dal rilievo che hanno neldefinire la nostra «identità attribuita», considerato che la loro ido-neità a rivelare l’identità di una persona fisica trova cospicue applica-zioni soprattutto nel campo processuale nel quadro del regime legaledelle prove.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, i riconosci-menti fotografici effettuati in sede di indagini di polizia giudiziaria,come pure i riconoscimenti informali dell’imputato operati dai testi indibattimento, non essendo regolati dalla legge (in particolare non es-sendo collocabili nell’ambito della «ricognizione» personale previstadall’art. 213 c.p.p.), hanno carattere di accertamenti di fatto, utilizza-bili, come tali, nel giudizio in base al principio della non tassatività deimezzi di prova. Ciò significa che la loro idoneità ad essere legittima-mente assunti ai sensi dell’art. 189 c.p.p. è strettamente legata alla va-lutazione del giudice circa la loro capacità a contribuire all’accerta-mento dei fatti; il che comporta, tra l’altro, che in caso di riconosci-mento del soggetto per tramite di una fotografia la rilevanza della pro-va dipende non dal riconoscimento in sé, ma dalla ritenuta attendibi-lità della deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia dell’impu-tato e/o l’imputato stesso, si dica certo della sua identificazione 21.

Anche sotto la vigenza del «vecchio» Codice di procedura penale, laCassazione ammetteva la possibilità per il giudice del merito, in forzadel principio del libero convincimento, di attribuire concreto valore

20 In entrambi i casi è fatta salva la possibilità di utilizzare la maschera in epocheparticolari (per esempio a carnevale) e nei teatri osservando le disposizioni dell’auto-rità di pubblica sicurezza e i «caschi» in occasione di manifestazioni di caratteresportivo che ne richiedano l’uso per protezione.

21 Citiamo per tutte Corte Cass., sez. I, 4 febbraio 1993, in Arch. nuova proc. pen.,1993, 282 (nello stesso senso, Corte Cass., sez. VI, 8 novembre 1995, Ced Cass., rv.204515 (m); Corte Cass., sez. II, 28 febbraio 1997, Ced Cass., rv. 207409 (m); CorteCass., sez. II, 15 novembre 1996, Ced Cass., rv. 20810 (m)).

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probatorio ai fini del giudizio di colpevolezza anche all’identificazionedell’autore del reato mediante riconoscimento su fotografia, chiaren-do in motivazione le ragioni del sicuro affidamento dell’identificazio-ne così operata 22.

Più di recente, la Cassazione, spinta dall’assunta consapevolezza dei«limiti» dell’informazione fotografica, pur non smentendo in linea diprincipio la propria giurisprudenza, ha tuttavia posto l’attenzionesull’opportunità, nel caso di riconoscimento fotografico, di adottarecautele analoghe a quelle previste dall’art. 213 ss. c.p.p. in tema di rico-gnizione di persona, «attesa la ridotta efficacia rappresentativa delmezzo, dal punto di vista storico e spaziale», e cioè facendo attenzionea che l’immagine sia la più recente possibile e tenendo conto del fattoche in essa mancano di solito riferimenti volumetrici e spaziali certi 23.

Inoltre, come ben sanno gli specialisti del settore, l’utilizzazione difotografie viene considerata ormai rituale, ai sensi dell’art. 234 c.p.p.,anche se le immagini siano state estratte da riprese video eseguite dal-la polizia giudiziaria, non sussistendo, tra l’altro, alcuna disposizionenormativa che prescriva l’esecuzione di particolari incombenze perl’estrapolazione di singole foto dalla videoregistrazione eseguita 24.Pertanto, anche le immagini video estrapolate da intercettazioni am-bientali all’interno di abitazioni private – materia resa ancor più deli-cata dal rilievo che vi possono avere le garanzie costituzionali del do-micilio – vengono ammesse come mezzi di prova, dal momento che,

22 Così Corte Cass., 17 giugno 1980, in Riv. pen., 1981, 362. Nello stesso senso, Cor-te Cass., 21 aprile 1986, in Riv. pen., 1987, 505; Corte Cass., 26 novembre 1984, in Riv.pen., 1985, 1141; Corte Cass., 27 novembre 1984, in Riv. pen., 1985, 1140; Corte Cass.,11 dicembre 1984, in Riv. pen., 1985, 1140.

23 Così Corte Cass., sez. V, 26 novembre 1998, Ced Cass., rv. 212467 (m). Problemi di rilievo (soprattutto a fini probatori) sono posti dai «fotomontaggi»: ci

limitiamo a richiamare l’attenzione su quanto in più occasioni evidenziato dalla Cor-te di Cassazione, vale a dire che il «fotomontaggio» integra gli estremi del reato di fal-sità materiale, quando si presenti non come tale, ma con l’apparenza di un documen-to originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede (così Corte Cass., sez. V, 15aprile 1999, in Giust. pen., 2000, II, 14).

24 Si veda in proposito F. INTRONA-L. LA SALA-G. MASTRONARDI, Identificazione per-sonale di soggetti viventi mediante elaborazione elettronica e confronto computerizzatodelle immagini registrate su supporto magnetico (videotapes), in Riv. it. med. leg., 1992,515-526.

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34 Introduzione allo studio dell’identità individuale

come confermato anche dalla Cassazione penale, il vigente codice dirito ne autorizzerebbe il versamento nel processo sulla base dell’inter-pretazione estensiva dell’art. 266, comma 2, c.p.p. (per cui anche lagestualità integra una delle «comunicazioni» ivi considerate).

6. Segue: le riprese visive effettuate all’interno del domicilio: pro-fili di costituzionalità

Quanto sinora osservato offre lo spunto per una serie di osserva-zioni che, benché autonome rispetto ai profili dell’identificazione edell’individuazione operata su base somatica, pure non ne sono deltutto indipendenti, in quanto concernono la fase anteriore e prodro-mica della rilevazione o captazione dei dati somatici stessi.

Invero, a quest’ultimo proposito, la mancanza di punti di riferi-mento normativi inequivocabili circa le condizioni ed i limiti di liceitàdella captazione di immagini in luoghi di privata dimora a fini inve-stigativi ha portato la Corte Costituzionale, ancora di recente, nellasentenza n. 135 del 2002 25, ad auspicare, data «l’importanza e la deli-catezza degli interessi coinvolti», un riesame complessivo della mate-ria da parte del legislatore. Si è trattato nell’occasione del dubbio sul-la legittimità costituzionale dell’art. 266, comma 2, c.p.p. in riferi-mento agli artt. 3 e 14 Cost., segnatamente nella parte in cui nonestende la disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni tra pre-senti nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. alle riprese visive o videore-gistrazioni effettuate nei medesimi (luoghi).

Materia notoriamente complessa e che vede a fronte dell’orienta-mento giurisprudenziale che nega, in assenza di una specifica discipli-

25 Corte cost., 24 aprile 2002, n. 135, in Giur. cost., 2002, 1062-69 (con nota di R.D’Alessio e osservazioni parzialmente critiche di A. Pace); si vedano altresì, nella stes-sa rivista, A. LONGO, Le garanzie costituzionali delle intercettazioni visive: un’occasionemancata per la Corte, in Giur. cost., 2002, 2208-2220; S. MARINI, La costituzionalità del-le riprese visive nel domicilio: ispezione o libertà «sotto-ordinata»?, in Giur. cost., 2002,1076-1080; e L. CARLI, Videoregistrazione di immagini e tipizzazione di prove atipiche,in Dir. pen. e proc., 2003, 41-49; V. MALTESI, «Principi comuni agli ordinamenti euro-pei» e libertà di domicilio: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vista dal-la Corte Costituzionale italiana, in Giur. it., 2003, 1311-1319; C. SELMI, Captazione vi-siva e libertà domiciliare, in Giust. pen., 2003, 50-64.

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na processuale, la liceità della captazione di immagini in luoghi di pri-vata dimora a fini investigativi, chi, al contrario, afferma la «sufficien-za», per l’effettuazione delle anzidette riprese visive, dell’atto motivatodell’autorità giudiziaria (che nella fase delle indagini preliminari si li-mita ad essere un provvedimento del pubblico ministero). Tuttavia, se-condo il giudice a quo questo secondo orientamento sarebbe incompa-tibile sia con l’art. 3 Cost., in quanto facente corrispondere a tecnologiemaggiormente «invasive» meno garanzie; sia con l’art. 14 Cost., che nonsi limita a richiedere ai fini della compressione della inviolabilità deldomicilio un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, ma po-stula altresì che tale provvedimento debba essere adottato «nei casi enei modi stabiliti dalla legge», cosa che nel caso di specie non avveniva.

La Corte, sgombrando il campo da ogni equivoco, ha chiarito nel-l’occasione che il riferimento contenuto nell’art. 14, comma 2, Cost.,alle «ispezioni, perquisizioni e sequestri» non è mosso dall’intento di«tipizzare» i vari tipi di limitazioni «costituzionalmente permesse»«non potendo evidentemente il Costituente tener conto di forme di in-trusione divenute attuali solo per effetto dei progressi tecnici succes-sivi». D’altro canto, l’estensione della disciplina delle intercettazionidelle comunicazioni tra presenti nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. atutte le riprese visive o videoregistrazioni effettuate nei medesimi luo-ghi indistintamente considerate avrebbe provocato uno squilibrio nel-l’assetto costituzionale dei diritti di libertà.

Il giudice delle leggi è giunto infine ad affermare la possibilità di con-figurare la captazione di immagini in luoghi di privata dimora come unaforma di intercettazione di comunicazioni fra presenti, che si differen-zierebbe da quella operata tramite gli apparati di captazione sonora so-lo per lo strumento tecnico utilizzato: di qui la legittima applicabilità (invia interpretativa) alle riprese visive di messaggi gestuali della disciplinalegislativa dell’intercettazione ambientale in luoghi di privata dimora.

In ogni caso, spetta al legislatore (come del resto la Corte aveva giàavuto modo di precisare nell’ordinanza n. 304 del 2000 di recente con-fermata dall’ordinanza n. 251 del 2004) conformare le concrete mo-dalità operative di queste tecniche; mentre compete al giudice, di vol-ta in volta, stabilire quando la ripresa visiva possa ritenersi finalizza-ta alla captazione di comportamenti a carattere comunicativo, conse-guentemente applicando la disciplina del caso.

La Corte Costituzionale si preoccupa cioè di distinguere, sulla base

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36 Introduzione allo studio dell’identità individuale

26 Paiono muovere da una prospettiva «dualistica» anche i giudici americani, chenegano che la videosorveglianza possa essere ricondotta nel novero delle intercetta-zioni, seppur riconoscendo ampi spazi per la disciplina della materia alla legge fede-rale, in base al IV emendamento [cfr. United Mates v. Koyomejan, 970 F.2d 536 (9thCir. 1992) e United States v. Mesa-Rincon, 911 F2d 1433 (10h Cir. 1990); per un’am-pia disamina del tema, http://www.privacy.org/pi/countries/usa/un_report_us.txt].

27 Bundesverfassungsgericht, 3 marzo 2004, 1 BvR 2378/98 e 1 BvR 1084/99 (reperi-bile all’indirizzo telematico: http://www.bundesverfassungsgericht.de/bverfg_cgi/presse-mitteilungen/ frames/bvg04-022).

dei contenuti, «la valenza essenzialmente negativa» della libertà didomicilio, «concretandosi nel diritto di preservare da interferenzeesterne, pubbliche o private, determinati luoghi in cui si svolge la vitaintima di ciascun individuo» a fronte del contenuto «qualificante po-sitivo» della libertà di comunicazione «quale momento di contatto fradue o più persone finalizzato alla trasmissione di dati significanti» 26.Tuttavia, nella prospettiva «dualistica» fatta propria dalla Corte, imaggiori problemi si presentano rispetto a quelle ipotesi in cui si fuo-riesce dall’ipotesi della videoregistrazione di comportamenti di tipocomunicativo e rileva soltanto l’intrusione nel domicilio, perché inquesti casi risulta esservi una lacuna incolmabile prescindendo dal-l’intervento del legislatore.

Discorso diverso probabilmente andrebbe fatto, e del resto la Cortedimostra di esserne consapevole, se libertà di domicilio e libertà di co-municazione fossero visti come momenti legati da una comune e piùampia prospettiva di tutela della «vita privata» – prospettiva del restofatta propria dagli artt. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei di-ritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e 17 del Patto internaziona-le sui diritti civili e politici; nonché, da ultimo, ad opera dell’art. 7 dellaCarta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea –: in questo caso, in-fatti, la disciplina avrebbe una matrice normativa comune maggior-mente favorevole al «riserbo».

In ogni caso «per l’importanza e la delicatezza degli interessi coin-volti», la Corte ha auspicato un riesame complessivo della materia,così come, del resto più di recente, hanno fatto anche i colleghi tede-schi, tuttavia prendendo le mosse da presupposti e giungendo a con-clusioni in buona parte diverse 27.

I giudici costituzionali tedeschi infatti, hanno affermato chiara-mente l’essenzialità del principio di autodeterminazione informati-

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va: muovendo dal presupposto che la dignità umana (sancita dall’Ar-ticolo 1 della Carta Costituzionale tedesca) comprende il diritto aduna sfera privata di sviluppo della personalità assolutamente intan-gibile, essi sono giunti a dichiarare che non è possibile alcun bilan-ciamento in chiave di proporzionalità fra inviolabilità del domicilio einteresse al perseguimento dei reati. Ciò che comporta l’obbligo peril legislatore di definire in modo effettivamente specifico e dettaglia-to i casi nei quali la privacy degli interessati può essere violata per fi-nalità di pubblico interesse 28.

Nel contesto per sommi capi descritto, ritornando al piano interno,risulta essere conforme al quadro normativo (del tutto carente comevisto) una recente pronuncia della Corte di Cassazione in cui il colle-gio ha affermato che la localizzazione a distanza di una persona (o diun oggetto in movimento), anche mediante il sistema satellitare Gps,rientra nell’ordinaria attività atipica di controllo e di accertamentodemandata alla polizia giudiziaria e non costituisce attività di ascolto(o lettura) e captazione di comunicazioni tra due o più persone, di-sapplicando con ciò le disposizioni in materia di intercettazioni di co-municazioni o conversazioni, con la conseguenza di non richiedereneppure il decreto motivato del P.M. 29.

Se la pronuncia della Cassazione offre la miglior testimonianza diun certo stato di cose, per altro verso dimostra che il problema del va-lore probatorio «della fotografia» è destinato ad essere «sovrastato»da quello delle immagini video digitalizzate, considerata la semprepiù ampia diffusione di questo tipo di tecnologia.

Più in generale, il processo di convergenza multimediale sta «con-vogliando» verso un denominatore comune (rappresentato dalla tec-nologia digitale) tutti i vari mezzi di captazione e diffusione dell’infor-mazione. Il che se da un lato comporta la difficoltà di intervenire con

28 In particolare, secondo i giudici tedeschi le norme del Codice di procedura pe-nale tedesco che regolamentano la materia e che sono state più volte modificate negliultimi anni, specie dopo gli eventi dell’11 settembre 2001, non sarebbero idonee a tu-telare sufficientemente la riservatezza personale (il termine fissato dalla Corte Costi-tuzionale tedesca affinché il legislatore intervenga in materia è il 30 giugno 2005).

29 Corte Cass., sez. V, 27 febbraio 2002, in Foro it., 2002, II, 635 (con nota di A. SCA-GLIONE); in Questione giustizia, 2002, 1161; in Cass. pen., 2002, 3049-3060 (con nota diA. LARONGA) e in Arch. nuova proc. pen., 2002, 413.

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38 Introduzione allo studio dell’identità individuale

30 Cfr. infra, Cap. IV, § 6; e Cap. VI, § 11.31 Quando parleremo di «Garante» senza ulteriori specificazioni ci riferiremo al

«Garante per la protezione dei dati personali». Tutti i provvedimenti e le affermazio-ni del Garante che abbiamo citato e che richiameremo nel prosieguo sono reperibiliall’indirizzo telematico: http://www.garanteprivacy.it/garante/navig/jsp/index.jsp.

32 Le RFID, denominiate anche «etichette intelligenti», sono capaci di localizzareoggetti e persone, vengono oggi con sempre maggior frequenza (dato anche il costorelativamente contenuto) impiegate per la gestione aeroportuale dei bagagli; nelle bi-blioteche; per il controllo di beni e vengono collocate altresì sui vestiti. Per una disa-mina della problematica e dei principi elaborati nell’Unione Europea e fissati nella di-rettiva n. 95/46/CE (che in buona parte coincidono con quelli che negli USA sono co-nosciuti come «Fair Information Practices»), si veda la Newsletter del Garante del 5-11gennaio 2004: etichette intelligenti e biblioteche negli USA e quella del 24-30 novembre2003: etichette intelligenti. La posizione dei Garanti mondiali.

discipline ad hoc, per ogni singola fattispecie (il che, come appena vi-sto, ha delle ricadute sul principio di tipicità in materia penale), dal-l’altro può favorire il convergere dei singoli settori verso una discipli-na comune.

7. La videosorveglianza

Quanto precedentemente rilevato dimostra l’opportunità, in questasede, di portare ancora l’attenzione particolarmente sul regime di tu-tela dei dati somatici, atteso che, se il nostro aspetto fisico ha da sem-pre rappresentato la principale fonte di informazioni «sulla nostrapresenza», attualmente ciò risulta essere portato alle estreme conse-guenze dai sistemi «video» che permettono di rilevare la nostra effigieanche a distanza; avvertendo tuttavia che non costituirà oggetto dispecifica indagine la problematica di squisito sapore privatistico dellatutela dell’immagine se non per i profili più strettamente identitari 30.

Come documentato già dalla «Prima indagine sulla presenza di te-lecamere visibili in Italia» presentata dal Garante dei dati personali 31

nel luglio 2000, negli ultimi anni, anche a motivo del crollo dei prezzinel settore, si è assistito ad una rapida diffusione per i più svariati fi-ni delle tecnologie «video», ricomprendenti sia i sistemi di rilevazione(come gli autovelox e i dispositivi di localizzazione di telefonia mobi-le), sia, oggi, le c.d. «etichette intelligenti» (RFID) 32, sia più propria-

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L’identificazione biologica 39

mente i sistemi di video-controllo, i c.d. «occhi elettronici», che quiinteressano in quanto idonei a captare le informazioni somatiche in-dividuali.

È ormai pacifico 33 che le immagini, così come i suoni, qualorapermettano di identificare un soggetto «anche in via indiretta»debbano considerarsi «informazioni riferite ad una persona identi-ficata o identificabile 34», ed in quanto tali rientrino nell’ambito diapplicazione della convenzione n. 108 del 1981 del Consiglio d’Eu-ropa e della direttiva n. 95/46/CE (attuata la prima e recepita inbuona parte la seconda nel nostro ordinamento con la legge n. 675del 1996 e rifluita ad oggi nel Codice sulla privacy, il D.Lgs. n. 196del 2003) 35.

Le potenzialità identificative della videosorveglianza assommate algià accennato rilievo anche sul piano probatorio riconosciuto alle im-magini video, hanno indotto il Garante per la tutela dei dati persona-li ad intervenire «per individuare un punto di equilibrio tra esigenzedi sicurezza, prevenzione e repressione dei reati e diritto alla riserva-tezza e libertà delle persone» con una serie di provvedimenti di tiposia normativo, sia decisorio, promuovendo altresì, in particolare, lasottoscrizione di un codice di deontologia e di buona condotta per iltrattamento dei dati personali effettuato per lo svolgimento delle in-vestigazioni difensive (di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397), o per

33 Cfr. Parere del Garante, Città di Torino, Videosorveglianza sui mezzi di trasportopubblico urbano, in Bollettino n. 8 del marzo 1999, 57.

34 La direttiva considera «“identificabile” la persona che può essere identificata,direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento ad un numero diidentificazione o ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisi-ca, fisiologica, psichica». Si veda da ultimo Corte Giust. CE, sent. 6 novembre 2003,causa C-101/01 (in Foro it., 2003, IV, 57), che ha chiarito, tra l’altro, che anche l’ope-razione consistente nel fare riferimento in una pagina Internet a diverse persone enell’identificarle con il loro nome o con altri mezzi costituisce un trattamento di datipersonali interamente o parzialmente automatizzato.

35 Su questa base, il Garante ha affermato che le immagini di una persona acqui-site con un impianto di videosorveglianza costituiscono dati personali, con conse-guente possibilità per l’interessato di proporre l’istanza di accesso nei confronti del ti-tolare e del responsabile del trattamento (Ricorso del 19 dicembre 2001, Accesso aidati acquisiti mediante un impianto di videosorveglianza, in Bollettino del 23 ottobre2001, 40).

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40 Introduzione allo studio dell’identità individuale

36 Si veda in proposito Garante protez. dati, 28 novembre 2001, in Nuova giur. civ.comm., 2002, I, 697-702 (con nota di M. CATALLOZZI).

37 Così nella Premessa del «Provvedimento generale sulla videosorveglianza». Nel redigere quest’ultimo provvedimento il Garante si è ispirato alle linee-guida

del Consiglio d’Europa del 20-23 maggio 2003 (v. Relazioni annuali del Garante per il2002 e per il 2003, in www.garanteprivacy.it), e agli indirizzi formulati dalle autoritàeuropee di protezione dei dati riunite nel Gruppo istituito dalla direttiva n. 95/46/CE(nel Parere n. 4/2004 dell’11 febbraio 2004, come testimonia lo stesso Garante dei da-ti nella Relaz. annuale 2003, p. 101).

38 Così nel Comunicato stampa del 5 marzo 2000, Videosorveglianza: i comuni de-vono adeguare alla privacy la ripresa delle immagini; si veda altresì il Parere del 7 mar-zo 2000, in Bollettino n. 11 del gennaio 2000, p. 73.

far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, per lo più da par-te dei liberi professionisti o dei soggetti che esercitano un’attività diinvestigazione privata autorizzata dalla legge (art. 135, D.Lgs. n. 196del 2003) 36.

Nel redigere la normativa di riferimento il Garante ha mostratoparticolare considerazione della libertà di circolazione nei luoghipubblici e aperti al pubblico, ambiti in cui, sulla base di quanto affer-ma, tra l’altro, l’art. 8 CEDU, «non si possono privare gli interessati deldiritto di circolare senza subire ingerenze incompatibili con una libe-ra società democratica, derivanti da rilevazioni invadenti ed oppressi-ve riguardanti presenze, tracce di passaggi e spostamenti, facilitatidalla crescente interazione dei sistemi via Internet e Intranet 37».

Su questa base, fin dal primo periodo di manifestazione del feno-meno, l’Autorità ha auspicato che gli enti locali che avevano manife-stato la volontà di installare strumenti di video-identificazione su am-pia scala, dotandosi di sistemi di telecontrollo ambientale o di video-sorveglianza del territorio e del traffico cittadino, adeguassero le mo-dalità di ripresa delle immagini ai principi fondamentali previsti dal-la legge sulla privacy ed in special modo limitassero le possibilità diingrandimento delle riprese e il livello di dettaglio sui tratti somaticidelle persone inquadrate dalle telecamere 38.

Interventi sul campo e decisioni del Garante a parte, è possibileconsiderare che la disciplina della videosorveglianza si presentaconformata soprattutto da due provvedimenti generali: uno del 29 no-vembre 2000 c.d. «decalogo delle regole per non violare la privacy»,«completato» da quello del 29 aprile 2004 che ha stabilito regole più

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L’identificazione biologica 41

precise, tenendo anche conto delle indicazioni emerse in sede inter-nazionale e comunitaria 39.

Quest’ultimo provvedimento per alcuni versi ricalca la disciplinagenerale in materia di dati personali (col prevedere che la videosorve-glianza debba svolgersi nel rispetto dei principi di liceità, necessità,proporzionalità e finalità), tenendo conto, invece, per altri, delle pe-culiarità del mezzo.

In ogni caso, è previsto che «le ragioni delle scelte» (dell’impiego del-la videosorveglianza) debbano essere adeguatamente documentate in unatto autonomo conservato presso il titolare e il responsabile del tratta-mento «anche ai fini dell’eventuale esibizione in occasione di visite ispet-tive, oppure dell’esercizio dei diritti dell’interessato o di contenzioso».L’uso illecito di sistemi di videosorveglianza espone poi in tutti i casi al-l’impossibilità di utilizzare le immagini raccolte, al blocco e al divieto ditrattamento e, nelle ipotesi più gravi, a sanzioni amministrative o penali.

Il provvedimento sulla videosorveglianza, peraltro secondo unoschema ormai consolidato, distingue tra «soggetti pubblici» e «priva-ti ed enti pubblici economici»; e si occupa poi di quattro settori speci-fici: rapporti di lavoro, ospedali e luoghi di cura, istituti scolastici eluoghi di culto e sepoltura 40.

39 Si veda in proposito G. SALBERINI, La videosorveglianza e le nuove frontiere dellaprivacy, in I diritti dell’uomo: cronache e battaglie, 2000, 60-64.

40 Relativamente ai «rapporti di lavoro» è fatto divieto di porre controlli a distan-za sui lavoratori, peraltro secondo quanto già da tempo stabilito dall’art. 4 della leggen. 300 del 1970 (su cui C. CARNIELLI, Statuto dei lavoratori e controlli sui lavoratori: al-cuni casi pratici e qualche riflessione – nota a Cass. 5 maggio 2000, n. 5629; Cass. 3 no-vembre 2000, n. 14383; Autorità Garante protezione dati personali 13 gennaio 2001 –,in Dir. rel. ind., 2002, 27-39; si veda altresì in proposito, più di recente, M. AIMO, I «la-voratori di vetro»: regole di trattamento e meccanismi di tutela dei dati personali, in Riv.giur. lav. previd. soc., 2002, 45-134). Negli ospedali e nei luoghi di cura la raccolta deidati deve essere limitata ai casi di stretta indispensabilità (come per gli istituti scola-stici e i luoghi di culto) e può essere effettuata solo in determinati locali e in precisefasce orarie (si veda in proposito M. CATALLOZZI, Dati sanitari e dati genetici: una fron-tiera aperta?, in La nuova giur. civ. comm., 1999, I, 831-838). In ogni caso deve esseregarantito «un elevato livello di tutela della riservatezza e della dignità delle personemalate» ed è fatto divieto (a pena dell’applicazione di sanzioni penali) di diffondereimmagini idonee a rivelare lo stato di salute (artt. 22, comma 8, e 167 del Codice).

Quanto all’installazione di telecamere, seppur a circuito chiuso, negli istituti sco-lastici, si legge in una intervista rilasciata di recente dal Presidente dell’Autorità Ga-

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42 Introduzione allo studio dell’identità individuale

Esaminando la disciplina prevista per i soggetti pubblici, si rilevaprincipalmente che per tali soggetti la raccolta visiva dei dati è am-missibile solo ed esclusivamente per svolgere funzioni istituzionaliche [l’amministrazione] deve individuare ed esplicitare con esattezzae di cui sia realmente titolare in base all’ordinamento di riferimento(art. 18, comma 2, del Codice) 41.

Ai soggetti privati e agli enti pubblici economici le riprese video ef-fettuate senza il consenso dei soggetti interessati sono consentite solo senecessarie per adempiere ad obblighi di legge o per tutelare un interes-se legittimo a fini di tutela di persone e beni (artt. 23 e 24 del Codice) 42.

rante della Privacy Stefano Rodotà: «[…] ho già incaricato i miei uffici di chiedereun’esauriente relazione all’assessore alle Scuole soprattutto per capire come, quandoe perché il sistema di videosorveglianza, installato per il servizio notturno e per la si-curezza, venga utilizzato di giorno e per altri scopi. È chiaro che abbiamo bisogno diulteriori informazioni, per poi poter procedere nel verso giusto: io sono un giudice,quindi occorre agire con cautela» (La Repubblica, 4 novembre 2004, Telecamere nellescuole, Rodotà vuole spiegazioni, in Cronaca di Genova, VII). Peraltro il 10 febbraio2004 il medesimo quotidiano aveva già riportato la notizia della diffusione di webcam negli asili: «La web cam conquista l’asilo con un clic figli sotto controllo» (di G.DE Matteis, reperibile anche su www.repubblica.it).

41 Su questa base il Garante ha escluso l’utilizzabilità di webcam riproducenti an-che il sonoro per le riunioni di organismi pubblici le cui attività non sono aperte alpubblico (quali ad esempio le riunioni della giunta municipale o di varie commissio-ni e il ricevimento del pubblico e l’ordinaria attività degli uffici), ed invece ne ha am-messo l’utilizzo, pur raccomandando particolare cautela, per prevenire l’indebita di-vulgazione di dati sensibili, per riprendere le riunioni del consiglio comunale «purchéi presenti siano stati debitamente informati dell’esistenza delle telecamere e della suc-cessiva diffusione delle immagini» (Newsletter 28 maggio-3 giugno 2001; Newsletter11-17 marzo 2001). Sull’installazione di videocamere alle fermate degli autobus e suimezzi stessi, si veda il Comunicato stampa del 2 aprile 1999, Videocamere anticrimi-ne sugli autobus e alle fermate: come renderle compatibili con la privacy; sempre sul te-ma, C. GRANELLI, Il Garante, la privacy e le telecamere in Piazza Vetra, in Resp. civ. e pre-vid., 1997, 1320-1321 e G. DE CANDIA, Videosorveglianza, tutela dell’identità personale eautonomia regolamentare nella prassi amministrativa comunale. Profili valutativi teo-rici e pratici, in Nuova rass. legisl., dottr., giurispr., 2001, II, 1209-1223.

Per una disamina delle principali problematiche sul trattamento dei dati da partedei soggetti pubblici, P. COSTANZO, Aspetti e problemi dell’informatica pubblica, inScritti in onore di Victor Uckmar, I, Cedam, Padova, 1997, 291.

42 Pertanto, come si è preoccupato di evidenziare il Garante, «è totalmente desti-tuita di fondamento l’affermazione secondo cui l’attuale normativa sulla privacy nonconsente l’utilizzo nei supermercati di telecamere a circuito chiuso» (cfr. il Comuni-cato stampa del 5 settembre 2002, Unabomber: Garante su installazione telecamere; e

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L’identificazione biologica 43

In ogni caso, poi, i principali «requisiti» di liceità comportano l’in-stallazione degli impianti di videosorveglianza solo nei casi in cui lealtre misure siano insufficienti o inattuabili (il che, tra l’altro, a suavolta implica che non possa essere adottata la scelta semplicementemeno costosa, o meno complicata, o di più rapida attuazione) e allacondizione che vengano allestiti in modo proporzionato agli scopi chesi intendono perseguire 43.

Tra le disposizioni specifiche relative alla videosorveglianza 44, par-ticolare interesse desta inoltre l’obbligo per tutti i titolari del tratta-mento di sottoporre alla verifica preliminare del Garante i sistemi divideosorveglianza che prevedono la raccolta delle immagini collegatae/o incrociata e/o confrontata con altri particolari dati personali (ades. biometrici), oppure con codici identificativi di carte elettroniche ocon dispositivi che rendono identificabile la voce o, altresì, in caso didigitalizzazione o indicizzazione delle immagini, che rendono possi-bile una ricerca automatizzata o nominativa.

il Comunicato stampa del 25 luglio 2002, Unabomber: Garante su telecamere ipermer-cato) essendo al contrario permessa, sebbene nel rispetto delle norme in materia.

43 Di qui l’illiceità dell’installazione di impianti video a fini promozionali-turisticio pubblicitari (invece acconsentita in altri paesi), per esempio su spiagge; e l’illiceitàdell’installazione meramente dimostrativa o artefatta di telecamere non funzionantio installate per finzione, che anche se non comportano trattamento di dati personali,tuttavia possono determinare forme di condizionamento nei movimenti e nei com-portamenti delle persone in luoghi pubblici e privati (Comunicato stampa del 3 apri-le 2000, Videosorveglianza in mare: le telecamere su zone protette devono rispettare laprivacy e tutela della riservatezza e Newsletter del 23-29 luglio 2001).

Un approccio all’evidenza molto diverso rispetto a quello che mosse dapprimaBentham, nel 1791, nel progettare il suo prototipo di Pan-opticon (= posto che vedetutto) per sorvegliare le carceri e poi Foucault nel tentativo di realizzare «il perfettoapparecchio di governo».

44 Tra gli «adempimenti» è previsto innanzitutto il dovere di «informativa» agli in-teressati, per mezzo di segnalazioni visibili e formule «anche sintetiche, ma chiare esenza ambiguità» che devono indicare sia il soggetto che effettua la rilevazione delleimmagini sia gli scopi della ripresa stessa (art. 13, D.Lgs. n. 196 del 2003). Inoltrechiunque deve poter sapere che sta per accedere a (o che si trova in) una zona video-sorvegliata, anche in occasione di spettacoli pubblici (concerti, manifestazioni spor-tive). Sebbene raramente risulti essere rispettata, tale prescrizione si basa sia sulprincipio del consenso della cessione del proprio dato, sia sul principio di affidamento nei confronti del cittadini, non essendo mancato chi, in proposito, condivisi-bilmente ha evocato il principio di presunzione di innocenza. (Garante dei dati, Di-scorso del Presidente nella relazione annuale per l’anno 2003, 12).

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44 Introduzione allo studio dell’identità individuale

Lo stesso vale per i sistemi di videosorveglianza c.d. dinamico-pre-ventivi, quelli, cioè, che non si limitano a riprendere staticamente unluogo, ma sono capaci di rilevare percorsi o caratteristiche fisionomi-che (es. riconoscimento facciale) o eventi improvvisi, e più in genera-le comportamenti non previamente classificati. In tutti questi casi«scatta», per così dire, la presunzione di presenza di rischi specificiper i diritti e le libertà fondamentali e la dignità degli interessati. Diqui, come nel caso del trattamento di dati sensibili (ad esempio in ca-so di riprese di persone malate o di detenuti ex artt. 26 e 27 del Codi-ce) l’obbligo di autorizzazione preventiva ad opera del Garante.

L’incrocio di dati risulta essere di estremo rilievo in materia di identi-ficazione se si conviene che per ottenere un quadro di informazioni iden-tificative minimamente significative occorre avere a disposizione alme-no una coppia di elementi informativi, vale a dire il combinato dispostodi un dato identificativo «artificiale» e di uno «naturale», necessari a ve-rificare la corrispondenza tra elemento intellettivo e dato fisico: si pensi,per esempio, banalmente, a quando ci capita di imbatterci in nomi ap-puntati su fogli o in numeri (di telefono?!?) … questi dati di per sé non«informano» su alcunché essendo privi del necessario referente soggetti-vo. Qualcosa di analogo accade quando diciamo che una entità si chiama«bianchi»: questa informazione ha uno scarso valore identificativo, men-tre invece se aggiungiamo che ha gli occhi azzurri, forniamo un dato dirilievo, idoneo a farci capire che si tratta di una persona fisica. D’altrocanto anche un ritratto può avere un valore estetico immenso, ma sol diper sé presenta uno scarso (se non nullo) valore identificativo.

Per converso, se è vero che la potenzialità identificativa di un siste-ma è direttamente proporzionale alla sua idoneità a reperire ed incro-ciare tra di loro informazioni, è altresì vero che questa sua caratteri-stica è strettamente legata al grado di invasività della metodologiastessa sul piano del controllo 45.

45 Proprio sulla base dell’eccessiva invasività del mezzo, il Garante ha affermatoche viola il principio di proporzionalità, a fronte della generica esigenza di sicurezzaed in mancanza di specifici elementi che evidenzino una concreta situazione di ri-schio, la rilevazione di impronte digitali associate ad immagini nei confronti di chiun-que entri in una banca (in Altri atti o documenti, 7 marzo 2001, Videosorveglianza, rac-colta di impronte digitali associate ad immagini per l’accesso a banche, in Bollettino n.18 del marzo 2001, p. 42).

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L’identificazione biologica 45

46 Provvedimento generale sulla videosorveglianza del 29 aprile 2004, punto 3.4(Durata dell’eventuale conservazione).

47 Su questa base il Garante ha messo in luce il rischio che la proliferazione di que-sto tipo di sistemi comporta, di rendere meno efficace la tutela della sicurezza dei cit-tadini. Infatti nonostante le tecnologie video si siano affinate, continuano a ripropor-re i «tradizionali inconvenienti» legati alla variabilità «spaziale» dell’immagine ri-spetto al modello memorizzato (considerato che posizione, dimensioni e orienta-mento del viso nelle singole immagini non sono quasi mai identiche) ed alla sua «va-riabilità temporale» (legata alla fisiologica evoluzione del nostro aspetto esteriore),

In materia di identificazione, di rilievo risultano inoltre essere altredue indicazioni del Garante dei dati: la prima, che deriva ancora unavolta dall’applicazione del principio di proporzionalità (art. 11, com-ma 1, lett. e), del Codice), prevede che laddove non sia necessario ope-rare altrimenti il dato-video debba essere conservato per poche ore: almassimo per le ventiquattro ore successive alla rilevazione salvo ipo-tesi particolari dovute a specifiche esigenze tecniche (per esempio peri mezzi di trasporto) o per la peculiare pericolosità dell’attività svolta(per esempio le banche). Mentre la seconda impone che laddove pos-sibile la ripresa debba avvenire su soggetti anonimi.

Ora, considerata, per ovvie ragioni, l’inutilità di effettuare video-ri-prese del tutto anonime (date anche le caratteristiche del mezzo), ilprincipio dell’anonimato sembra piuttosto richiamare l’attenzionesulle modalità organizzative della videosorveglianza: è infatti richie-sto che «il sistema impiegato [sia] programmato in modo da operareal momento prefissato – ove tecnicamente possibile – la cancellazioneautomatica da ogni supporto, anche mediante sovraregistrazione, conmodalità tali da rendere non riutilizzabili i dati cancellati» 46.

8. I dati identificativi biometrici in senso stretto

Tornando ora sulla traccia principale del discorso, con la secondacategoria di dati identificativi indicati più sopra ci si trova senz’altroin presenza di un affinamento delle tecniche identificative e, per qual-che verso, di un superamento di taluni degli inconvenienti più evi-denti dei sistemi di identificazione basati sui dati «somatici» quali,esemplarmente, la loro già accennata variabilità nel tempo 47.

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46 Introduzione allo studio dell’identità individuale

Il grado di certezza che i sistemi d’identificazione basati su datibiometrici sono idonei a garantire varia tuttavia in modo proporzio-nale innanzitutto alla caratteristica dell’elemento biometrico conside-rato, vale a dire a seconda che esso sia «universale» piuttosto che«unico» e «permanente», alludendosi con il primo termine a queglielementi costantemente riscontrabili in tutte le persone fisiche, e congli altri due, rispettivamente, all’elemento identificativo distintivo diogni singola persona; e all’elemento che ciascuna persona conservaimmutabilmente nonostante il fluire del tempo 48.

L’efficacia della tecnica è poi strettamente legata alla «facilità» concui può essere reperita (anche «scoprendo» gli algoritmi di generazio-ne) o riprodotta: in proposito è stato messo in luce quello che da mol-ti è considerato «un difetto fondamentale»: vale a dire il fatto che que-ste metodiche non identificano persone, bensì corpi, come tali ripro-ducibili in modo relativamente facile 49.

Le principali tecniche biometriche utilizzate si basano su una doz-zina di tipi di dati distinguibili in dati biometrici «dinamici» e «stati-ci». I primi rappresentano elementi «di confine» in quanto più che su«modi di essere» della persona riguardano caratteristiche dei suoi«modi di fare» e per questo sono stati definiti come «tecniche di tipocomportamentale»: esse comprendono, per esempio, il «modo di scri-

per cui in molti casi si finisce col tollerare una soglia di errore tale da compromette-re il livello minimo di certezza dell’identificazione. Inoltre richiedono pur sempre lapresenza di forze di polizia capaci di operare sul campo all’atto del reperimento (cfr.Newsletter del 20-26 dicembre 1999, La telecamera da sola non serve a nulla).

48 Così al punto n. 2 del Documento di lavoro sulla biometria adottato il 1° agosto2003 da parte del Gruppo per la tutela dei dati personali (articolo 29) [DOC 12168/02/ITWP 80], reperibile all’indirizzo telematico: http://www.europa.eu.int/comm/internal_market/privacy/ docs/wpdocs/2003/wp80_it.pdf.

49 Cfr. S. GARFINKEL, Database Nation: The Death of Privacy in the 21st Century,O’Reilly & Associates, Cambridge, 2000.

Un esperto giapponese di crittografia ha dimostrato che ben 11 dei sistemi bio-metrici disponibili sul mercato per il riconoscimento delle impronte digitali possonoessere ingannati utilizzando impronte digitali «finte» ottenute con metodi estrema-mente semplici, a partire dall’utilizzo di stampi riempiti fondendo la gelatina per ge-nerare impronte finte (v. Newsletter del 20-26 maggio 2002, tratto da un articolo diJohn Leyden su The Register, 16 maggio 2002; e il Comunicato stampa del 18 settem-bre 2002, Buttarelli: la carta di identità elettronica come carta delle garanzie del cittadi-no).

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L’identificazione biologica 47

50 A proposito di cui, G. PIRONE, L’identificazione delle macchine per scrivere e degliautori di dattiloscritti, in Riv. di polizia, 1999, 323-340.

51 Per una ricognizione «storica» dei principali modi di impiego della grafia si vedail n. 33 dell’ottobre 2001 della Rivista Pour la Science (http://www.pourlascience.com/).Cfr. inoltre G. PIRONE, L’anonimografia e l’identificazione dei responsabili, in Giust.pen., 1985, I, 285-88.

52 Cfr. infra, Cap. III, sez. II, § 11.53 Per uno studio antesignano in materia si veda G. PIRONE, Impronte digitali: legge

e tecnica, in Giust. pen., 1976, I, 155-160.54 Sui limiti della tecnica di scansione dell’iride, New Scientist del novembre 2003

(http://www.newscientist.com/news/news.jsp?id=ns99994393).

vere» e la pressione esercitata su una tastiera 50, l’analisi dell’andatu-ra, la tonalità di voce, i movimenti labiali, e, non ultima, la tradizio-nale grafia 51 e la verifica della firma manoscritta.

A quest’ultimo proposito ci limitiamo a richiamare la disputa trachi sostiene che la sottoscrizione sarebbe argomento di prova solo edesclusivamente in quanto «mezzo di indicazione» delle generalità le-gali del soggetto; e chi, invece, afferma che non sarebbe l’indicazionedella firma a contare, bensì la sua autografia, vale a dire quella «trac-cia» capace di individuare, in qualità di elemento biometrico, l’autore«reale» dell’atto 52. Costoro richiamano a sostegno delle proprie tesi ladisciplina della sottoscrizione cambiaria (in particolare, l’art. 8, R.D.n. 1669 del 1933) che acconsente a che il documento olografo conten-ga una sottoscrizione con segno diverso dal nome nonché gli artt. 602e 2009 c.c. secondo cui, rispettivamente, nel testamento olografo lasottoscrizione è valida anche se non è fatta indicando il nome e tutta-via designa con certezza la persona del testatore; ed «è valida la gira-ta anche se non contiene l’indicazione del giratario»; inoltre richia-mano quella giurisprudenza che considera il documento «completoed efficace» anche quando il segno distintivo sottoscritto è illeggibile.

Ciò detto, i dati biometrici statici, altrimenti definibili come «tec-niche di tipo fisico e fisiologico», si basano sul riconoscimento di al-cuni caratteri fisici tendenzialmente fissi, come le impronte digitali 53,gli occhi (in particolare l’iride 54 e la retina), la geometria della mano,il reticolo venoso del polso, il letto ungueale, la conformazione delleorecchie, l’odore del corpo, il riconoscimento vocale e i pori della pel-le. Per vero anche il DNA rientrerebbe in tale categoria, ma, come sug-

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48 Introduzione allo studio dell’identità individuale

gerito dalla stessa sistematica del codice della privacy, è opportunoanalizzarlo separatamente a motivo delle sue spiccate peculiarità.

Peraltro, la valorizzazione dei dati in questione a fini di identifica-zione personale fa parte, come ogni buon giallista sa, del bagaglio in-vestigativo classico, anche se, come si accennava poc’anzi, alcune tec-niche di rilevazione di tali dati hanno soprattutto di recente grande-mente arricchito tale repertorio. Ciò spiega perché la giurisprudenzarisulti aver maggior dimestichezza con i dati biometrici più risalenticome, tipicamente, le intercettazioni telefoniche e di conversazioni, leregistrazioni vocali e le impronte digitali.

Di queste ultime in particolare la Cassazione ha ritenuto la «pienavalidità», e l’idoneità ad essere utilizzate dall’autorità giudiziaria comefonte di prova in armonia con il principio del libero convincimento,senza nemmeno il bisogno di elementi sussidiari di conferma anchenel caso in cui «riflettano una sola impronta, sia pure parziale, purchéevidenzino la sussistenza di almeno sedici o diciassette punti caratteri-stici uguali per forma e posizione fra le impronte digitali dell’imputatoe quelle rilevate sul luogo in cui è stato commesso il reato 55».

Ciò posto, è tuttavia riscontrabile la tendenza a non ritenere le im-pronte digitali idonee sol di per sé a fondare un giudizio di colpevo-lezza: infatti, in quei casi in cui a conforto del reperimento dell’im-pronta non vi sia nessun altro elemento, la giurisprudenza pervienegeneralmente ad un giudizio di assoluzione, sebbene non adottando,nella maggior parte dei casi, la formula assolutoria «piena» per insuf-ficienza di prove 56.

9. Il prelievo del dato biometrico: profili di costituzionalità

Si coglie inoltre l’opportunità di sottolineare come il reperimentodi taluni dei dati biometrici in parola sia relativamente agevole unavolta predisposte le tecniche necessarie, caratterizzando le corrispon-denti operazioni identificative come scarsamente o affatto intrusive:

55 Corte Cass., sez. V, 21 febbraio 1986, in Riv. pen., 1987, 504; si vedano altresìCorte Cass., 3 febbraio 1989, in Riv. pen., 1989, 1242; Corte Cass., 8 maggio 1986, inRiv. pen., 1987, 696.

56 Cfr. per tutte Corte Cass., 3 febbraio 1989, cit., 1242.

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L’identificazione biologica 49

sicché il reperimento (anche legittimo) piuttosto che il «furto» diinformazioni possono avvenire in molti casi senza che il soggettonemmeno se ne accorga.

La prima evenienza offre lo spunto per considerare come, in basealle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale (sent. n. 30 del 1962peraltro mai completamente smentita) – per cui al fine di sindacare lalegittimità (rectius la conformità all’art. 13 Cost.) del prelievo del datobiologico occorre di volta in volta verificare se tale operazione si limi-ti a intervenire sull’aspetto esteriore dell’individuo, lasciando integrala sua sfera di libertà sia fisica sia psichica, o piuttosto comporti unamenomazione della libertà della persona pari a quella dell’arresto –,nella maggior parte dei casi il prelievo di dati biometrici con le tecni-che rese attualmente disponibili dalla scienza risultino intervenire sulsolo aspetto esteriore e perciò stesso essere del tutto rispettose della li-bertà personale 57. Sicché, tali tecniche, seguendo il ragionamento del-la Corte, rappresenterebbero «soltanto una forma di prestazione im-posta, al fine della prevenzione dei reati, a certi individui che si trovi-no in determinate condizioni previste dalla legge 58».

Del resto su questa stessa base la Corte ha successivamente avutomodo di affermare la liceità del prelievo ematico (artt. 186-188, D.Lgs.30 aprile 1992, n. 285 e succ. modif.) «ormai di ordinaria ammini-strazione nella pratica medica, talché può essere persino effettuato dainfermiere professionali» che «né lede la dignità o la psiche della per-sona, né mette in alcun modo in pericolo la vita, l’incolumità o la sa-lute della persona», salvo particolari casi patologici eccezionali cheperaltro il perito medico-legale sarebbe facilmente in grado di rileva-re (sentenze n. 54 del 1986 e n. 194 del 1996) 59. E altresì la ragione-volezza della previsione di una diversa disciplina per l’accertamento

57 Corte cost., 27 marzo 1962, n. 30, in Giur. cost., 1962, 240-242. Si vedano in pro-posito D. SCELLINO, Corte Costituzionale e accertamenti peritali coattivi incidenti nellasfera corporale della persona, in Legisl. pen., 1997, 173-178; L. BOCCHI, Libertà persona-le e visita di leva: il rilevamento dattiloscopico, in Riv. trim. dir. pubbl., 1992, 134-157.

58 Nell’ambito della riserva di legge previsto dall’art. 13 Cost. si pone l’art. 4 delTulps (cfr. supra, nota 18).

59 Corte cost., 24 marzo 1986, n. 54, in Giur. cost., 1986, 387-391 e Corte cost., 12giugno 1996, n. 194, in Giur. cost., 1996, 1767-1777; su cui D. VIGONI, Corte Costituzio-nale, prelievo ematico coattivo e test del DNA, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 1022-1051.

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50 Introduzione allo studio dell’identità individuale

dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope (in particolare la previ-sione della loro effettuazione in strutture pubbliche all’uopo predi-sposte), visto e considerato che, allo stato scientifico attuale, la stru-mentazione tecnica utilizzata è diversa, maggiormente intrusiva edunque lesiva della libertà personale (ordinanza n. 306 del 2001).

10. Segue: la modellizzazione del dato biometrico

Per altro verso ancora, la «facilità di reperimento» va di pari passocon il rischio di «furti» di informazioni personali che, tra l’altro, in al-cuni casi, specie relativamente ai dati biometrici «dinamici», consistononel «semplice» reperimento di tracce lasciate (o contenute) su supportiin molti casi «di pubblico dominio»: chi non lascia almeno un’improntadigitale da qualche parte nel corso della giornata? Ma, anche, chi nonapre almeno una volta gli occhi? Chi non dice almeno una parola?

Tale «inevitabilità» se da un lato pone in luce il perché, in tale set-tore, abbia «poco senso il proibizionismo 60», dall’altro rende ragionedell’importanza, dove possibile, del momento della metodologia ac-quisitiva dello strumento tecnico utilizzato per il reperimento del-l’informazione 61.

E cioè, risulta essere fondamentale la fase di «modellizzazione» deidati (che comporta sia l’«iscrizione», consistente nella raccolta e nellaconservazione del dato biometrico «grezzo», sia, successivamente,l’applicazione degli opportuni algoritmi di estrazione e protezione), in

60 Così il Garante nella Newsletter del 2-8 giugno 2003, Prospettive per una bioetica la-tina.

61 Sulle condizioni di legittimità dell’applicazione delle tecniche biometriche al fi-ne di salvaguardare la sicurezza delle banche si veda il Comunicato del 1° ottobre2001 e il Bollettino n. 22 del luglio 2001, p. 82, Rilevazioni biometriche presso istitutidi credito.

Peraltro in altre occasioni il Garante non ha mancato di prese di posizione ferma-mente contrarie (anche nei confronti degli stessi istituti bancari) «all’uso di un siste-ma così invasivo come quello di rilevazione delle impronte digitali», laddove il termi-ne «invasivo» è utilizzato come sinonimo di «sproporzionato»: ci riferiamo in parti-colare allo «stop» all’uso indiscriminato dei sistemi di rilevazione delle impronte di-gitali impartito a due amministrazioni pubbliche (una mensa universitaria e una bi-blioteca comunale), v. Newsletter del 12-18 gennaio 2004: Impronte digitali in mensa ein biblioteca.

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L’identificazione biologica 51

62 I Garanti europei hanno poi auspicato che laddove non sia necessario conosce-re l’identità del soggetto (a partire dagli studi statistici), si ricorra all’anonimato oall’uso di pseudonimi; e che in ogni caso vengano valorizzate le tecnologie a difesadella vita privata, in particolare le Privacy Enhancing Technologies (Newsletter n. 215del 31 maggio-6 giugno 2004 che richiama il documento di lavoro sulla biometria, cfr.supra, nota 48). Siffatte indicazioni paiono essere state in parte recepite dalle linee-guida per l’impiego delle tecniche biometriche nelle pubbliche amministrazioni (inQuaderni 9, anno I, novembre 2004, 42; reperibili anche in http://www.cnipa.it).

cui viene creato un «modello» destinato ad essere conservato in regi-me di sicurezza, dato che è proprio durante questa fase che è possibi-le anonimizzare il dato, mantenendo separata l’identità «fisica» daquella anagrafica dell’interessato, col vantaggio di ovviare ai rischicollegati alla facilità che caratterizza le operazioni di reperimento.

Di un tale ordine di problemi si sono mostrati del resto preoccupatii Garanti europei della riservatezza, auspicando che siano ridotti alpossibile i casi di liceità dei trattamenti di dati ottenuti a partire datracce lasciate inconsapevolmente dagli individui e che le relative infor-mazioni siano trattate tramite applicazioni matematiche (cifratura, al-goritmi o funzioni di hashing), idonee a trasformarle al fine di evitarela combinazione dei dati biometrici con quelli di diversa natura (ana-grafici in particolare) 62.

11. La tutela del dato biometrico

Dovendo ora affrontare, secondo il modulo binario inaugurato inprecedenza (tecniche identificative/tecniche di tutela), il regime diprotezione dei dati «biometrici in senso stretto», è possibile limitar-si ad osservare come essa in certo modo rifletta la natura (almeno)ambivalente di tali dati ricalcando, a seconda dei casi, in parte quel-la dei dati somatici, per quanto concerne la videosorveglianza, ed inparte quella dei dati genetici, caratterizzata da un maggior rigoresotto il profilo garantista.

Relativamente a questo tipo di dati i Garanti europei hanno elabo-rato una serie di indicazioni che intendono fornire un quadro di rife-rimento omogeneo a livello europeo sia per l’industria dei sistemi bio-metrici sia per gli utenti, che qui in estrema sintesi indichiamo: in pri-mo luogo, ribadiscono che il dato biometrico è e resta «assolutamen-

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te personale» anche in forma di «template», ossia, come visto, di mo-dello matematico, perché comunque si riferisce ad una persona fisica«identificata o identificabile» attraverso «uno o più elementi specificicaratteristici della sua identità fisica»: ne consegue che si applicanointegralmente i principi della Direttiva in materia di protezione deidati personali, fin dalla fase di «modellizzazione» 63.

Vale inoltre anche per i dati biometrici il principio di liceità, cheimplica che la persona interessata abbia manifestato il proprio con-senso in maniera inequivocabile (art. 7, direttiva n. 95/46/CE) ed al-tresì quelli di finalità e proporzionalità che rendono necessario valu-tare se il ricorso a queste tecniche sia realmente proporzionato ri-spetto alle finalità che si intendono conseguire, o se è possibile utiliz-zare modalità meno invasive. In ogni caso, i garanti accordano prefe-renza alla memorizzazione di questo tipo di dati su un dispositivo pe-riferico (smart card, tessera magnetica) piuttosto che centralizzato(sempre che il supporto esterno funzioni davvero come «contenitore»delle proprie informazioni personali e non come semplice «chiaved’accesso» a banche dati centralizzate), perché in questo modo il sog-getto ha un controllo diretto sulla gestione del «dato» e può ridurre leoccasioni di «incrocio» e di rischio per i suoi diritti e libertà fonda-mentali 64.

In ambito interno il trattamento di dati biometrici comporta da unlato l’obbligo di notificazione al Garante (art. 37 del Codice), ad ecce-zione, a determinate condizioni, degli esercenti le professioni sanita-rie e gli avvocati, e dall’altro la loro «considerazione» alla stregua ditrattamenti che possono comportare «rischi specifici» (art. 55 del Co-dice), per i quali è previsto l’obbligo di comunicazione al Garante (art.39 del Codice) e la verifica di questi prima dell’inizio del trattamento(art. 17 del Codice) per accertarne la liceità 65.

63 Cfr. p. 3.8 del documento di lavoro sulla biometria.64 Cfr. Newsletter del 8-14 settembre 2003, Impronte digitali ed iride. Le indicazioni

dei Garanti europei.65 Trattasi del c.d. “prior checking”, destinato a dar luogo a verifiche preventive

quando i trattamenti dei dati presentino «rischi specifici per le libertà fondamentali,nonché per la dignità dell’interessato, in relazione alla natura dei dati o alle modalitàdel trattamento o agli effetti che può determinare». Già previsto dal D.Lgs. n. 467 del2001 e di cui parte della dottrina ha evidenziato la natura di «limite alla progressiva

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flessibilizzazione del sistema» sebbene evidenziando al contempo la difficoltà di fu-gare la sensazione che in una materia tanto “sensibile” «il legislatore sia rimasto mol-to al di qua del suo compito […] dal momento che, tra le tecniche di protezione a cuila Costituzione fa specificamente ricorso, gioca un ruolo essenziale la riserva di legge[…]» (così P. COSTANZO, Profili costituzionali di Internet, in Problemi giuridici di Inter-net, (a cura di E. TOSI), Giuffrè, Milano, 2003, 68).

66 Citiamo per tutti R. DULBECCO, Ingegneri della vita, CDE, Milano, 1988; G. POLI,Biotecnologie: principi ed applicazioni dell’ingegneria genetica, Utet, Torino 1997; J.CHERFAS, Ingegneria genetica: la scienza della vita artificiale, Bollati Boringhieri, Mila-no, 1986; S. ALDRIDGE, Il filo della vita: storia dei geni dell’ingegneria genetica, Dedalo,Bari, 1999, 130 e F. TERRAGNI, Il codice manomesso: ingegneria genetica: storia e pro-blemi, Feltrinelli, Milano, 1989.

67 Com’è noto, il DNA è composto da due sottilissimi filamenti avvolti tra di loro aformare una doppia elica costituiti a loro volta da un numero considerevole, variabileda specie a specie, di sequenze di basi azotate o nucleotidi (adenina; citosina; guani-na; timina), ciascuno presenta «ai lati» una molecola di zuccheri ed una di fosfati chesi susseguono in maniera fissa per ogni individuo. I due filamenti si accoppiano inmodo tale che là dove su di uno appare la lettera A (adenina), su quello corrisponden-te appare la T (timina); mentre alla lettera C (citosina), corrisponde la G (guanina).

12. I dati identificativi genetici

La molecola di DNA nel cuore di ogni cellula umana costituisce«l’impronta genetica» di ciascuno di noi 66. La scienza ci ha insegnatoda tempo che ogni essere umano possiede un patrimonio geneticounico, il «genoma», che gli viene fornito per metà da ciascun genitoreal momento della fecondazione, allorquando si trova nel nucleo diuna sola cellula somatica composta da 23 paia di cromosomi.

I cromosomi contengono i geni, i quali a loro volta, sono formati daserie di successioni di quattro basi 67, immaginabili come lunghi «na-stri» riavvolgentesi in sé, i quali assumono nel loro insieme l’ormaiben nota struttura a «doppia elica» (i cui due «assi portanti» sono pro-prio i cromosomi), che è la molecola di DNA. Del pari noto è che taligeni permettono di identificarci univocamente, perché l’architetturabiologica di ciascuno di noi risulta essere caratterizzata da una pro-pria specifica sequenza di basi che viene ripetuta in ogni cellula.

Per altro verso, sebbene nei tre miliardi di paia di basi della se-quenza del DNA umano ci siano ampie possibilità di variazionenell’ordine delle quattro basi, tuttavia tutte le molecole di DNA pre-sentano una forte somiglianza (a partire dal numero di cromosomi),

3.

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68 Questa regola conosce una sola eccezione: i gemelli monozigotici, i quali, infat-ti, hanno genomi identici, perché si sviluppano da uno stesso uovo fecondato, che du-rante le prime due settimane di gravidanza a un certo punto si suddivide in due em-brioni. Le ricerche sui gemelli sono importanti per valutare quanto contribuiscano ri-spettivamente i geni e l’ambiente nel determinare i vari aspetti della costituzione fisi-ca e mentale dell’individuo (anche in vista dello studio dei possibili effetti della clo-nazione di geni umani).

69 Si vedano in proposito V. BARBATO-F. CORRADI-G. LAGO, L’identificazione perso-nale tramite D.N.A., in Dir. pen. e proc., 1999, 215-220.

grazie alla quale noi tutti siamo e ci comportiamo come membri diuna stessa specie.

Sempre la scienza riferisce che solo il 10% di quanto contenuto nelgenoma è «codificante», vale a dire destinato a manifestarsi nel corsodella vita dell’individuo, mentre il restante 90% – vale a dire la mag-gior parte – del DNA viene volgarmente chiamato «DNA-spazzatura»perché non codifica per proteine.

Anche quest’ultima componente è però rilevante ai nostri fini, per-ché è proprio nelle sequenze di DNA non codificanti che si trova lamaggior parte delle «differenze genetiche» tra membri della stessaspecie e dunque le impronte genetiche caratterizzanti e distinguentil’individuo. Tuttavia, a quanto ne sappiamo, esse non hanno alcunainfluenza sul fenotipo, cioè sulla nostra identità fisica, ovvero ancorasui caratteri fisici che ci caratterizzano come i lineamenti del viso, ilcolore degli occhi, la statura, ecc., perché, appunto, non si manifesta-no e dunque «non appaiono» esteriormente 68. Mentre è dall’analisidella componente codificante che risulta possibile ricavare le «attitu-dini identitarie» individuali, ivi incluse le informazioni sulla sua pre-disposizione a malattie.

La nostra identità biologica è dunque scritta essenzialmente nelDNA ed in particolare nei geni (di qui la denominazione «identità ge-netica»), la cui caratteristica esenziale pare consistere nel fatto di con-tenere molteplici informazioni utilizzabili sia a scopo «identificati-vo», sia a fini «predittivi» 69.

In quanto mezzo di distinzione della persona, l’insieme di tutti i da-ti genetici individuali rappresenta l’«identikit» della nostra «architet-tura genetica»; mentre nel secondo caso, che è quello che maggior-mente ci consente di apprezzarne le capacità espressive, il patrimonio

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70 Per analizzare le informazioni genetiche è necessario eseguire appositi tests sulDNA (c.d. «tests genetici»), le cui potenzialità furono messe in luce tra i primi da AlecJeffreys (ricercatore dell’Università di Leicester) nel corso degli anni Ottanta e poivennero progressivamente affinate grazie all’applicazione del PCR e delle tecnologieinformatiche.

Jeffreys valorizzò in qualche modo la complessità del DNA umano che, a suo dire,«agli occhi dell’esperto presenta un paesaggio molecolare piuttosto caratteristico», «flui-do», formato da sequenze di esoni ed introni, in cui i geni interagiscono tra di loro e pos-sono anche «saltellare» e reinserirsi in punti diversi (invero la scoperta di elementi gene-tici trasponibili, o «trasposoni», venne fatta dalla genetista Barbara McClintock oltre 40anni fa). In questo scenario lo scienziato scelse infatti dei «minisatelliti», cioè tratti diDNA formati da una stessa sequenza – di solito non superiore a 20 basi – ripetuta conse-cutivamente un certo numero di volte, che risultava variare da individuo a individuo aguisa di un vera e propria «impronta digitale genetica» («DNA fingerprinting» appunto).

71 Nel 1992 in Inghilterra e Galles, ammontavano a più di 2500 i casi in cui risulta-va essere stato usato il test del DNA (nonostante riguardassero solo i crimini più gravi).Sempre l’Inghilterra insieme questa volta agli Stati Uniti, sono stati tra i primi ordina-menti ad intraprendere programmi legislativi per l’istituzione di banche dati del DNA.

72 Cfr. V. PASCALI-E. D’ALOJA, L’identificazione in biologia forense a sei anni dall’in-troduzione dei profili polimorfi del DNA tra imprevisti problemi e concetti emergenti, inRiv. it. med. leg., 1991, 753-770; A. GARGANI, I rischi e la possibilità dell’applicazione

genetico può essere immaginato come una via di mezzo tra le pedinedegli scacchi e le carte distribuite per giocare a «poker», in cui le pos-sibili mosse dipendono in buona parte dal caso ma anche da scelte in-dividuali.

13. Segue: le applicazioni in campo giuridico

I principali problemi sorti in seguito all’utilizzo delle tecnologiec.d. DNA fingerprinting 70, sono stati sia di ordine tecnico, sia di ordi-ne giuridico 71. Dal punto di vista tecnico, occorre ricordare che, spe-cie all’inizio, non erano infrequenti i casi di errori sia all’atto del re-perimento del materiale biologico (per esempio, la raccolta di traccedi persone incolpevoli che erano state sul luogo del reato in altri mo-menti), sia durante l’analisi in laboratorio (a causa, ad esempio, delrapido deperimento dello stesso materiale).

Dal punto di vista giuridico, s’è posto preliminarmente il problemadell’ammissibilità dei risultati dalle analisi genetiche nell’ambito delprocesso 72: negli ordinamenti, come ad esempio i Paesi Bassi, che si

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caratterizzano per aver scelto un sistema probatorio «chiuso», «la pro-va genetica» è tale solo se prevista dalla legge; più pragmaticamentealtri sistemi, come gli USA e il Canada, hanno considerato i risultatidel «DNA fingerprinting» prove a tutti gli effetti a motivo della loro ele-vata affidabilità 73. Ma, una volta risolto positivamente tale problema,si è posto quello del «rilievo» probatorio, che per vero parrebbe gene-ralmente esser stato accettato, pervenendo, anzi, la prova del DNA adesser considerata come «la regina» delle prove in materia penale, o,come è stata anche definita, «la prova del terzo millennio 74», anche se«la portata» innovativa non sempre sembra essere valorizzata.

Così, ancora di recente, la Corte di Cassazione ha messo in luce il po-tere-dovere di valutare l’oggettiva potenzialità degli elementi addotti dalrichiedente, «ancorché costituiti da “prove” formalmente qualificabilicome “nuove”», a dar luogo a una necessaria pronuncia di prosciogli-mento, in un caso in cui si discuteva di una istanza di revisione della sen-tenza di condanna fondata su nuove scoperte scientifiche in tema di ri-cerca del DNA, ritenute in grado di far escludere la compatibilità del san-gue dell’imputato con quello ritrovato sul luogo dell’omicidio ascrittogli.In alcune occasioni, poi, si perviene a decisioni contraddittorie: cosìmentre in un caso non è stato ammesso l’espletamento di una perizia sulDNA che avrebbe consentito, secondo l’istante, accertamenti più sofisti-cati sul reperto sanguigno, non considerando poter essere valutata come«prova nuova» quella derivante dall’esame del DNA 75, viceversa in un’al-tra vicenda analoga la richiesta di revisione è stata ammessa 76.

dell’analisi del DNA nel settore giuridico, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, II, 1307-1332;D. ZAVATTARO, L’identificazione e il problema dell’interpretazione del dato scientifico. Ri-flessi dibattimentali, in Rass. arma carabinieri, 2001, 53-65.

73 Si veda, tra gli altri, E. LAJARTE, L’identification biologique en matière pénale, inL’identité de la personne humaine, cit., 463-491.

74 Così E. LAJARTE, L’identification biologique, cit., 465, che rileva anche che essaavrebbe, per altro verso, contribuito a limitare fortemente il principio del «libero con-vincimento del giudice».

75 La seppure diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali già noti sisarebbe risolta, infatti, in realtà, nella reiterazione di apprezzamenti critici in ordinea informazioni già conosciuti e apprezzati nel giudizio (Corte Cass., 23 febbraio 1998,n. 1095, in Cass. pen., 1999, 1216).

76 Cfr. Corte Cass., sez. V, 22 aprile 1997, n. 1976, in Cass. pen., 1998, 912 (con no-ta di P. Bronzo).

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77 Cfr. art. 5 Dichiarazione Unesco sul genoma umano; artt. 5 e 12 Conv. Europeadi Bioetica; e, da ultimo, art. 3 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Sultema V. ZAMBRANO, Il trattamento terapeutico e la falsa logica del consenso, in Rassegnadi diritto civile, 2000, 760-795.

78 Corte cost., 24 marzo 1986, n. 54, in Giur. cost., 1986, 387-391 su cui, D. VIGONI,Corte Costituzionale, prelievo ematico coattivo e test del DNA, cit., 1022 ss.

Peraltro ulteriori problemi (e forse quelli di maggior momento) sisono posti allorché si è trattato di stabilire le corrette modalità di ac-quisizione del materiale d’indagine. Più precisamente, se, relativa-mente ai frammenti reperibili sul luogo del delitto, nulla quaestio, inodi critici si manifestano quando la materia biologica deve esseretratta direttamente dalla persona. Così, ricordiamo che, già nei primicasi in cui negli USA si fece uso in ambito forense dei tests genetici, igruppi per la difesa dei diritti civili sostennero con forza la necessitàdi restringerne l’effettuazione a chi avesse commesso crimini partico-larmente efferati. Mentre più di recente ha suscitato accesi dibattiti laproposta di raccogliere informazioni genetiche al momento della na-scita, al fine di poter disporre dei dati necessari per poter svolgereeventuali screening genetici nel corso della vita.

Le soluzioni adottate per far fronte a quest’ultimo ordine di pro-blemi variano prevedibilmente in relazione ai principi processuali invigore e alla circostanza che si verta in materia civile o penale, per cuipossono darsi ordinamenti nei quali, sulla base del principio nemo te-netur se detegere, la legittima effettuazione di test genetici è subordi-nata al consenso del soggetto 77, ma al giudice è dato per solito mododi trarre le dovute conseguenze da un eventuale rifiuto, e altri nei qua-li sono invece previste forme dirette di reazione, quali l’irrogazione disanzioni penali o addirittura la costrizione al trattamento a condizio-ne che non ci siano rischi per la salute del soggetto e che tale misurasia autorizzata dal giudice.

Per quanto più da vicino ci riguarda, può ricordarsi che in campopenale il previgente codice di rito sembrava gravitare in quest’ultimoordine di idee come esemplarmente evidenziato dalla sentenza n. 54del 1986 della Corte Costituzionale 78, che dichiarò infondata la que-stione di legittimità costituzionale degli artt. 146, 314, 317 del predet-to codice, nella parte in cui prevedevano la facoltà del giudice istrut-tore di disporre, senza limite alcuno, il prelievo ematico coattivo, pur

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79 Su cui, M. RUOTOLO, Il prelievo ematico tra esigenza probatoria di accertamentodel reato e garanzia costituzionale della libertà personale. Note a margine di un man-cato bilanciamento di valori, in Giur. cost., 1996, 2151-2162; M. BARNI, Il prelievoematico: un atto peritale possibile ma non senza regole, in Riv. it. med. leg., 1996,1197-1208; F. MECHELLI, Il prelievo ematico coattivo e la sua ammissibilità alla lucedei principi costituzionali, in Dir. fam. pers., 1997, I, 15-24; M. GIACCA, In tema di pre-lievo ematico coatto: brevi note a margine della sentenza della Corte costituzionale n.238 del 1996, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 602-611.

puntualizzando che avrebbe comunque incontrato i limiti derivantidai principi costituzionali, nel senso che sarebbe stato necessario ol-tre a un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, che il pre-lievo ematico non mettesse a repentaglio la vita, la salute o l’incolu-mità o risultasse lesivo della dignità della persona o invasivo dell’inti-mo della sua psiche.

Il codice di procedura penale del 1988 che ha certamente innovatosul punto eliminando questo meccanismo, ha però affidato in toto algiudice di decidere discrezionalmente in materia, così esponendosialla censura del giudice costituzionale, che (non senza un’esplicitapresa di distanza dalla pronuncia precedente), con la sentenza n. 238del 1996 79, a fronte delle garanzie disposte dalla Costituzione in ma-teria di libertà personale, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 224,comma 2 (seconda proposizione), nella parte in cui consentiva misu-re restrittive della libertà personale finalizzate all’esecuzione della pe-rizia, ed in particolare il prelievo ematico coattivo, senza determinarela tipologia delle misure esperibili e senza precisare i casi ed i modi incui esse sarebbero potute essere adottate.

Rispetto al settore penale, in campo civile (in cui le maggiori appli-cazioni si ritrovano nell’ambito dei rapporti di filiazione) il principiodel consenso è stato ancor più ampiamente valorizzato dalla stessagiurisprudenza della Corte Costituzionale, che l’ha posto a fondamen-to delle due sentenze n. 471 del 1990 e n. 257 del 1996, nelle quali lapossibilità di accertamenti sulla persona è stata subordinata alla pre-stazione del consenso ad opera delle parti processuali.

Resta pur tuttavia possibile per l’organo giudicante, in virtù, anco-ra una volta del principio della libera valutazione della prova da partedel giudice, dedurre argomenti di prova dal rifiuto del soggetto di sot-toporsi a prelievi ematici al fine dell’espletamento dell’esame delDNA. Rifiuto, come ha avuto modo di precisare ancora di recente la

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80 Ci riferiamo a Corte Cass., sez. I, 3 marzo 2003, n. 5116 che, per i motivi indi-cati ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituziona-le – per violazione degli artt. 13, 15, 24, 30, 32 Cost. – del combinato disposto degliartt. 269 c.c. e 116 e 118 c.p.c. In senso diverso Corte Cass., sez. I, 7 novembre 2001,n. 13766, che tuttavia ha affrontato lo specifico problema della possibilità per il padrepresunto di rifiutare di sottoporsi all’esame del DNA, invocando gli artt. 10 e 12 della(allora) legge n. 675 del 1996, negando tale facoltà (si veda in proposito V. GRECO,Esame del D.N.A. - Accertamento della paternità, in Studium iuris, 2002, 1111-1112).

Le sentenze della Corte cost. 22 ottobre 1990, n. 471 e 19 luglio 1996, n. 257 sonoreperibili, rispettivamente, in Giur. cost., 1990, 2818-2821 e in Giur. cost., 1996, 2306-2314 (con nota di M. Ruotolo).

81 Trib. Min. L’Aquila, 8 novembre 2000, in Fam. e dir., 2001, 549 (con nota di A.FIGONE).

82 Corte App. Perugia, 17 settembre 1993, in Dir. fam. pers., 1994, 618; si veda al-tresì Corte Cass., sez. I, 22 ottobre 2002, n. 14887, in Fam. e dir., 2003, 5 (con nota diV. Carbone). Sul tema, tra gli altri J. POUSSON PETIT, Empreintes génétiques et filiation:les discordances et les inchoérences juridiques, in L’identité de la personne humaine,cit., 431-462.

Cassazione, da cui non deriva né la restrizione della libertà personale,dal momento che il soggetto rimane pur sempre libero di determinar-si in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, né la violazionedella riservatezza in quanto l’uso dei dati non può che essere rivolto afini di giustizia e l’attività è coperta da segreto professionale 80.

14. La prova genetica nella giurisprudenza

Ciò detto, sebbene la «prova genetica» goda della più ampia fiduciada parte dei giudici, ci troviamo tuttavia ancora una volta a constata-re come da sola tale informazione non sembri bastare, essendo neces-sario che venga integrata da ulteriori elementi: così, secondo il Tribu-nale dei minori dell’Aquila, «pur in presenza di una percentuale assaielevata di probabilità circa il rapporto di filiazione biologica, acquisi-ta attraverso la prova del DNA di un soggetto defunto da alcuni anni,deve essere respinta la domanda di dichiarazione giudiziale di pater-nità, ove le risultanze della consulenza tecnica non trovino riscontronegli elementi raccolti in sede di istruttoria, di per sé equivoci, sia pre-si singolarmente, sia nel loro insieme 81».

In una pronuncia, poi, del 1994 della Corte di Appello di Perugia 82,

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83 Così Corte App. L’Aquila, 14 marzo 2002, in Giur. it., 2003, 87. Sulla necessitàche gli elementi presuntivi raccolti presentino i requisiti previsti dall’art. 2729, com-ma 1, c.c., e cioè che i vari indizi sia presi singolarmente, sia nel loro insieme debba-no risultare non equivoci ovvero debbano mantenere sempre la stessa valenza ed in-tensità, che la loro lettura coordinata debba portare al medesimo risultato, che tuttigli elementi indiretti, fra cui la stessa prova del DNA, non debbano trovare smentita,si veda Trib. Min. L’Aquila, 8 novembre 2000, cit.

84 Corte Cass., sez. I, 22 ottobre 2002, n. 14887, cit., 5.

60 Introduzione allo studio dell’identità individuale

è stata accolta la domanda di declaratoria della paternità naturale, anulla rilevando, in contrario, l’allegazione dell’«exceptio plurium con-cubentium» e dell’asserita sterilità dell’uomo, a seguito di un accerta-mento completo ed approfondito di tipo ematologico e genetico rasen-tante «la certezza matematica» ma, si badi, corroborato dalla c.d. «pro-va storica», che nella fattispecie era data dalla dimostrazione dell’esi-stenza di un rapporto affettivo stabile e durevole tra la madre del mi-nore ed il preteso padre oltre che da ulteriori circostanze di rilievo. Edancora, si trova che «solo se l’esame del DNA del defunto padre attri-buisce il 99,96% di probabilità di esito positivo e si aggiunge ad essouna serie di elementi univoci positivi 83» (nella specie, relazione tra ilpresunto padre e la madre, la conoscenza da parte di amici e parentidel defunto del fatto che questi era riuscito ad avere con inseminazio-ne artificiale una figlia, ecc.), è possibile dichiarare giudizialmente lapaternità naturale del soggetto non più in vita. Sempre su questa basesecondo la Cassazione il marito non può utilizzare l’esito della provaematologica per disconoscere la paternità di quelli che credeva i suoi fi-gli se non dopo aver dimostrato che la moglie lo ha tradito «perché il te-st sul DNA non vale come “implicita prova dell’adulterio” 84».

15. La tutela dei dati genetici

Venendo ora al profilo della tutela, occorre subito rilevare la para-dossale situazione per cui, a dispetto dell’appena visto uso processuale,seppur cauto, dell’identificazione genetica, non esiste una definizionenormativa dell’informazione genetica. In questo senso, secondo alcuni,il recente Codice della privacy avrebbe mancato un’importante occa-sione per addivenirvi, sebbene altri considerano tutto sommato che la

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85 Così al punto III del Documento di lavoro sui dati genetici adottato il 17 marzo2004 da parte del Gruppo per la tutela dei dati personali (articolo 29) [Doc.12178/03/IT WP 91], reperibile all’indirizzo telematico: http://europa.eu.int/comm/in-ternal_market/privacy/ docs/wpdocs/2004/wp91_it.pdf. In quanto dati personali «sensi-bili», i dati genetici sono certamente soggetti alla direttiva n. 95/46/CE, in particolareai principi di pertinenza, di proporzionalità, di finalità e di informazione del tratta-mento al titolare del dato.

86 Cfr. sul tema F.M. CIRILLO, La progressiva conoscenza del genoma umano: tuteladella persona e problemi giuridici connessi con la protezione dei dati genetici, in Riv. dir.civ., 2002, II, 399-419.

L’identificazione biologica 61

«non-definizione» di «dato genetico» sia stata una scelta opportuna,dato che la normativa italiana dovrebbe innestarsi in previsioni nor-mative di più ampio livello.

Per quanto qui può interessare, può comunque richiamarsi la defi-nizione fornita dal «Documento di lavoro sui dati genetici», adottatoil 17 marzo 2004 dal «Gruppo di lavoro sui dati genetici», in base alquale si sarebbe in presenza «senza alcun dubbio» di un dato perso-nale sensibile anche nei casi in cui venga utilizzato unicamente a finiidentificativi, suscettibile pertanto di ricadere sotto il vigore della di-rettiva n. 95/46/CE sulla protezione dei dati personali 85.

Da parte sua, il Garante per la protezione dei dati, nella «risposta»del 22 maggio 1999, ha enunciato la rilevanza nel nostro ordinamen-to della definizione di «dato genetico» data dal Consiglio d’Europanella Raccomandazione n. (97) 5, che ricomprende «tutti i dati, indi-pendentemente dalla tipologia, che riguardano i caratteri ereditari diun individuo o le modalità di trasmissione di tali caratteri nell’ambitodi un gruppo di individui legati da vincoli di parentela».

Per quanto più strettamente riguarda la loro disciplina, anche perquesto tipo di dati si applicano i principi generali di proporzionalità,che comporta la valutazione dei rischi per i diritti e le libertà fonda-mentali associati al trattamento di questi dati; il principio di finalità,in base al quale sono vietate utilizzazioni incompatibili con quelle percui i dati sono raccolti; ed il diritto degli interessati di essere informa-ti ed accedere ai dati che li riguardano 86. Così come per il trattamen-to dei dati biometrici, anche per quelli genetici è poi sancito l’obbligodi notificazione al Garante (art. 37 del Codice) e la loro considerazio-ne ad opera dell’art. 55 come di trattamenti che possono comportare

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87 Cfr. supra, nota 65. Per la posizione dei Garanti europei in materia si vedahttp://europa.eu.int/comm/european_group_ethics/docs/avis18EN.pdf e la Newsletterdel 15-21 marzo 2004: Dati genetici: prime linee guida dai Garanti europei.

88 Ciò detto, mancando, ad oggi, il parere del Ministro, è rinvenibile soltanto unadisciplina di carattere transitorio collocata nell’ambito dell’autorizzazione del 20 set-tembre 2000, n. 2, relativa al trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute ela vita sessuale, che al punto 2) contiene un’autorizzazione generale a trattare «i datigenetici», a determinate condizioni.

89 Cfr. supra, §§ 1 e 2.

62 Introduzione allo studio dell’identità individuale

«rischi specifici», abbisognevoli, come tali, della verifica preliminareda parte del Garante (art. 17) 87.

Ai dati genetici è poi specificamente dedicato il capo V del Codice,il cui art. 90 dispone, riprendendo letteralmente quanto previstodall’art. 17, comma 5 del D.Lgs. n. 135 del 1999, che il trattamento deidati genetici da chiunque effettuato è consentito nei soli casi previstida apposita autorizzazione rilasciata dal Garante (che individua an-che gli ulteriori elementi da includere nell’informativa all’interessato,con particolare riguardo alla specificazione delle finalità perseguite edei risultati conseguibili anche in relazione alle notizie inattese chepossono essere conosciute per effetto del trattamento dei dati e al di-ritto di opporsi al medesimo trattamento per motivi legittimi), sentitoil Ministro della salute, che acquisisce, a tal fine, il parere del Consi-glio superiore di sanità 88.

16. Tendenze evolutive: il corpo umano come «un bersaglio»

Abbiamo visto che gli studi e l’affinamento della tecnica dattilosco-pica unita al c.d. «bertillonage» fornì già agli inizi del XX secolo i mez-zi per autenticare in modo relativamente adeguato l’identità della per-sona, pur tuttavia presentando i non trascurabili limiti dovuti allagrossolanità del reperimento e della conservazione del dato (che av-veniva per lo più attraverso materiale cartaceo e anche alle difficoltàal momento del reperimento del soggetto, dato che nella generalitàdei casi doveva accadere che il soggetto «capitasse» nelle mani delleautorità di polizia, mentre in quelle ipotesi in cui la ricerca era mira-ta si basava sul ritratto del soggetto, vale a dire su un’informazione fa-cilmente modificabile e camuffabile 89.

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90 Cfr. S. RODOTÀ, Tecnopolitica, Laterza, Roma-Bari, 1997, 134.91 Significativa sul punto è la legge 24 aprile 2003, n. 88 («Conversione in legge,

con modificazioni, del D.L. 24 febbraio 2003, n. 28, recante disposizioni urgenti percontrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive») che all’art.1 dispone che quando non sia possibile procedere immediatamente all’arresto delsoggetto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque instato di flagranza (ai sensi dell’art. 382 c.p.p.) colui il quale, sulla base di documenta-zione video fotografica o di altri elementi oggettivi dai quali emerga inequivocabil-

L’identificazione biologica 63

Invero, questo sistema è stato ritenuto soddisfacente, direi, salvoqualche caso eccezionale, per tutto il XX secolo, fino a quando non èstata verificata la possibilità di impiego delle tecniche più sofisticate,capaci, come visto, di cogliere elementi caratterizzanti univocamentel’individuo. Ad oggi, tuttavia, non solo le tecniche di reperimento e diconservazione del dato si sono affinate, ma soprattutto si sta assisten-do ad un «salto qualitativo» nelle ultime fasi dell’attività di identifica-zione, per (almeno) due diversi profili.

In primo luogo nei casi in cui l’identificazione continua ad esseresvolta «a campione» le attuali tecnologie consentono di operare unaverifica immediata dell’identità del soggetto e basata non più «sem-plicemente» sull’effigie individuale, ma su elementi biometrici unici.Il fatto, poi, che questi dati siano contenuti in banche dati centraliz-zate permette di sapere istantaneamente i «trascorsi giudiziari» e lacondizione attuale del soggetto stesso, consentendo tra l’altro alle for-ze dell’ordine una conoscenza più completa della persona.

La logica del controllo episodico si è dunque arricchita, nel corsodel tempo, di quella della sorveglianza episodica: attualmente stiamoforse assistendo al passaggio al controllo-sorveglianza totale 90?

Il processo in atto è reso ancora più evidente, e con questo veniamoal secondo profilo, laddove si consideri che le tecnologie già attual-mente disponibili consentono di «anticipare» il momento del ricono-scimento del soggetto e di cercarlo in modo «mirato» (e non più acampione): sebbene infatti, occorra pur sempre la presenza di unapersona «fisica» (quanto meno) all’atto della predisposizione deglistrumenti e della «cattura» del ricercato, le tecnologie attualmenteutilizzate non solo aumentano le probabilità di trovare il soggetto cer-cato, ma permettono altresì di svolgere una ricerca mirata diretta-mente alla presa del bersaglio 91.

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A ciò occorre aggiungere il salto qualitativo rappresentato dal fattoche il “cacciatore” può basare la sua ricerca altresì avendo a disposi-zione non più solo qualche dato biometrico (sostanzialmente effigie e«segni particolari») come avveniva in passato, ma può contare su unnumero via via crescente (di pari passo con lo sviluppo delle tecnichedi reperimento del dato personale) di informazioni, sia universali siauniche e permanenti, sia, si badi di posizionamento.

In particolare, l’incrocio delle prime, specie se uniche, con la rileva-zione della posizione del soggetto consentono di mirare e agire a colposicuro. Così, solo per fare un esempio, si pensi al caso di un soggetto dicui si conosca il «dato-iride» (o il «dato-immagine» o il «dato-impron-ta-digitale», ecc.) e questo tipo di informazione venga incrociata conl’informazione riguardante il suo posizionamento, per esempio il brac-cialetto elettronico o il suo telefono cellulare: nel momento in cui que-ste due informazioni vengono incrociate il soggetto non solo è identifi-cato ma è anche posizionato in modo relativamente certo. Se poi è pos-sibile incorporare le due funzioni (identificazione e posizionamento)in un unico strumento, e questo strumento è idoneo a svolgerle non so-lo in via diffusa e casuale, come per esempio potrebbe avvenire permezzo dei cellulari, ma anche in modo mirato dall’alto, per esempio at-traverso il sistema satellitare, è difficile intravedere, almeno in via teo-rica, una qualche via di fuga per il soggetto «cacciato».

Naturalmente può non essere così, è possibile innanzitutto eviden-ziare la facile alterabilità, peraltro ad esclusivo vantaggio di chi è com-petente in materia, degli strumenti elettronici. Ma è anche poi possibi-le mettere in luce l’opportunità per il soggetto di nascondere e camuf-fare i propri dati biologici, anche quelli unici come l’iride; nonché ad-divenire ad una ri-valorizzazione del «domicilio» e più in generale delluogo chiuso, nascosto, protetto, nella sua nuova considerazione di ha-bitat privilegiato lontano da sguardi e forme di controllo e di sorve-glianza totale 92.

mente il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il temponecessario alla sua identificazione e, comunque, entro le trentasei ore dal fatto.

92 Cfr. S. RODOTÀ, L’occhio di Echelon e la società trasparente, ripreso da La Repub-blica del 6 aprile 2000 (reperibile nel sito ufficiale del Garante dei dati). V. altresì laNewsletter del 7-13 gennaio 2002, Privacy e sicurezza dopo l’11 settembre: i Garanti eu-ropei chiedono un approccio equilibrato.

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93 Così nel discorso del Presidente Stefano Rodotà, Relazione 2003, 9; cfr. anche R.ZARRO, Il nostro corpo come una password, in Comunicazione pubblica, maggio/giu-gno 2004, 19.

L’identificazione biologica 65

Assisteremo, negli anni avvenire, ad un ritorno a «uomini dellegrotte?».

Forse no, almeno se, come si sente talvolta dire, non «avremo nul-la da nascondere» (affermazione che peraltro mal si concilia con l’os-servazione biblica del «chi è senza peccato scagli la prima pietra …!»).Tuttavia il dato che si trae dalla situazione presente è quello contenu-to nell’ultimo rapporto annuale dell’attività Garante della riservatez-za» in cui risulta del tutto attuale il rischio di arrivare all’utilizzo diquesti strumenti (nel caso di specie di «etichette intelligenti») adope-randoli «per contrassegnare non solo prodotti, ma anche esseri viven-ti: oggi gli animali di un gregge, come già accade, in prospettiva anchele persone» 93.

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Capitolo III

L’identificazione per generalità

Sezione I

L’identità attribuita

SOMMARIO: 1. Il rapporto tra singolo e ordinamento alla luce dell’art. 22 della Costitu-zione. – 2. L’attribuzione dell’identità. L’«ingresso» del soggetto nell’ordinamento. –3. Segue: l’attribuzione del nome. – 4. Il principio d’immutabilità del nome. – 5.L’attribuzione del cognome. – 6. Tendenze evolutive: il cognome tra unità familia-re e parità dei coniugi nell’ordinamento italiano.

«Dio diede ad Abramo il poteredi dare un nome alle cose»

THOMAS HOBBES

1. Il rapporto tra singolo e ordinamento alla luce dell’art. 22 dellaCostituzione

Enik Enikson ha messo in luce «il non esservi punizione più atrocedell’essere “insentiti” […] del trovarsi in una società dove si sia del tut-to trascurati o addirittura esclusi» («ben più atroce» ci fa notare Ja-mes «delle torture corporali, poiché queste, per quanto dolorose, cifanno pur sempre capire di non essere naufragati al punto da risulta-re indegni di alcuna attenzione …»), specie da parte di quelli per noi«contano»: «inner assuredness», scrive Enikson.

Quella che Erving Goffman definirà «disattenzione civile» mal siconcilierebbe, infatti, con «l’esigenza dell’uomo moderno all’attenzio-ne reciproca intesa in senso non solo percettivo ma soprattutto nor-

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1 Atti Ass. Cost., Comm. per la Cost., Prima Sott., seduta di sabato 21 settembre1946 (Presid. Tupini), seguito della discussione sui principi dei rapporti civili, p. 393.

mativo», la quale implica la possibilità di usufruire del diritto di esse-re riconosciuti, vale a dire «il rituale interpersonale più pervasivo nelrapporto fra individui in società» e della possibilità di essere ricorda-ti. Proprio per lasciare un segno della propria presenza e garantirsi ilprolungamento della propria vita oltre la morte i sovrani egizi faceva-no scolpire i propri nomi su monumenti e tra i sacrilegi maggiormen-te temuti vi era la loro cancellazione.

Dal canto suo, Mattia Pascal ci confida che: «una delle poche cose,anzi, forse la sola che io sapessi di certo era questa: che mi chiamavoMattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qualvolta che qualcuno dèi miei amici o conoscenti dimostrava d’aver perduto il senno fino alpunto di venire da me per qualche consiglio o suggerimento, mi strin-gevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo: – Io mi chia-mo Mattia Pascal –;. – Grazie caro, lo so. – E ti par poco? – Non pare-va molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che cosavolesse dire il non sapere neppure questo …!».

Può essere del resto vero che anche del nome, come di tante altrecose che ci riguardano, l’importanza viene capita solo nel momentoin cui esse vengono a mancare, anche se la storia offre purtroppoesempi non infrequenti di deliberata privazione del nome mediantela «condanna alla morte civile».

Di tali esempi risulta ancora aver tenuto conto l’Assemblea Costi-tuente nel formulare il disposto dell’art. 22 Cost., che enuncia il di-vieto di privazione per motivi politici del nome, dato che la sua una-nime approvazione si deve, secondo quanto testimoniano i lavoripreparatori, al fatto che, avendo il deputato Mastroianni chiesto chegli fosse rammentato qualche caso in cui un uomo era stato privatodel proprio nome, il deputato Corsanego rispose citando quanto ac-caduto sotto il fascismo quando «alcune persone sono state obbliga-te anche a cambiare il proprio nome», sottintendendo il riferimentoalle persone di appartenenza ebraica e agli alloglotti dell’Alto-Adige 1.

Non è possibile sul punto non richiamare alcune toccanti testimo-nianze: «al deportato non appartiene letteralmente più nulla: né i ca-pelli; né il corpo, deformato al punto che nessuno riesce nemmeno piùa riconoscersi e distinguersi; né il nome; né quegli oggetti personali

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L’identificazione per generalità 69

2 Di ciò, peraltro, è possibile trovare conferma nella relazione dell’on. Ruini pre-sentata alla Presidenza dell’Assemblea Costituente il 6 febbraio 1947: «non si può ta-cere, dopo così dure prove … né dopo aver assistito ad arbitri che, per ragioni politi-che o razziali, spogliavano intere schiere di cittadini del geloso patrimonio della ca-pacità giuridica, della cittadinanza, del nome, era possibile tralasciare un esplicito di-vieto». Ass. Cost., Relazione del Presidente della Commissione al progetto di Costitu-zione della Repubblica italiana, LXXIX – Rapporti civili –.

3 Si veda, per esempio, la seduta del 24 settembre 1946 (Presid. Tupini), seguitodella discussione dei principi sui rapporti civili, interventi dell’on. Moro e del Presi-dente, Atti Ass. Cost., Comm. per la Cost., Prima Sott., 404.

(lettere, fotografie, fazzoletti …) che sono propri in quanto custodi disignificati individuali; né la memoria, sempre più velata, lontana e so-stituita da una diversa sequenza di ricordi immediati e più duri; né ilfuturo, unitario, desolante ed inarticolato, quasi che la storia stessa sifosse fermata. Perdendo tutto questo, si perde anche ciò che tale co-stellazione di supporti e territori dell’identità personale si trascina die-tro, ossia noi stessi. Sottoposto ad un regime costante, controllabile,uniforme ed inferiore a tutti i bisogni umani, trattato come una qual-siasi anonima materia prima, del deportato spariscono le differenze dietà, condizione ed origine, lingua, cultura, costume, personalità, sosti-tuite da una sofferenza concorde ed indifferenziata. Le ultime traccedella civiltà umana sono sparite intorno e dentro di loro» (Levi).

Per vero, l’art. 22 Cost. viene considerato come una delle disposi-zioni costituzionali in cui sarebbe più evidente non solo «l’opposizio-ne» all’esperienza della dittatura ma anche la più generale avversionead ogni tipo di esperienza autoritaria 2. Anzi, fortemente sintomaticodella sua particolare «indole» garantistica sarebbe il fatto che a un cer-to momento la disposizione costituzionale sembrò destinata ad essereinserita addirittura tra i primi articoli della Carta costituzionale 3.

Il pacifico riconoscimento della ratio della disposizione non haperò impedito che sulla sua esatta latitudine potessero sorgere rile-vanti dubbi interpretativi a partire dall’inciso, apparentemente limita-tivo della sua efficacia, «per motivi politici». Del resto, i casi di perdi-ta della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome previsti dal-la legislazione fascista non apparivano motivati semplicemente dal-l’intenzione di reprimere opinioni e appartenenze politiche; ma giu-stificati da una più generale valutazione degli interessi latu sensu «po-litici» dello Stato.

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70 Introduzione allo studio dell’identità individuale

4 Cfr. U. DE SIERVO, Commento all’art. 22 Cost., XXIII, in G. BRANCA-A. PIZZORUSSO

(a cura di), Commentario della Costituzione, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Ro-ma, 1996, 12. Nello stesso senso P. BARILE, Il soggetto privato nella Costituzione italia-na, Cedam, Padova, 1953, 47.

5 Cfr. A. ROUX-P. TERNEYERE, Principi d’eguaglianza e diritto di voto, in Pol. dir.,1991, 379-440.

Su questa base appare condivisibile l’interpretazione dell’inciso«per motivi politici» come tesa a tutelare non «mere opinioni politi-che», già peraltro tutelate dall’art. 3, comma 1, Cost., ma come «qua-lunque scelta di carattere politico», nel senso che l’art. 22 eliminereb-be in radice la possibilità di privare un individuo «per ragion di Sta-to» della sua partecipazione ad un ordine sociale e giuridico dato, aprescindere dalle sue opinioni politiche altrimenti tutelate 4.

Questo stesso tipo di inquadramento della questione può inoltreforse gettare luce anche sulla possibilità, non esclusa dalla disposi-zione in oggetto, che la perdita della cittadinanza per motivi «nonpolitici» sia contemplata dalla legge almeno nel senso, ci pare, del-la tendenziale tassatività e oggettività (ossia della non discreziona-lità nell’apprezzamento) delle cause assumibili come presuppostolegittimo della privazione, non disgiungibili da meccanismi di pre-via diffida e di facilitazione al successivo recupero dello status civi-tatis.

Più in positivo, l’art. 22 Cost. deve essere visto come il «ponte dicollegamento» tra ordinamento e singolo, nelle sue concentrichedimensioni di soggetto di diritti; di membro della comunità politi-ca e di individuo nella sua irripetibile originalità. E per questo ver-so completa ed in parte è completato dal disposto dell’art. 48 Cost.in base al quale, notoriamente, «sono elettori tutti i cittadini, uo-mini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è perso-nale ed eguale, libero e segreto», prevedendo altresì il suo eserciziocome dovere civico 5.

Un’ulteriore questione interpretativa, comune ad altre disposizionidella parte prima della Costituzione, concerne il senso del termine«nessuno» come destinatario della garanzia costituzionale, vale a direse vi si debba includere tutti gli uomini o se lo si debba far coinciderecoi soli cittadini. Al proposito seriamente argomentata è la tesi che,partendo dal presupposto che l’ordinamento italiano non potrebbe

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L’identificazione per generalità 71

6 In tal senso U. DE SIERVO, op. ult. cit., 8.7 Citiamo in proposito l’art. 24 del Patto Internazionale relativo ai diritti civili e

politici del 1° dicembre 1966 che riconosce il diritto di tutti i bambini, a partire dallaloro nascita, alla nazionalità. Questo diritto è parimenti riconosciuto dall’art. 7 dellaConvenzione Internazionale dei Diritti del Fanciullo, firmato a New York, in base alquale «il bambino è registrato immediatamente alla nascita ed a partire da quel mo-mento ha diritto a un nome, il diritto di acquistare una nazionalità …». Inoltre, aisensi dell’art. 4 della Convenzione Europea sulla nazionalità (del 6 novembre 1997ma entrata in vigore il 1° marzo 2000) «ogni individuo ha diritto a una nazionalità;l’apolidia deve essere evitata; nessuno può essere arbitrariamente privato della pro-pria nazionalità …». Su questa base l’art. 8 della legge n. 176 del 1991 prevede che «gliStati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propriaidentità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, cosìcome sono riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali» disponendo che «se unfanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcu-ni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinchéla sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile».

8 V. Atti Ass. Cost., Comm. per la Cost., Prima Sott., interv. on. Dossetti (p. 392) epiù in generale la seduta del 21 settembre 1946 (Presid. Tupini), pp. 391-399.

privare un soggetto che della sola capacità giuridica, cittadinanza enome disciplinati dalle norme interne, limita la portata della disposi-zione ai soli cittadini italiani; essendo per converso improponibileun’eventuale pretesa di limitare la possibilità di Stati esteri nella de-terminazione delle ipotesi di perdita della cittadinanza da parte deipropri cittadini 6.

Tuttavia non sembra potersi negare alla disposizione anche l’ulte-riore effetto di respiro internazionale, da un lato, di vietare all’Italia lapossibilità di aderire in qualsiasi modo ad accordi tra Stati che possa-no prevedere sanzioni di questo genere e, dall’altro, di promuoverel’adesione alle convenzioni che abbiano come obiettivo la tuteladell’attribuzione del nome, particolarmente a soggetti appartenenti acategorie «deboli 7», laddove una tale portata di «diritto umanitario»potrebbe essere corroborata dalle discussioni avutesi proprio in sededi formulazione dell’art. 22, dove venne proposto il collegamento di-retto tra la garanzia in questione e il termine «uomo» quale soggettodi diritto 8.

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72 Introduzione allo studio dell’identità individuale

2. L’attribuzione dell’identità. L’«ingresso» del soggetto nell’ordi-namento

A riprova della complessità ermeneutica di una disposizione purcosì secca e stringata, deve ricordarsi che, se per quanto riguarda lenozioni di «capacità giuridica» e «cittadinanza», pare abbastanza age-vole, ancora una volta sulla scorta dei lavori preparatori, il richiamoalle corrispondenti nozioni fornite rispettivamente dal diritto privatoe dal diritto pubblico, più problematiche si sono rivelate invece le que-stioni ruotanti intorno al termine «nome» 9.

Soffermandosi sul dato strettamente letterale, dalla disposizioneemerge innanzitutto, come già illustrato, il divieto di essere privati delnome, ossia una sorta di diritto al nome in negativo 10. All’ulteriorequestione «nei confronti di chi», si può rispondere con una certa si-curezza che la previsione abbia come destinataria l’autorità pubblica,considerato che «ai privati» resta possibile al massimo usurpare il no-me altrui, ma non deprivare gli altri soggetti del nome legalmente ri-conosciuto.

Si è posta inoltre la questione se i costituenti, utilizzando questotermine, abbiano inteso riferirsi al nome proprio o al nome di fami-glia o ad entrambi, magari ricomprendendovi anche lo pseudonimo.E ancora, se l’art. 22 si limiti a tutelare il «nome-segno identificativo»(o «nome-dato anagrafico») o si riferisca implicitamente al nome inun senso più pregnante, allusivo, cioè, della personalità del suo tito-lare.

Un ulteriore interrogativo è suscitato dalla questione se da una di-sposizione scritta «in negativo» possa senz’altro trarsi anche la tuteladi un diritto vero e proprio all’attribuzione di un «nome» e, spingen-dosi più lontano, anche alla scelta del nome stesso e persino il dirittodi non possederne alcuno, che è questione ancora diversa da un even-

9 Sul tema, tra gli altri, C. DI MARCO GENTILE, Il nome della persona, tra mezzo di in-dividuazione e segno di identificazione, Ed. Scientifiche Italiane, Napoli 1995, 7 e DE

SANCTIS RICCIARDONE, Nome, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 1-16.10 Agathe Lepage mette in evidenza che mentre il «diritto al nome» costituisce

«une prérogative essentielle associée à la personnalité du sujet», il «diritto sul nome» sa-rebbe «expression d’un rapport privatif du sujet sur le signe de son identité» (A. LEPAGE,Libertés et droits fondamentaux à l’épreuve de l’Internet, Litec, Paris, 2002, 114).

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L’identificazione per generalità 73

11 Corte Cost., ord. 11 febbraio 1988, n. 176, in Giur. cost., 1988, 605-608; in Foroit., 1988, I, 1811 e in Dir. fam. pers., 1988, 670 (con nota di F. DALL’ONGARO).

tuale diritto all’anonimato cioè dalla possibilità di operare senza esse-re identificati.

Tentando di dare una risposta a simili quesiti, pare opportunoprendere innanzi tutto in considerazione i dubbi di portata più radi-cale. A tal fine è d’obbligo il richiamo al diritto del soggetto ai sensidegli artt. 2, 3 e 22 Cost. ad avere un nome, rinforzata dalla previsio-ne dell’art. 7 della Convenzione Internazionale dei Diritti del Fan-ciullo (firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italiacon legge 27 maggio 1991, n. 176), che dispone che il fanciullo è re-gistrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora hadiritto ad un nome. Ma poi è senz’altro necessario operare il richia-mo all’ordinanza n. 176 del 1988 della Corte Costituzionale che,sgombrando il campo da ogni tentazione «soggettivistica» ha chiari-to che «oggetto del diritto dell’individuo all’identità personale, sottoil profilo del diritto al nome, non è la scelta del nome, bensì il “nomeper legge attribuito”, come si argomenta dall’art. 22 Cost. in relazio-ne all’art. 6 c.c. 11».

Per il resto, com’è stato già detto con grande suggestione, il sognodi essere «forestieri della vita» nella società attuale sarebbe difficil-mente realizzabile, perché in assenza di quella rete di rapporti socialinei quali veniamo riconosciuti, delimitati, collocati e definiti finirem-mo per diventare «un tronco reciso da quell’innesto nella radice stori-co-sociale che ci ha reso e ci rende tali» (Pirandello).

Tale brillante intuizione letteraria, riportata sul piano giuridico,conduce, da un lato, a valorizzare l’assunto per cui la stessa attribu-zione di un diritto presuppone l’identificazione di un suo titolare e diconseguenza l’ineluttabilità del possesso di un’identità per il godi-mento stesso del diritto e, dall’altro lato, a ricollegare all’enunciazionedel principio di responsabilità l’altrettanto ontologica necessità del-l’imputazione certa di atti compiuti dai soggetti ai quali sono ricono-sciuti spazi di autonomia costituzionalmente garantiti o l’addebitabi-lità per esclusivo fatto proprio dei medesimi atti.

Così, nello stesso dettato costituzionale si prevede che il voto è per-sonale (art. 48 Cost.) e, per altro profilo, che la responsabilità penaleè personale (art. 27) e, ancora, che si possa procedere a sequestro del-

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74 Introduzione allo studio dell’identità individuale

12 A quest’ultimo proposito, E. GOFFMAN, Espressione e identità, Il Mulino, Bolo-gna, 2003, 101 ss.

13 J. HAUSER, Rev. trim. dir. civ., 1997, 1, 96.14 A. BARDUSCO (L’identità personale e la Costituziona italiana, in Studi in onore di

Antonio Amorth, 1982, 27) rileva che «nella Costituzione viene implicitamente rico-nosciuto il principio che gli uomini si differenziano gli uni dagli altri, e che debbonoesistere mezzi contemplati dall’ordinamento per operare l’identificazione di ciascunindividuo. Non si dice però a quali fattori di identificazione l’ordinamento possa ri-correre, oltre che al nome. Sembra evidente che il costituente, una volta dato per pa-cifico che occorre un modo di distinguere i cittadini, abbia voluto poi lasciare al legi-slatore il compito di scegliere tra i possibili fattori di identificazione; tenendo contoche nella scelta possono rientrare sia fattori naturali (sesso, età, luogo di nascita o diresidenza); sia fattori storici ed ideali (lingua, religione, ecc.)».

la stampa soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel casodi violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazio-ne dei responsabili (art. 21 Cost.).

Lo stesso Goffman ha del resto rilevato dal canto suo come gran par-te dei nostri schemi giuridici che implicano la responsabilità dell’indivi-duo, lo trattano come un’entità identificabile, non potendo prescinderedall’attribuirgli un nome prima ancora che un «ruolo» sociale 12.

Di qui, in altri termini, l’obbligo di livello costituzionale che almeno aifini predetti un soggetto sia individuabile ossia identificabile grazie adun’operazione di preventiva attribuzione del nome, così da legittimarechi sostiene che «on peut devenir absent, on ne peut pas naître absent! 13».Di qui ancora la legittimità costituzionale delle normative allestite in talsenso, a cominciare da quelle di ordine anagrafico, di cui anzi può pre-dicarsi il valore strettamente attuativo dei principi costituzionali 14.

3. Segue: l’attribuzione del nome

Non inopportuna, dunque, può essere a questo punto una somma-ria ricognizione delle regole di livello subcostituzionale concernenti iprincipi sostanziali e le modalità procedurali dell’identificazione deisoggetti nell’ordinamento giuridico italiano, esaminati appunto allaluce dell’art. 22 Cost.

L’attenzione va in primo luogo portata all’attribuzione del nomeper effetto dell’evento della nascita così come considerata da ultimo

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L’identificazione per generalità 75

15 E cioè luogo, anno, mese, giorno e ora della nascita, le generalità, la cittadinan-za, la residenza dei genitori legittimi nonché di quelli che rendono la dichiarazione diriconoscimento di filiazione naturale e di quelli che hanno espresso con atto pubbli-co il proprio consenso ad essere nominati.

16 Nonostante l’indicazione del prenome debba essere corrispondente al sesso delneonato, vi sono prenomi come ad es. Andrea, Elia, Celeste, Denis che possono con-siderarsi nomi neutri o, comunque, di «sesso incerto»: per superare l’«impasse» è sta-to dato rilievo alla «matrice storica sacra» di questi nomi ed al fatto che alcuni di es-si (es. Andrea) nella consuetudine italiana sono prevalentemente riconosciuti comeappartenenti al genere maschile.

dal d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e lasemplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’art.2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), che all’art. 29 di-spone l’obbligo di indicazione nell’atto di nascita di una serie di da-ti 15, tra cui il nome che «deve corrispondere al sesso» indicato (art.35) 16; prevedendo altresì che se il dichiarante non dà nessun nome,debba in suo luogo intervenire l’ufficiale dello stato civile.

Pertanto, come evidenziato nella stessa relazione ministeriale, èproprio la dichiarazione di quell’evento all’ufficiale dello stato civileche costituisce la premessa dell’imposizione del nome. In altri termi-ni ancora, l’obbligatorietà di questa dichiarazione (e un tempo persi-no della presentazione fisica del neonato), da farsi entro un breve ter-mine, comporta come necessaria conseguenza l’attribuzione del-l’identità giuridica al neonato stesso (prima manifestazione di potestàgenitoriale), attraverso l’acquisizione automatica del cognome di fa-miglia e l’ottenimento, mercé la scelta del dichiarante, del nome.

Senza qui dover addentrarci in dettagli di carattere squisitamenteamministrativistico, è possibile però rilevare come questa normativatestimoni chiaramente l’interesse ordinamentale – confermato dal-l’art. 38 che dispone che in caso di ritrovamento di minori abbando-nati l’ufficiale dello stato civile deve imporre loro un cognome ed unnome – a che un soggetto abbia (dove possibile fino dal momento del-la sua nascita) un’identità di tipo anagrafico. Identità attribuita cheper tutto il corso della sua vita sarà documentata negli atti di stato ci-vile, la cui tenuta costituisce una funzione primaria dello Stato cosìcome ribadito dal nuovo testo dell’art. 117, comma 2, lett. i), Cost.,che attribuisce in via esclusiva allo Stato la legislazione in materia di«stato civile e anagrafi», oltre che di cittadinanza.

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76 Introduzione allo studio dell’identità individuale

La centralità della materia in vista dell’organizzazione stessa delloStato-apparato risulta peraltro confermata anche in ambito interna-zionale 17: si osserva, infatti, (sebbene non manchino proposte ditutt’altro segno 18), che la Convenzione di Monaco del 5 settembre1980 (ratificata dal nostro paese con legge 19 novembre 1984, n. 950),stabilisce che lo «stato» (ivi incluso «il nome») oltre che la capacitàdelle persone sono regolati dalla legge dello Stato di appartenenza e atale disposto fa piè pari in ambito interno la legge n. 218 del 1995 laquale rende possibile che il cognome di colui che è in possesso dellacittadinanza italiana sia regolato dalla legge italiana 19 (artt. 26 ss.).

17 In ambito internazionale nel 1949 è stata creata la Commission Internationale del’Etat Civil (CIEC), per iniziativa di Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Sviz-zera (scambio di lettere tra i paesi il 18 novembre 1949 e firma di un protocollo a Ber-na il 5 settembre 1950). Ad oggi ne fanno parte 16 Stati, tra cui l’Italia (per ulterioriapprofondimenti si visiti il sito ufficiale dell’organizzazione all’indirizzo telematico:http://www. ciec1.org/; le Convenzioni che ha firmato l’Italia sono reperibili inhttp://perso.wanadoo.fr/ ciec-sg/SignatRatifEtats.pdf).

Delle cinque convenzioni della CIEC sui «nomi» due riguardano questioni «for-mali» (iscrizione nei registri e prova dell’identità anagrafica) mentre le altre tre rien-trano nel novero di quelle che «touchent directement aux règles de droit», in quanto so-no relative all’attribuzione e al cambiamento del nome. Si tratta rispettivamente del-la Convenzione CIEC n. 21 firmata a La Haye l’8 settembre 1982 e la ConvenzioneCIEC n. 14 firmata a Berna il 13 settembre 1973 da un lato e la Convenzione CIEC n.4 firmata a Istanbul del 4 settembre 1958 (relativa ai cambiamenti di nome e di co-gnome) e la Convenzione CIEC n. 19 di Monaco del 5 settembre 1980 (sulla legge ap-plicabile ai nomi e ai cognomi). Infine, il 25 settembre del 2003 l’Assemblea Genera-le della CIEC ha adottato a Madrid la versione finale della Convenzione n. 31 sulla«reconnaissance des noms».

All’indirizzo telematico http://europa.eu.int/eur-lex/it/lif/reg/it_register_113040.htmlè consultabile uno scambio di lettere tra il sig. J.M. Bischoff, segretario generale del-la CIEC e il Sig. Wilhelm Haferkamp, vicepresidente della Commissione delle Co-munità europee del 14 luglio 1983 «in merito ad una auspicabile reciproca coopera-zione …».

18 Ci riferiamo all’idea di lasciare agli interessati la possibilità di scegliere la leggeapplicabile: cfr. M. SCHERER, Le nom en droit international privé, cit., 204 (le varie po-sizioni dottrinali in materia sono riportate a p. 193 ss.).

19 Cfr. Trib. Min. Bologna, 15 luglio 1989 (in St. civ. it., 1989, 777); nello stessosenso Trib. Min. Napoli, 25 ottobre 1995 (in Dir. fam. pers., 1996, 1108), secondo cuiva dichiarata la paternità naturale di un minore, figlio di madre straniera (nella spe-cie, finlandese) che risulti concepito da padre italiano, senza che osti a tale dichiara-zione il fatto che quest’ultimo sia deceduto prima dell’inizio del processo, qualora ri-

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L’identificazione per generalità 77

sulti accertato, oltre ogni ragionevole dubbio, che la madre abbia avuto una relazio-ne con il defunto e che questi sia responsabile della paternità, divenendo per ciò ac-quisita la prova «profonda» del vincolo genitoriale, richiesta dalla legge straniera. Alminore, la cui paternità venga in tal modo riconosciuta, può ben attribuirsi pertanto,su istanza della madre, il cognome paterno.

Gli atti di stato civile svolgono infatti l’importante funzione (tral’altro penalmente tutelata ex art. 483 c.p., e salvo in ogni caso la que-rela di falso) di rendere noti e certi gli «eventi», maggiormente repu-tati di pubblico interesse – specificamente nascita, cittadinanza, ma-trimonio e morte – che riguardano l’individuo.

Insieme al nome che ne fa parte, essi ci accompagnano in alcunedelle fasi più salienti della nostra esistenza, quanto meno giuridica:chi richiede la pubblicazione del matrimonio deve dichiarare, tra lealtre cose, il nome e il cognome degli sposi (art. 51); negli atti di ma-trimonio si fa annotazione dei provvedimenti che determinano ilcambiamento o la modificazione del nome o del cognome o di en-trambi e dei provvedimenti di revoca relativi ad uno degli sposi oltreche dei provvedimenti di rettificazione (art. 69, d.P.R. n. 396 del2000); inoltre, i decreti che autorizzano il cambiamento o la modifi-cazione del nome o del cognome devono essere annotati sia nell’attodi nascita del richiedente, sia nell’atto di matrimonio del medesimo«e negli atti di nascita di coloro che ne hanno derivato il cognome(art. 94, d.P.R. n. 396 del 2000)»; e lo stesso atto di morte deve enun-ciare «il nome e il cognome […] del defunto (oltre che del coniuge seil defunto era coniugato, vedovo o divorziato e del dichiarante)» (art.73, d.P.R. n. 396 del 2000).

Persino dopo la morte, poi, è previsto che le ceneri derivanti dallacremazione del cadavere siano raccolte in un’apposita urna cinerariache deve indicare all’esterno il nome e il cognome del defunto (art. 80,d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 «approvazione del regolamento dipolizia mortuaria») e quando risultano segni o indizi di morte violen-ta, o vi è ragione di sospettarla per altre circostanze, non si può inu-mare, tumulare o cremare il cadavere se non dopo che il magistrato ol’ufficiale di polizia giudiziaria (assistito da un medico) abbia redattoil processo verbale «[…] sulle notizie che ha potuto raccogliere circa ilnome e il cognome» della vittima.

La constatazione della pervasività del rapporto tra soggetto e «sta-

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78 Introduzione allo studio dell’identità individuale

20 Cfr. altresì E. GOFFMAN, Espressione e identità, cit., 161.21 “Storico” il caso di di Giacomo VI di Scozia, al contempo Giacomo I di Inghilter-

ra e del nipote, riconosciuto come Giacomo II d’Inghilterra e Giacomo VII di Scozia.22 Invero sul punto la giurisprudenza è oscillante: così in alcuni casi si afferma l’ille-

gittimità dell’uso della moglie del cognome del marito successivamente alla sentenza didivorzio (Trib. Roma, 25 maggio 1985, in Nuovo dir., 2000, 307, con nota di V. SANTAR-SIERE); mentre in senso contrario, si veda per tutte Cass., 22 dicembre 1990, n. 12160, inGiust. civ., 1991, I, 1492.

23 Così F. VITALI, Lo stato civile, Il Sole-24 Ore, Milano, 2003, 1.

to» ha portato a considerare lo stato civile come «riflesso dell’indivi-duo (Lefebvre)» 20.

Questo stesso legame è presente anche esemplarmente nell’ordina-mento canonico, che è, com’è noto, all’origine della fenomenologia inquestione, considerato che la presentazione del neonato al fonte bat-tesimale coincide con l’imposizione del nome e l’assunzione del sog-getto nel novero dei fideles, ossia delle persone riguardate da quell’or-dinamento.

In questo senso, persino il cambiamento di status può venire acoincidere con il cambiamento del nome, visto quindi come il segnoidentificativo dell’ingresso in una nuova dimensione giuridica (è notoper esempio come al momento della pronuncia dei voti perpetui i re-ligiosi assumano in qualche modo una nuova identità, mentre stori-camente più volte è accaduto che i nomi subirono modifiche per ra-gioni dinastiche 21).

Ne consegue coerentemente che nel momento stesso in cui il sog-getto si spoglia del proprio stato i suoi atti di stato civile debbono es-sere aggiornati: in caso di separazione legale sebbene la moglie con-servi il cognome del marito, il giudice può stabilire che non sia auto-rizzata ad usarlo (art. 156-bis e ss.) mentre nelle ipotesi ancora più «ri-solutive» del divorzio e della «morte del coniuge», la legge stabilisce, ri-spettivamente, che la moglie perde del tutto il diritto a portare il co-gnome del marito 22 e che la moglie ne conserva il cognome e con essola facoltà di utilizzarlo ma fino a nuovo matrimonio (art. 143-bis c.c.).

Rimanendo nell’ambito dell’ordinamento statale, può ancora dirsiche l’estremo rilievo di questo tipo di atti che, come ci si affretta a pre-cisare, «non sono costitutivi dello status, bensì servono a consentirnel’individuazione (in seno a due ambiti sociali: Stato e famiglia) 23» in

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L’identificazione per generalità 79

24 Il medesimo rilievo pubblicistico rende inoltre ragione del fatto che anche almomento dell’attribuzione del nome i genitori non sono del tutto liberi nella scelta:l’art. 35 prevede che il nome possa essere composto da uno o da più elementi onoma-stici, anche separati, ma in ogni caso non superiori a tre. È previsto altresì che i no-mi stranieri debbano essere espressi in lettere dell’alfabeto italiano, con la estensionealle lettere: J, K, X, Y, W e, dove possibile, anche con i segni diacritici propri dell’al-fabeto della lingua di origine del nome (cfr. infra, Cap. IV, § 8) mentre rispetto al pas-sato non esiste più il divieto di imposizione di prenomi aventi il carattere di indica-zione geografica (es. Asia, Virginia, Italia, ecc.). Infine, con più stretto riguardo aisoggetti di cui non sono conosciuti i genitori è stabilito che non possono essere im-posti loro nomi o cognomi che facciano intendere l’origine naturale, o cognomi di im-portanza storica o appartenenti a famiglie particolarmente conosciute nel luogo incui l’atto di nascita è formato.

25 Cfr. infra, sez. II, pp. 87 e 89. Cfr. J. POUSSON-PETIT, L’identité de la personne hu-maine au Royaume-Uni, in L’identité de la personne, cit., 350. Sull’«unmeaning mark»di Stuart Mill, «svuotante ciascuno della propria soggettività e tale da imporre all’esi-genza di differenziazione il prezzo dell’artificialità e dell’arbitrio», v. S. AMATO, Ses-sualità e corporietà, Giuffrè, Milano, 1985, 98.

conseguenza di cui derivano o possono derivare diritti o obblighi incapo al soggetto, giustifica che in principio nella loro gestione nessu-no spazio sia lasciato all’autonomia privata: gli atti di stato civile pos-sono infatti essere posti in essere solo da pubblici ufficiali, presentan-dosi privi di «certezza pubblica» se redatti da soggetti diversi privi delpotere certativo o, comunque, non nell’esercizio della pubblica fun-zione e secondo il procedimento normativamente previsto 24.

4. Il principio d’immutabilità del nome

I medesimi interessi pubblicistici possono riscontrarsi nella carat-teristica di fondamentale immutabilità del nome (inteso come ricom-prensivo di prenome e cognome) rappresentando la possibilità dellasua modifica un’ipotesi eccezionale ed assistita da una procedura par-ticolarmente impegnativa, a differenza di altri ordinamenti, comequello britannico, dove il mutamento del nome pare non essere poitanto più difficile del cambiamento della targa della macchina 25.

In realtà, salvo il caso in cui l’ordinamento prevede che si possacambiare o aggiungere un altro «nome» quando quello originario ap-paia ridicolo o vergognoso (in cui è evidente l’intento di tutela della di-

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80 Introduzione allo studio dell’identità individuale

26 Il d.P.R. n. 396 del 2000 prevede una procedura più «solenne» per chiunque vuo-le «cambiare il cognome od aggiungere al proprio un altro cognome», prevedendo checostui debba presentare la richiesta al prefetto della provincia in cui ha la sua residen-za, esponendo le ragioni della domanda e che l’organo prefettizio debba assumere sol-lecitamente informazioni sulla domanda e spedirla al Ministero dell’interno con il pa-rere e con tutti i documenti necessari (artt. 84 e 85). Qualora la richiesta appaia meri-tevole di essere presa in considerazione, il richiedente è autorizzato a fare affiggere pertrenta giorni consecutivi (periodo in cui può chiunque crede di avervi interesse può fa-re opposizione con atto notificato al Ministro dell’interno) all’albo pretorio del comunedi nascita e del comune di sua residenza un avviso contenente il sunto della domanda(art. 86). A partire da questo momento la procedura risulterebbe essere piuttosto auto-matica: ai sensi dell’art. 88, una volta trascorsi i trenta giorni senza che sia stata fattaopposizione, il richiedente è tenuto a presentare alla prefettura competente (per il suc-cessivo inoltro al Ministero) un esemplare dell’avviso con la relazione che attesta la ese-guita affissione e la sua durata; il Ministro, quindi, accertata la regolarità delle affis-sioni e vagliate le eventuali opposizioni, provvede sulla domanda con decreto.

Nel caso di chi vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovuole cambiare il cognome «perché ridicolo o vergognoso o perché rivela origine na-turale» è previsto un procedimento semplificato in cui in questi casi, infatti, non èprevisto alcun coinvolgimento del Ministero dell’interno.

gnità stessa della persona in sé considerata e nel suo rapporto con iconsociati), le situazioni in cui è reso possibile al soggetto modificareil proprio «nome» non sono state tipizzate dalla legge.

In passato per il cambiamento di nomi ridicoli o vergognosi o cherivelassero un’origine illegittima, il R.D. n. 1238 del 1939 disponevauna procedura che vedeva come destinatario della richiesta il Procu-ratore Generale presso la Corte d’Appello nella cui giurisdizione il ri-chiedente aveva la residenza, il quale, compiuti i debiti atti istruttori,provvedeva sulla domanda con decreto, impugnabile, laddove ne ri-corressero le condizioni, al Ministro della Giustizia, il quale, a sua vol-ta, provvedeva, sentito il parere del Consiglio di Stato. Il cambiamen-to era poi consentito anche in ogni altro caso, subordinatamente algiudizio di meritevolezza formulato dal Ministro che, dopo aver sen-tito il Consiglio di Stato se vi era stata opposizione nel corsodell’istruttoria (svoltasi sempre davanti alla Procura Generale), pro-muoveva il relativo decreto da parte del Capo dello Stato.

Pur continuando a prevedere «il doppio binario», ad oggi la proce-dura è stata semplificata dal d.P.R. n. 396 del 2000, che ha esclusoogni coinvolgimento sia del Procuratore Generale, sia, per altro verso,del Capo dello Stato 26. Le rubriche degli articoli interessati indicano,

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L’identificazione per generalità 81

27 U. BRECCIA, Commento all’art. 6 c.c., in F. GALGANO (a cura di), Commentario delCodice Civile Scialoja-Branca, Zanichelli, Bologna, 1988, 377.

28 U. BRECCIA, Commento all’art. 6 c.c., cit., 422.29 Cons. Stato, sez. III, 27 marzo 1979, n. 846, in Cons. Stato, 1981, I, 985.

rispettivamente, «modificazioni del nome o del cognome» (art. 89) e«cambiamento del cognome» (art. 84), anche se, invero, nel corpo deldisposto, il legislatore finisce poi per utilizzare indifferentemente iltermine «cambiamento» piuttosto che «modificazione».

Un dato relativamente certo è che in un caso la procedura «di cam-biamento» riguarda solo il cognome, mentre nell’altro «le modifica-zioni» possono riguardare sia il nome sia il cognome. Solo nella pri-ma ipotesi, si applica la procedura «solenne», salvo che il cambia-mento del cognome venga richiesto perché ridicolo o vergognoso; intutti gli altri casi, indipendentemente, dunque, dal fatto che si tratti dimodificazioni o cambiamenti, si applica la procedura «semplice» pre-vista dall’art. 89.

Il quadro complessivo della disciplina permette di rilevare conmaggior chiarezza rispetto al passato, la scelta di campo del legislato-re a favore della natura di «interesse legittimo» dell’aspettativa delsoggetto, nei confronti del quale è attribuita all’autorità amministrati-va ampia discrezionalità. Peraltro, anche sotto la vigenza della prece-dente normativa la dottrina, muovendo dalla considerazione del no-me come segno di identificazione attribuito dalla legge (nell’accezio-ne più ampia) alla persona e tutelato anche nei confronti dello Sta-to 27, riteneva unanimemente che il cittadino avesse solo il diritto dipromuovere la procedura di mutamento del nome, ma che l’ampia di-screzionalità dei provvedimenti di mutamento del nome escludesse apriori la possibilità di ritenere che al mutamento del nome si avessediritto 28.

Su questa base il Consiglio di Stato alla fine degli anni Settanta af-fermò a chiare lettere l’estraneità del procedimento di modificazionedel cognome alla volontà dell’interessato, ritenendola consentita «so-lo se ricorrano seri motivi», non considerando tale, per esempio, il so-spetto di appartenenza del proprio cognome alla razza ebraica 29. Inaltri casi, poi, ritenne non sufficientemente dimostrata la sussistenzadi ragioni relative alla perpetuazione di un casato in via di estinzio-

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30 Cons. Stato, sez. II, 22 giugno 1977, n. 968, in Cons. Stato, 1981, I, 969.31 Cons. Stato, sez. III, 15 maggio 1979, n. 9, in Cons. Stato, 1981, I, 622.32 Cfr. F. VITALI, Lo stato civile, cit., 278.

ne 30; mentre in altre decisioni ancora, ritenne viziati da eccesso di po-tere decreti autorizzanti la modificazione di un cognome sulla base dipresupposti incompleti, a partire dalla dimostrazione dell’esistenza dicongiunti titolari del cognome che si intendeva assumere 31.

Specie in una «prima fase» emerse con tutta evidenza come il prin-cipio che stava alla base della materia del cambiamento del «nome»fosse quello della non modificabilità del cognome se non nella ricor-renza di particolari circostanze idonee a superare il forte senso di at-taccamento dell’ordinamento statale ad esso. In effetti, specie in passa-to, il cognome faceva da «collante» al «casato», rivelando altresì diret-tamente o indirettamente le «origini» del soggetto: in particolare, dalnome era possibile capire se si aveva a che fare con «un figlio legitti-mo» o «legittimato», o «naturale riconosciuto» o «non», o «adottivo» 32.

Oggi queste due forme di «attaccamento» al cognome stanno pro-gressivamente svanendo: a parte i casi «nobili», l’ordinamento fami-liare ha perso buona parte del suo lustro e con maggiori difficoltàsembra svolgere le proprie tradizionali funzioni; per altro verso, comevisto, «il nome» come segno distintivo non pare più essere il solo, etalvolta nemmeno il principale, elemento qualificante il soggetto. Incompenso, come vedremo, esso ha radicato il suo «valore» con strettoriferimento all’individuo che ne è il detentore, del quale simbolizza edincorpora la personalità.

La giurisprudenza, da parte sua, col trascorrere del tempo è parsamitigarsi nell’ammettere il cambiamento o la modifica «del nome»,senza tuttavia mai giungere, a quanto ci risulta, a considerarlo un in-teresse pretensivo né tanto meno un diritto soggettivo: diciamo chel’apertura è parsa avvenire tutta all’interno della discrezionalità am-ministrativa in materia.

Ricordiamo in proposito che verso la metà degli anni Ottanta il Su-premo organo di giustizia amministrativa considerò illegittimo ilprovvedimento col quale il Ministro di grazia e giustizia aveva negatoal richiedente l’aggiunta di un cognome al proprio in quanto non ri-sultava essere sufficientemente motivato (opponendo «generiche con-

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L’identificazione per generalità 83

siderazioni») in ordine al dissenso alle specifiche ragioni del richie-dente e rispetto agli atti istruttori (tutti peraltro favorevoli alla richie-sta dell’interessato) 33; lo stesso Consiglio di Stato affermò la legitti-mità della richiesta di aggiunta del cognome della madre «con il qua-le il soggetto era conosciuto sin dalla giovane età 34» e ebbe modo al-tresì di puntualizzare che la legge non subordina l’accoglimento delledomande di aggiunta al proprio cognome di quello materno alla cir-costanza del pericolo di «estinzione» 35.

Anche i Tar ebbero modo di affermare la illegittimità di provvedi-menti di diniego alla richiesta di mutamento di cognome per il solofatto che non vi fosse un rapporto di parentela o similare tra l’interes-sato all’aggiunta del cognome e il titolare del cognome da aggiungere,considerato che «la legge di stato civile […] non condiziona la facoltàdi presentare domande di aggiunta di un cognome soltanto all’intentodi perpetuare un casato (più o meno noto), ma richiede che le ragio-ni, di carattere personale o familiare, dedotte a sostegno siano meri-tevoli di tutela (anche sul semplice piano affettivo e morale) e tali dacontemperare la libertà dei singoli con l’interesse pubblico alla cer-tezza nell’identificazione della persona e con eventuali interessi priva-ti contrapposti 36».

Su questa base, nel corso degli anni Novanta i giudici amministra-tivi pur confermando la discrezionalità insita nell’atto del Ministro digrazia e giustizia, tuttavia cominciarono ad affermare con maggiorfrequenza la loro «non insindacabilità», per lo meno relativamente «aicriteri prescelti per l’esplicazione dell’attività», di tal che risultavapossibile il sindacato giurisdizionale relativamente allo sviamento dipotere 37 rendendo per converso quanto mai necessaria, da parte delministero, «una motivazione congrua e logica 38».

Alla fine degli anni Novanta la posizione del Consiglio di Stato in

33 Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 1984, n. 750, in Foro amm., 1984, 1683.34 Cons. Stato, sez. III, 13 novembre 1984, n. 1374, in Cons. Stato, 1986, I, 1706.35 Cons. Stato, sez. III, 4 dicembre 1984, n. 1492, in Cons. Stato, 1986, I, 1992.36 TAR Lazio, sez. I, 20 marzo 1990, n. 303, in Foro amm., 1990, 2113.37 TAR Lazio, sez. I, 24 marzo 1993, n. 483, in Foro it., 1994, III, 410.38 Cons. Stato, sez. IV, 3 giugno 1997, n. 615, in Cons. Stato, 1997, I, 672; e nello

stesso senso Cons. Stato, sez. IV, 25 gennaio 1999, n. 63, in Cons. Stato, 1999, I, 38.

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84 Introduzione allo studio dell’identità individuale

39 Si veda per esempio Cons. Stato, sez. III, 22 giugno 1999, n. 286, in Cons. Stato,2000, I, 1110.

40 Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 1999, n. 1510, in Foro it., 2000, III, 127; nello stes-so senso anche Cons. Stato, sez. III, 9 febbraio 1999, n. 1056, in Cons. Stato, 1999, I,1282.

41 Esemplarmente Cons. Stato, sez. IV, 26 giugno 2002, n. 3533, in Cons. Stato,2002, I, 1389.

tema di cognome è piuttosto precisa: il Supremo organo di giustiziaamministrativa da un lato mette in luce la diversità tra richiesta di so-stituzione e «semplice» aggiunta del «nome»: «l’amministrazione nonpuò trattare le due ipotesi allo stesso modo, ma deve considerare chein linea di principio tale richiesta non incide negativamente sullaidentificazione delle persone e non ingenera pericolo di confusio-ne» 39; dall’altro conferma la natura discrezionale del provvedimentoche autorizza o nega l’aggiunta di cognome «dovendo essere valutati econtemperati gli interessi pubblici e privati in materia», pur tuttaviaribadendo che i criteri su cui deve basarsi l’amministrazione, ancor-ché discrezionali, devono essere idonei a salvaguardare e contempe-rare gli interessi coinvolti, e precisamente quello pubblico a che i co-gnomi siano tendenzialmente stabili nel tempo e quelli privati, conparticolare riguardo all’interesse del richiedente, che può fondarsisulle più svariate ragioni di ordine morale, economico, familiare, af-fettivo, e all’interesse di chi è già portatore del cognome di cui si chie-de l’aggiunta 40.

Anche all’indomani dell’entrata in vigore del regolamento di statocivile l’atteggiamento dei giudici amministrativi risulta immutato: ilConsiglio di Stato è fermo nel ribadire che in base alla legge di statocivile le ragioni di carattere personale o familiare poste a sostegnodell’istanza debbono essere meritevoli di tutela: «tali da contempe-rare la libertà dei singoli con l’interesse pubblico alla certezza nel-l’identificazione della persona e con eventuali interessi privati di se-gno opposto», pur tuttavia lasciando intendere che laddove gli ulti-mi ordini di interessi non sussistano sia nelle cose che l’interesse delsoggetto trovi soddisfazione 41.

È in questo quadro, dunque, che l’interesse individuale al muta-mento del nome viene tutelato, anche se non sembra azzardato chie-dersi se esso non possa risultare talvolta troppo angusto e cioè pre-

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L’identificazione per generalità 85

42 Sulla «costante funzione» d’identificazione del nome si veda U. BRECCIA, inCommentario, cit., 376.

giudizievole dell’aspettativa del soggetto quando questa appaia sorret-ta da un valore costituzionale come quello della pari dignità ex art. 3Cost.

In altri termini, qualora la pretesa al mutamento del nome sia mo-tivata dalla particolare affinità del nome stesso della dignità di chi selo sia visto toccare in sorte, non sembrerebbe irrazionale riconfigura-re quella pretesa come diritto vero e proprio, con l’ulteriore profilo delmutamento della giurisdizione competente.

5. L’attribuzione del cognome

Fissate, dunque, le principali coordinate di livello costituzionale elegislativo dell’obbligatorietà dell’attribuzione del nome, occorreadesso tentare un approfondimento circa le modalità di tale attribu-zione.

Il «nome», secondo la precisazione contenuta nell’art. 6, comma 2,c.c., comprende, quali elementi necessari a distinguere l’individuo, ilprenome chiamato, anche dal nuovo regolamento di stato civile, «no-me» senza ulteriori specificazioni (o, comunemente, «nome proprio»,o anche «nome di battesimo» alludendo alla tradizione cristiana) e ilcognome (o «nome di famiglia» o «nome patronimico») 42. Il rilievo diquesto secondo elemento identificativo va però al di là di quanto fino-ra osservato circa l’attribuzione di un’identità al momento della na-scita, concernendo anche il più complessivo fenomeno del gruppo fa-miliare di cui infatti esso rappresenta il segno di appartenenza.

A ben vedere nel nostro ordinamento non c’è nessuna norma codi-ficata che attribuisca al figlio legittimo il cognome del padre: tuttaviasi tratta di una regola così profondamente radicata nella cultura nonsolo giuridica del nostro paese da esser sembrata non richiedere unaspecifica formulazione, nemmeno in occasione dell’emanazione delregolamento dello stato civile (d.P.R. n. 396 del 2000).

L’unico disposto che in qualche modo richiama il punto è l’art. 33del d.P.R., che prevede che il figlio legittimato abbia il cognome del

4.

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43 Cfr. anche per quanto segue J.-J. LEMOULAND, Le choix du prénom e du nom endroit français, in L’identité de la personne humaine, cit., 631 ss.; F. FURKNEL, La ré-glementation du nom en République Fédérale d’Allemagne, in L’identité de la person-ne humaine, cit., 671 ss.

padre: previsione dalla portata peraltro nemmeno assoluta, visto chesubito dopo viene precisato che lo stesso figlio legittimato, se maggio-re di età, alla data della legittimazione «può scegliere, entro un annodal giorno in cui ne viene a conoscenza, di mantenere il cognome por-tato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporread esso, a sua scelta, quello del genitore che lo ha legittimato».

Nel caso di filiazione naturale, poi, opera l’art. 262 c.c., in base alquale il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primolo ha riconosciuto e se il riconoscimento è stato effettuato contempo-raneamente da entrambi i genitori assume il cognome del padre. L’in-tervento del tribunale dei minori risulta essere necessario solo se,sempre nel caso del figlio minore, la filiazione nei confronti del padresia stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimentoda parte della madre: in questo caso il tribunale decide se il figlio as-sume il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quellodella madre.

Con stretto riguardo alle tecniche di acquisizione del cognome daparte del figlio l’osservazione storica e comparatistica dimostra che inmateria è possibile percorrere strade diverse – schematizzabili in si-stemi in cui vige il principio di prevalenza, il principio di parità conprevalenza e il principio di parità senza prevalenza –, alcune dellequali sono spesso intrecciate e talvolta pregiudicate dal regime dieventuale acquisizione di un nuovo cognome da parte del coniuge 43.

La prima opzione, che caratterizza il nostro ordinamento, tra i(pochi) altri paesi, ancora, in Europa, consiste nella prevalenza delcognome del marito nei confronti della moglie per effetto del matri-monio. Per la precisione, nel nostro sistema il principio di prevalenzaprevisto dall’art. 143-bis c.c. è stato attenuato dalla riforma del dirittodi famiglia (art. 25, legge 19 maggio 1975, n. 151) in seguito alla qua-le la moglie non sostituisce più, in toto, il proprio cognome con quel-lo del marito ma aggiunge quest’ultimo al suo cognome originario.

Il secondo scenario, che parrebbe maggioritario, è offerto da que-gli ordinamenti, come Germania e Austria, nei quali vige la facoltà di

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44 Più precisamente, nell’ordinamento spagnolo conformemente al diritto consue-tudinario al momento del matrimonio il coniuge mantiene il proprio cognome di fa-miglia ed aggiunge quello dello sposo, preceduto dalla preposizione “de” (aggiuntache non viene annotata nel registro di stato civile).

Il cognome dei figli legittimi o nati dal matrimonio è composto dalla prima partedel cognome del padre e della prima parte del cognome della madre: sono i genitori adecidere l’ordine dei cognomi (famoso il caso di Pablo Picasso, noto, appunto, col co-gnome della madre). Fra i due cognomi viene annotata la congiunzione “y”, mentre lapreposizione “de” può essere registrata, a richiesta, prima del nome che figura comeprimo cognome del figlio.

45 Più complessa la situazione in Francia (cfr. infra, nota 47) e in Croazia; in que-st’ultimo ordinamento i coniugi al momento del matrimonio dichiarano quale co-gnome scelgono, oppure se ogni coniuge vuole mantenere il proprio cognome o sevuole aggiungere quello dell’altro coniuge. La sequenza dei cognomi dev’essere fissa-ta nella convenzione matrimoniale.

I genitori decidono altresì se il figlio debba prendere il cognome di uno dei geni-tori o quello comune a entrambi.

scelta dei coniugi di uno solo dei rispettivi cognomi per rappresenta-re ad ogni effetto l’unità familiare.

Una terza ipotesi si rinviene là dove è previsto per legge il mecca-nismo del «doppio cognome», vale a dire il mantenimento del cogno-me della propria famiglia di origine a cui si affianca, al momento delmatrimonio, quello coniuge: così, per esempio, in Spagna è pressochéautomatica l’applicazione di tale meccanismo 44, mentre in Portogallola legge dispone che il regime «doppio cognome» avvenga per liberascelta degli interessati 45.

Venendo ora ad analizzare come si riflettono queste tre soluzionisulle tecniche di acquisizione del cognome del figlio, vediamo che nelcaso da ultimo menzionato la perfetta parità tra coniugi dà luogo al-l’automatica attribuzione alla figliolanza del doppio cognome; ondeevitare, poi, l’incremento esponenziale dei cognomi, si addiviene al-l’attribuzione solo del primo dei cognomi dei genitori alla figliolanza.

I sistemi in cui vige «la parità con prevalenza» sono forse quelliche, almeno sotto quest’ultimo profilo, presentano minori inconve-nienti, considerato che il cognome scelto dai coniugi per «indicare» e«simbolizzare» la famiglia è quello che viene automaticamente «ere-ditato» dai figli».

Mentre l’opzione della prevalenza del cognome del marito sul fron-te della filiazione comporta l’automatica attribuzione al figlio del co-

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gnome del padre; in particolare, nel nostro ordinamento ci troviamonella situazione in cui pur essendo riuscita, la moglie, analogamentea quanto avvenuto per esempio in Spagna, a mantenere il proprio co-gnome originario con la «tecnica dell’aggiunta», tuttavia non è (anco-ra) riuscita ad ottenere il diritto di trasmetterlo, se non ricorrendo al-la via della tutela amministrativa o contenziosa.

Dal quadro comparatistico in materia emerge che nella maggiorparte degli ordinamenti europei e, in particolare, in Germania 46 e inFrancia 47 le potenzialità in ordine all’equilibrio dei sessi in ambito fa-

46 Invero, almeno inizialmente, anche l’ordinamento tedesco incontrò forti resi-stenze ad attuare il dettato costituzionale in materia: malgrado l’intervento della leg-ge del 18 giugno 1957 – redatta col preciso fine di armonizzare il diritto privato tede-sco con le norme costituzionali proclamanti il principio di eguaglianza dei coniugi –,solo le leggi del 14 giugno 1976 e del 16 dicembre 1993 segnarono il cambiamento.L’originalità del sistema da esse configurato consiste essenzialmente nel riconosci-mento del diritto in capo ad entrambi i coniugi di scegliere il nome di famiglia co-mune – fattore di coesione famigliare – optando indifferentemente per il cognome delmarito (Geburtsname) o della donna; mantenendo poi intatta la possibilità per il co-niuge «sacrificato» di «incorporare» il cognome famigliare dal proprio cognome ori-ginario.

47 La materia nell’ordinamento francese è stata di recente riformata (l’entrata invigore della riforma è stata rinviata dal 1° settembre 2003 al 1° gennaio 2005) ad ope-ra delle leggi del 4 marzo 2002 e del 18 giugno 2003 (M. Henri de Richemont, relato-re del disegno di legge al senato, ha spiegato che il secondo intervento normativo haavuto «une portée essentiellement technique»). Il cuore della riforma consiste nel rico-noscimento ad entrambi i coniugi di scegliere quale dei rispettivi cognomi attribuirealla prole o se darli entrambi: sul punto ci limitiamo a ricordare che a fronte di partedella dottrina che ha definito tale riforma «une véritable révolution juridique» (così F.-J. PANSIER-C. CARBONNEAU, Présentation de la loi 4 mars 2002, in Petites Affiches, n. 71,2002, 4; si veda anche, in proposito, M. GOBERT, L’attribution du nom: Egalité ou li-berté?(A propos de la loi Gouzes), in Petites Affiches, n. 102, 2001, 4); si pone chi piùcautamente evidenzia che «les grands principes des règles anciennes, actuellement en-core en vigueur, sont maintenus par la réforme. Seulement, ces règles deviendront facul-tatives à partir de 2005» (così M. SCHERER, Le nom en droit international privé, cit., 13).

Al momento dell’adozione della legge in prima lettura scriveva Le Monde «Les dé-putés ont adopté en première lecture, jeudi 8 février, la proposition de loi socialiste rela-tive au nom patronymique, présentée par Gérard Gouzes (PS, Lot-et-Garonne). Deuxheures de débat n’étaient pas de trop pour un sujet aussi grave que symbolique: le droitpour la mère de donner son nom aux enfants, au même titre que le père. La gauche plu-rielle a voté pour, ainsi que l’un des deux élus RPR en séance. L’UDF et Démocratie libé-rale se sont abstenues en attendant que le texte soit amélioré au cours des navettes avecle Sénat. A droite comme à gauche, de nombreux élus sont convaincus qu’il est temps

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d’abolir la coutume – et non la loi – qui veut que le père transmet automatiquement sonnom à ses enfants» (Le Monde, 17 febbraio 2001, 10).

48 Affaire Burghartz c. Suisse del 22 febbraio 1994 (n. 16213/90) série A, n. 280-B,p. 27. La Corte prosegue richiamando la causa Schuler-Zgraggen c. Suisse del 24 giu-gno 1993 (n. 14518/89), série A n. 263 (tutte reperibili su http//www.echr.coe.int).

49 V. decisione del 27 settembre 2001, che dichiarò irricevibile la req. n. 36797/97,del 14 giugno 1997, G.M.B. et K.M. c. Suisse, in cui due genitori sposati chiesero di co-mune accordo che la loro figlia non fosse iscritta nel registro delle nascite con il co-gnome del padre, ma con quello della madre.

50 Secondo la Corte i principi di certezza giuridica e di unità familiare sono all’ori-gine della situazione per cui in nessuno Stato firmatario della Convenzione risulta es-sere possibile scegliere il cognome di un coniuge come cognome della famiglia e ilcognome dell’altro coniuge come cognome del figlio.

miliare offerte dalle nuove Carte costituzionali del secondo dopoguer-ra risultano essere state, prima o poi espresse, peraltro in linea conquanto statuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in base alprincipio di eguaglianza a tutti gli effetti dei coniugi nell’ambito fami-liare. In proposito «La Cour rappelle que la progression vers l’égalité dessexes est aujourd’hui un but important des Etats membres du Conseil del’Europe; partant, seules des considérations très fortes peuvent amener àestimer compatible avec la Convention une différence de traitementfondée exclusivement sur le sexe», di tal che «rien ne différencie non plusle choix, par les époux, de l’un de leurs patronymes, de préférence à l’au-tre, comme nom de famille» 48.

Per quanto riguarda il rapporto «verticale» di filiazione, la Corte haavuto poi modo di recente di precisare che il rifiuto, da parte dell’or-dinamento, della possibilità per i genitori sposati di attribuire il nomedella madre al figlio/a non contrasta con l’art. 8 della CEDU «dès lorsque, compte tenu de la marge d’appréciation laissez aux autorisées in-ternes, le système en vigueur (Suisse) autorisait les époux à choisir unnom de famille qui pouvait être celui du mari ou de la femme, mais quis’imposait aux enfant dans le souci de préserver l’unité de la famille 49».

L’importante è che l’ordinamento di volta in volta considerato ri-sulti essere sufficientemente flessibile ed al contempo «certo» circa letecniche di acquisizione del cognome di famiglia da parte della filia-zione, dal momento che quest’ultimo, una volta scelto, diviene immu-tabile 50.

È solo a queste condizioni, dunque, che legittimamente si presenta

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51 La normativa codicistica vigente prima della riforma del diritto di famiglia (cheha introdotto l’attuale art. 143-bis), nel regolare solo, nell’ambito della famiglia legit-tima, il cognome della moglie, disponeva all’art. 144 c.c., in piena coerenza con il ri-conoscimento della centralità della figura del pater familiae, che la moglie ne dovesseassumere il cognome, così chiaramente ponendo il cognome dell’uomo quale ele-mento identificativo del nucleo familiare.

Tra le varie proposte di riforma ricordiamo quella avanzata dai deputati Scalia,Cento, Galletti, Boato, De Benedetti, presentata nel maggio del 1996 (reperibile all’in-dirizzo telematico http://web.unicam.it/ssdici/prop5bs.html); mentre il 30 maggio2002 è stato comunicato alla Presidenza del Senato il d.d.l. n. 1454 che, tra l’altro,prevede un nuovo art. 143-bis: «ciascun coniuge conserva il proprio cognome» e 143-bis.1: «al momento della registrazione del figlio allo stato civile l’ufficiale dello statocivile, sentiti i genitori, attribuisce al figlio il cognome del padre, ovvero il cognomedella madre, ovvero di entrambi i cognomi nell’ordine determinato di comune accor-do tra i genitori stessi. In caso di mancato accordo, l’ufficiale dello stato civile attri-buisce al figlio i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico […]».

la situazione per cui, per rimanere alla filiazione, nel caso di non-scel-ta del cognome, la maggior parte dei sistemi prevedono, in via del tut-to residuale, che al figlio venga attribuito per legge il cognome del pa-dre (in alcuni sistemi, peraltro, ciò richiede l’intervento di un’«auto-rità» esterna, così, per esempio, in Germania l’autorità giudiziaria, e,in Croazia, un’autorità amministrativa indipendente ad hoc).

6. Tendenze evolutive: il cognome tra unità familiare e parità deiconiugi nell’ordinamento italiano

Dall’analisi della disciplina del nome nel suo complesso, sia sul pia-no «orizzontale» (specificamente in considerazione dell’art. 143-bis inbase al quale la moglie aggiunge al proprio cognome quello del mari-to e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove noz-ze), sia su quello «verticale», è impossibile negare che l’Italia si collo-ca nella categoria degli ordinamenti più tradizionalisti (similmente aBelgio e Lussemburgo), esponendosi, da un lato, alla censura della di-sparità di trattamento tra i due coniugi e, dall’altro, a quella dell’emar-ginazione della sfera identitaria della moglie e della sua famiglia diorigine, il cui «dato giuridico» non può essere trasmesso ai figli (por-tando in alcuni casi all’estinzione del «casato») 51.

In proposito è ritornata sulla materia di recente la Corte di Cassa-

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L’identificazione per generalità 91

zione, sollevando d’ufficio la questione di costituzionalità, in meritosia al profilo dell’automatica acquisizione, anche quando vi sia in pro-posito una diversa volontà dei coniugi legittimamente manifestata, daparte del figlio, del cognome del padre; sia al profilo dell’impossibilitàper i genitori di determinare il cognome del proprio figlio legittimomediante l’imposizione di entrambi i loro cognomi; e conseguente-mente dell’impossibilità in ogni modo per il figlio di assumere anche,ope legis, il cognome materno 52.

Nell’occasione le parti del giudizio hanno avuto modo di richiama-re le principali argomentazioni che vengono più generalmente addot-te «a favore» e «contro» il quadro normativo attuale in materia e chequi brevemente richiamiamo.

Così, chi afferma la necessità di aggiornare la materia rileva che ilquadro normativo attuale si pone in contrasto sia con il principio fon-damentale di parità dettato dall’art. 3 Cost., perché l’attribuzione au-tomatica ai figli del cognome del marito finirebbe per risolversi conuna irragionevole discriminazione ai danni della donna-moglie, cherisulta essere tanto più incomprensibile nel sistema delineato dallalegge di riforma del 1975, ampiamente ispirata a principi di parità edi pari dignità tra i coniugi; sia con il principio di eguaglianza mora-le e giuridica dei coniugi, sancito dall’art. 29 Cost. Evidenziando inparticolare che il riconoscimento alla donna-madre della possibilitàdi attribuire il proprio cognome alla «società» familiare e ai figli nonporterebbe alcun attentato all’unità familiare, in vista del manteni-mento della quale è del tutto indifferente che si utilizzi il nome del co-niuge «uomo» piuttosto che di quello «donna».

Viene fatta luce inoltre sull’incompatibilità del dettato normativoattuale con l’art. 2 Cost. anche alla luce degli orientamenti in ambitosopranazionale in materia, perché l’odierna disciplina «nazionale»

52 Ci riferiamo a Corte Cass., sez. I, ord. 26 febbraio-17 luglio 2004, n. 13298, in cuila Corte ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 143-bis, 236,237, comma 2, 262, 299 comma 3 c.c.; 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000, nella parte incui prevedono che il figlio legittimo acquisti automaticamente il cognome del padre an-che quando vi sia in proposito una diversa volontà dei coniugi legittimamente manife-stata, e nella parte in cui non prevedono la facoltà dei genitori di determinare il cogno-me del proprio figlio legittimo mediante l’imposizione di entrambi i loro cognomi, né ildiritto di quest’ultimo di assumere anche il cognome materno per contrasto con gli artt.2, 3 e 29, comma 2, della Costituzione (in Guida al dir., 2004, fasc. 31, 32-36).

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53 In particolare, si evidenzia il contrasto con le indicazioni contenute nel pream-bolo e negli artt. 2 e 16 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 10 di-cembre 1948, nonché con l’art. 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia deidiritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; con l’art. 3 del Trattato istitutivo dellaComunità Europea, ed ancora, con la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma didiscriminazione nei confronti della donna adottata dall’Assemblea Generale delle Na-zioni Unite il 18 dicembre 1979 (ratificata in Italia con legge n. 132 del 1985), in par-ticolare con l’art. 16, lett. g), che impone agli Stati parte di assicurare gli stessi dirittipersonali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome.

priverebbe madre e figlio della possibilità, rispettivamente, di tra-smettere il proprio cognome e di riceverlo, limitando conseguente-mente la libera manifestazione della propria personalità anche in se-no alla famiglia 53.

A dimostrazione delle disarmonie tra sistema legale e sentire so-ciale si rileva poi il progressivo consolidamento dell’orientamentogiurisprudenziale che ammette la flessibilità del dovere legale di uti-lizzare il cognome del marito, non considerandolo, evidentemente,così stringente al punto da imporre un obbligo, ma anzi ritenendo chenon costituisca di per sé una violazione dei doveri nascenti dal matri-monio il fatto che la moglie nei comuni rapporti sociali scelga di im-piegare soltanto il proprio cognome originario, attraverso il quale eragià conosciuta prima del matrimonio.

Sul fronte opposto si richiama l’attenzione sul fatto che nonostantesiano stati presentati in passato e siano tuttora giacenti in Parlamentonumerosi progetti di legge, tuttavia essi non hanno avuto esito alcuno,il che dimostrerebbe la persistente volontà del legislatore di mantenereil quadro normativo immutato. Proponimento che risulterebbe ulte-riormente confermato dal silenzio serbato in proposito dal legislatoresia in occasione della riforma del diritto di famiglia (in ordine al co-gnome dei figli legittimi), pur a fronte della modifica, invece voluta,dell’art. 144 c.c. relativo al cognome della moglie; sia in sede di riformadell’ordinamento dello stato civile, occasione in cui a fronte del silenzioserbato sull’assunzione del cognome da parte della moglie e dei figli le-gittimi, il legislatore si è dimostrato invece particolarmente sensibile arecepire altre problematiche emerse afferenti sempre il cognome.

Tale quadro consentirebbe anzi di desumere la vigenza incontestatadi una norma consuetudinaria saldamente radicata nella coscienza enella percezione della collettività (che vuole che appunto sia il padre a

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L’identificazione per generalità 93

54 Sulla mancanza di una norma scritta che disponga che il figlio debba assumereil cognome del padre, G. CALLERI, in Dir. fam. pers., 1974, 1248. Si veda altresì in pro-posito F. PACINI, Una consuetudine secolare da rivedere, in Giur. merito, 1985, 1243; E.PAZE, Verso un diritto all’attribuzione del cognome materno, in Dir. fam. pers., 1998,324-361.

55 La Corte d’Appello di Milano ha avuto modo di mettere in luce ancora di re-cente che il nostro sistema giuridico non consente ai genitori di un figlio legittimo dichiedere la sostituzione del cognome paterno del figlio con quello materno: pur inmancanza di espressa previsione legislativa sussisterebbe, infatti, nell’ordinamentouna norma consuetudinaria che impone al figlio legittimo il solo cognome paterno(Corte App. Milano, 4 giugno 2002, in Fam. e dir., 2003, 173-177, con nota di A. FI-GONE).

56 Cfr. supra, § 2, nota 11.

«trasmettere» il proprio cognome sia alla moglie, sia ai figli) 54, la cuidisapplicazione, sostengono i fautori della tesi contraria alla revisionedella materia, potrebbe comportare riflessi negativi non solo riguardoall’interesse della prole minorenne, che finirebbe col poter essere con-siderata alla stregua, proprio in forza dell’attribuzione del solo cogno-me materno, di «prole naturale», non legittima; ma anche e più in ge-nerale sull’armonia familiare, dal momento che sarebbe difficile met-tere d’accordo i coniugi in punto di scelta del cognome e laddove si op-tasse per il sistema del «doppio-cognome» sulla scelta dei figli 55.

Ma soprattutto costoro basano le proprie tesi sulla ferma linea fattapropria della Corte Costituzionale, che ha in più occasioni affermato lalegittimità del quadro legislativo attuale in materia, rilevando altresìcome, in ogni caso, spetti esclusivamente al legislatore l’introduzionedi un diverso sistema normativo di determinazione del cognome.

A quest’ultimo proposito ricordiamo come, effettivamente, il giudi-ce delle leggi abbia avuto modo di intervenire sulla questione verso lafine degli anni Ottanta con due importanti pronunce che, a partequanto abbiamo già detto a proposito della non configurabilità di undiritto dell’individuo alla scelta del nome 56, hanno posto due puntifermi in materia e, cioè in primo luogo l’ammissione della vigenza diuna «regola», sebbene implicita, in ordine alla determinazione del no-me distintivo dei membri della famiglia; ed in secondo luogo la ne-cessità che il cognome dei figli nati dal matrimonio sia in ogni casoprestabilito, ope legis nell’interesse alla conservazione dell’unità fami-liare ex art. 29, comma 2, Cost. La Corte ebbe inoltre modo nell’occa-

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94 Introduzione allo studio dell’identità individuale

57 Corte Cost., ord. n. 176 del 1988, in Giur. cost., cit., 605 e n. 586 del 1988, inGiur. cost., 1988, 2726-9. Invero già l’anno prima era stata sollevata la questione di le-gittimità costituzionale dell’art. 73 del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento del-lo stato civile), e degli artt. 6, 143-bis, 236, 237, comma 2, 262, comma 2, c.c., in rife-rimento agli artt. 2, 3 e 29 Cost., constatando che essi mancavano di prevedere per ilfiglio legittimo la facoltà di assumere anche il cognome materno e per la madre la fa-coltà di trasmettere ai figli legittimi il proprio cognome: tuttavia la Corte dichiarò lamanifesta inammissibilità in quanto non si era provveduto alla riassunzione del pro-cesso (ordinanza n. 76 del 1987, in Giur. cost., 1987, 620-2).

sione di affermare, più in generale, la compatibilità del quadro nor-mativo attuale, ivi compresa la mancata previsione della facoltà per lamadre di trasmettere il proprio cognome ai figli legittimi, con il det-tato costituzionale 57.

Dicevamo che di recente, convinta del «maturarsi di una diversasensibilità nella collettività e di diversi valori di riferimento, connessialle profonde trasformazioni sociali frattanto intervenute, nonché gliimpegni imposti da convenzioni internazionali e le sollecitazioni pro-venienti dalle istituzioni comunitarie», è ritornata sul punto la Cortedi Cassazione, censurando, come abbiamo anticipato, l’implausibi-lità, dal punto di vista costituzionale, del completo oscuramento e sa-crificio del cognome della moglie derivante dalla norme consuetudi-naria «chiaramente desumibile dal sistema, in quanto presupposta dauna serie di disposizioni regolatrici di fattispecie diverse» che imponel’assunzione, da parte dei figli, solo del cognome del padre.

A parte le argomentazioni «tradizionali» sopra richiamate, la Cor-te nelle sue argomentazioni nel corpo dell’ordinanza di remissione al-la Corte Costituzionale offre spunti più originali, a partire dall’inter-pretazione dell’art. 2 Cost., come clausola aperta ed immediatamenteprecettiva, sulla base della quale sarebbe possibile, a dire del giudicedi legittimità, addivenire al riconoscimento sia del diritto della madredi trasmettere il proprio cognome al figlio, sia di quello del figlio diacquisire i segni di identificazione di ambedue i genitori impersonifi-cando così la continuità della storia familiare con riferimento ad en-trambe le «linee fondamentali», quella materna e paterna.

Con più stretto riguardo, poi, all’art. 3 Cost. la Cassazione sostieneche un sistema normativo in cui fosse consentita l’attribuzione al figlio(anche) del cognome della madre varrebbe a realizzare il principio dieguaglianza non solo dei coniugi tra loro, ma anche rispetto alla prole:

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L’identificazione per generalità 95

58 In particolare, la Cassazione ha posto in rilievo l’art. 16 della lett. g) della Con-venzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nel confronti delladonna (adottata a New York il 18 dicembre 1979 e ratificata in Italia con la legge n.132 del 1985) che impegna gli Stati aderenti a prendere tutte le misure adeguate pereliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivantidal matrimonio e nei rapporti familiari, e ad assicurare, in condizioni di parità con gliuomini, gli stessi diritti personali, compresa la scelta del cognome, al marito e allamoglie. Dal canto suo, il Consiglio d’Europa nelle raccomandazioni n. 1271 del 1995e n. 1362 del 1998 ha affermato l’incompatibilità con il principio di eguaglianza delmantenimento di previsioni discriminatorie tra donne e uomini riguardo alla sceltadel nome di famiglia.

con ciò l’unità della famiglia quale comunità di eguali troverebbeespressione non solo nella sua dimensione orizzontale, ma anche nelrapporto che lega genitori e figli.

Infine, la Cassazione ha manifestato nell’occasione profonde per-plessità sull’«indispensabilità» della soluzione adottata nel nostro or-dinamento in vista del fine di assicurare l’unità familiare, consideran-do come la posizione dell’Italia nel panorama europeo ed internazio-nale risulti ormai essere decisamente «limitata» 58. Anzi, secondo laCorte sarebbe addirittura «nociva», alla luce di quanto «la Corte Co-stituzionale ha avuto occasione di affermare già nella remota senten-za n. 133 del 1970, con riferimento ai rapporti patrimoniali tra i co-niugi», vale a dire che il necessario bilanciamento tra l’esigenza di tu-tela dell’unità familiare e la piena realizzazione del principio di egua-glianza si rafforzano nella misura in cui i rapporti tra i coniugi sonogovernati dalla solidarietà e dalla parità.

La Corte Costituzionale è chiamata, dunque, nuovamente, a deci-dere, trovandosi di fronte ad un quadro, rispetto a quello in cui si so-no innestate le pronunce degli anni Ottanta, che se di certo è rimastoformalmente immutato dal punto di vista normativo interno, forsenon lo è per altri profili a partire dalla variabile del quadro normati-vo (questa volta) «esterno» e del «sentimento sociale» sul fronte in-terno.

Tuttavia, la sensazione è quella per cui la Corte potrebbe incontra-re delle difficoltà al mutamento di un indirizzo così perentoriamenteaffermato in epoca abbastanza recente, in un contesto in cui i riferi-menti costituzionali non paiono, dal punto di vista testuale, avere su-bito sul punto oscillazioni di rilievo.

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96 Introduzione allo studio dell’identità individuale

Se, poi, il giudice delle leggi, come è nelle sue possibilità, assumes-se di voler reinterpretare in senso evolutivo tali disposizioni, bisogne-rebbe dimostrare che la Corte possa farne un uso tranchant, spingen-dosi al di là di possibili auspici affinché sia il legislatore a modificarele sue opzioni, in ordine al fatto che l’unità familiare può ben essereconservata all’interno di un sistema di regole più duttile, o al fatto chequest’ultimo si pone in via del tutto autonoma rispetto al principio diunità familiare.

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59 Sebbene regolata da norme statali il suo rilascio è demandato alle autorità co-munali, le quali così come previsto dalla normativa vigente sono tenute a fornire il do-cumento, della validità di cinque anni, a tutti coloro che ne facciano richiesta purchéabbiano superato i 14 anni e siano residenti nel comune dove si effettua la domanda.Attualmente il cittadino italiano può recarsi con la carta di identità in tutto il territo-

Sezione II

L’identità autenticata

SOMMARIO: 7. L’interesse pubblicistico all’identificazione. – 8. L’accertamento del-l’identità, dalla carta al «bit». – 9. Identità e responsabilità personale. – 10. L’inte-resse privatistico all’identificazione. – 11. L’identificazione del soggetto negoziale. –12. Tendenze evolutive: identità virtuale e preteso diritto all’anonimato. – 13. Se-gue: tutela dell’identità virtuale e riservatezza dei dati personali.

«Ciò che viene notato come singolare nel re di Macedonia Perseo,che cioè il suo spirito, non legandosi ad alcuna condizione,

andasse vagando per ogni genere di vita e mostrando costumi così volubili e vagabondi

che né lui stesso né alcun altro uomo sapeva quale egli fosse»

MICHEL DE MONTAIGNE

7. L’interesse pubblicistico all’identificazione

Quanto attestato nei registri dello stato civile è suscettibile a suavolta di essere documentato attraverso certificazioni formate dallostesso ufficiale dello stato civile così da agevolare la circolazione deldato ai più disparati fini, ferma restando la possibilità di risalire allafonte in caso di dubbio o contestazione. Così, per esempio, in caso dimorte è la certificazione del decesso del de cuius a legittimare la pub-blicazione di un eventuale testamento olografo.

Appartengono a ben vedere a questo genere di certificazioni anchei documenti d’identità il cui scopo è appunto consentire in manieraimmediata e con una certezza ritenuta mediamente sufficiente l’iden-tificazione dei loro portatori 59.

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98 Introduzione allo studio dell’identità individuale

rio dell’Unione Europea ed in alcuni Stati in con cui sono stati stipulati accordi bila-terali, in particolare: Austria, Cipro, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Danimarca,Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Lussembur-go, Liechteinstein, Macedonia, Malta, Principato di Monaco, Norvegia, Olanda, Por-togallo, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Ungheria, Repubblica federale di Jugo-slavia (Serbia Montenegro).

60 Al contrario, per gli stranieri l’art. 6, comma 3, della legge n. 286 del 1998 di-spone l’obbligo di esibire ad ogni richiesta di ufficiali e/o agenti di P.S. il passaportoo altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno. L’art.6, comma 4 della legge n. 286 del 1998 prevede che qualora vi sia motivo di dubitaredella identità personale dello straniero, questi possa essere sottoposto a rilievi segna-letici fotodattiloscopici e segnaletici.

I Garanti europei per la protezione dei dati personali, prendendo in esame la pro-posta di creare un database dei visti centralizzato a livello europeo (il cosiddetto VIS(Visa Information System), hanno recentemente (si veda la Newsletter del Garante del13-19 settembre 2004) messo in luce la necessità di prevedere forti e ben chiare limi-tazioni alla possibilità di condivisione, da parte dei Paesi dell’UE, di dati biometricidi coloro che richiedono permessi di soggiorno e visti.

Nel parere n. 7 del 2004 (disponibile all’indirizzo http://www.europa.eu.int/comm/internal_market/privacy/docs/wpdocs/2004/wp96_en.pdf) il Gruppo dei Garantieuropei ha indicato i principi che devono essere comunque rispettati nel prevedere unformato uniforme a livello UE per i visti ed i permessi di soggiorno, comprendenteidentificatori biometrici (impronte di due dita più foto dell’interessato) registrati informato digitale su chip elettronico. I documenti che ne prevedono l’istituzione (es.Decisione del Consiglio UE dell’8 giugno 2004), contengono, secondo i Garanti, indi-cazioni troppo generiche sulle garanzie e le salvaguardie da applicare.

61 Si veda in proposito la Newsletter del Garante del 29 settembre-5 ottobre 2003,Accesso ai dati personali e riconoscimento.

Mentre in alcuni paesi la carta d’identità è obbligatoria, nel nostroordinamento è «facoltativa» 60, nel senso che è dato modo ai cittadinidi dimostrare la propria identità altrimenti. Per questo, per esempio,l’art. 17, comma 2, d.P.R. n. 501 del 1998 prevede la possibilità di at-testarla anche esibendo o allegando copia di un documento di ricono-scimento 61; e sempre per questo è possibile chiedere, per ipotesi, diaccedere ai propri dati personali senza bisogno di esibire un docu-mento di riconoscimento, se chi detiene i dati ha la possibilità di ac-certare l’identità dell’interessato attraverso la conoscenza personale oaltri concreti elementi.

In ogni caso la certificazione della propria identità a richiesta di unpubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, se, da un lato costi-tuisce un obbligo, in quanto la sua omissione integra il reato contrav-

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L’identificazione per generalità 99

62 Inoltre cfr. supra, Cap. II, nota 18.Secondo la Corte di Cassazione poiché la ratio dell’art. 651 c.p. è quella di salva-

guardare l’esigenza di consentire al pubblico ufficiale una pronta, compiuta e corret-ta identificazione del soggetto in circostanze di interesse generale non può valere adescludere il reato né la circostanza che il soggetto fornisca una qualche indicazionesulla propria identità personale senza fornire le complete generalità, né il fatto che lasua identità sia facilmente accertabile (Corte Cass., sez. I, 27 febbraio 1998, in Giust.pen., II, 1999, 11).

Sul rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale si veda anche Corte Cass.,4 marzo 1986, in Riv. pen., 1987, 457; Pret. Genova, 2 aprile 1997, in Dir. pen. e proc.,1997, 1379, 80-84. Ha focalizzato l’attenzione sull’importanza del «potere-dovere» delgiudice penale di sindacare la legittimità della richiesta del pubblico ufficiale d’indica-zioni dell’identità personale, Corte Cass., sez. I, 11 maggio 1993, in Riv. pen., 1995, 168.Sulla distinzione (e conseguentemente sulla possibilità di concorso materiale) tra lacontravvenzione di cui all’art. 651 c.p. e il reato di cui agli art. 4 Tulps e 294 del relativoregolamento, ha avuto modo di pronunciarsi la Corte Cass., 13 aprile 1989, in Riv. pen.,1990, 508.

63 Cfr. I. LEONCINI, Il reato impossibile per inidoneità dell’azione e il delitto di false di-chiarazioni sulla identità o sulle qualità personali proprie o di altri (nota a Cass. pen.,sez. IV, 12 dicembre 1988), in Cass. pen., 1991, I, 234-243 e P. DELL’ANNO, Sulla confi-gurabilità della calunnia nel caso in cui l’effettivo colpevole si sia attribuito generalità al-trui (Osservazione a Cass. pen., sez. I, 7 luglio 1989), in Cass. pen., 1990, II, 1910 (l’au-tore avanza riserve, in riferimento al caso annotato, sulla configurabilità del delitto dicalunnia, oltre a quello di false attestazioni sulla propria identità, nel caso di assun-zione da parte del vero colpevole di generalità di altra persona).

64 Così M. PLANIOL, secondo cui: «le nom est une institution de police civile; il est laforme obligatorire de la désignation des personnes» (in Traité élémentaire de droit civil,Paris, 1908, 398).

venzionale dell’art. 651 c.p., dall’altro esige ancora una volta che unaprevia attribuzione di identità ci sia stata, confermando anche perquesta via l’interesse pubblico in materia 62.

Peraltro, non può sfuggire che, nel caso considerato, come si è giàavuto occasione, del resto, di illustrare, si graviti in una dimensionediversa da quella presidiata dall’art. 22 Cost., dato che appare eviden-te l’indole preventiva e repressiva delle norme che disciplinano sia il ri-lascio della carta di identità (art. 3 Tulps) o dei documenti equipollen-ti, sia di quelle che muniscono di tutela penale l’appena visto obbligodi dare contezza di sé, nonché la falsa attestazione della propria iden-tità o di altri (artt. 495 e 496 c.p. 63). Siamo infatti qui in presenza di unordine diverso di valori che potrebbero ascriversi alla tutela dell’ordi-ne pubblico materialmente inteso, «le nom institution de police 64» già

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100 Introduzione allo studio dell’identità individuale

evidenziato da tempo dalla dottrina e confermato dalla ben nota giu-risprudenza della Corte Costituzionale, e che da ultimo ha trovatoesplicita menzione nell’art. 117, comma 2, lett. h).

Quanto agli inscindibili legami tra «ragioni di sicurezza» e docu-menti identificativi la persona, si è soliti richiamare alla mente, fattele dovute differenze, sul piano «esterno» la revisione di tutti i passa-porti per l’estero e l’annullamento di quelli più recenti ad opera del re-gime fascista 65 e, sul «fronte interno», il varo, da parte del regime so-vietico, della legge sui passaporti interni che servivano per controlla-re l’origine e la sede delle persone e per impedire (chi veniva trovatosprovvisto durante un controllo in città veniva arrestato) che i conta-dini fuggissero dalle campagne oramai disastrate ed affluissero inmassa verso le città 66. Ma senza andare troppo indietro nel tempo, ilsenso della nostra affermazione può forse meglio intendersi richia-mando alla mente la funzione svolta dalle «carte di soggiorno» e dai«permessi di soggiorno», che fanno la vece, per gli stranieri, della car-ta di identità 67.

E ricordando altresì che «il perché», ancora oggi, una persona resi-dente nel Regno Unito non abbia l’obbligo di premunirsi di documen-ti di identità e conseguentemente «il perché» sul suolo britannico nonesista la carta di identità, ha radici storiche non troppo lontane neltempo: come non mancano di ricordare i cittadini britannici, infatti,

65 Decisione rientrante nell’ambito di un’operazione più complessa chiarita il 5novembre 1926: «Una energica epurazione del partito, al fine di liberarlo dagli ele-menti che non abbiano dato prova di assoluta fedeltà alle direttive imposte dalla ge-rarchia e non garantiscano “doti personali d’onestà, lealtà e laboriosità”, è autorizza-ta dal Gran Consiglio del fascismo, che incarica il segretario Augusto Turati di agirenella maniera più decisa in questa direzione».

66 Sul suolo francese la polizia rilasciava discrezionalmente il passaporto interno:si trova scritto in proposito «Emanant du préfet de police de Paris, une circulaire du 30mars 1822 enjoint par exemple aux commissaires de police de ne pas favoriser l’attribu-tion de ce document à certains individus qu cédant à des instigations coupables sont de-venus les auxiliaires de la mal veillance dont ils ont servi les projets en répandant defausses nouvelles e des écrits séditieux» (L. COURCELLE, Répertoire de police administra-tive et judiciaire, Berger-Levrault, Paris, 1896, 1343).

67 Per quanto riguarda invece «la carta di soggiorno» in ambito comunitario e lalibera circolazione delle persone, si veda G. TESAURO, Diritto comunitario, Cedam, Pa-dova, 2003, 452 ss.

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L’identificazione per generalità 101

68 Cfr. J. POUSSON-PETIT, L’identité de la personne humaine au Royaume-Uni, in L’iden-tité de la personne humaine, cit., 343 ss. Antesignano in materia è stato il caso Rice/Con-nolly del 1966 (reperibile, tra l’altro, all’indirizzo telematico http://www.hrcr.org/safri-ca/arrested_rights/Rice_Connolly.htm).

Discorso in buona parte analogo va fatto relativamente agli Stati Uniti, dove si di-scute da più di trent’anni sull’idea di introdurre una Carta d’identità nazionale (si ve-da in proposito http://usembassy.it/pdf/other/dialogo-3.pdf, pp. 9-10) ma rispetto a cuida ultimo George W. Bush ha dichiarato la sua opposizione. In compenso, già piena-mente vigente è il Patrioct Act del 24 ottobre 2001 (H.R. 3162, 107th Congress), di cuiai fini del presente studio interessano soprattutto il sec. 503: «DNA identification ofterrorists and other violent offenders» e il sec. 1008: «Feasibility study on use of biome-tric identifier scanning system with access to the FBI integrated automated finzerprintidentification system at overseas consular posts and points of entry to the United Sta-tes».

69 È del 6 agosto scorso la notizia pubblicata sul Corriere della Sera (http://www.cor-riere.it/ Primo_Piano/Cronache/2004/08_Agosto/06/passaporto.shtml): «Londra, vietatoil sorriso sui passaporti, approvata una direttiva dell’Ufficio passaporti britannico,entro il 2005 i nuovi passaporti britannici sfrutteranno la tecnologia biometrica. Mac’è chi dubita sull’efficacia» (di tenore analogo l’articolo di M.C. Bonazzi pubblicatosu «La Stampa», «Niente sorrisi se la foto va sul passaporto»). Le nuove norme anti-terrorismo in Gran Bretagna che entreranno in vigore nel 2005 al fine di facilitare illavoro degli scanner facciali stabiliscono che non vi dovranno essere ombre, dovrà es-sere fotografato l’intero volto, il soggetto dovrà guardare direttamente l’obiettivo,l’espressione dovrà essere neutra e la bocca chiusa. Inoltre gli occhi dovranno essereaperti e chiaramente visibili e saranno banditi gli occhiali da sole.

durante la seconda guerra mondiale la carta di identità fu resa obbli-gatoria al fine precipuo di identificare il nemico. Nel 1952 Lord God-dard si presentò quindi in parlamento per chiederne la soppressione,dal momento che la guerra era terminata e dunque la carta di identitàera a quel punto divenuta illegittima perché, appunto, inscindibilmen-te legata ad una manifestazione di«sfiducia» dello Stato nei confrontidei cittadini di Sua Maestà, in contrasto, con i principi liberali 68.

Certo, proprio per il tradizionale empirismo inglese, non convieneesagerare la portata di questa presa di posizione, visto e consideratoche, risulta che nel Regno Unito, non solo il passaporto venga comu-nemente utilizzato come documento identificativo in luogo della car-ta di identità, ma che non si sia per nulla rinunziato a identificare lepersone a fini di sicurezza, ricorrendo però prevalentemente ai datiidentificativi di carattere biologico che si sono illustrati nel capitoloprecedente 69.

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102 Introduzione allo studio dell’identità individuale

70 Banche dati del DNA sono già presenti ormai in molti paesi europei e si stannorealizzando in Polonia, Portogallo, Spagna, Grecia, Irlanda e Juogoslavia, Ungheria eLettonia.

71 Così A. MONTELEONE, Banca dati nazionale del DNA (BDN-DNA). Esigenze della giu-stizia ed esigenze di «privacy», in http://www.diritto.it/articoli/penale/monteleone.html.

8. L’accertamento dell’identità, dalla carta al «bit»

L’esempio inglese consente a questo punto di operare una sorta diclassificazione tra la scelta, per così dire «sostanzialista» e quella «for-malista».

La prima ipotesi riguarda quei sistemi giuridici che per motivi sto-rici e culturali hanno rifiutato forme di attribuzione anagrafica di«identità», o perché considerate «inutili» o comunque, come si è det-to, in qualche modo manifestazioni di sfiducia nei confronti dei citta-dini da parte dello Stato-apparato. Il fatto è che quasi paradossal-mente in questi casi si è attinto direttamente «alla fonte», vale a direal dato biologico: di qui, per esempio, in Inghilterra, l’istituzione datempo di banche dati del DNA, con tutti i problemi che ne sono deri-vati sul piano della riservatezza.

In altri sistemi, motivi di ordine storico-culturale hanno favorito ilcompimento di una scelta diversa, per cui più che il dato biologico èstato valorizzato e «centralizzato» il dato anagrafico, che in questomodo ha funzionato un po’ da «filtro», come schermo di protezionedel dato fisico più autentico al costo di tutti i limiti, puntualmente ri-levati, di efficacia identificativa.

Quanto da ultimo rilevato riguarda il presente-passato: gettandoora un rapido sguardo sul «presente-futuro», notiamo che in materiasi sta assistendo alla progressiva «chiusura della forbice» data da unlato dalla crescente istituzione di banche dati genetiche ormai in qua-si tutti i paesi «formalisti 70» e dall’altro a proposte di istituzione di«carte di identità» nei paesi «sostanzialisti»; in tutti i casi, poi, è regi-strabile la tendenza a istituire carte (anche) di identità elettroniche.

Per ora nel nostro paese tutto pare tacere: molti ritengono che lamancata istituzione di banche dati del DNA derivi da una «sorta dirassegnata inerzia 71» unita alla tendenza del legislatore italiano di«abbandonarsi», in determinati ambiti, a scelte prese a livello sopra-nazionale; a noi sembra registrabile anche un certo qual tipo di re-

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frattarietà «culturale» (peraltro condivisibile) presente in seno all’opi-nione pubblica 72.

Quanto al secondo versante, curioso è notare come negli ordina-menti «sostanzialisti», a partire dal Regno Unito, si stia assistendo alprogressivo avvicinamento del sistema alle esperienze continentali inmateria. Ultimamente, infatti, si stanno affacciando con sempre mag-giore probabilità di realizzazione – stimolate dagli eventi di politicainternazionale dell’ultimo periodo – proposte legislative di introdu-zione anche sul suolo britannico della carta di identità (tema peraltropiuttosto ricorrente nella storia inglese, puntualmente proposto cosìcome puntualmente bocciato e riproposto ed accantonato dalla classedirigente britannica 73).

Dicevamo, poi, che si registra la tendenza al superamento della tra-dizionale carta di identità, e più in generale del «documento cartaceo»con carte e documenti su altri tipi di supporto, capaci di conteneremicrochip programmabili 74. Così, nel nostro paese, dal maggio 2004 èiniziato ufficialmente il processo (che coinvolgerà 8.102 comuni e ter-minerà entro i cinque anni successivi con la distribuzione di 40 milio-ni di documenti) che porterà alla messa a regime della carta d’identitàelettronica 75.

L’identificazione per generalità 103

72 Anche se, invero, di recente il Ministro della Salute ha rilasciato delle dichiara-zioni (a margine della giornata di studio «Ipotesi per la costituzione di una Banca Da-ti Nazionale del DNA» organizzata dal Raggruppamento Carabinieri InvestigazioniScientifiche di Roma) che lasciano intendere la volontà di costituire una banca datidel DNA «strumento indispensabile per la giustizia penale».

73 Come visto, l’introduzione della carta di identità è un tema piuttosto ricorrentenella storia inglese. Ci limitiamo a citare, di recente, il Green Paper pubblicato da JohnMajor nel 1995. Gli eventi caratterizzanti la politica internazionale nell’ultimo periodohanno riproposto come di stretta attualità: si veda BBC News, 24 settembre, 2001, IDCards opposition grows; BBC News, 23 novembre 2004, ID Card scheme unveiled byQueen (in http://news.bbc.co.uk); e il numero di EuReporter (The journal of EuropeanBusiness), del 7 maggio 2004, 17. Cfr. supra, nota 68.

74 S. MERCURI-R. CARUSO, E-government e carta d’identità elettronica, in Tributi,2001, 588-590.

75 La carta d’identità elettronica muove i primi passi, come idea progettuale, con la«legge Bassanini» n. 127 del 1997, quando apparve chiaro che molti comuni in Italiavolevano realizzare una carta della città con cui offrire ai cittadini differenti tipologiedi servizi. Per tutto il 1998, un gruppo di lavoro costituito presso il dipartimento dellaFunzione Pubblica discusse cosa dovesse essere la carta d’identità elettronica e a quali

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104 Introduzione allo studio dell’identità individuale

È stato da più parti rilevato, a partire dal Ministero degli interni 76,che tra le varie esigenze a cui è chiamato ad assolvere il nuovo docu-mento, vi sono innanzitutto quella legata alla non falsificabilità delsupporto; alla possibile utilizzazione del documento di identità comecarta servizi; nonché alla necessità di dover disporre di un supporto ingrado di funzionare allo stesso modo e su tutto il territorio nazionalenei confronti delle Pubbliche Amministrazioni Centrali 77.

Più precisamente, l’art. 36 del d.P.R. n. 445 del 2000 (da ultimo mo-dificato dal D.Lgs. n. 10 del 2002 e dal d.P.R. n. 137 del 2003 e desti-nato ad essere a breve sostituito), ai commi 2 e 3 prevede che i docu-menti di riconoscimento elettronici oltre ai dati identificativi dellapersona ed al suo codice fiscale possano contenere:

a) l’indicazione del gruppo sanguigno;b) le opzioni di carattere sanitario previste dalla legge;c) i dati biometrici indicati col decreto di cui al comma 1, con esclu-

sione, in ogni caso, del DNA;

modelli organizzativi dovesse ispirarsi. Successivamente venne emanata la legge n. 191del 1998 ed in seguito il D.P.C.M. n. 437 del 1999 e il D.M. n. 116 del 2000 «Regole tec-niche e di sicurezza relative alla carta d’identità e al documento d’identità elettronici»,seguirono varie Circolari Ministeriali esplicative necessarie a riformare e costituirel’ampio contesto di innovazione tecnologica della Pubblica Amministrazione con rife-rimento appunto all’istituzione del nuovo documento. La sperimentazione (effettuatain 83 comuni e che ha visto l’emissione di circa 170 mila carte), iniziata nel 2001 comeprevisto dal Ministero dell’interno e dal Dipartimento della Funzione Pubblica, ha per-messo di individuare i problemi di natura tecnica, legati al software e all’hardware, re-lativi alla realizzazione e all’utilizzo delle carte. A seguito dei risultati positivi, il Mini-stero dell’interno, d’intesa con il Ministro per l’innovazione e le tecnologie, ha varato laseconda fase del progetto in cui, recependo le indicazioni emerse dalla fase pilota, so-no state varate le nuove caratteristiche organizzative e tecniche delle infrastrutture ne-cessarie per la diffusione più capillare del nuovo strumento. In questa nuova fase2.800.000 carte sarebbero dovute essere distribuite in 56 comuni entro la fine del 2003.A supporto delle attività è stato istituito un gruppo di lavoro interministeriale a sua vol-ta articolato in un sottogruppo organizzativo-giuridico-amministrativo e in uno tecni-co-scientifico. Per ulteriori approfondimenti R. BENZI, Carta d’identità elettronica: la se-conda fase della sperimentazione, in Riv. del personale dell’ente locale, 2002, 607-609.

76 A proposito della Banca dati del Ministero dell’interno e diritto all’identità perso-nale, R. BLAIOTTA (nota a Cass. pen., sez. II, 11 febbraio 1994), in Cass. pen., 1995, IV,1055-1063.

77 Per maggiori informazioni sulle caratteristiche tecniche rinviamo all’indirizzotelematico: http://www.cartaidentita.it/cie/reader/index.html.

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L’identificazione per generalità 105

78 Si veda altresì la Newsletter n. 99 del 14-21 ottobre 2001: Il Garante: i rischi del-la Carta di identità elettronica.

79 Il flusso procedurale che porta al rilascio della carta d’identità elettronica do-vrebbe iniziare con l’acquisizione dei dati anagrafici e biometrici della persona:all’uopo è previsto un colloquio telematico con il Ministero dell’interno: S.S.C.E. (Si-stema di Sicurezza del Circuito di Emissione) per garantire la sicurezza dell’interocircuito di emissione, con il S.A.I.A. (Sistema di Accesso ed Interscambio Anagrafico)e con l’I.N.A. (Indice Nazionale delle Anagrafi) per garantire l’aggiornamento e l’in-terscambio delle informazioni anagrafiche riportate nelle banche dati settoriali dellapubblica amministrazione, e con l’Agenzia delle Entrate (ex Ministero delle Finanze)per l’assegnazione e la validazione dei codici fiscali.

d) tutti gli altri dati utili al fine di razionalizzare e semplificarel’azione amministrativa e i servizi resi al cittadino, anche per mezzodei portali, nel rispetto della normativa in materia di riservatezza;

e) le procedure informatiche e le informazioni che possono o deb-bono essere conosciute dalla pubblica amministrazione e da altri sog-getti, occorrenti per la firma elettronica.

Ciò considerato, è del tutto evidente che un unico supporto verràad incorporare sia l’identità personale attribuita, sia quella biologica,rendendo possibile realizzare l’incrocio di una grande quantità di da-ti eterogenei tra loro e per questo idonei nel complesso, a ricostruiregran parte del nostro profilo identitario complessivo 78 (in questo sen-so fa un po’ sorridere la, pur apprezzabile, previsione del comma 3dell’art. 35 in base al quale non è necessaria l’indicazione o l’attesta-zione dello stato civile «salvo specifica istanza del richiedente»).

Per ciò è auspicabile il mantenimento di una certa separazione, senon dei supporti quanto meno della tipologia di dati, a seconda dellerispettive funzioni, in modo che il dato utilizzato sia pertinente: a talfine l’idea è quella di criptare le informazioni facendo salve quelle dicompetenza del soggetto di volta in volta coinvolto, per cui i comunipotranno accedere a certi dati, le questure territorialmente compe-tenti ad altri e così via, senza che sia reso in alcun modo possibile l’ac-cesso a tutte le informazioni della carta d’identità elettronica contem-poraneamente 79.

Per di più, il comma 4 dell’art. 36 prevede che la carta d’identitàelettronica e la carta nazionale dei servizi possano essere utilizzate aifini dei pagamenti tra soggetti privati e pubbliche amministrazioni: di

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106 Introduzione allo studio dell’identità individuale

80 A. CONTALDO, L’informatizzazione amministrativa diffusa all’accesso: il caso dellacarta di identità elettronica, in Riv. amm. Rep. it., 2001, II, 663-672.

81 Cfr. supra, Cap. II, § 10.82 Specificamente, la protezione dei dati conservati nella carta d’identità elettroni-

ca dovrebbe essere realizzata su due distinti livelli: uno fisico e l’altro operativo. A li-vello di supporto fisico dovrebbe essere lo stesso produttore del chip a provvedere amascherare indelebilmente il sistema operativo proteggendolo tramite una chiave se-greta di sua esclusiva conoscenza. A livello operativo, invece, la protezione dovrebbeessere gestita da due differenti entità: quella che inizializza la carta e l’ente di volta involta coinvolto che la personalizza; in entrambi i casi le informazioni dovrebbero es-sere archiviate in maniera crittografata, in modo tale che solo il proprietario dei datipossa accedervi tramite la sua chiave privata non esportabile.

qui la sua progettazione come un documento «aperto» ed «integrato»(per questo considerato «intelligente», in quanto programmabile), va-le a dire come un possibile strumento attraverso il quale gestire unafitta rete di rapporti con varie entità soggettive. Previsione che, anco-ra una volta, se non adeguatamente arginata, potrebbe comportare lacompressione dell’autonomia negoziale in tutti quei casi in cui, comevedremo, è attualmente dato modo al soggetto di spendere qualunquenome.

La «sfida», dunque, consiste non solo, come si sente generalmentedire, nel riuscire a contemperare sicurezza del mezzo e semplicità evelocità di utilizzo; quanto soprattutto, dal nostro punto di vista, neltrovare il giusto equilibrio tra riservatezza e identificazione.

Quanto alla «sicurezza del supporto», l’impiego di tecniche di ci-fratura a chiave asimmetrica, in particolare quelle seguenti i canoniprevisti dalle rigide normative dettate dall’ITSEC (un sistema per lavalutazione delle tecniche di sicurezza), dovrebbe garantire un siste-ma di protezione altamente efficace del canale di trasmissione, ovve-ro per quanto riguarda lo scambio di dati fra carte e computer 80.

È auspicabile che le medesime tecniche crittografiche vengano im-piegate, così come è previsto, anche in vista della «modellizzazione»dei dati, secondo il procedimento precedentemente analizzato 81, chenon solo scongiurerebbe il rischio che il venir meno, per qualunquemotivo, della nostra carta possa rendere impossibile il rinnovo dei da-ti biometrici unici, ma soprattutto permetterebbe di occultarne il con-tenuto proteggendone la riservatezza 82. Sarebbe poi necessario predi-sporre adeguate garanzie procedurali, a partire dalla previsione della

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L’identificazione per generalità 107

83 A proposito della «democrazia elettronica», P. COSTANZO, La democrazia elettro-nica (note minime sulla c.d. e-democracy), in Dir. inform. inf., 2003, 465-486.

necessaria autorizzazione dell’autorità giurisdizionale a «metter inchiaro» l’informazione criptata e la limitazione delle ipotesi in cui vi-ge obbligo per l’individuo di utilizzare la carta.

Infatti, riteniamo che solo laddove si rispettassero determinate con-dizioni volte a scongiurare la logica della «sorveglianza totale», la car-ta di identità elettronica, pur nella nuova veste di vera e propria «mi-niera di informazioni», potrebbe, forse, continuare a fare da «filtro»tra esigenze di ordine pubblico ed istanze personalistiche, legate per lopiù alla sfera di riserbo personale 83.

9. Identità e responsabilità personale

Al di là delle problematiche sollevate dagli strumenti che la leggeprescrive in concreto per effettuare l’identificazione, sono comunquegli interessi che vi sono sottesi a richiedere in questa sede qualche ul-teriore precisazione.

In questo quadro, sembra innanzitutto centrale il collegamentocon la previsione costituzionale dell’art. 27 Cost., che enuncia il prin-cipio della «responsabilità penale personale». Tale disposto infatti re-sterebbe lettera morta se non venissero allestite le procedure di ga-ranzia affinché l’imputazione di responsabilità non fosse adeguata-mente operata. Ciò che, se principalmente chiama in causa del tuttoovviamente le garanzie proprie del processo con riguardo alla costitu-zione del giudice, al regime delle prove e al diritto di difesa, richiedeanche che siano previsti meccanismi d’identificazione dei protagoni-sti processuali.

Venendo dunque ad analizzare la disciplina dell’identificazionedelle parti del processo, è opportuno rilevare come, già nelle fasi an-tecedenti all’apertura del giudizio, l’art. 332 c.p.p. preveda che la de-nuncia debba contenere «le generalità, il domicilio e quanto altro val-ga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, del-la persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circo-stanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti». Per le denunce a caricodi ignoti, l’art. 107-bis norme di attuazione c.p.p. prescrive poi che ta-

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108 Introduzione allo studio dell’identità individuale

li denunce debbano essere trasmesse all’ufficio della procura compe-tente, unitamente agli eventuali atti di indagine svolti per la identifi-cazione degli autori del reato, da parte degli organi di polizia. Semprea questo proposito ricordiamo infine che l’art. 347 c.p.p. prevede a ca-rico della polizia giudiziaria l’obbligo di riferire per iscritto la notiziadel reato al pubblico ministero, comunicando inoltre, quando è possi-bile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazionedella persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della per-sona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze ri-levanti per la ricostruzione dei fatti.

Per quanto riguarda il processo «in atto», l’art. 66 c.p.p. prevedeche fin già nel primo atto in cui è presente l’imputato l’autorità giudi-ziaria debba invitare quest’ultimo a dichiarare le proprie generalità equant’altro possa valere a identificarlo, ammonendolo circa le conse-guenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dàfalse. E spunti di rilievo offre la previsione del comma 2, in base allaquale l’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalitànon pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell’autorità pro-cedente, perché ciò che conta è che sia certa l’identità fisica della per-sona.

Per concludere sul punto, del più grande interesse è la previsionenell’ambito della procedura civile dell’applicazione della più graveipotesi della nullità assoluta dell’atto in tutti i casi in cui le parti pro-cessuali risultano essere indeterminate o indeterminabili (art. 164c.p.c. che richiama il requisito stabilito nel n. 2 dell’art. 163 c.p.c.).

Restando sul livello costituzionale, il principio di responsabilitàappare poi univocamente collegato al principio d’identificazione an-cora nell’art. 21 Cost., che, sia pure attraverso la tassativa indicazionedei casi di ammissibilità del sequestro preventivo della stampa, pe-rentoriamente esige che la legge disciplini l’individuazione dei sogget-ti responsabili della stampa stessa evidentemente al fine di agevolareal possibile, in un settore così rischioso per altri beni costituzional-mente garantiti come il buon costume, l’onore e la tutela dei diversisegreti, la persecuzione in ogni competente sede degli autori dell’ille-cito.

Non sempre tuttavia, anche nell’ambito penalistico, il principio diidentificazione riceve un’indiscriminata attuazione. Le eccezioni pre-viste non valgono ovviamente ad inficiare il principio di cui all’art. 27

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L’identificazione per generalità 109

84 Sul tema, A. MESSINEO, Problemi dell’identità delle cose e delle persone nel dirittoprivato, in Ann. Catania, 1950, IV, 73.

Cost. dianzi menzionato, ma attengono a diverse dimensioni del fe-nomeno,

Ad esempio, il D.L. n. 143 del 1991 (convertito in legge 5 luglio1991, n. 197 e successivamente modificato dal D.Lgs. 26 maggio 1997,n. 153) ha previsto che, in caso di denuncia o di rapporto ai sensi de-gli artt. 331 e 347 c.p.p., l’identità delle persone e degli intermediariche abbiano effettuato le segnalazioni, anche qualora sia conosciuta,non debba essere menzionata, se non quando l’autorità giudiziaria,con decreto motivato, lo ritenga indispensabile ai fini dell’accerta-mento dei reati per i quali si procede. Inoltre, in caso di sequestro diatti o documenti devono essere adottate le necessarie cautele per assi-curare la riservatezza dell’identità dei soggetti che hanno effettuato lesegnalazioni. In questi casi è evidente l’intenzione, conforme al prin-cipio costituzionale di salvaguardia dell’integrità fisica e della vitaumana, di tutelare, fermo restando il principio dell’inutilizzabilità nelprocesso delle segnalazioni anonime, la sicurezza fisica dei soggetti inquestione che potrebbe essere messa a repentaglio da rappresaglie daparte dei prevenuti.

Questa stessa ratio ispira la normativa dettata a protezione dei col-laboratori di giustizia, per i quali, con il D.L. n. 8 del 1991 (convertitoil legge 15 marzo 1991, n. 82), si è previsto che, nell’ambito di uno spe-ciale programma e quando ogni altra misura risulti non adeguata, condecreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro di graziae giustizia, su richiesta degli interessati possa essere autorizzato ilcambiamento delle generalità del soggetto, garantendone la riserva-tezza anche in atti della pubblica amministrazione.

10. L’interesse privatistico all’identificazione

Venendo sinteticamente a percorrere, per quanto qui possa inte-ressare, il terreno privatistico, risulta che i soggetti del rapporto ob-bligatorio devono di regola essere determinati o determinabili (art.1325 c.c.) 84. Al proposito, si sostiene in dottrina che anche se nella ge-neralità dei casi nella formazione del contratto sono le parti stesse ad

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110 Introduzione allo studio dell’identità individuale

identificarsi reciprocamente 85, tuttavia ciò non è sempre necessario oper lo meno ciò non rappresenta la regola, anche perché ai privati nonsolo manca qualsiasi potere di autenticazione dell’identità, ma più ra-dicalmente il potere di accertamento dell’altrui identità personale 86.

A dimostrazione della possibile irrilevanza nei rapporti tra privatidell’identità anagrafica delle parti, sono noti casi in cui l’accordo epersino lo svolgimento del rapporto può avvenire tra parti che resta-no del tutto anonime, come esemplarmente nei c.d. contratti di mas-sa, tanto da essere definiti come «contratti a soggetto indifferente» incui prevarrebbero, rispetto alla tutela di un astratto principio di cer-

85 Cfr. M. BIANCA, Diritto civile, il contratto, II ed., Giuffrè, Milano, 2000, 59.Sull’«Identità dell’autore e del destinatario della dichiarazione», V. ROPPO, Il contrat-to, Giuffrè, Milano, 2001, 208. Per uno studio antesignano sull’errore circa l’identitàdella persona dell’altro contraente, considerato dall’art. 1429 c.c. “essenziale”, A. GA-LASSO, Errore sulla persona, personalità della prestazione e intuitus personae, in Riv.trim. dir. proc. civ., 1973, 1331-135.

Mentre per quanto riguarda, più in generale, l’impugnabilità del “negozio giuridi-co matrimoniale per errore sull’identità della persona ai sensi dell’art. 122 c.c.”, rin-viamo a E. CAPIZZANO, Una sentenza non più avveniristica. Spunti per una discussione,in Giur. mer., 1971, 497-505. Muove da una diversa prospettiva P. MONETA, Un inter-vento risolutivo della Rota Romana in tema di errore sulla persona?, in Dir. eccles.,1995, 234-247.

86 Sulla responsabilità del notaio nell’accertamento dell’identità personale si veda-no G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Cedam, Padova, 1999, 275 ss.;G. GIRINO, I testimoni e l’identità delle parti dieci anni dopo, in Riv. notar., 1986, I, 377-384; G. VECCHIO, Ancora sui contenuti dell’accertamento dell’identità personale delleparti compiuto da notaio, in Vita not., 1993, I, 151-156; F. ANTONINO, Sulla «identitàpersonale delle parti», in Il notaro, 1972, 19; G. PALERMO, Falsa attestazione di identitàpersonale. note a margine degli articoli 49 e 51 della legge notarile, in Riv. notar., 1976,477-497; S. NELLI, Atto notarile e identità personale delle parti, in Riv. notar., 1976, 714-749; S. TONDO, Accertamento della identità delle parti nell’atto notarile, in Riv. notar.,1978, 43-61; R. RAMPIONI, Falsità in atti ed attestazione notarile di certezza dell’identitàpersonale dei comparenti, in Cass. pen., 1981, I, 1785-1792; M. MARE, La responsabilitànotarile per l’attestazione d’identità personale non rispondente al vero, in Giur. it., 1982,115-124 e la responsabilità notarile per l’attestazione d’identità personale non rispon-dente al vero, in Riv. notar., 1982, 559-572; G. VIOLA, «Certezza» e «convincimento»sull’identità personale: considerazioni sulla legge 10 maggio 1976 n. 333, in Giust. pen.,1982, II, 515-519; M. ANTINOZZI, La responsabilità del notaio per attestazione d’identitàpersonale non rispondente al vero (nota a Cass. civ., sez. I, 17 maggio 1986, n. 3274),in Dir. e pratica nell’assic., 1987, 343-344; V. PACILEO, Falso ideologico del notaio per at-testazione di certezza di identità personale basata su documento di identità: un mito pu-nitivo da sfatare (del tutto?), in Cass. pen., 2001, II, 1638-1652.

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L’identificazione per generalità 111

87 V. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., 891 ss.; M. BIANCA, Diritto civile, Ilcontratto, cit., 273 ss.

tezza del contraente ritenuto irrilevante nella specie, motivazioni diordine pratico attinenti alla snellezza del traffico giuridico.

Ma, a ben vedere, si tratta di un fenomeno che ha radici antiche sesi rammenta la regola del «possesso vale titolo» per cui, a determina-te condizioni, si riscontra il disinteressamento pressoché totale del-l’ordinamento relativamente all’identità del soggetto legittimato e vi-ceversa l’estremo interesse per il bene da esso posseduto. Su un altroversante, può essere richiamato il fenomeno dell’incorporazione deldiritto in un determinato supporto definito pertanto «contrassegno dilegittimazione»: caso in cui avviene una sorta d’immedesimazione trail soggetto (parte del rapporto giuridico) e il referente oggettivo in suopossesso che prova che egli è legittimato ad una prestazione.

Tuttavia, gli esempi che si sono appena portati dovrebbero indurrecautela all’abbracciare incondizionatamente una posizione o l’altra,sembrando consigliabile considerare caso per caso le concrete esigen-ze meritevoli di tutela. Così l’identità anagrafica della parte può rile-vare giuridicamente o perché il vincolo contrattuale ha carattere per-sonale (nel qual caso il contratto è di regola intrasmissibile salvo al-cune ipotesi di contratti stipulati nell’esercizio di un’impresa), o per-ché le qualità personali o patrimoniali della parte rilevano al fine del-l’esatto adempimento (il che comporta che nei contratti a prestazionicorrispettive non ancora eseguiti la parte non possa cedere la propriaposizione contrattuale senza l’autorizzazione della controparte, an-che se, invero, in alcuni casi non è nemmeno sufficiente questa), o perconoscere le garanzie patrimoniali della controparte stessa 87.

11. L’identificazione del soggetto negoziale

Delle modalità di identificazione del soggetto negoziale, la dottrinacivilistica che più da vicino ha studiato il fenomeno considera «ele-mento di identificazione» in senso lato ogni entità strumentalizzata alfine non «di autenticare», si badi, ma di «fissare l’identità del sogget-to», proponendo la distinzione tra mezzi di identificazione «legali» e

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112 Introduzione allo studio dell’identità individuale

«convenzionali», nonché «diretti» e «indiretti», a seconda che si trattidell’applicazione di regole emanate al fine esclusivo di stabilire deicontrassegni di individuazione oppure che sia possibile fare rinvio arapporti o situazioni giuridiche di diverso contenuto attinenti allapersona e che per la loro notorietà valgono anche a designarla (adesempio, il possessore del bene X) 88.

Si tratta evidentemente, in questo secondo caso, di designazionidel soggetto che prescindono dall’utilizzo del nome, dal momentoche si risolvono nella semplice indicazione di situazioni di vario ti-po, tuttavia idonee a raggiungere lo scopo soprattutto nei rapportitra privati, nel cui ambito ciò che interessa assai spesso non è la co-noscenza immediata dell’identità anagrafica del soggetto negoziale,ma piuttosto la possibilità di reperirlo per farne valere la responsa-bilità.

Per una tale ragione, la facoltà creativa del soggetto nel generareproprie identità risulta tendenzialmente illimitata, potendo egli utiliz-zare a tale scopo qualsiasi elemento ritenuto utile. Di qui l’accresciutaimportanza, nella società attuale, dei processi di «numerizzazione sog-gettiva», che offre indubbi vantaggi sul terreno pratico e che ha avutonegli ultimi anni un forte impulso dalle nuove tecnologie. I «numeri»sono divenuti un mezzo ampiamente utilizzato per contrassegnare lapersona: basti pensare al numero di telefono, al numero di carta di cre-dito 89, ai codici a barre, al numero di fax, al numero di telescrivente, alnumero di targa, ecc., tutti segni che in qualche modo valgono ad indi-care un soggetto e che possono essere denominati, per distinguerli ri-spetto ai criteri di identificazione legale in senso stretto, segni identifi-cativi per generalità di secondo (se non terzo) grado 90.

Ma, nel negozio formale, l’insinuarsi ancora una volta di interessidi tipo pubblicistico introduce elementi di complessità. Così, sebbene

88 Così G. PIAZZA, L’identificazione del soggetto nel negozio giuridico, Jovene, Napo-li, 1968, 41. Sul tema si veda altresì P. PERLINGIERI, Forma dei negozi e formalismo de-gli interpreti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1987.

89 A proposito de «Gli aspetti legali della sicurezza nell’uso della carte di credito e dipagamento», cfr. R. BORRUSO, in Giust. civ., 1992, II, 217-232.

90 A proposito del «numero come contrassegno distintivo personale», si vedanoancora gli antesignani studi di A. PIAZZA, op. ult. cit., 58.

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L’identificazione per generalità 113

91 In particolare, secondo F. GAZZONI, «il soggetto che produce in giudizio una co-pia del contratto non sottoscritta esibirebbe in sostanza una proposta contrattuale(ancora) non accettata» (F. GAZZONI, op. ult. cit., 898).

92 Per una posizione particolarmente “formale” in proposito citiamo per tutti P.GUIDI, secondo cui «se l’interessato ha firmato personalmente ma con un nome fitti-zio […] ad un tale documento non può riconoscersi il carattere di scrittura privata,perché la firma con nome fittizio non adempie alla duplice funzione di dichiarazionedell’autore e di dichiarazione di paternità della scrittura» (P. GUIDI, Teoria giuridicadel documento, Giuffrè, Milano, 1950. 77. Nello stesso senso LA SERRA, La scrittura pri-vata, Jovene, Napoli, 1959, 148).

In giurisprudenza richiamiamo per tutte Corte Cass., 30 luglio 1937, in Riv. dir.comm., 1938, II, 34 ss.).

il negozio formale concluso con segno di identificazione convenzio-nale costituisca atto idoneo da solo a produrre effetti giuridici 91, tut-tavia non costituisce di per sé «titolo idoneo» ad effettuare la trascri-zione, dal momento che l’art. 2659, n. 1, c.c., richiede espressamentel’indicazione del nome e del cognome anagrafico del soggetto che de-ve trascrivere l’atto.

In questi casi occorre che le parti provvedano a consegnare il testorettificato dell’atto e che dunque al posto del segno convenzionalepongano quello corrispondente alla denominazione legale del sogget-to, parte del rapporto. Come estremo «rimedio» potrà essere poi lasentenza del giudice ad accertare quale persona risulta essere con-templata nel negozio come destinataria degli effetti, indicando al suoposto la sua identità secondo i criteri legali di identificazione (vale adire il nome ed il cognome risultante dagli atti di stato civile), costi-tuendo così il titolo idoneo per l’attuazione dei meccanismi di pubbli-cità.

Analoghi problemi si pongono anche nei casi in cui la forma scrittaviene richiesta ad probationem, essendo noto che in sede processuale laforma scritta, ivi inclusa la sottoscrizione, è predisposta soprattutto alfine preciso di precostituzione della prova stessa. Su questa base si ri-tiene che nel caso in cui essa venga effettuata con segni non idonei afornire l’indicazione dell’identità legale del soggetto non possa svolge-re alla sua funzione, risultandone altresì inficiato all’origine il suo va-lore probatorio 92. D’altro canto si rileva la possibilità di ammettersianche in questo frangente l’intervento giudiziale al fine di verificare lacorrispondenza dei segni grafici tracciati alla persona (anche attraver-

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114 Introduzione allo studio dell’identità individuale

93 Più in generale, secondo F. GAZZONI la sottoscrizione può essere apposta anchein stampatello e con nome e cognome non esatti con riferimento alle risultanze ana-grafiche ed anche, all’occorrenza, con uno pseudonimo, purché atto a individuaresenza incertezze il sottoscrittore (così non sarebbe ammesso, per esempio, scrivere«come d’accordo») (F. GAZZONI, op. ult. cit., 898). Ancora più radicale ci pare la posi-zione di G. PIAZZA, che ritiene condizione necessaria e sufficiente che la traduzionemateriale del simbolo identificativo usato nel corrispondente segno grafico «avvenga(o meglio, sia avvenuta) di mano dell’autore» (G. PIAZZA, op. ult. cit., 249).

94 La bibliografia sul tema è ormai ampia, ci limitiamo qui a citare E. TOSI (a curadi), I problemi giuridici di Internet, Giuffrè, Milano, 1999; P. COSTANZO, Internet (Dirit-to pubblico), in Digesto disc. pubbl., IV Agg., 2000, 347 ss.; dello stesso autore, Aspettiproblematici del regime giuspubblicistico di Internet, in Problemi dell’informazione, 2,1996, 183 ss. e Le nuove forme di comunicazione in rete: Internet, in R. ZACCARIA (a cu-ra di), Informazione e telecomunicazioni, in G. SANTANIELLO (a cura di), Trattato di di-ritto amministrativo, vol. XXVIII, 323 ss.

so elementi estranei al documento e altri atti: così, per esempio, se inprecedenti contratti aveva utilizzato il medesimo segno grafico) 93.

12. Tendenze evolutive: identità virtuale e preteso diritto all’anoni-mato

Se nel corso delle precedenti osservazioni si è avuto modo di nota-re come, accanto a informazioni identificative personali di caratterediretto (quali elettivamente quelle anagrafiche), il diritto non neghitalvolta rilievo a metodi di identificazione di carattere indiretto, datoche qualsiasi corretta informazione riguardante un soggetto può rive-larsi idonea a fornire elementi sulla sua identità, tuttavia quest’assun-to è parso di recente esser messo in crisi dal progresso tecnologico nelsettore delle reti telecomunicative e in particolare della Rete mondia-le «internet», la cui natura, anche nelle sue implicazioni giuridiche, èormai sufficientemente esplorata per essere qui rievocata 94.

Pertanto, si avverte l’opportunità di trattarne qui esclusivamentenell’ottica che connota la ricerca, ossia per quanto riguarda l’identifi-cazione dei soggetti in Rete, anche perché, se è vero che internet esal-ta «vizi» e «virtù» del mondo reale, ciò è tanto più vero con stretto ri-guardo al tema propostoci.

Per quanto riguarda «l’identificazione» in Rete, occorre innanzi-tutto distinguere un profilo «soggettivo» ed uno «informativo» del fe-

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L’identificazione per generalità 115

95 Su «nome di dominio, segni distintivi e relativa tutela», P. SAMMARCO, Il regimegiuridico dei «nomi a dominio», Giuffrè, Milano, 2002; P. LONGHINI, Internet nella giu-risprudenza, Giuffrè, Milano, 2003, 189 ss.; si veda altresì M.M. BUCCARELLA, Nomi adominio e patronimici, in Ciberspace and law, 2, 2004, 107 ss.

96 Cfr. P. COSTANZO, L’informazione, Laterza, Roma-Bari 2004, 41.

nomeno, esprimibili, rispettivamente, con gli interrogativi «“chi” sia-mo in Rete?», e «cosa ne è delle nostre informazioni personali quan-do navighiamo?» (di cui parleremo nel prossimo paragrafo).

Quanto al primo versante, se è noto che il mezzo di navigazione èidentificabile con il suo indirizzo IP (Internet Protocol) o con il suo do-main name in quanto espressione linguistica del primo, rimane co-munque il fatto che l’indirizzo IP risulta associato alla macchina enon all’utente che la utilizza 95. In base a questa semplice circostanza,l’identificazione del navigatore risulta quanto meno incerta, non po-tendosi nemmeno verificare l’attendibilità delle dichiarazioni in pro-posito del navigatore stesso.

In altri termini, il navigatore in Rete si trova normalmente ad ope-rare in una situazione di anonimato, che tale resta anche se spessopiace attribuire ad esso l’etichetta suggestiva di identità virtuale, chepuò manifestarsi con un nome di fantasia (c.d. nick).

I problemi implicati dalla presa d’atto di questa situazione sonoevidenti, se sol si riflette che la Rete consente le attività più disparatetutte più o meno rilevanti nel mondo giuridico dimodoché non ven-gono meno nel ciberspazio le stesse esigenze d’identificazione che ab-biamo sia pure succintamente illustrato per il mondo reale (repres-sione della criminalità, individuazione in genere delle responsabilitàper le condotte tenute, serietà delle transazioni economiche, ecc.).

È vero che ad un tale ordine di questioni si oppongono talvolta i be-nefici che l’anonimato telematico presenta, di cui si apprezza la por-tata soprattutto quando si viene privati della possibilità di goderne:così è accaduto esemplarmente che è stato possibile dar voce alle mi-noranze dissidenti nei regimi oppressivi; ma anche senza bisogno dirichiamare forme estreme di limitazione della libertà di manifestazio-ne del pensiero, basti pensare più «prosaicamente» alla possibilità diesprimere la propria opinione senza paura di subire rivendicazioni epiù in generale alla possibilità di vivere più autenticamente gli spazidi libertà senza timore del giudizio altrui 96. Ha affermato in proposi-

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116 Introduzione allo studio dell’identità individuale

to, il Garante dei dati: «a me serve tutela dell’anonimato, a me servetutela della riservatezza, della privacy, non per isolarmi, ma per par-tecipare. Solo se son certo del mio anonimato potrò partecipare sen-za timore di essere discriminato o stigmatizzato 97». Tuttavia, la stes-sa voce, non aveva mancato di mettere già in guardia dai pericoli in-siti nel riconoscimento indiscriminato del diritto all’anonimato lad-dove sottolineava il conflitto tra un interesse all’anonimato (riserva-tezza attiva) e un interesse a conoscere la reale identità di chi pone inessere comportamenti lesivi della riservatezza altrui (riservatezzapassiva) 98.

Nel bilanciamento tra le contrapposte esigenze, la soluzione, quan-to meno in linea teorica, non potrebbe che farsi derivare dai principiordinamentali e in particolare da quelli costituzionali che si è già avu-to occasione di menzionare, che portano a ritenere, quanto meno li-mitatamente alla nostra esperienza ordinamentale, la necessità che ilsoggetto sia quanto meno identificabile.

Più precisamente occorre distinguere tra comunicazioni interper-sonali e manifestazione del pensiero 99: per le prime, infatti, la garan-zia dell’anonimato avrebbe, secondo la Corte Costituzionale, un’am-piezza tale da coprire anche gli estremi identificativi dell’autore dellacomunicazione; mentre la nostra Costituzione mostra di collegare alfenomeno diffusivo un principio di responsabilità che «sembra in net-to contrasto con il ricorso all’anonimato», a differenza di altre espe-rienze in cui ancora di recente di recente è stato affermato che «su in-ternet l’anonimato è legittimo», e che «l’identità deve essere svelatasolo se assolutamente necessario 100».

Stando così le cose, un’accettabile soluzione di compromesso po-trebbe essere rappresentata dal c.d. «anonimato protetto», vale a dire

97 S. RODOTÀ, Libertà, opportunità, democrazia, informazione, relazione svolta alConvegno «Internet e privacy: quali regole?», Roma 8-9 maggio, 1998.

98 S. RODOTÀ, in Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunica-zione, Roma-Bari, 1997, 145.

99 Cfr. P. COSTANZO, L’informazione, cit. 42.100 Si veda per tutte Corte Stati Uniti, distretto ovest di Washington a Seattle, Ca-

se n. C01-453Z, del 20 aprile 2001, Honorable Thomas S. Zilly: reperibile all’indi-rizzo telematico http://www. legalcasedocs.com/120/246/159.html; si veda altresìhttp://www.cyberslapp.org/litigation/ briefs/InfoSpaceBrief2.pdf.

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101 Sul rapporto tra «dati personali» e «dati anonimi», M. GAGLIARDI, La tutela del-la persona rispetto al trattamento dei dati anonimi, in Persona e tutele giuridiche, cit.,61 ss.

102 Ci riferiamo a Corte Cost., sent. 26 marzo 1990, n. 139, su cui R. TOMEI, Regio-ni e statistica ufficiale, in Giur. it., 1991, 376-382.

L’identificazione per generalità 117

dalla possibilità per il soggetto di non palesare in via immediata lapropria «identità reale» pur mantenendo attuale per l’ordinamento,nel rispetto delle dovute procedure all’uopo previste, la possibilità dirisalire all’identità dell’autore della diffusione «appigliandosi» ad ele-menti della sua identità reale 101.

Del resto in questo spirito ha avuto modo di intervenire, seppureper un diverso profilo, la Corte Costituzionale considerando l’anoni-mato alla stregua di «valore costituzionale» che va protetto ogni voltache i dati o le notizie concernenti i singoli sono raccolti da poteri pub-blici o privati 102. In quell’occasione la Corte rigettò la questione di co-stituzionalità dell’art. 9 cpv., D.Lgs. 6 settembre 1989, n. 322 (sul si-stema statistico nazionale), in base al quale «i dati raccolti nell’ambi-to delle rilevazioni statistiche comprese nel programma statistico na-zionale da parte degli uffici di statistica non possono essere comuni-cati, se non in forma aggregata sulla base di dati individuali non no-minativi, ad alcun soggetto esterno, pubblico o privato, né ad alcunufficio della pubblica amministrazione», essendo la ratio della dispo-sizione volta a «prevenire qualsiasi rischio che i dati raccolti siano co-nosciuti all’esterno nel loro riferimento nominativo o individuale»considerato che senza siffatte garanzie «potrebbero essere messi inpericolo beni individuali strettamente connessi al godimento di li-bertà costituzionali e, addirittura, di diritti inviolabili». Il che non im-pedisce peraltro la predisposizione di adeguate garanzie procedurali,tali da coinvolgere l’autorità giudiziaria, che disciplinino la «messa inchiaro» dell’informazione criptata (ricorrendo dunque alla tecnica delc.d. «anonimato protetto» sopra citato).

Che, poi, all’anonimato, seppur strettamente strumentale ai dirittidi libertà e ai diritti inviolabili enumerati, tuttavia non corrisponda«una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, né,men che meno, un diritto della personalità», ha avuto modo di preci-sarlo ancora di recente la Corte Costituzionale (ordinanza n. 260 del2000), con ciò lasciando ampi margini per la regolamentazione

5.

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103 Il Tribunale di Napoli ha affermato che la consapevole registrazione su Inter-net di un nome di dominio contenente il riferimento al marchio protetto di aziendaconcorrente integra attività illecita di concorrenza sleale, della quale deve rispondereanche il provider, qualora, pur reso edotto dell’abuso commesso, non abbia adopera-to tutta la diligenza necessaria per evitarne la perpetrazione, provvedendo all’oscura-mento non solo dei siti contenenti direttamente i segni distintivi abusivamente utiliz-zati, ma anche di quelli non autorizzati che contengano nei propri metatags le parolein contestazione (Trib. Napoli, 28 dicembre 2001, in Dir. inform. inf., 2002, 94-108,con nota di P. SAMMARCO). Nello stesso senso Trib. Cuneo, 19 ottobre 1999, in AIDA,2000, 809. Per una rassegna giurisprudenziale sulla responsabilità del provider, P.LONGHINI, Internet nella giurisprudenza, cit., 100. Si veda inoltre P. COSTANZO, I news-groups al vaglio dell’autorità giudiziaria (ancora a proposito della responsabilità degliattori d’Internet), in Dir. inform. inf., 1998, 811-816.

104 Così P. COSTANZO, in L’informazione, cit., 42.

118 Introduzione allo studio dell’identità individuale

dell’«anonimato protetto» al legislatore (nella fattispecie a propositodel segreto bancario).

Ma paiono utilizzare la tecnica dell’«anonimato risalibile», sebbe-ne per diversi aspetti, anche le varie tecniche di identificazione delsoggetto in Rete, a partire dall’utilizzo della stessa firma digitale che,come rende evidente la sua forma «forte» abbisogna di un’autorità(pubblica) che certifichi la corrispondenza della «chiave» all’identitàanagrafica del soggetto, per giungere alla disciplina della responsabi-lità del provider che può rappresentare uno dei pochi punti di riferi-mento telematico e di contatto con il mondo fisico piuttosto stabili 103.Lo stesso sistema SET (Select Electronic Transation) che pare essere ilpiù promettente sistema di autenticazione del soggetto «emittente» ilpagamento in Rete, prevede che al momento dell’emissione della car-ta di credito (con tale protocollo), la banca rilascia al titolare un certi-ficato criptato di identificazione che, una volta scaricato dall’utentesul proprio computer, assicura la titolarità della carta e la paternitàdel pagamento al venditore: quindi in questo caso è l’istituto bancarioal contempo il punto di riferimento «fisico» e il «certificatore identi-tario».

Tuttavia, come è stato osservato, i maggiori problemi derivano dal-la constatazione che in ogni caso risulta forse possibile risalire all’in-dirizzo telematico della macchina, ma «non sicuramente all’identitàdell’autore 104».

Questa situazione si pone in virtù del fatto che è possibile per ilsoggetto in Rete non lasciare alcuna traccia di sé capace in qualche

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105 Il documento è reperibile all’indirizzo telematico: http://www.privacy.it/grupri-doc20030129.html.

L’identificazione per generalità 119

modo di ricollegare la sua «identità virtuale» con quella «reale» per-mettendone non solo il reperimento ma prima ancora il riconosci-mento. Muovendo dalla presa d’atto di questa situazione il legislatoreha opportunamente previsto all’art. 146-bis c.p.p. che nella partecipa-zione al dibattimento a distanza «un ausiliario» debba essere presen-te nel luogo ove si trova l’imputato per attestarne l’identità, dando al-tresì atto «che non sono posti impedimenti o limitazioni all’eserciziodei diritti e delle facoltà a lui spettanti», e più in generale della rego-larità del procedimento.

Vero è che si tratta di un profilo problematico che riguarda tutti imezzi trasmissivi, a ben vedere anche il telefono. Tuttavia, quanto me-no in quest’ultimo caso, «il ponte di collegamento» tra «mondo reale»e «virtuale» è dato dall’elemento biometrico della voce, che invece puòdel tutto mancare nel caso di trasmissione in Rete.

Inoltre la presa d’atto della possibilità di assunzione di moltepliciidentità «virtuali», sia in senso diacronico, nel corso del tempo, siasincronicamente, e per giunta nell’ambito del medesimo computer(che può essere utilizzato da varie persone e al suo interno può esseregestito da vari «administrator», ma può anche «gestire» identità mol-teplici a seconda delle varie «finestre» aperte sul desktop) ha contri-buito a mettere in crisi il concetto di autenticazione. Eloquente inproposito risulta essere il documento del gruppo di lavoro dei Garan-ti europei sull’autenticazione in Rete, dal quale risulta essere confer-mata l’idea da un lato della necessità di poter «contare» su un’identitàstabile, e dall’altra che in ogni caso qualunque tipo di autenticazionedell’identità del soggetto implica il riscontro e la verifica di dati iden-tificativi «reali» 105.

13. Segue: tutela dell’identità virtuale e riservatezza dei dati per-sonali

Tirando le fila del discorso, innanzi all’identità del soggetto in Reteci troviamo nella paradossale situazione per cui per chi dispone dispecifiche conoscenze informatiche è possibile restare del tutto ano-

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106 Significativo quanto rilevato sotto un profilo specifico da A. PACE: «È evidenteche Internet è neutro (quindi ci si può fare del bene e ci si può fare del male) e chenon necessariamente diventerà una sentina di tutti i vizi. Ciò che tuttavia mi preoc-cupa è che il mittente dei messaggi in rete non diventi l’uomo invisibile. Siccome lapossibilità tecnologica di farlo diventare uomo invisibile c’è, la mia idea è che debbaessere scoraggiato quest’oscuramento dell’identità per le manifestazioni di pensiero adestinatario indeterminato. Mentre per le comunicazioni “riservate” di pensiero do-vrebbero valere le garanzie della riserva di legge e della giurisdizione» (A. PACE, inRiv. dir. cost., 1998, 341).

107 Questa la nota espressione impiegata da M. LOSANO, in Il diritto pubblico del-l’informatica, Einaudi, Torino, 1986, cap. I (una ricca bibliografia dell’autore è repe-ribile all’indirizzo telematico http://www.jp.unipmm.it/didattica/dispense/informati-ca_giuridica/bibInform.pdf.).

108 Cfr. Newsletter n. 185 del 29 settembre-5 ottobre 2003, In aumento negli Usa i«furti d’identità» (si veda anche http://www.privacyrights.org/ar/idtheftsurveys.htm).

120 Introduzione allo studio dell’identità individuale

nimo (nel senso proprio del termine): una sorta di «visconte dimezza-to» (che talvolta può anche assumere la veste di «cavaliere inesisten-te») tra mondo fisico e realtà virtuale 106; mentre invece chi non ne di-spone (o in ogni caso non vuole impiegarle) finisce (si sarebbe porta-ti a dire «inevitabilmente») per ritrovarsi affetto da quella «sindromedel pesce rosso» che rende efficacemente l’idea della situazione 107.

Ora, dal momento che la maggioranza dei soggetti che navigano inRete non dispongono di conoscenze specifiche, è comprensibile che ilprofilo «informativo» (di sé) – e con questo veniamo al secondo inter-rogativo che ci eravamo posti all’inizio del precedente paragrafo – ab-bia destato altrettante (se non maggiori) preoccupazioni per il legisla-tore rispetto a quello dell’autenticazione del soggetto in Rete.

Rispetto a questi soggetti la constatazione del carattere fluidodell’identità virtuale capace di mettere in crisi il concetto tradiziona-le, monadico, di identificazione, implicante un rapporto biunivoco tradato identificativo e suo titolare, non pare dunque idoneo ad inficiarecompletamente l’utilità ed il valore conoscitivo del concetto stesso diidentificazione. Anzi, semmai si pone proprio il problema opposto,vale a dire quello di tutelarne la riservatezza in Rete.

Invero il problema della tutela della propria «identità virtuale» haacquisito maggior rilievo di pari passo con l’aumento dei c.d. «furti diidentità 108»: dizione con cui vengono indicate diverse categorie diazioni, per lo più illecite, compiute grazie alla conoscenza di nome,data di nascita e codice fiscale del soggetto.

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L’identificazione per generalità 121

Per la precisione è opportuno distinguere tra ipotesi in cui si veri-fica l’«impossessamento» altrui dei nostri connotati telematici al finedi agire in rete al nostro posto (furto di identità in senso stretto); ri-spetto al furto di identità consistente nella sottrazione illecita dei no-stri dati personali, a scopo di conoscenza, in vista in alcuni casi, pe-raltro del tutto eventuali, di ricostruzione del nostro profilo identita-rio.

Nel primo caso, laddove ne ricorrano gli elementi, tenuti semprenel dovuto rispetto i principi di materialità 109 ed offensività del rea-to 110 – è possibile configurare il reato di sostituzione di persona pre-visto dall’art. 494 c.p.

La seconda ipotesi presenta delle situazioni estremamente critiche:ci riferiamo in primo luogo a quei casi in cui in cambio di poter usu-fruire di determinati servizi – a partire dalla scelta stessa del tipo diaccesso alla Rete – il soggetto si trova a dover cedere una serie di dati

109 In proposito, secondo il Trib. di Teramo Giulianova: «ai fini della consumazio-ne del delitto di diffamazione, qualora la condotta diffamatoria venga posta in esserecon l’utilizzo di un sito Internet, è necessaria la prova della effettiva diffusioneall’esterno del messaggio con la sua percezione da parte di terzi, dovendo, in mancan-za di tale prova, ritenersi integrata l’ipotesi del tentativo, giacché con l’apertura del si-to e l’inserimento delle notizie e dei messaggi diffamatori si realizza una condotta tec-nicamente idonea e volta in modo non equivoco a diffonderli nel web», Trib. TeramoGiulianova, 30 gennaio 2002, n. 112/02, in Giur. merito, 2002, 772; in Guida al dir.,2002, fasc. 17, 75-79 (con nota di G. Amato).

110 Il mondo giuridico e giudiziario appare diviso sul valore probatorio delle c.d.«prove digitali» (Per uno studio antesignano in proposito, A. BERNARD-Y. POULLET, Il re-gime della prova nell’informatica e nella telematica, in Dir. inform. inf., 1986, 47-68): afronte di parte della dottrina che evidenzia la natura immateriale delle tracce infor-matiche (si veda per esempio l’articolo di A. BEZZECCHI, Principio di pertinenza e seque-stri di computer: in Italia lo scandalo continua? Disponibile in http://www.netjus.org),difficilmente compatibili con i principi basilari del diritto penale, si pone altra partedella dottrina che auspica l’aggiornamento (in particolare dei codici di diritto penale edi procedura penale) della materia, in particolare evidenziando la dovuta distinzionetra mezzi informatici come «meri contenitori» della prova e strumento informatico co-me mezzo per consumare il reato con tutto ciò che ne consegue sul piano della disci-plina (si vedano gli atti del Convegno svoltosi a Verona il 7 maggio 2004, dal titolo: Do-cumento informatico, Problematiche di formazione e probatorie, reperibile all’indirizzotelematico http://www.scint.it/document/Atti%20Convegno%207%20Maggio.pdf). V. inproposito GIP Latina, 7 giugno 2001, in Temi romana, 2001, 145; in Giur. merito,2001, 1362; in Dir. eccles., 2002, 99; contra Trib. Torino, 13 luglio 2000, in Dir. inform.inf., 2000, 824-828; e in Dir. autore, 2001, 251-253.

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111 Scrive Stefano Rodotà: «Tutto questo viene presentato come un prezzo obbli-gato per godere delle crescenti opportunità offerte appunto dalla società dell’infor-mazione. In concreto, ciò vuol dire che la contropartita necessaria per ottenere un be-ne o un servizio non si limita più alla somma di denaro richiesta, ma è necessaria-mente accompagnata da una cessione dì informazioni. In questo scambio, allora, nonè più soltanto il patrimonio d’una persona ad essere implicato. Si è obbligati a mette-re in gioco il sé, la propria persona, con conseguenze che possono andare al di là del-la singola operazione economica, e fanno nascere una sorta di possesso permanentedella persona da parte di chi detiene le informazioni sul suo conto» (S. RODOTÀ, inTecnopolitica, cit., 136).

112 Una delle più importanti novità della direttiva n. 2000/31/CE, rispetto alle pre-cedenti normative, è rappresentata dal par. 3 dell’art. 5, nel quale viene affrontato ilproblema degli spyware, dei web bug e dei cookie. Inoltre al considerando n. 24, il le-gislatore comunitario osserva che «le apparecchiature terminali degli utenti di rete dicomunicazione elettronica e qualsiasi informazione archiviata in tali apparecchiatu-re fanno parte della sfera privata dell’utente, che deve essere tutelata ai sensi dellaConvenzione Europea per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fonda-mentali.

122 Introduzione allo studio dell’identità individuale

personali che costituiscono il «corrispettivo» della prestazione resa.Peraltro l’Autorità Garante della Privacy ha avuto modo di interveniresulla questione, chiarendo che il soggetto, a prescindere dalla propriavolontà di cedere dati personali, deve essere messo nelle condizioni diesprimere la propria scelta in modo consapevole e libero (sulla falsarigadel «considerando» n. 65 della direttiva n. 2000/31/CE): di qui l’impor-tanza delle informative che i siti web devono contenere e che il soggettodeve essere messo nelle condizioni di accettare consapevolmente 111.

Evidente è invece l’illegittimità in tutti quei casi in cui il navigatoreè indotto con l’inganno a cedere le informazioni che lo riguardano oqueste gli vengono indebitamente sottratte: ci riferiamo innanzituttoai siti mirror non autorizzati, ai quali siamo talvolta re-indirizzati at-traverso link pirata che la maggior parte delle volte «promettono» dicondurci a siti famosi ed invece ci re-indirizzano su siti simili agli ori-ginali (per esempio con gli stessi elementi grafici) ma in realtà del tut-to diversi, che sfruttano il brand del legittimo proprietario per indurrel’utente a lasciare i propri dati personali, ivi incluso il proprio numerodi carta di credito …! Ma poi anche certi tipi di «cookies», di «adware»,nonché a tutti i casi in cui vengono prese informazioni relative alle no-stre «attività» in Rete, ivi inclusa la nostra posta elettronica 112.

Infine, ci sono dei casi in cui certi siti per loro stessa ragion d’essere

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113 Cfr. infra, Cap. VI, sez. I, §§ 6 e 7.

L’identificazione per generalità 123

rendono di dominio pubblico dati personali: così, per esempio, i c.d.guestbook, i newsgroups, i bulletin board systems (B.B.S.), i forum: ve-re e proprie «agorà» elettroniche a cui tutti possono accedere.

Quelle testè citate sono alcune delle situazioni in cui, in un modo onell’altro, ci vengono «carpite» informazioni che ci riguardano: un pa-trimonio informativo idoneo talvolta a rintracciarci «fisicamente» ol-tre che ad essere raccolto in banche dati, come materiale «grezzo»,anche in forma anonima, pronto per essere utilizzato per i più variscopi, ivi inclusa la ricostruzione, per quanto possibile, del nostroprofilo identitario e con essa la lesione, come vedremo, in determina-ti casi, della «dimensione sociale» della nostra identità individuale 113.

Orbene, proprio la presa d’atto della possibile soluzione di conti-nuità tra «identità reale» ed «identità virtuale» aiuta a far luce sullepossibili vie di fuga dalla «vasca» delle informazioni su di sé. In parti-colare, se si conviene nel ritenere che l’accertabilità della corrispon-denza del dato «per generalità» con il dato «fisico» rappresenti lachiave del successo dei sistemi di identificazione personale, in quantoè l’unico modo capace di garantire la corretta individuazione oltre cheil reperimento del soggetto (in una parola la sua autenticazione), sideve parimenti concordare sul fatto che laddove manchi il collega-mento tra il «dato artificiale» e quello «fisico», non sia data occasioneper ricostruire l’identità del soggetto sul piano fisico.

In quest’ottica i maggiori problemi si pongono in quei casi in cuiconsapevolmente o no lasciamo indizi relativi alla nostra «identitàreale» in Rete (per esempio quando diamo il nostro indirizzo di casao la nostra fotografia) perché in questi casi forniamo «i mattoni» perla costruzione del ponte di collegamento tra le due sfere.

Di qui innanzitutto la necessità di favorire una «cultura», nel verosenso della parola, della Rete, tale da includere, prima ancora che laconoscenza dei meccanismi che la regolano e le forme di disciplinache possono esservi apprestate, la sua «natura», che così come qua-lunque paesaggio presenta bellezze ed al contempo rischi concreti. Edin secondo luogo l’opportunità di salvaguardare da un lato la possibi-lità del soggetto di assumere molteplici «identità» in Rete e dall’altrodi adottare sistemi di protezione della propria «identità virtuale»: lacrittografia (tecnica di crittazione dei messaggi), le procedure di ano-

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114 Il legislatore europeo già da anni mostra notevole attenzione nei confronti del-la riservatezza della vita privata: a parte la più volte citata direttiva n. 96/46/CE, «re-lativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personalinonché alla libera circolazione di tali dati» (attuata in Italia dalla legge n. 675 del1996), è successivamente intervenuto con la direttiva n. 97/66/CE «relativa al tratta-mento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle telecomunica-zioni» (attuata con il D.Lgs. n. 171 del 1998), e successivamente ancora con la diret-tiva n. 2/58/CE, «relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita pri-vata nel settore delle comunicazioni elettroniche» (di cui, per il tema trattato, inte-ressano qui particolarmente i considerando n. 4, 6 e 21 e gli artt. 4 e 6). Si veda in pro-posito F. DI CIOMMO, in G. COMANDÉ (a cura di), Persona e tutele giuridiche, Giappi-chelli, Torino, 2003, 30 ss.

124 Introduzione allo studio dell’identità individuale

nimizzazione dei messaggi di posta (remailing), le tecniche che garan-tiscono l’anonimato nel corso della navigazione telematica e l’impiegodel sistema PICS (Platform for Internet Content Selection) e non ultimele PET (c.d. Privacy Enhancing Technologies).

Del resto lo stesso Garante della riservatezza, insieme ai Garantieuropei della privacy, ha auspicato in più occasioni di dotare il mezzoinformatico degli strumenti (hardware e software) di protezione del-l’anonimato (risalibile) dell’utente, e di creare un browser europeopredisposto secondo quanto previsto dalla normativa a protezione deidati personali 114.

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Capitolo IV

Il nome e la personalità umana

SOMMARIO: 1. La multiforme fenomenologia del nome. – 2. Il nome tra diritto e poli-tica: la Francia rivoluzionaria. – 3. Il nome da segno identificativo a bene giuridi-co. – 4. Il nome dentro il marchio. – 5. Il nome come simbolo della personalità in-dividuale. – 6. L’immagine come simbolo della personalità individuale. – 7. Il no-me nella giurisprudenza della Corte Costituzionale. – 8. Il nome tra diritto internoe diritto internazionale. – 9. La «cognomizzazione» dei predicati nobiliari. – 10.Lo stemma familiare. – 11. Il diritto d’autore. – 12. Il nome prescelto: lo pseudo-nimo. – 13. I segni distintivi della personalità «secondari». – 14. Tendenze evoluti-ve: domain name e nome di persona. – 15. Segue: il nick.

«… mi capita sovente di domandarmi se sia il nome a fare gli uomini,

o piuttosto gli uomini a fare il nome; comunque sia, percepisco

quanto sia importante il nome»

THEODOR STORM

1. La multiforme fenomenologia del nome

Soprattutto nelle epoche passate si riteneva che «il nome» costituis-se una delle «chiavi» di assoggettamento della persona al proprio vole-re, e cioè che la sua attribuzione, ancor più della sua conoscenza, rap-presentasse un mezzo per possederla. In alcuni passi di Isaia, per esem-pio, il nome viene espressamente inteso come strumento di potere: «chiconosce il nome di qualcuno ha potere su di lui […] dare un nome è fa-re esistere, è dominare […]»; nel Vangelo secondo Luca, poi, si trovascritto che «la donna vive sotto l’autorità dell’uomo, il cui nome le è im-posto […] il padre sceglie il nome del bambino […]» (Isaia, IV, 1).

Robinson Crusoe, non appena approdato sull’isola deserta, sente lanecessità di darle un nome, e di chiamarla, assecondando il propriostato d’animo, «l’Isola della Disperazione» e, qualche tempo più tardi,dopo aver tenuto pazientemente conto del tempo trascorso, non ap-

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126 Introduzione allo studio dell’identità individuale

1 Sulla complessa concezione del nome in alcuni Paesi dell’Africa Nera, si vedaM.L. ABOMO, L’inadaptation du système de l’état civil dans les pays d’Afrique noire, inL’identité de la personne humaine, cit., 269 ss.

2 Secondo lui «attraverso l’identità lo Stato si impadronirebbe, per gestirle e do-minarle, di intere vite, di eventi ridotti a simulacro del quotidiano» (H. LEFEBVRE, LoStato. Le contraddizioni dello Stato moderno, Dedalo, Bari, 1978, 38).

3 Prosegue Goffman: «Chi entra in una posizione trova già, quindi, virtualmente

pena incontrato un altro uomo «per prima cosa gli spiegai che il suonome sarebbe stato Venerdi, perché venerdi era appunto il giorno incui gli avevo salvato la vita […] parimenti gli insegnai a dire “Padro-ne” e gli spiegai che questo era il nome col quale doveva rivolgermi laparola».

Per altro verso, sempre, in special modo, in passato, si riteneva cheil nome incorporasse il destino del suo possessore: «nomen omen», se-condo la nota dizione di Plauto, ma ancora, troviamo scritto in pro-posito: «il nome di un uomo, in genere considerato una sempliceespressione sonora di quel che un uomo è, può in qualche modo esse-re una sorta di presagio di quel che sarà, se si riesce ad afferrarne intempo il significato» (Faulkner) 1.

Del resto anche nella tradizione cristiana si suole imporre il nome disanti ai bambini augurandosi non solo che per tramite del nome costo-ro ricevano protezione, ma anche che tale simbolo trasmetta all’infan-te, in qualche modo, le virtù di questi uomini di fede. Si trova scritto neiPromessi Sposi: «quando venne alla luce, il principe suo padre, volendodarle un nome che risvegliasse immediatamente l’idea del chiostro, eche fosse stato portato da una santa d’alti natali, la chiamò Gertrude».

Anche senza giungere a questi casi estremi, in epoca attuale si ri-tiene che il proprio nome, e più in generale l’iscrizione nei registri distato civile di alcune «qualità» condizionino, in qualche modo, il fu-turo del soggetto, cristallizzando determinati attributi, che finirebbe-ro per precostituirne tendenzialmente parte degli sviluppi esistenzia-li, se non nei termini assoluti indicati da Lefebvre 2, quanto meno nel-la più sottile articolazione sociale indicata da Goffman: «queste qua-lità personali, attribuite di fatto e di fatto rivendicate, si combinanocon la definizione ufficiale della posizione […] per fornire a chi la oc-cupa una base per l’immagine del sé, e una base per l’immagine cheavranno di lui [gli altri] 3».

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un sé: egli non deve far altro che aderire alle pressioni che subirà e troverà un “io”bell’e fatto per lui» (E. GOFFMAN, Espressione e identità, cit., 103-104).

4 J. CARBONNIER, Droit civil, Les personnes, Puf, Paris, 1996, 17.5 A. LEFEBVRE-TEILLARD, op. cit., Puf, Paris, 1990, 7. Dal punto di vista più stretta-

mente filosofico Marck ha messo in luce come qualsiasi nozione di identità non possafare a meno di un dato stabile capace di garantirne la continuità e la stabile percepibi-lità nel tempo (S. MARCK, Substanz und Funktionsbegriff in der Rechtsphilosophie,Mohr, Tübingen, 1925, 57).

6 Cfr. E. SPAGNESI, Nome (storia), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 300.

Ma si è già visto in precedenza come il nome rappresenti anche, in-nanzitutto, il tradizionale e per certi versi principale strumento diidentificazione della persona: «c’est le nom qui est la clef de l’individua-lisation. Qui recherche quelqu’un commence par là!» scrive Carbon-nier 4. Ciò sarebbe reso possibile soprattutto dal fatto che «le nom estpeut-être et même sûrement de toute institution humaine la plus généra-le et la plus constante 5».

2. Il nome tra diritto e politica: la Francia rivoluzionaria

Occorre tuttavia ricordare, in proposito, che la titolarità di un no-me non ha sempre costituito un fenomeno generale ed indiscrimina-to 6. Il nome era un tempo piuttosto appannaggio delle famiglie nobi-li, simbolo del potere del lustro familiare; come tale, il «nome fami-liare» indicava l’appartenenza a un determinato ceto sociale e posse-derlo era dunque un privilegio di pochi. Ancora nel XVIII secolo DeLa Roche nel suo «Traité de la noblesse» testimoniava come «ceux quisont nés avec la noblesse ne considèrent rien au monde de plus avanta-geux, et ils souffriraient plutôt la privation des biens et de la vie que laperte de cet honneur».

La prova della nobiltà per lungo tempo fu data attraverso scritti etestimonianze personali. Fino a quando la struttura sociale non co-minciò a complicarsi e aumentarono i casi in cui molti si facevanopassare per nobili ma invece non lo erano. A quel punto fu necessariopredisporre l’adeguata tutela per il nome «nobile». Invero sembra chefossero già stati i «commentatori», ad insinuare nella cultura giuridi-ca del tempo l’idea dell’opportunità di rendere maggiormente stabile

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7 Per approfondimenti si veda A. DAUZAT, Les noms de famille en France, Payot,Lausanne, 1949; J. GODECHOT, Les Institutions de la France sous la Révolution et l’Em-pire, Puf, Paris, 1985; P. FABRE, Les nom de personne en France, Que sais-je?, Puf, Pa-ris, 1998; G. GISCARD, L’identité historique, in L’identité de la personne humaine, cit.,115 ss.

la spendita del nome, in particolare in tutti quei casi in cui dal muta-mento del nome potesse derivare pregiudizio per la società.

Fu così che furono redatti i primi documenti legislativi proibentiespressamente il mutamento del nome, tra i quali è nota l’ordinanzadi Amboise e, qualche tempo dopo, sotto Luigi XIII, il Codice Mi-chaud. Fu poi all’indomani del Concilio di Trento, che avvenne l’isti-tuzione dei registri di stato civile e fu generalizzato l’uso multisecola-re di dare al momento del battesimo al bambino il nome di un santoanche al fine di evitare che potessero avvenire matrimoni tra consan-guinei.

Orbene, anche su tale situazione si abbattè l’onda sconvolgente del-la Rivoluzione francese 7. Sul punto può ricordarsi che i costituentiebbero modo di legiferare sui nomi nella realizzazione di quel più va-sto programma di distruzione dei simboli dell’Ancien Régime che videnei decreti dell’11 agosto 1789 – che abolirono i privilegi – e del 19-23giugno 1790 – rappresentanti una reazione antinobiliare radicale – al-cuni momenti significativi.

I loro contenuti verranno fatti propri dal celebre preambolo dellaCostituzione del 1791: «Il n’y a plus ni noblesse, ni pairie ni distinctionhéréditaire, ni distinction d’ordre, ni régime féodal, ni justices patrimo-niales, ni aucun des titres, dénominations et prérogatives, qui en déri-vaient, ni aucun ordre de chevalerie …».

Successivamente persino «monsieur» e «madame» vennero sosti-tuiti da «citoyen» e «citoyenne» e il decreto del 24 brumaio dell’anno IIautorizzò chiunque a cambiare il nome di famiglia per mezzo di unasemplice dichiarazione; gli stessi nobili dichiararono con avvedutaprudenza di voler cambiare il proprio nome di famiglia.

Ben presto la scelta del nome proprio divenne un vero e proprio«fatto politico»: le cronache raccontano che in quegli anni molti citta-dini si sbarazzarono del nome di battesimo votato a qualche santo,per scegliere un nome più «politicamente corretto»: così, per esem-pio, i «patriotes» si attribuivano preferibilmente i nomi dei repubbli-

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8 Tale assunto risulterebbe in confermato da quanto avvenuto nei paesi coloniz-zati, al punto da indurre C. Levi Strauss a dire che in tali ordinamenti i sistemi diidentificazione erano funzionalizzati «à les classer» (i popoli colonizzati) più che «àles nommer»: su «L’identité des personnes physiques en Afrique subsaharienne fran-cophone», si veda, in particolare, F. LAROCHE-GISSEROT, in L’identité de la persone hu-maine, cit., 255 ss. e M.L. ABOMO, L’inadaptation du système de l’état civil dans les paysd’Afrique noire, ibidem, 269-282; mentre su «La problématique des personnes sans étatcivil en Guyane française», E. PARUTA-A. POUSSON, ibidem, 283-295.

cani dell’antichità: il preferito era il nome «Gracchus» …! Ma c’era chiinvece preferiva i nomi degli eroi rivoluzionari ed anche chi inveceprediligeva quelli di animali e di frutti e persino di verdure!

Finché il vento non tornò a spirare in senso opposto e la Conven-zione mise ai voti il decreto del 6 fructidor dell’anno II (23 agosto1794), disponendo il principio di immutabilità del nome, concepen-dolo come «la manifestation immutable d’un homme classé dans ungroupe familial».

Fu quindi disposto che i nomi dei santi e i nomi di personaggi sto-rici sarebbero potuti essere usati solo come nomi propri, e si vietò agliufficiali di stato civile di iscriverli sui registri. Nei casi dubbi, ci si sa-rebbe dovuti rivolgere ai giudici dei «tribunals d’arondissements» iquali avrebbero potuto ordinare la rettificazione dello stato civile unavolta sentito il commissario di governo.

Massima centralizzazione della disciplina, dunque, e massima va-lorizzazione del principio di certezza «del nome», giustificata dalla«nécessité où se trouve le législateur de faire aujourd’hui ce que les idéesreligieuses faisaient autrefois …» (Merlin).

Tutte queste vicende, pur assai succintamente richiamate, oltre aconfermare il ridetto stretto legame tra identificabilità e funzione dicontrollo sociale 8, mettono in luce il valore fortemente simbolico del«nome», posto che il suo mutamento perviene talvolta a riflettere lostesso mutamento politico e istituzionale.

3. Il nome da segno identificativo a bene giuridico

La fenomenologia del «nome», nella nostra cultura, supera i limitisegnati dai «dati identificativi per generalità» per assumere altri piùprofondi e complessi significati, come, anche nel più specifico ambi-

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9 Cfr. per esempio M. SCHERER, Le nom en droit international privé, cit., 31.10 Secondo Locke l’uomo recherebbe in sé stesso la ragione della proprietà per-

ché «ognuno ha la proprietà della propria persona, alla quale ha diritto nessun al-tro che lui» (J. LOCKE, Due trattati sul governo, Utet, Torino, 1960, 120). Si veda an-che, più in generale, P. MALAURIE, Les personnes, les incapacités, Defrénois, Paris,2003, 148.

11 Trib. Grand Istance, Aix-en-Provence, 23 maggio 1991. (D. 1994, 148).12 Già P. KAISER, La défense du nom d’après la jurisprudence civile et la jurispruden-

ce administrative, in Rev. trim. droit civ., 1959, 10.13 E. MOUNIER, Le personnalisme, Que sais-je?, Puf, Paris, 2000, 59.14 M. GOBERT, La nouvelle loi sur le nom, colloque du Laboratoire d’études et de re-

cherches appliquées au droit privé, Université de Lille II, LGDJ, Paris, 1988, 185.15 G. FALCO, Identità personale, in Nuovo Dig. it., vol. VI, Utet, Torino, 1938, 649.

to giuridico, la dottrina 9 ha messo in luce da tempo, per cui, oltre cheun segno identificativo, è stato considerato anche come oggetto diuna sorta di diritto di proprietà 10: «Le nom patronymique est la pro-priété de la famille qui le porte 11»; e finalmente come un diritto dellapersonalità 12: nei testi biblici si legge «chi non ha un nome non esiste[…] là dove è il nome, là è la persona» (Isaia, IV, 1), mentre in tempimoderni, Emmanuel Mounier, padre del personalismo, ha dichiarato«Je suis un être singulier; j’ai un nom propre! 13». Secondo alcuni, poi,«consciemment ou incosciemment, le nom nous ensorcelle. Il opère ennous, sur nous, le plus souvent à notre insu. Comment pourrarit-il enêtre autrement puisque le nom, à l’instar de notre physique, nous ca-ractérise? 14».

Concentrando preliminarmente l’attenzione sulla concezione «in-dividuativa» del nome è significativo ricordare che Giuseppe Falco,nel Nuovo Digesto Italiano scriveva già nel 1939 nella voce «Identitàpersonale» che tale concetto include «l’insieme dei caratteri (connota-ti e contrassegni personali) e norme (generalità)» 15, assumendo, unanozione statica di «identità personale», indicante per l’appunto i ca-ratteri differenzianti un soggetto dall’altro.

Dopo l’entrata in vigore del codice civile, vi fu un importante con-tributo di Francesco Messineo, il quale sostenne che il problema del-l’identità consisteva per il giurista essenzialmente nel problema del-l’individuazione degli oggetti e dei soggetti dei diritti soggettivi e deglistatus personali, intendendo l’identità sia come corretta identificazio-

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16 F. MESSINEO, Problemi dell’identità delle cose e delle persone nel diritto privato, inAnnali del Seminario giuridico dell’Università di Catania, IV, Jovene, Napoli, 1950,64-83 e nel Manuale di diritto civile e commerciale, I, Giuffrè, Milano, 1957, 210 ss.

17 Così M. ROTONDI, Istituzioni di diritto privato, VIII ed., Paraninfo, Milano, 1965,198-99.

18 Così D. BONAMORE (in nota a Corte. Cost., 3 febbraio 1994, n. 13), Il diritto al no-me, patrimonio irretrattabile della persona umana e segno distintivo della personalità,in Giust. civ., 1994, I, 2435. Nel senso del riconoscimento del diritto alla tutela del-l’identità personale ai congiunti del membro della famiglia defunto, Trib. Roma, 29giugno 1998, in Resp. civ. e previd., 1999, 477 ss. (con nota di D. GOETZ); contra Trib.Milano, 6 febbraio 1995, in Dir. inform. inf., 1995, 649.

19 Così, è stato evidenziato come: «Senza dubbio il nome è cosa pregiatissima, chefa parte del patrimonio morale di colui che onoratamente lo porta, e costituisce unaproprietà sacrosanta e inviolabile al pari, e più ancora, di qualunque altra proprietàdi cose materiali» (Cass., Torino 7 agosto 1883, in Foro it., 1883, I, 1052).

ne delle persone, sia come interesse della persona a che la propriaidentità e il proprio status non siano confusi con quelli di terzi. E perconfermare il rilievo di tali assunti richiamava la normativa sul-l’ordinamento dello stato civile; la disciplina sui contrassegni persona-li, ovvero le generalità e i segni distintivi della persona e la sanzionepenale di cui agli artt. 494, 495, 496 c.p.; nell’ambito dei rapporti civi-listici, i contratti caratterizzati dal cosiddetto intuitus personae; matri-monio e successione testamentaria 16.

Quanto alla concezione «proprietaria» del nome, è agevole indivi-duarvi, rispetto alla funzione identificativa, un quid pluris 17, rappre-sentato dalla «storia» personale o familiare che il nome rievoca e sin-tetizza e che sol di per se «vale»: così scriveva Victor Hugo «Le plusbeau patrimoine est un nom révéré …!».

In tal senso, il nome sembra trascendere la persona e persino la vi-ta del suo portatore, come una sorta di bene patrimoniale trasmissi-bile di generazione in generazione, al punto da concludersi che «il di-ritto al nome è eterno 18». È a questo stadio che il nome assume i con-notati veri e propri di un qualunque altro bene giuridico su cui è pos-sibile esercitare i diritti derivanti dal fatto di esserne i proprietari 19.

Può inquadrarsi in questa concezione, ci pare, la facoltà di eserci-tare l’azione di reclamo in tutti quei casi in cui il nome venga conte-stato o ne venga impedito l’uso da parte di terzi, di esercitare l’azionedi usurpazione nei casi in cui ne venga fatto da altri un uso indebito o

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20 Per un caso in cui è stato invece escluso qualunque legame tra marchio e dirittoall’identità personale, Pret. Roma, 8 aprile 1988, in Riv. dir. comm., 1989, II, 233-238.

21 La legge fa comunque salva la facoltà per l’Ufficio italiano brevetti e marchi siadi rifiutare la registrazione, sia di subordinarla al consenso del soggetto titolare delnome. In quest’ultimo caso esso non ha l’obbligo di richiedere il preventivo consensodel titolare del nome; tuttavia si ritiene comunemente che debba rifiutare il brevettoquando l’uso del marchio risulta idoneo a ledere la fama, il decoro, nonché la stessaonorabilità del nome (in proposito, si veda già «in origine», E. BONASI BENUCCI, Nomecivile e marchio di impresa, in Riv. dir. comm., 1966, I, 424).

22 Trib. Milano, sent. 17 novembre 1958, in Temi, 1959, 151 e in Riv. dir. matr.,1959, 547.

pregiudizievole e, ancora, di chiedere la cessazione del fatto lesivo, lapubblicazione della sentenza o la rettifica sui giornali, nonché il ri-sarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c.

4. Il nome dentro il marchio

Ci sembra poi essere sempre questo l’ambito «connaturale» alla di-sciplina dei marchi (art. 21 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929) costituitida nomi e da ritratti di persona 20.

Quanto ai primi, ci limitiamo in questa sede a rilevare che la «leg-ge sui marchi» riconosce al soggetto titolare del nome il diritto di far-ne uso nella ditta da lui prescelta, prevedendo altresì che i nomi dipersona diversi da quello di chi chiede la registrazione possano esse-re registrati come marchi purché il loro uso non sia tale da ledere lafama, il credito o il decoro di chi ha diritto di portarli 21.

Si suole richiamare in proposito il caso, invero risalente, che videcoinvolto il nome del sovrano d’Egitto Farouk Fuad contro una so-cietà italiana di cioccolata, che senza il suo consenso aveva brevettatoed usato il suo segno distintivo per un proprio prodotto (surrogato dicioccolata in tavoletta): in quell’occasione il tribunale di Milano riten-ne legittimo l’uso del prenome Faruk come marchio, ritenendo che ilsolo prenome non costituisse un idoneo strumento di identificazionepersonale 22. Ma anche la più recente controversia riguardante «ilprincipe della risata», Totò, la cui effigie (composta da un disegno e dauna particolare grafia in modo da formare la parola Totò e da richia-

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23 Trib. di Roma, 29 gennaio 1991; Corte. App. Roma, 26 aprile 1993 e Corte Cass.,12 marzo 1997, n. 2233 sono riportate in Riv. dir. ind., 1997, II, 406 ss. (con note di L.BROVEDANI, Il caso «Totò»: caricature di personaggi celebri e marchi d’impresa e di C.VIALE, Sfruttamento del valore attrattivo della celebrità altrui).

24 Sul tema, L. MARCHIGIANI, Il diritto sulla propria notorietà, in Riv. dir. civ., 2001,I, 191-242.

marne l’immagine), era stata questa volta sì utilizzata indebitamenteda una ditta dolciaria per abbozzare un marchio sui cioccolatini 23.

Quanto invece alla registrazione del ritratto altrui, il carattereconsustanziale di esso alla persona fa sì che l’art. 21, comma 1 pre-veda un sistema più rigoroso, basato sul principio del consenso: lanorma fa infatti divieto di registrare come marchi i ritratti di perso-ne senza il loro consenso e, dopo la loro morte, senza il consenso deiparenti, facendo sì che il consenso costituisca il presupposto per larichiesta della registrazione.

Sia per il nome, sia per il ritratto la legge dispone poi, col chiarointento di evitare usi illeciti o indebiti vantaggi dall’uso del «segno»conosciuto, il limite della «notorietà», prevedendo che se di pubblicodominio «i nomi di persona, i segni usati in campo artistico, lettera-rio, scientifico, politico o sportivo, le denominazioni e sigle di mani-festazioni e quelle di enti ed associazioni non aventi finalità econo-miche, nonché gli emblemi caratteristici di questi», possano essereregistrati come marchio solo dall’avente diritto, o con il consenso diquesti o dei parenti: «beneplacito» che, come è facile immaginare, ra-ramente viene dato a titolo gratuito.

Come si vede, in tutti questi casi nome e ritratto assumono la vestegiuridica di veri e propri «beni» circolanti e patrimonializzabili, cometali soggetti in buona parte alle medesime regole di circolazione diquesti ultimi, ed il cui «valore di mercato», aumenta in modo diretta-mente proporzionale alla «notorietà» del soggetto che li porta, fino alpunto di prevedere come necessario il consenso dell’avente diritto 24.

5. Il nome come simbolo della personalità individuale

Nessuno dei punti di vista considerati sembra in realtà capace diesaurire completamente il fenomeno «poliedrico» del nome, doven-

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25 In tal senso, da ultimo, anche M.T. ANNECCA, Il diritto al nome, in Nuovi dirittidella persona e risarcimento del danno (a cura di G. Cassano), Utet, Torino, 2004, 361.

26 Cfr. A. DE CUPIS, Il diritto all’identità personale, Giuffrè, Milano, 1949; ma ancheE. ENRIETTI, Compendio di diritto privato italiano, Giappichelli, Torino, 1946, 121.

27 Cfr. M. NUZZO, Nome (diritto vigente), in Enc. dir., XXVIII, Giuffrè, Varese, 1978,307.

28 Così A. DE SANCTIS RICCIARDONE, op. cit., 15.29 Cfr. G. GIAMPICCOLO, La tutela giuridica della persona umana e il c.d. diritto alla ri-

servatezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, 463; nello stesso senso M. DOGLIOTTI, Tu-tela della riservatezza, diritto di cronaca, rielaborazione «creativa» (A proposito di un re-cente originale televisivo), in Giur. civ., 1979, II, 1522.

30 Scrive in proposito A. DE TOCQUEVILLE, «nous désignons ainsi la tendance à con-sidérer que l’individu n’est nullement redevable à la société de sa propre personne ou deses capacités, dont il est au contraire, par essence, le propriétaire exclusif».

dosi piuttosto condividere quanto messo in luce in dottrina circa il po-limorfismo e conseguentemente la necessaria “tutela multilevel” delnome stesso 25.

Per questo è necessario giunti a questo punto fare un passo inavanti, rilevando come, nel nostro ordinamento, alla concezione (e tu-tela) del nome-segno identificativo si sia andata affiancando quelladel nome come «diritto della personalità 26», e precisamente come«diritto assoluto della personalità, inteso come diritto alla libertà diautodeterminazione nello svolgimento della personalità dell’uomocome singolo […] (il cui) fondamento positivo è individuabile nell’art.2 Cost. […]» norma della quale si compone ogni preteso conflitto trapersona e personalità 27. Ciò che, come tra breve vedremo, ha condot-to più di recente ad affermare che «l’opinione più coerente col siste-ma» in generale sia quella che configura il «nome civile» della perso-na come segno di distinzione ed insieme come aspetto del diritto al-l’identità personale 28.

Invero non si è trattato di un esito immediato e privo di snodi pro-blematici a motivo, secondo parte della dottrina 29, del fatto che, nelcontesto di una cultura giuridica tendente a modellare qualsiasi posi-zione del soggetto sulla base di un «superiore» diritto di proprietà 30,sarebbe risultato difficile accondiscendere al dare rilievo situazioni incui il bene protetto non fosse allocato nella realtà esterna al soggetto,ma inerente e consustanziale alla sua stessa persona.

Già prima dell’avvento della Costituzione repubblicana Francesco

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Il nome e la personalità umana 135

31 F. DEGNI, Le persone fisiche e i diritti della personalità, Utet, Torino, 1939, 160-223.

32 Nel 1949 venne pubblicato da A. DE CUPIS il Diritto all’identità personale, cit.,opera specificamente dedicata al «diritto al nome», a cui avrebbe dovuto seguire unostudio sul «diritto all’immagine». Successivamente DE CUPIS scrisse I diritti della per-sonalità, in Trattato di diritto civile e commerciale (diretto da A. Cicu e E. Messineo econtinuato da L. Mengoni), Giuffrè, Milano, 1982 (I ed. 1959-61).

33 Corte Cass., sez. I, 22 giugno 1985, n. 3769, in Foro it., 1985, I, 2211 (con nota diR. PARDOLESI); in Dir. inform. inf., 1985, 965 (con nota di A. FIGONE); in Giust. civ., 1985,

Degni nel suo volume su «le persone fisiche e i diritti della persona-lità», distinse i diversi diritti della personalità in varie sottoclassi: di-ritto all’individualità del proprio essere, diritto all’integrità fisica, di-ritto all’integrità morale, diritto all’esplicazione della propria attività,diritto alle produzioni dell’ingegno, ricomprendendo all’interno dellaprima sottoclasse il diritto al nome civile, al nome commerciale, allopseudonimo, ai titoli nobiliari: tutte ipotesi che ruotavano sempre at-torno alla tutela del diritto al nome, che l’autore qualificava come undiritto della personalità dotato anche di rilevanza pubblicistica 31.

Fu poi soprattutto a partire dalla vigenza della Costituzione repub-blicana che iniziò a manifestarsi la tendenza a superare la concezione«anagrafica» e «proprietaria» dell’identità personale, in favore di unaconcezione più ampia: si collocano in questa prospettiva gli studi diAdriano De Cupis, che concepì il diritto all’identità personale come undiritto soggettivo della personalità, essenziale e innato, avente portatagenerale sebbene affondante le proprie radici in norme specifiche –, inparticolare nella disciplina del nome, dello pseudonimo, dell’immagi-ne e della rettifica – consistente nell’identificabilità erga omnes delsoggetto ed anche nella corretta rappresentazione sociale della sua per-sonalità, specificamente, nell’interesse a che la proiezione della pro-pria personalità non venga travisata tramite l’attribuzione non veri-tiera di determinati fatti o qualità 32.

Comunque sia, tale percorso pare essere giunto a un considerevolegrado di maturazione con la sentenza n. 3769 del 1985 della Corte diCassazione, in cui la stessa ha affermato essere interesse della perso-na quello di preservare intatto il proprio nome, essendo questo unodei profili «rilevanti nella rappresentazione che [della persona] vienedata nella vita di relazione, vale a dire della propria identità persona-le «nel senso di immagine sociale» 33.

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I, 3049 (con nota di F. MACIOCE e M. DOGLIOTTI); in Nuova giur. civ., 1985, I, 647 (connota di V. ZENO-ZENCOVICH); in Resp. civ. e previd., 1985, 578; e in Corriere giur., 1985,1005.

34 Cfr. G. CASSANO, Identità personale e risarcimento del danno nel quadro dei dirittidella personalità, Simone, Napoli, 1999, 10. Per una più ampia disamina degli «Orien-tamenti della Corte di Cassazione sull’art. 2 Cost. e i diritti inviolabili dell’uomo» (conparticolare riferimento al diritto all’identità personale) si veda C. VIGLI, in Dir. inform.inf., 1988, 167-176.

A tal fine, il Supremo Collegio ha ritenuto che il fondamento giuri-dico della protezione dovesse individuarsi (conformemente ad un in-dirizzo di dottrina che andava sempre più diffondendosi) nell’art. 2Cost. «la cui finalità è proprio quella di tutelare la persona umana neisuoi aspetti e modi di essere essenziali», integrata da specifiche di-sposizioni di legge (così, nella fattispecie, l’art. 7 c.c. dal momento cherisultava essere il più affine all’interesse da tutelare), non escludendoanche il possibile ricorso al procedimento analogico, mostrando quin-di, nel contempo, di credere nell’«insufficienza», a fondare diretta-mente un diritto soggettivo all’identità personale, dei soli artt. 7 e 10c.c., a motivo della loro specifica vocazione a tutelare interessi diver-si e parziali rispetto a quelli assunti come coperti da un simile diritto.Secondo la dottrina maggioritaria, invece, la chiamata in causa dellenorme codicistiche avrebbe di fatto privato di autonomo significato ilriferimento all’art. 2 Cost., ridotto a svolgere un ruolo di mera coper-tura 34.

In realtà, la posizione della Cassazione ci pare comprensibile, al-meno nel senso di riuscire comunque ad offrire una tutela di situazio-ni soggettive non codificate, ampliando, grazie al dettato costituzio-nale (quindi qualcosa di più di un mero rinvio), il raggio di azione dinorme legislative e rispettando al possibile il principio di certezza deldiritto.

Per quanto criticabile, è significativo il passo della sentenza in cuila Corte disapprova la tendenza dottrinale volta ad ampliare il concet-to giuridico del nome e dell’immagine sino a ritenerli in qualche mo-do «strumenti» per compendiare unitariamente la personalità del sog-getto. Secondo la Corte per questa strada si finirebbe con l’alterare insede interpretativa il contenuto normativo degli artt. 7 e 10 oltre i li-miti consentiti dallo strumento dell’interpretazione estensiva ed evo-lutiva, attribuendo «alle due norme una portata innovativa incompati-

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35 Su cui F. CIONTI, La nascita del diritto sull’immagine, Giuffrè, Milano, 2000,25 ss.

36 Sulla «lunga e controversa» linea evolutiva percorsa per giungere a configura-re l’immagine come «segno distintivo essenziale, volto a rappresentare le sembianze,l’aspetto fisico del soggetto, ma anche come espressione, modo di essere della per-sonalità nel suo complesso», M. DOGLIOTTI, in nota a Trib. Verona, 26 febbraio 1996,Immagine ed identità personale: soggetti forti e soggetti deboli, in Dir. fam. pers., 1997,1, II, 1444-1458; per una rassegna di giurisprudenza sulla materia, G. PIAZZA-D.GOETZ, Il diritto all’immagine nella giurisprudenza dell’ultimo decennio, in Resp. civ. eprevid., 1998, 350-362.

bile con la loro struttura e con la ratio legislativa di entrambe» che in-vece non prenderebbero in considerazione che la rappresentazioneanagrafica e visiva della persona.

In sostanza, mentre i segni distintivi (nome, pseudonimo, ecc.)identificherebbero, a dire della Corte, nell’attuale ordinamento, il sog-getto sul piano dell’esistenza materiale e della condizione civile e le-gale e l’immagine evocherebbe le mere sembianze fisiche della perso-na, l’identità rappresenterebbe, invece, una formula sintetica per con-traddistinguere il soggetto da un punto di vista globale nella moltepli-cità delle sue specifiche caratteristiche e manifestazioni (morali, so-ciali, politiche, intellettuali, professionali, ecc.); esprimerebbe cioè «laconcreta ed effettiva personalità individuale del soggetto quale si è ve-nuta solidificando od appariva destinata, in base a circostanze univo-che, a solidificarsi nella vita di relazione». Di qui la «correlazione»sebbene «nulla di più» fra il diritto al nome (e agli altri segni distinti-vi) e all’immagine, con l’identità personale.

6. L’immagine come simbolo della personalità individuale

Quanto da ultimo rilevato offre lo spunto per approfondire le analo-gie sussistenti tra diritto al nome e all’immagine: affinità che sono ri-scontrabili sin dal percorso storico-giuridico che queste due nozionihanno compiuto 35. Il diritto all’immagine, infatti, non solo è stato og-getto di analoghe operazioni dogmatiche finalizzate a estenderne la tu-tela, ma ha altresì compartecipato e, si sarebbe portati a dire, ha avutomodo di «respirare» insieme al nome la stessa atmosfera dell’«evo-luzione» del contesto culturale nei confronti della persona fisica 36.

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Basti in proposito ricordare quanto ancora di recente è stato asse-rito da autorevole dottrina che, nel rilevare il mutamento di paradig-ma a cui si sarebbe assistito nel passaggio dalla forma di stato del XIXsecolo a quella del XX secolo, sinteticamente (ed efficacemente) rap-presentata dal binomio «da libertà-proprietà a libertà-personalità 37»,ha evidenziato l’inscindibile legame tra l’art. 2 e l’art. 13 Cost. intesoquest’ultimo non più, solo, come habeas corpus ma più ampiamentecome «libertà psicofisica», vale a dire come libertà insieme «fisica» e«mentale».

In questa prospettiva, di cui peraltro sarebbe conferma il comma 4dell’art. 13 Cost., avverrebbe l’emersione del carattere polivalente 38

dell’immagine, considerabile, a seconda dei casi, in analogia col nome,come «immagine-dato», «immagine-proprietà», piuttosto che «imma-gine-personalità» individuale o «immagine sociale 39», profili che pos-sono rilevare, caso per caso, o singolarmente o nel loro complesso 40.

Non pare del resto essere estranea a quest’ordine di idee la sentenzan. 38 del 1973 della Corte Costituzionale, che ricondusse il diritto al-l’immagine nel novero dei diritti «inviolabili». Specificamente, inquell’occasione la Corte affermò la legittima applicazione dell’art. 700c.p.c., in quanto «mezzo efficace per attuare la protezione provvisoriadi diritti della personalità rientranti in quelli inviolabili che la Costitu-zione salvaguarda […]» considerando che detta norma lungi dal con-

37 Scrive F. Modugno: «Mentre nello stato borghese ottocentesco, la persona uma-na era essenzialmente concepita come homo oeconomicus, con la conseguente ricon-duzione della proprietà a proiezione necessaria dello stesso individuo (da cui la iden-tificazione di fondo proprietà-libertà, binomio che caratterizzava nella sua identitàsostanziale la personalità), l’idea della persona ha subito una trasformazione nel cor-so della prima metà del nostro secolo talmente radicale da sganciarsi dalla sua radi-ce antropologico-naturalistica per attingere il piano dei valori etico-spirituali posti,con essa, al culmine dei valori giuridici: l’individuo è persona totale e come tale è as-sunto come il più alto valore giuridico-positivo» (F. MODUGNO, I «nuovi diritti» nellagiurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 1995, 11).

38 Cfr. ordinanza Pret. Roma, 30 maggio 1979, in Foro it., 1980, I, 2079-2084 (no-ta di A. PIZZORUSSO) e in Giust. civ., 1980, 965-975 (nota di M. DOGLIOTTI).

39 Così Corte Cass., 22 giugno 1985, n. 3769, cit.40 Si veda per esempio Pret. Roma, 15 novembre 1986 (in Dir. inform. inf., 1987,

249-253 e in Temi Romana, 1986, 748-753 (con nota di L. LOMBARDI), in cui è stata ri-scontrata la lesione del nome e dell’immagine «come complesso delle qualificazioniche individualizzano un soggetto».

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41 Nella nota di commento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 122 del1970 M. Mazziotti affrontò il problema della natura del diritto all’immagine (sanci-to dagli artt. 96, 97 e 98 della legge n. 633 del 1941 e dall’art. 10 c.c.), rilevando co-me né la concezione personalistica secondo cui l’immagine è una delle possibiliproiezioni esterne della persona (e, secondo alcuni, un particolare aspetto del dirit-to sul proprio corpo), né quella oggettivistica, che considera il diritto all’immaginecome un diritto assoluto di carattere patrimoniale sul proprio ritratto, siano piena-mente condivisibili, pervenendo a configurare il diritto all’immagine come dirittoassoluto alla non conoscenza, da parte degli altri, dell’immagine del soggetto titola-re (M. MAZZIOTTI, Diritto all’immagine e Costituzione, in Giur. cost., 1970, II, 1532).

42 Cfr. infra, Cap. VI, sez. I, § 2.43 V. ITALIA, Identità personale e cronaca fotografica, in Riv. dir. ind., 1960, I, 392-

422.44 Più di recente cfr. Corte App. Roma, 24 maggio 1991 (in Nuovo dir., 1991, 804,

con nota di A. CIAURI), che trasse origine dalla pubblicazione, su un quotidiano a tira-tura nazionale, dell’immagine di una donna sottobraccio ad un imprenditore, nelcontesto di un articolo in cui si dava risalto alla notizia dell’avvio di un processo pe-

trastare con le norme costituzionali, mirerebbe semmai a tutelare e arealizzare i fini di alcune sue disposizioni, richiamando in particolarel’art. 2 Cost. e gli artt. 3, comma 2, e 13, comma 1, «che riconoscono egarantiscono i diritti inviolabili dell’uomo […], sanciti espressamentenegli artt. 8 e 10 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, gliartt. 10 del codice civile, 96 e 97 della legge 22 aprile 1941, n. 633 41».

Ebbene, è stato proprio percorrendo la strada dell’«immagine-per-sonalità» che, come avremo modo di vedere più avanti, si è giunti adelaborare dapprima il diritto alla riservatezza e quindi il diritto al-l’identità personale in senso sociale 42.

Quanto al primo profilo, famoso è rimasto il caso dell’immaginedel Cancelliere tedesco Otto Von Bismarck fotografato sul letto inpunto di morte, sebbene nell’occasione i giudici condannarono i foto-grafi per violazione di domicilio. Quanto invece al secondo ricordia-mo non solo che già negli anni Sessanta Vittorio Italia sosteneva cheuna fotografia che avesse rappresentato una persona in maniera di-versa da come essa normalmente appariva (nel caso di specie uno sba-diglio!) sarebbe dovuta essere considerata lesiva del diritto all’identitàpersonale 43; ma anche il caso risolto dal Pretore di Roma nel 1974 deidue coniugi fotografati nel manifesto antidivorzista, che comune-mente viene citato come la prima vicenda giudiziaria in cui il dirittoall’identità personale “fu chiamato in causa” 44.

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nale nei confronti di quest’ultimo, accusato di truffa, emissione di assegni a vuoto efalsità in titoli: il giudice affermò la sussistenza della lesione del diritto all’identitàpersonale della ricorrente.

45 Corte Cass., 10 novembre l979, n. 5790, in Foro it., 1980, I, 81.46 Corte Cost., 3 febbraio 1994, n. 13, in Foro it., 1994, I, 1668; in Cons. Stato, 1994,

II, 137; in Giust. civ., 1994, I, 867; in Stato civ. it., 1994, 265; in Dir. fam. pers., 1994, 526;in Giur. cost., 1994, 95 (con nota di A. PACE); in Giust. civ., 1994, I, 2435-2439 (con notadi D. BONAMORE, cit.); in Le nuove leggi civ. comm., 1995, 410-414 (con nota C. EBENE).

47 Corte Cost., sent. 23 luglio 1996, n. 297, in Foro it., 1996, I, 3600; in Fam. e dir.,1996, 412 (con nota di V. Carbone); in Cons. Stato, 1996, II, 1259; in Giust. civ., 1996,I, 2798; in Stato civ. it., 1996, 666. Si veda altresì G. FERRANDO, Diritto all’identità per-sonale e cognome del figlio naturale, in Giur. cost., 1996, IV, 2479-2482; G. CASSANO,Status famigliare e conservazione del «proprio» cognome (la Consulta legittima nuova-mente il diritto all’identità personale), in Dir. fam. pers., 1998, I, 476-484; in Le nuoveleggi civ. comm., 1997, 637-639 (con nota di M.C. EBENE). Si veda altresì F. ARCADIO,Diritto al mantenimento del proprio cognome, fino a quel momento attribuito, a seguitodi rettifica di cui all’art. 165 e ss. del R.D. n. 1238 del 1939 in Amm. it., 1997, 1534-1535.

48 Corte Cost., 11 maggio 2001, n. 120, in Foro it., 2002, I, 647-657 (con nota di V.

La stessa Corte di Cassazione, poi, nel 1979 annoverò tra gli ele-menti originari della personalità individuale l’immagine personale,«la cui reputazione, evocando visivamente la persona, vale a rappre-sentarla nell’aspetto fisico individuale e, per tal verso, a identificarla».Anzi, proprio la correlazione tra immagine ed identità personale resegià all’epoca possibile alla Corte ritenere che attraverso la tutela del-l’immagine, «mediante il generale divieto di introdurre nella riprodu-zione dell’immagine alterazioni tali da compromettere profondamen-te la verità dell’individuo, per ciò che attiene al suo aspetto fisico» ve-nisse realizzata altresì la protezione del bene dell’identità personale,anche quando «l’immagine sia riprodotta, fedelmente, ma in occasio-ne della riproduzione siano alterati altri elementi attinenti alla perso-nalità dell’individuo cui la immagine perviene 45».

7. Il nome nella giurisprudenza della Corte Costituzionale

Ma tornando a trattare del nome nella sua relazione con la proble-matica dell’identità della persona, è necessario rievocare anche quan-to statuito dalla Corte Costituzionale, nelle sentenze n. 13 del 1994 46,n. 297 del 1996 47 e n. 120 del 2001 48, che possono ritenersi il “cuore”

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RAPARELLI); in Corr. Giur., n. 6, 2001, 826-827 (con nota di F. FELICETTI, M.R. SAN GIOR-GIO); in Fam. e dir., 2001, 255-259 (con nota di G. CASSANO); in Le nuove leggi civ.comm., 2001, 1193-1200 (con nota di A. GENTILI); in Dir. fam. pers., 2002, 5-12 (connota di G. MANERA).

49 Peraltro anche la giurisprudenza di merito aveva dimostrato in precedenzaaperture in tal senso. Così, per esempio, il Trib. Min. Trieste, nel decreto 29 luglio1985 aveva riconosciuto che nell’ipotesi di filiazione riconosciuta od accertata neiconfronti del padre naturale successivamente al riconoscimento materno, il giudicechiamato a decidere a norma dell’art. 262 c.c. in ordine all’assunzione del cognomepaterno avrebbe dovuto avere riguardo esclusivamente all’interesse del minore (inDir. fam. pers., 1986, 590-593).

del riconoscimento del diritto all’identità individuale come diritto in-violabile.

La pronuncia del 1994 trasse origine dall’accertamento (di giudica-to penale) del fatto che il nome portato sino a quel momento da unsoggetto non era quello del marito della madre, per falsità della di-chiarazione anagrafica; il che, a norma dell’art. 165 (del R.D. 9 luglio1939, n. 1238) avrebbe dovuto comportare la rettifica degli atti di sta-to civile del figlio e, con lui, eventualmente, di riflesso, della moglie edei figli, soggetti evidentemente estranei alla questione di fondo e deltutto incolpevoli. La Corte, dichiarò l’illegittimità costituzionale delladisposizione in questione, riconoscendo al soggetto il diritto a mante-nere il cognome originariamente attribuitogli e ormai divenuto auto-nomo segno distintivo della sua identità personale.

Il giudice delle leggi ritenne infatti, nell’occasione, che sebbene nel-la disciplina giuridica del nome confluiscano esigenze di natura siapubblica sia privata, l’interesse pubblico a garantire la fede del regi-stro degli atti dello stato civile risultava comunque soddisfatto dallarettifica dell’atto riconosciuto non veritiero: «una volta che siano resi(finalmente) certi i rapporti di famiglia della persona, ai fini dell’inte-resse pubblico non rileva più che questi mantenga il nome preceden-temente portato al pari di qualsiasi altro omonimo». Anzi, secondo laCorte l’imposizione al soggetto del mutamento del cognome in etàavanzata e per ragioni a lui estranee, avrebbe finito col coinvolgere ecreare disagio oltre che al soggetto stesso a tutta la sua discendenza 49,ed avrebbe inoltre prodotto una situazione estremamente confusa edincerta sul piano giuridico, laddove è invece di interesse generale chel’identificazione delle persone per mezzo di un cognome, ormai dive-

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50 D’altra parte, rileva sempre la Corte Costituzionale, l’eventualità che il cognomepossa essere diverso dalla paternità accertata non è un’ipotesi estranea all’ordina-mento, essendo già prevista al comma 2 dell’art. 262 del codice civile (che consente alfiglio tardivamente riconosciuto dal padre di scegliere se conservare o meno il co-gnome originario, nonostante il riconoscimento sia rispondente a verità), la cui ratioè proprio quella di tutelare l’integrità dell’identità personale del soggetto.

Nella sentenza n. 494 del 2002 (in Giur. cost., 2002, 4065) la Corte Cost. si è spin-ta ancora oltre affermando l’inviolabilità del diritto dei figli (in particolare di genito-ri incestuosi), al riconoscimento formale di un proprio status filiationis, «elementocostitutivo dell’identità personale».

51 Cfr. infra, Cap. VI, sez. I, nota 5.

nuto irreversibile segno distintivo della propria identità personale, ri-manga, se possibile, costante nel tempo.

Ciò stabilito, tra i punti fermi che la Consulta ha posto nella primapronuncia vi è stata la presa di distanza tra le nozioni di «nome» e di«status», considerando come, sebbene nel nostro ordinamento l’attribu-zione del cognome risulti ordinariamente conseguente al possesso diuno status familiare (per cui quando l’art. 6 del codice civile dispone che«ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito» non rin-via a norme che disciplinano direttamente l’acquisto del nome, bensì aquelle norme che regolano in genere il riconoscimento di uno status ecioè che prendono in esame tutte le possibili vicende in tema di filiazio-ne legittima, naturale e adottiva e, quindi, indirettamente, l’assunzionedel nome), tuttavia non manchino casi «in cui non si dà, o non si dà più,corrispondenza tra nome e status»: ipotesi in cui «proprio a tutela e pro-tezione della persona, può esserle riconosciuto il diritto alla conserva-zione di un nome per il quale non ha, o non avrebbe più, titolo 50».

Lo stacco evidenziato dalla Corte tra «status» e «nome» mette dunque(ancora una volta, dopo la Cassazione) in luce la differenziazione (nellageneralità dei casi ricomposta) tra il nome anagrafico e il nome perso-nalità. Tuttavia (a differenza della Corte di Cassazione) il giudice delleleggi ricompone i due aspetti, vale a dire il nome come dato dell’identitàattribuita e il nome come profilo dell’identità personale (con ciò susci-tando, peraltro, come vedremo, critiche di rilievo in seno alla dottrina51),ritenendoli nel loro insieme parte essenziale ed irrinunciabile della per-sonalità, garantita dall’art. 2: «tra i tanti, il primo e più immediato ele-mento che la caratterizza l’identità personale è evidentemente il nomesingolarmente enunciato come bene oggetto di autonomo diritto nel

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52 In tal senso anche, Corte Cass., sez. I, 27 aprile 2001, n. 6098, in Fam. e dir., 2001,266-274 (con nota di V. CARBONE); in Dir. fam. pers., 2001, II, 1445-1462 (con nota di A.MUSIO) e in Familia, 2003, 893-904 (con nota di G. CASSANO); Trib. Min. Cagliari, 31 lu-glio 1998, in Riv. giur. sarda, 1999, 671; Trib. Min. Milano, 2 febbraio 2000 in Giur. me-rito, 2000, II, 1181-1189 (con nota di G. CASSANO); in Dir. fam. pers., 2001, 767-781 (connota di G. CASSANO), che ha riconosciuto al figlio minorenne, in tempi successivi ricono-sciuto dalla madre e dal padre naturale, la possibilità di conservare il cognome maternoquando ciò corrisponda al suo preminente interesse. Diversamente Corte App. Palermo,7 marzo 1995, in Dir. fam. pers., 1995, 1026-1034 (con nota di F. TORTORICI). Critico neiconfronti dell’art. 262 c.c. è svolta da A. IANNELLI, Il diritto all’identità personale e l’attri-buzione del cognome al figlio nato fuori del matrimonio, in Vita notarile, 1981, 455-475.

successivo art. 22 Cost., che assume la caratteristica del segno distintivoed identificativo della persona nella sua vita di relazione».

Il riferimento all’art. 2 Cost. nella pronuncia del 1994 serve allaCorte per attribuire al «nome» come componente fondamentale del-l’identità individuale il «carisma» dell’inviolabilità, dal momento, cipare, che nulla avrebbe impedito al giudice delle leggi di fondare il di-ritto direttamente sulla base dell’art. 22 Cost., dando al contempo ri-prova del suo orientamento favorevole al riconoscimento di questo at-tributo solo a situazioni soggettive conformate.

Nel 1996 la Corte ha confermato l’orientamento inaugurato nellapronuncia del 1994, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art.262 c.c., nella parte in cui non prevede(va) la possibilità per il figlionaturale di conservare il cognome originario (attribuito dall’ufficialedi stato civile) accanto a quello del genitore che lo avesse riconosciu-to successivamente, considerando il primo cognome ancora una volta«segno distintivo della sua identità personale»: rileva infatti la Cortela meritevolezza della tutela del cognome originario del figlio natura-le in cui si è radicata la sua identità indipendentemente dal meccani-smo di riconoscimento «ben potendo la tutela dell’uno conciliarsi conla tutela dell’altro, senza necessità di sacrificare alcuno dei due» 52.

Più recentemente, la Corte ha avuto modo di ritornare ancora unavolta sul tema, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 299c.c. laddove non prevede(va) che il figlio naturale non riconosciutodai propri genitori che fosse stato adottato potesse aggiungere al co-gnome dell’adottante anche quello originariamente attribuitogli, an-teponendolo, nel qual caso, a quello adottivo e rilevando nell’occasio-ne come si debba «ormai ritenere principio consolidato» nella sua giu-

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53 A nulla è valso il giudizio di legittimità costituzionale promosso con ordinanzaemessa il 20 novembre 2000 (in G.U. n. 9 sp. 2001) dalla Corte d’Appello di Torino – se-zione per i minorenni – riguardo all’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 in riferi-mento agli artt. 2, 3, comma 2, 30, comma 3, e 31, comma 2, della Costituzione nella par-te in cui, rinviando all’art. 299 del codice civile per l’attribuzione del cognome al minoreadottato in casi particolari, non avrebbe consentito, questa volta, al minore, ai suoi lega-li rappresentanti, e agli adottanti di ottenere (nell’interesse del minore), la possibilità dimantenere solo ed esclusivamente il suo precedente cognome. La Corte Costituzionale,infatti, ha dichiarato non fondata la questione dimostrando l’apprezzamento per la «nonfacile composizione» di esigenze diverse effettuata dal legislatore optando per il «doppiocognome». Secondo la Consulta sarebbe semmai contraria alla Costituzione una dispo-sizione che imponesse la cancellazione, attraverso la sostituzione automatica del cogno-me originario, di un tratto essenziale della personalità del soggetto (Corte Cost., sent. n.268 del 2002, in Giur. cost., 2002, 1948; a cui si accompagna l’ord. n. 350 del 2002, inGiur. cost., 2002, 2636).

risprudenza «quello per cui il diritto al nome – inteso come primo epiù immediato segno distintivo che caratterizza l’identità personale –costituisce uno dei diritti inviolabili protetti» dall’art. 2 Cost. 53.

Comunque sia, nelle loro grandi linee, le argomentazioni della Cor-te sembrano potersi articolare in questi passaggi:

a) il cognome è segno identificativo della persona, tutelato dallaCostituzione (ex art. 22 Cost.);

b) il cognome è altresì parte essenziale ed irrinunciabile della per-sonalità tutelato dalla Costituzione (ex art. 2 Cost.);

c) più precisamente, il cognome è segno della propria personalità«esternalizzata», ossia della propria identità personale;

d) dunque, una disposizione legislativa che privi un soggetto delsuo cognome è lesiva dell’identità personale, così come protetta dallaCostituzione.

Se si condivide questa lettura, verrebbe meno l’asserito carattere diestraneità al ragionamento di fondo dell’identità personale, dal mo-mento che non di «personalità» in genere si tratta, bensì di un suoparticolare aspetto «manifestato» all’esterno. Inoltre risulta altresìevidente come il forzato cambiamento del nome (nella fattispecie lameccanica e indesiderata rettifica degli atti di stato civile) determiniun «travisamento» del patrimonio morale del soggetto, a causa del ve-nir meno di un elemento essenziale di sé, ossia il cognome, quale sim-bolo della sua personalità.

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54 Posizione diversa su questi ultimi punti è assunta da G. PINO, Il diritto all’iden-tità personale, il Mulino, Bologna, 2003, 94-99.

55 Cfr. in tal senso F. MODUGNO (I nuovi diritti nella giurisprudenza costituzionale,cit., 33-34) che richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 189 del 1987 che hadichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che richiedevano, sanzionando pe-nalmente la trasgressione, la preventiva autorizzazione delle autorità politiche localiper l’esposizione in pubblico delle bandiere estere. Lo studioso considera la questionepiù generale se solo si considera che attraverso questi «simboli» ciascuno può ricono-scere ed esprimere la propria identità politico-sociale. In particolare, sarebbe chiara lavolontà dell’art. 12 Cost. di conferire dignità di valore alla bandiera italiana come «rap-presentazione della memoria storica» e del senso di identità e di unità della nazione,con ciò riaffermando la «supremazia su ogni altro, del valore dell’identità e della li-bertà della persona individuale e dei gruppi sociali “ove si svolge la sua personalità”».

56 Per un commento ai DD.LL. 28 settembre 2001, n. 353; 12 ottobre 2001, n. 369;18 ottobre 2001, n. 374 (convertiti, rispettivamente, in legge 27 novembre 2001, n.415; 14 dicembre 2001, n. 431; 15 dicembre 2001, n. 438), L. FILIPPI, Terrorismo inter-nazionale: le nuove norme interne di prevenzione e repressione. Profili processuali, inDir. pen. proc., 2002, II, 163-176.

Se poi è in realtà quest’ultima equazione a sollevare perplessità, inquanto «[rimanderebbe] a forme di organizzazione sociale troppo ri-salenti nel tempo», è evidente come ci si trovi nel campo del sociolo-gicamente opinabile, dove comunque, mai, al valore allusivo del co-gnome non possono ritenersi estranee anche vicende e memorie ap-partenenti alla vita attuale del soggetto 54.

8. Il nome tra diritto interno e diritto internazionale

Il nome come diritto inviolabile (e dunque assistito dalle garanziedell’originalità, indisponibilità, intrasmissibilità e imprescrittibilitàdel diritto) e assoluto comporta prima di ogni altra cosa che debba es-sere rispettato, in virtù dei doveri inderogabili di solidarietà politica,economica e sociale disposti dallo stesso art. 2 Cost.

Tale configurazione del nome mette in luce quella «ponderazionetra diversi valori» che rappresenta la spia più attendibile di una certaforma di stato 55 per cui oggi, seppure consci del rischio di assistere im-potenti ad un mutamento di paradigma 56, ci troviamo ancora a direche l’individuo rappresenta il motore immobile del sistema giuridico,«il valore» in funzione del quale, in virtù del principio personalista, è

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57 Per tutti A. BARBERA, Commento all’art. 2, in Comm. cost. Branca, Zanichelli, Bo-logna-Roma, 1975; A. BALDASSARRE, Diritti inviolabili, in Enc. giur., 1-43; P. GROSSI, In-troduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Cedam, Pa-dova, 1972.

58 Così A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Cedam, Padova, 1990, 1.Nello stesso senso L. PALADIN, Diritto costituzionale, Cedam, Padova, 1995, 562 ss.

59 Si veda la stessa impostazione dell’opera L’identité de la personne humaine, cit.60 Si vedano in proposito L. FAVOREU, P. GAIA, R. GHEVONTIAN, J.-L. MESTRE, A.

ROUX, O. PFERSMANN, G. SCOFFONI, Droit constitutionnel (a cura di L. FAVOREU), PrécisDalloz, Paris, 1998, 1203.

chiamato a funzionare il meccanismo ordinamentale 57. Sicché «alme-no una conclusione sembra però pacifica […] l’art. 2 è importante perl’individuazione della forma di stato che il Costituente riteneva doves-se realizzarsi in Italia e che delineò nei primi articoli (artt. 1-12) dellanostra Legge Fondamentale 58».

Certo, il rispetto del «nome» è solo una piccola spia di «meccanismi»di ben più ampia portata, tuttavia la sua disciplina complessivamenteconsiderata può essere estremamente significativa al fine appunto diconfigurare il tipo di rapporti sussistenti tra Stato-ordinamento e citta-dini da un lato e Stato-ordinamento e altri soggetti dall’altro.

Nel nome, infatti, confluiscono tutte le varie componenti identita-rie che l’individuo via via nel corso della sua vita realizza e fa proprie:parte della dottrina, soprattutto d’Oltralpe 59, suole distinguere inproposito tra «identité attribuée» e «identité choisie», riconducendonel primo ambito tutti gli elementi identitari attribuiti dallo Stato-ordinamento e nel secondo quelli via via realizzati nel corso della suavita dal soggetto, per esempio, la cittadinanza e il domicilio e, per al-tro verso, l’identità religiosa, l’identità professionale, ecc.

Ci sono poi delle componenti identitarie che stanno a metà tra «ilscelto» e «l’attribuito», come per esempio la nazionalità, la cui carat-terizzazione volontaristica pare tuttavia scontrarsi con la realtà deifatti, che dimostra che se in alcuni casi è possibile per l’individuo sce-gliere di cambiare nazionalità, poi è assai difficile formalizzare talecambiamento sul piano giuridico concreto, dipendendo tale elementoidentitario, in ultima analisi, dalle leggi vigenti nell’ordinamento sucui cade di volta in volta la scelta: «Rome, par une loi qui ne se peutchanger n’accepte avec son sang aucun sang s’étranger» (Racine) 60.

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61 Così F. DONATI, Le reti e i servizi di comunicazione elettronica, Giappichelli, Tori-no, 2003, 495.

62 In «ambito regionale» l’Italia ha ratificato (con legge n. 77 del 2003) la Conven-zione Europea di Strasburgo del 1996 «Sull’esercizio dei diritti del minore» che inapertura (art. 1) dichiara come: «L’objet de la présente Convention vise à promouvoir,dans l’intérêt supérieur des enfants, leurs droits, à leur accorder des droits procédurauxet à en faciliter l’exercice en veillant à ce qu’ils puissent, eux-mêmes ou par l’intermé-diaire d’autres personnes ou organes, être informés et autorisés à participer aux procé-dures les intéressant devant une autorité judiciaire», predisponendo un ulteriore stru-mento di tutela del minore e della sua identità.

63 «Il provvedimento di “restituzione” aveva forma di un decreto prefettizio, il

Su un diverso livello, è poi qui opportuno rilevare l’attuale tenden-za, a tenere nel dovuto rispetto anche quegli elementi, come il proprionumero di telefono, che in qualche modo ci connotano, e rispetto aiquali si esige il riconoscimento della «portabilità», vale a dire delmantenimento nel corso del tempo, visto e considerato che non con-sentire tale possibilità finirebbe per costituire una «fortissima remora– di ordine non soltanto pratico, ma anche psicologico 61», in grado tral’altro di condizionare negativamente l’autonomia del soggetto.

Sia come sia, tutte queste componenti confluiscono nel «nome» delsoggetto che rappresenta in qualche modo «il contenitore» identita-rio: per questo la sua lesione o, nei casi più gravi, la sua privazionerappresentano delle ferite inferte direttamente o indirettamente allapersonalità individuale. Su questa base, per esempio, l’art. 8 dellaConvenzione Internazionale dei Diritti del Fanciullo, firmata a NewYork il 20 novembre 1989 (e ratificata dall’Italia con legge n. 176 del27 maggio 1991), prevede che «gli Stati Parti si impegnano a rispetta-re il diritto del fanciullo a preservare la propria identità», ivi compre-so il suo nome «se un fanciullo é illegalmente privato degli elementicostitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati Parti devonoconcedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identitàsia ristabilita il più rapidamente possibile» 62.

Quanto constatato fornisce, se possibile, di ancora maggior risaltole implicazioni profonde del famigerato decreto n. 17 del 1926 (con-vertito nella legge 24 maggio 1926, n. 898), sulla «restituzione in formaitaliana» dei cognomi e dei predicati nobiliari «originariamente italia-ni o latini», «i quali fossero stati “tradotti” in altre lingue o “deformati”con grafie straniere o con l’aggiunta di un suffisso straniero 63»: atto

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quale poteva essere emanato su domanda dell’interessato oppure anche d’ufficio.Anche in questo caso erano previste sanzioni penali per chiunque “dopo la restitu-zione avvenuta” avesse fatto uso del cognome o del predicato nobiliare nella formastraniera», A. PIZZORUSSO, Le minoranze nel diritto pubblico interno, Giuffrè, Milano,1967, 436.

64 Sul punto, cfr. A PIZZORUSSO, op. ult. cit., 450. In via attuativa è stata approvatala legge 11 marzo 1972, n. 118 «Provvedimenti a favore delle popolazioni Alto-Atesi-ne», mentre il principio così stabilito ha trovato più di recente un generale riconosci-mento sul piano internazionale nell’art. 11 della “Convenzione quadro per la protezio-ne delle minoranze nazionali” (firmata a Strasburgo il 1° febbraio 1995 e entrata in vi-gore il 1° febbraio 1997) e sul piano interno nella legge 15 dicembre 1999 n. 482 che,all’art. 11, ha disposto il diritto dei cittadini facenti parte di una minoranza linguisti-ca riconosciuta e residenti nei comuni previsti dalla stessa legge a cui i cognomi o inomi siano stati in precedenza modificati o impedito in passato di apporre il nome dibattesimo nella loro lingua, di ottenere, sulla base di adeguata documentazione, il ri-pristino degli stessi in forma originaria, estendendo al contempo gli effetti del ripri-stino del cognome, a determinate condizioni, anche ai discendenti degli interessati(su tale disciplina, cfr. E. MALFATTI, La nuova legge di tutela delle minoranze linguisti-che: le prospettive, i problemi ancora aperti, in Riv. dir. cost., 1, 2001, 110-141, e più ingenerale, sul tema delle minoranze linguistiche, della stessa autrice, La tutela delle mi-noranze linguistiche in Italia, in Scritti in onore di Antonio Cristiani, Giappichelli, To-rino, 2002, 367-385.

normativo la cui portata, come è stato osservato, trascese la generalitàed astrattezza delle categorie soggettive coinvolte (le minoranze lin-guistiche) per svolgere i suoi effetti direttamente sui singoli apparte-nenti 64 (agli effetti di siffatta disciplina si è posto, com’è noto, rimediosulla base dell’Accordo di Parigi del 5 settembre 1946, con cui si con-venne sul diritto dei membri della minoranza altoatesina di ristabili-re i nomi di famiglia italianizzati durante il fascismo).

Tuttavia, anche senza giungere a situazioni estreme di lesione delnucleo fondamentale dell’inviolabilità ci sono dei casi in cui la meraalterazione formale del connotato identificativo può comportare laviolazione del proprio diritto sul nome. Ci riferiamo alla questione delrispetto e della salvaguardia dell’integrità del «nome straniero», pro-blema acuito dalla facilità e dalla frequenza degli spostamenti e degliscambi commerciali, che, oltre ad avere aumentato il contenzioso suquesto elemento, hanno anche favorito il sorgere di questioni relativealla legge applicabile per la disciplina del nome.

In ambito europeo è balzato agli onori delle cronache il caso Kon-stantinidis, in cui si presentò il problema di «trasposizione» di un «co-

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65 Corte Giust. CE, 30 marzo 1993, Christos Konstantidinis c. Stadt Altensteig, Stan-desamt, et Landratsamt Calw, Ordnungsamt, Aff. C-168/91, in Rec., 1993, I-1991. L’inte-ressato si stabilì in Germania e si vide mutare il proprio cognome nella versione latina,a suo dire distorsiva, «Konstadinidis». L’interessato si rivolse al Tribunale di istanza diTübingen, che tuttavia, in applicazione della Convenzione CIEC n. 14 di Berna ottenneil risultato di trasformare il cognome in «Hréstos Kònstantinidés» (!), deformandocompletamente la forma del cognome originario. A questo punto egli si rivolse all’Amt-sgericht di Tübingen che fece un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

66 Corte Giust. CE, 2 ottobre 2003, Carlos Garcia Avello c. Etat belge, Aff. C-148/02.67 Trib. Torino, 20 febbraio 1998, in Dir. fam., 1998, 605.

gnome» dall’alfabeto greco a quello latino: la Corte di Giustizia, nel-l’occasione, con estrema chiarezza, riconobbe l’illegittimità della«storpiatura» del cognome derivante dall’applicazione delle regole na-zionali o internazionali in materia perché questo fatto può comporta-re il rischio «d’une confusion de personnes auprès de sa clientèle poten-tielle» risultando per ciò stesso lesivo della libertà di stabilimento ga-rantita dall’art. 52 del Trattato 65.

Ancora di recente, poi, la Corte ha avuto modo di ritornare sullamateria riconoscendo (in base agli artt. 12 e 17 del Trattato CE) il di-ritto del minore avente doppia nazionalità di poter portare «le nomdont ils seraient titulaires en vertu du droit et de la tradition du secondÉtat membre» 66.

Anche nel nostro paese, sebbene con un certo ritardo rispetto allamedia europea, hanno cominciato a presentarsi questioni analoghe di«rivendicazione» dell’«integrità» del proprio cognome. Si è posto cosìil problema con quale cognome dovesse essere iscritta nei registri del-lo stato civile italiani una cittadina straniera che nello Stato di origi-ne aveva assunto un cognome diverso da quello paterno, che si erasposata e che aveva successivamente acquistato la cittadinanza italia-na e nel frattempo si era divorziata; e se fosse legittimo per le autoritàitaliane chiedere alle cittadine dei paesi dell’est europeo (il cui cogno-me presenta la desinenza corrispondente al genere sessuale), cheavessero acquistato la cittadinanza italiana, di dismettere i relativi de-rivativi femminili 67.

Peraltro gli operatori del settore salvo particolari situazioni nonsi sono trovati del tutto sprovveduti, considerato che il nostro paesegià da tempo ha aderito a numerose Convenzioni internazionali inmateria e può contare su una giurisprudenza delle Supreme Corti

6.

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68 Cfr. supra, § 7.69 Corte App. Milano, 15 febbraio 2000, in Dir. eccles., 2000, II, 378.70 Trib. Torino, 10 marzo 2000, in Stato civ. it., 2000, 587.71 Cons. Stato, sez. I, 14 novembre 2001, n. 977, in Cons. Stato, 2002, I, 970.

ormai come abbiamo visto abbastanza consolidata 68.Muovendo dalla considerazione del nome come profilo inviolabile

dell’identità individuale, è stato così possibile estendere il medesimoschema a situazioni analoghe. Così, secondo la Corte di appello di Mi-lano il «cognome completo» si traduce e si converte nell’esercizio delcollaterale diritto all’identità personale «siccome primaria espressio-ne di quei diritti della personalità che la Costituzione ha riconosciu-to 69». Inoltre, sempre in base al principio di integrità del cognome ilTribunale di Torino ha affermato l’illegittimità della rettificazione del-l’atto di nascita che sia stato formato in forza della legge straniera, dital che se l’atto riporta il doppio cognome paterno e materno, anchequando la persona acquista la cittadinanza italiana e l’atto di nascitaviene quindi trascritto in Italia, non è possibile togliere il cognomematerno aggiunto all’estero a quello paterno 70.

A quest’ultimo proposito, ricordiamo in ultimo la pendenza delsupplemento d’istruttoria disposta nel 2001 dall’adunanza della sez. Idel Consiglio di Stato al fine di valutare la compatibilità con l’ordina-mento comunitario dell’art. 98, comma 2, d.P.R. 3 novembre 2000 n.396, che impone all’ufficiale di stato civile di correggere, all’atto dellaregistrazione, l’atto di nascita del figlio nato all’estero di cittadini ita-liani, quando il cognome imposto nell’atto non rispetti i criteri dellalegge italiana, ritenendo che questa disciplina non considera la rego-lamentazione vigente in particolare in Spagna 71.

9. La «cognomizzazione» dei predicati nobiliari

Da quanto rilevato, emerge l’eccezionalità della previsione dellaXIV disp. trans. fin. della Costituzione, che dispone, secondo una ten-denza diffusa nelle costituzioni del secondo dopoguerra, il discono-scimento dei titoli nobiliari come componenti del nome patronimico,al contempo prevedendo la «sopravvivenza» sul piano giuridico dei

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Il nome e la personalità umana 151

72 Cfr. C. DI FRISINGA, Trattato di diritto nobiliare italiano, Giuffrè, Milano, 1961,322 ss.

73 Cfr. Corte Cass., 13 giugno 1957, n. 2221, in Foro it., 1958, I, 234 e Corte Cass.,11 luglio 1960, n. 1874, in Foro it., 1960, I, 1476. V. inoltre A. PEZZANA, Sul valore del-la sentenza in materia nobiliare, in Rivista ar., 1963, 12 ss.

La sentenza della Corte cost. n. 101 dell’8 luglio 1967 è in Giur. cost., 1967, 1107-1110.

Dopo la pronuncia della Consulta, si vedano Corte Cass., 24 marzo 1969, n. 938 e 936,in Foro it., 1969, I, 833, e 834 ss.; e in Giur. it., 1970, I, 1, 963 (con nota di G. CANSACCHI).Più di recente è intervenuta ancora sulla questione Corte Cass., 7 marzo 1991, n. 2426, inDir. fam. pers., 1992, con note di C. SCHWARZENBERG, Titoli nobiliari e Costituzione, 149-157 e F. NATALI, I titoli nobiliari oggi: natura giuridica ed ambito di loro tutela, 978-983.

predicati dei titoli nobiliari legittimamente presenti prima della fati-dica data della «marcia su Roma» 72.

Nello stabilire se il comma 2 della XIV disp. trans., col disporre che«i predicati dei titoli nobiliari esistenti prima del 28 ottobre 1922 val-gono come parte del nome», si riferisse solo ai titoli che già avesseroottenuto il riconoscimento nelle forme e nei modi previsti dall’ordina-mento nobiliare ovvero anche a quelli che comunque fossero oggettodi un diritto risalente ad epoca anteriore a quella data, la Corte Costi-tuzionale, smentendo la prevalente dottrina e giurisprudenza (che ri-teneva che il giudice ordinario conservasse ampia competenza a ri-solvere le controversie relative all’accertamento dei presupposti di fat-to relativi a tale statuizione 73), nella sentenza n. 101 del 1967 propeseper la prima soluzione, escludendo che la lettera della norma costitu-zionale si riferisse ad un titolo non più vigente o, come ebbe modo didire, «non (più) appartenente al mondo giuridico».

Muovendo dalla considerazione che i titoli nobiliari non costituis-sero più il contenuto di un diritto e che non avessero conservato alcu-na rilevanza giuridica, la Corte trasse infatti la conclusione che le nor-me che in passato riconoscevano agli organi amministrativi e giudi-ziari la possibilità di dirimere controversie o di accertare la sussisten-za sui predetti titoli non fossero più vigenti e pertanto nemmeno ap-plicabili; e che il comma 2 della XIV disposizione dovesse dunque es-sere interpretato nel residuo senso che l’aggiunta al nome dei predi-cati anteriori al 28 ottobre 1922 non trovava più la sua fonte nel dirit-to al titolo (dal momento che non era più sussistente), ma nel già in-tervenuto riconoscimento (da parte generalmente della Consulta aral-

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152 Introduzione allo studio dell’identità individuale

dica) al momento in cui la norma era vigente (vale a dire prima del 28ottobre 1922).

Alla luce di quanto detto anche questa pronuncia può dunque esse-re considerata il frutto della ricerca di un equo compromesso tra esi-genze di ordine pubblicistico e di ordine latu sensu «identitario».

Il problema, poi, se «il nome» di cui parla la XIV disp. trans. sia ilnome proprio o ricomprenda anche il cognome può essere di facilesoluzione se si conviene nel ritenere legittima la c.d. «cognomizzazio-ne 74» con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista giuridico, a par-tire dall’automatica ereditabilità del «titolo» e dunque il mantenimen-to di generazione in generazione del fregio 75, nonché l’attributo di«inviolabilità».

Tuttavia è anche possibile ritenere che sia più consona allo spiri-to del disposto costituzionale l’opzione dell’irrilevanza del titolo no-biliare come cognome anagrafico, considerato che la norma pareandare in tutt’altra direzione rispetto al fine di garantire la «soprav-vivenza» giuridica del titolo, avendo semmai di mira l’obiettivo diassicurare, in via del tutto transitoria, il mantenimento di un profi-lo identitario non della famiglia ma della persona, per di più, alme-no in origine, legittimamente acquisito. Tanto più condivisibile ri-sulta poi essere tale conclusione laddove si sia d’accordo con il Con-siglio di Stato nel ritenere che «il cognome, nella sensibilità socialedell’attuale momento storico, non è più un effettivo elemento di con-notazione del «casato» ma serve, unitamente al nome e ad altri ap-pellativi, ad identificare un soggetto nel contesto sociale in cui egliopera 76».

74 In questo senso, R. TARCHI, Commento alla XIV disp. trans. fin. Cost., in Comm.Cost. Branca, Zanichelli, Bologna-Roma, 1995, 226; e S. BORDONALI, Nuove prospettivesulla cognomizzazione dei predicati nobiliari, in Foro it., 2000, I, 2372-2379.

75 Così ricordiamo che ancora di recente il Tribunale di Catania ha avuto modo diaffermare la riconducibilità del titolo nobiliare accertato alla disciplina relativa al tra-sferimento del cognome (Trib. Catania, 2 ottobre 1998, n. 3786, commentata da A.PEZZANA, Orientamenti nuovi in tema di cognome familiare, in Dir. eccl., 2000, 128-133).

76 Cons. Stato, sez. III, 2 giugno 1998, n. 134, in Cons. Stato, 1999, I, 1048. Inoltre,secondo il Tribunale di Catania, può essere cognomizzato il predicato nobiliare chesia divenuto nei secoli cognome d’uso della famiglia, a tutela del diritto del portatoread essere storicamente identificato come appartenente a quel nucleo familiare, e non

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Tuttavia la prassi è di diverso orientamento, considerato che il tito-lo nobiliare non solo è «cognomizzato», ma è anche ritenuto suscetti-bile di un’ampia tutela giuridica, analoga a quella del nome 77. Anzi, diquesto orientamento una manifestazione esasperata è rinvenibile nelcaso affrontato dalla Corte d’Appello di Messina 78 che, richiamando lesentenze della Corte Costituzionale n. 13 del 1994 e n. 297 del 1996,ha esteso il diritto alla conservazione del «nome» anche alle ipotesi di«illegittima» «cognomizzazione» del predicato nobiliare, in quantoeffettuata prima della pronuncia della Corte Costituzionale del 1967ed al di fuori dei «canoni» in quella sentenza stabiliti, ritenendo che ilpredicato, anche se solo «di fatto» e in conseguenza di un atto for-malmente illegittimo «cognomizzato», costituisca pur sempre, se dasempre usato e da tutti riconosciuto nei rapporti sociali, un segno di-stintivo dell’identità personale 79.

a tutela di un titolo nobiliare ormai irrilevante nell’ordinamento repubblicano (Trib.Catania, 2 ottobre 1998, cit., 2372, con nota di S. BORDONALI).

77 Il Pretore di Roma nel 1988 escluse la possibilità di riconoscere la sussisten-za della violazione di un diritto al proprio segno identificativo, dal momento che ilproprio titolo nobiliare ed i relativi predicati erano stati utilizzati «per scopi pret-tamente pubblicitari»: piuttosto, nella fattispecie in esame venivano in rilievo edovevano riconoscersi lesi «altri valori della personalità» tra cui l’«identità» mora-le del soggetto (Pret. Roma, ordinanza 21 giugno 1988, in Foro it., 1989, I, 1647-1649).

78 Corte App. Messina, 13 dicembre 1999, in Dir. fam. pers., 2000, I, 1058-1076 (connota di M. SCAFIDI) e in Giust. civ., 2000, I, 1127-1138 (con nota di P. MOROZZO DELLA

ROCCA, che critica la decisione di garantire al figlio la conservazione del predicato no-biliare illegittimamente usato e falsamente dichiarato dal padre, in quanto elementointegrativo della sua identità personale).

79 È appena il caso di rilevare che, oltre ai titoli nobiliari (limitatamente a quantodetto), il nostro ordinamento tutela tutti quei «titoli», costituenti il risultato di un per-corso di realizzazione personale, attribuiti o certificati dalla stessa autorità pubblica,a partire da quelli ottenuti superando prove concorsuali secondo quanto previsto dal-l’art. 97 Cost. o in seguito ad abilitazioni all’esercizio di determinate professioni, o, an-cora in seguito a varie forme di «elezione», nonché grazie alle onorificenze conferitedal Presidente della Repubblica (v. sul titolo di «eccellenza» E. RELLINI ROSSI, Il tratta-mento di «Eccellenza», in Temi, 1975, 177-183), secondo le norme di legge. Essi, al pa-ri di altri elementi, attribuiti o scelti, «compongono» l’identità individuale, «confluen-te» nell’«immagine sociale» della persona fisica.

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80 Si veda in proposito A. PIZZORUSSO, Stemma, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1083-1085 e C. MISTRUZZI DI FRISINGA, Trattato di Diritto Nobiliare Italiano, Vol. III, Giuffrè,Milano, 1961.

81 Così A. DE CUPIS, I diritti della personalità, cit., 169.82 Cfr. C. SCHWARZENBERG, Tutela dello stemma familiare e diritto all’identità perso-

nale (in Dir. fam. pers., 1985, II, 308), secondo cui: «Lo stemma, comunque, assicurasempre una funzione di individuazione (di rendere certo, quindi) di un gruppo e/o delsingolo appartenente a tale gruppo; conferma proprio l’esser il designato quel sogget-to e non altri; per l’identità che il simbolo assicura con il gruppo familiare, con la cor-porazione, con la nazione, ecc. esprime, in modo figurativo, l’esigenza del soggetto diapparire all’esterno come portatore di valori, familiari, politici, sociali, nei quali egli siriconosca. In altre parole, lo stemma assicura un’identità, non solo nella comune ac-cezione che di questa offre la dottrina giuridica, di risultato dei segni distintivi dellapersona, ma anche nella più ampia configurazione che di tale identità può ricavarsidal complesso delle esperienze passate, della condizione presente e, soprattutto, delleposizioni, delle aspirazioni e convinzioni della famiglia cui l’individuo, raffiguratodallo stemma, appartiene».

83 Così U. BRECCIA, in Commentario all’art. 9 c.c., cit., 494-495.

10. Lo stemma familiare

Al pari del titolo nobiliare è problematica la configurazione del ri-lievo giuridico dello stemma familiare 80, cioè, notoriamente, il princi-pale segno figurativo della persona, «[costituente] un abituale mezzodi riferimento e richiamo alla persona stessa 81», in quanto idoneo aidentificare l’individuo come appartenente ad una determinata fami-glia 82.

Quella parte della dottrina che considera la rilevanza giuridicadello stemma come inscindibilmente legata a quella del titolo nobi-liare, ritiene che l’abolizione da parte della XIV disp. trans. cost. deititoli nobiliari avrebbe travolto in identico destino anche gli stemmi.A conforto di questa tesi viene richiamata l’abrogazione del comma2 dell’art. 6, R.D. n. 652 del 1943 ad opera della stessa XIV disp.trans. cost., per cui oggi non è possibile usare come marchio unostemma non concesso o riconosciuto prima del 28 ottobre 1922 83.Nel senso cioè, che anche l’esibizione, a fini commerciali, di un pre-sunto stemma deve rispondere agli stessi criteri che la XIV disp.trans. fin. esige per il legittimo e perdurante utilizzo del titolo nobi-liare.

A ciò si controbatte, forti del dato «fattuale», che le questioni in

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Il nome e la personalità umana 155

84 Così G. CANSACCHI, Lo stemma araldico come marchio di fabbrica, in Riv. Ar.,1962, 89 ss.

85 In questi casi vengono applicate per analogia le norme previste dalla legge suimarchi «costituiti da nomi» precedentemente esaminate (cfr. supra, § 4); e la partico-larità è data dalla (peraltro del tutto eventuale) possibilità dell’Ufficio Araldico di op-porsi alla registrazione, sia nel caso in cui il suo parere venga richiesto dall’UfficioBrevetti, sia nel caso in cui agisca di propria iniziativa, subordinando al consenso de-gli aventi diritto allo stemma richiesto la concessione del brevetto.

86 A. PIZZORUSSO, Stemma, cit., 1085.

materia di stemmi conservano attualità e che addirittura può riscon-trarsi, a dispetto della previsione costituzionale, l’ultrattività dellaConsulta Araldica o, meglio, del solo Ufficio Araldico operante pressola Presidenza del Consiglio 84, al quale dovrebbe rivolgersi l’UfficioBrevetti in sede di registrazione di un marchio riproducente unostemma 85.

Altra parte della dottrina ancora, ritiene che essendo venuta menola norma di rinvio che precedentemente collegava, almeno sotto alcu-ni profili, gli ordinamenti cavallereschi all’ordinamento dello Statoitaliano, il diritto allo stemma sarebbe ora tutelato nei limiti in cui so-no tutelati in via generale i diritti della personalità 86: per lo stemmasarebbero così apprestate le tutele del nome-segno distintivo dei nomidi persona registrati come marchi e del nome-diritto della personalitàin quanto «simbolo della persona».

Ora, vero è che «lo stemma» parrebbe godere di una tutela analogaa quella apprestata nei confronti del nome: così, sono esperibili a suatutela le azioni di reclamo e di usurpazione (poiché altrimenti, con leconfusioni che si produrrebbero, lo stemma stesso non assolverebbepiù la sua funzione identificativa); la vittima dell’usurpazione puòinoltre domandare alla tutela inibitoria, il risarcimento del danno e lapubblicazione della sentenza su uno o più giornali quale forma di re-stitutio in integrum, in analogia con quanto previsto dal Codice civilein tema di tutela del nome.

Tuttavia è possibile constatare che mentre la protezione dello stem-ma si avvera limitatamente alle ipotesi in cui il suo uso indebito pos-sa cagionare un danno, perché idoneo a realizzare un reato (come peresempio nel caso di diffamazione), od un illecito civile (come peresempio nei casi di cui all’art. 2043 ss. c.c.), al contrario relativamen-

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156 Introduzione allo studio dell’identità individuale

87 Corte Cass., sez. I, 13 luglio 1971, n. 2242, in Foro it., 1972, I, 442. Cfr. A. PEZ-ZANA, Il diritto allo stemma come diritto della personalità e la Costituzione repubblicana,in Riv. giur. umbro-abruzzese, 1956, 511 ss. V. inoltre, infra, § 13.

te al nome per attivare l’inibitoria (a differenza dell’azione risarcitoriache invece richiede la sussistenza di tutti i requisiti soggettivi ed og-gettivi dell’illecito) è sufficiente la dimostrazione ad opera della parteattrice o dell’uso illegittimo del proprio nome o della possibilità cheda ciò gli derivi pregiudizio (evento che può dunque essere del tuttoipotetico, secondo parte della dottrina anche semplicemente di ordinemorale).

È stato proprio su questa base che la Corte di Cassazione pur ac-consentendo «alla tesi della configurazione dello stemma come segnodistintivo della personalità», ha tuttavia provveduto a precisare che«trattasi di un segno secondario», in quanto «non riceve una tutela innorme che ad esso appositamente si riferiscano […] 87».

11. Il diritto d’autore

Il carattere complesso «multilivello» di nome ed immagine emer-gono visibilmente della fisionomia del diritto d’autore, a partire dal-la stessa controversa questione circa la sua natura, essendo configu-rato da alcuni come diritto unico della personalità e da altri, invece,quale diritto avente duplice natura: patrimoniale per quel che attieneai poteri di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno e moraleper quel che concerne i poteri diretti a tutelare la personalità dell’au-tore.

La legge sul diritto d’autore si porrebbe cioè tra quei testi normati-vi «storicamente» più vicini alle discipline attuali che prevedono for-me di tutela «multilivello» della persona a seconda dell’aspetto che divolta in volta viene in rilievo, tentando di compiere, già al loro inter-no, la difficile opera di bilanciamento tra situazioni giuridiche di paririlievo. Sicché, in definitiva, non di «diritto d’autore» si dovrebbe par-lare, ma di «diritti dell’autore», secondo lo schema «multilivello» deldiritto all’identità dell’individuo.

Specificamente, la legge sul diritto d’autore conferisce al suo tito-lare tutta una serie di diritti a protezione oltre che della «sfera patri-

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moniale» anche di valori che si reputano inerenti alla persona del-l’autore in quanto tale: tra questi, in particolare, il diritto alla «pa-ternità intellettuale», il diritto di apportare modifiche, il diritto di ri-tirare l’opera dal commercio, il diritto di pubblicazione e di inedi-to 88.

In sintesi, il diritto alla «paternità intellettuale» si sostanzia nei po-teri che gli artt. 20 e 21 legge dir. aut. indicano: potere dell’autore di ri-vendicare la paternità dell’opera e di difenderla contro deformazioni,mutilazioni o altre modificazioni; potere dell’autore di restare anoni-mo o più in generale di identificarsi con quei segni che ritiene di pre-ferire; ancora, potere dell’autore di rivelarsi se prima aveva scelto direstare anonimo. Evidente è l’esigenza che con l’attribuzione di talipoteri si intende tutelare: l’interesse sociale, ma soprattutto indivi-duale dell’autore come tale ad essere e restare nel contesto umano esociale ove vive e svolge la sua personalità, per quel che è, quale crea-tore di un’opera.

L’art. 18 legge dir. aut. attribuisce inoltre all’autore il diritto esclu-sivo di introdurre nell’opera qualsiasi modificazione: un diritto che,per quanto collocato nell’ambito della normativa a protezione dell’uti-lizzazione economica del prodotto, ha natura personale, riflettendo,infatti, l’esigenza «morale» dell’autore a che la sua opera e i valori cheessa esprime corrispondano alle sue convinzioni culturali e ideologi-che, come pure al suo modo di sentire e interpretare l’esperienza uma-na che ha inteso tradurre e comunicare agli altri. Il carattere persona-le di tale diritto è inoltre confermato dai connotati propri di esso, os-sia della sua esclusività, intrasmissibilità e irrinunciabilità, nonchédall’art. 129 legge dir. aut. il quale, anche in presenza di un diverso im-pegno derivante dal contratto di edizione, autorizza l’autore ad intro-durre nell’opera tutte le modifiche che crede, purché non ne alterinoil carattere e la destinazione, fino a che l’opera non sia stata pubblica-ta per la stampa (salvo sopportare le maggiori spese derivanti dallamodificazione) 89.

88 Per quanto riguarda invece «i limiti» del diritto d’autore cfr. M. FABIANI, La tuteladella riservatezza e dell’identità personale e il diritto di autore, in Dir. aut., 1982, 257-263.

89 Il Tribunale di Roma ha affermato la non violazione del diritto all’identità per-sonale di un direttore artistico che lamentava la lesione di tale diritto perché le inter-ruzioni pubblicitarie televisive introdotte nella pellicola avrebbero stravolto agli oc-

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chi degli spettatori la fruibilità del messaggio artistico insito nella pellicola «sì da de-gradarla a mero contenitore degli “spòts” pubblicitari diffusi»: il giudice infatti ha ne-gato la sussistenza di un legame diretto tra fatto e lesione dell’«immagine sociale» delsoggetto (Trib. Roma, 10 novembre 1992, in Dir. inform. inf., 1993, 395-402 con notadi B. MIOLI). Più di recente è intervenuta la Corte di Cassazione escludendo l’automa-tismo della lesione del diritto morale dell’autore di musica colta per inclusione di es-sa in uno spot pubblicitario e, al contrario, la possibile lesione del «diritto alla iden-tità personale» dei discendenti dell’autore (Corte Cass., 2 giugno 1998, n. 5388, inGiust. civ., 1998, II, 2152-2157, con nota di F. RAMPONE).

90 Per un caso in cui non è stata configurata alcuna violazione del diritto all’iden-tità personale, in quanto la produzione e la vendita dell’opera erano state accertatecostituire esercizio di un contratto validamente concluso, si veda Trib. Milano, 4 ot-tobre 1996, in Aida, 1997, 797-802.

Gli artt. 142 e 143 legge dir. aut. attribuiscono poi all’autore, inpresenza di «gravi ragioni morali», il diritto di ritirare l’opera dalcommercio: diritto inteso a tutelare l’autore nell’ipotesi in cui il suopensiero, le sue convinzioni, i suoi sentimenti abbiano subito unaprofonda trasformazione, tale che lo stesso non si riconosce più nel-l’opera precedentemente creata che cessa con ciò di costituire unaspetto o un’espressione della sua personalità e del suo patrimonioculturale.

L’autore ha infine il diritto di pubblicare o di non pubblicare l’ope-ra creata. Sia l’uno, sia l’altro diritto sono riconducibili all’art. 12 leg-ge dir. aut., che, con l’affermare che l’autore ha il diritto esclusivo dipubblicare l’opera riconoscerebbe altresì «in negativo» il diritto diinedito 90.

Come accennavamo in precedenza, alla base di questi diritti vi sa-rebbe l’interesse dell’autore a giudicare liberamente non solo se farconoscere al pubblico sé e la sua opera, ma anche di intervenire sul“se” e sulle modalità di diffusione della creazione stessa. In vista diciò, essi tutelano l’autore contro le ingerenze e/o le intromissioni,usurpazioni, alterazioni anche materiali, altrui, dirette a rendere pub-blica un’opera senza (o al di là, o malgrado) la volontà del suo autore.

Dimostrativa sul punto risulta essere la pronuncia con cui il Tri-bunale di Milano ha chiarito che la protezione accordata dall’art. 81della legge sul diritto d’autore si estende non solo a salvaguardia deibeni dell’onore e della reputazione strettamente intesi, bensì anchedel bene dell‘identità personale intesa come complesso di elementiintellettuali, culturali, sociali, artistici, che valgono ad individuare

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l’immagine pubblica del soggetto protetto, e segnatamente quellaprofessionale 91. E sempre il Tribunale di Milano ha ritenuto lesivodel diritto all’identità personale la riproduzione, diffusione e com-mercializzazione dell’esecuzione vocale di un artista inserita in uncontesto sonoro (nella specie, si trattava della rimasterizzazione inchiave technodance) tale da alterarne lo stile interpretativo ed il ge-nere musicale 92.

Conclusivamente, l’indagine, sia pure succintamente svolta, con-sente di rilevare come i diritti (o, se si vuole, i poteri) che la legge n.633 del 1941 attribuisce all’autore siano volti immediatamente ed es-senzialmente a garantire la corrispondenza tra personalità dell’autoree opera dell’ingegno da egli stesso forgiata. In altri termini ancora, ta-li diritti e poteri tutelano, anche se sia pure in modi diversi e con dif-ferenti modalità, l’esigenza dell’autore ad essere e ad essere ricono-sciuto nell’ambiente sociale in cui vive non solo quale autore dell’ope-ra creata ma anche per i valori in cui lo stesso crede e che ha comuni-cato agli altri 93. Su questa base, autorevole dottrina da tempo ha scor-to nel diritto alla «paternità dell’opera 94» un’«epifania» dell’esistenza

91 Trib. Milano, 4 ottobre 1996, in Aida, 1997, 797.92 Trib. Milano, 18 luglio 1994, in Foro it., 1996, I, 1879-1881; in Aida, 1994,

606-609. A margine della sentenza fu sottolineata l’inadeguatezza della legge suldiritto d’autore e sui diritti connessi per quanto attiene alla tutela del diritto mo-rale in quanto limitata ai soli profili dell’onore e reputazione (cfr. anche F. MACIO-CE, Diritto morale d’autore e diritto all’identità personale, in Riv. dir. ind., 1983, I,456-495).

Sugli elementi di distinzione tra diritto all’identità personale e diritto d’autore,Trib. Milano, 5 maggio 1994, in Dir. ind., 1995, 289 (con nota di ROSSOTTO) e in Aida,1994, 585-588.

93 L’esempio più noto è la cosiddetta «clausola di coscienza» del rapporto di lavo-ro giornalistico, in base alla quale «nel caso di sostanziale cambiamento nell’indiriz-zo politico del giornale» è consentito al dipendente di dimettersi senza preavviso econ il diritto all’indennità generalmente stabilita per il caso di licenziamento (artt. 27del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dei giornalisti professionisti 2001-2005).

94 T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Giuffrè, Milano,1957, 217 ss. L’autore partendo dalle disposizioni della legge sul diritto d’autore e del-la legge sui brevetti elaborò un diritto generale alla paternità dei propri atti che il sog-getto può far valere per opporsi a che gli venga falsamente attribuito o venga disco-nosciuto un atto che è rilevante nella valutazione sociale della persona. Si veda in pro-posito anche M. ARE, Interesse alla qualificazione e tutela della personalità, in Riv. dir.comm., 1965, I, 117 ss.

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di un «diritto d’identità personale» in senso sociale, su cui ritornere-mo nella parte finale della trattazione.

12. Il nome prescelto: lo pseudonimo

Nell’ambito di una discussione concernente l’identificazione me-diante un’identità attribuita, occorre affrontare ora, per tentare anchedi dare una risposta al quesito formulato all’inizio, il problema dellopseudonimo, cioè della tecnica d’identificazione di un soggetto nonsulla base dei dati anagrafici attribuiti già illustrati, ma in virtù di unascelta autonoma del soggetto interessato che non trova alcun limite senon quello dell’usurpazione del nome altrui, e che viene comunemen-te ricondotto nel novero delle «forme di designazione convenzionali»dell’individuo, «contrapposte a quelle legali 95».

Sebbene tale fenomeno comprenda l’uso generale di segni distinti-vi c.d. «secondari» rispetto a quelli anagrafici 96, pur tuttavia presentaanalogo rilievo giuridico, considerata non solo la pari forza identifica-trice che possiede, ma anche il fatto che di esso si occupa l’art. 9 c.c.accordandogli, a certe condizioni, la medesima tutela del nome. Tal-volta, poi, anche nel rapporto con i pubblici poteri, dove emergonoquegli interessi di «impronta superiore» legati alla necessità di prontaidentificazione di cui abbiamo in precedenza parlato 97, l’uso della de-signazione diversa da quella anagrafica è permessa: così, per esempio,in Trentino Alto-Adige, in occasione delle ultime elezioni amministra-tive è stata prevista la possibilità per i candidati di essere indicati conil soprannome o il nome volgare, purché chiaramente identificabili 98.

Circa l’origine dello pseudonimo, a parte la considerazione per cui imotivi che possono indurre la persona a scegliersi ed a far uso di un no-me diverso da quello legale possono essere i più vari e disparati 99, si è

95 G. PIAZZA, Pseudonimo, in Enc. dir., XXXVII, Giuffrè, Milano, 1988, 894; cfr.supra, Cap. III, sez. II, § 11.

96 Cfr. infra, § 13.97 Cfr. supra, Cap. III, sez. II, § 7.98 http://www.regione.taa.it/giunta/elezioni/comunali/istruz_sez_it.pdf.99 G. PIAZZA, Pseudonimo, cit., 893.

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100 G. PIAZZA, Pseudonimo, cit., 894.101 Cfr. supra, Cap. II, § 8; e Cap. III, sez. II, § 11.

soliti fare riferimento all’ambiente teatrale, dove ancor oggi si riconoscel’attore con il suo nome d’arte più che con quello anagrafico. Così comesi rileva che la scelta di un nome diverso dal proprio deriva in generedalla convinzione della maggiore incisività del nome di fantasia neiconfronti del destinatario dell’attività o, per altro verso, dalla preoccu-pazione di non esporre al rischio di compromettere il nome di famiglia.

Ciò detto, se l’ambiente nel quale lo pseudonimo svolge la sua fun-zione può essere normalmente circoscritto ad una cerchia determinatadi persone, non possono escludersi situazioni in cui di fatto esso finisceper avere una risonanza ed una «dimensione sovranazionale» (qualco-sa di simile a ciò che accade nell’ambiente «virtuale» a motivo della suaaterritorialità e internazionalità).

Ad ogni modo, sebbene si possa convenire nel ritenere che lo pseu-donimo assuma rilievo sin dal suo primo uso nell’attività di relazionesociale 100, tuttavia, ai sensi della legge civile, per ricevere protezione,lo pseudonimo deve acquistare l’importanza del nome: dev’essere cioèidoneo a designare in modo inequivocabile la persona che lo porta.

La sua scelta e il suo uso costituiscono infatti espressione della li-bertà riconosciuta al privato, di forgiare a suo piacimento i propri se-gni «nominali» di riconoscimento e distinzione (a patto che nei con-fronti della «persona statale» mantenga quelli di identificazione lega-le). Tuttavia spetta pur sempre all’ordinamento sindacare la meritevo-lezza dell’interesse da tutelare e quindi lo pseudonimo deve in qualchemodo dimostrare di «essere degno» di venire tutelato alla stregua delnome anagrafico.

Questa circostanza ha portato a ritenere che ciò che interessa so-prattutto al legislatore non sia tanto l’origine del nome, quanto piut-tosto la sua efficacia identificativa, non diversamente peraltro daquanto avviene per esempio, come dicevamo, per il testamento olo-grafo, la cui sottoscrizione è «valida quando designa con certezza lapersona del testatore», anche se «non è fatta indicando nome e co-gnome» (art. 602, comma 2) 101. Sul punto è possibile altresì ritenereche ciò che importa allo Stato-apparato è addivenire in qualche modoalla ricostruzione dell’identità giuridicamente rilevante del soggetto,

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102 Cfr. supra, Cap. III, sez. II, § 12.103 In tal senso G. PIAZZA, Pseudonimo, cit. Si veda anche A. CANDIAN (Anonimato,

in Enc. Dir., II, Giuffrè, Milano, 1958, 499-502) e A. De Sanctis Ricciardone, che rile-va che nel significato di recente acquisito in dottrina e in giurisprudenza dal dirittoall’identità personale lo pseudonimo potrebbe vedersi riconosciuta una valenza deltutto particolare, poiché si tratta dell’unico mezzo fornito di tutela civile specifica (adeterminate condizioni) con il quale un soggetto può autonomamente scegliere difarsi individuare dagli altri, nell’aspetto forse più rilevante della propria complessapersonalità (A. DE SANCTIS RICCIARDONE, Nome civile, cit., 9).

104 G. PIAZZA, Pseudonimo, cit., 895.

sia essa dimostrata attraverso documenti ufficiali piuttosto che attra-verso altri elementi «indiziari».

Discorso diverso va invece fatto sul piano dei rapporti sociali: inparticolare, sotto il profilo della tutela dell’identità personale in sensosociale (vale a dire come riconosciuta dagli altri consociati), è statonotato come lo pseudonimo fruisca di una posizione privilegiata, es-sendo fornito di una tutela civile specifica (alla sola condizione che sene faccia un uso idoneo, ai sensi dell’art. 9 c.c.).

Alla luce di siffatta pregnanza dell’uso dello pseudonimo, ci pareconclusivamente che ad esso non possa nemmeno negarsi la prote-zione indiretta fornita dall’art. 22 Cost., consentendo anzi per tale viadi portare a maggior concretezza l’idea di un vero e proprio diritto«positivo» alla scelta del nome, riconosciuto, si badi, su una disposi-zione specifica, da non ritenersi oscurato, per così dire, dalla preva-lenza dei meccanismi collegati all’attribuzione del nome anagrafico.

Di questo stesso fenomeno non si può peraltro ignorare, per cosìdire, l’altra faccia della medaglia, che in certa misura può suscitare glistessi problemi già esaminati allorché si è parlato del presunto dirittoall’anonimato 102, rappresentata dal rilievo della possibilità che l’eser-cizio di tale facoltà autodesignativa porti alla creazione di un simbolodi identificazione capace di occultare l’identità anagrafica del sogget-to 103. È stato infatti osservato in proposito, come l’«identità» possa ce-larsi sia attraverso l’«anonimo» sia utilizzando lo «pseudonimo», dicui è stata colta ed evidenziata la «variante funzionale» o la «doppiaanima»: «lo pseudonimo siccome volto a sostituire semplicemente ilsimbolo di identificazione legale della persona e lo pseudonimo sic-come volto ad occultare anche l’identità personale del soggetto 104».

Ora, mentre per una certa parte della dottrina si tratterebbe in en-

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105 G. PIAZZA, Pseudonimo, cit., 895.106 Così F. FERRARA, Nome d’arte e pseudonimo nella tutela del diritto d’autore, in

Riv. dir. comm., 1939, II, 159 ss. 107 Cfr. supra, Cap. III, sez. II, §§ 12 e 13.

trambi i casi di aspetti ugualmente tutelabili dall’art. 9 c.c. 105, altraparte, invece, pur convenendo sulla natura «bifronte» dello pseudoni-mo, ritiene che la tutela prevista dal codice sia applicabile solo allopseudonimo come segno identificativo, ma non allo pseudonimo comemaschera, perché se si tutelasse quest’ultimo si perverrebbe al para-dosso di tutelare un soggetto «camuffato», ed in quanto tale del tuttoanonimo e dunque ignoto 106.

Dovendosi da parte nostra condividere questa seconda posizione,non resta che rinviare a quanto a proposito già argomentato nelle pa-gine precedenti 107.

13. I segni distintivi della personalità «secondari»

Quanto da ultimo rilevato fornisce lo spunto per rilevare la possibi-lità, e forse l’opportunità, a fini di sistematicità, di distinguere tra «se-gni distintivi della personalità sovra-primari» (riconosciuti come «in-violabili»), «primari» e «secondari», a seconda che, rispettivamente,l’art. 2 Cost. si combini con norme contenute nel dettato costituziona-le (come visto nel caso del «nome»), rispetto ai quali è possibile l’attri-buzione dell’«inviolabilità», o con norme di legge (come nel caso dellopseudonimo) o viceversa con situazioni che non ricevono una tutela innorme che ad esse appositamente si riferiscano, se non in via analogi-ca (come per lo stemma familiare).

È a tutti noto, infatti, che insieme al nome varie altre connotazio-ni della persona concorrono a distinguere il soggetto e a simboliz-zarne l’«identità», a partire dal soprannome, vale a dire il segno di-stintivo che viene conferito alla persona nella sfera delle sue relazio-ni sociali, per lo più in ragione di una specifica qualità (fisica o mo-rale) che lo caratterizzano, il cui rilievo giuridico dipende innanzi-tutto dalla notorietà sociale del segno, che deve avere assunto un’ef-ficacia identificatrice, anche territorialmente limitata, ma non infe-

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108 Così U. BRECCIA, op. ult. cit., 492.109 Cfr. U. BRECCIA, op. ult. cit., 492 ss.

riore al nome anagrafico (c.d. criterio dell’importanza pari al nome);e secondariamente dalla dimostrazione dell’«attaccamento» dell’in-teressato (c.d. criterio dell’inerenza alla sua identità personale), con-siderato che, a differenza dello pseudonimo, la scelta e l’attribuzionedel soprannome viene compiuta da soggetti diversi dall’individuo«denominato» 108.

Oltre allo pseudonimo simboleggiano la persona anche i «vezzeg-giativi» e i «diminutivi», ossia quelle denominazioni che hanno la fun-zione oltre che di identificare anche di manifestare un’affettuosa sim-patia per la persona; ma poi anche «i nick» e gli appellativi che ci sim-boleggiano in determinati ambienti sociali e che tuttavia non assur-gono ad acquisire il medesimo rilievo del nome.

Come è stato opportunamente osservato da autorevole dottrina intutte le ipotesi diverse dal nome «anagrafico» (attribuito e immutabi-le) e più in generale da situazioni «conformate, si ha a che fare con se-gni distintivi rispetto ai quali varia è la disciplina delle fonti e vario èil possibile contenuto: può trattarsi di designazioni prescelte in gene-rale dalla persona e dalla medesima modificabili e sopprimibili; ovve-ro di designazioni, sempre prescelte dal soggetto, ma con i limiti e nelquadro di discipline di altri ordinamenti o con riguardo a settori spe-cifici dell’ordinamento statale (pseudonimo, nome religioso, nomecommerciale) 109. Può trattarsi ancora di designazioni attribuite in viadi fatto da altri soggetti e non contestate dall’interessato, il quale coltempo ne avverta l’inseparabilità dalla propria identità sociale (so-prannome). Infine, può trattarsi di semplici appellativi senza alcuna«pretesa» giuridica.

Tutti questi elementi sono accomunati dal fatto di costituire «segni»e «simboli», contenitori in diverso modo dell’identità individuale.

14. Tendenze evolutive: domain name e nome di persona

Nella società dell’informazione, l’informazione, manco a dirlo, rap-presenta uno dei beni di maggior pregio, in quanto capace di circola-

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re e per questo di essere visibile, conoscibile e riconoscibile così, co-me è stato osservato, da poter «esistere di più» 110.

Tra tutte le informazioni, poi, ce ne sono alcune che, se possibile,«valgono di più»: trattasi di nome ed immagine, che nell’ambiente te-lematico consentono al soggetto di «presentare» innanzi ad una pla-tea «mondiale» la propria identità virtuale: così, un numero sempremaggiore di persone commercializza la propria immagine o, comun-que, lega le sue fortune professionali al suo «buon nome» in Rete 111.

Per questo è possibile affermare che l’importanza del nome, cosìcome dello pseudonimo, come elemento evocativo dell’identità anchevirtuale, è aumentata di pari paso con il moltiplicarsi delle occasionidi contatto di relazioni interpersonali nel mondo virtuale, capillar-mente sparso ovunque sia presente un terminale di rete e dal progres-sivo volatilizzarsi e velocizzarsi dei medesimi rapporti, non più «ap-pesantiti» dall’ingombro del «biologico».

Per altro verso è facile immaginare come tutto ciò abbia acuito iproblemi tradizionali legati al «buon nome» perché l’errore di infor-mazione o la notizia che, veritiera o meno, discredita il singolo posso-no oggi più che mai creare situazioni di grave conflitto tra lo svolgi-mento della propria personalità e certe manifestazioni di libertà altrui.

Interessa qui piuttosto rilevare l’aumento, in questo stesso scena-rio, delle occasioni di usurpazione del proprio nome da parte altrui:eventualità alla quale ci eravamo in qualche modo abituati nel mondoreale ma che, come spesso accade, la natura stessa della Rete porta al-le estreme conseguenze.

Del resto, in materia di «usurpazione» di domain name cominciaad essere copiosa la giurisprudenza: vero è che, nella maggior partedei casi, tali violazioni vengono perpetrate ai danni di «nomi illustri»di persone giuridiche, tuttavia è possibile rintracciare anche alcunevicende in cui l’usurpazione è stata compiuta ai danni di persone fisi-che.

Ci limitiamo a ricordare il caso, del 1997, in cui il Tribunale di Na-poli, ritenne che la diffusione di un messaggio promozionale contrad-

110 Cfr. F. DI CIOMMO, Diritti della personalità tra media tradizionali e avvento di In-ternet, cit., 6 ss.

111 Cfr. per tutti P. PERLINGIERI, L’informazione come bene giuridico, in Rass. dir.civ., 1990, 347.

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distinto dalla sigla MCP allocato in un sito internet intitolato “MarioCirino Pomicino” fosse sicuramente atto di concorrenza sleale, inquanto idoneo – a maggior ragione, poi, se «la diffusione del messag-gio è realizzata attraverso un sistema telematico complesso e capillar-mente diffuso nel mondo quale è oggi internet» – ad ingenerare nellaclientela confusione sulla effettiva provenienza dei prodotti e sull’iden-tità personale dell’imprenditore 112.

L’orientamento volto ad estendere l’applicabilità delle norme chetutelano la proprietà industriale e le opere dell’ingegno anche alle uti-lizzazioni su internet è stato seguito, nel nostro ordinamento, anchesuccessivamente 113: in proposito citiamo da ultimo la vicenda affron-tata dal Tribunale di Torino che ha visto come protagonista una notashow-girl vistasi usurpare e utilizzare indebitamente il proprio nome«sotto forma di nome a dominio»: www.alessiamerz.it. Nel caso dispecie il giudice ha ravvisato l’uso non consentito di dati personalicon l’intento di trarne profitto, e ha individuato “il nocumento” oltreche nella «lesione diretta del diritto al nome, del diritto alla protezio-ne dei dati personali» anche dall’impossibilità di registrare il nome edaltresì dallo sviamento dei fans.

Ciò constatato, il Tribunale ha pertanto condannato la società con-venuta alla definitiva cessazione dell’uso del nome della parte attriceattraverso il nome di dominio, riconoscendo altresì alla show-girl il di-ritto al risarcimento del danno non patrimoniale, si badi, «conse-guente al fatto costituente reato». Non ha invece accolto la domandadi pubblicazione della sentenza, dal momento che la sanzione nonavrebbe svolto «la funzione di ulteriore mezzo di rimozione del pre-giudizio subìto» 114.

Orbene, in questi casi è evidente il vantaggio economico che derivadall’impiego del «nome noto», come ha avuto modo di evidenziare, piùin generale, con estrema chiarezza il Tribunale di Salerno, che ha dedot-

112 Trib. Napoli, 8 agosto 1997, in Dir. inform. inf., 1997, 970-973.113 V. per esempio Pret. Vicenza, 6 luglio 1998, in Giur. it., 1998, 2342-2344 e Trib.

Genova, 18 dicembre 2000, in Dir. inform. inf., 2001, 521 (con nota di E. BASSOLI); peruna rassegna della giurisprudenza in materia, P. LONGHINI, Internet nella giurispru-denza, cit., 189 ss.

114 Trib. Torino, 13 gennaio-9 febbraio 2004, in Guida al diritto, 17, 2004 (con no-ta di A. SIROTTI GAUDENTI).

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to la violazione dei diritti del titolare del marchio dal fatto che compor-tava «l’immediato vantaggio di ricollegare la propria attività a quella deltitolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone inde-bito vantaggio 115».

Sempre in quest’ordine di idee si pone la decisione del Tribunale diRovereto, che ha affermato l’illiceità della condotta di chi inseriscanel codice sorgente del proprio sito internet, attraverso il quale pub-blicizza il proprio prodotto commerciale, parole chiave direttamenteriferibili alla persona «in modo da rendere maggiormente “visibile”sui motori di ricerca (quali Virgilio o Altavista) operanti in Rete ilproprio sito», sfruttando la «notorietà» altrui 116.

Certo, non nascondiamo il fatto che il problema dell’«usurpazionevirtuale» del nome altrui è aggravato dalla limitatezza (anzi, dall’uni-cità) delle risorse, visto e considerato che ad ogni estensione del do-main name può corrispondere al massimo un nome, sicché per forza dicose il primo che arriva (ovvero che si registra presso l’Autority all’uo-po preposta) prende il nome 117. Anche se ciò è vero sino ad un certopunto, visto e considerato che vige in materia, la regola posta dall’art.21 della legge sui marchi, che come abbiamo visto, dispone che i «no-

115 Trib. Salerno, 30 giugno 2000, in Giur. dir. ind., 2000, 1019. In particolare, laCorte d’Appello di Firenze ha chiarito, con sentenza 18 ottobre 1999, come il cuoredel marchio, attraverso il quale valutare possibili violazioni all’interno dei segni di-stintivi patronimici sia rappresentato dal cognome e non dal nome della persona fi-sica: nel caso di specie (Gucci Spa c. Marcello Gucci), il giudice ha negato che l’uti-lizzo della ditta «Marcello Gucci» per la commercializzazione di capi d’abbiglia-mento costituisse contraffazione del celebre marchio «Gucci», legittimamente regi-strato dalla Gucci Spa (si veda in proposito M. BUCCARELLA, Nomi a dominio e patro-nimici, cit., 111).

116 Trib. Rovereto, 2 febbraio 2001, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2001, 459 e inGiur. merito, 2001, 405.

117 Analogamente, dalla considerazione per cui la registrazione di un domain na-me identico al marchio altrui finisce per impedire al titolare di quest’ultimo di regi-strare, a propria volta, un nome di dominio uguale al proprio marchio, il Tribunaledi Parma ha concluso che l’interferenza tra domain name e marchio si verifica im-mediatamente, per effetto della sola registrazione ed a prescindere dall’uso e dai cri-teri di specialità e territorialità «in quanto attività in sé idonea ad impedire in mo-do assoluto al titolare del marchio di usarlo anche in Internet, come nuovo ed ulte-riore segno distintivo» (Trib. Parma, 26 febbraio 2001, in Riv. dir. ind., 2002, II,350).

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168 Introduzione allo studio dell’identità individuale

mi notori» possono essere registrati come marchio solo dall’avente di-ritto o con il consenso di questi 118.

Situazione in parte diversa, sebbene pervenendo a risultati analo-ghi (ordine di cessazione dell’utilizzo del domain name), sembra vige-re invece nell’ordinamento francese, dove i giudici sono orientati adapplicare le norme di diritto comune, considerando il nome come«droit de la personnalité» più che come «oggetto di proprietà». Così, suquesta base il giudice di Nanterre ha ritenuto illecita l’utilizzazionedei domain names «mauresmo.com» e «amelimauresmo.com» perchéimpiegati senza il consenso del noto campione di tennis, disponendoal contempo l’annullamento della registrazione del nome di domi-nio 119.

In altri casi, poi i giudici si sono spinti oltre ordinando l’immedia-to ritrasferimento della registrazione del domain name in capo al sog-getto titolare 120. Mentre è risultato comunque difficile riuscire a pro-vare l’esistenza di un qualche pregiudizio di ordine economico idoneoa fondare la richiesta di risarcimento.

15. Segue: il nick

È stato osservato che la stessa usurpazione del nome di fantasia, senel mondo fisico costituisce un’eccezione nel ciberspazio rappresentaun qualcosa non solo di estremamente più probabile, ma anche di dif-ficilmente ovviabile. Si pone cioè con maggiore problematicità la que-stione della configurabilità, prima ancora che della tutelabilità, dellopseudonimo utilizzato dal soggetto nella comunità virtuale: può, l’in-dividuo, pretendere la tutela del nick che suole abitualmente utilizza-re e con cui è generalmente riconosciuto in Rete nei forum, nelle chat-

118 Cfr. supra, Cap. IV, § 4. Ricordiamo che nel 2001 era stato approvato in Com-missione al Senato un disegno di legge sui nomi a dominio (c.d. ddl. Passigli, reperi-bile su http://www.interlex.it/nomiadom/testo.htm) che all’art. 2 disponeva il divieto diregistrazione di nomi a dominio corrispondenti, tra l’altro, a nomi identificanti per-sone fisiche.

119 TGI Nanterre, ord. réf. 13 marzo 2000, in Comm. com. électr., 2000, n. 63.120 TGI Nanterre, ord. réf. 29 giugno 2000, vertente sull’utilizzazione del domain

name www.legalis.net.

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Il nome e la personalità umana 169

room e nelle bacheche elettroniche che frequenta? In altri termini:può applicarsi in tale situazione per analogia l’art. 9 c.c.?

In linea di principio pare possibile constatare che «nome di domi-nio : nome = nick : pseudonimo»: tuttavia le perplessità sulla rispostaderivano non in linea teorica, ma dalla constatazione «pratica» dellacomplessità che la questione presenta sul piano tecnico-operativo, siaall’atto della dimostrazione del fatto che il nome ha «acquistato l’im-portanza del nome», sia, laddove mai si riuscisse in questa demon-stratio diabolica, al momento attuativo del proprio diritto.

A ciò occorre aggiungere poi la considerazione di altre problema-tiche relative alle peculiarità del mezzo, a partire dalla constatazioneche la possibilità per l’utente di frequentare varie communities vir-tuali e di utilizzare diversi nomi dovrebbe conseguentemente porta-re alla necessità di tutelare tutti i vari nickname e le identità di voltavolta ricoperte e che hanno assunto lo stesso rilievo del nome ana-grafico 121.

Per affrontare queste situazioni nient’affatto usuali, derivanti dallasostanziale dematerializzazione che caratterizza il mondo digitale, cisembra condivisibile l’idea della necessità di, se non rimeditare, quan-to rimodellare le categorie tradizionali di volta in volta «coinvolte», apartire dal concetto stesso di «riconoscimento» del soggetto che, se ef-fettuato «in Rete», non può che avvenire ad opera degli stessi membridella community virtuale 122. Su questa stessa base, del resto, sembrapoggiarsi l’esistenza di una delle più diffuse tecniche di «riconosci-mento» dei soggetti in Rete, e cioè il PGP (Pretty Good Privacy), chenon richiede alcun tipo di certificazione esterna dell’identità del sog-getto, ma solo quella proveniente ed attestata da chi nel corso del tem-po, sulla base dell’esperienza, ha modo di verificare tale corrispon-denza.

Non nascondiamo tuttavia la «debolezza» che le soluzioni tutte in-terne al mondo virtuale presentano al momento della violazione dellaregola: la stessa questione dell’occorrenza di «ri-aggiornare» l’ideastessa di sanzione pare scontrarsi con la difficoltà di costruire un qua-dro istituzionale vincolante in un contesto nel quale le forme tradi-

121 Cfr. supra, Cap. III, sez. II, § 12.122 In tal senso anche F. DI CIOMMO, Diritti della personalità tra media tradizionali e

avvento di Internet, cit., 3 ss.

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170 Introduzione allo studio dell’identità individuale

zionali di tutela sono rese particolarmente difficili dal fatto che le re-ti globalizzate sfuggono alle sovranità nazionali.

La proposta di valorizzare i meccanismi riducibili alla “regola” e al-la sanzione della comunità virtuale di volta in volta considerata fini-sce col mettere in discussione alcuni dei capisaldi, del diritto moder-no frutto di un percorso culturale che dura da secoli, a partire dalprincipio di certezza e di effettività del diritto e della pena, per giun-gere all’imparzialità del soggetto «giudicante» 123. Pur tuttavia ritenia-mo che questo rischio, se limitato allo specifico territorio virtuale,possa essere pienamente accettabile, vista e considerata «l’esiguitàdella pena», che non comprime la libertà personale «reale» individua-le, e la possibilità, in molti casi, per lo stesso soggetto di accedere nuo-vamente alla comunità virtuale assumendo una nuova identità.

Da altra prospettiva, la constatazione dell’impossibilità non solo ditradurre il carattere della prescrittività della norma giuridica ma piùin generale di riproporre l’elemento della coattività nel mondo virtua-le porta a rivalutare gli elementi di collegamento «virtuali» col mondofisico, a partire dal momento in cui il contenuto dell’azione sgorgadall’agire del soggetto, dalla fonte, essendo possibile solo in questa se-de coglierlo nella sua unitarietà, visto e considerato che successiva-mente detto contenuto è destinato a frammentarsi e propagarsi nel-l’etere virtuale.

123 Del resto, ai moderatori dei news group o delle chat line è dato modo di sanzio-nare, sebbene attraverso «sanzioni» sui generis, gli autori di violazioni delle regoledella comunità virtuale, negando loro, per esempio, la possibilità di continuare adutilizzare il servizio in questione o addivenendo all’espulsione del soggetto virtualedalla comunità cibernetica in cui l’illecito è avvenuto.

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1 Si è discusso del tema in occasione della Conferenza Internazionale Juridicialand psychosocial implication of human genetics, Roma 21-22 marzo 2002. Sul tema J.HABERMAS, L’avenir de la nature humaine, Gallimard, Paris, 2002; si vedano inoltre, tra

Capitolo V

L’identità individuale e il libero svolgimentodella personalità

SOMMARIO: 1. L’«identità genetica» e la tutela della salute. – 2. La conoscenza delleproprie origini. – 3. Segue: il quadro interno. – 4. La conoscenza del proprio de-stino. – 5. Diritto alla libertà psico-fisica, pieno sviluppo della persona e «iden-tità». – 6. Il diritto alla libertà sessuale. – 7. Il diritto all’identità sessuale. – 8. Ten-denze evolutive: la personalità individuale nella Rete.

«… quegli io, di cui noi siamo composti e che sono sovrapposti gli uni agli altri

come una pila di piatti in mano ad un cameriere, hanno i loro legami altrove,

le loro simpatie, le loro piccole leggi e i loro diritti …»

VIRGINIA WOOLF

1. L’«identità genetica» e la tutela della salute

L’assunta consapevolezza della possibilità di intervenire sul patri-monio genetico individuale «manipolandolo» ha aperto nuovi scenarifino a qualche tempo fa del tutto inimmaginabili: in particolare, lapercezione della plasmabilità dell’essere sino alle sue strutture più in-finitesimali, ha contribuito a mettere in crisi l’idea di matrice carte-siana della «corporeità» come strumento di conoscenza di se stessi edel mondo mentre, dal punto di vista strettamente giuridico, porta ariflettere sulle implicazioni che la manipolazione genetica potrebbeavere 1. In particolare, si discute della possibilità che possa venir me-

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172 Introduzione allo studio dell’identità individuale

gli altri, G. PALMERI-M.C. VENUTI, Il transessualismo tra autonomia privata ed indispo-nibilità del corpo, in Dir. fam. pers., 1999, 1331-1354; G. GAMBINO, Il corpo de-formatotra cultura diagnostica e «geneticizzazione» della medicina, in Med. e mor., 2001, 477-488.

2 Nel senso, cioè, sia della individuabilità in capo a singoli soggetti di un determi-nato aspetto fisico, sia della permanenza dello stesso patrimonio biologico (rifletten-tesi sull’aspetto estetico) nel corso di tutta la vita individuale.

3 Qualche anno fa suscitò parecchie critiche e perplessità la direttiva n. 98/44/CE del6 luglio 1998, del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla protezione giuridica delleinvenzioni biotecnologiche (reperibile all’indirizzo telematico http://europa.eu.int/eur-lex/pri/it/oj/dat/1998/l_213/l_21319980730it00130021.pdf), anche (e forse soprattut-to) da parte di chi riteneva che avrebbe potuto riguardare anche la persona umana.

4 Per uno studio «visant à clarifier le statut juridique de l’enfant à naître» A. BER-TRAND-MIRKOVIC, La notion de personne, cit., 151 ss.

5 In particolare, Sgreccia mette in evidenza gli approcci liberalradicale, pragmati-co-utilitarista, sociobiologico e personalista (V. SGRECCIA-V. MELE, Ingegneria geneticae biotecnologie nel futuro dell’uomo, Vita e pensiero, Milano, 1992, 119-129).

no quel rapporto stabile tra il soggetto e il suo corpo (in senso sia sin-cronico, sia diacronico 2), su cui si basano i vari sistemi d’identifica-zione ed autenticazione personale e con esso il fondamentale dirittoalla «propria unicità».

Fa invece già parte di una realtà più tangibile la possibilità d’in-terventi manipolativi del patrimonio genetico prima della nascita edin alcuni casi anche del concepimento 3. Si tratta di un tema che, purnon direttamente toccato dal nostro studio, interessa qui almeno nelsenso che il riconoscimento di un diritto all’identità genetica (che in-vero pare piuttosto assumere i contorni dell’impegno normativa-mente previsto al rispetto dell’intangibilità del patrimonio geneticodi determinate entità che non paiono essere ancora soggetti di dirit-to a tutti gli effetti 4) garantirebbe l’«originalità» dell’integrità delproprio patrimonio genetico, che costituisce una delle condizionidel pieno e libero sviluppo della persona umana (che altrimenti ver-rebbe per certi aspetti «eterodeterminato» da altri), mantenendo al-tresì intatto il presupposto di un’opportuna differenziazione indivi-duale.

In materia nel corso del tempo è venuta evidenziandosi una plura-lità di approcci 5, tra cui solo quello c.d. personalista sembra il piùaderente ai principi della nostra Carta fondamentale, in base al qualela persona umana non esaurisce la sua essenza nella struttura fisica,

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 173

6 La «vita» come “diritto inviolabile” e “bene supremo”, è emerso nella giurispru-denza della Corte Costituzionale nella sentenza n. 54 del 1979, laddove la Corte sipreoccupò di assicurare «la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo» considerando «ta-le […] appunto il diritto alla vita, specificamente protetto – in sede penale – dall’art.27, comma 4» a tutti gli uomini, anche agli stranieri pure appartenenti a Stati diversie nella sentenza n. 132 del 1985, in cui la Corte ha definito «la vita» come «bene su-premo» attraverso il combinato disposto dell’art. 2 e di un altro disposto che la Corteomette di richiamare ma che secondo F. Modugno sarebbe identificabile nell’art. 13Cost. Più di recente la Corte ha considerato il diritto alla vita come «il più elementa-re dei diritti inviolabili» (ordinanza n. 514 del 2002).

7 F. MODUGNO, I nuovi diritti, cit., 16.8 Ricordiamo in proposito che lo scorso 29 aprile la quarta sezione della Corte Eu-

ropea dei Diritti dell’Uomo, nel caso Pretty v. The United Kingdom (n. 2346/02), ha ne-gato a una cittadina inglese affetta da una gravissima patologia che le avrebbe con-sentito di vivere ancora per poche settimane l’impunità chiesta per il marito al fine difarsi assistere per porre termine ai suoi giorni secondo la Corte, infatti, «article 2 can-not, without a distortion of language, be interpreted as conferring the diametrically op-posite right, namely a right to die, nor can it create a right to self-determination in thesense of conferring on an individual the entitlement to choose death rather than life».

perché essa è anche un «progetto di vita», che anima e realizza l’orga-nismo fisico, protetta dalla sfera di inviolabilità di cui all’art. 2 Cost.

Ciò nondimeno, si ammette che la sfera fisica abbia una sua inne-gabile peculiarità, perché l’“autenticità” di tale componente costitui-sce la premessa essenziale dell’integrità della complessiva persona,fungendo per così dire da «contenitore» o da «involucro» alla parte«interna» di questa. Di qui la centralità del principio dell’inviolabilità,sotto ogni possibile profilo, del «corpus», implicante, sotto il più par-ticolare aspetto dell’integrità fisica (ivi compresa l’integrità genetica),che ogni intervento manipolativo possa essere compiuto soltanto inun calibrato bilanciamento con la tutela costituzionale della vita, «be-ne supremo 6» e «precondizione necessaria di qualsiasi diritto 7» (co-me è desumibile dagli artt. 2, 3, 13, 27 e 32 Cost., nonché dall’art. 2CEDU 8 e, oggi, dall’art. 2 della Carta dei diritti fondamentali del-l’Unione Europea) e della salute (art. 32 Cost. e oggi artt. 35 e 36 del-la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), inteso nell’ac-cezione di «valore […] che, protetto dalla Costituzione come fonda-mentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (art. 32), èstato costantemente riconosciuto come primario da questa Corte siaper la sua inerenza alla persona umana sia per la sua valenza di dirit-

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174 Introduzione allo studio dell’identità individuale

9 Così Corte Cost. 31 gennaio 1991, in Giur. cost., 1991, 248.10 Secondo l’Encyclopedia of Bioethics il termine «bioetica» curato da Clouser

D.K. indica «lo studio sistematico della condotta umana nell’ambito delle scienzedella vita e della cura della salute, quando tale condotta è esaminata alla luce dei va-lori e principi morali; cfr. G. BARBAGALLO, Diritto debole, bioetica e genoma umano, inTestimonianze, (412), 2000, 55. La sentenza del 19 e 20 agosto 1947, emanata dal tri-bunale internazionale di Norimberga nel processo contro i criminali di guerra nazi-sti è considerata l’atto di nascita della bioetica. All’epoca si trattò di giudicare i me-dici e i ricercatori nazisti, i quali avevano utilizzato come cavie per i loro esperi-menti, uomini e donne deportati e internati. Da allora in poi l’esigenza del consensoinformato di chiunque sia sottoposto ad una ricerca, prescritto solennemente dalTribunale di Norimberga, è rimasto uno dei principi cardine della bioetica.

11 Per un primo approccio alle diverse tecniche di conformazione dei diritti dellapersona e sulle implicazioni in sede interpretativa e applicativa, G. ROLLA, El difícilequilibrio entre el derecho a la información y la tutela de la dignidad y la vida privada.Breves consideraciones a la luz de la experiencia italiana, in Questiones Constituciona-les, 7, 2002, 145 ss.

to sociale, caratterizzante la forma di stato sociale disegnata dalla Co-stituzione (v. spec., tra le tante, le sentenze nn. 455 del 1990 e 177 del1986 9)».

Dinnanzi a situazioni di questo tipo, in cui si rende necessario ope-rare una scelta sacrificando una situazione di pari rilievo assiologicoe giuridico, talvolta si chiama in campo la «bioetica» e più in genera-le l’«etica»: la «scienza delle scelte», operando altresì il richiamo dellegislatore in forza del ruolo che istituzionalmente gli compete di ope-rare la ponderazione e bilanciamento tra valori di pari rilievo assiolo-gico 10.

“Mediazione” che, peraltro, la Corte Costituzionale nel corso deltempo, ha cercato con saggezza e prudenza di orientare in direzionedella sua conformità al dettato costituzionale 11. Si è soliti citare, sulpunto, la nota sentenza n. 27 del 1975, che peraltro presenta stretta at-tinenza alla materia di cui ci stiamo occupando, in cui il giudice delleleggi precisò che l’esenzione da ogni pena di chi aveva procuratol’aborto e della donna che vi aveva consentito non escludeva affatto,de jure condito, che l’intervento dovesse essere operato in modo chefosse salvata «quando ciò sia possibile», la vita del feto, pur tuttaviafacendo obbligo al legislatore di predisporre le cautele necessarie perimpedire che l’aborto venisse procurato «senza serii accertamenti sul-la realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla ma-

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 175

12 Corte Cost., 18 febbraio 1975, n. 27, in Giur cost., 1975, 117-126. La legge 22maggio 1978, n. 194 all’art. 6 avrebbe disposto di lì a breve che l’interruzione volon-taria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, sarebbe potuta essere praticataquando la gravidanza o il parto avessero comportato un grave pericolo per la vita del-la donna; o quando fossero stati accertati processi patologici, tra cui quelli relativi arilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, idonei a determinare un grave pe-ricolo per la salute fisica o psichica della donna.

13 Corte Cost., 23 giugno 1994, n. 258, in Giur. cost., 1994, 2097-2104. Sugli «attidi disposizione del proprio corpo», cfr. per tutti R. ROMBOLI, Commento all’art. 5 c.c.,in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, cit., 225 ss.

14 Su cui, da ultimo, G. FERRANDO, La nuova legge in materia di procreazione medi-calmente assistita: perplessità e critiche, in Corr. giur., 810-816.

15 Cfr. anche Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignitàdell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina(Oviedo, 4 aprile 1997, ratificata con legge 28 marzo 2001, n. 145), art. 13.

16 Il Parlamento Europeo ha emanato fin dall’inizio degli anni Novanta una seriedi Risoluzioni sulla clonazione degli esseri umani: citiamo la Risoluzione del 28 otto-bre 1993 (GUCE n. 315 del 22 novembre 1993); la Risoluzione del Parlamento euro-peo sulla clonazione (GUCE n. 115 del 14 aprile 1997); la Risoluzione del Parlamento

dre dal proseguire della gestazione» 12. E poi la parimenti nota (e piùrecente) sentenza n. 258 del 1994 (da ultimo richiamata anche dall’or-dinanza n. 262 del 2004) in cui, in riferimento al problema più gene-rale dei limiti dei trattamenti sanitari obbligatori, pur auspicando l’in-tervento del legislatore «cui la Corte Costituzionale non potrebbe so-stituirsi» il giudice delle leggi affermò al contempo che il corretto bi-lanciamento fra la tutela della salute del singolo e la tutela della salu-te collettiva avrebbe reso necessario individuare con la maggior pre-cisione possibile le complicanze potenzialmente derivabili dalla vac-cinazione e gli strumenti per prevederne la concreta verificabilità 13.

Del resto, su questa falsariga, al di là degli ulteriori possibili aspetticritici 14, sembra tutto sommato orientata la disciplina nazionale relati-va alla tutela dell’embrione, dato che l’art. 13, comma 2, della legge n. 40del 2004, consente, sia pure come extrema ratio ed in modo tassativo, laricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano a condizioneche si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostichevolte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso 15.

Queste regole riflettono peraltro grosso modo quelle già da tempoespresse in sede internazionale nell’ambito sia del Consiglio d’Euro-pa, sia dell’Unione Europea 16. Qui ci limitiamo a ricordare che risale

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176 Introduzione allo studio dell’identità individuale

europeo sulla clonazione di esseri umani (GUCE n. 34 del 2 febbraio 1998); la Riso-luzione del Parlamento europeo sulla clonazione umana approvata il 7 settembre2000.

17 Per una disamina della materia e delle principali implicazioni giuridiche rin-viamo a G. BALDINI-G. CASSANO, Persona, biotecnologie e procreazione, Ipsoa, Milano,2002; Ricco di materiale sul tema è inoltre il sito www.bioetica-vssp.it/cgi-bin/etica.cgi.

addirittura al 1982 la prima delle numerose raccomandazioni chel’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ha dedicato alla de-licata materia dell’impiego delle nuove biotecnologie, affermando l’in-tangibilità del patrimonio genetico della singola persona e ammetten-do la liceità degli interventi su di esso solo per la cura di malattie ge-netiche 17.

Successivamente, con la Raccomandazione n. 1100 del 1989 è sta-ta ammessa la ricerca in vitro sugli embrioni vivi ma sempre a condi-zione che si tratti di ricerche applicate di carattere diagnostico o ef-fettuate a fini di prevenzione e terapia, e che non si intervenga sul lo-ro patrimonio genetico non patologico, laddove anche questo stessotipo di ricerca conserva la sua liceità a patto che siano rispettate la vi-ta e l’identità dell’embrione.

Anche a livello comunitario, è stata in più occasioni (esemplar-mente con la Risoluzione sulla fecondazione in vitro e sui problemietici e giuridici della manipolazione genetica approvate il 16 marzo1989 dal Parlamento Europeo) ribadita l’esigenza di tutela del «dirit-to all’identità genetica», ammettendosi i soli interventi di geneterapiasugli embrioni e limitandosi la sperimentazione scientifica al pianoterapeutico.

Peraltro, la necessità del varo di una regolamentazione uniforme diportata più ampia (onde scongiurare al possibile evidentemente il for-marsi di «paradisi biologici») è stata sottolineata dall’Autorità Garan-te per la tutela dei dati personali, che ha auspicato l’«elaborazione diuna Dichiarazione universale sulla genetica umana». Auspicio cheparrebbe in qualche misura esser stato accolto nel dicembre del 1998dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che ha conferito al geno-ma lo statuto di «patrimonio dell’umanità».

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 177

18 Così, per esempio, in Gran Bretagna l’Adoption Act del 1976 all’art. 51 prevedel’accesso dell’adottato maggiorenne alle informazioni e alla documentazione relativaalla propria nascita, ed altresì quello del minore degli anni diciotto anche se in ipote-si limitate (al fine di verificare eventuali incompatibilità matrimoniali), previo paga-mento di una tassa al Registral General.

19 All’interno dei singoli stati degli Stati Uniti d’America il quadro normativocambia. Così, per esempio, le regole giuridiche dello Stato della California ricono-scono un ampio diritto dell’adottato a conoscere ogni informazione che lo riguar-da, ed impongono ai genitori biologici (prima che avvenga l’adozione) un prelievodi sangue da conservare per trent’anni; vero è che tali «aperture» sono temperatedalla previsione della necessità del previo consenso (scritto) dei genitori biologici(condizione prevista anche nello Stato di New York) alla cessione della informazio-ne che li riguarda a seguito dell’eventuale, futura, richiesta del proprio figlio, tutta-via tale previsione non pare idonea a mettere in crisi il principio di fondo. Mentrenello Stato del Minnesota ottenere questo tipo di informazione risulta essere moltopiù complesso.

2. La conoscenza delle proprie origini

Oltre alle questioni messe in luce fino a questo punto, la progressi-va scoperta dei «significati» del genoma ha comportato la prospetta-zione di ulteriori problematiche, a partire dalla rivendicazione del«diritto di conoscere le proprie origini genetiche» (e conseguente-mente familiari) e, così come è stato chiamato, il «diritto a conoscereil proprio destino».

Il problema del diritto alla conoscenza della propria genesi biolo-gica, strettamente legato, all’evidenza, al tema dell’adozione, è «tradi-zionalmente» affrontato secondo due tendenziali linee di approccio:nei paesi (che per comodità indicheremo come) «del nord», vale a di-re Germania, Inghilterra 18, Stati Uniti 19, e Canada prevale il principiodi «verità biologica», in base al quale viene data prevalenza all’esigen-za del soggetto del «diritto di sapere» le proprie origini genetiche a co-sto di sacrificare parte della riservatezza dei genitori biologici; mentreinvece «a Sud», sembra prevalere il diritto del genitore naturale amantenere l’anonimato e il rispetto dell’integrità fisica che comportal’illiceità della predisposizione di meccanismi atti a cooptare il sog-getto affinché si sottoponga ad analisi. Anche se invero, specie negliultimi tempi pare di stare assistendo in questa materia alla progressi-va «chiusura della forbice» a favore del diritto del soggetto «alla co-

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178 Introduzione allo studio dell’identità individuale

noscenza», come dimostrano i sistemi francese 20 e spagnolo 21. Nel nostro paese, fin dall’inizio è prevalso il riconoscimento del di-

ritto del genitore biologico a mantenere il proprio anonimato nei con-fronti del figlio (art. 28, legge n. 183 del 1984, disciplinante l’adozionee l’affidamento dei minori), sia per tutelare l’identità della madre, siaper soddisfare l’interesse pubblico di disincentivare il ricorso all’inter-ruzione della gravidanza o, nei casi peggiori, all’infanticidio 22.

Posto innanzi al caso di una donna che voleva conoscere l’identitàdei genitori naturali ma che non riusciva a ottenere tali informazioni, ilGarante dei dati confermò la prevalenza alla scelta del genitore di con-servare l’anonimato rispetto all’interesse del figlio di conoscerne l’iden-tità 23. L’Autorità richiamò a sostegno della decisione in primo luogo il

20 Nell’ordinamento francese, l’art. 32 della legge 5 giugno 1996, n. 604 ha dispo-sto l’obbligo di conservazione degli atti e dei documenti attinenti l’adozione da partedel Presidente del Consiglio Generale, da tenere a disposizione dell’adottato maggio-renne, del legale rappresentante dell’adottato minorenne o dei discendenti in linea di-retta dell’adottato deceduto. Ha previsto, inoltre, che il minorenne, capace di discer-nimento, previo accordo del suo legale rappresentante, possa ottenere informazionicon l’assistenza di una persona abilitata da parte del Presidente del Consiglio Gene-rale. Le informazioni sanitarie non possono essere date al maggiorenne, al legale rap-presentante del minore o ai discendenti in linea retta dell’adottato (se è deceduto), senon con l’intermediazione di un medico, all’uopo designato dall’interessato. Una leg-ge del 22 gennaio 2002 ha riconosciuto il diritto a conoscere le proprie origini, macon molti temperamenti volti a salvaguardare anche il diritto alla riservatezza dellamadre; in pratica il figlio che voglia conoscere le proprie origini parentali lo può farein due precisi casi: nell’ipotesi in cui il genitore abbia acconsentito alla cosa, o quan-do la madre ha levato il segreto sulla sua identità. Dal che emergerebbe come in realtàl’anonimato del donatore di gameti rimanga un principio cardine del sistema ad on-ta del diritto del bambino a conoscere le proprie origini.

21 In Spagna, il Codigo de familia della Catalogna all’art. 129 («Conoscibilità deidati biologici»), statuisce che la persona adottata, maggiorenne o emancipata, puòesercitare l’azione per conoscere l’identità del padre e della madre biologici e, per mo-tivi di salute, può chiedere i dati biogenetici dei suoi genitori; parimenti possono far-lo i genitori adottivi se l’adottato è minorenne.

22 Sulla ratio del segreto sulle origini dell’adottato, C. RESTIVO, L’art. 28 L. ad. tranuovo modello di adozione e diritto all’identità personale, in Familia, 2002, 691-741;cfr. altresì I. NICOTRA, Anonimato del donatore e diritto alla identità personale del figlionella procreazione medicalmente assistita, in Quad. cost., 2002, 795-797.

23 Newsletter del Garante dei dati del 6-12 settembre 1999, I figli adottivi non pos-sono conoscere l’identità dei genitori naturali.

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 179

24 Sentenza TAR Lazio, sez. III, 17 luglio 1998 n. 1854, in Trib. amm. reg., 1999, II,357-370 (con nota di C. MASSIDDA).

divieto posto dalla legge n. 183 del 1984 per cui l’ufficiale di stato civilee l’ufficiale di anagrafe devono rifiutarsi di fornire notizie, informazio-ni, certificazioni estratti o copie dai quali possa comunque risultare ilrapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudi-ziaria; ed in secondo luogo la legge n. 127 del 1997, che all’art. 2 salva-guarda l’eventuale volontà della madre di non essere nominata.

Sul fronte giurisprudenziale in senso stretto ci limitiamo in questasede a richiamare il caso affrontato dal Tar Lazio, in cui fu respinta larichiesta di accesso, per motivi personali, di un soggetto, alla docu-mentazione attestante le generalità della propria madre (in particola-re il certificato di assistenza al parto), muovendo dalla considerazionedella prevalenza del diritto all’anonimato della madre in quanto rico-nosciuto e protetto dall’attuale ordinamento, e giustificato «non soloda esigenze di tutela della riservatezza della persona, ma anche da su-periori ragioni attinenti alla salvaguardia degli interessi, giuridici e so-ciali, sia della famiglia legittima e dei suoi componenti sia degli stessifigli non riconosciuti 24».

Chi invece vorrebbe che fosse riconosciuto un diritto assoluto adapprendere le proprie origini, evidenzia come questo tipo di cono-scenza rappresenti un «fattore essenziale» di svolgimento della pro-pria personalità e del proprio diritto all’«identità personale», come ta-le tutelato dall’art. 2 Cost. A sostegno di questa tesi si è soliti richia-mare l’art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del20 novembre 1989 (ratificata con legge n. 176 del 1991), che affermail diritto del minore, al momento della nascita «… alla conoscenza deisuoi genitori»; l’art. 30 della Convenzione dell’Aja sull’adozione inter-nazionale del 29 maggio 1993 (ratificata con legge n. 476 del 1998),che stabilisce l’obbligo da parte dello Stato di origine dell’adottato diconservare tutte le informazioni sul minore e sulla sua anamnesi sa-nitaria, nonché sull’identità dei suoi genitori; nonché l’art. 37 dellalegge di ratifica che riconosce alla commissione per le adozioni inter-nazionali la possibilità di comunicare ai genitori adottivi (eventual-mente tramite il Tribunale per i Minorenni) le informazioni che han-no rilevanza per lo stato di salute dell’adottato, stabilendo altresì

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180 Introduzione allo studio dell’identità individuale

25 Sul tema E. BESOZZI, La costruzione dell’identità nei minori tra globalizzazione eappartenenze locali, in Minori giustizia, 2000, 147-172.

26 In materia di fecondazione eterologa ricordiamo il caso (precedente la legge n.40 del 2004), risolto con una sentenza di inammissibilità dalla Corte Costituzionale(sent. n. 347 del 1998): un soggetto, dopo aver validamente espresso il proprio pre-ventivo consenso alla fecondazione assistita della moglie con seme di donatore igno-to promosse l’azione di disconoscimento della paternità del bambino concepito e par-

un’obbligo di conservazione delle informazioni acquisite sull’originedel minore, sull’identità dei suoi genitori naturali e sull’anamnesi sa-nitaria del minore e della sua famiglia di origine 25.

Il fronte opposto a parte richiamare il pericolo, lanciato da alcuniquotidiani britannici, di «carestia di spermatozoi» che deriverebbe dalfatto che venendo meno l’anonimato i donatori diverrebbero maggior-mente restii a donare la propria materia biologica (rischio che, tutta-via, visto il divieto di fecondazione eterologa posto dalla legge n. 40 del2004 non ci dovrebbe riguardare), mette in guardia soprattutto dall’im-patto psicologico che questo tipo di conoscenza può avere sui soggetti,come dimostrerebbe l’art. 20 della Convenzione Europea sull’adozionedi Strasburgo del 24 aprile 1967 (ratificata con legge n. 357 del 1974)che in linea di principio stabilisce la segretezza dell’identità dei genito-ri genetici sia per l’adottato sia per i genitori adottivi.

3. Segue: il quadro interno

Sul piano interno attualmente è opportuno distinguere tra dirittoalla conoscenza del genitore naturale e diritto di conoscenza delleproprie origini da parte dell’adottato.

Sul primo versante la situazione continua a favorire l’anonimatodel genitore (né ci pare che il quadro generale sia stato sostanzial-mente mutato in seguito alla legge n. 40 del 2004, sulla fecondazioneassistita, considerato che il divieto che essa pone ai genitori naturalidi pretendere l’anonimato pare derivare direttamente dal divieto pre-visto di fecondazione eterologa, per cui si finirebbe per accordare pro-tezione a comportamenti contrastanti con norme imperative, garan-tendo l’anonimato a chi non avrebbe dovuto donare le proprie cellulegerminali) 26.

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 181

torito in seguito a detta inseminazione. La Corte nell’occasione affermò che sebbenel’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionalicoinvolti spettasse primariamente alla valutazione del legislatore, tuttavia sarebbetoccato al giudice ricercare nel complessivo sistema normativo l’interpretazione ido-nea ad assicurare la protezione degli anzidetti beni costituzionali (successivamente laCorte di Cassazione non riconobbe al marito azione di disconoscimento: Corte Cass.,16 marzo 1999 n. 2315, in Giust. civ., 1999, I, 1317-1337, con nota di S. MORELLO eM.R. MORELLI).

27 Sulla questione ha avuto modo di intervenire di recente anche la Corte Costitu-zionale (con ordinanza n. 184 del 2004), che si è tuttavia limitata a restituire gli atti algiudice rimettente, dal momento che la norma impugnata era stata modificatadall’art. 177, comma 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 che vieta l’accesso alle infor-mazioni sulle origini dell’adottato «solo per il caso della madre che abbia dichiaratoalla nascita di non volere essere nominata».

Relativamente alla conoscenza delle proprie origini da parte del-l’adottato, invece, la situazione parrebbe essere in qualche modocambiata a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 149 del 2001che all’art. 24 (che ha sostituito l’art. 28 della legge n. 184 del 1983) di-spone: «l’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accederealle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei proprigenitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussi-stono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica.L’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogodi residenza». Il condizionale, tuttavia, è d’obbligo, visto e considera-to che l’art. 177, comma 2 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (che hasostituito il comma 7 dell’art. 28 della legge n. 184 del 1983) ha ricon-fermato che «l’accesso alle informazioni non è consentito nei con-fronti della madre che abbia dichiarato al momento del parto di nonvolere essere nominata ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del d.P.R. 3novembre 2000, n. 396 27».

In materia di adozione internazionale, il nostro paese pare essersipertanto posto solo in parte in linea con quanto raccomandato da ul-timo anche dal Consiglio d’Europa che nel 2000 (Racc. n. 1443 del2000), il cui punto n. 5 prevede di «assicurare il diritto dei bambiniadottati a sapere delle proprie origini al più tardi al raggiungimentodella maggior età ed eliminare dalla legislazione nazionale ogni clau-sola contraria».

Una strada foriera di risultati per chi auspica il riconoscimento diun più generale diritto di conoscenza delle proprie origini, a prescin-

7.

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182 Introduzione allo studio dell’identità individuale

28 Il cui decreto è reperibile all’indirizzo telematico: http://www.anusca.it/Relazio-ni XXIIIConvegno/piero%20tony.doc.

29 Il giudice parla di «motivi gravi ed irreversibili, tali da far ravvisare la probabi-lità di una forte compromissione dello sviluppo psico-fisico del minore».

dere dal dissenso dei soggetti coinvolti, potrebbe essere quella percor-sa dal giudice del Tribunale per i minorenni di Firenze 28, che, trovan-dosi innanzi alla modifica dei dati identificativi (prevista per legge) diun minore adottato, ritenuto che detto cambiamento di generalità po-tesse, con significativa probabilità, «recare grave nocumento all’ar-monico sviluppo psico-fisico del minore, sotto il profilo del pienoesplicarsi della sua personalità, ed in particolare del diritto all’identitàpersonale, nonché con riguardo alla tutela del suo diritto fondamen-tale alla salute», ha sospeso la procedura di formazione del nuovo at-to di nascita.

Il giudice ha posto la sua attenzione principalmente su due profili:in primo luogo ha evidenziato come «detto diritto fondamentale [allasalute] verrebbe grandemente pregiudicato laddove, come nel caso dispecie, la storia “biologica” del minore venisse definitivamente occul-tata, con conseguente impossibilità, nell’ipotesi di problemi medico-sanitari, di effettuare una puntuale anamnesi, prodromica ad unacorretta diagnosi e, quindi, a cure efficaci»; in secondo luogo ha rile-vato come «il fattore “ereditario” e biologico», inteso come conoscen-za «simbolica» della propria stirpe, possa avere «significativa influen-za sul futuro sviluppo psicofisico del minore e [possa] contribuire pe-santemente a determinare importanti disturbi del comportamento eproblemi psichiatrici, quali la schizofrenia e la paranoia», richiaman-do a sostegno di questo assunto studi e produzioni scientifiche svoltisul tema.

Infine, solo a titolo di completezza rileviamo che un aspetto anco-ra diverso ha affrontato di recente la Suprema Corte di Cassazioneche ha affermato essere «diritto soggettivo primario» del genitore, inquanto costituzionalmente garantito dall’art. 30 Cost., la facoltà di ri-conoscere il proprio figlio naturale minore infrasedicenne (già rico-nosciuto dall’altro genitore), non solo in quanto «elemento di defini-zione» dell’identità sia del genitore, sia del bambino, ma anche «atte-so il diritto del bambino» salvo particolari circostanze 29 «ad identifi-

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30 Ci riferiamo a Corte Cass., 3 aprile 2003, n. 5115, reperibile anche all’indirizzotelematico: http://www.giustizia.it/cassazione/giurisprudenza/cass/5115sen_03.html.

31 Sul problema della commercializzazione di massa dei test genetici su internet,relativi soprattutto all’accertamento di paternità ed anche alla predisposizione a di-verse malattie, si veda la Newsletter del Garante dei dati del 24 febbraio-2 marzo 2003,Test genetici su Internet: esperti UE chiedono più garanzie. L’allarme lanciato dal Grup-po Europeo sull’Etica nelle Scienze e nelle Nuove Tecnologie (che ha pubblicato il 24febbraio scorso una Dichiarazione nella quale segnala all’opinione pubblica ed a tut-ti i soggetti con responsabilità politiche i problemi legati alla pubblicità dei test gene-tici via Internet) è consultabile all’indirizzo telematico: http://europa.eu.int/comm/european_group_ethics/ index_en.htm.

carsi come figlio di una madre e di un padre e ad assumere così unaprecisa e completa identità 30».

4. La conoscenza del proprio destino

Oltre alla conoscenza delle «proprie origini», si pone anche il pro-blema della conoscenza, come è stato definito, del «proprio destino».Come visto, i test genetici su determinati tratti del DNA si caratteriz-zano per la loro attitudine predittiva, ivi inclusa quella che riguarda laprevisione della predisposizione del soggetto a quelle malattie che,con diversi gradi di probabilità, potranno verosimilmente manifestar-si nel corso della sua vita.

Il problema è che la conoscenza precoce della propria predisposi-zione genetica se da un lato può avere gravi ripercussioni sulla perso-nalità dell’interessato pregiudicando la vita futura stessa del sogget-to 31, dall’altro può permettere di adottare strategie tendenti ad evita-re o ridurre i rischi conseguenti ed a compiere scelte (che tra l’altropossono in molti casi coinvolgere anche altri soggetti) maggiormenteconsapevoli e responsabili.

Di qui, il «paradosso del dato genetico». Dire o non dire? Sapere onon sapere?

Nel nostro ordinamento vengono svolti, ormai in molti casi in viadel tutto ordinaria, test prematrimoniali: questo tipo di analisi, e piùin generale tutti i test prenatali, sono leciti se si dimostra la loro fina-lizzazione terapeutica, che peraltro è ormai del tutto «implicita». In-vece i test sul genoma umano di soggetti già partoriti sono leciti in ca-

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184 Introduzione allo studio dell’identità individuale

32 Si veda, in particolare, il punto IV del Working Document on Genetic Data, delData Protection Working Party (artiche 29), adottato il 17 marzo 2004 [12178/03/ENWP 91], reperibile all’indirizzo telematico: http://www.europa.eu.int/comm/inter-nal_market/privacy/ docs/wpdocs/2004/wp91_en.pdf.

33 Da ultimo si vedano le «25 Recomendations on the ethical, legal, and social im-plication of genetic testing» elaborate da un gruppo di esperti su ordine della Com-missione Europea: al punto 23 «Informed consent» si trova scritto che «Explicit writ-ten consent is the rule». Il testo del documento è reperibile all’indirizzo telematico:http://europa.eu.int/comm/research/conferences/2004/genetic/pdf/recommendations_en.pdf.

In breve per quanto riguarda i test genetici in campo sanitario, il Gruppo racco-manda il rispetto del principio del consenso informato, la predisposizione di garan-zie tali da prevenire modi di accesso discriminatori ai test, consulenze adeguate e ade-guata tutela della riservatezza delle persone; mentre per quanto riguarda il settore

si del tutto eccezionali, vale a dire in quelle ipotesi in cui risultano«ragionevolmente necessari» in vista ancora una volta della tutela delbene della salute propria (su questa base l’art. 12 Conv. Europea diBioetica acconsente ai «test predittivi di malattie genetiche, o che per-mettono di identificare il soggetto come portatore di un gene respon-sabile di una malattia, ovvero di rivelare una predisposizione o unasuscettibilità genetica a una malattia […] solo quando sussistano finimedici o di ricerca legata alla tutela della salute») ed in alcuni casi an-che altrui (così, per esempio, per i piloti di aerei).

Nella generalità dei casi, poi, salvo la valutazione del possibilepregiudizio altrui, è riconosciuto «il diritto di ciascuno di deciderese essere informato o no dei risultati di un esame genetico e dellesue conseguenze» (Unesco, art. 5. e Conv. Europea di Bioetica, art.10). Più precisamente, secondo quanto previsto dalla Convenzionedi Bioetica (art. 26), è riconosciuto in via generale il diritto di nonsapere salvo i casi in cui o si presta il proprio «consenso alla cono-scenza» o prevalgono interessi ritenuti degni di maggior considera-zione.

Linea che è stata peraltro pienamente confermata dallo stesso Ga-rante (oltre che dai Garanti europei 32), il quale, muovendo dall’ideache tanto la conoscenza quanto la non conoscenza da parte del sog-getto comportano problemi e rischi a livello di gestione della propriaesistenza, ha in più occasioni rilevato l’esigenza di tutelare le situa-zioni in cui «il non sapere può diventare il modo per poter esprimereal meglio la propria personalità …» 33.

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della ricerca raccomanda che la creazione e l’utilizzazione delle cosiddette «bio-ban-che», ossia delle raccolte di campioni biologici unitamente ai rispettivi database, sia-no improntate ai principi fondamentali del consenso informato dei soggetti presso iquali avviene il prelievo dei campioni, di conservazione temporalmente adeguata, e dianonimato dei campioni stessi (si veda la Newsletter n. 208 del 29 marzo-4 aprile2004, Test genetici: la Commissione europea avvia un dibattito pubblico).

Se, dunque, in linea di massima si cerca di rispettare la volontà delsoggetto, in ipotesi eccezionali è possibile derogare a questa regola ge-nerale: si tratta per esempio delle situazioni di emergenza previstedall’art. 82 del D.Lgs. n. 196 del 2003 (tra i quali spicca il «rischio gra-ve, imminente ed irreparabile per la salute dell’interessato»), in cui ilsoggetto può, anche contro la sua volontà, essere informato sullo sta-to di cose che lo riguardano, sebbene nel rispetto di precise garanziea tutela della sua incolumità psichica, specificamente, nel caso di spe-cie, solo «da parte di esercenti le professioni sanitarie ed organismisanitari, solo per il tramite di un medico designato dall’interessato odal titolare».

Ulteriori profili problematici emergono in quelle situazioni in cui il«desiderio di sapere» e di non sapere si intrecciano, come nel casodella gestante che vuol sapere se il figlio che nascerà è affetto da unamalattia ad insorgenza tardiva, ma non vuol sapere se lei stessa ne èvittima e quei casi in cui l’informazione genetica è condivisa da più in-dividui legati da vincolo di parentela: tutte situazioni che richiedonoil bilanciamento tra contrapposte esigenze di pari rilievo.

Sul punto corre ancora una volta alla mente la decisione del Ga-rante per la protezione dei dati personali (Newsletter 24-30 maggio1999), in cui autorizzò il trattamento dei dati genetici indipendente-mente dal rifiuto espressamente manifestato da un parente della tito-lare dei dati stessi, che non voleva sapere la sua «attitudine genetica»:il Garante riconobbe nell’occasione la prevalenza del diritto alla salu-te su quello alla riservatezza considerato che «la tutela dell’integritàpsico-fisica del terzo integra gli estremi della “giusta causa” che legit-tima la rivelazione di informazioni coperte da segreto professionale ela lesione della riservatezza dell’interessato»; con ciò allineandosi pie-namente con quanto previsto dal codice di deontologia medica (1998)che ammette l’informazione a terzi «quando sia in grave pericolo lasalute o la vita di altri» (art. 31).

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186 Introduzione allo studio dell’identità individuale

34 A. BARDUSCO, L’identità personale e la Costituzione italiana, cit., 1982, 27.35 Sul tema si vedano i casi riguardanti i dissidenti nell’ex Unione Sovietica e il

programma dell’F.B.l., denominato «Cointelpro» («Counterintelligence program»), ri-feriti da U. NATOLI (che richiama H. LENNOX, Illusion of justice, Human rights viola-tions in the U.S.A., School of social Work, University of lowa, 1980), Sul diritto al-l’identità personale, riflessioni introduttive, in Diritti fondamentali e categorie generali:scritti di Ugo Natoli, Giuffrè, Milano, 1993, 421 ss.

36 Per una disamina approfondita della materia con specifico riguardo al mezzotelevisivo, I. TRICOT-CHAMARD, Contribution à l’étude des droits de la personnalité,Puam, Aix en Provence, 2004, 59 ss.

5. Diritto alla libertà psico-fisica, pieno sviluppo della persona e«identità»

Sebbene nei casi precedentemente richiamati si faccia talvolta ap-pello ad un presunto «diritto all’identità» individuale, è tuttavia benvisibile la distanza tra la situazione in cui il soggetto vuole che sia ri-spettata l’intangibilità della sua sfera individuale (sia essa fisica o psi-cologica) rispetto alla situazione in cui il soggetto rivendica l’otteni-mento di qualcosa, sia pure la conoscenza di un’informazione.

Nella prima ipotesi il diritto all’«identità genetica» tende a confon-dersi con il rispetto dell’integrità fisica: in questi casi, cioè, si parla di«identità genetica» ma come sinonimo di «integrità», in considerazio-ne della possibile funzione di «argine» alla manipolazione di quegliaspetti «più strettamente individuali e propri del soggetto» quelli,cioè, che «ne fanno un individuo, un essere unico» segnandone l’esi-stenza 34.

Qualcosa di simile accade, fatte le dovute differenze, nei (purtrop-po) vari casi di «manipolazione delle coscienze» (ivi incluse le formepedagogiche di diffusione del pensiero) capaci di condizionare la sfe-ra individuale mentale, compromettendone il libero sviluppo 35. Cosìcome qualcosa di altrettanto affine, fatte ancora una volta le dovutedifferenze, avviene, nei vari tipi di «intrusione» ed «aggressione psi-chica» (ad esempio, messaggi televisivi subdoli e/o assillanti) compiu-te per mezzo di strumenti più o meno tecnologici 36.

In tutte queste ipotesi di «condizionamento» del libero svolgimentodella personalità non ci sembra possibile, se non impropriamente edintendendosi sul punto, appellare un presunto «diritto all’identità»:

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 187

37 Così F. MODUGNO, I nuovi diritti, cit., 20; del concetto di «habeas data» è fioren-te la letteratura giuridica negli ordinamenti latino americani (si veda per esempiohttp:// www.salvador.edu.ar/ua1-4-bibinfor.htm).

38 P. FOIS, Il diritto alla identità personale nel quadro dei diritti dell’uomo, in Il dirit-to all’identità personale (Seminario promosso dal Centro di iniziativa Giuridica PietroCalamandrei e dal Centro Studi e Documentazione Giuridica, Genova 22-23 marzo1980) a cura di G. ALPA-M. BESSONE-L. BONESCHI, Cedam, Padova, 1981, 42 ss.

Sul Convegno di Genova cit.: G. FERRANDO, Diritto all’informazione e tuteladell’identità personale: note in margine ad un recente convegno, in Giust. civ., 1980, II,581-585; M. DOGLIOTTI, Un nuovo diritto all’identità personale (a proposito di due re-centi convegni), in Giur. it., 1981, IV, 145-152 e Alcune questioni in tema di tutela del-la personalità, in Giur. merito, 1981, 528-532 e M. ARATO, Sulla tutela del dirittoall’identità personale, in Giur. merito, 1981, 1169-1173.

39 Così A. PIZZORUSSO, Commento artt. 1-10 c.c., in Commentario del Codice CivileScialoja-Branca, cit., 51; nello stesso senso M. MAZZIOTTI, Diritto all’immagine e Costi-tuzione, cit., 1532; F. MODUGNO, I «nuovi diritti», cit., 10 e G. ROLLA, El difícil equilibrioentre el derecho a la información y la tutela de la dignidad y la vida privada, cit., 150-151;R. NANIA-P. RIDOLA, I diritti costituzionali, Giappichelli, Torino, 2001, 437.

40 Ricordiamo in proposito che nella sentenza n. 54 del 1986 la Corte Costituzio-nale ha affermato l’esistenza di un diritto all’inviolabilità della propria psiche (inGiur. cost., 1986, 387-391).

piuttosto, pare più appropriato parlare, rispettivamente, di «habeascorpus, habeas mentem e (per le forme di intrusione più sofisticate) ha-beas data 37».

Per altro verso quanto da ultimo detto fornisce lo spunto per rile-vare, nelle medesime ipotesi, l’emergere del profilo «in negativo» deldiritto alla riservatezza siccome funzionalizzato, ovvero condizionedel pieno, in quanto libero, sviluppo della persona (di qui il richiamoall’art. 12 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, all’art.17 Patto internazionale sui diritti civili e politici e all’art. 8 della Con-venzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, che di-spongono la tutela del soggetto contro interferenze e lesioni della suasfera privata 38).

Del resto già da tempo autorevole dottrina ha osservato che la tute-la della sfera di riservatezza «entro cui il singolo possa agire e pensareal riparo da indebite interferenze esterne» non è, già, elemento del-l’identità della persona, ma strumento per il libero sviluppo di essa 39.

Solo così, infatti, il soggetto viene posto nella condizione di poter ri-flettere su di sé, alla ricerca della propria comprensione e realizzazio-ne personale nel mondo 40: quella stessa «autocostruzione» che per

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188 Introduzione allo studio dell’identità individuale

Dal punto di vista filosofico, secondo P. AMERIO: «L’identità della persona è l’at-tualizzazione sociale del senso di sé e della conoscenza di sè»; e nello stesso senso C.ARCIDIACONO, Appartenenza, senso di comunità e identità personale, in Identità persona-le, cit., 46.

41 Secondo questo tipo di approccio l’uso stesso della nozione di «trauma» psichi-co riconfermerebbe, a dispetto di Locke e di coloro che scorsero l’identità nella me-moria, come ciò che appare decisivo non risulti essere quel che il soggetto ricorda, maquanto ha dimenticato ed è segretamente operante in lui, al punto da individuare nel-l’inconscio il nascondiglio privilegiato di noi stessi.

42 A. ARENDT, parla di «identità narrativa» (cfr. Vita activa. La condizione umana,Bompiani, Milano, 1994 e La vita della mente, il Mulino, Bologna, 1987).

43 J.P. MARGUENAUD, La cour européennne des droits de l’homme, Dalloz, Paris,1996, 66; «un saut qualitatif essentiel» secondo M.T. MEULDERS-KLEIN, Vie privée, viefamiliale et droits de l’homme, in Rev. int. dr. comp., 1992, 771.

44 Sul tema si veda P. BALDASSARRE, Quali fondamenti per il liberalismo? Identità, di-ritti, comunità politica, in Diritto e società, 1997, 403-441.

45 Così M.T. MEULDERS-KLEIN, Vie privée, vie familiale et droits de l’homme, in Rev.

l’esistenzialismo significa fare della propria vita un qualcosa di più au-tentico ed unico. Ricerca «di sé» che, del resto, non sembra proprio es-sere cosa facile, se si conviene nel ritenere con Spence e col suo «mo-dello di indagine archeologico» che la verità fondamentale del sogget-to «più ovvia appare, più illusoria è 41», al punto da rendere necessariaper lo stesso Marcel Proust, al fine di dare una risposta alla c.d. «do-manda della Sfinge «chi sono?», la stesura del suo capolavoro, la sua«Recherche», vissuta come un vero e proprio percorso narrativo-esi-stenziale verso la scoperta di sé … 42!

Una volta raggiunto il «traguardo» della «solitudine», la tappa suc-cessiva è stata quella di rivendicare «in positivo» il proprio modo di es-sere, affermando la propria specificità: «désormais le droit au respect dela vie privée n’est pas seulement le droit de rester chez soi pour exclure lesautres, c’est aussi le droit de sortir de chez soi pour aller vers les au-tres 43», in vista della massima esplicazione della propria autonomia (odella «sovranità») individuale, altrimenti chiamata «libertà di realizza-zione personale» (art. 19 Cost. estone), piuttosto che «diritto alla feli-cità» 44: «est un saut qualitatif essentiel le passage de la protection du se-cret et de l’intimité de la vie privée à l’idée selon laquelle le secret n’est quele moyen de protéger la liberté individuelle … laquelle n’est à son tour quele moyen d’assurer l’épanouissement personnel de chacun … 45».

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 189

int. dr. comp., cit., 771; nello stesso senso G. ROLLA, El principio de la dignidad huma-na. Del articulo 10 de la Constitución Española al nuevo constitucionalismo iberoame-ricano, in Persona e Derecho, 49, 2003, 230-231.

46 Così G. ROLLA, La tutela costituzionale dei diritti, cit., 50.47 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, il Mulino, Bologna, 1984, 41.48 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, cit., 1984, 26.49 Parla di «identità altruistica», nel senso che «l’altro è necessario» A. CAVARERO,

in Identità personale, cit., 241 (anche in Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltri-nelli, Milano, 1997). P. AMERIO scrive in proposito: «[L’identità] che è una caratteri-stica essenziale dell’individuo riconosciuto come capace di autogestione e come por-tatore di diritti, è in definitiva una costruzione sociale che si realizza attraverso pro-

Così, sempre in questo senso, è stato osservato che l’intimità presain considerazione e protetta dall’ordinamento non è soltanto il dirittonegativo a che non siano divulgati e resi pubblici aspetti e particolaridella propria vita; ma anche il profilo positivo di poter svolgere libe-ramente la propria personalità: secondo questa ampia accezione lagaranzia alla vita privata tenderebbe cioè «ad identificarsi con il rico-noscimento del diritto alla tutela della propria identità (intesa nellasua accezione sessuale, comportamentale, ideale, familiare, ecc.), del-la piena autonomia delle scelte esistenziali 46».

Su questa base, non solo possiamo (a differenza di altri contesti)esprimere la nostra «identità religiosa», ma, più prosaicamente, soloper fare un esempio, ci è dato modo di abbigliarci come meglio cre-diamo, dare libero sfogo alla nostra creatività artistica, e, più in gene-rale, esplicare la nostra individualità nell’ambito della nostra sfera diautonomia privata, nel contesto dei limiti ordinamentali alla luce del-la presunzione della massima espansione delle libertà costituziona-li 47: «perciò la Costituzione assicura la garanzia dell’identità persona-le anzitutto tramite il sistema delle libertà, che di tale identità garan-tiscono lo sviluppo e la tutela 48».

Vero è che per questa strada il discorso sull’identità tende a sfumarefino ad immedesimarsi in quello sulle libertà; tuttavia ci pare che la pre-sa di distanza tra i due momenti consista nel necessario riconoscimento(avvenga esso da parte «degli altri consociati» piuttosto che dalla «per-sona statale») che pretende l’una ed invece presuppongono le libertà.

L’identità, infatti, abbisogna del riconoscimento altrui di ciò che ilsoggetto ha espresso, manifestato, realizzato di sé sul piano concreto 49,

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190 Introduzione allo studio dell’identità individuale

cessi di auto ed etero identificazione e di differenziazione: cioè di processi i quali pre-suppongono in ogni caso la presenza materiale e simbolica dell’Altro» (P. AMERIO, Psi-cologia di comunità, il Mulino, Bologna, 2000).

50 Così P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, cit., 25.51 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, cit., 26. Dal punto di vista fi-

losofico, secondo Erikson l’identità assumerebbe le caratteristiche di una sorta di «fo-totessera», in cui l’individuo si rispecchia e con la quale si presenta allo sguardo altrui(E.H. ERIKSON, Gioventù e crisi di identità, Armando, Roma, 1999). Sull’importanzadel «riconoscimento» ai fini della definizione identitaria si veda C. TAYLOR, Radicidell’Io. La costruzione dell’identità moderna, Feltrinelli, Milano, 1993.

52 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, cit., 25.

mentre a sua volta «la personalità si estrinseca nell’identità individua-le, che, appunto, distingue una persona dall’altra 50».

Riteniamo che le tre fasi che scandiscono la realizzazione identita-ria possano essere così, a grandi linee, sintetizzate:

1) autodeterminazione di sé sulla base dell’art. 2 Cost., nel quadrodi rigidità costituzionale (momento dinamico interiore);

2) sviluppo della persona sul piano sociale, ex artt. 3, comma 2 e 13Cost. (momento dinamico esterno);

3) pretesa di riconoscimento e rispetto da parte altrui, a secondadelle situazioni in base al «dovere di solidarietà sociale» (art. 2 Cost.),piuttosto che sulla scorta del principio di «pari dignità sociale» (art. 3,comma 1, Cost.; momento statico).

Dicevamo che l’identità necessita del riconoscimento altrui, scrivein proposito autorevole dottrina: «se l’identità è “la sintesi degli ele-menti distintivi della persona”, essa va vista da un lato alla luce delrapporto privato-pubblico, dall’altro alla luce dei rapporti fra gli indi-vidui stessi 51».

Il «riconoscimento rispettoso» da parte degli altri avviene, schema-ticamente, secondo almeno tre diverse forme: in senso «rigido», insenso «forte» e in senso «debole».

Si ricade nella prima ipotesi in tutti i casi di cui abbiamo parlato incui l’identità individuale è «data» biologicamente (art. 13 Cost.) o giu-ridicamente (art. 22 Cost.) e di cui il soggetto tendenzialmente nonpuò essere privato (per questo denominabile come «identità indivi-duale in senso verticale»): sono questi i «criteri distintivi essenziali 52»,

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 191

53 Cfr. infra, Cap. VI.54 D. REISMAN, La folla solitaria, il Mulino, Bologna, 1973, 179. Trattasi in fondo

delle linee concettuali della tradizionale distinzione filosofica tra l’etica privata, comeart of self government e l’arte della legislazione in quanto preordinata alla realizzazio-ne degli interessi della comunità.

55 Sul rapporto tra diritto e sessualità si veda S. AMATO, Sessualità e corporeità, i li-miti dell’identificazione giuridica, Giuffrè, Milano, 1985, 127 ss.

56 Un confine non potrà mai essere definitivamente tracciato «en raison de l’espèce

il nucleo dell’identità individuale, che «gli altri» in linea di massimanon possono non riconoscere.

La seconda situazione, come tra breve vedremo, consiste nella possi-bilità, conformata dall’ordinamento giuridico e riconosciuta al soggettodi rivendicare taluni profili identitari e di pretenderne non solo il rispet-to ma anche il riconoscimento erga omnes, ivi incluso lo Stato-apparato.

Infine, la terza ipotesi (che affronteremo nella parte finale del lavo-ro) 53 si presenta in quei casi in cui il soggetto può solo esigere il ri-spetto della propria identità personale da parte degli altri consociati(per questo è possibile parlare di «diritto all’identità personale in sen-so sociale»), che dal canto loro sono tenuti a non travisare «l’immagi-ne sociale» che il soggetto ha dato di sé. Trattasi dell’ipotesi «più debo-le» in quanto l’operazione di deduzione e riconoscimento che gli altrisvolgono «su di noi» si basa su elementi in rare ipotesi del tutto obiet-tivi, consistendo generalmente in «valutazioni soggettive», e per questorelative, di comportamenti altrui.

6. Il diritto alla libertà sessuale

La linea di demarcazione tra «sfera individuale interiore» ed«esterna», non solo non è sempre evidente, ed anzi, a ben vedere nonlo è quasi mai, ma in alcuni casi, a cominciare dalla sfera della «ses-sualità» – che, come annotava Reisman, «sembrerebbe permeare lacoscienza nel corso del giorno e non solo nel tempo concesso al pia-cere 54» –, se possibile, lo è ancora di meno 55.

Trattandosi di una situazione «di confine»: «zone frontière entrel’être et l’avoir 56», tra la sfera di autonomia individuale e quella socia-

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192 Introduzione allo studio dell’identità individuale

d’empiètement irrésistible de mon corps sur moi qui est à la base d’une condition d’hom-me ou de créature» (G. MARCEL, Etre et avoir, Journal métaphysique, Ed. Montaigne,Aubier, Paris, 1968, 102-3); si veda anche U. GALIMBERTI (a cura di), Il corpo. Antropo-logia, psicoanalisi, fenomenologia, Feltrinelli, Milano, 1983, 306.

57 Per una panoramica delle varie posizioni sul tema rinviamo a S. AMATO, Sessua-lità e corporeità, i limiti dell’identificazione giuridica, cit., 41 ss.

58 Ci riferiamo in particolare all’opera di ARISTOFANE: Gli Acarnesi, le nuvole, le ve-spe, gli uccelli (a cura di Guido PADUANO), Garzanti, Milano, 2004.

59 Cfr. S. AMATO, Sessualità e corporeità, cit., 81-82. A questo tema è dedicato il se-condo volume della “storia della sessualità” di M. FOUCAULT, L’uso dei piaceri, Feltri-

le, essa pone il non facile problema circa il «se» ed eventualmente il«come» intervenire per disciplinarla: «this may be true, yet no societyhad existed without some regulation of sex. The question is where todraw the line» (Golding).

Sul tema lo stesso Hart si è preoccupato di rilevare come a fronte del-la difficoltà di accettare l’imposizione di standard morali in materia, tut-tavia essi si rivelino in fondo occorrenti se adeguatamente argomentati.Mentre muovendo da un’altra prospettiva, studiosi come Devlin, in lineadi principio contrari all’idea della presenza di settori sociali sottratti al-l’azione legislativa, finiscono per ammettere che in un «territorio» comequello della sessualità: «it is like a line that divides land and sea …», è ine-vitabile la permanenza di residui «sfuggenti» al controllo sociale 57.

Nell’estremo tentativo di ricomporre a livello giuridico una materiache pare trovare tutti d’accordo ed al contempo in disaccordo, all’in-terno del nostro ambiente culturale sono state percorse principal-mente due strade, rappresentate, rispettivamente, dalla predicazionedell’astinenza dai rapporti sessuali e dall’istituzione della famiglia.

Nonostante la predicazione dell’astensione dai comportamenti ses-suali abbia notoriamente assunto particolare pregnanza nel contestodogmatico del Cristianesimo, tuttavia non pare esser stato estraneoanche alla cultura pagana: si pensi, già nell’antica Grecia, agli scrittidi Aristofane 58, ma anche alle scuole pitagoriche e all’«ideologia del-l’encratismo» che secondo Ippolito avrebbe elaborato Empedocle: tut-te testimonianze che mostrano le rigide prescrizioni in materia di ses-sualità, come non da ultimo le opere ed il pensiero di Platone, che an-cor oggi viene esemplarmente richiamato per indicare effusioni senti-mentali del tutto interiori, «platoniche» appunto 59.

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 193

Lo stesso Platone poi, in alcuni scritti, rileva come l’unico argine isti-tuzionale possibile al rischio del prevalere dell’impulso erotico (dai-mon), risultasse già all’epoca essere il matrimonio e più in generalel’istituzione familiare, «dove ogni tendenza alla sfrenatezza trova la suagiusta misura e si convoglia a fin di bene» 60. Su questa base è stata dapiù parti messa in risalto la verosimiglianza del fatto che proprio la ne-cessità di porre forme di controllo e di stabilizzazione sociale sulla ses-sualità avrebbe storicamente portato nell’antichità, consapevolmente ono, alla creazione dell’istituto famigliare (e con essa del matrimonio edell’elaborazione dei rapporti di filiazione) 61, sebbene essa sia rimasta,nel corso dei secoli, quell’«isola che il mare del diritto può lambire sol-tanto» (Jemolo), difficilmente permeabile alla prescrizione giuridica.

Nell’epoca odierna entrambe le forme di controllo sociale sulla ses-sualità sembrano avere attenuato il proprio rigore, trovando nellanorma giuridica, in particolare quella penale, l’unico limite di un cer-to rilievo; per altro verso il problema sembra essersi spostato sul fron-te del «riconoscimento» e della rivendicazione di determinati modi divivere la sessualità che fuoriescono dagli schemi «tradizionali».

nelli, Milano, 1894. Più di recente si veda C. CALAME (a cura di), L’amore in Grecia, La-terza, Roma-Bari, 1988.

60 PLATONE, Convito, Garzanti, Milano, 2001, 202.61 Si trova scritto nella lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (I, 7, 1-5): «… è be-

ne per l’uomo non toccare la donna. Ma, per evitare la fornicazione, ogni uomo abbiala sua moglie, ed ogni donna il suo marito. Il marito renda alla moglie quello che ledeve e lo stesso faccia la moglie verso il marito. La donna non è più padrona del pro-prio corpo, ma allo stesso modo anche il marito non è più padrone del proprio corpo,ma lo è la moglie. Non rifiutatevi l’un l’altro, se non di comune accordo …». Sul rap-porto tra uomo e donna ed il ruolo della famiglia si veda la lettera (agosto 2004) delCardinale Ratzinger ai vescovi della Chiesa cattolica sulla «Collaborazione dell’uomoe della donna nella Chiesa e nel mondo» in cui, tra l’altro, si trova scritto: «In questiultimi anni si sono delineate nuove tendenze nell’affrontare la questione femminile.Una prima tendenza sottolinea fortemente la condizione di subordinazione della don-na, allo scopo di suscitare un atteggiamento di contestazione. La donna, per essere sestessa, si costituisce quale antagonista dell’uomo. Agli abusi di potere, essa rispondecon una strategia di ricerca del potere. Questo processo porta ad una rivalità tra i ses-si, in cui l’identità ed il ruolo dell’uno sono assunti a svantaggio dell’altro, con la con-seguenza di introdurre nell’antropologia una confusione deleteria che ha il suo ri-svolto più immediato e nefasto nella struttura della famiglia» (il testo completo è re-peribile all’indirizzo telematico: http://www.vatican.va). V. sul tema anche R. LAUREN-TIN, Gesù e le donne: una rivoluzione misconosciuta, in Concilium, 1980, 125-141.

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194 Introduzione allo studio dell’identità individuale

62 Per una lettura evolutiva dell’art. 13 Cost., tale da ricomprendere il diritto allapropria identità, G. ROLLA, El difícil equilibrio entre el derecho a la información y la tu-tela de la dignidad y la vida privada, cit., 158.

63 Ricordiamo che parte della dottrina (P. COSTANZO, La libertà sessuale ha garanziacostituzionale?, in Annali Fac. Giur. Genova, 1999-2000, 335), ha da tempo rilevato lanecessità di «non perdere di vista il collegamento sistematico tra la distinzione ses-suale e l’obiettivo del pieno sviluppo della persona rintracciabile nell’art. 3 Cost.».

E. Rossi dal canto suo mette in luce anche l’importanza del 1° comma dell’art. 3Cost. nella configurazione «su almeno tre distinti piani» del diritto all’identità ses-suale (E. ROSSI, Il diritto all’identità sessuale tra ordinamento interno ed europeo, in Di-ritti e Costituzione, Giuffrè, Milano, 2003, 193-194).

64 Così F. MODUGNO, I «nuovi diritti», cit., 38.

Attualmente, nel nostro ordinamento il diritto alla libertà sessualerientra nel novero dei c.d. «nuovi diritti», e precisamente tra quei«nuovi diritti» che, in quanto «consustanziali» alla persona sono ri-conducibili alla categoria dei diritti inviolabili riconosciuti e protettidall’art. 2 Cost., di cui viene valorizzato il collegamento sistematico, aseconda dei casi, con l’obiettivo del pieno sviluppo della persona exart. 3, comma 2, Cost. o con la libertà psicofisica individuale ex art. 13Cost. 62. Così, mentre parte della dottrina afferma che «la regola chepianamente senz’altro se ne trae è che la caratterizzazione sessualedei singoli individui, lungi dal costituire un ostacolo, deve liberamen-te concorrere al perseguimento di un simile obiettivo 63»; altra parteconsidera il diritto alla libertà sessuale «in quanto essenziale modo diespressione della persona» e quindi esplicazione della libertà perso-nale 64.

Le due posizioni, lungi dal contrastare, semmai si integrano, con-tribuendo a mettere in luce i vari piani e punti di vista da cui può es-sere scrutata la vicenda (così, per esempio, quello psichico o quello«fisico»; il punto di vista interno al soggetto piuttosto che quello ester-no), ma che convergono tutti nel dare rilievo al momento dinamicodell’espressione di sé.

Nella sentenza n. 561 del 1987 la Corte Costituzionale ha afferma-to il carattere «fondamentale» del diritto alla libertà sessuale: «essen-do la sessualità uno dei modi di espressione della persona umana […]il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivoassoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamentetutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 195

65 Su questa base la Corte da un lato ha riconosciuto il diritto di «ciascuno di rea-lizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale», e dall’altro ha affermatoil corrispondente «dovere di solidarietà sociale» di riconoscere tale identità come«aspetto e fattore di svolgimento della personalità» altrui (Corte Cost., 10 dicembre1987, n. 561, in Giust. cost., 1987, I, 3535-44 (con nota di P. VITUCCI).

66 La pronuncia offre lo spunto per richiamare l’attenzione sull’auspicio da tempoavanzato dalla dottrina e che oggi pare essere stato quanto meno “inaugurato” dallagiurisprudenza delle Supreme corti Costituzionale (sent. 11 luglio 2003, n. 233) e diCassazione (sentt. nn. 7281 e 7283 del 12 maggio 2003 e sentt. nn. 8827 e 8828 del 31maggio 2003 tutte in Foro it., 2003, I, 2201 e 2271 ss.), sulla possibilità di «fondare» ilrisarcimento del danno non patrimoniale interpretando come norma immediatamenteprecettiva (e dunque come «legge» in senso lato, ai sensi dell’art. 2059 c.c.) l’art. 2 Cost.

67 J. BAUDRILLARD, Della seduzione, Cappelli, Bologna, 1980, 30.

persona che l’art. 2 impone di garantire 65», ritenendo peraltro assor-bite le censure prospettate in riferimento all’art. 3 Cost., lasciando co-sì ai commentatori il dubbio sul rilievo, nella ricostruzione «dogmati-ca» di questo diritto, delle altre disposizioni costituzionali.

Nel caso di specie la Corte si trovò innanzi ad un episodio di vio-lenza carnale, vale a dire «la più grave violazione del fondamentale di-ritto alla libertà sessuale» e dichiarò l’illegittimità costituzionale di al-cune norme di legge nella parte in cui non prevedevano un tratta-mento pensionistico di guerra indennizzante i danni anche non patri-moniali patiti dalle vittime di violenze carnali consumate in occasio-ne di fatti bellici. Con una pronuncia additiva, la Corte riuscì così inqualche modo ad ampliare la tutela della persona garantendone uncerto «ristoro» anche sul piano patrimoniale 66.

In ogni caso, si trattò pur sempre, di una tutela «in negativo», sca-turente dall’aggressione di un bene giuridico (seppure fondamentale),idonea a provocare la reazione del sistema giuridico.

Si trattò, per intenderci, di una situazione ben diversa rispetto alquadro affermato per esempio da Baudrillard, secondo cui «il piace-re» avrebbe oggi assunto il carattere di un’esigenza e di un dirittofondamentale: «ultimo nato dei diritti dell’uomo, è assurto alla di-gnità di un imperativo categorico. È immorale contravvenirvi. Manon ha neppure il fascino kantiano della finalità senza fine. S’impo-ne come gestione ed autogestione del desiderio, e nessuno può igno-rarlo, proprio come accade per la legge 67».

La differenza ci sembra consistere non nel momento della libera

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196 Introduzione allo studio dell’identità individuale

68 Così A. FIGONE, Il diritto all’identità sessuale e la libera esplicazione della propriaindividualità, in Dir. fam. pers., 1983, II, 339.

69 In proposito, secondo G. ROLLA (op. cit., 62): «non pare arbitrario affermarel’esistenza di un vero e proprio diritto all’identità religiosa, come corollario specificodi quel diritto di identità che è ricavabile dagli artt. 2 e 13 Cost. Tale diritto consentedi far valere le proprie convinzioni religiose anche nei rapporti intersoggettivi (nonsolo nei confronti dello Stato), ivi compresi quelli interni alla famiglia […]».

70 Così F. RICCOBONO ritiene che, dal punto di vista giuridico, solo a queste ultimecompeta correttamente il nome di «diritti», mentre le prime possono al più essereconsiderate come fattori d’impulso alla legislazione o come attese di appaganti deci-sioni giurisdizionali (F. RICCOBONO, Soggetto Persona Diritti, cit., 76).

esplicazione del proprio modo di essere, quanto, piuttosto, all’attodella rivendicazione del riconoscimento. Ci pare, cioè, che affinchésia dato modo al diritto all’identità di svolgere un ruolo anche, per co-sì dire, «in positivo» come «autodeterminazione 68» o «rivendicazionedi sé» valevole erga omnes, occorra che avvenga una conformazionenormativa – sia essa di ordine costituzionale, come per esempio av-viene per l’identità religiosa (art. 19 Cost.) 69 o ordinario (come, peresempio, avviene, come vedremo nel prossimo paragrafo, relativa-mente al diritto all’identità sessuale) – tale da contemperare moltepli-ci esigenze.

Del resto già da tempo autorevoli voci dottrinali hanno invitato adistinguere tra «diritto rivendicato» e «diritto riconosciuto e protet-to», e cioè tra rivendicazioni espresse nella forma linguistica dei «di-ritti» per assumere una particolare forza persuasiva e suggestiva, eprerogative effettivamente protette dagli ordinamenti giuridici vi-genti 70.

Sul fronte più specificamente identitario, altra dottrina ancora haavuto modo di osservare come, insieme col nome, varie altre conno-tazioni della persona concorrano a formarne l’identità: «fra queste sitrova per esempio l’immagine, protetta dall’art. 10 c.c., ma l’elenconon può essere tassativo, non potendosi certamente prevedere inastratto tutti i fattori che sono suscettibili di concorrere a determi-nare la personalità di un soggetto». Ora, poiché l’individuazione del-l’identità personale avviene in vista della tutela che può rivendicare lapersona stessa che è titolare del relativo diritto, aspetti particolaridella personalità possono essere considerati specificamente come og-

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 197

71 Così A. PIZZORUSSO, Commento all’art. 6 c.c., in Commentario del Codice CivileScialoja-Branca, cit., 50-51.

72 Su cui la dottrina è ormai copiosa: citiamo per tutti R. ROMBOLI, Commento al-l’art. 6 c.c., in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, cit., 257 ss. e più di re-cente G. SCIANCALEPORE-P. STANZIONE, Transessualismo e tutela della persona, Ipsoa,Milano, 2002; M. GARUTTI-F. MACIOCE, Il diritto alla identità sessuale, in Riv. dir. civ.,1981, II, 273-293; J. ESPINOZA, Nuove frontiere degli atti di disposizione del corpo, in Vi-ta not., 1993, II, 1166-1204.

73 Corte Cost., sent. 1° agosto 1979, n. 98, in Giur. cost., 1979, I, 719-724; in Foroit., 1979, 1, 2, 1929; in Rass. dir. civ., 1980, I, 507 ss. (con nota di P. D’ADDINO SERRA-VALLE). Critico M. DOGLIOTTI, Identità personale, mutamenti del sesso e principi costitu-zionali, in Giur. it., 1981, I, sez. I, 23-28.

getto di tutela da parte di norme positive «qualora essi siano deter-minabili sulla base di circostanze obiettive, come per esempio nel ca-so dell’identità sessuale o dell’identità religiosa … 71».

7. Il diritto all’identità sessuale

Un buon banco di prova di quanto testé affermato è rappresentatodalla vicenda della rivendicazione da parte dei soggetti transessualidel diritto di rettifica dei propri atti di stato civile, in seguito all’inter-vento di conversione di genere sessuale, sinteticamente indicato conla dizione «diritto all’identità sessuale» 72.

Diritto che, in un primo momento, non fu riconosciuto loro dallaCorte Costituzionale nella sentenza n. 98 del 1979 73, in quanto sprov-visto di fondamento normativo, considerato che, «nella costante in-terpretazione della Corte, l’invocato art. 2 della Costituzione, nel rico-noscere i diritti inviolabili dell’uomo, che costituiscono patrimonio ir-retrattabile della sua personalità, [è] ricollegato alle norme costituzio-nali concernenti singoli diritti e garanzie fondamentali (sentenze n.11 del 1956, n. 29 del 1962, n. 37 del 1969 e n. 238 del 1975), quantomeno nel senso che non esistono altri diritti fondamentali inviolabiliche non siano necessariamente conseguenti a quelli costituzional-mente previsti».

Posta l’impossibilità di risolvere la questione in termini di costitu-zionalità delle norme impugnate, la stessa Corte, nel caso di specie, sipreoccupò tuttavia di auspicare che anche «in Italia, [così] come in al-

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198 Introduzione allo studio dell’identità individuale

tri Paesi 74» intervenisse a definire il problema il legislatore, conside-rate tra l’altro le implicazioni che tale prassi poneva in ordine al ma-trimonio: intervento legislativo che di lì a breve vi fu «a mezzo» dellalegge n. 164 del 1982 75, che contribuì in modo decisivo al mutamentodell’orientamento giurisprudenziale espresso nella pronuncia del1979, al punto da portare il giudice delle leggi a riconoscere, nella sen-tenza n. 161 del 1985, l’esistenza di un diritto all’identità sessuale «co-me aspetto e fattore di svolgimento della personalità» 76.

74 Per uno sguardo comparatistico sul tema (prendendo spunto, in particolare,dalla sentenza dell’11 luglio 2002 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ChristineGoodwin c. Royaume-Uni sul ricorso n. 28957/95, reperibile sul sito web http://hu-doc.echr.coe.int/ hudoc/ e dalla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità euro-pee del 7 gennaio 2004, causa C-117/01 K.B. c. The National Health Service PensionsAgency e The Secretary of State for Health, reperibile sul sito istituzionale della Cortedi Giustizia www.curia.eu.int) ci permettiamo di rinviare a L. TRUCCO, Il transessuali-smo nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo alla luce del dirittocomparato, in Dir. pubbl. comp. eur., n. 1, 2003, 371-382; ID., Transessuali e RegnoUnito: anche la Corte di giustizia censura i britannici, in Dir. pubbl. comp. eur., n. 2,2004, 825-831; e G. ZANCHINI, Transessualità: da Strasburgo un’importante sentenza, inI diritti dell’uomo, cronache e battaglie, 2002, 59-61. Si veda inoltre S. PATTI-M. WILL,La giurisprudenza italiana e ... l’Europa (a proposito delle rettificazioni nei registri dellostato civile), in Dir. fam. pers., 1981, 1224-1237. Una sintesi della situazione del feno-meno transessuale in Europa è contenuta nel sito istituzionale della CIEC, alla pagi-na web: http://perso.wanadoo.fr/ciec-sg/CadrEtudeTranssexualisme.htm.

Per quanto riguarda la situazione nell’ordinamento canadese rinviamo a E. CEC-CHERINI, Sexual orientation in Canadian law, Giuffrè, Milano, 2004 e S. PATTI, Verità estato giuridico della persona, in Riv. dir. civ., 1988, 231; mentre a proposito dell’ordi-namento francese R. MOCCIA, Problemi di transessualismo nella giurisprudenza france-se (nota a Cassation Francia, 30 novembre 1983; Cour d’Appel Agen, 2 febbraio 1983;Tribunal Grande Instance Nanterre, 21 aprile 1983; Tribunal Grande Instance Paris,16 novembre 1982), in Foro it., 1984, IV, 315.

75 A proposito di cui M. DOGLIOTTI, Il mutamento di sesso: problemi vecchi e nuoviun primo esame della nuova normativa, in Giust. civ., 1982, II, 467-471; A. FIGONE, Ildiritto all’identità sessuale e la libera esplicazione della propria individualità, cit., 338ss.; G. DE VINCENTIIS-F. CUTTICA-F. LEDDA, Rettificazione della attribuzione del sesso etransessualismo, in Riv. it. med. leg., 1983, 892-916; C. LA FARINA, Alcune osservazioniriguardo alla legge sul cambiamento di sesso, in Riv. it. med. leg., 1983, 815-839; S. PAT-TI-M.R. WILL, Commento alla legge 14 aprile 1982, n. 164, in Nuove leggi civ. comm.,1983, 38-46.

76 Corte Cost., sent. 24 maggio 1985, n. 161, in Foro it., 1985, I, 2, 2162. Cfr. S. PAT-TI, Commento a Corte Cost. 6 maggio 1985, n. 161 (Identità sessuale e tutela della per-sona umana: si conclude un lungo dibattito?), in Le nuove leggi civ. comm., 1986, 349-

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 199

Sembra cioè verosimile considerare che il mutamento giurispru-denziale radicale fu quanto meno facilitato, se non reso possibile, dal-l’intervento del legislatore che, conformando un diritto in precedenzaprivo di riconoscimento legislativo, ha posto le premesse necessarie algiudice delle leggi per dotare il diritto all’identità sessuale del più ade-guato rilievo.

Il dato da cui partire, nell’esaminare più a fondo «la portata» delladecisione della Corte è il principio di tendenziale immodificabilità de-gli atti di stato civile su cui è intervenuto il legislatore con la legge n.164 del 1982 conformando le situazioni in cui la rettifica è consentita,con ciò allineandosi, come rilevato dalla Corte, «agli orientamenti le-gislativi, amministrativi e giurisprudenziali, già affermati in numero-si Stati, fatti propri, all’unanimità dalla Commissione della Corte Eu-ropea dei Diritti dell’uomo (decisione 9 maggio 1978, nel caso DanielOostenWijck contro Governo belga)», la cui adozione era stata peral-tro caldeggiata in tutti gli Stati membri della comunità con una pro-posta di risoluzione presentata al Parlamento Europeo nel febbraio1983.

Dinnanzi al sindacato di costituzionalità di detta normativa, laCorte muove dalla considerazione della condizione di «transessuale»enucleata dalla dottrina medico-legale, e cioè di quella situazione chevive chi, presentando i caratteri genotipici e fenotipici di un determi-nato sesso (o «genere»), sente in modo profondo di appartenere all’al-tro sesso (o genere), del quale ha assunto l’aspetto esteriore ed adotta-to i comportamenti e nel quale, pertanto, vuole essere assunto a tuttigli effetti ed a prezzo di qualsiasi sacrificio 77.

352 e M. DOGLIOTTI, La Corte Costituzionale riconosce il diritto all’identità sessuale, inGiur. it., 1987, I, sez. I, 235-243. Per una rassegna giurisprudenziale in materia, si ve-da inoltre, M. COCO, Legge 14 aprile 1982, n. 164 sul transessualismo: panorama dellagiurisprudenza, in Rass. dir. civ., 1996, 583-595.

77 Per quanto riguarda la dottrina giuridica italiana che per prima si è occupatadel problema T.L. SCHWARZENBERG, Considerazioni medico-legali sulla transessualità esindromi correlate, in Dir. fam. pers., 1975, 1456; G.L. ROGNONI, Considerazioni medi-co-legali su un caso di transessualismo, in Giur. it., 1976, 176. Più recentemente: U.FORNARI-L. INDEMINI, Identità psicosessuale e transessualismo: problemi diagnostici, cli-nici e giuridici, in Riv. it. med. leg., 1982, 595; S. MERLI-E. MARINELLI-S. ZAAMI, Que-stioni medico legali in tema di transessualismo, in Giust. pen., 1987, 193; M. BACCI-F.BARONE-G. BENUCCI-L. LALLI, Transessualismo: aspetti medico-legali in 7 casi di richie-

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200 Introduzione allo studio dell’identità individuale

Condizione che, come evidenzia il giudice delle leggi, è all’originedi stati di grave sofferenza e di profonda angoscia, al punto, in alcu-ni casi, da portare la persona a decidere di sottoporsi ad interventochirurgico demolitorio e ricostruttivo, sottoponendosi a tutte le varieterapie del caso. Tale intervento sarebbe anzi vissuto nella maggiorparte dei casi come una vera e propria «liberazione» dal sesso (com-prese le «fattezze biologiche») rifiutato, in quanto nel transessualel’esigenza fondamentale da soddisfare risulterebbe essere quella difar coincidere il soma con la psiche e l’operazione di conversione al-lo stadio attuale delle conoscenze scientifiche, risulta essere l’unicomodo per realizzare, per quanto possibile, la trasformazione da ungenere all’altro, permettendo in qualche modo di assecondare questanecessità.

Il fatto è che, rileva la Corte, tale equilibrio non sarebbe pienamen-te raggiunto, se oltre all’intervento chirurgico, che interviene sullacomponente biologica, non fosse riconosciuta la possibilità per questisoggetti di modificare anche il proprio dato attribuito attraverso larettificazione anagrafica di sesso e nome 78. Infatti, solo la ricomposi-zione di entrambe le sfere identitarie, «riesce nella grande maggio-ranza dei casi», come evidenzia la Corte «a ricomporre l’equilibrio trasoma e psiche, consentendo al transessuale di godere una situazionedi, almeno relativo, benessere, ponendo così le condizioni per una vi-ta sessuale e di relazione quanto più possibile normale» 79.

sta di adeguamento dei caratteri sessuali, in Rass. it. crimin., 1995, 9; G. VELLONE-F. BI-LONE-C.A. ROBOTTI, Roberta o Roberto? Riflessioni sull’identità di genere di un’adole-scente, in Rass. it. crimin., 2000, 103-129; E. SGRECCIA, Aspetti morali del transessuali-smo, in Med. e mor., 1984, 181-205; S. SPINSANTI, Problemi antropologico-moralidell’identità sessuale, in Med. e mor., 1982, 225-237.

78 In proposito P.M. VECCHI, Transessualismo e divieto di discriminazioni, in Fami-lia, 2001, 343-354.

79 Il diritto al riconoscimento della proprio «genere» sessuale presuppone dunque,e la Corte Costituzionale ne rende testimonianza, una considerazione del «sesso» co-me di un dato complesso della personalità, non “dato” solo dall’elemento biologico(cfr. il diverso approdo dei giudici inglesi nel caso Corbett v. Corbett, in Probate Re-ports, 1971, 83) ma determinato da una pluralità di fattori «dei quali deve essere age-volato o ricercato l’equilibrio, privilegiando – poiché la differenza tra i due sessi noné qualitativa, ma quantitativa – il o i fattori dominanti». Il che, con riguardo al casodi specie, ha implicato il conferimento del rilievo giuridico non più esclusivamenteagli organi genitali esterni, quali accertati al momento della nascita ovvero «natural-

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L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 201

Per questo l’intervento legislativo è stato visto dalla Corte in un’ot-tica positiva, come volontà del legislatore di «darsi carico anche diquesti “diversi”, producendo una normativa intesa a consentire l’af-fermazione della loro personalità e in tal modo aiutarli a superarel’isolamento, l’ostilità e l’umiliazione che troppo spesso li accompa-gnano nella loro esistenza». Questa conclusione se da un lato fa lucesull’importanza dell’opera di bilanciamento «normativa», dall’altromette altresì in evidenza «il peso», nel caso di specie, del valore dellasalute tutelato dall’art. 32 Cost. Dalla pronuncia traspare cioè il fattoche l’interesse giuridico meritevole del più ampio apprezzamento nonè un semplice capriccio del soggetto, ma più profondamente «la tute-la della persona umana e della sua salute “fondamentale diritto del-l’individuo e interesse della collettività”».

È stato su questa base, ci pare, che la Corte ha ritenuto che le normedella legge del 1982 non solo non offendessero «per certo» i parametricostituzionali invocati, ma che anzi fossero dettate «a tutela della per-sona umana e della sua salute» ed in quanto tali funzionali «al dirittodi realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, da ri-tenere aspetto e fattore di svolgimento della personalità» sicché «gli al-tri membri della collettività sono tenuti a riconoscerlo, per dovere disolidarietà sociale» 80.

I risultati da ultimo acquisiti confermano innanzitutto la bontàdella scelta di introdurre il diritto all’identità sessuale all’art. 3, com-ma 2, Cost., sia di annoverarlo nell’ambito della libertà psicofisica eprecisamente di includere il diritto all’identità sessuale tra «i diritti diidentità personale», insieme al diritto al nome, all’immagine, ai proprisegni distintivi, allo pseudonimo, al soprannome, al nome religioso …vale a dire tutto ciò che contraddistingue la persona 81.

mente» evolutisi (sia pure con l’ausilio di appropriate terapie medico-chirurgiche),ma anche di elementi di ordine psicologico e sociale.

80 Sulle implicazioni giuridiche del riconoscimento del «diritto all’identità sessua-le» A. BOMPIANI, Le norme in materia di rettificazione dell’attribuzione di sesso ed il pro-blema del transessualismo, in Med. e mor., 1982, 238-283; R. CILIBERTI, La rettificazionedi attribuzione di sesso: aspetti giuridici, in Dir. fam. pers., 2001, I, 346-366; e, più di re-cente, A. CROVETTI, Brevi note in tema di rettificazione di attribuzione di sesso, in Fam. edir., 2001, 326-328; O. DE PIETRO, Il mutamento di sesso nella legislazione italiana e isuoi riflessi nel diritto matrimoniale canonico, in Dir. fam. pers., 1995, I, 335-370.

81 Così F. MODUGNO, I nuovi diritti nella giurisprudenza costituzionale, cit., 12 ss.

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In secondo luogo confermano pienamente l’idea che la Corte quan-do invoca l’art. 2 Cost. si preoccupa pur sempre di non ricostruire i di-ritti assoluti della persona senza espliciti agganci normativi, mostran-do di non aderire alla tesi della fattispecie aperta e consolidando alcontempo l’idea che «i valori assoluti in sé, in quanto essenze ideali oprincipi normativi incondizionati, esigono come ogni entità ideale,come ogni principio, la mediazione, ossia la relativizzazione» com-piuta dal legislatore ordinario, che traduce le strutture costituzionalidei diritti-valori in situazioni giuridiche inerenti ai rapporti di vita, indiritti e doveri, attraverso il bilanciamento reciproco e con altri valoricostituzionali 82.

Spetta dunque al legislatore fare da «mediatore 83» tra «l’interessedel soggetto ad affermare da un lato la propria identità (ed in limitateipotesi ad occultarla) [e] l’interesse della comunità a conoscere l’iden-tità dei membri della compagine sociale». Di qui l’inopportunità diparlare di un «diritto di essere se stessi», laddove con tale espressionesi voglia indicare la pretesa di imporre il riconoscimento in ogni casodella propria identità 84.

In terzo luogo evidenziano la distanza tra «libertà sessuale» e «di-ritto all’identità sessuale», dato che l’oggetto del diritto all’identità ses-suale, vera e propria «chiave» che consente all’individuo di svolgereuna continua opera di «aggiornamento», vale a dire di custodia dellacorrispondenza del proprio dato «biologico» con quello «giuridico»,non è qualunque forma di svolgimento della propria sessualità «in at-to» (aspetto, questo, che semmai riguarda la libertà di identità), mapiuttosto il riconoscimento della possibilità non solo di modificare ma

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Una conferma in tal senso è possibile trovarla anche da parte del Trib. Catania, 18maggio 1994, in Dir. fam. pers., 1994, 1310-1314.

82 N. HARTMANN, Etica, Guida, Napoli, 1970, 213 ss.83 Sui «limiti» alla libera esplicazione della persona e a proposito degli «indici

normativi» dai quali emergerebbe un principio di autodeterminazione si veda G. PAL-MERI-M.C. VENUTI, Il transessualismo tra autonomia privata ed indisponibilità del cor-po, cit., 1331.

84 Il diritto all’identità personale come «diritto ad essere se stessi» è configurato daA. PIRAINO LETO, Il diritto di essere se stessi, in Dir. fam. pers., 1990, II, 601-606; criticosu questo tipo di approccio G. PINO, Il diritto all’identità personale, il Mulino, Bologna,2003, 98 (che richiama i rilievi in proposito di Paolo Vercellone).

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85 M. DOGLIOTTI, Identità personale, mutamento del sesso e principi costituzionali, cit.,26.

86 Cfr. anche A. CAROTENUTO (in Identità personale, cit., 227): «L’identità di un indi-viduo non dovrebbe coincidere con la sua “persona”, giacché questa, così come vole-va l’antico significato latino, non è che una maschera che indossiamo per affrontareil mondo, ma che nasconde e spesso prevarica la nostra verità interiore»; in ambitogiuridico cfr. la posizione assunta in proposito dalla c.d. «sociologia dei ruoli».

L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 203

anche di ottenere il riconoscimento della propria identità acquisitacon effetti valevoli erga omnes.

Del resto ci pare che proprio su queste basi autorevole dottrina intempi non sospetti ebbe modo di affermare che «diritto all’identità ses-suale significa sicuramente diritto a far riconoscere il sesso reale dell’in-dividuo in tutte le sue implicazioni psicofisiche», in quanto aspetto del-la più generale identità considerata, «come complesso degli elementiche caratterizzano e distinguono l’individuo e la sua personalità 85».

8. Tendenze evolutive: la personalità individuale nella Rete

«Ciascuno di noi» scrive Pirandello, «con un’enorme benché som-mersa fede, si ritiene uguale a se stesso, affidandosi a una definizionedi sé cui si tiene ben stretto […] L’uomo piglia a materia anche se stes-so, e si costruisce […] come una casa […] ci si trova a difendere unaproprietà una professione, il coniuge, le proprie idee fisse; tutto forni-sce l’occasione per esprimere ciò che ci è fedele e non stupisce più;l’identità si cementa in, anzi diventa, una casa, una famiglia, un’ope-ra […] si mette persino una teoria a posto della propria vita, e alloranon si è nemmeno più persone, ma teoremi ambulanti della propriaesistenza, soggetti “murati senza scampo”, […] il nome proprio, lacertificazione anagrafica, la vita spiegata e descritta, per definizionidi sé, sono tutte costruzioni o intestazioni funerarie, nel senso checonvengono più ai morti (a chi si è fissato) che non a chi sta nella vi-ta, la quale, per definizione, “non conclude” 86».

Ecco allora, scorto il dramma pirandelliano di un’identità artificial-mente fissata, il tentativo ulteriore, l’ultimo tentativo: quello di «uscireall’alba, quando tutte le cose iniziano a scoprirsi come un frutto appenasbucciato, e distaccarsi, scrollarsi di dosso una immagine costruita, con

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87 Cfr. supra, § 5, nota 39 e § 6.88 Così S. RODOTÀ, Tecnopolitica, cit., 141.

204 Introduzione allo studio dell’identità individuale

lo scopo di esporsi e rimettersi in armonia con il flusso della vita cosìcome esso avviene o ci raggiunge, ricominciando a pensare e agire dac-capo, ritrovando la forza e il coraggio di essere per conto proprio».

Abbiamo già avuto modo di rilevare come la costruzione della pro-pria personalità richieda la protezione da quelle forme di condiziona-mento capaci di comprometterne il libero sviluppo, diciamo così «ten-denziale» 87.

Si è soliti sul punto ricordare che nella terza Repubblica Francese,la laicità e l’universalità dell’istruzione erano sorrette anche da unaforte tensione egualitaria, che cercava di ridurre al minimo l’influen-za dei fattori esterni sulla formazione della personalità del futuro «ci-toyen»: in vista di questo fine veniva imposta a tutti i giovani studentiun’unica, ugualmente sobria, divisa scolastica, che aveva appunto lafunzione di far scomparire, sotto lo stesso grembiule, i segni di ap-partenenza ad una determinata classe sociale.

Tale situazione ha offerto lo spunto per cogliere brillantementel’analogia delle opportunità che può offrire in proposito la Rete: ed in-fatti, «come il mutare d’abito consentiva un più equilibrato legame so-ciale con gli altri studenti, così il mutare di nome, sesso, razza, età nel-la comunicazione in Rete può mettere al riparo da discriminazioni econdizionamenti, consentendo appunto una più libera costruzionedella personalità 88». Su questa base è stata rilevata ed apprezzata dapiù parti la capacità di questo tipo di mezzo tecnologico di mettere, acerte condizioni, a partire dall’accesso al mezzo informatico, ciascu-no di noi nella condizione di trovare un luogo virtuale dove soddisfa-re i propri interessi ed attuare determinate idee, in breve, di metterein atto il principio di pari opportunità.

Nell’ambito della comunicazione, il principio di pari opportunitàelettronica si esprime anzitutto come bisogno di riservatezza: la presad’atto, infatti, della facilità di essere «rintracciati» virtualmente e se-gnalati passo dopo passo «raffredda» la propensione del soggetto nonsolo alla partecipazione «attiva» alle opportunità offerte dalla Rete,ma altresì alla libera ed autentica manifestazione di sé nel mondo vir-tuale stesso.

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89 G. ALPA, La normativa sui dati personali. Modelli di lettura e problemi esegetici, inDir .inform. inf., 1997, 703.

90 S. RODOTÀ, Tecnopolitica, cit., 144.

L’identità individuale e il libero svolgimento della personalità 205

Vero è, allora, da questo punto di vista, che la riservatezza non è unproblema di silenzio, di isolamento dagli altri, ma piuttosto uno stru-mento di comunicazione, di espressione autentica di sé, per la preci-sione.

Secondariamente si esprime dunque come esigenza di anonimato,per meglio dire, come esigenza di assumere l’identità preferita, pre-sentandosi con un nome, un sesso, un’età che possono essere diversida quelli effettivamente corrispondenti ai dati del soggetto e questaidentità nuova viene vissuta come una condizione necessaria per svol-gere la propria personalità, per attingere in pieno la libertà esisten-ziale, come un elemento essenziale dello sviluppo della personalità inrinnovate forme di formazioni sociali virtuali.

Ma internet ha ampliato le opportunità di manifestazione di sé ren-dendo possibile l’assunzione di molteplici identità «virtuali» non soloin senso diacronico, nel corso del tempo, ma anche sincronicamente,dal momento che il medesimo soggetto può assumere identità diversee parallele per ciascuna delle finestre che decide di aprire sul suocomputer: un’identità non più, solo, varia, variabile, intercambiabile,ma anche multilevel e fluida, caleidoscopica, temporanea e «noma-de»: «l’Io diviso esplode sulla Rete. Ognuno di noi può essere «uno,nessuno e centomila». Al punto da portare a metterne in luce la suaforma prismatica,«che, con le sue sfaccettature scompone e ricompo-ne la stessa immagine con diverse angolazioni 89», o, ancora, il «carat-tere proteico» dell’identità: le sue mille facce che la rendono ormailontanissima dalla «ben rotonda identità» del filosofo greco Parmeni-de, concepita come una sfera compatta e inattaccabile 90.

Il fatto che il soggetto in internet possa operare senza tener contodei propri dati reali può d’altro canto far venir meno qualunque frenoinibitorio dovuto alla consapevolezza di essere tenuto a risponderedelle proprie azioni. E cioè oltre al fatto di poter contare sul proprioanonimato, il soggetto vedrebbe assecondato l’istinto di manifestareuna personalità profondamente diversa, talvolta, per reazione, del tut-to opposta a quella che lo stesso manifesta nel mondo «fisico». Si trat-

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206 Introduzione allo studio dell’identità individuale

ta del resto di un fenomeno non del tutto sconosciuto: a chi non è ca-pitato, volante della propria automobile alla mano, di manifestarecerti lati «oscuri» del proprio carattere?

Di qui la domanda se davvero di un arricchimento della personalitàsi tratti o non piuttosto di un modo di metterla pericolosamente ingioco; di qui ancora l’inevitabile, si sarebbe portati a dire, presa d’attodella necessità di apprestare forme di controllo, nonostante la naturarefrattaria dello strumento di base. Ed ancora l’interrogativo estremosull’utilità e l’applicabilità del concetto stesso di «identità virtuale» sucui, invece ci pare, non dovrebbero sorgere perplessità, quanto menonel limitato senso di riconoscimento da parte degli altri internauti.

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Capitolo VI

L’identità individuale nella dimensione sociale

Sezione I

Il diritto all’identità personale

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Le origini e gli sviluppi del diritto all’identità personale. – 3.L’elaborazione «in provetta» di un nuovo diritto: problemi di ordine dogmatico. – 4.Alla ricerca del fondamento normativo dell’identità personale. – 5. Segue: l’identitàpersonale da «limite interno» all’art. 21 Cost. a proiezione della «pari dignità so-ciale» ex art. 3 Cost. – 6. Tendenze evolutive: il «Codice della privacy» tutela anchel’identità personale. – 7. Segue: l’identità personale ed il divieto di trattamento au-tomatizzato di dati personali.

«La sola differenza tra me e un pazzo è cheio non sono un pazzo»

SALVADOR DALÌ

1. Premessa

L’indagine finora effettuata ha consentito di verificare l’estremacomplessità della problematica identitaria, sia per quanto attiene agliaspetti reputati di carattere maggiormente obiettivo cui l’ordinamen-to dà rilievo, quali, particolarmente, quelli biologici, sia per gli aspet-ti positivamente conformati, esemplarmente quelli anagrafici, tra cuiun ruolo centrale è giocato dal nome, e di renderci conto di come, in-torno ad essi, si sia nel tempo sviluppata, al di là e persino contro l’ap-parente staticità ed inerzia di questo tipo di dati, una forte tensionegiuridico-culturale, fino al punto, come nel caso del diritto all’identità

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208 Introduzione allo studio dell’identità individuale

1 Trib. Roma, 27 marzo 1984, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, 71-77; (con notadi M. DOGLIOTTI) in Giur. it., 1985, I, sez. II, 13-26 (con nota di M. DOGLIOTTI); in Foroit., 1984, I, 1687 (con nota di R. PARDOLESI); in Resp. civ., 1984, 562; in Giust. civ.,1985, I, 534-541 (con nota di A. FIGONE); in Riv. dir. comm. e del dir. gen. obbl., 1984,245-258 (con nota di V. RICCIUTO).

sessuale, di contestare le risultanze del dato morfologico della perso-na umana.

In quest’ultimo caso abbiamo infatti assistito alla possibilità, di cuilo stesso ordinamento giuridico ha finito per prendere atto, per il sog-getto di rivendicare un proprio profilo identitario e di pretendernenon solo il rispetto, ma anche il riconoscimento generalizzato.

È noto, tuttavia, come la problematica identitaria sia venuta svi-luppandosi, a partire particolarmente dagli anni Settanta del secoloscorso, anche su di un altro diverso scenario, nel cui ambito è stata of-ferta al soggetto anche la possibilità di esigere il rispetto dell’immagi-ne che nella dimensione sociale egli ha dato di sé. Trattasi nondime-no, di un contesto in cui la stessa parola «identità» acquisisce all’evi-denza un significato che, se per molti e qualificanti aspetti risulta an-corato alla nozione di «identità» fin qui trattata, pure ne diverge, contratti talora di assoluta incomparabilità.

Per queste ragioni, vale a dire sia per ciò che la lega sia per ciò chela separa dall’identità sin qui esaminata, riteniamo opportuno e in de-finitiva chiarificatore occuparci ora anche di questo più recente sce-nario della complessiva problematica identitaria.

Può essere dunque preliminarmente utile prendere le mosse daquelle che appaiono le più organiche definizioni offerte sia dalla Cor-te di Cassazione, sia dalla Corte Costituzionale nonché dalla giuri-sprudenza di merito al proposito.

Si ha così che nel 1984 il Tribunale di Roma vi scorse il diritto del-l’individuo «ad essere garantito nella sua posizione politico-sociale, aveder rispettata la sua immagine di partecipe alla vita associata conl’acquisizione di idee ed esperienze, con le sue convinzioni ideologi-che, morali, sociali, politiche, che lo differenziano ed allo stesso tem-po lo qualificano» 1.

La definizione sembrò evidentemente persuasiva, se è vero che lastessa Corte di Cassazione, nella pronuncia dell’anno successivo cheabbiamo in precedenza esaminato (sent. n. 3769 del 1985) analoga-

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L’identità individuale nella dimensione sociale 209

2 Corte Cass., sez. I, 22 giugno 1985, n. 3769, cit.3 Corte Cass., sez. I, 7 febbraio 1996, n. 978, in Foro it., 1996, I, 1253; in Giust. civ.,

1996, I, 1317-1320; in Dir. inform. inf., 1997, 115-133 (con nota di G. CASSANO) e inResp. civ. previd., 1997, 474-481 (con nota di A. D’ADDA).

4 Corte Cost., sent. 3 febbraio 1994, n. 13, cit.

mente configurò l’identità personale come l’«interesse a non vedersiall’esterno alterato, travisato, offuscato, contestato il proprio patrimo-nio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale,ecc. quale si era estrinsecato od appariva, in base a circostanze con-crete ed univoche, destinato ad estrinsecarsi nell’ambiente sociale» 2.

Può però ancora citarsi la sentenza della Prima Sezione della Cor-te di Cassazione n. 978 del 1996 in quanto sembra di potervisi ravvi-sare una sorta di sintesi del pregresso percorso giurisprudenziale, se-condo cui il diritto all’identità personale sarebbe un «bene-valore co-stituito dalla proiezione sociale della personalità dell’individuo, cui sicorrela un interesse del soggetto ad essere rappresentato, nella vita direlazione, con la sua vera identità, a non vedere quindi, all’esterno,modificato, offuscato o comunque alterato il proprio patrimonio in-tellettuale, ideologico, etico, professionale, ecc., quale già estrinseca-tosi o destinato, comunque, ad estrinsecarsi, nell’ambiente sociale, se-condo indici di previsione costituiti da circostanze obiettive ed univo-che» 3.

Dal canto suo, anche la Corte Costituzionale è sembrata farsi «af-fascinare» da tale trend giurisprudenziale, come può notarsi nellasent. n. 13 del 1994, nella quale, evidentemente rifacendosi alla preci-tata decisione del Tribunale di Roma, si legge che il diritto all’identitàpersonale andrebbe concepito come il «diritto ad essere sé stesso, in-teso come rispetto dell’immagine di partecipe alla vita associata, conle acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche,religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso quali-ficano, l’individuo» 4.

Il fatto è che, in quest’ultima pronuncia, la stratificazione che nesegue di tale diritto su quello tutelato dall’art. 22 Cost. al nome, ha lo-gicamente esposto il giudice delle leggi alla reazione critica della piùattenta dottrina che ne ha puntualmente rilevato la confusione di pia-ni, nel senso che il diritto al mantenimento del nome come diritto in-

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5 Così A. PACE, Nome, soggettività giuridica e identità personale (osservazione a Cor-te Cost., 3 febbraio 1994, n. 13), cit., 104.

6 Scrive inoltre A. De Cupis: «La persona aspira a risultare, nell’ambito sociale, perquella che è realmente, con le proprie qualità e le proprie azioni; tale interesse, rivol-to a una proiezione sociale del proprio io personale corrispondente alla realtà dello

violabile sarebbe cosa assai diversa dal diritto ad essere se stessi contutto ciò ne consegue 5.

Tuttavia, e forse è questa la suggestione più interessante ricavabi-le dalla sentenza, occorre, ricordando anche quanto già osservato suinessi intercorrenti tra nome e personalità umana, non trascurare lavalenza simbolica del nome attribuito, tanto da non potersi dubitareche non solo l’usurpazione e la negazione radicale del nome offenda-no i valori sottesi all’art. 22 Cost., ma che anche il suo utilizzo im-proprio, facendolo comparire nell’ambito di situazioni inveritiere otravisate, leda l’art. 2 Cost. (invocato dalla Corte Costituzionale nellasentenza n. 13 del 1994), in quanto posto a tutela della personalità-identità.

Il fenomeno, del tutto evidente nella violazione dell’onore e dellareputazione, può cogliersi, sebbene con diversa intensità, nei casi di«screditamento» della persona. Così l’accostamento del nome di unnoto oncologo (Veronesi), da anni in prima linea nella lotta contro ilfumo, ad una marca di sigarette, al fine di vantarne la minor nocivitàrispetto ad altro tipo, finisce per ripercuotersi anche sulla personalità-identità dell’illustre clinico, alterando l’immagine di sé che egli ha co-struito nel corso della sua vita, passo dopo passo, attraverso compor-tamenti concreti.

In altri termini, pur attraverso un percorso logico non privo di apo-rie e invece ricco di suggestioni, può probabilmente concludersi per unqualche collegamento tra nome attribuito e «buon nome» di un sog-getto, dovendosi però avvertire sia che tale collegamento non è di tipobiunivoco ed esclusivo (altri fattori concorrendo ovviamente a soste-nere la personalità-identità di un soggetto), sia che dunque l’identità dicui trattasi altro non è che l’esigenza della persona ad essere rappre-sentata in maniera fedele nell’ambito sociale, esigenza che il De Cupis,già negli anni Cinquanta, così rappresentava: «nei riguardi della per-sona, la verità è protetta dal diritto in quanto questo tutela l’interessedella persona all’affermazione sociale della propria individualità 6».

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L’identità individuale nella dimensione sociale 211

2. Le origini e gli sviluppi del diritto all’identità personale

In questo quadro, vale a dire in ciò che è stato anche definito comel’«aspetto sociale dell’identità 7», è possibile constatare che, sebbene laCorte di Cassazione avesse avuto già modo nel 1960 di riconoscere«l’esigenza che i fatti, i pensieri, le frasi, le opinioni altrui [fossero]corrispondenti alla verità 8», ravvisandone il fondamento nell’art. 8della legge n. 47 del 1948, vi è sostanziale concordia nel ritenere che la«storia» del diritto all’identità personale abbia avuto inizio, nel nostroordinamento, con una decisione del Pretore di Roma del 1974 9, allor-ché il giudice accolse le istanze dei ricorrenti, considerando che: «l’or-dinamento giuridico tutela il diritto di ciascuno a non vedersi disco-

stesso io, può denominarsi interesse all’identità personale, e la sua tutela giuridicacomporta l’obbligo del rispetto della verità personale. La tutela dell’identità persona-le si svolge attraverso la tutela dei segni distintivi personali, tra cui principale è il no-me. […] Ma la tutela dell’identità personale non si esaurisce nella tutela del nome odello pseudonimo; in verità, può attentarsi a quel bene anche senza offendere la spet-tanza giuridica di alcuno di tali segni, ma comunque col compiere una rappresenta-zione della persona non aderente alla verità della persona medesima (per omissionedi elementi reali o affermazione di elementi irreali), ovvero coll’introdurre elementipeculiari della persona nella rappresentazione di altro soggetto. Anche in queste ipo-tesi è sacrificata l’individualità personale, è violata la verità personale, e quindi, ugua-le essendo il bene offeso, deve ammettersi la reazione giuridica della persona nei mo-di consentiti dal diritto» (A. DE CUPIS, La verità nel diritto, in Foro it., IV, 1952, 223-4).Sul tema Diritto e verità si veda, più di recente P. HÄBERLE, Einaudi, Torino, 2003.

7 R. TOMMASINI, L’identità dei soggetti tra apparenza e realtà: aspetti di una ulterioreipotesi di tutela della persona, in Il diritto all’identità personale, Atti del Convegno di Ge-nova, cit., 83.

8 Ci riferiamo a Corte Cass., sent. 7 dicembre 1960 (in Foro it., I, 43-48), si trovascritto: «[…] cosicché non è in alcun caso lecito all’agente di attribuire ad una deter-minata persona fatti non veri, o pensieri, frasi od opinioni mai da essa espressi e, co-munque, di cui mai la persona stessa abbia autorizzato la diffusione, o pubblicazionein qualsiasi modo, e ciò quali che siano i concetti che si vogliano e possano accettarein ordine al diritto alla riservatezza e alla protezione giuridica di esso», riconducen-do tale diritto al disposto dell’art. 8 della legge n. 47 del 1948.

9 In realtà ancor prima vi fu una isolata sentenza della Corte di Cassazione, gene-ralmente trascurata, in cui essa riconobbe, tra i limiti giuridici alle opinioni altrui evi-denziò «l’esigenza che i fatti, i pensieri e le opinioni altrui siano rispondenti a verità,in modo da non attribuire a una persona opinioni mai espresse o fatti mai compiuti»(ci riferiamo a Corte Cass., 7 dicembre 1960, n. 3199, in Foro it., 1961, I, 43-47) e, inmodo più esplicito, si pronunciò anche Corte Cass., sez. I, 13 luglio 1971, cit. 440.

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10 Pret. Roma, 6 maggio 1974, in Giur. it., 1975, I, 2, 514-519 (con nota di A. D’AN-GELO).

11 Pret. Torino, 30 maggio 1979, in Giust. civ., 1980, I, 965 (con nota di M. DO-GLIOTTI) e in Foro it., 1980, I, 2079 (con nota di A. PIZZORUSSO).

12 Pret. Roma, 30 maggio 1980, in Foro it., 1980, I, 2046 (con nota di R. PARDOLE-SI, cit.); in Giur. merito, 1981, 1264 (con nota di A. FIGONE). Si veda inoltre Trib. Mila-no, 19 giugno 1980, in Giur. it., 1981, I, 2, 373-382 (con nota di G. PONZANELLI).

13 Pret. Roma, 2 giugno 1980, in Foro it., 1980, I, 2046-2058 (con nota di R. PAR-DOLESI, cit.); in Giust. civ., 1981, I, 218-230 (con nota di D. FIORI); in Giur. merito,1981, 1264-1275; in Giust. civ., 1981, I, 632 (con nota di M. DOGLIOTTI).

nosciuta la paternità delle proprie azioni, nel più ampio significato, e,soprattutto, a non sentirsi attribuire la paternità di azioni non proprie,e non vedersi, cioè, travisare la propria personalità individuale 10».

Fu però il caso che vide protagonista qualche anno più tardi, nel1979, un importante uomo politico a far balzare «il diritto all’identitàpersonale» agli onori della cronaca giudiziaria in tutta la sua portata eproblematicità, se non altro a motivo della notorietà delle parti coinvol-te e perché avvenne alla vigilia delle elezioni politiche nazionali, in unmomento piuttosto delicato della vita politica del Paese 11. In quell’occa-sione la Federazione torinese di un partito aveva distribuito dei volanti-ni nei quali si affermava che il leader politico era stato iscritto nella listaelettorale dei candidati di una formazione politica, d’ispirazione affattodiversa. Nonostante il partito si fosse difeso invocando il diritto di criti-ca politica, il Pretore riconobbe, nella sede cautelare, la falsità del conte-nuto del volantino e dunque la lesione dell’identità politica del soggetto.

Questo caso giudiziario inaugurò «la stagione d’oro» del diritto al-l’identità personale: già l’anno successivo si ebbe l’ordinanza del 30maggio del 1980 della Pretura di Roma, che accolse la richiesta diprovvedimento d’urgenza da parte di un uomo politico a motivodell’utilizzo distorto di alcune interviste che egli aveva rilasciato intutt’altro contesto e per altri scopi 12.

Appena qualche giorno più tardi la medesima Pretura emise due or-dinanze in merito alla lamentata lesione del diritto all’identità di unparlamentare, questa volta a causa della pubblicazione di alcuni artico-li che insinuavano nei lettori il dubbio di collusioni dell’uomo politicocon altre forze politiche allo scopo di negare l’autorizzazione a proce-dere in giudizio contro alcuni parlamentari 13. Una vicenda analoga fu

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qualche tempo più tardi affrontata dal Tribunale di Roma, che ebbemodo di pronunciarsi sulla descrizione giornalistica inesatta di una se-duta parlamentare, da cui sarebbe derivata la lesione dell’immagine po-litica di un deputato, accusato d’aver favorito il rinvio di una votazionesull’autorizzazione a procedere nei confronti di un altro deputato dischieramento politico opposto, per ottenere dei vantaggi personali 14.

Nella primavera del 1981, ancora la Pretura di Roma intervennecon ben sette ordinanze sempre a motivo della pubblicazione di noti-zie, «travisanti» la realtà su giornali, volantini e trasmissioni radiote-levisive 15. Anche in quest’occasione, i giudici posero a fondamentodell’accoglimento delle istanze di tutela cautelare l’accertamento «chele affermazioni che i ricorrenti assumevano lesive del proprio dirittosuperavano i limiti della personale interpretazione e valutazione delfatto, esorbitando perciò dal raggio di azione dell’art. 21 [e] alterandola rigorosa obiettività dell’informazione e con essa l’oggettività dellarealtà storica 16».

Ma uno dei momenti di più alta tensione della «storia» del dirittoall’identità personale si ebbe in seguito alla vicenda del sequestro diun noto consigliere regionale della Campania, durante la quale i rapi-tori fecero pervenire nella sede di un partito politico un filmato sul se-questro, a cui il leader di tale formazione politica reagì, accusando, tral’altro, di barbarie e viltà gli autori del sequestro. Avendo invece unquotidiano a tiratura nazionale dipinto l’esponente politico come per-sona disposta a trattare con i terroristi, questi denunciò la lesione delsuo diritto all’identità personale davanti al Tribunale di Roma, che gli

14 Trib. Roma, 10 marzo 1982, in Foro it., 1982, I, 1405-1408 (nota R. PARDOLESI);critico nei confronti della decisione M. DOGLIOTTI, Ancora sull’identità personale, la tu-tela dell’onore e il risarcimento del danno, in Giust. civ., 1982, 2821-2825; in Giur. it.,1983, I, 2, 189-199 (con nota di N. PASQUINI); in Giur. merito, 1983, 743-750 (con notadi A. FIGONE).

15 Pret. Roma, 30 aprile 1981; Pret. Roma, 30 aprile; 6 maggio 1981; 11 maggio1981, in Foro it., 1981, I, 1737-1749 (nota di R. PARDOLESI), annotata anche da A. FI-GONE, Il diritto all’identità personale: spunti e riflessioni critiche, in Giur. merito, 1982,552-567 e da M. DOGLIOTTI, Violazione o abuso del diritto all’identità personale?, in Giu-st. civ., 1982, I, 826-833.

16 L’anno successivo il provvedimento dell’11 maggio 1981 fu confermato anchenel merito (cfr. Trib. Roma, 19 settembre 1984, in Dir. inform. inf., 1985, 677-686, connota di V. ZENO-ZENCOVICH).

8.

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17 Trib. Roma, 27 marzo 1984, in Giur. it., cit., 13-26 (con nota di M. DOGLIOTTI).18 Così N. PASQUINI, Identità personale e lesione della reputazione. Appunti in margi-

ne ad alcune recenti sentenze, (nota a Trib. Roma, 10 marzo 1982 che richiama l’ordi-nanza del Pretura di Roma, resa il 2 giugno 1980, cit.), in Giur. it., cit., 194.

19 Pret. Roma, 3 ottobre 1986, in Dir. inform. inf., 1987, 244-246.

diede ragione, giudicando la notizia «completamente distorsiva dellavolontà in effetti manifestata» considerata, in particolare, la notorietàdella professione di fede politica dell’onorevole al principio della nonviolenza e delle libertà individuali riconoscendo che l’uomo politicoera stato leso nel suo diritto all’«identità personale» 17.

A seguito di questo primo fascio di pronunce, potevano dunque abuon diritto alcuni attenti osservatori considerare ormai del tutto ac-quisito dalla giurisprudenza, e sufficientemente elaborato dalla dot-trina «l’orientamento secondo il quale il vigente ordinamento giuri-dico riconosce, nell’ambito della più generale e complessa categoriadei diritti della personalità, il diritto alla identità personale, intesocome proiezione dell’immagine, lato sensu individuata, della personain riferimento alla sua collocazione nel contesto delle relazioni so-ciali 18».

I primi casi rivelano inoltre come l’ambito politico-ideologico ab-bia rappresentato il terreno di coltura dell’identità personale, venendosolo successivamente ad ampliare il proprio raggio di azione in altredirezioni. Del resto, sul punto, la stessa Corte di Cassazione nella pre-citata sentenza n. 3769 del 1985 aveva già avuto modo di avvertire co-me l’identità personale consistesse nell’interesse dell’individuo o delgruppo a non veder travisato o alterato il proprio patrimonio com-plessivamente considerato.

Altre vicende di rilievo riguardarono infatti, oltre al già menziona-to caso Veronesi, la vicenda di un soggetto di cui s’era narrata la par-tecipazione, mai avvenuta, all’iniziativa celebrativa del centenariodella nascita di Mussolini 19. E nello stesso anno un giornalista-scrit-tore fu chiamato in causa per aver citato nel suo libro, tra i casi di tra-dimento della causa partigiana, quello di un soggetto che, a dire delloscrittore, all’epoca, in veste di «spia venduto alla Gestapo», avrebbefatto sorvegliare il Comando generale della Resistenza milanese e neavrebbe fatto arrestare un prezioso collaboratore: vicenda che si ri-

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20 Pret. Varese, 27 gennaio 1986, in Dir. inform. inf., 1986, 553-556.21 Trib. Roma, 19 giugno 1986 in Dir. inform. inf., 1988, 439-440. Più precisamen-

te si trattò in quell’occasione di un offesa arrecata a mezzo stampa, ovvero attraversoun articolo pubblicato su un settimanale in cui il giornalista descrisse falsamente l’at-tività dei magistrati di Rimini assegnati alle esecuzioni immobiliari in cui emergevaun quadro di diffusa illegalità delle procedure seguite, e si configurava la partecipa-zione del magistrato ad una concertata manovra di speculazione edilizia attuata permezzo dell’esercizio illecito delle funzioni giudicanti.

22 Trib. Pescara, 5 ottobre 1989, in Dir. inform. inf., 1990, 997-1005 (nota di F. TA-SCONE).

23 Pret. Roma, 19 settembre 1988, e Pret. Roma, 3 ottobre 1988, in Foro it., 1989,I, 3505-8; in Dir. inform. inf., 1989, 181 e in Dir. inform. inf., 1989, 489 (con nota di A.MOLLE). Il provvedimento del 3 ottobre 1988 fu confermato anche in 2° grado da Trib.Roma, 9 giugno 1993, in Dir. inform. inf., 1993, 972-977.

velò come mal ricostruita da parte dello scrittore e per ciò stesso lesi-va dell’identità personale del soggetto 20.

Un’ulteriore conferma dell’ampiezza del raggio d’azione del dirittoall’identità personale fu data dal caso del 1986, in cui venne accertatala lesione dell’identità personale di un magistrato a motivo di affer-mazioni false sul suo conto, in particolare, sui modi di svolgimentodella sua attività istituzionale 21. E, rimanendo sempre in ambito giu-diziario, l’anno successivo un avvocato ottenne la condanna di una so-cietà editrice, in conseguenza della pubblicazione di un articolo in cuiera stato riportato in modo del tutto erroneo il reddito denunciato dalprofessionista 22.

Nel 1988 fu «l’identità del giornalista» ad essere chiamata in cam-po: in due casi pressoché analoghi, infatti, i giudici considerarono le-sive di tale diritto le riproduzioni di stralci di articoli giornalistici o difrasi in contesti del tutto avulsi rispetto a quelli originari (in quei casisi trattò rispettivamente di una bevanda e di un libro), in quanto ido-nee ad ingenerare nel pubblico l’impressione «che l’autore si sia pre-stato a propagandare un volume, che egli stesso aveva in precedenzasottoposto ad apprezzamenti non positivi 23».

Sempre legata all’ambito dell’«identità ideologico-professionale»fu la vicenda che vide coinvolta una nota show-girl, la quale lamentòl’avvenuta pubblicazione (senza il suo consenso) di un fotoromanzorealizzato con stralci e fotogrammi di un film appartenente «ad un fi-lone cinematografico ormai del tutto estraneo alla sua attuale carrie-

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24 Pret. Roma, 10 febbraio 1988, in Dir. inform. inf., 1988, 860-864 e in Temi Ro-mana, 1988, 152-155 (nota di C. ACCIAI e F. ACCIAI).

25 Pret. Roma, 21 gennaio 1989, in Dir. inform. inf., 1989, 513-519.26 Trib. Roma, 28 gennaio 1992, in Rass. dir. civ., 1993, II, 935-960 (con nota di F.

GIGLIOTTI) e in Foro it., I, 1992, 3127-3133 (con nota di F. CARINGELLA, che osserva co-me il problema, fino ad allora poco scandagliato sia in sede giurisprudenziale sia inambito dottrinale, fosse destinato sempre più ad assumere rilevanza pratica a motivodella frequenza dell’utilizzazione indebita a finì pubblicitari delle sembianze di sosiadi personaggi notori in campo artistico, sportivo, culturale e persino politico). Sul te-

ra», lesivo per questo, come del resto venne confermato dal giudice,del suo diritto all’identità personale, inteso dall’organo giudicante co-me «il diritto della persona ad una proiezione di sé nel “sociale” il piùpossibile corretta, in relazione al suo attuale modo di essere, agire,pensare … 24».

Nel 1989, fu un’altra nota attrice a lamentare innanzi al giudice lapubblicazione di un servizio contenente il suo ritratto «ripreso in mo-do tale da evidenziarne gli aspetti di nudo» per mantenere quanto pro-messo «in modo enfatico e volgare» ai lettori a partire dallo stesso ti-tolo di copertina: anche in questo caso fu riscontrata la lesione del di-ritto all’identità personale «in relazione all’esigenza di tutela dell’inte-resse che ha ogni individuo a veder rappresentata fedelmente, in modoveritiero, la propria personalità, come rilevabile dalle manifestazioniche ne ha fatto […] corrispondente ad una precisa scelta di vita e di co-stume, meritante di essere rispettata e tutelata […] a prescindere daogni valutazione moralistica 25».

Ancora in tema, ricordiamo infine il caso che vide coinvolta una ri-vista per avere pubblicato un servizio fotografico ritraente una ragaz-za assomigliante ad una attrice, nuda, in diverse pose, mentre parte-cipava ai giochi erotici in compagnia di un pupazzo raffigurante cele-bri personaggi disneyani. Nella pubblicazione tutto lasciava intende-re la volontà di ingenerare nel lettore l’equivoco, «assai grave a diredella parte attrice», dell’immedesimazione dell’immagine dell’attricecon quella della «sosia» e dunque l’attribuzione a lei (e non alla «so-sia») delle pose ritratte. Il tribunale capitolino, affermò la lesione delbene identitario, in quanto «le foto in questione [rappresentavano] ilpersonaggio noto in atteggiamenti contrastanti con il suo stile profes-sionale e, in definitiva, con il suo modo di essere» 26.

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ma precedentemente G. ASSUMMA, Profili originari ed evolutivi del concetto di immagi-ne-ritratto ed uso pubblicitario della fotografia di un sosia, in Dir. aut., 1987, 571-589.

27 Trib. Verona, 26 febbraio 1996, in Dir. inform. inf., 1996, 576-582; in Foro it.,1996, I, 3529; in Giur. merito, 1997, 35-39 (con nota di C. ZHARA BUDA); si veda altresìG. CASSANO, Falsa luce negli occhi dei fedeli: novità in tema di risarcimento del danno dalesione ai diritti della personalità (a proposito di Trib. Verona 26 febbraio 1996), in Dir.fam. pers., 2000, 421-435.

28 Citiamo per tutti G. ALPA, Diritti della personalità emergenti: profili costituziona-li e tutela giurisdizionale. Il diritto all’identità personale, in Giur. merito, 1989, 2, IV,468; e da ultimo R. CORDONE, Il diritto all’identità personale, in Nuovi diritti della per-sona e risarcimento del danno, cit., 58.

Per chiudere il cerchio e concludere la rassegna, citiamo il caso incui venne chiamata nuovamente in campo l’identità «ideologico-po-litica» di un religioso. Si trattò nell’occasione della diffusione da par-te di alcune formazioni politiche di un depliant elettorale in cui erariportata l’immagine (in abito talare) di un sacerdote cattolico, a cor-redo di un articolo di propaganda a favore delle parti politiche. Il giu-dice riconobbe l’idoneità del mezzo ad ingenerare l’idea che l’uomodi chiesa simpatizzasse per la citata formazione politica, mentre in-vece dalla sua «storia» personale emergeva non solo che egli avevaprofessato ideali affatto diversi rispetto a quelli propugnati negliscritti, ma anche che da sempre si era ispirato all’incontro con reli-gioni e culture diverse operando attivamente a favore dell’unione del-le diversità 27.

3. L’elaborazione «in provetta» di un nuovo diritto: problemi diordine dogmatico

Per altro verso, le pronunce appena ricordate sembrano dare ra-gione a chi ha ritenuto che l’interesse all’identità personale sia emer-so in diretta corrispondenza alla sempre maggior facilità e frequenzadei travisamenti dei modi di essere della personalità 28, che avrebbe-ro costituito «la contropartita negativa delle malintese libertà rico-nosciute ai cittadini e del progresso tecnologico dei mezzi di comu-nicazione», al punto da portare nei primi anni Ottanta la dottrina aintravedere nella nascita di tale diritto l’esigenza di una sorta di ri-conquista, a favore dell’individuo, del rispetto “dai riflettori tecnolo-

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218 Introduzione allo studio dell’identità individuale

gici” 29 (posizione peraltro confermata anche negli anni avvenire 30),conseguendone l’esigenza di «provare a dissodare un terreno secco,non arato da troppo tempo …! 31» e di dare all’interesse all’identitàpersonale in senso sociale un adeguato riconoscimento ed un’adegua-ta tutela dal punto di vista giuridico. Laddove invece, trovatisi innan-zi a questo stesso problema, altri ordinamenti hanno affinato gli stru-menti tradizionali di tutela della persona, a partire dal droit de répon-se 32, o hanno elaborato figure giuridiche ad hoc: così, per esempio, la(peraltro fortemente discussa) figura del «tort of false light in the pu-blic eye» elaborato dalla cultura giuridica statunitense (per la primavolta, pare nel 1946! 33), che ricorre quando qualcuno colpevolmentediffonde una erronea rappresentazione di un altro soggetto agli occhidella collettività, attribuendogli fatti o opinioni non sue 34.

29 Cfr. le considerazioni di F. MANTOVANI, Il diritto all’identità personale e la tutelapenale, in Atti del Convegno di Genova, cit., 130.

30 Così per esempio è stato successivamente osservato: «Nelle moderne società so-no sempre più numerosi i problemi che si pongono di fronte a lesioni di diritti dellapersona, i quali necessitano di una soluzione che trascenda principi e dogmi consoli-dati. A tal proposito si è innestata la problematica del diritto all’identità personale»(M. BILLI, Diritto all’identità personale e sistema dell’informazione, in Dir. aut., 1988, p.173).

31 Così nella «Presentazione» di L. BONESCHI-C. DE MARTINI-U. SANDRINI, contenutanegli Atti del Convegno che si tenne a Roma, dal 24 al 26 novembre 1978, promossodal Centro di Iniziativa Giuridica Piero Calamandrei, dal titolo Informazione, diffa-mazione, risarcimento, editi da Feltrinelli, Milano, 1979, 11.

32 Significativo sul punto è ricordare che sebbene in concomitanza con il primocaso italiano sul diritto all’identità personale una Corte francese si fosse trovata addover risolvere un caso del tutto simile, essa riconobbe, tuttavia, soltanto il pregiudi-zio derivante dalla riproduzione non autorizzata dell’immagine, senza scomodare unpresunto «diritto all’identità personale» (ci riferiamo alla decisione del Tribunale diGrande Istance di Parigi: 11 luglio 1973 - Dauphas c. Parti Comuniste Français, in Fo-ro it., 1974, IV, 179-182 con nota di M. BESSONE).

Per una disamina approfondita delle «mesures destinées à la prtotection de la per-sonnalité, I. TRICOT-CHAMARD, Contribution à l’étude des droits de la personnalité, cit.,401 ss.

33 Caso New York Times Co. v. Sullivan, 376 U.S. 254 (1946). Si veda in propositoA. GAMBARO, Falsa luce agli occhi del pubblico, in Riv. dir. civ., 1981, 84-135.

34 Il Restatement (Second) of Torts descrive così il tort in parola: «one who gives pu-blicity to a matter concerning another which places the other before the public in a falselight is subject to liability to the other for invasion of his privacy, in: a) the false light in

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L’identità individuale nella dimensione sociale 219

which the other was placed would be highly offensive to a reasonable person, and b) theactor had knowledge and acted in reckless disregard of the falsity of the publicised matterand the false light in which the other would be placed». Sul tema M. RUFFINI GANDOLFI,Mass media e tutela dell’identità personale, il problema nel diritto statunitense, Giuffrè,Milano, 1987 e Il diritto all’identità personale di fronte alla Corte Suprema degli StatiUniti (il tort di false light), in Riv. dir. ind., 1981, 237-280. Negli Stati Uniti l’afferma-zione del tort in parola fu osteggiata fino agli anni Settanta dalla giurisprudenza che,spinta dalla preoccupazione di non sacrificare eccessivamente il diritto di cronaca e ildiritto dei cittadini di essere informati, finì sostanzialmente per giustificare la false li-ght in the public eye rispetto alla quale non era provata la malice (il dolo) dell’operato-re dell’informazione. Modificò questa tendenza il caso Gertz v. Robert Welch Inc. (418U.S. 323, 1974), in cui un avvocato riuscì ad ottenere nel 1973 la condanna dell’edito-re di un quotidiano per semplice negligence avviando così un processo di erosione del-l’«immunità» di cui sino ad allora aveva goduto la stampa.

35 In tal senso R. TOMMASINI, L’identità dei soggetti tra apparenza e realtà, cit., 80.36 Su tali questioni la dottrina costituzionalistica sul tema è copiosa: citiamo per

tutti A. BARBERA, Commento all’art. 2, cit.; L. PALADIN, Diritto costituzionale, cit., 562;P. CARETTI, I diritti fondamentali, Giappichelli, Torino, 2002, 135 ss.; A. PACE, Proble-matica delle libertà costituzionali, cit., 4 ss.

Peraltro, il fatto che la lesione del bene identitario venisse perpe-trata, nella maggior parte dei casi, attraverso i mezzi più tradizionali(libri o carta stampata, per cui la diffusione del messaggio risultava es-sere «permanente» rispetto all’istantaneità del mezzo televisivo), portòa ridimensionare l’idea che le moderne strutture tecnologiche fosseroall’origine non solo dell’elaborazione del diritto all’identità personale,ma più generalmente la fonte della sopraffazione degli aspetti più pro-priamente spirituali dell’uomo, convincendo anzi parte della dottrinache gran parte dei problemi legati all’elaborazione del diritto all’iden-tità personale avessero origini ben più remote e profonde 35.

Comunque sia, nei primi anni di vita, il diritto identità personalestentò a trovare una collocazione del tutto confacente alle proprieaspettative. In particolare, la ricostruzione di tale diritto sarebbe sta-ta condizionata, da un lato, dall’incertezza sulla stessa configurabilitàdella categoria dogmatica dei c.d. «diritti della personalità», e, dall’al-tro, dalle ben note querelles relative all’interpretazione e alla portatadell’art. 2 Cost., in particolare sul suo carattere di norma a fattispecie«aperta» o «chiusa», nonché sulla natura delle disposizioni costitu-zionali come programmatiche piuttosto che precettive 36.

Per quanto qui maggiormente interessa, preme rilevare quanto evi-

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220 Introduzione allo studio dell’identità individuale

37 Cfr. G. ALPA, Diritti delle personalità emergenti: profili costituzionali e tutela giu-risdizionale. Il diritto all’identità personale, cit., 464.

38 Così R. TOMMASINI, L’identità dei soggetti tra apparenza e realtà, cit., 79.39 Ancora R. TOMMASINI, L’identità dei soggetti tra apparenza e realtà, cit., 78.40 Per una lettura errata del rapporto identità-onore si veda Trib. Roma, 19 set-

tembre 1984, in Dir. inform. inf., 1985, 677, ivi compresa l’eloquente nota di V. ZENO-ZENCOVICH; sul rapporto identità-onore/reputazione, Trib. Roma, 9 giugno 1993, inDir. inform. inf., 1993, 972; inoltre M. DOGLIOTTI, in nota a Pret. Torino, 30 maggio1979, in Giust. civ., 1980, 972. Specificamente sul diritto alla reputazione, Trib. Ro-ma, 15 febbraio 1993, in Foro it., I, 1993, 1236; per un caso in cui è stata configuratala lesione al contempo di onore, reputazione, riservatezza e identità personale si vedaTrib. Roma, 30 gennaio 1997, in Dir. inform. inf., 1997, 749.

In dottrina, citiamo per tutti V. ZENO ZENCOVICH, Onore e reputazione nel sistemadel diritto civile, Jovene, Napoli, 1984 e con specifico riguardo al tema oggetto del pre-sente studio, dello stesso autore, Onore reputazione e identità personale, in La respon-sabilità civile, rassegna diretta da Alpa e Bessone, Torino, 1987, 46.

denziato da autorevole dottrina, ossia come l’“inabitudine” all’inter-pretazione del dettato costituzionale 37, pur non conducendo alla tota-le negazione del diritto all’identità personale come diritto della perso-nalità, portò a ricercarne il fondamento, per quanto possibile, in pre-cise disposizioni normative, idonee come tali ad assicurare il rispettodel principio di certezza del diritto.

Del resto fu soprattutto a partire dagli anni Ottanta che si affermòcon maggiore convinzione la necessità di passare «dalla tutela delvalore primario dell’integrità fisica del corpo o della tutela della vitacome processo organico e biologico […] a garantire i valori più ele-vati della sfera intima e sentimentale del soggetto» 38 ovvero supera-re i valori tutelati dalle norme tradizionali del codice di evidente ma-trice giusnaturalistica 39 rileggendone i contenuti alla luce dei valoricostituzionali, anche in quei casi in cui non risultavano essere staticompromessi beni giuridici supremi come l’onore o la reputa-zione 40.

Lo specifico profilo del diritto all’identità fu coinvolto nella più ge-nerale crisi di un certo tipo di approccio datato del rapporto tra det-tato costituzionale e norme codicistiche: ci riferiamo al processo di«polverizzazione» del principio di tipicità causato, secondo la dottri-na civilistica, da una serie di fattori, di cui la «forza destrutturante»del principio di autonomia privata, l’inadeguatezza dello schema deldiritto soggettivo (in particolare del «modello» dello ius excludendi

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41 P. PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Jovene, Napoli,1972, 140 ss. che mette in luce altresì la marginalità degli aspetti della personalità(sebbene tutti essenziali) affrontati fino a quel momento dalla dottrina civilistica «perlo più soltanto relativi alla “struttura esteriore”», e l’opportunità di utilizzare la di-stinzione privato-pubblico solo per comodità di studio.

42 Esemplarmente V. ZENO ZENCOVICH, Il diritto di rettifica ed all’identità personalea tutela della personalità del singolo e del gruppo, in Dir. fam. pers., 1983, 158.

43 G. GIAMPICCOLO, La tutela giuridica della persona umana e il c.d. diritto alla riser-vatezza, cit., 469.

44 Così R. GUASTINI, Un punto di vista del garantismo, in Il diritto all’identità perso-nale, Atti del Convegno di Genova, cit., 162.

45 In tal senso v. l’importante contributo di F. MACIOCE, Tutela civile della persona eidentità personale, Cedam, Padova, 1984, 210 ss.

Da ultimo cfr. A. SAVINI (in Dir. aut., 1990, 124) che lo considera una «autentica su-perfetazione ordinamentale […] frutto di una fascinazione di evoluzionismo giuridi-co» sebbene «di estremo interesse scientifico e di grandissimo valore per la crescitadella funzione sociale del diritto quando fu dato e dimostrato il rilievo di diritto da at-tribuirsi ad alcuni interessi diffusi e privi di tutela effettiva».

alios) a tutelare situazioni giuridiche vieppiù complesse in cui risul-ta impossibile, tra l’altro, distinguere tra titolarità ed esercizio del di-ritto stesso 41, l’insufficienza del sistema della responsabilità civile 42,sarebbero solo alcuni elementi. Andò cioè affermandosi l’approccioc.d. «monista», secondo cui le varie norme disseminate nei codici ein leggi speciali, lungi dal rappresentare il fondamento di tanti auto-nomi diritti della persona, sarebbero dovuti piuttosto essere riguar-dati come aspetti particolari di un’«entità» più generale: la persona-lità umana, considerata nel suo svolgimento concreto, rilevante edattuale 43.

Ciò detto, non erano ben chiari i rapporti tra questa sorta di «superdiritto» e il diritto all’identità personale specificamente considerato.

V’era chi, infatti, attestato su un fronte maggiormente critico, du-bitava della legittimità delle operazioni di «creazione giurispruden-ziale» in provetta di nuovi diritti, considerate come interventi di chi-rurgia giuridica forse giustificabili in sede di teoria descrittiva ma chesarebbero dovute essere «con ogni mezzo sfavorite» in sede di politi-ca del diritto 44.

Altra parte ancora della dottrina insinuava il dubbio dell’inutilità diun siffatto diritto, considerato che esso ambiva a tutelare situazionigià direttamente od indirettamente garantite da norme positive 45.

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222 Introduzione allo studio dell’identità individuale

Peraltro, nella maggior parte dei casi, si finì per convenire, in ma-niera più o meno esplicita, sull’opportunità, «di fronte a questa elabo-razione giurisprudenziale, di assumere quell’atteggiamento che i giu-risti non assumono mai di fronte alla creazione del diritto ad operadella giurisprudenza: cioè di prenderne atto» 46.

Ma anche le posizioni più favorevoli non escludevano ed anzi po-stulavano che venisse affrontata tutta una serie di problemi di ordinedogmatico 47, occorrendo, in primo luogo, definire tale diritto e chia-rire in che cosa concretamente esso consistesse specie del rapportocon i diritti della personalità 48. Quindi, ma non meno impegnativa-mente, si rivelava necessario risolvere le difficoltà insite nel raffigura-re il diritto all’identità personale come un vero e proprio «diritto sog-gettivo», per cui era indispensabile reperire una base normativa ade-guata 49.

Quanto al problema della definizione giuridica del diritto al-l’identità, fin dai primi anni di manifestazione del fenomeno, auto-revole dottrina mise in luce le difficoltà di ricostruzione del suo con-tenuto, rilevando la problematica applicabilità dei principi riferibiliall’identità etnica e linguistica (prese a modello come «identità tra lepiù stabili») all’identità politica, fugace per antonomasia, e conside-rando oltretutto come, per poter applicare i medesimi schemi anchea quest’ultima, ci si sarebbe dovuti riferire a comportamenti o ma-nifestazioni di opinione «i quali non costituiscano semplice espres-sione occasionale di un pensiero o di un orientamento politico, macostituiscano una connotazione tendenzialmente permanente del-

46 G. VISINTINI, Il c.d. diritto all’identità personale e le reazioni della dottrina di fron-te all’attività creatrice di un diritto della giurisprudenza, in Il diritto all’identità perso-nale, Atti del Convegno di Genova, cit., 73.

47 Per una disamina completa sul punto si veda G. GIACOBBE, L’identità personaletra dottrina e giurisprudenza, Diritto sostanziale e strumenti di tutela, in Riv. trim. dir.e proc. civ., 1983, 810-887.

48 In proposito, A. GAMBARO, Diritti della personalità, in Riv. dir. civ., 1989, II, 421-427.

49 In particolare F. MACIOCE, op. cit., 207, sottolineò la legittimità dell’impiego delconcetto di «bene giuridico», in materia di tutela giuridica in generale e, quindi, inconcreto, la possibilità che l’identità personale rilevasse come bene giuridico cui nonnecessariamente ineriva un corrispondente diritto soggettivo (cfr. in proposito ancheA. DE CUPIS, I diritti della personalità, cit., 13 ss.).

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50 Così A. PIZZORUSSO, in Il diritto all’identità personale, Atti del convegno di Geno-va, cit., 33. Si veda inoltre C. ACCIAI, Il diritto all’identità politica in relazione ai mezzidi propaganda elettorale, in Temi romana, 1980, 133-135.

Dal punto di vista filosofico secondo A. CAROTENUTO: «definire l’identità è impresaardua, se non impossibile, soprattutto in ragione del fatto che essa si struttura essen-zialmente per il tramite dei rapporti interpersonali e, dunque, è imprescindibilmentelegata alla mutevolezza» (in Identità personale, cit., 223).

51 Per una particolare lettura del diritto all’identità personale come «diritto ad es-sere se stessi» e sui limiti alla libertà di manifestazione del pensiero si veda A. PIRAI-NO LETO, Il diritto di essere se stessi, cit., 601-606.

52 Significativo in tal senso sebbene ad un livello più alto di generalizzazione, l’art.4 della Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli proclamata ad Algeri il 4 luglio1976: «Nessuno, per ragioni di identità nazionale o culturale, può essere oggetto dimassacro, di tortura, persecuzione, deportazione, espulsione, o essere sottoposto acondizioni di vita tali da compromettere l’identità o l’integrità del popolo a cui ap-partiene».

53 Si tratterebbe in fondo, secono alcuni, del «cruccio dell’illuminismo», e cioè dicome colmare il vuoto esistente tra identità soggettiva e identità sociale, tra ciò che siè o si vorrebbe essere e ciò che appare o ci è imposto dalla nostra struttura materialee dai condizionamenti sociali (S. AMATO, Sessualità e corporeità, cit., 137).

l’individuo […] 50», come tale soggetta ad una valutazione di «verità ofalsità» (così per esempio nel caso in cui il soggetto si candidi nelle li-ste elettorali di un partito); laddove invece la caratterizzazione di unsoggetto, per esempio, come comunista o fascista rientrerebbe nel-l’ambito dei giudizi di tipo fondamentalmente politico, che possonoessere corretti o no e, comunque, in ogni caso opinabili, in quanto ta-li appartenenti alla libertà di manifestazione del pensiero 51. Senzacontare poi, che in certi casi il riconoscimento di «etichette identita-rie» può essere rischiosa, potendo condurre a forme di discrimina-zione del soggetto 52.

In senso propositivo, si riteneva che l’«identità» sarebbe potuta es-sere forgiata o dallo stesso soggetto o attraverso una determinazione«autoritativa» da parte dai pubblici poteri (che a loro volta sarebberopotuti essere individuati rispettivamente nel potere legislativo o ese-cutivo o giudiziario): prospettazioni (peraltro, a ben vedere, rispon-denti alle note ideologie sfumanti dall’individualismo al collettivismo)che, tuttavia, apparvero da subito impraticabili nella misura in cui as-solutizzavano in modo pressoché esclusivo un solo punto di vista, l’in-dividuo o la collettività 53. Risultava comunque evidente l’impossibilità

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224 Introduzione allo studio dell’identità individuale

54 Su tale questione v. per tutti R. TOMMASINI, L’identità dei soggetti tra apparenza erealtà, cit., 85.

55 M. MARCHESIELLO, Il diritto all’identità personale, Atti del Convegno di Genova,cit., 10.

56 Cfr. in proposito A. FALZEA, Apparenza, in Enc. dir., II, Milano, 1958, 685.57 Così MARCHESIELLO, op. ult. cit., 10. Rende efficacemente l’idea la contrapposi-

zione filosofica di «Persona e Ombra», dove l’«Ombra» costituisce le infinite possibi-lità espressive del nostro inconscio che rimangono inaccessibili (cfr. A. CAROTENUTO,op. cit., 231).

di configurare un obbligo, in capo al soggetto, di apparire all’esterno«chi egli era» o «come egli era» in «verità», se non altro perché è deltutto dubbia la possibilità di raggiungere la piena percezione e com-prensione del sentimento di sé. Per altro verso, era lampante la man-canza di obblighi in capo questa volta ai terzi di rispettare modi di es-sere della persona del tutto fittizi o transeunti o del tutto soggettivi 54.

Inoltre, anche se l’ormai configurato «diritto alla riservatezza»sembrava non poter venire in aiuto, constatato che l’identità persona-le sembrava consistere nell’esatto opposto: «il timbro segreto della no-stra voce … nella piazza 55», tuttavia proprio il contrasto tra le due si-tuazioni rese evidente che affinché l’identità divenisse un fatto di pub-blico rilievo era necessario che essa venisse «proiettata esteriormen-te». Detto in altri termini, solo un «quid relazionale» 56, vale a dire lamanifestazione esteriore della personalità individuale, se, da un lato,avrebbe reso possibile l’opera di deduzione logica da parte di chi aves-se voluto ricostruire la portata di tale entità, dall’altro, avrebbe potu-to costituire l’unico aspetto di giuridico rilievo.

Si cominciò così col considerare l’identità personale giuridicamen-te rilevante quella componente del patrimonio interiore desumibileda fatti, situazioni e comportamenti riferibili al soggetto e oggettiva-mente accertabili secondo la comune esperienza, ponendo in luce i«rischi che la delimitazione precisa di una sfera dell’identità indivi-duali tutelabili e dei mezzi di tutela possono con sé portare, in quan-to questa operazione di delimitazione presuppone evidentemente ilsuo negativo, vale a dire l’esistenza data ad uno spazio non tutelabilein una zona più vasta e sfumata 57».

Il risultato fu la configurazione dell’«identità personale in sensosociale» come «diritto di ciascuno a non vedersi travisare la propria

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L’identità individuale nella dimensione sociale 225

personalità individuale 58» concretamente manifestata (si parla an-che in proposito di «proiezione esterna dei fatti della vita psichicadel soggetto 59»), e come situazione che il terzo è tenuto a ricompor-re secondo le regole logiche della ragionevolezza, vale a dire di quel-lo che è ragionevolmente lecito attendersi dall’operazione di dedu-zione logica svolta dell’uomo medio sulla base dei dati di fatto a di-sposizione 60.

Una simile conclusione, per quanto condivisibile, pare tuttavia di-mostrare come la ricostruzione del diritto all’identità nella sua di-mensione sociale richieda pur sempre valutazioni relativistiche, su-scitando problemi di grande spessore nella definizione dei suoi rap-porti con altre situazioni incentrate, come vedremo, sull’esercizio dilibertà costituzionalmente garantite 61.

4. Alla ricerca del fondamento normativo dell’identità personale

Circa il problema del fondamento normativo, la dottrina maggiori-taria, pressoché da subito, sembrò confermare l’insufficienza dellenorme di carattere particolare relative al diritto al nome e all’immagi-ne 62, o prescriventi il «rispetto della verità sostanziale dei fatti» o cor-

58 Pret. Roma, 6 maggio 1974, cit., 1809. 59 Così R. TOMMASINI, L’identità dei soggetti tra apparenza e realtà, cit., p. 88.60 Le disposizioni più frequentemente richiamate furono quelle sul diritto di retti-

fica (cfr. per esempio Pret. Roma, 2 giugno 1980, cit., e in alcune ordinanze Pret. Ro-ma, 11 maggio 1981, cit.); sul nome e sull’immagine (cfr. Pret. Roma, 30 maggio1980, cit.), e quelle poste a tutela del diritto d’autore e dell’identità sessuale, pur per-venendo, nella generalità dei casi, a ritenere che tali istituti giuridici, per quanto «af-fini» potessero essere al diritto all’identità personale, presentassero tuttavia elementidi discontinuità con esso (si veda a tal proposito Pret. Roma, 30 aprile 1981; Pret. Ro-ma, 6 maggio 1981; Pret. Roma, 11 maggio 1981, cit.) e soprattutto coprissero solo inparte il raggio di azione del diritto all’identità personale. Per quanto riguarda le dif-ferenze tra il diritto all’identità personale e gli altri diritti della personalità sul frontegiurisprudenziale si vedano, tra gli altri, Trib. Roma, 10 marzo 1982, cit.; Pret. Roma,2 giugno 1980, cit.; Trib. Roma, 27 marzo 1984, cit.

61 Sul «metodo di ricostruzione» e la rilevanza della «verità putativa» si veda M.DOGLIOTTI, in nota a Pret. Torino, 30 maggio 1979, in Giust. civ., 1980, I, 973.

62 Sui rapporti tra diritto di immagine e diritto all’identità personale, A. FIGONE,

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226 Introduzione allo studio dell’identità individuale

Tutela dell’identità personale e nuove prospettive in tema di diritto all’immagine, cit.,1264.

63 La distanza tra diritto all’identità e diritto di rettifica fu già messa in luce da chiper primo ne aveva colto le affinità col diritto di rettifica (A. DE CUPIS, I diritti della per-sonalità, cit., 401); più di recente si veda M. BILLI, op. cit., 184). Sul tema, Trib. Roma,7 novembre 1984. in Dir. inform. inf., 1985, 215-230 (con nota di V. RICCIUTO); Pret. Ro-ma, 12 novembre 1982 e Pret. Verona, 21 dicembre 1982, in Giur. it., 1984, I, sez. II,123-137 (con nota di M. DOGLIOTTI); in Foro it., 1983, I, 462-477 (con nota di E. ROPPO)e nella stessa rivista, pp. 234-240 con nota di R. PARDOLESI; in Dir. fam. pers., 1983, 153-184 (con nota di V. ZENO-ZENCOVICH); si veda lo stesso autore in Giust. civ., 1983, 1017-1021, Prime applicazioni delle nuove norme in materia di rettifica: innovazioni, confer-me e dubbi (nota a ord. Pret. Verona, 21 dicembre 1982; ord. Pret. Roma, 12 novembre1982); Pret. Roma, 2 giugno 1980, in Giust. civ., 1981, I, 632-637 (con nota di M. DO-GLIOTTI); e Pret. Roma, 12 settembre 1978, in Foro it., 1978, I, 2342, con osservazioniparzialmente critiche di R. Pardolesi.

64 Per una denuncia dell’insufficienza di tale prospettiva, cfr. S. RODOTÀ, Elabora-tori elettronici e controllo sociale, Il Mulino, Bologna, 1973.

65 R. TOMMASINI, L’identità dei soggetti tra apparenza e realtà, cit., 81.66 P. FOIS, Il diritto all’identità personale nel quadro dei diritti dell’uomo, Atti del

Convegno di Genova, cit., 43.67 P. FOIS, Il diritto all’identità personale, cit., 45.

relate all’obbligo di rettifica 63; o ancora delle norme di protezione deldiritto d’autore o di tutela dell’identità sessuale, in quanto ineludibil-mente tutte di carattere settoriale e difficili da dilatare su quel pianopiù vasto e complesso di cui si percepiva in fondo la necessità, e percui all’epoca sembrava non poter soccorrere la prospettiva offerta daldettato costituzionale 64.

Quasi naturalmente perciò si provò ad orientare lo sguardo sull’al-tro dei «livelli alti» che avrebbero potuto fornire la risposta, vale a di-re quello offerto dall’ordinamento internazionale, e, specificamente,verso la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e laConvenzione Europea dei diritti dell’uomo del 1950, in quanto ruo-tanti su una visione organica della persona umana.

Per quanto riguarda la Dichiarazione del 1948, fu richiamata l’at-tenzione sia, soprattutto, sull’art. 6 65, sia sull’art. 12 66, senza però far-si carico, a tacer d’altro, della portata non obbligatoria nell’ordina-mento interno di tale atto. Circa la Convenzione Europea, si cercò divalorizzare l’art. 8, espressamente votato alla tutela del diritto alla ri-servatezza 67, pur ammettendosi che «è molto meno agevole trovare

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L’identità individuale nella dimensione sociale 227

68 F. MANTOVANI, Il diritto all’identità personale e la tutela penale, in Atti del Conve-gno di Genova, cit., 130.

69 Per un primo approccio al diritto all’identità personale nel sistema Brasiliano sivisiti l’indirizzo telematico: http://www.jus.com.br/doutrina l’articolo di P.L. NETTO

LOBO, Danos morais e diritos de personalidade,di cui riportiamo il seguente stralcio:«O direito à identidade pessoal significa direito a ter nome, que é absoluto e inato. O no-me é composto de prenome e sobrenome. O prenome, simples ou composto, é indivi-dual, enquanto o sobrenome indica a procedência familiar. No Brasil, costuma-se com-por o sobrenome, sucessivamente, com os nomes das famílias materna e paterna, masnão há obrigatoriedade legal, pois apenas pode conter um ou outro. Na tradição ca-stelhana, são invertidos: primeiro vem o nome da família paterna. O novo Código Civil,equivocadamente, refere a “patronímico”, que significa derivado do nome do pai, aexemplo de Rodrigues, filho de Rodrigo […]». Sulla «codificazione dei diritti nelle recenticostituzioni» si veda E. CECCHERINI, Giuffrè, Milano, 2002.

un fondamento giuridico al diritto all’identità personale rispetto al di-ritto alla riservatezza, non foss’altro perché la stessa Convenzione Eu-ropea che prevede l’uno viceversa non sancisce l’altro 68».

Nonostante le difficoltà a fondare il diritto all’identità personalesulla scorta di norme di rango internazionale, queste ultime contri-buirono in qualche modo a rinforzare il convincimento (oltre che del-le ragioni di «opportunità giuridica») dell’indole e della rilevanza fon-damentalmente «costituzionale» del diritto all’identità personale, acui si aggiungevano ragioni di «opportunità», date dalla necessità didotare detto diritto del necessario rilievo per rendere possibile l’effet-tuazione di operazioni di bilanciamento con altri diritti di rango co-stituzionale.

Da questo punto di vista più immediata è stata la scelta compiutain altri ordinamenti che hanno costituzionalizzato direttamente «i di-ritti di identità personale». Ci riferiamo all’evidenza al Portogallo, lacui Costituzione, all’art. 26, comma 1, mettendo ancora una volta inluce il legame, se si vuole il «rapporto di strumentalità», tra compo-nenti identitarie e sviluppo della personalità individuale, riconosce «atutti» «i diritti all’identità personale, allo sviluppo della personalità,alla capacità civile, alla cittadinanza, al buon nome …» 69.

Nel nostro ordinamento, invece, mancando un riconoscimento adhoc del diritto all’identità personale, sono state percorse strade più«tortuose». In particolare, la disposizione costituzionale che, per lasua ampia formulazione in termini di principio, sembrò poter assol-

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228 Introduzione allo studio dell’identità individuale

70 Così (e per quanto segue) A. SOMMA, I diritti della personalità e il diritto generaledella personalità nell’ordinamento privatistico della Repubblica Federale Tedesca, inRiv. trim. dir. e proc. civ., 1996, 807-835.

Anche in Germania si è trattato di un diritto di creazione prettamente giurispru-denziale, elaborato, come nel nostro paese, nell’assenza pressoché completa di rife-rimenti legislativi che non fossero quelli ricollegabili alla clausola generale del dirit-to generale della personalità, «fondato» sulla Legge fondamentale (inoltre, altra ana-logia con il nostro paese, nell’ordinamento tedesco l’unico diritto della personalitàspecificamente contemplato dal BGB è il diritto al nome).

Così come è accaduto nel nostro ordinamento, anche nel sistema tedesco l’ap-proccio monista fu inizialmente contestato dagli autori maggiormente «restii» adammettere un’efficacia delle norme superprimarie in campo privatistico. Ciò nono-stante, esso fu per la prima volta impiegato dalla giurisprudenza di legittimità giànella metà degli anni Cinquanta, in un caso di divulgazione a mezzo stampa di un te-sto con tagli ed omissioni che modificavano il significato dello scritto. La fattispeciefu sanzionata considerando la pubblicazione non autorizzata un’illecita intromis-sione nella sfera privata dalla quale deriva – se pure non un’offesa all’onore – quan-to meno un’ipotesi di alterazione dei tratti caratterizzanti la personalità dell’interes-sato.

Un numero cospicuo di successive pronunce contribuirono poi a consolidare talerotta, definendo in via giurisprudenziale il diritto generale della personalità come ildiritto del singolo ad ottenere riguardo per la propria dignità e a formare autonoma-mente la propria individualità. Ad oggi, il diritto generale della personalità pare esse-re una salda ed incontestabile acquisizione dell’ordinamento tedesco, al punto che lagiurisprudenza richiama talvolta il solo § 823, comma 1, BGB, omettendo oramaiqualsiasi riferimento al dettato costituzionale.

vere meglio allo scopo fu, come visto, l’art. 2 Cost., interpretato ed uti-lizzato secondo uno schema che si segnala per i punti di contatto chepresenta con l’elaborazione del diritto all’identità personale compiutanel sistema tedesco.

Sul punto ci si limita a rilevare che in quest’ultimo ordinamento,assecondando l’approccio monistico ai diritti della personalità, già daalmeno quattro decenni è stata riconosciuta l’esistenza giuridica di ungenerale diritto (allgemeines Persönlichkeitsrecht) della personalitàumana, nelle sue innumerevoli ed incatalogabili manifestazioni, il cuifondamento è rappresentato dal combinato disposto degli artt. 1,commi 1 e 2, comma 1 Grungesetz ed il § 823, comma 1, del BGB, chechiude l’elencazione del beni oggetto di tutela con l’espressione «altrodiritto», offendo così un importante strumento di rilettura del codicealla luce dei valori costituzionali 70.

Nell’ambito dell’allgemeines Persönlichkeitsrecht è possibile dunque

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71 F. MANTOVANI, Il diritto all’identità personale e la tutela penale, in Atti del Conve-gno di Genova, cit., 132.

72 Ciò considerato, desta qualche perplessità la tendenza giurisprudenziale voltaad ampliare (da subito: v. Pret. Roma, aprile-maggio 1981, cit.) il raggio d’azione deldiritto all’identità personale riconoscendone l’applicabilità (e conseguentementeestendendone la tutela), a entità giuridiche diverse dalle persone fisiche in via pres-sochè automatica, prescindendo da qualunque analisi sulla lesione e il coinvolgimen-to, quanto meno «riflesso», della personalità individuale. In tal senso, per esempio, idue casi – risolti peraltro diversamente – Pret. Roma, 16 giugno 1989 e Pret. Roma,

riconoscere un interesse perfettamente assimilabile al diritto all’iden-tità personale in senso sociale. In particolare, la giurisprudenza tede-sca ha individuato un Recht auf Identität, che risulta violato quando siattribuiscono a un soggetto opinioni che ne rendono un’immaginenon corrispondente alla realtà. La tutela richiede un duplice presup-posto: il primo è ovviamente che le opinioni o i fatti attribuiti all’inte-ressato siano falsi o inesatti (e ciò dovrà essere provato dall’interessa-to stesso); il secondo è che tali fatti o opinioni non siano propriamen-te infamanti, perché in tal caso sarebbe applicabile la disciplina di tu-tela dell’onore.

Ripercorrendo, dunque, queste orme, nel nostro ordinamento si ècominciato col rilevare che, nella logica di un ordinamento personali-stico, l’interesse all’identità personale avrebbe trovato la ragione natu-rale di un suo riconoscimento, a prescindere da sue esplicite enuncia-zioni, «nella stessa concezione della persona umana come valore eticoin sé, non manipolabile da chiunque e non strumentalizzabile in vistadi qualsiasi finalità 71». Ciò in contrapposizione alla logica fatta pro-pria dagli ordinamenti utilitaristico-totalitari, specie nelle più pene-tranti ed assolutistiche forme moderne, in cui l’interesse all’identitàpersonale troverebbe la causa del suo sostanziale disconoscimento (aprescindere da formali enunciazioni di diritti e delle libertà dell’uomo,che in genere non mancano) nella irrinunciabile prerogativa dello Sta-to di investire e far propria l’intera esistenza dei sudditi, in vista di unloro globale impossessamento ideologico.

Al contrario, col porre al primo posto della gerarchia dei valori lapersona umana, nella sua duplice dimensione individuale e sociale, lanostra Costituzione avrebbe elevato a vero e proprio diritto costitu-zionale l’interesse all’identità personale in ambito sociale «ricono-scendo ad esso una tutela diretta» 72.

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230 Introduzione allo studio dell’identità individuale

Di qui l’obiezione mossa da chi sostiene che «il diritto all’identitàpersonale come diritto ad essere identificato come persona in sensosociale, di cui sarebbe espressione anche il diritto al nome, sembrauno strumento un po’ tortuoso che tende ad occultare un movimentogiurisprudenziale reale in atto e sembra segnare anche un ritorno al-la concezione del diritto unitario della personalità di cui nome, im-magine e onore sarebbero espressioni particolari» 73.

In effetti, la tendenza a fondare direttamente il diritto all’identitàpersonale nell’art. 2 Cost. 74 sembra in qualche caso sottovalutare il

26 ottobre 1989, cit., 199-210; si vedano anche, successivamente, Corte Cass., 10 lu-glio 1991, in Giust. civ., 1991, 1955; Trib. Roma, 26 aprile 1991, in Giur. it., 1992, II,sez. II, 187-200 (con nota di M.A. LIVI), e in Dir. inform. inf., 1991, 873-878 (con notadi M. CLEMENTE); e Trib. Roma, 13 aprile 1995, in Dir. inform. inf., 1995, 663-681 (connota di A.M. LERRO).

Per questa strada il Tribunale di Roma è giunto a estendere «la garanzia dei dirit-ti del singolo, riconosciuti come inviolabili dall’art. 2 della Costituzione» anche all’Or-dine dei commercialisti di Roma, riconoscendo loro la legittimazione ad agire per ot-tenere la tutela (anche risarcitoria) del diritto all’identità personale (Trib. Roma, 28febbraio 2001, in Dir. inform., 2001, 464-484, con nota di G. PINO). Contra Trib. Ro-ma, 15 settembre 1984 (Foro it., 1984, I, 2592-2600) e Trib. Milano (7 ottobre 1993, inDir. ind., 1994, 791-793; e in Riv. dir. comm., 1995, II, 99), secondo cui la lesione deldiritto all’identità personale può essere ravvisata non in qualsiasi inesatta rappresen-tazione di vicende comunque collegate ad una determinata persona, ma soltanto inquelle inesatte rappresentazioni della realtà comportanti una distorsione della perso-nalità dell’interessato; cfr. inoltre Corte App. Roma, 6 ottobre 1986, in Dir. inform.inf., 1987, 214-218. Sulla tutela dei segni distintivi e dell’identità personale-politicadei partiti politici si vedano, più di recente, le ordinanze del Tribunale di Cagliari del17 aprile 1998 e del 28 febbraio 2000, la prima delle quali ha affermato che la tuteladei segni distintivi di un partito politico è subordinata ai requisiti della novità e delpreuso mentre il secondo ha stabilito che la tutela della denominazione di un partitopolitico è subordinata ai requisiti della non confondibilità e della novità (in Riv. giur.sarda, I, 2001, 364-376, con nota di A.M. MANCALEONI).

In dottrina, favorevole all’estensione, G.B. FERRI, Privacy e identità personale (notaa Pret. Roma, 30 aprile 1981 e a Pret. Roma, 11 maggio 1981), in Riv. dir. comm. e deldir. gen. obbl., 1981, II, 379-389; e propenso alla configurabilità della tutela di un di-ritto all’identità personale dei gruppi organizzati G. GIACOBBE, In tema di elaborazionegiurisprudenziale del diritto alla identità personale dei gruppi organizzati, in Giust. civ.,1980, 266-271.

73 Così G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, cit., 387.74 Così, per esempio, F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., 184.Richiamano direttamente l’art. 2 Cost.: Pret. Roma, 11 maggio 1981, cit.; Pret. To-

rino, 30 maggio 1979, cit.; Trib. Roma, 10 marzo 1982, cit.; Pret. Roma, 27 marzo

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1984, cit.; Pret. Roma, 30 aprile 1981, cit.; Pret. Roma, 6 maggio 1981, cit.; Pret. Ro-ma, 11 maggio 1981, cit. Indichiamo inoltre Trib. Napoli, 21 marzo 1994, in Dir.inform. inf., 1994, 1029-1033. Trib. Verona, 26 febbraio 1996, cit.; Trib. Roma, 29 giu-gno 1998, cit.; Trib. Roma, 18 giugno 1997, in AIDA, 1997, 940.

Specie negli ultimi tempi viene sempre più frequentemente omesso qualunque ri-ferimento a norme positive (al più citando la sentenza della Corte di Cassazione del1985) ritenendo il richiamo all’art. 2 Cost., probabilmente, ormai implicito (in nota aTrib. Roma, 18 giugno 1997 si rileva confermata la «tendenza delle corti a ricom-prendere sotto l’ombrello dell’art. 2 tutte quelle situazioni che non ricevanoun’espressa tutela da altra norma dell’ordinamento»). Richiamano l’art. 2 Cost. conaltre norme specifiche a seconda del profilo identitario di volta in volta considerato:Corte Cass., 22 giugno 1985, n. 3769, cit.; Trib. Roma, 9 giugno 1993, in Dir. inform.inf., 1993, 972; Trib. Milano, 7 ottobre 1993, in Dir. ind., 1994, (con nota di S. SANDRI),791 e in Riv. dir. comm., 1995, II, 99; Trib. Roma, 13 aprile 1995, cit.

Fanno invece riferimento al combinato disposto degli artt. 2 e 3 Cost.: Pret. Roma,2 giugno 1980, cit.) e Pret. Varese, 27 gennaio 1986, Dir. inform. inf., 1986, 553. In dot-trina i legami tra gli artt. 2 e 3 Cost. sono stati evidenziati da ultimo da R. CORDONE, Ildiritto all’identità personale, in Nuovi diritti della persona e risarcimento del danno, cit.,372.

Infine, richiama indirettamente l’art. 21 Cost. Trib. Roma, 27 marzo 1984, cit.75 Così A. PACE, Il c.d. diritto all’identità personale e gli artt. 2 e 21 della Costituzio-

ne, in Atti Convegno Genova, cit., 37.

fatto che non tutti i profili identitari hanno il medesimo rilievo, inparticolare, che non tutti possono considerarsi «svolgimento dellapersonalità», visto che molti sono «semplici» attributi identitari. Co-me dire, per esempio, che il riconoscimento della mia «fede» sportiva,anche volendo passare per il tramite del mio nome, è un diritto invio-labile? Del resto, per questa strada qualunque manifestazione di sé, inquanto entrante a far parte del patrimonio ideologico della persona,finirebbe per essere assistita dalla garanzia dell’inviolabilità.

Più in generale, poi, sembra dubbia la correttezza della ricostruzio-ne stessa dell’identità personale in senso sociale come un diritto sog-gettivo a tutti gli effetti, non solo perché la sua tutela è andata affer-mandosi, come già visto, sostanzialmente «in negativo», ossia comereazione a travisamenti della propria immagine sociale, ma anche (epiù decisivamente), accogliendo il monito a non utilizzare l’art. 2 Co-st. «quel cappello a cilindro da cui chiunque trae nuovi diritti, come iconigli del prestigiatore 75», dato che dall’affermazione dell’efficaciainterprivata di un diritto fondamentale, scaturisce – con uguale effica-cia – l’esistenza di corrispondenti obblighi a carico degli altri cittadini,

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76 A. PACE, Il diritto all’identità personale, in Atti del Convegno di Genova, cit., 39; siveda anche, dello stesso autore, Il c.d. diritto all’identità personale e gli artt. 2 e 21 del-la costituzione, in Giust. civ., 1980, 409-412. Si veda anche Trib. Roma, sent. 15 set-tembre 1984, in Foro it., I, 1984, 2592.

in violazione del numero costituzionalmente chiuso dei doveri costi-tuzionali.

5. Segue: l’identità personale da «limite interno» all’art. 21 Cost. aproiezione della «pari dignità sociale» ex art. 3 Cost.

La constatazione del forte legame sussistente tra «diritto all’iden-tità personale in senso sociale» e libertà di manifestazione del pensie-ro, ha invece portato parte della dottrina ad individuare un fonda-mento normativo indiretto del diritto all’identità personale nell’art. 21Cost., come limite alla libertà di manifestazione del pensiero: «la li-bertà di dire, non dire, parlare come quando si voglia, è cosa ben di-versa dalla libertà di mentire, che non trova copertura costituzionalenell’art. 21 non già perché la Costituzione lo vieti esplicitamente maperché, come insegnava l’Esposito, la garanzia copre le sole manife-stazioni del “proprio” pensiero, e il subiettivamente falso non è il pro-prio pensiero 76».

Da questo punto di vista la rilevanza giuridica dell’identità perso-nale finisce per coincidere con un limite ontologico alla libertà di ma-nifestazione del pensiero. Tale approccio se, da un lato, presenta ilpregio di definire l’ambito di applicazione del diritto all’identità per-sonale, dall’altro sembra chiudere definitivamente la discussione cir-ca un suo eventuale autonomo fondamento positivo. In questo senso,considerata la problematica percorribilità di una tutela offerta dal-l’art. 2 Cost., il «subiettivamente falso» circa l’identità personale di unsoggetto si troverebbe, è vero, al di fuori dell’ambito coperto dalla ga-ranzia dell’art. 21 Cost., con la conseguenza tuttavia di lasciare sguar-nito, al di fuori delle ipotesi più gravi di commissione di un reato edelle altre indicate dalla legge, quello stesso soggetto la cui identitàpersonale sia stata lesa.

Per ovviare ad una simile conclusione che, se condivisa, sarebbe in-dubbiamente iniqua (come testimonia in maniera cospicua tutta l’elabo-

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77 Cfr. A. SCALISI, Il valore della persona nel sistema e i nuovi diritti della personalità,Giuffrè, Milano, 1990, 178.

78 Così F. MACIOCE, Diritto di rettifica e identità personale (nota a Pret. Roma, 12gennaio 1984), in Giur. it., 1984, I, sez. II, 508.

79 Così G. ROLLA, La tutela costituzionale dei diritti, cit., 35.

razione giurisprudenziale tesa a risarcire in vario modo la persona offe-sa nella sua identità), si dimostrerebbe dunque la perdurante opportu-nità di rinvenire un fondamento positivo idoneo a sorreggere le preteserisarcitorie del soggetto.

Ora, se è vero che né il principio della pari dignità né quello dieguaglianza risultano avere la capacità di fondare immediatamente edirettamente diritti soggettivi (senza cioè l’interpositio legislatoris) 77,altrettanto indiscutibile è che di tali principi debba essere garantito ilrispetto. D’altro canto, come è stato osservato con riguardo alla stam-pa, l’espressa previsione dell’art. 21 Cost. del limite del buon costumenon ha impedito «ormai da tempo di ritenere operanti ulteriori limitiall’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero. In genere in-dividuato negli artt. 2 e 3 della Costituzione 78».

Ci si chiede cioè, se la lesione della «pari dignità» debba necessa-riamente ricollegarsi soltanto alle (ormai classiche) ipotesi di offesadell’onore e della reputazione o non possa più ampiamente com-prendere il «mero» screditamento e anche il senso insieme di di-spiacere e di frustrazione derivante dall’ingiustizia subita, vale a di-re dal fatto stesso di essere stato falsamente o incoerentemente raf-figurato, e messo arbitrariamente in falsa luce agli occhi delle altrepersone.

Detto ancora altrimenti, è possibile considerare che l’attitudinedell’art. 3, comma 1, Cost. a funzionare non solo come «criterio ge-nerale di interpretazione», ma anche come «limite assoluto all’eser-cizio di altri diritti 79», possa arrivare al punto da costituire un argi-ne alle forme di travisamento della persona compiute da altri sog-getti. Se così fosse, sarebbe plausibile individuare direttamentenell’art. 3, comma 1, Cost. il fondamento della legittima reazione atravisamenti di sorta del diritto all’identità personale in senso so-ciale.

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234 Introduzione allo studio dell’identità individuale

80 Si potrebbe quindi ripetere con G. RASI «che la protezione dei dati personali co-stituisca una costellazione di diritti con una finalità: la tutela della dignità della per-sona umana» (cfr. il Comunicato stampa del 4 novembre 2004, Rasi, il nuovo codicesulla protezione dei dati personali tutela la dignità della persona), riecheggiando del re-sto quanto previsto, ancor prima della Carta di Nizza del 2000 – dall’art. 6 della Riso-luzione del Parlamento Europeo del 12 aprile 1989 dedicato al fascio di diritti ruo-tanti intorno alla protezione dell’identità e della riservatezza personale.

81 Citiamo, per esempio, in proposito il caso affrontato da Trib. Milano, sez. lav.,6 dicembre 2000 (su cui C. SCHETTINI, Budget aziendale tra diritto al nome ed esigenzadi trasparenza, in Riv. critica dir. lav., 2001, 142-144 e C. OGRISEG, Diritto del lavorato-

6. Tendenze evolutive: il «Codice della privacy» tutela anchel’identità personale

Del resto, assai prossimo a quest’ordine di idee, ci pare quantoespresso dalla disciplina di tutela dei dati personali, dato che l’art. 2del Codice della privacy prevede appunto che il trattamento dei datipersonali debba svolgersi nel rispetto dei diritti e delle libertà fonda-mentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferi-mento, tra l’altro, all’identità personale (oltre che alla riservatezza e aldiritto alla protezione dei dati personali) 80. Anzi, questa stessa disci-plina dimostra come il legislatore si sia dotato di un potere confor-mativo di diritti «nuovi» in grado di più adeguatamente attuare prin-cipi costituzionali di fronte all’evoluzione sociale e tecnologica.

La rinnovata consapevolezza del fatto che le tecnologie della comu-nicazione e dell’informazione manifestano una sorta di «naturale» ten-denza ad entrare in conflitto con la sfera di autonomia privata indivi-duale ha condotto infatti al riconoscimento di una serie di facoltà chenel loro complesso risultano idonee a configurare se non una sorta didiritto all’autodeterminazione informativa, quanto meno un potere digestione del proprio patrimonio informativo personale da parte delsoggetto che ne è titolare.

A questo soggetto sono state dunque attribuite quattro fondamen-tali facoltà (le «4C» potremmo chiamarle): di conoscenza, di conser-vazione, di corrispondenza, di correttezza dei dati che lo riguardano.

Il potere di «conoscere» il proprio dato presuppone innanzitutto il fat-to di conoscerne l’esistenza ed il contenuto. Ma la legge riconosce ancheil diritto alla conservazione «corretta» e temporanea della propria infor-mazione personale, il che implica la possibile pretesa di riservatezza 81, al

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L’identità individuale nella dimensione sociale 235

punto estremo dell’anonimizzazione 82, e il diritto di pretenderne, adeterminate condizioni, la cancellazione 83. In terzo luogo riconoscela possibilità di mantenerne la «corrispondenza» aggiornandone di

re al nome e diritto a non farlo conoscere a terzi, in Riv. it. dir. lav., 2001, II, 284-291),che ha affermato che la prassi relativa all’obbligo aziendale dei dipendenti di esporreun budget con le loro generalità per garantire la trasparenza dei rapporti tra cliente edipendente dell’azienda si configura come un abuso del nome altrui.

82 La Raccomandazione n. 3 del 1997, adottata il 3 dicembre 1997 dal Gruppo perla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, pur con-siderando, da un lato, il diritto all’anonimato, «essenziale se si vogliono mantenere nelciberspazio i diritti fondamentali alla riservatezza e alla libertà di espressione» ha fi-nito poi per stemperare il medesimo principio affermando che la capacità di parteci-pare e comunicare in Rete senza rivelare la propria identità contrasterebbe con le ini-ziative che vengono attualmente sviluppate a sostegno di altri settori importanti comela lotta contro il contenuto illegale e nocivo, le frodi finanziarie e il diritto d’autore. Diqui il raggiungimento del compromesso incorporato nella proposta che le restrizionidel diritto all’anonimato siano «giustificate, necessarie e proporzionate». La medesi-ma tensione tra questi due «poli» è riscontrabile nella direttiva n. 31/2000/CE e, in am-bito interno, nella legge 7 marzo 2001, n. 62, «recante nuove norme sull’editoria e suiprodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416», che ha dato un primoinquadramento giuridico ai prodotti editoriali pubblicati su supporto elettronico, pre-vedendone la registrazione.

Quest’ultimo approccio è stato tuttavia smentito dal Regolamento per l’organizza-zione e la tenuta del Registro degli operatori della comunicazione approvato il 27 giu-gno 2001 il cui art. 2 prevede che l’obbligatorietà all’iscrizione dei (soli) «editori aiquali si applica la medesima ripartizione prevista per i soggetti […] che pubblicanocon regolare periodicità una o più testate giornalistiche in formato elettronico e digi-tale». Linea confermata anche dal successivo decreto n. 70 del 2003, di recepimentodella direttiva n. 2000/31/CE.

Nuovamente vicina all’approccio fatto proprio dalla legge del 2001 pare essere larecente la legge 15 aprile 2004, n. 106 che, «addolcendo» la prescrizione attraverso iltitolo: «norme relative al deposito legale dei documenti di interesse culturale destina-ti all’uso pubblico», all’art. 4, tra i documenti destinati al deposito legale, ha ricom-preso anche, al punto r), i documenti diffusi tramite Rete informatica.

83 Ricordiamo in proposito le critiche suscitate dal c.d. «decreto di Natale» (D.L.n. 354 del 2003) che all’art. 3 «Modifiche all’articolo 132 del D.Lgs. n. 196 del 2003»,prevedeva la conservazione da parte del fornitore dei dati relativi al traffico per fina-lità di accertamento e repressione dei reati per trenta mesi, più ulteriori trenta mesi«esclusivamente per finalità di accertamento e repressione dei delitti di cui all’art.407, comma 2, lett. a) c.p.c., nonchè dei delitti in danno di sistemi informatici e tele-matici»: lasso di tempo ritenuto eccessivo dallo stesso Garante dei dati e per questodiminuito a ventiquattro mesi (più eventuali altri ventiquattro) dalla legge di conver-sione n. 45, del 26 febbraio 2004.

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236 Introduzione allo studio dell’identità individuale

continuo i contenuti, il che a sua volta presuppone il riconoscimentodi poteri di rettifica, di integrazione; nonché, non ultimo, il fonda-mentale diritto di pretendere la «correttezza» del trattamento e delladiffusione del dato, ovvero la richiesta di consenso al trattamento «exante» e il rispetto del proprio dato da parte degli altri «ex post» (vale adire, una volta «ceduto» il dato), al punto di poter richiedere, nei casiestremi, il blocco del trattamento.

A quest’ultimo proposito, dopo l’entrata in vigore della legge n. 675del 1996, la riconduzione alla sua sfera di applicazione della diffusio-ne di notizie riguardanti «persone fisiche» è stata generalmente ac-colta, al punto da definire tale legge, peraltro non del tutto propria-mente, come «legge dei giornalisti» 84.

Invero, qualche dubbio sull’ambito di applicazione della legge n. 675del 1996, in particolare, se dovesse essere interpretata restrittivamente,vale a dire come limitata a garantire la liceità del trattamento «tecnicodei dati» oppure in senso ampio, a tutela anche del prodotto finale deltrattamento stesso, non è mancato, ed anzi ha trovato talvolta rispostapositiva da parte dei giudici 85. Tuttavia la Corte di Cassazione ha avutomodo di chiarire che l’attività del Garante si espleta non solo al momen-to dello svolgimento dell’attività «materiale» di reperimento del dato, maaltresì durante la fase di diffusione, allorquando i «singoli dati» vengonoricomposti dando vita alla rappresentazione finale 86.

84 L’(ormai) inscindibile rapporto tra trattamento del dato ed informazione (comeinsieme di dati) ha indotto l’Autorità Garante nel giugno di quest’anno ad interveniresul delicato rapporto tra privacy e giornalismo con un documento integrativo dei notilimiti generali al diritto di cronaca che la giurisprudenza ordinaria considera ormaistabilizzati, affrontando le principali problematiche emerse in seguito all’applicazionedel codice deontologico dei giornalisti a sei anni dalla sua entrata in vigore (si veda ilComunicato stampa dell’11 giugno 2004 che contiene anche il link al documento).

85 Ci riferiamo a Trib. Milano, 14 ottobre 1999 (su cui P. VARI, Il Tribunale di Milano,limita i poteri del Garante per la protezione dei dati personali in materia di diffusione a fi-ni giornalistici, in Giust. civ., 2000, II, 1517-1526; e S. MELCHIONNA, Caso Olcese: identitàpersonale, riservatezza e diritto di cronaca, in Giur. it., 2000, 2297-2301), che ha afferma-to la non riconducibilità della disciplina sul trattamento dei dati personali ad uno “sta-tuto generale della persona” (sebbene nel limitato dettore giornalistico) considerandolesiva dell’art. 21 Cost., il divieto preventivo (disposto dal Garante) alla diffusione di da-ti personali, anche se erronei o lesivi, in quanto attività di censura della stampa, cometale vietata dalla citata norma costituzionale.

86 Così Corte Cass., sez. I, 30 giugno 2001, n. 8889, in Foro it., 2001, I, 2448; in Cor-

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L’identità individuale nella dimensione sociale 237

Ad oggi, pertanto, nel novero degli strumenti di tutela del diritto al-l’identità personale, anche nel più limitato ambito giornalistico, oc-corre annoverare altresì il Codice della privacy: rimedio alternativo aquello del ricorso alla giustizia ordinaria e estremamente rapido 87.Del resto risulta ormai essere copiosa la giurisprudenza del Garantein materia, esorbitando dai confini dell’attività giornalistica (sebbene,percentualmente tale bene giuridico risulti essere violato maggior-mente dai «professionisti della comunicazione», anche solo «occasio-nalmente 88») per coinvolgere altri settori. Ricordiamo per esempio ilcaso in cui il Garante accertò l’avvenuta violazione dell’identità perso-nale di un magistrato dovuta alla circolazione nell’ambiente di lavorodella notizia di una sanzione disciplinare che gli era stata applicata di-versi anni prima e che non era legata da alcun valido nesso alla fina-lità propria della lettera circolare, riconoscendo l’illegittimità delladiffusione di questa informazione 89.

riere giur., 2001, 1299; in Guida al dir., 2001, fasc. 28, 40 (su cui si veda, tra gli altri,M. GRANIERI, Brevi note (para)giurisdizionali sulla giurisprudenza “Olcese”, in Foro it.,2001, I, 2457-2459).

87 La giurisprudenza del Garante in materia di attività giornalistica è ormai co-piosa: citiamo le decisioni del 14 ottobre 1997, «divulgazione di notizie relative ad unrinvio a giudizio» (si veda anche, in proposito, A. ORESTANO, Archiviazione, trattamen-to automatizzato e tutela dei dati personali, in Danno e resp., 2000, 421-426); del 25 ot-tobre e del 19 dicembre 2001: «attività giornalistica, è lecita la pubblicazione di una ri-chiesta di rinvio a giudizio»; del 7 giugno 1998: «divulgazione di dati relativi ad un mi-nore coinvolto in un procedimento penale»; del 2 dicembre 1998: «divulgazione di datirelativi a persone estranee all’inchiesta giudiziaria»; del 19 aprile 1999: «richiesta di ret-tificazione dati personali»; del 3 settembre 2001: «è lecita la pubblicazione di fotografiedi persone note in ambito locale»; del 28 settembre 2001: «pubblicazione occasionale diuna casa editrice»; e del 30 ottobre 2001: «pubblicazione su un quotidiano di dati con-tenuti in una sentenza» (tutte reperibili, tra l’altro, all’indirizzo telematico del Garan-te dei dati (v. nota 31, cap. II).

88 Cfr. Comunicato 28 settembre 2001, Attività giornalistica, Pubblicazione occa-sionale di una casa editrice.

89 Su cui M. CUNIBERTI, Riservatezza e identità del magistrato tra Consiglio superio-re della magistratura e Garante per la protezione dei dati personali, in Giur. cost., 2001,1768-1784; di segno opposto, Provvedimento del Garante dei dati 9 marzo 2000 (sucui P. CHIECO, Diffusione delle sanzioni disciplinari e privacy del lavoratore pubblico, inIl lav. nelle pubbl. amm., 2001, 413-420).

Per una rassegna sugli orientamenti giurisprudenziali espressi dal Garante e dal-l’autorità giudiziaria in ordine ai principali aspetti della privacy prima dell’entrata in

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vigore del testo unico, S. PERON, Rassegna di giurisprudenza in materia di privacy (an-che alla luce del codice della privacy che entrerà in vigore il 1° gennaio 2004), in Resp.civ. previd., 2003, 999-1024.

90 La Corte di Cassazione ha affermato che in caso di lesione della reputazionecommessa via Internet, il foro alternativo di cui all’art. 20 c.p.c. è quello in cui ha ildomicilio il danneggiato quando egli agisca in giudizio per il risarcimento di dannipatrimoniali e morali, considerato che il domicilio, in quanto sede precipua degli af-fari e degli interessi, è il luogo principale in cui verosimilmente si sono verificati glieffetti negativi dell’offesa (Corte Cass., sez. III, 8 maggio 2002, n. 6591, in Foro it.,2002, I, 1982).

91 Si veda in proposito P. COSTANZO, in L’informazione, cit., 140; sulla difficile pon-derazione di valori tra il diritto all’informazione e alla vita privata, G. ROLLA, El difícilequilibrio entre el derecho a la información y la tutela de la dignidad y la vida privada,cit., 160 ss.

92 Cfr. S. RODOTÀ, Tecnopolitica, cit., 144.

Guardato da questo versante, il diritto all’identità personale si rias-sume nel potere di controllare, per la precisione di controllare la cor-rettezza, della circolazione delle proprie informazioni, il che sembraessere tanto più notevole laddove si rifletta sul fatto che un ulterioremodo di ledere il senso di dignità altrui consiste nel pubblicare il mes-saggio travisante, magari corredandolo di foto, filmati e quant’altro,in una bacheca elettronica, in una chat room, o in un forum di discus-sione, piuttosto che in un sito web creato appositamente per diffonde-re materiali che travisano la personalità di una determinata personain ogni parte del mondo 90.

Anzi, in quest’ultimo caso, poi, oltre alla potenziale permanenzadella violazione (propria, come visto, della maggior parte dei mezzi dicomunicazione tradizionali), si aggiunge la capacità diffusiva globaledegli strumenti più tecnologici, con ciò portando alle estreme conse-guenze le possibilità di conflitto tra i diritti della personalità e la li-bertà di manifestazione del pensiero 91.

Ma anche senza arrivare a queste forme di travisamento e scredita-mento estreme, occorre prendere atto del fatto che la stessa fram-mentazione, informativa ed informatica, della persona porta a rap-presentazioni della stessa in tanti contesti diversi: «l’unità della perso-na viene spezzata» ed al suo posto troviamo tante «persone elettroni-che», tante persone quanti sono gli interessi che spingono alla raccol-ta delle informazioni di volta in volta considerati 92. Così il mito di

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L’identità individuale nella dimensione sociale 239

93 Per quanto riguarda invece l’inserimento di dati non veri, F. ROSELLI, Responsa-bilità civile per memorizzazione di massime o abstracts infedeli, in Giur. it., 1983, 2, IV,254-258.

Narciso che si compiace della propria immagine riflessa nell’acqua,stavolta guardandosi senza riconoscersi, e quindi raddoppiandosi, tri-plicandosi, moltiplicandosi in un labirinto di specchi, e cercandosi ri-mandando il proprio profilo all’infinito, come in un quadro di Du-champ, in un’alternanza d’inquietanti simmetrie, parrebbe oggi esse-re tra le immagini che dipingono l’identità di ciascuno di noi (De Gia-como).

Tale situazione aumenta a dismisura non solo, come visto, le op-portunità di spossessamento, ma altresì di travisamento dell’identitàpersonale stessa, considerato che ogni singolo trattamento può pro-durre un’immagine profondamente distorta della persona: vale a dire,la lesione della sua identità personale.

7. Segue: l’identità personale ed il divieto di trattamento automa-tizzato di dati personali

Uno dei limiti degli insiemi di dati personali contenuti nelle banchedati consiste dunque nella fissità e nella frammentarietà della perce-zione del soggetto 93, che è all’origine del fatto per cui l’individuo nonviene compreso e conosciuto per quello che realmente manifesta, maper quello che risulta essere nell’archivio dei suoi dati, in molti casi noncompleti, non del tutto aggiornati o contenenti informazioni fallaci.

Tale situazione sarebbe cambiata con l’avvento di internet: attra-verso questo strumento il modello di informatizzazione del soggettosarebbe stato, infatti, praticamente sovvertito dalla circostanza chel’individuo in Rete è costantemente presente (se vuole) con tutta la suapersonalità e con la sua identità. Da questo punto di vista l’identità te-lematica sarebbe dunque molto più «simile» a quella reale di quantonon lo sia quella informatica, proprio perché ogni “navigatore” in Re-te aggiornerebbe praticamente in tempo reale i dati contenuti nellemoderne banche dati digitali che diverrebbero così «specchio fedele»della sua identità attuale, il che farebbe di internet un luogo privile-giato di rappresentazione del soggetto.

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240 Introduzione allo studio dell’identità individuale

94 Su cui E. PELLECCHIA, Tutela della privacy (legge 31 dicembre 1996, n. 675), in Lenuove leggi civ. comm., 1999, I, 459-478.

95 Cfr. S. RODOTÀ, Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla pro-tezione dei dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 1997, 606.

Tuttavia, ciò detto, occorre ancora una volta rilevare non solo laparzialità che nella generalità dei casi riguarda la raccolta di questo ti-po di informazioni, ma anche e soprattutto che si tratta pur sempre diuna identità fittizia, affatto equiparabile a quella manifestata nelmondo reale.

Si è parlato, in proposito, di «astrazioni nel ciberspazio», di «clonielettronici», di «persone virtuali»: tutte immagini che rendono benel’idea della mancanza di quel quid pluris dato dalla differenza traidentificazione personale ed identità, e cioè dalla presa d’atto che l’in-dividuo non è dato dalla semplice somma – né tanto meno dalla som-ma parziale – delle informazioni che lo riguardano, essendo tale solose, ed in quanto, complessivamente considerato, vale a dire se valuta-to nella sua individualità.

Di qui l’importanza della previsione fatta propria dall’art. 14 delD.Lgs. n. 196 del 2003 (che ha ripreso l’art. 17 della legge n. 675 del1996 94), in base al quale nessun atto o provvedimento giudiziario o am-ministrativo che implichi una valutazione del comportamento umanopossa essere fondato unicamente su un trattamento automatizzato didati personali volto a definire il profilo o la personalità dell’interessato.

Al momento valutativo, del “giudizio” altrui, vale a dire all’atto diesplicazione di una delle più elevate e delicate attività umane, all’indi-viduo è riconosciuto il diritto di essere considerato nel suo complessi-vo essere “persona” ed al contempo “personalità”. Riportato nella di-mensione tecnologica, ciò comporta che il diritto all’identità persona-le riguarda e si specifica (quanto meno) in due direzioni: come poteredi esigere la rappresentazione integrale dell’identità dispersa e comepotere di respingere la riduzione della persona alle sole sue informa-zioni trattate in forme automatizzate 95.

Conclusivamente, l’identità personale» risulta con ciò essere uno diquei «diritti “metafisici” che, entrando nei comuni rapporti della vitacome raggi di luce che penetrano in un liquido denso, si rifrangono inbase a una propria legge di natura e deviano dalla loro linea retta»(Burke), capaci di mettere in luce come alla «piattezza» ed uniformità

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L’identità individuale nella dimensione sociale 241

di un mondo del diritto di «newtoniana memoria» che si voleva fossedisciplinato esclusivamente attraverso lo strumento legislativo ed ildiritto soggettivo, storicamente sia andato via via palesandosi un am-biente giuridico eterogeneo e complesso, in cui i diritti sono semprepiù frequentemente assistiti da discipline e tutele «multilivello».

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Sezione II

La libertà di manifestazione del pensiero e l’identità personale

SOMMARIO: 8. Il diritto all’identità personale e la sua tutela «a più livelli». – 9. Segue: larettifica: tra tutela dell’identità personale e «pluralismo dell’informazione». – 10.Il diritto all’identità personale e la libertà d’informazione. – 11. Segue: la pubbli-cazione dell’immagine fotografica. – 12. Identità personale e diritto di critica, disatira, e di creazione artistica. – 13. L’identità individuale e il diritto all’oblio.

«I forti possono con sicurezza usare la menzogna,mentre il debole ha solo,

esiguo margine di difesa o di illusione di difesa,ed è la verità»

LEONARDO SCIASCIA

8. Il diritto all’identità personale e la sua tutela «a più livelli»

L’elaborazione «in provetta» del diritto all’identità personale, oltrea porre un argine alle distorsioni, ad opera dei mezzi di informazione,dell’immagine sociale della persona, ha permesso di «coagulare» in-torno ad un’unica figura giuridica l’attivabilità di tutta una serie distrumenti di tutela (della persona) che altrimenti sarebbero rimastiprivi di un «referente» comune, al punto dal disvelarne la natura com-plessa e «multilivello». Ed è stato proprio su questa base che parte del-la dottrina ha rilevato come «il problema del riconoscimento del di-ritto all’identità personale non [possa] essere considerato separata-mente da quello relativo all’individuazione dei mezzi di tutela 96».

Pur non essendo nei nostri intenti l’approfondimento delle tecni-che di tutela, non può omettersi di ricordare come il diritto all’identitàpersonale in senso sociale sia stato ricondotto nel novero di quei di-ritti della personalità che richiedono mezzi di tutela particolarmenteefficaci e tempestivi, spesso atipici e modellati sulla situazione di fat-

96 Così F. TASCONE, in nota a Trib. Pescara, 5 ottobre 1989, in Dir. inform. inf.,1990, cit., 997.

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L’identità individuale nella dimensione sociale 243

to, sulle modalità della violazione e sulle possibili forme di riparazio-ne e di prevenzione 97.

Di qui non solo il ricorso all’art. 8 della legge n. 47 del 1948 in temadi rettifica, ma anche alla tutela preventiva ex art. 700 c.p.c. 98, nonchéa tutti i mezzi accessibili attraverso il successivo giudizio di merito co-me l’inibitoria 99, la possibilità di reintegrazione in forma specifica permezzo della pubblicazione della sentenza di condanna; il risarcimentodel danno patrimoniale laddove se ne ravvisino gli estremi 100 e, da ul-timo, a seguito delle pronunce della Corte Costituzionale e di quella diCassazione 101, il risarcimento del danno non patrimoniale (ex artt.

97 Sui mezzi di tutela del diritto all’identità personale, da ultimo R. CORDONE, Il di-ritto all’identità personale, in Nuovi diritti della persona e risarcimento del danno, cit.,64 ss.

98 Si veda per esempio Pret. Roma, 16 febbraio 1989, in Dir. inform. inf., 1989, 520.99 Cfr. Pret. Roma, 16 febbraio 1989, cit.Il problema della sequestrabilità dello stampato dal contenuto diffamatorio e

lesivo del bene identitario e del rapporto tra sequestro e tutela inibitoria, è statoesaminato di recente da Trib. Napoli, 17 dicembre 2001 (in Dir. inform. inf., 2001,893-909, con nota di M.F. DOTTO). In precedenza, Pret. Milano, 26 marzo 1986, inDir. inform. inf., 1986, 924 e Pret. Foggia, 30 ottobre 1992, in Dir. inform. inf., 1993,429; diversamente Trib. Roma, in Dir. inform. inf., 6 dicembre 1993, 334-338. Si ve-dano inoltre Pret. Roma, 18 luglio 1986, in Dir. inform. inf., 1987, 659 e Pret. Ro-ma, 3 luglio 1987, in Dir. inform. inf., 1987, 1005 ed anche Trib. Milano, 26 set-tembre 1994, in AIDA, 1995, 556 e Trib. Milano, 22 novembre 999, in Dir. aut.,2000, 147.

100 Ricordiamo che nel «caso Coccia» (Trib. Roma, 5 febbraio 1959, in Temi ro-mana, 1959, 86), alla questione se la mancata elezione a deputato potesse costituireun“ danno” in senso giuridico il giudice rispose evidenziando l’impossibilità di pro-vare qualsiasi nesso causale concreto tra illecito (in quel caso diffamazione) e man-cata elezione. Con più stretto riguardo al diritto all’identità personale, in merito allaprecisazione del danno patrimoniale nel caso del 1984 (Trib. Roma, 7 novembre1984, in Dir. inform. inf., 1985, 215) nonostate l’esponente politico avesse lamentatoche la distorsione della sua identità politico-individuale si era risolta in una minorepenetrazione politica presso l’elettorato i giudici, sebbene in linea di principio d’ac-cordo, giunsero alla conclusione che poiché il fatto era obiettivamente molto circo-scritto, appariva estremamente arduo apprezzare economicamente, anche soltanto invia equitativa, il danno sofferto dal politico. E si pone nel medesimo senso pur conpresupposti diversi il Trib. Roma, 23 maggio 1988 (in Dir. inform. inf., 1989, 919). Sultema G. CASSANO, Il risarcimento del danno da lesione all’identità personale, in Dir.inform. inf., 1999, 107-127.

101 Cfr. supra, Cap. V, nota 65.

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102 In proposito S. ALAGNA, Diritto alla identità personale e risarcibilità del dannonon patrimoniale, in Giust. civ., 1983, II, 157-170; V. SCALISI, Lesione della identità per-sonale e danno non patrimoniale, in Riv. dir. civ., 1984, I, 433-453. Cfr. altresì V. RIC-CIUTO, Identità personale, giudizio civile e risarcimento del danno non patrimoniale, innota a Trib. Roma, 27 marzo 1984, in Riv. dir. comm. e del dir. gen. obbl., 1984, II, 245-258.

Peraltro, già in nota alla sentenza del Trib. Roma, del 10 marzo 1982, A. Figone ri-volse le sue critiche (non solo alla decisione, ma, più in generale) all’orientamentogiurisprudenziale volto a limitare la risarcibilità dei danni non patrimoniali alle solefattispecie penalmente rilevanti: A. FIGONE, Il danno all’identità personale e la suaquantificazione in termini pecuniari (nota a Trib. Roma, 10 marzo 1982), in Giur. me-rito, 1983, 743-50.

103 Cfr. F. BOCCHINI, La legge 675 e la tutela amministrativa dei diritti della personaumana, in Riv. notar., 1998, I, 141-168; F. OLIVO, Dati personali e situazioni giuridichesoggettive, in Giust. civ., 2002, 157-186. G. CASSANO (Il risarcimento del danno da lesio-ne all’identità personale, cit., 127 e in Identità personale e risarcimento del danno nelquadro dei diritti della personalità, Simone, Napoli, 1999, 58), configura una «quartafase» della tutela dei diritti della personalità nel nostro diritto civile (dopo una primafase caratterizzata dall’entrata in vigore del codice civile, una seconda in cui si sareb-be assistito all’avvento della Costituzione Repubblicana e una terza fase in cui la dot-trina e la giurisprudenza hanno iniziato a garantire forme di tutela sempre più ampiealla persona. Si veda dello stesso autore, Il diritto all’identità personale, in La nuovagiur. civ. comm., 1997, II, 351-370).

Cfr. altresì, E.GIANNANTONIO, Responsabilità civile e trattamento dei dati personali,in Dir. inform. inf., 1999, 1035-1048; S. FIACCAVENTO, Tutela della persona e “creazionegiurisprudenziale” del diritto, in Giust. civ., II, 1992, 233-253.

104 Trib. Milano, 2 marzo 2000, in Dir. inform. inf., 2000, 799-802.

2059 c.c. e 2 Cost.) 102 anche al di fuori delle varie forme di tutela ap-prestate all’identità personale dal codice della riservatezza 103.

La «stratificazione» dei mezzi di protezione attivati per il tramitedel richiamo a questa figura giuridica, pare essere, talvolta non senzaqualche forzatura, un connotato caratterizzante la lesione del beneidentitario. Così, solo per fare qualche esempio, in una decisione delTribunale di Milano del 2000, è stata rilevata la lesione sia del dirittoal nome sia del diritto all’identità personale, considerando che l’usonon autorizzato del nome altrui, nel caso di specie un giornalista, alfine di pubblicizzare una rivista costituisse un’illecita lesione sia deldiritto di cui all’art. 7 c.c. sia del diritto all’identità personale 104.

In un caso analogo, affrontato dal Tribunale di Roma nel 2001, èstata affermata la lesione prodotta dalla pubblicazione senza consen-so della fotografia di una calciatrice sulla copertina di un libro a sco-

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105 Trib. Roma, 23 maggio 2001, in Dir. inform. inf., 2001, 881-887 (con nota di I.CLEMENTE).

106 Sul punto, A. SAVINI, Tutela del nome e della personalità dallo sfruttamento pub-blicitario (nota a Pret. Roma, 8 novembre 1988), cit., 120-127.

107 A. DE CUPIS, La verità nel diritto, cit., 223-4.

po di sfruttamento commerciale, del diritto all’immagine di costei (si-curamente suscettibile di sfruttamento commerciale attesa la sua in-discussa notorietà), nonché della sua identità personale (la confezio-ne della copertina in questione, costituita per la quasi totalità da unprimo piano della detta calciatrice, avrebbe potuto infatti fare ipotiz-zare un’adesione della stessa all’iniziativa editoriale de qua, laddoveinvece essa risultava coautrice di altro manuale tecnico concernentelo sport del calcio femminile dal titolo «Il calciatore donna») 105.

In tutti questi casi, pur ammettendo l’applicabilità di tutele specifi-che, il ristoro che ne sarebbe potuto derivare sarebbe stato verosimil-mente inadeguato. Per citare solo il caso più evidente, la legge sul di-ritto d’autore fa espresso divieto di diffusione dell’immagine senza ilconsenso del soggetto (art. 96), ma non del suo nome 106. Inoltre già datempo parte della dottrina ha osservato, come in base all’art. 20 dellastessa, il diritto di opporsi alle alterazioni della propria opera, è su-bordinato al pregiudizio, capace di derivare da tali alterazioni, per ilsuo onore o per la sua reputazione, ma non per la sua identità perso-nale 107.

9. Segue: la rettifica: tra tutela dell’identità personale e «plurali-smo dell’informazione»

La stessa travagliata vicenda della configurazione del diritto di ret-tifica nel nostro ordinamento dimostra le difficoltà ed al contempo lacontinua ricerca di strumenti e soluzioni giuridiche a tutela della per-sona. Anzi, la vicenda presenta per noi spunti di notevole interesse an-che sotto il profilo dell’elaborazione del diritto all’identità personale,considerato che la sovrapposizione, in alcuni casi, dell’ambito di azio-ne del diritto all’identità con quello della rettifica ha portato, specieinizialmente, la dottrina a intravedere nella rettifica la spia evidente,nonché il fondamento normativo del diritto all’identità personale o, in

9.

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246 Introduzione allo studio dell’identità individuale

senso diametralmente opposto, la prova della sostanziale inutilità diquesto diritto.

Più precisamente è possibile rilevare la presenza di due principalitipi di approcci in tema di rettifica. Da un lato, l’impostazione carne-luttiana, che intende il diritto di rettifica come naturale conseguenzaai limiti posti al diritto di cronaca e considera la rettifica non come di-ritto ma piuttosto come uno strumento tecnico di tutela di un interes-se. Dall’altro, la prospettiva facente leva sulla matrice comune dei di-ritti della personalità, rappresentata dall’art. 2 Cost., che annovera ildiritto di rettifica tra i diritti «fondamentali» dell’individuo.

Ora, solitamente a queste due posizioni fa riscontro anche un di-verso intendimento del rapporto tra rettifica e diritto all’identità per-sonale, considerato che mentre chi risolve il problema del diritto direttifica secondo il primo approccio tende a ricomprendere all’internodel meccanismo di rettifica il diritto all’identità personale, intenden-do questo diritto come naturale conseguenza ai limiti posti al dirittodi cronaca e più in generale alla libertà di manifestazione del pensie-ro, viceversa chi ritiene la rettifica diritto inviolabile, perviene ad evi-denziare come la protezione del diritto all’identità personale non deb-ba necessariamente passare attraverso le maglie dell’art. 8 della leggen. 47 del 1948, ma possa anche percorrere altre strade (in particolarela via del provvedimento cautelare atipico), che hanno, tra l’altro, ilpregio di riuscire ad intervenire in una fase precedente alla lesione ditale interesse. A fronte di queste due posizioni, è possibile altresì evi-denziarne una terza, che sposiamo, che, pur considerando la rettificacome strumento di tutela limite all’informazione, non ne sovrapponela figura con il contenuto del diritto all’identità personale 108.

Su questo tema, è intervenuta già in tempi risalenti la Corte Costi-tuzionale, che, nella sentenza n. 225 del 1974, ha sottolineato la natu-ra «strumentale» della rettifica. Più precisamente, la Corte parlò nel-l’occasione di «soddisfazione», per mezzo della rettifica, «dell’interes-

108 Sull’istituto della rettifica, ed in particolare sui rapporti tra rettifica e identitàpersonale, A. FIGONE, Il diritto di rettifica nelle recenti elaborazioni di dottrina e giuri-sprudenza, in Giur. it., 1987, 2, IV, 404-416. A sostegno dell’una piuttosto che dell’al-tra tesi sono stati richiamati sia «il dato letterale», sia quello «storico» ed altresì il da-to comparatistico: per approfondimenti in proposito si veda S. DI PALMA, in Foro it.,1990, I, 3457-3471.

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L’identità individuale nella dimensione sociale 247

109 Ci riferiamo a Corte Cost., 15 maggio 1974, n. 225, in Giur. cost., 1974, 874.110 «A tanto non provvede la legislazione vigente», afferma la Corte, «nella quale –

a parte alcune disposizioni contenute nel D.L. C.p.S. 3 aprile 1947, n. 428 (modificatodalla legge 23 agosto 1949, n. 681), palesemente insufficienti ad assicurare serie diret-tive in ordine ai programmi ed a consentire un efficiente controllo del Parlamento –nulla si rinviene che possa corrispondere a quel minimo di regolamentazione a cui in-nanzi si è fatto cenno».

111 Da notare che il 2 luglio (vale a dire poco più di una settimana prima della de-cisione della Corte Costituzionale n. 225 del 1974) il Consiglio d’Europa aveva adot-tato la Risoluzione n. 26 del 1974 «Sur le droit de reponse – situation de l’individu àl’egard de la presse –» in cui tra l’altro si trova scritto: «En ce qui concerne les informa-tions relatives aux individus publiées dans les moyens de communication, l’individuconcerné disposera d’un recours effectif contre la publication des faits et des opinions,qui constituent:

1) une ingérence dans sa vie privée sauf si un intérêt public légitime et primordial lejustifie, si l’individu a consenti expressément ou tacitement à la publication ou si la pu-blication est conforme en l’occurrence à une pratique généralement admise et qui n’estpas contraire à la loi;

2) une atteinte à sa dignité, à son honneur ou à sa réputation, à moins que l’infor-mation ne soit publiée avec le consentement exprès ou tacite de l’individu concerné, ouque la publication ne soit justifiée par un intérêt public primordial et légitime et qu’ils’agisse d’une critique loyale basée sur des faits exacts».

Laddove «le terme “possibilité réelle d’obtenir la rectification” signifie toute possibi-lité qui peut être utilisée comme un moyen de recours, soit juridique, soit d’une autre na-ture, comme le droit de réponse, le droit de correction, ou le droit de recours aux conseilsde presse».

112 Ci riferiamo a Corte Cost., sent. n. 42 del 1977 in Giur. cost., 1977, 158. Suc-cessivamente la legge del 1981 modificò profondamente, com’è noto, l’art. 8 della

se generale ad una informazione imparziale, completa ed obietti-va 109» affermando al contempo che il diritto di rettifica sarebbe dovu-to essere «riconosciuto e garantito 110 – come imposto dal rispetto deifondamentali diritti dell’uomo – 111», con ciò segnando, in qualchemodo, la prevalenza dell’approccio più «ampio» tra quelli dianzi con-siderati.

Le indicazioni contenute nella pronuncia, «evidentemente estensi-bili ad ogni altro mezzo di diffusione», furono recepite dal legislatorenella legge n. 103 del 1975 e, successivamente dalla legge n. 416 del1981 (tra le quali, peraltro, si posero gli auspici della Corte Costitu-zionale affinché «il legislatore, così come ha fatto con l’art. 7 della leg-ge 14 aprile 1975, n. 103, [provvedesse] sollecitamente a colmare nel-la sua discrezionalità lacune eventualmente esistenti» 112).

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legge n. 47 del 1948 di disciplina del diritto di rettifica ed il quadro di riferimento fupoi completato dalla legge n. 689 dello stesso anno che depenalizzò il delitto di«mancata o omessa ottemperanza all’obbligo di rettifica da parte del direttore o delresponsabile», assoggettando la fattispecie a sanzione amministrativa irrogabile dalprefetto secondo precise modalità e garanzie.

113 Così secondo R. PARDOLESI in nota Pret. Roma, 12 novembre 1982, cit., 235.114 Pret. Roma, 12 novembre 1982 (e Pret. Verona 21 dicembre 1982), in Foro it.,

1983, I, 234-240 (con nota di R. PARDOLESI); in Dir. fam. pers., 1983, 153-184 (con no-ta di V. ZENO-ZENCOVICH); in Giur. it., 1984, I, sez. II, 123-137 (con nota di M. DO-GLIOTTI), cit. Quanto al primo profilo, venne dedotto che l’art. 8 della legge sulla stam-pa nel prevedere l’obbligo della pubblicazione della rettifica avrebbe escluso ogni sin-

Tra tutte le novità introdotte, quella che più rileva ai fini del pre-sente studio, riguarda l’obbligo posto in capo al direttore (o, co-munque, al responsabile) di «fare inserire gratuitamente nel quoti-diano o nel periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o lerettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od aiquali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi rite-nuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiara-zioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incrimi-nazione penale».

Tale intervento, «con cui il legislatore sembrava aver voluto “con-taminare” il punto di vista di chi riteneva inappagante la tutela accor-data alla personalità con chi lamentava la non funzionalità della retti-fica», e che parte della dottrina presagì come capace in qualche mododi condizionare la stessa configurazione del diritto all’identità perso-nale (che sarebbe stato destinato «ad una correzione di tiro 113») inrealtà, a distanza di tempo, non è parso essere stato del tutto risoluto-re. Comunque sia, esso parve giustificare la tesi valorizzante l’ampioraggio di azione della rettifica, più ampio rispetto al diritto all’identitàpersonale dal momento che poteva svolgere i suoi effetti anche «in po-sitivo», sul piano del pluralismo informativo, dando voce ai vari pun-ti di vista coinvolti nell’informazione.

Il rischio della funzionalizzazione della libertà di manifestazionedi pensiero a parte degli operatori giuridici parve essere eccessiva-mente incombente. Alla prima occasione, fu eccepita l’illegittimità co-stituzionale dell’art. 8, commi 1, 2, 3 e 4 della legge n. 47 del 1948, co-me modificato dall’art. 42 della legge n. 416 del 1981 in relazione agliartt. 21 e 3 Cost. 114.

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L’identità individuale nella dimensione sociale 249

dacato del direttore comprimendo il libero uso del mezzo di divulgazione del pensie-ro «dal momento che il direttore è obbligato a pubblicare anche quelle rettifiche chepossono essere sollecitate da valutazioni strettamente soggettive dell’attitudine lesivadell’informazione».

Si lamentava poi che a differenza di quanto previsto dall’art. 7 della legge n. 103del 1975 l’art. 8 della legge sulla stampa vietava di raggruppare le rettifiche in appo-sita rubrica o trasmissione, aggravando conseguentemente l’obbligo «il che può ren-dere assai complessa la composizione del giornale o del periodico», producendo unevidente disparità di trattamento.

115 Così M. DOGLIOTTI, Ancora sull’identità personale e sulle garanzie di rettifica, cit.,127.

Ai nostri più limitati fini, il punto di maggiore interesse della pro-nuncia con cui il Pretore di Roma mostrò di non condividere i dubbidi costituzionalità è senz’altro quello in cui la rettifica viene intesa co-me «mezzo di tutela (quasi alla stregua della legittima difesa) del di-ritto a non essere “esposti” attraverso la diffusione della notizia, inmodo diverso da quello che ciascuno ritiene di essere. Con ciò richia-mando, come puntualmente notato da parte dei commentatori, «quel-lo che, secondo un indirizzo giurisprudenziale che [andava] gradata-mente affermando, è definito come “diritto all’identità personale”, in-tesa come proiezione, nel campo sociale, dell’immagine della persona,come singolo e come partecipe delle formazioni sociali nelle qualiopera e con le quali si identifica, configurata come sintesi di un pecu-liare modo di atteggiarsi ed esprimersi mediante azioni e pensieri».

In particolare, il giudice evidenziò la tutela svolta da parte dell’art.21 non solo a favore di chi istituzionalmente produce informazione,ma anche del soggetto che dall’informazione viene coinvolto, «al qua-le conseguentemente non può essere negata la facoltà di contrappor-re alla notizia divulgata la propria autonoma manifestazione di pen-siero, consistente in negazioni, chiarimenti, integrazioni». Alla rettifi-ca sarebbe poi spettato di svolgere, oltre che il ruolo di tutela indivi-duale, anche quello di promozione dell’interesse generale, in ciò ve-nendo ad essere «sicura espressione di una più ampia protezione del-l’identità personale 115».

Negli anni che seguirono si assistette alla moltiplicazione dei ca-si giudiziari nei quali venne fatto valere il diritto di rettifica. Feno-meno che fu visto come il segno più evidente, da un lato, della di-sinvoltura dei mezzi di comunicazione di massa nel riferire atti o

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116 Così F. MACIOCE, Diritto di rettifica e identità personale, cit., 501.117 Corte Cass., 22 giugno 1985, cit. Nello stesso senso, successivamente, Pret. Ro-

ma, 29 aprile 1991, in Dir. inform. inf., 1991, 889.118 Così notava S. DI PALMA in nota alla sentenza (Corte Cass., 5 aprile 1990, n.

2852, in Foro it., 1990, I, 3456).119 Corte Cass., 5 aprile 1990, n. 2852, in Foro it., 1990, I, 3456-3471 (con nota di S.

DI PALMA, cit.) e in Giust. civ., 1990, I, 1708. Si veda altresì A. FIGONE, Sul diritto di ret-tifica nella legge di riforma dell’editoria (nota a Pret. Verona, 21 dicembre 1982; Pret.Roma, 12 novembre 1982), in Giur. merito, 1984, 566-577; e il medesimo autore, Suldiritto di rettifica e sulla tutela dell’identità personale, in Giur. it., 1984, I, sez. II, 517-522.

pensieri riguardanti le persone, ma, dall’altro, di un rinnovato inte-resse della persona umana a reagire alle offese alla propria persona-lità 116.

Onde cercare di chiarire il rapporto tra rettifica e diritto all’iden-tità personale, nella già più volte citata sentenza n. 3769 del 1985, laCorte di Cassazione puntualizzò che anche se l’art. 8 della legge n. 47del 1948 senza dubbio «mostra una considerazione per l’interesse delsoggetto a non vedersi attribuiti “atti o pensieri o affermazioni” a luiestranei», tuttavia tale considerazione, già limitata alla sola ipotesidi attribuzione non veritiera (e non riferibile, perciò, anche all’ipote-si di omessa attribuzione di atti e pensieri), prescinde da ogni accer-tamento della verità ed appare pertanto rivolta a garantire il con-traddittorio dell’interessato nell’informazione piuttosto che a realiz-zare una forma di reintegrazione specifica del pregiudizio da lui su-bito 117.

La Corte di Cassazione nel 1990 ebbe modo di intervenire ancorasulla «natura» e le «modalità attuative» del diritto di rettifica (defi-nendo le principali questioni sorte sul terreno giurisprudenziale e dot-trinale 118) individuandone esplicitamente il fondamento nell’esigenzadi tutelare l’identità personale «intesa come immagine morale del sog-getto nei cari aspetti in cui la sua personalità si esplica nella vita di re-lazione (intellettuali, religiosi, politici) 119». Per ciò stesso, essa rico-nobbe la possibilità di attivare questo tipo di tutela in capo a tutti co-loro che «ritengano lesivi della loro dignità o contrari a verità atti,pensieri, o affermazioni ad essi attribuiti ovvero immagini pubblicateda giornali» ed «a cui la legge conferisce il potere di pretendere lapubblicazione di smentite, risposte, precisazioni o integrazioni del te-

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sto pubblicato, e di dichiarazioni volte a rendere pubblica una diver-sa versione dei fatti ancorché non rispondente al vero 120».

La Corte mise con ciò in evidenza la portata più ampia (tendentealla soddisfazione del pluralismo informativo) ed al contempo più“tecnica” della rettifica rispetto al diritto all’identità personale in sen-so sociale.

Nonostante le critiche ricevute 121, nel complesso ci sembra che aquesta pronuncia vada dunque riconosciuto il merito di avere chiari-to non solo la distanza sussistente tra rettifica come strumento di tu-tela (che si realizza attraverso la «pubblicazione con le modalità e neitempi stabiliti dalla norma») e rettifica come diritto (attraverso le «di-chiarazioni volte a rendere pubblica una diversa funzione»), precisa-mente, come ulteriore riconoscimento, da parte del legislatore, alsoggetto, di affermare profili identitari «in positivo», ma anche il rap-porto di «strumentalità» ed in qualche modo di «complementarietà»tra rettifica e identità personale.

Alla luce delle precitate pronunce, ci pare conclusivamente possi-bile immaginare diritto di rettifica e diritto all’identità personale co-me due insiemi intersecatesi, la cui area comune è rappresentata daquei casi nei quali l’immagine sociale del soggetto subisce travisa-menti da parte altrui. Certo, resta da chiedersi se una più appropria-ta (fedele e tempestiva e, perché no, “remunerativa”) soddisfazionedel diritto di rettifica non sarebbe potuta essere in grado di tutelarele medesime esigenze che hanno indotto all’elaborazione del dirittoall’identità personale in senso sociale 122.

120 Alla Cassazione parve poi che il diritto di rettifica fosse «irriducibile» al solosenso della mera correzione dell’informazione, dal momento che essa avrebbe dovu-to adempiere «altresì alla funzione di favorire il pluralismo dell’informazione, attra-verso valutazioni, opinioni o rappresentazioni diverse da quelle pubblicate»: con ciòfacendo proprio l’approccio «estensivo».

121 All’epoca le maggiori critiche sorsero dalla constatazione che con l’aggravare leformalità per l’esercizio della rettifica la Corte di Cassazione avesse finito col rendernepiù difficoltoso il concreto esercizio da parte «dell’uomo medio» (S. DI PALMA, cit., 3469).

122 Vedremo «se» ed eventualmente «quale» rilievo saprà avere, il nuovo art. 11-bische sarà aggiunto alla L. n. 47 del 1947 se il d.d.l. n. 3176 sarà approvato anche al Se-nato, che dispone che «nella determinazione del danno derivante dalla pubblicazioneritenuta […] contraria a verità, il giudice tiene conto dell’effetto riparatorio della pub-blicazione della rettifica» ma solo se, si badi, quest’ultima è stata «richiesta dalla perso-na offesa».

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10. Il diritto all’identità personale e la libertà d’informazione

Quanto appena detto ci porta direttamente al nodo centrale dell’in-tera elaborazione dottrinale del diritto all’identità personale in sensosociale, ovverosia ai suoi rapporti con la libertà di manifestazione delpensiero. In effetti ben presto (se non addirittura da subito) dottrinae giurisprudenza percepirono come «evidenti» le connessioni sussi-stenti tra diritto all’identità personale e il discorso «ormai classico»,sulla libertà di informazione: «il diritto all’identità personale trova in-fatti le più frequenti occasioni di lesione proprio attraverso la diffu-sione di notizie ed informazioni attuate con i mass media. E si scon-tra, allora, con la libertà di opinione e di stampa 123».

In proposito è possibile constatare che se la configurazione stessadel diritto all’identità personale in senso sociale ha rappresentato unaforma di reazione a un certo tipo di «mala informazione», tuttavia ciònon pare essere avvenuto senza che la dottrina più attenta denuncias-se le implicazioni che la configurazione di un siffatto diritto avrebbepotuto comportare per altri diritti costituzionalmente garantiti, a par-tire dalla libertà di manifestazione del pensiero 124.

Il Pretore che aveva deciso il già ricordato caso nel 1979 venne a ra-gione criticato per aver risolto in maniera un «po’ troppo semplicisti-ca» il delicato problema del bilanciamento di due interessi di rilievocostituzionale 125, limitandosi ad affermare «che in ogni caso se nondevono essere lesi diritti previsti dalla Costituzione, qual è il liberoesercizio di critica nell’ambito di una campagna elettorale, neppuredevono essere lesi diritti altrettanto tutelati, quali i diritti assoluta-mente primari della persona e della sua dignità civile e morale».

Le preoccupazioni più avvertite sorsero in considerazione della di-screzionalità insita nelle decisioni degli organi giudiziari, a maggiorragione per chi condivideva quanto ancora di recente ha rilevato au-torevole dottrina, vale a dire che bilanciare non significa, a differenza

123 Trib. Roma, 10 marzo 1982, cit.124 Cfr. A. PIZZORUSSO, nota a Pret. Torino, 30 maggio 1979, cit., 2079 e M. BILLI, Di-

ritto all’identità personale e sistema dell’informazione, cit., 172-194.125 Si vedano in proposito gli studi antesignani di V. CRISAFULLI, In tema di limiti al-

la cronaca giudiziaria, in Giur. cost., 1965, 249; e di C. ESPOSITO, La libertà di manife-stazione del pensiero e l’ordine pubblico, ivi, 1962, 194.

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126 Così R. GUASTINI, Principi di diritto e discrezionalità giudiziale, in Clausole e prin-cipi generali nell’argomentazione giurisprudenziale degli anni novanta, Cedam, Padova,1998, 98; cfr. altresì G. PINO, Il diritto all’identità personale, cit., 99 ss.; e ID., Teoria epratica del bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela dell’identitàpersonale, in Danno e resp., 2003, 577-586. Sul tema P. CHIASSONI, La giurisprudenzacivile. Metodi di interpretazione e tecniche argomentative, Giuffrè, Milano, 1999, 287 eG. PARODI, In tema di bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale.In margine a «Diritti e argomenti», di Roberto Bin, in Dir. pubbl., 1995, 203 ss.

127 Cfr. M. DOGLIOTTI, Ancora sull’identità personale e sulle garanzie di rettifica, cit.,972.

128 Così M. MARCHESIELLO, Persona, gruppi comunità, in cerca di un diritto all’iden-tità, in Atti del Convegno di Genova, cit., 9.

129 Cfr. Corte Cass. n. 978 del 1996, cit. Nel caso di specie la Corte è giunta così ad

di quanto suggerisce il termine «ponderare» o «trovare un punto diequilibrio», ma piuttosto «sacrificare», «accantonare» un diritto a fa-vore di un altro, sebbene limitatamente al caso concreto: il che peral-tro comporta la mancanza di una regola precostituita di prevalenzadell’interesse 126.

Apprensioni che risultavano poi ulteriormente acuite dal ricordodella «tutela dell’onore» nel sistema originario del codice civile e poisoprattutto da quello penale del 1930, la cui estrema rigorosità avreb-be in realtà mascherato una scelta autoritaria e repressiva, volta a li-mitare appunto la libertà di pensiero in ogni sua manifestazione 127; eper altro verso dalla considerazione della natura giuridica dell’iden-tità in senso sociale: «entità tra le più umbratili, fragili e precarie: allimite, potremmo dire che, se interamente definita, l’identità cessa diessere tale, scomparendo all’interno dei limiti entro i quali la si è vo-luta rinchiudere 128».

Di qui l’importanza della ricerca, ad opera della giurisprudenza diun punto di equilibrio, il più possibile predeterminato e predetermi-nabile, tra le varie forme in cui si manifesta la libertà di pensiero, inparticolare, cronaca, critica e satira e creazione artistica, e il diritto al-l’identità personale in senso sociale.

In via generale è possibile considerare che l’orientamento seguitodalla giurisprudenza sin dalle prime pronunce degli anni Ottanta hacostantemente dimostrato di dare preminenza alla libertà di manife-stazione del pensiero, laddove legittimamente espresso, rispetto al di-ritto all’identità personale 129. Al contrario, il diritto all’identità in sen-

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affermare la prevalenza della libertà di manifestazione del pensiero, osservato che«tutti i fatti narrati sono veri», in particolare, «che ben articolata, diffusa e coerente(per cui resiste al vaglio di legittimità) è la motivazione in ordine all’escluso caratteredenigratorio o deformante della descrizione della personalità degli attori» e che nonmancava la presenza di un attuale interesse sociale del filmato né tanto meno risulta-va essere appuntabile l’esposizione.

130 Pret. Roma, in Giur. merito, 1981, 491; si veda altresì, per il profilo della riser-vatezza, Pret. Roma, 7 novembre 1986, in Giur. merito, 1987, 1190-1196 (con nota diG. FARAONE).

131 Soltanto la notizia falsa è infatti idonea a ledere l’identità personale del sogget-to, mentre il carattere offensivo o riservato della notizia incide sui beni dell’onore edella riservatezza (così F. MACIOCE in nota a Pret. Roma, 12 gennaio 1984, in Giur. it.,1984, I, 501-517, cit.). Si veda altresì A. SCALISI, Brevi riflessioni su “la libertà di crona-ca ed il valore della persona umana”, in Dir. fam. pers., 1994, II, 1359-1395.

so sociale viene riconosciuto, come visto, in tutti i casi in cui l’infor-mazione risulta travisare i fatti in modo tale da determinare un’alte-razione della personalità dei soggetti coinvolti, risolvendosi in una og-gettiva alterazione della verità delle opinioni o dei fatti attribuiti a unacerta persona con la conseguenza di cagionare un danno ingiusto. Suquesta base, nel caso, anch’esso già considerato, affrontato dal Preto-re di Roma nel 1980, emerse una corretta ed equilibrata valutazionesul punto, affermandosi che il diritto di cronaca non deve eccedere illimite della verità, almeno putativa, del fatto 130.

Una voce dottrinale ha osservato in proposito come la notizia “vie-tata” possa assumere diverse caratteristiche, possa essere cioè contra-ria al buon costume o all’ordine pubblico, ovvero falsa o inesatta ov-vero riservata od offensiva: ciò detto, se il requisito della falsità certa-mente può non essere il solo a caratterizzare la notizia, tuttavia «talecarattere deve necessariamente ricorrere in presenza di una lesionedella identità personale 131».

Ora, dal momento che il requisito della «verità» della notizia è quel-lo decisivo nell’affermazione della legittimità dell’esplicazione del dirit-to di cronaca, per sua natura rientrante nella componente «descrittiva»(come tale vera o falsa) della manifestazione del pensiero, è chiara lastretta attinenza tra identità personale e diritto di cronaca, in particola-re l’immediata deducibilità della lesione del diritto all’identità a seguitodella diffusione di informazioni non vere riguardanti la persona fisica.

Quanto alle «modalità» di realizzazione dell’illecito, il Tribunale diRoma ha avuto modo di precisare nel 1989 che un articolo giornali-

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stico, sapientemente costruito, con il dire e il non dire, ma con il fareintendere, con accostamenti pieni di suggestioni anche di fatti non at-tinenti ed infine l’attribuzione di fatti e situazioni particolari, possa ri-velarsi lesivo dell’identità personale del soggetto 132.

Orbene, se, laddove siano rispettati i tre «classici» criteri del «de-calogo dei giornalisti», non dovrebbero sorgere grossi problemi nel-l’affermare la legittimità del diritto di cronaca, qualche dubbio po-trebbe restare laddove si ritenesse necessario verificare in ogni caso ilrispetto di tutti i parametri 133.

Invero, a differenza di quanto detto in proposito del diritto al-l’onore e alla reputazione, anche volendo far operare «a cascata» i cri-teri di legittimità, ci pare che per affermare la lesione del diritto al-l’identità personale da sola basti la verifica della «non verità dei fat-ti» 134. Del resto in questo senso si è orientato il Tribunale di Roma in

132 Trib. Roma, 14 luglio 1989, in Dir. inform. inf., 1989, 952-959 (con nota di V.RICCIUTO).

133 Ciò non toglie che il giudice possa scandagliare ogni profilo per accertare lasussistenza di altre violazioni. Va da sé altresì che anche se il soggetto è stato assoltodal reato di diffamazione, per esempio, come nel caso risolto dal pretore di Varese nel1986, per esercizio putativo del diritto di cronaca, tuttavia ciò non toglie che i fattinarrati possano rivelarsi idonei a ledere l’identità personale del soggetto in quantofalsi (cfr. Pret. Varese, 27 gennaio 1986, in Dir. inform inf., 1986, 553). In altri casi èstata configurata la lesione di entrambi i profili: così Trib. Roma, 19 giugno 1986, inDir. inform. inf., 1988, 439.

134 Sui rapporti tra reato di diffamazione e diritto all’identità personale si veda M.POLVANI (Tra diffamazione e distorsione dell’identità: l’attribuzione di dichiarazioni mairese alla stampa, in Cass. pen., 1996, 493-497), che configura i due beni affatto diver-si: da un lato la menomazione della considerazione della quale una persona gode nel-la collettività o comunque del valore intrinseco proprio del suo essere uomo, che tro-va riconoscimento esplicito negli artt. 2 e 3, comma 1, Cost.; dall’altro il diritto ad es-sere se medesimo nel rapporto di relazione con la società nella quale la persona viveed afferma la propria singolare individualità, e a non vedere rappresentati la propriaposizione sociale, quella ideologica, il proprio stato personale, in modo difforme dalvero. Sui rapporti tra identità personale e reputazione ha avuto modo di pronunciar-si Trib. Roma, 10 febbraio 1993, in Foro it., 1994, 1237.

Ricordiamo in proposito che è passata alla Camera con larga maggioranza (330voti favorevoli a fronte di 6 contrari e 20 astenuti) ed è stato trasmesso al Senato il 27ottobre 2004 il disegno di legge n. 3176: «Norme in materia di diffamazione con ilmezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna delquerelante» di depenalizzazione del reato di diffamazione (per i primi commenti siveda “La Repubblica” del 27 ottobre 2004, 23).

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135 Trib. Roma, 27 marzo 1984, cit.136 G. PINO, Teoria e pratica dl bilanciamento, cit., 582.137 Scriveva in proposito A. De Cupis: «Al massimo, le esigenze dell’Arte – e, si ba-

di, dell’Arte che sia tale – potranno giustificare quel tanto di amplificazione e “defor-mazione” che devesi concedere alla fantasia dell’artista, ma non certo alterazioni cheincidano sulla sostanza della persona» (A. DE CUPIS, La verità nel diritto, cit., 223-4).

138 Trib. Roma, 18 giugno 1997, in AIDA, 1997, 940-2.Sempre in ambito «cinematografico» si sono presentati due casi, pressoché ana-

loghi, decisi lo stesso giorno in modo opposto, in cui le parti ricorrenti lamentaro-no la lesione del proprio diritto all’identità personale come conseguenza della loroinequivocabile «riconoscibilità» nei personaggi di alcuni film (Pret. Roma, 7 feb-

un caso deciso nel 1984, limitandosi a configurare la lesione all’iden-tità sulla base della sola falsità della notizia data dal giornalista 135.

Inoltre, secondo una più recente dottrina, ci sarebbe la possibilità peril giudice di «aggravare» «fino a richiedere che la distorsione [coinvol-ga] la globalità e l’essenzialità della personalità individuale» o, a secon-da dei casi, «alleggerire» il criterio di «verità» per «variare», graduare lasfera di tutela del diritto all’identità personale 136. Giocando dunque sul-l’ampiezza delle inesattezze e falsità tollerabili, sarebbe possibile perl’organo giudicante «graduare» il peso e la portata delle singole manife-stazioni identitarie al punto di dare per esempio rilievo alla semplice af-fermazione del soggetto od al contrario richiedere che la distorsionecoinvolga la globalità e la essenzialità della personalità individuale.

Infine, a seconda della riscontrata prevalenza dell’intento informa-tivo piuttosto che di quello valutativo del messaggio, sarebbe possibi-le per l’organo giudicante configurare una specifica forma di manife-stazione del pensiero (con tutto ciò che ne consegue con riguardo al-la disciplina normativa applicabile al caso concreto). Su questa base,è stato possibile in giurisprudenza, preso atto delle potenzialità lesivedei film con intento documentaristico (considerato che il raccontoper immagini risultava avere effetti evocativi e suggestivi di gran lun-ga maggiori rispetto alla parola scritta), assumere un atteggiamentoparticolarmente rigido, assoggettandone la concreta disciplina al di-ritto di cronaca invece che alla libertà di creazione artistica 137. E perquesta strada si è giunti al punto di configurare la lesione del dirittoall’identità personale del costumista qualificato in un’opera enciclo-pedica tratta da un film documentario come semplice «sarto di sce-na» 138.

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braio 1992), entrambi in Dir. inform. inf., 1992, 883-894 (con nota di M. CLEMENTE).Mentre in un caso il ricorso di una nota esponente della mondanità fu accolto, con-siderato che molteplici elementi di individuazione e di confronto «stessi capelli,stessi cagnolini da salotto “carlini”, stesso guardaroba …» portavano ad individua-re una ben precisa persona impersonificata dal personaggio del film; viceversanell’altro il pretore non riconobbe alcuna lesione dell’identità personale del sogget-to, «giacché pretendere il rispetto della verità storica in un’opera dichiaratamentedi fantasia è una palese contraddizione in termini» che tra l’altro, a dire del giudi-ce, «comporterebbe conseguenze […] assurde …».

In questi casi il punto differenziante le varie situazioni pare consistere nella pos-sibilità di ricollegare in modo relativamente certo il contenuto del messaggio diffusoe il soggetto a cui direttamente o indirettamente si riferisce: in quelle ipotesi in cui ilsoggetto non è noto al punto di stabilire il suddetto collegamento, è infatti difficile in-travedere la lesione del bene identitario, perché «la diffusione» del messaggio rimaneun evento che riguarda esclusivamente l’opinione del singolo. Su questa base, in uncaso analogo è stata affermata la mancanza di lesione del bene identitario, conside-rato che «la eventuale riconoscibilità di taluno dei personaggi [sussisteva] solo in unocerchia ristretta di conoscenti» (Trib. Milano, 16 febbraio 1995, in Dir. inform. inf.,1995, 649-655). La possibilità, peraltro concreta, che per questa strada finiscano peressere tutelati dal diritto all’identità personale in via preferenziale personaggi «noti alpubblico» (che tra l’altro sono quelli per i quali risulta più accessibile la «via giudi-ziaria»), risulta essere in buona parte arginata dal fatto che nella maggior parte deicasi il soggetto di cui «si parla» è già identificato senza bisogno di ricorrere alla testi-monianza altrui, il che rende possibile prescindere dall’elemento della «notorietà» (siveda, per esempio, sul punto, M. DOGLIOTTI, Immagine ed identità personale: soggettiforti e soggetti deboli, in Dir. fam. pers., 1997, 1, II, 1444-1458).

139 Cfr. A. PACE, Il diritto sulla propria immagine nella società dei “mass-media”, inRiv. trim. dir. e proc. civ., 1996, 455.

11. Segue: la pubblicazione dell’immagine fotografica

Particolari problemi ha poi posto la pubblicazione dell’immagi-ne altrui. Sul punto da tempo autorevole dottrina ha avuto modo diesprimersi, parlando in proposito di «diritto sulla propria immagi-ne nella società dei mass-media» per giungere condivisibilmente adaffermare che, pur non essendo conformato né il diritto della per-sona ad opporsi a che un terzo fotografi in un luogo pubblico, nétanto meno a che un terzo fornisca la descrizione delle sue caratte-ristiche somatiche – trattandosi di una facoltà rientrante nel dirittocostituzionale di libertà individuale limitabile come tale solo in ba-se alla legge – tuttavia sarebbe illecita l’utilizzazione e la diffusionedella fotografia a meno che non sia stata acconsentita dal titola-re 139.

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140 Così L. GAUDINO, Lesione del diritto all’immagine e risarcimento del danno, in no-ta a Trib. Genova, 14 dicembre 1999, cit., 718.

141 Trib. Genova, 14 dicembre 1999, in Resp. civ., 2000, 705.142 Corte. App. Roma, 24 maggio 1991, cit., 804.

Il fatto, poi, che prevalga l’orientamento volto a salvaguardare il di-ritto del giornalista alla pubblicazione dell’immagine altrui indipen-dentemente da qualunque estrinsecazione del consenso, ci pare chelungi dal contrastare, semmai confermi «la specialità» della disciplinaper questa categoria di soggetti apprestata.

Ricordiamo esemplarmente sul punto la vicenda decisa nel 1999dal Tribunale di Genova, in occasione della quale si parlò assai signi-ficativamente di «diritto all’immagine della persona qualunque 140». Sitrattò in quel caso della pubblicazione di una fotografia, ripresa inluogo pubblico, di un’assistente del clero a colloquio con un sacerdo-te, utilizzata come illustrazione in un articolo giornalistico senza chefosse riscontrabile alcun consenso alla pubblicazione dell’immagineda parte dei soggetti ripresi. Il Tribunale di Genova non ritenne inquel caso sufficientemente dimostrata la sussistenza del pregiudizioall’identità personale, chiarendo «come in ogni caso il giusto diritto dicronaca toglierebbe, nell’ispecie, ogni antigiuridicità alla condotta,rendendo legittima la pubblicazione della foto integrativa dell’ar-ticolo 141».

Una decisione di tutt’altro segno aveva adottato, qualche anno pri-ma, la Corte di Appello di Roma, in un caso analogo: una fotografia sudue colonne, stampata su un quotidiano, riproducente la parte attricesottobraccio ad un imprenditore, nel contesto di un articolo (su cin-que colonne) in cui si dava ampio risalto alla notizia di un processopromosso nei confronti di quest’ultimo, accusato di truffa, emissionedi assegni a vuoto e falsità in titoli. Nell’occasione il giudice ritenneche la pubblicazione fotografica distorcesse la connotazione socialedella persona in essa raffigurata e affermò la lesione del diritto al-l’identità personale 142.

È tuttavia possibile ritenere che la diversa conclusione alla qualesono giunti i giudici sia dipesa dalla diversa rilevanza dei due quoti-diani (nel primo caso, di «portata regionale», nel secondo un quoti-diano a tiratura nazionale); dal diverso rilievo dato alla notizia, non-

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143 Così F. MANTOVANI, Il diritto all’identità personale e la tutela penale, in Atti delConvegno di Genova, cit., 136.

144 Cfr. F. MANTOVANI, op. ult. cit., 136.145 Cfr. F. MANTOVANI, op. ult. cit., 136.

ché dal diverso atteggiamento in cui erano state fotografate le sue par-ti attrici e soprattutto dal diverso contesto: ciò che comunque metteancora una volta in luce la delicata opera di analisi che i giudici sonochiamati a compiere in questi casi.

12. Identità personale e diritto di critica, di satira, e di creazioneartistica

Man mano che ci si allontana dal nucleo “obiettivo” dell’esplicazio-ne del pensiero, vale a dire man mano che dal campo della cronaca sipassa a quello della critica, «dalla verità storica alla verità ideologi-ca 143», i contorni del diritto all’identità si fanno sempre meno marcati.

A ben vedere, se è vero che la lesione all’identità personale consistenell’alterazione delle informazioni riguardanti il soggetto, tutti queicasi che fuoriescono dalla sfera descrittiva perché appartengono aquella valutativa, per sua natura né vera, né falsa, dovrebbero per de-finizione fuoriuscire dall’ambito di applicazione di questo diritto. Piùin generale, tutto ciò di cui non è possibile predicare la verità/falsitànon dovrebbe avere nulla a che fare con l’identità personale, conside-rato che, come già notato, il diritto a non vedere alterata la propriapersonalità ha come suo connaturale oggetto essenzialmente i datiche, per la loro storicità, ammettono un netto e chiaro giudizio di ve-ridicità o non veridicità (es. comportamenti, posizioni sociali, ecc.) enon anche, invece, gli «aspetti della personalità che, implicando ele-menti di valore, sono soggetti a divergenti valutazioni 144».

Pertanto, coloro i quali sostengono che è impossibile esprimereopinioni false, concludono che la libertà di critica incontra il solo li-mite della denigrazione ingiuriosa «se, infatti, è incontestabile che ifatti da cui muove la critica debbano essere storicamente veri, è al-trettanto vero che il limite della liceità della critica non può essere laverità, che non avrebbe senso, ma solo il linguaggio di per sé non of-fensivo e corretto 145».

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146 Cfr. G. PINO, Il diritto all’identità personale, cit., 113 ss.147 Su cui M. CERASE, In tema di diritto di cronaca e di critica politica (Osservazio-

ni a Cass. pen., sez. V, 16 aprile 1993), in Cass. pen., 1994, 590-591.148 Pret. Roma, 11 maggio 1981, cit., richiamato anche da GIAMPIERI in Dir. inform.

inf., 1990, 208. Si vedano anche le argomentazioni della Corte di Cassazione nella de-cisione n. 978 del 7 febbraio 1996, cit., che rileva come i giudici nel precedente gradodi giudizio non avessero mancato di verificare l’esistenza di un attuale interesse socia-le del filmato e, per altro verso, come la motivazione fosse stata ben articolata, diffusae coerente in ordine all’escluso carattere denigratorio o deformante della descrizionedella personalità degli attori, «avendo invero, al riguardo, il collegio di appello pun-tualmente, tra l’altro, osservato che tutti i fatti narrati sono veri».

260 Introduzione allo studio dell’identità individuale

Tuttavia la tendenza dottrinale maggioritaria ritiene ben possibileche un giudizio di (dis)valore su una persona possa fondarsi sull’attri-buzione di fatti non veri perché all’interno è possibile scindere quellaparte di messaggio prettamente «valutativa» rispetto a quella descrit-tiva, sicché sarebbe necessario distinguere di volta in volta «il tipo» dimanifestazione del pensiero 146.

Anche la giurisprudenza sembra essere orientata in questo secondosenso, facendo attenzione a distinguere la notizia dal commento. Citia-mo in proposito una sentenza del 1993 in cui la Corte di Cassazione haavuto modo di evidenziare i punti di distinzione tra diritto di cronaca ediritto di critica, a partire dal fatto che quest’ultima troverebbe il pro-prio fondamento non solo nel diritto all’informazione, ma anche nellanecessità di pluralismo delle opinioni 147. E con più stretto riferimentoal diritto all’identità personale la precedente pronuncia del Pretore diRoma del 1981 in cui l’estensore, affermò che la configurazione dellalesione del diritto all’identità personale dev’essere esclusa nei casi incui il messaggio diffuso risulti conforme a ciò che nella realtà appare,mentre l’espressione che si assume lesiva costituisce la manifestazionedi un giudizio critico personale che non travisa la realtà storica 148.

Con la satira (che trova una copertura costituzionale nell’art. 21Cost. e, in presenza di realizzazioni di particolare pregio artistico, ne-gli artt. 9 e 33 Cost.), il processo di allontanamento dall’informazioneverso la «creazione artistica» si accentua ulteriormente, consideratoche la satira per definizione consiste nella deformazione grottescadella realtà portata all’inverosimile e all’iperbolico. Pertanto, come ta-le, dovrebbe essere considerata per sua stessa natura lesiva del dirittoall’identità personale.

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149 Cfr. Pret. Roma, 16 febbraio 1989, in Foro it., 1990, I, 3038 e Trib. Roma, 26giugno 1993, in Dir. inform. inf., 1993, 985-989. L. Balestra pone in particolare rilievoil profilo della “percepibilità” da parte dei destinatari dell’intento dissacratorio delmessaggio, rilevando altresì come «col porre un siffatto requisito, ad avviso di chiscrive, si finisce per ottenere un preciso risultato, che è quello di raggiungere un equocontemperamento tra l’esercizio della satira e l’altrui diritto all’identità personale» (L.BALESTRA, La satira come forma di manifestazione del pensiero, Giuffrè, Milano, 1998,105).

150 Tra cui G. PINO, Il diritto all’identità personale, cit., 115; A. CALMIERI, Gli insultivolano e le notizie strisciano: splendori e miserie della satira televisiva (nota a ord. Trib.Roma, 18 aprile 1997 e a decr. Trib. Roma, 14 febbraio 1997), in Foro it., I, 1997,3695-3703.

151 Su cui, G. CORASANITI, Libertà di sorriso (nota a ord. Pret. Roma, 16 febbraio1989 e a ord. Pret. Roma, 4 marzo 1989), in Dir. inform. inf., 1989, 536-544.

152 Discorso diverso va fatto per quei casi in cui i giudici affermano l’illiceità dellasatira (considerando che per suo tramite si realizza l’alterazione del nome o dell’im-magine del soggetto) sulla base di accostamenti sconci, ripugnanti o subdoli; l’attri-buzione di fatti offensivi determinati o la raffigurazione di vicende reali della perso-na presa di mira: la propalazione di notizie destinate per legge a rimanere segrete; ladenigrazione del prodotto dell’impresa o l’esaltazione dei prodotti dell’impresa con-corrente, ecc. perché in queste ipotesi entra in campo la lesione dell’onore e della re-putazione. Famosa è rimasta la sentenza del Tribunale di Roma, del 1988 che vide co-me parti in causa un noto uomo politico ed il quotidiano «La Repubblica»: in

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Tuttavia, proprio per la particolare ed il forte rilievo costituzionaleche presenta, è stato possibile ritenere non applicabili alla satira i cri-teri del decalogo del giornalista, bensì quelli dell’effettiva notorietàdella persona oggetto di satira e della coerenza causale tra lo spessorepubblico del personaggio e i fatti oggetto di elaborazione satirica 149.

Ciò detto, vero è che parte cospicua di dottrina 150 e giurisprudenzaevidenzia come l’espressione satirica veicoli nella generalità dei casiun preciso messaggio, come parrebbe evidente quando la satira è col-legata a un’attività di informazione (esemplarmente le vignette satiri-che dei giornali 151). In questi casi, la giurisprudenza, considerandoche essa assolve alla funzione di «completare» e fare «da cassa di ri-sonanza» al messaggio, la reputa «attratta» nel sistema dei limiti «ca-nonici». Pertanto, anche in riferimento alla satira, occorrerebbe, divolta in volta, distinguere, a seconda dei diversi contesti, se trattasi diuna forma di manifestazione del pensiero – ed eventualmente di chetipo – o non piuttosto dell’esplicazione della libertà di creazione arti-stica 152.

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quell’occasione il giudice affermò che la vignetta satirica risulta lesiva dell’altrui re-putazione in quei casi in cui non si limita ad essere un’interpretazione volutamenteforzata, ridicola o maliziosa di un evento reale, ma costituisca un’allusione del tuttogratuita e infondata a fatti inesistenti, nella fattispecie la raffigurazione dell’uomo po-litico come un ladro (Trib. Roma, 23 maggio 1988, in Dir. inform. inf., 1989, 919-930,con nota di V. RICCIUTO). Successivamente giunta in Cassazione (Corte Cass., sez. III,29 maggio 1996, n. 4993, in Danno e resp., 1996, 585 con nota di V. CARBONE).

153 In tal senso, per esempio, Pret. Roma, 4 marzo 1989, cit., 538-535.154 Pret. Roma, 16 febbraio 1989, cit., 520-527; per un altro caso in cui l’attività di

satira è stata considerata illegittima si veda Trib. Roma, 26 giugno 1993, in Dir.inform. inf., 1993, 985 e in Giur. it., 1994, I, 2, 341 (con nota di A. GIAMPIERI).

262 Introduzione allo studio dell’identità individuale

In ogni caso, è tuttavia registrabile, come dicevamo, la tendenza ge-nerale da parte dei giudici ad attenuare notevolmente il rigore nella de-terminazione dei limiti, interni (di contenuto) ed esterni (di formeespressive), in considerazione della natura stessa della satira, che por-ta a rilevare come essa non debba obbedire a canoni di verità e di estre-ma correttezza espressiva, ma, debba anzi essere uno strumento capa-ce di «graffiare» e «ferire» il bersaglio, che, e con questo (ri)torniamo alvero e proprio «requisito di legittimità» della satira, per il fatto di esse-re un uomo noto al pubblico, viene tenuto a scontare un prezzo più al-to per la notorietà acquisita 153. Proprio su questa base, il Pretore di Ro-ma nel 1989 «considerò lesiva dell’identità personale la satira condottasu di un soggetto senza che esistesse alcun nesso tra la notorietà e lequalità del soggetto preso di mira e il discorso comico realizzato 154».

Infine, nel rapporto tra libertà di realizzazione artistica e diritto al-l’identità personale, viene meno completamente il ponte di collega-mento tra criterio della «verità» e «pensiero» così che l’opera dichia-ratamente e interamente di fantasia assurge ad essere «sovrana» (as-sistita dall’art. 33 Cost.).

Non sfugge però anche in quest’ambito l’incerta collocazione di alcu-ne ipotesi «di confine»: ci riferiamo, per esempio, ai c.d. film-verità cheriprendono episodi (spesso di cronaca nera) che hanno colpito l’atten-zione dell’opinione pubblica, drammatizzandoli e talora infarcendoli didettagli puramente inventati dagli sceneggiatori. Anche in questi casi,infatti, occorre utilizzare il criterio del «filtraggio», all’interno dell’opera,degli elementi «fattuali», dai quali solo può scaturire l’eventuale lesionedi un profilo identitario della persona, rispetto alla creazione artistica.

In questo quadro, l’opera cinematografica, seppur costituente il

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155 Corte App. Roma, 11 febbraio 1991, in Giust. civ., 1992, I, 223-229 (con nota diP. GIAMMARIA).

156 Trib. Roma, 11 dicembre 2002, in Dir. inform. inf., 149-158. Nell’occasione ilgiudice riconobbe la lesione del diritto all’identità personale (nella specie «politico-ideologica») di un noto cantante, il quale aveva rilasciato un’intervista ad un giorna-lista free-lance, successivamente travisata dal giornalista, con l’attribuire all’intervi-stato affermazioni o mai rilasciate o di contenuto del tutto diverso rispetto a quantoeffettivamente pronunciato.

L’identità individuale nella dimensione sociale 263

frutto dell’attività creativa e artistica di chi la realizza, può essere con-siderata illecita nel momento stesso in cui rappresenta fatti non veri-tieri. Su questa base, per esempio, la Corte di Appello di Romariformò una pronuncia resa nel grado precedente che aveva ritenutouno sceneggiato televisivo lesivo dell’identità personale di un soggetto(perché il filmato avrebbe abbondantemente superato il limite del di-vieto di deformare la personalità del soggetto «narrato»), rilevandoche nel precedente grado di giudizio il giudice non aveva tenuto con-to del fatto che «nel campo dei rapporti tra libertà di manifestazionedel pensiero e diritto all’onore e alla riservatezza, è ormai opinione co-stante che il contemperamento o bilanciamento dei due interessi» de-ve risolversi in favore della prima, con ciò riconducendo il filmatoall’ambito di applicazione dell’art. 21 rendendo conseguentementeoperante l’accertamento dei relativi parametri di legittimità 155.

Confermando l’idea della facilità di emigrazione da un’espressionedel pensiero all’altra, citiamo in conclusione un recente caso in cui ilTribunale di Roma ha avuto modo di chiarire che l’intervista può as-surgere ad opera dell’ingegno qualora consista in un qualcosa di nuo-vo, realizzato mediante uno sforzo intellettuale di rappresentazionenon banale di un’idea o di un contenuto, la cui titolarità spetta all’in-tervistato solo qualora sia costui a preparare autonomamente le do-mande e le risposte o comunque a diffondersi sulle questioni trattate,condizioni che nel caso di specie non risultarono soddisfatte 156.

13. L’identità individuale e il diritto all’oblio

Di recente autorevole dottrina ha in qualche modo «chiuso il cer-chio», mettendo in evidenza come l’approccio al tema delle libertà in

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157 Così F. MODUGNO, I «nuovi diritti», cit., 10. Inoltre in una recente pronuncia laCorte di Cassazione ha parlato della riservatezza e dell’identità personale come di in-teressi promananti dalla medesima matrice rappresentata dalla privacy «intesa nelladuplice valenza positiva e negativa quale libertà di escludere l’indiscriminato accessodi terzi ai dati personali e libertà di garantire all’interessato il controllo della corret-tezza e non eccedenza del trattamento al fine di salvaguardare l’identità personale»(Corte Cass., sez. III, 28 maggio-9 luglio 2004, n. 30134, in Guida al dir., n. 35, 2004,67-69, con nota di M. GALDIERI; cfr. inoltre infra, Cap. V, § 5, nota 37).

158 Ancora qualche anno fa la rivendicazione di un «diritto all’oblio» ha assunto to-ni particolarmente accesi riguardo ai soggetti «protestati», al punto da indurre da unlato il legislatore a stabilire con la legge n. 235 del 2000 «che la notizia di ciascun pro-testo venga conservata nel registro informatico dei protesti, fino alla sua cancellazio-ne o, in mancanza di tale cancellazione, per cinque anni dalla data della registrazio-ne» e dall’altro il Garante (Provvedimento del 7 febbraio 2002) per ribadire ai sogget-ti privati la vigenza dell’obbligo di aggiornare ed al momento opportuno cancellarequesto tipo di dato (o in suo luogo rendere nota la riabilitazione), particolarmente de-licato specie in ambito creditizio.

159 Ci riferiamo in particolare a Corte Cost., ord. 19 gennaio 1993, n. 14 (G. SIC-CHIERO, La terza decisione della Corte Costituzionale sulla pubblicazione del protesto diassegni bancari, in Giur. it., 1993, I, sez. I, 891-893); Corte Cost., sent. n. 151 del 1994(M. MONNINI, In tema di sospensione della pubblicazione del protesto, in Foro it., I,1994, 2649-2654) e Corte Cost., ord. n. 112 del 1999 (in Giur. cost., 1999, 984). Si ve-dano altresì sul tema S. ZIINO, Note sul procedimento per la cancellazione dei protesti e

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senso «positivo», come autodeterminazione (o autorealizzazione, oautonomia) del singolo «che grazie ad essa si fa persona, in tutte le di-rezioni possibili 157», implichi la dimensione negativa delle libertà, va-le a dire l’indipendenza dell’individuo da costrizioni, intrusioni o im-pedimenti che lo renderebbero (tra l’altro) incapace di qualsiasi auto-nomia. Sembra dunque lecito domandarsi se, sempre in vista di asse-condare l’autonomia individuale, sia possibile per il soggetto rivendi-care il diritto all’oblio rispetto alle informazioni che lo riguardano.

Pretesa che, anche se è stata resa particolarmente stringente dall’av-vento delle nuove tecnologie capaci di memoria «tendenzialmente«eterna», consentendo di conservare e riproporre profili identitari deltutto inattuali, di cui il soggetto vorrebbe talvolta perdere qualunquetraccia 158, tuttavia riguarda anche i mezzi di conservazione e diffusio-ne del pensiero più tradizionali, come dimostra la ben nota vicenda deiprotesti cambiari su cui è intervenuta anche un paio di volte la CorteCostituzionale, ritenendo in entrambi i casi la questione manifesta-mente infondata 159.

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sui poteri cautelari del giudice ordinario dopo la rimessione degli atti alla Corte Costitu-zionale, in Giust. civ., 1993, II, 2238-2245; A. PALMIERI, In tema di protesto di assegnobancario, in Foro it., 2002, I, 3522-3527.

160 Così T.A. AULETTA, Diritto alla riservatezza e «droit à l’oubli», in AA.VV., L’infor-mazione e i diritti della persona, Jovene, Napoli, 1983, 131.

161 In tal senso L. RATTIN, Il diritto all’oblio, in Arch. civ., 2000, 1069-1074; si vedain proposito S. MORELLI, Fondamento costituzionale e tecniche di tutela dei diritti dellapersonalità di nuova emersione (a proposito del c.d. “diritto all’oblio”), in Giust. civ.,1997, II, 515-524.

L’identità individuale nella dimensione sociale 265

Specificamente, il problema della validità degli elementi identitaria rappresentare l’identità individuale del soggetto nel corso del tempopare porsi soprattutto per quanto riguarda l’identità riconosciuta insenso sociale, considerato che mentre vita intima, pensieri, scelteideologiche, sentimenti, evolvono, al contrario l’identità anagrafica equella biologica sono profili tendenzialmente statici di identificazio-ne, destinati a rimanere immutati nel corso del tempo. Per meglio di-re, rispetto a questi ultimi, si pone, semmai, in senso stringente, unproblema di riservatezza o, all’opposto, il problema del riconoscimen-to di un vero e proprio diritto del soggetto all’«aggiornamento» dei da-ti che lo identificano.

Nel tentativo di ricostruire compiutamente la figura del diritto al-l’oblio, parte della dottrina, senza peraltro affrontare il nodo proble-matico del fondamento normativo di questo diritto, fa leva sull’«inte-resse pubblico» alla diffusione dell’informazione, rilevando come intutti i casi in cui è riscontrabile l’interesse sociale alla notizia non cipossa essere «oblio» 160.

Diversamente altra parte della dottrina, fuoriuscendo dallo specifi-co ambito della libertà di manifestazione del pensiero per addivenirea considerare il più generale contesto in cui si trova la persona, im-mersa nel vivere sociale, riconduce l’oblio nel contesto dei diritti in-violabili dell’uomo, come una delle condizioni grazie alle quali è datomodo alla personalità umana di esplicarsi liberamente e rispetto allequali gli altri soggetti sono tenuti al dovere di solidarietà sociale 161.

Pur percorrendo questa strada, altra dottrina ancora si è doman-data se il diritto all’oblio possa trovare spazio nella dimensione del-l’identità personale, come situazione rivolta a salvaguardare la proie-zione pubblica della personalità del soggetto, giungendo a dare alquesito risposta negativa, preso atto del fatto che «l’interessato, ha la

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162 Così A. MASARACCHIA, Sul c.d. «diritto all’oblio», in Giur. cost., 1997, 3025; l’af-fermazione tra virgolette è di A. PACE, Il diritto sulla propria immagine nella società deimass media, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1996, 459.

163 Sul punto già nel 1996 era intervenuta la legge n. 675 disponendo all’art. 9 (mo-dalità di raccolta e requisiti dei dati personali) che i dati personali oggetto di tratta-mento dovessero essere «conservati in una forma che consenta l’identificazionedell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopiper i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati», e prevedendo altresìall’art. 42 la possibilità per il titolare del dato di chiederne la cancellazione nel caso ditrattamento illegittimo o la trasformazione in forma anonima; disposti che sono sta-ti consolidati dal vigente Testo Unico sulla privacy (artt. 11 e 175).

164 Cfr. A. ROSANO, Transessualità e diritto all’oblio (nota a Trib. Bari, 1° ottobre1993), in Riv. giur. scuola, 1995, 845-847.

266 Introduzione allo studio dell’identità individuale

legittima pretesa che gli altri – e in particolar modo gli organi di stam-pa – non riferiscano su di lui notizie false […] non può però pretende-re che “gli altri dicano di lui quello che egli ritiene di essere 162”» o checomunque «non dicano».

Ciò detto, se però si ha riguardo alla nozione d’identità personalecome venuta enucleandosi in queste pagine, non appare implausibileconsiderare il diritto all’oblio come coordinato al diritto all’identitàpersonale, nel senso di porre un argine temporale invalicabile alla ri-proposizione «deformante» di atti o fatti appartenenti al soggetto maormai del tutto scollegati dalla sua realtà attuale.

Vero è che in analogia con quanto abbiamo visto avvenire per il di-ritto all’identità personale, è difficile sostenere che «in positivo», valea dire «come rivendicazione», il soggetto possa impedire agli altri dipredicare avvenimenti veri che lo riguardino, (seppure non più attua-li, ma d’interesse pubblico), almeno che non gli sia consentito da unaspecifica norma positiva (come, per esempio, riguardo ai casi di «can-cellazione» previsti dalla legge n. 675 del 1996 163 ed ora dal D.Lgs. n.196 del 2003). Ciò parrebbe emergere con chiarezza proprio nel casodel riconoscimento del diritto all’identità sessuale, in cui una leggespecifica riconosce a questi soggetti il diritto all’oblio riguardo allapropria identità passata 164.

Tuttavia, anche in quelle ipotesi in cui il diritto all’oblio potrebbe es-sere legittimamente compresso a favore della libertà di manifestazionedel pensiero, occorre che ciò avvenga a condizione della riconducibi-lità della notizia sotto l’ombrello dell’art. 21 Cost.: cioè a patto che

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165 L’importanza del requisito dell’interesse pubblico al fine della legittimità delladivulgazione della notizia non più attuale emerge con evidenza nella pronuncia delTrib. Roma, 21 novembre 1996 (in Dir. fam. pers., 1999, 147-157 con nota di G. CAS-SANO), secondo cui anche se la rappresentazione (televisiva) di un grave e clamorosofatto di cronaca nera giudiziaria dopo oltre vent’anni dall’accaduto si svolge nell’os-servanza dei limiti della verità e della continenza, può ledere il c.d. diritto all’oblio deifamiliari qualora manchi un interesse pubblico attuale a conoscere le vicende stesse.

166 Così per esempio, il decreto n. 316 del Ministero dell’industria all’art. 13 per-mette a chiunque di pubblicare o di organizzare in banche dati le notizie dei protesti,anche oltre i 5 anni del registro informatico, ma con l’obbligo di indicare la data allaquale i dati pubblicati sono aggiornati. Sempre in questa prospettiva degna di nota èl’ordinanza con cui il Pretore di Roma, nel 1988 pur affermando l’inesistenza del di-ritto di ripudio del proprio passato «alla luce di una nuova prospettiva di vita e di la-voro non più confacente alle modalità dell’esordio», ha tuttavia ammesso l’indubbiaesistenza del diritto alla propria identità personale, «come autonomo diritto dellapersonalità, ossia come espressione del diritto di manifestarsi quali si è effettivamen-te e nel tempo presente» che nella fattispecie è risultata esser stata lesa «dall’omissio-ne di ogni utile indicazione circa la provenienza e l’epoca del filmato da cui derivanoi due cineromanzi» (Pret. Roma, 10 febbraio 1988, cit.).

167 Ci riferiamo a Trib. Roma, 15 maggio 1995, in Dir. fam. pers., 1998, 76-94 (connota di G. CASSANO) e a ord. Trib. Roma, 8 novembre 1996, in Giust. civ., 1997, 1990-1997 (con nota di L. CRIPPA). Si vedano altresì Trib. Roma, 27 novembre 1996; ord.Trib. Roma, 20 novembre 1996; ord. Trib. Roma, 20 novembre 1996 (e la nota di G.CASSANO, Soluzioni controverse di casi concernenti i diritti della personalità nelle tra-smissioni televisive), in Dir. fam. pers., 1999, 1, 147-157.

L’identità individuale nella dimensione sociale 267

l’informazione sia contenutisticamente corretta, continui a rivestire unqualche tipo di interesse per il pubblico e, soprattutto, per quanto ri-guarda questo particolare profilo, sia adeguatamente presentata 165.Se, infatti, non è lecito impedire la diffusione del pensiero, tuttavia ilsoggetto di cui la notizia tratta ha il diritto a che gli elementi identita-ri che lo riguardano siano correttamente contestualizzati, così che i de-stinatari dell’informazione abbiano le necessarie coordinate spazio-temporali di collocazione del dato 166.

Quanto al «pubblico interesse» o all’«utilità sociale» della notizia,non nascondiamo la difficoltà di dare un contenuto preciso ad un pa-rametro così elastico. Non stupisce quindi la circostanza che, in duedel tutto analoghe, gli organi giudicanti abbiano deciso in manieradel tutto opposta 167. A parte i principi di fondo che muovono i giudi-ci, decisivo ci sembra tuttavia essere il contesto: così, mentre nel pri-mo caso un grave fatto di cronaca nera era stato ripubblicato con fo-

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tografia del reo confesso a fini di mera promozione commerciale; nelsecondo, i giudici hanno mostrato di apprezzare il fatto che i filmatifossero stati inseriti in una trasmissione giornalistica avente l’obietti-vo di sollecitare la riflessione dell’opinione pubblica sulla vicenda.

Infine, (ma non certo per importanza!) l’informazione deve essererispettosa della proiezione sociale della personalità individuale, a pe-na della violazione diretta, in caso contrario, del diritto all’identitàpersonale.

Il diritto all’oblio finisce così per rappresentare, a determinatecondizioni, uno dei profili che contribuiscono a dipingere le modalitàdiffusive della notizia alla luce del principio di «correttezza» contri-buendo a dare effettività alla protezione dell’identità individuale nel-la dimensione sociale.

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2004nella Stampatre s.r.l. di Torino

via Bologna, 220

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