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Introduzione alla TeoriaQuantistica dei Campi

Tommaso Mondadori

Circolo Matematico Cesenate

autunno 2013

1 Obiettivo del corso.

La Teoria Quantistica dei Campi è tra le più alte costruzioni teoriche rea-lizzate dall'uomo (e ad oggi sicuramente la più e�cace) per comprendere leprofondità della natura.Il Modello Standard della �sica delle particelle elementari, che poggia intera-mente sulla QFT (Quantum Field Theory), è oggi in particolare la descrizionepiù accurata ed elegante che abbiamo del mondo sub-atomico.

L'obiettivo di questo corso è quello di comprendere le idee principali del-la QFT , esplorandone l'aspetto matematico, ed estraendo il signi�cato �sicodegli oggetti astratti che costituiscono l'ossatura della teoria.

Per fare ciò dovremo viaggiare verso la frontiera della conoscenza, laddove larealtà è qualcosa di non più ben de�nito; laddove la logica, la matematica el'intuizione sono l'unica nostra arma utile.

2 Meccanica Quantistica e

Relatività Ristretta

Perchè la teoria dei campi?

L'esigenza della QFT nasce essenzialmente dall'incompatibilità tra Mecca-nica Quantistica e Relatività einsteiniana (d'ora in poi quando parleremo di

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Relatività, intenderemo sempre Relatività Ristretta).Esse costituiscono le due grandi rivoluzioni nel pensiero scienti�co del secoloscorso e si trovano alla base della �sica teorica moderna. Tuttavia le dueteorie, così come sono state formulate in origine, rimangono all'apparenzaassolutamente indipendenti l'una dall'altra.

Iniziamo allora il nostro viaggio mettendo in luce proprio questa incompa-tibilità, dalla quale sorge il bisogno di una teoria uni�catrice, la QFT, cheandremo con pazienza a costruire.

2.1 L'Equazione di Schrodinger e il Principio di Relatività.

Le leggi della quanto-meccanica non sono le stesse in tutti i sistemi di rife-rimento inerziali (de�niti attraverso le trasformazioni di Lorentz della RR).

Consideriamo l'equazione di Schrodinger, cardine della Mecc. Quantistica,che descrive il moto di una particella libera nello spazio di Hilbert:

ih∂

∂tΨ(x, t) = HΨ(x, t) = [− h

2P 2

2m+ V (x)]Ψ(x, t)

Cerchiamo di convincersi che essa è in disaccordo con i principi della Re-latività.Non è di�cile notare infatti che l'operatore Hamiltoniano che compare sopraè essenzialmente l'estensione allo spazio di Hilbert di una funzione di Hamil-ton (l'energia del sistema) classica, in cui sono stati elevati ad operatori laquantità di moto e il potenziale d'interazione (secondo le regole di quantiz-zazione canonica).Nell'equazione si riconoscono infatti il termine quadratico nell'impulso dellaparticella e il termine del potenziale d'interazione analoghi al caso classico:

H(x, p) =p2

2m+ V (x)

La relazione detta di dispersione che lega energia e impulso (quantità dimoto) in Relatività Ristretta trovata da Einstein è decisamente diversa daquella che vediamo comparire sopra:

E = (p2c2 −m2c4)1/2

E' facile convincerci dunque che l'equazione di Schrodinger non può essereun'equazione relativistica. Se si applica infatti una trasformazione di Lorentz

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sulle coordinate spazio-temporali che descrivono il sistema, si trova che l'e-quazione non va in se stessa contrariamente a quanto vorrebbe il Principiodi Relatività secondo cui le leggi della �sica devono essere le stesse in tutti isistemi di riferimento (inerziali, nel caso di Relatività Ristretta).

2.2 Il Principio di indeterminazione e l'uguaglianza massa-energia.

Consideriamo ed analizziamo le equazioni:

4E · 4t ≈ h , E = mc2

in un tempo brevissimo (così breve che non è sperimentalmente misurabile,ma previsto solo in teoria) può avvenire, per il Principio di Heisenberg unavariazione di energia non nulla in un sistema quantistico.La Relatività ci insegna però che l'energia, a meno di una costante, è ugualealla massa.Ne concludiamo che in brevissimi intervalli temporali può veri�carsi una va-riazione di massa all'interno del sistema che interpretiamo a buona ragionecome creazione (o distruzione) di particelle.Ciò va però in netto contrasto con i principi della Meccanica Quantistica,per i quali una particella non può scomparire:∫ +∞

−∞dx |Ψ(x)|2 = 1

La densità di probabilità per una particella di essere localizzata in tutto lospazio sappiamo che è costante nel tempo ed è pari a 1 (di certo non può an-nullarsi!); una particella quindi non può scomparire da un momento all'altro,perchè ho sempre la certezza che sia da qualche parte tra −∞ e +∞.Viceversa, non può apparire da un istante all'altro una probabilità non nulladi avere da qualche parte nello spazio una seconda particella che non esisteva�no a poco prima.

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2.3 Spazio e Tempo in M.Q. e R.R.

In Relatività spazio e tempo sono miscelati in un unicum spazio-temporale.Nelle trasformazioni di Lorentz :

x′ = γ(x− βt) , y′ = y , z′ = z , t′ = γ(t− β

cx)

γ =1√

1− β2, β = v/c

si vede chiaramente come il tempo sia una coordinata che ha la stessadignità matematica delle coordinate spaziali.Spazio e tempo sono indissolubili e intimamente legati l'uno all'altro.

In Meccanica Quantistica invece il tempo rappresenta un semplice parametroda cui dipende la funzione d'onda che compare nell'equazione di Schrodinger,mentre la posizione x costituisce un vero e proprio osservabile �sico. Ad essaè associato un operatore che agisce sullo spazio di Hilbert e che permette dicompiere misure sugli autovalori della funzione di stato del sistema.

X |ψ〉 = x |ψ〉 , ( ˆtempo |ψ〉 =??? )

2.4 Nuovi orizzonti.

In conclusione: abbiamo visto alcuni fondamentali argomenti che dimo-strano come la �sica descritta dalla M.Q. sembri assolutamente lontana daquella che ritroviamo in R.R..Del resto le scale energetiche sulle quali le due teorie operano sono moltodistanti: in �sica atomica si ha a che fare con energie dell'ordine dell'elet-tronvolt (eV; che è l'energia tipica che caratterizza i salti energetici deglielettroni negli atomi) , mentre la massa a riposo relativistica dell'elettrone èdell'ordine del MeV , ovvero 106eV .

Cosa ci dice tutto ciò?Nè la M.Q. , nè la R.R. sono teorie de�nitive: esse hanno dei limiti di va-lidità e, come abbiamo visto, se immaginiamo di raccogliere in due insiemidistinti i fenomeni �sici di cui si occupano l'una e l'altra teoria, questi non siintersecano a�atto.

Relatività e Meccanica Quantistica sono dunque davvero incompatibili?

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3 Richiami di Meccanica Analitica

Prima di avventurarci nella costruzione di una Meccanica Quantistica Re-lativistica (che sarà appunto la QFT), è doveroso riprendere alcuni concettiche ci saranno di fondamentale aiuto.

3.1 Il formalismo lagrangiano

La formulazione più generale e matematicamente elegante delle leggi del mo-to, in �sica classica, è data dal Principio di minima azione (o principio diHamilton). Secondo questo principio, ogni sistema meccanico è caratterizzatoda una determinata funzione, detta funzione di Lagrange (o semplicementeLagrangiana

L = L(q1, q2, ..., qn, q1, q2, ..., ˙qn,, t)

che può dipendere in generale dalle coordinate qn che descrivono il sistema(ad esempio possono essere le usuali x,y,z nello spazio tridimensionale), dalle

velocità qn =dqndt

ed eventualmente anche dal tempo.

Se si prende l'integrale nel tempo di questa funzione, si ottiene un'altra quan-tità fondamentale per la descrizione del moto del mio sistema: l'Azione.

S =

∫dtL(q1, q2, ..., qn, q1, q2, ..., ˙qn,, t)

Secondo il Principio di minima azione, la traiettoria del sistema, ovvero lafunzione qn(t) che mi descrive l'evoluzione temporale delle coordinate, è quel-la che rendeminimo (in realtà, matematicamente, è corretto dire stazionario)il funzionale S.Il moto è completamente de�nito dunque a partire dalla conoscenza dellecondizioni iniziali e della funzione di Lagrange.

La condizione di minimo per l'azione si traduce matematicamente nel porre

δS = 0

Sviluppando i conti:

δS =

∫ t2

t1

dt δL(q, q) =

∫ t2

t1

dt (L(q + δq, q + δq)− L(q, q)))

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sviluppando il di�erenziale di L e integrando per parti il secondo termine siottiene:

=

∫ t2

t1

dt (δqδL

δq+ δq

δL

δq) = δq

δL

δq

∣∣t2t1 +

∫ t2

t1

dt δq(δL

δq− d

dt

δL

δq) = 0

dato che il primo termine si annulla a causa del fatto che δq calcolato int1 e δq calcolato in t2 sono uguali a zero (si impongono infatti variazioniδq nella traiettoria, ma si mantiene il punto di partenza e il punto di arrivo�ssi!), rimane solamente il termine con l'integrale che, data l'arbitrarietà dellevariazioni δq, è nullo solo quando:

d

dt

δL

δq− δL

δq= 0

Queste sono le equazioni di�erenziali cercate, chiamate equazioni di Eulero-Lagrange . Se è nota la Lagrangiana di un sistema, allora queste equazionistabiliscono un legame tra accelerazioni, velocità e coordinate del sistema,cioè rappresentano le equazioni del moto.

esempio : le equazioni di Newton:

Consideriamo un sistema composto da una particella libera non soggettaa forze esterne. La sua Lagrangiana sarà una funzione delle coordinate e del-le velocità. Non può dipendere dal tempo, poichè il moto è invariante pertraslazione temporale (se considero la particella ad istanti diversi, le leggiche governano il suo moto devono essere le stesse).Tuttavia ci accorgiamo presto che non può dipendere nemmeno dalle coordi-nate, poichè anche una traslazione spaziale lascerebbe invariate le leggi delmoto.Perciò la funzione di Lagrange cercata potrà dipendere solo dalle velocità(qx, qy, qz); in che modo? Ricorriamo ad un terzo principio di invarianza (sim-metria) delle leggi del moto, quello di rotazione (si può vedere come proprietàdi isotropia dello spazio). Se ruotiamo il nostro sistema di riferimento, infattile leggi della �sica devono rimanere le stesse.Ne si deduce allora che la lagrangiana può dipendere solamente dal valoreassoluto del vettore velocità della nostra particella, cioè dal quadrato dellavelocità:

L = cost v2

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per convenzione (il motivo sarà chiaro a breve) data l'arbitrarietà del coe�-ciente che sta davanti a v2 lo assumiamo uguale a m

2. Otteniamo:

L =m

2q

2

Andiamo ora a risolvere le equazioni di Eulero-Lagrange del nostro sistema.Quello che otteniamo non sono altro che le equazioni di Newton per unaparticella libera nello spazio:

mq = 0

in cui q è l'accelerazione della nostra particella.L'equazione, come cercato, descrive il moto classico di una particella liberanello spazio.

N.B. è bene sottolineare che la funzione di Lagrange è stata ricavata a partiresemplicemente dalle proprietà di simmetria del sistema.Questo, come vedremo più avanti, è una delle caratteristiche fondamentali diquesto formalismo, che lo renderanno utilissimo ai nostri scopi.

3.2 Il formalismo hamiltoniano

Prima di passare oltre, è bene citare per completezza alcuni risultati mol-to importanti in �sica (sia in �sica classica che in �sica quantistica) cheriguardano un altro formalismo alternativo a quello lagrangiano.

Attraverso un cambio di variabili, infatti, si può passare dalla funzione diLagrange alla cosiddetta funzione di Hamilton (che rappresenta l'energia delsistema).Ciò signi�ca, in altre parole, studiare il sistema nello spazio delle fasi (q, p)invece che in quello delle con�gurazioni (q, q).Matematicamente quello che si fa è attuare una trasformazione di Legendresulla Lagrangiana sostituendo la coordinata q con la quantità di moto p .

H = p q − L(q, q)

Ora il sistema può essere studiato a partire dall'Hamiltoniana e si possonoricavare, da un principio variazionale simile a quello visto per la funzione diLagrange (basta infatti scrivere l'azione in funzione di H invece che di L),

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le equazioni del moto di Hamilton (del tutto equivalenti a quelle di Eulero-Lagrange viste in precedenza): {

p = − δHδq

q = δHδq

Perchè tutto ciò? I due formalismi sono del tutto equivalenti. Descrivonola stessa �sica. In alcune circostanze, tuttavia, può essere conveniente uti-lizzare il formalismo hamiltoniano (ad esempio in �sica statistica in cui lospazio delle fasi (q, p) è molto più utile di quello delle con�gurazioni (q, q);oppure in Mecc. Quantistica in cui l'equazione di Schrodinger, se ci si fa ca-so, è scritta attraverso l'Hamiltoniana del sistema) , mentre in altri casi puòessere utile invece quello lagrangiano (ad esempio, come vedremo a breve,quando si vogliono mettere in evidenza le simmetrie del sistema).

La traduzione della Meccanica Classica in chiave matematica attraverso que-sti due formalismi, comportò una mole di lavoro teorico davvero impressio-nante ad opera dei più grandi matematici del '700/'800 tra cui Gauss, Euler,Laplace, Legendre, Lagrange, Poisson, Jacobi, Hamilton e Liouville.Questo quadro uni�catore riesce a ridurre tutta la �sica classica (meccani-ca newtoniana, �uidodinamica, elettromagnetismo e per�no la relatività diEinstein si possono dedurre da principi variazionali attraverso funzioni di La-grange o Hamilton) all'interno di un sistema così matematicamente ra�nato,che sembra dirci qualcosa di profondo sulle basi matematiche del nostro Uni-verso �sico.Leggendo e approfondendo questi concetti ci si sente come cullati dalla spe-ranza che esista la possibilità di racchiudere tra le maglie di un unico sistemalogico-matematico ogni aspetto della realtà �sica che ci circonda.

Ma c'è sempre qualcosa che alla �ne riesce a sfuggire.

4 Richiami di Meccanica Quantistica

La Meccanica Classica, attraverso la sua eleganza ed e�cacia nella descrizio-ne dei fenomeni naturali, per lungo tempo ha illuso la mente dell'uomo chela realtà fosse deterministica.Date cioè le condizioni iniziali di un qualsiasi sistema, si pensava esistessero

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sempre leggi �siche che prevedessero con certezza la sua evoluzione nel tempo(ad oggi ci sono ancora molti sostenitori del determinismo).Verso la metà del secolo scorso, tuttavia, si abbatté un fulmine a ciel serenoche sconvolse tali credenze: i fenomeni di natura quantistica.

In questo capitolo riprendiamo molto brevemente i concetti fondamentalidi Meccanica Quantistica che sono stati appresi nei corsi precedenti.Per fare ciò, concentriamoci inizialmente su un esperimento che è conside-rato tra i più a�ascinanti mai realizzati in un laboratorio: l'interferenza dielettroni.(esperimento immaginato dai �sici teorici già a metà '900 e realizzato per laprima volta a Bologna da ricercatori italiani nel 1975)

4.1 L'esperimento della doppia fenditura.

Si consideri un fascio di elettroni emessi da una sorgente S omogenea edisotropa (cioè che emette elettroni con stessa energia e in tutte le direzioni).Gli elettroni così emessi vengono fatti infrangere su uno schermo sul qua-le sono state applicate due fenditure. Un secondo schermo posto di fronteal primo funge da rivelatore e registra la posizione in cui i singoli elettronicollidono.

Se la sorgente viene mantenuta a bassissima intensità si riescono ad indi-viduare sullo schermo rivelatore le posizioni dei singoli elettroni.Quello che ci si aspetta classicamente è che la distribuzione degli elettronisullo schermo di arrivo segua una statistica Gaussiana.Ciò che si scopre con grande meraviglia, invece, è che gli elettroni piano pianoformano una �gura di interferenza tipica di un'onda, lasciando sullo schermobande vuote (ovvero in cui non giungono particelle) alternate a bande piene(in cui si addensano le particelle).

Perchè è importante questo esperimento?

Questo esperimento mette in luce in unico apparato sperimentale la naturacorpuscolare e allo stesso tempo ondulatoria degli elettroni! Se guardiamocon attenzione lo schermo rilevatore infatti notiamo gli elettroni arrivare unoad uno, esattamente come se fossero proiettili di materia che incidono sulloschermo. Tuttavia la loro distribuzione spaziale non segue le leggi classichedella �sica dei proiettili, bensì quelle della meccanica ondulatoria.

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Figura 1: Ecco un esempio di come gli elettroni si distribuiscono sullo schermorivelatore al passare del tempo.

Figura 2: Disegno schematico in 3D dell'esperimento della doppia fenditura.Gli elettroni sono emessi dalla sorgente e incidono sullo schermo rivelatoredopo essere passati attraverso le due fenditure.

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L'esperimento ci pone di fronte ad un aspetto fondamentale della MQ:quello dell'interferenza tra stati del sistema.Quando si parla di MQ si rischia di fare l'errore di pensare che una funzioned'onda sia una semplice assemblea statistica di stati possibili.In realtà l'elemento essenziale che rende quantistico un sistema è la sovrap-posizione di quegli stati e la loro mutua interferenza.Nell'esperimento delle due fenditure si vede molto bene che gli stati vannoin interferenza costruttiva o distruttiva, il che li distingue da una semplicemiscela probabilistica di eventi.

4.2 Elementi di Meccanica Quantistica

Come evidenzia l'esperimento della doppia fenditura, in Meccanica Quan-tistica perde di signi�cato il concetto di traiettoria del sistema. Lo spazio dellecon�gurazioni in cui possiamo rappresentare la funzione q(t) che descrive l'e-voluzione temporale del sistema, non ha più alcuna utilità nella comprensionedei fenomeni su scala atomica.Occorrono nuove idee, nuovi strumenti matematici.

Rimandando i dettagli più tecnici ai corsi speci�ci di �sica quantistica, rias-sumiamo qui i concetti fondamentali dai quali non possiamo prescindere perla costruzione di una teoria quantistica di campo.In Meccanica Quantistica lo stato di un sistema è descritto attraverso ogget-ti matematici astratti (le funzioni d'onda) che trasportano un'informazione�sica. Lo spazio matematico in cui vivono questi stati è lo spazio di Hilbert:uno spazio vettoriale i cui vettori sono funzioni, sul quale è de�nita una topo-logia ed in particolare una metrica (cioè una distanza) indotta dal prodottoscalare tra funzioni così de�nito:

(Ψ,Φ) =

∫dxΨ∗(x)Φ(x)

Lo spazio di Hilbert in generale ha in�nite dimensioni. Cosa signi�ca?Signi�ca che ogni vettore (funzione d'onda) è scomponibile nel contributodelle proiezioni su in�niti vettori di base.Nello spazio tridimensionale un vettore è descritto dalle componenti x, y ez . Allo stesso modo un vettore dello spazio di Hilbert si scompone nei suoivettori di base (ortogonali e di norma unitaria):

Ψ(x) =∞∑i=1

ci ψi

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in cui ψi = (ψ1, ψ2, ψ3, ...) sono i vettori di base, ognuno con peso dato daicoe�cienti ci .

Il Principio di sovrapposizione, che si esplica nella scomposizione della fun-zione d'onda, è uno degli ingredienti fondamentali e caratteristici della Mecc.Quantistica.

L'informazione �sica sul sistema è contenuta nel modulo quadro delle fun-zioni d'onda (nella norma cioè dei vettori di stato). Esso restituisce la densitàdi probabilità di misurare il sistema in un certo stato.Ogni stato è caratterizzato da numeri quantici che indicano i valori assuntisu quello stato dalle grandezze �siche di nostro interesse; ad esempio lo statofondamentale dell'atomo ad idrogeno è caratterizzato dai valori E0 (energiaminima del sistema) e momento angolare nullo.Gli stati quindi contengono informazioni sia sulle variabili dinamiche del siste-ma (quanto valgono energia, quantità di moto, posizione, momento angolare,ecc..), sia sulle probabilità di misurare tali valori.

Gli stati da soli non sono però su�cienti. Per rendere completa la teoriaoccorre de�nire oggetti che agiscono sugli stati quantistici: gli operatori.Un operatore sullo spazio di Hilbert è per de�nizione un oggetto matematicoche trasforma un vettore di stato in un altro:

O : H 7→ H , O Ψ = Ψ′

Siamo interessati a due tipologie di operatori:

- Operatori AutoaggiuntiSono operatori tali che :

O† = O

ovvero, il trasposto complesso coniugato dell'operatore O (detto ancheoperatore aggiunto) è uguale all'operatore stesso.Questa proprietà fa sì che gli autovalori di un operatore si�atto siano numerireali rendendo un tale operatore candidato ad essere associato alle quantità�siche misurabili.Il Principio di corrispondenza in MQ associa ad ogni variabile dinamica diun sistema, un operatore autoaggiunto che agisce sullo spazio di Hilbert (sipensi alla quantità di moto, all'energia, alla posizione ecc..).Gli autovalori di tali operatori sono i valori assunti dalla variabile dinamicaassociata all'operatore su un determinato stato:

P Ψ = p|Ψ

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da cui si legge che sullo stato Ψ l'impulso (quantità di moto) vale p (un nu-mero reale).

- Operatori UnitariSono operatori tali che :

U † = U−1

Questa proprietà permette di interpretare questi operatori come operatoridi evoluzione degli stati in quanto conservano la probabilità, cioè la normadel vettore Ψ su cui agiscono. Infatti:∫

dxΨ∗U †UΨ =

∫dxΨ∗ ˆU−1UΨ =

∫dxΨ∗Ψ

N.B. l'operatore che agisce sul Bra è per de�nizione l'aggiunto di quello cheagisce sul Ket. Questo permette i passaggi mostrati sopra che evidenziano laconservazione della probabilità: il modulo quadro dello stato trasformato daU è uguale a quello iniziale.

Disponendo di stati e operatori abbiamo tutto ciò che ci serve per de-scrivere i sistemi quantistici.L'equazione che evolve nel tempo gli stati di un sistema e che ricopre quindiun ruolo centrale in tutta la MQ è la ben nota equazione di Schrodinger:

ih∂

∂tΨ(x, t) = HΨ(x, t) = [− h

2P 2

2m+ V (x)]Ψ(x, t)

N.B. Da essa si può ricavare la forma dell'operatore unitario di evoluzionetemporale:

U(t, t′) = exp(− ihHt)

Infatti da una semplice veri�ca si mostra che lo stato U(t, t′)Ψ è soluzionedell'equazione di Schrodinger.

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4.3 La notazione di Dirac

Prima di proseguire è utile introdurre una notazione, proposta da Paul Di-rac, che è largamente di�usa nei testi di MQ e che da ora in poi utilizzeremoquando ci serviremo di vettori di stato e prodotti scalari tra vettori di stato.D'ora in avanti chiameremo quindi bracket il prodotto scalare tra due funzio-ni d'onda dello spazio di Hilbert e lo indicheremo con il seguente formalismomatematico:

〈Ψ|Φ〉 =

∫dxΨ∗(x)Φ(x)

Indicheremo con bra la parte sinistra dell'espressione al primo membro e conket la parte destra.I ket saranno dunque i nostri vettori di stato, o funzioni d'onda del nostrosistema, mentre i bra costiutiranno il loro complesso coniugato (il vettori an-che detti Duali dei ket).

Prendiamo con�denza con la nuova notazione riscrivendo alcune delle for-mule principali della Meccanica Quantistica.Scomposizione della funzione d'onda:

|Ψ〉 =∞∑i=1

ci |ψi〉

〈Ψ| =∞∑i=1

〈ψi| c∗i

Normalizzazione del vettore di stato.

〈Ψ|Ψ〉 = 1

Probabilità di avere il sistema descritto dalla funzione d'onda |Ψ〉 nello stato|ψi〉 :

〈ψi|Ψ〉 = |ci|2

Equazione di Schrodinger:

ih∂

∂t|Ψ(x, t)〉 = H |Ψ(x, t)〉

.

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5 Integrali sul cammino di Feynman

La Meccanica Quantistica è stata formulata in formalismo Hamiltoniano.Ci si potrebbe chiedere: esiste una formulazione lagrangiana della MeccanicaQuantistica?Nel Capitolo 3 infatti abbiamo detto che in meccanica classica i due forma-lismi, hamiltoniano e lagrangiano, sono del tutto equivalenti: diversi nellaforma, ma non nella sostanza; descrivono la stessa �sica.In questo Capitolo vediamo come si possa costruire la MQ attraverso la fun-zione di Lagrange.Un tale formalismo ci sarà molto utile per la costruzione della teoria quantisti-ca dei campi, poichè il formalismo lagrangiano mette in evidenza le simmetriedel sistema che si vuole studiare, e le fondamenta della QFT saranno propriole proprietà di simmetria sotto trasformazioni di Lorentz.

5.1 Un'in�nità di cammini possibili

Consideriamo di nuovo l'esperimento della doppia fenditura visto nel Ca-pitolo precedente.L'elettrone che attraversa il primo schermo ha una certa probabilità di passa-re attraverso l'una o l'altra fenditura. La probabilità di arrivare in una certaposizione sullo schermo rivelatore sarà data dalla sommatoria dei due contri-buti, in termini di probabilità, dati da ognuna delle due traiettorie possibiliattraverso la prima o la seconda fenditura.

Immaginiamo ora di applicare una terza fenditura.Ora la probabilità totale per un elettrone di giungere in un certo punto delloschermo rivelatore sarà data dalla somma dei contributi di tutti e tre i pos-sibili percorsi.Ipotizziamo poi di aggiungere un ulteriore schermo e di applicare su di essoquattro fenditure. Seguendo il ragionamento precedente, la probabilità tota-le di avere l'elettrone che si propaga dalla sorgente ad un certo punto sulloschermo rivelatore sarà data dal contributo di ogni possibile percorso. Oraperò le combinazioni possibili sono dodici, come mostrato in Figura 3.

A questo punto dobbiamo un passo di notevole astrazione.Ci chiediamo: cosa succederebbe se interponessi tra la sorgente e il rivelatorein�niti schermi con in�nite fenditure su ognuno di essi?Applicando la logica di prima, avrei un'in�nità di possibili cammini per l'e-lettrone che si troverebbe a dover scegliere tra un numero di in�nite fenditurein�nite volte!

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Figura 3:

Ogni percorso possibile, estendendo i ragionamenti fatti nei casi più semplicicon un numero �nito di schermi e fenditure, contribuisce alla probabilità to-tale di trovare l'elettrone che incide in un determinato punto dello schermorivelatore.Tuttavia, se ci si ri�ette un attimo, ci si rende conto di una cosa sbalorditiva:se si hanno in�niti schermi sui quali vi sono in�nite fenditure, abbiamo difatto lo spazio vuoto!Dunque, la probabilità che si calcola come sommatoria di tutti i contributi ditutti i possibili percorsi a disposizione dell'elettrone, non è altro che la pro-babilità per l'elettrone di propagarsi dal punto di emissione dallasorgente al punto x sullo schermo rivelatore.

In questa a�ermazione c'è tutta la sostanza della Meccanica Quantistica.

5.2 Integrali di Feynman

Vediamo ora come si rappresenta matematicamente quanto detto nel pa-ragrafo sopra.Consideriamo una particella che si propaga libera nello spazio. La probabilitàche essa viaggi da un punto a ad un punto b dello spazio, per le considera-zioni fatte in precedenza, sarà la somma di tutti i possibili percorsi: tutte lepossibili traiettorie della particella nel tempo contribuiscono con una certaampiezza di probabilità: è come se ogni traiettoria fosse un'onda che interfe-risce costruttivamente o distruttivamente con le altre.Più in generale, quindi, dato un sistema quantistico, ogni possibile sua evo-

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luzione temporale porta un contributo alla probabilità totale di transizioneda uno stato ad un altro.

Matematicamente questo è descritto dal cosiddetto integrale sul cammi-no (o integrale di Feynman, in onore di Richard Feynamn che elaborò questeidee):

K(a,b) =

∫ b

a

Dx(t) exp(i

hS(x(t), x(t)))

in cui S(x(t), x(t)) è l'Azione che descrive il sistema,

S(x(t), x(t)) =

∫ t2

t1

dt L(x, x)

Cerchiamo di capire meglio il signi�cato di questo integrale.Ogni traiettoria possibile porta un contributo che è visto come una fase com-plessa di un'onda. Questa fase è determinata dall'Azione del sistema. Adogni traiettoria corrisponde dunque un valore diverso della Lagrangiana delsistema e quindi anche della sua Azione.Esattamente come tante onde diverse in fase che si sovrappongono, le traiet-torie possibili vanno in interferenza tra loro.L'integrale deriva dal fatto che abbiamo in�niti termini da sommare, uno perogni funzione x(t) possibile.Integrare in Dx(t) è qualcosa di molto diverso dall'usuale integrazione. Inquesto caso la variabile di integrazione non è un parametro x che varia concontinuità, bensì una funzione. Stiamo integrando su tutte le possibili formeche può assumere la traiettoria x(t).Filoso�camente parlando, stiamo sommando su tutte le possibili storie delsistema.

5.3 La Meccanica Quantistica lagrangiana

Concludiamo questo Capitolo sugli integrali di Feynman sottolineando un'im-portante risultato.L'intera Meccanica Quantistica si può riprodurre a partire dall'integrale sulcammino.L'equazione di Schrodinger si può derivare infatti direttamente dalla formuladell'integrale di Feynman che abbiamo analizzato nel paragrafo precedente.La formulazione attraverso gli integrali di Feynman è una formulazione la-grangiana totalmente equivalente a quella hamiltoniana usuale.

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Questo è un punto veramente cruciale e di svolta verso la compren-sione della Teoria Quantistica dei Campi che stiamo per costruire.In generale si ha che, data una lagrangiana di un sistema classico (ad esem-pio la lagrangiana di una particella libera ricavata nel Capitolo 3), se la siinserisce nell'integrale sul cammino, si ottiene la teoria quantistica per quelsistema. I risultati che si otterrebbero sono perfettamente in accordo conquanto si ricaverebbe attraverso una quantizzazione canonica basata sull'ha-miltoniana.

Domanda: perchè introdurre questo nuovo formalismo degli integrali diFeynman se essi non aggiungono nulla di nuovo alla Meccanica Quantisticatradizionale?Gli integrali di Feynman saranno essenziali per i nostri scopi per due motivi:

- la formulazione lagrangiana mette in evidenza le simmetrie della teoriache come vedremo saranno essenziali in QFT;

- gli integrali di Feynman sono estremamente utili nella teoria delle pertur-bazioni. Nel caso di sistemi quantistici interagenti il formalismo lagrangianorisulta molto più adatto rispetto a quello hamiltoniano.In teoria quantistica dei campi, come vedremo più avanti, ci interesseremoprincipalmente ai sistemi con molte particelle interagenti tra loro (sono i ca-si più interessanti dal punto di vista �sico) ed un approccio perturbativo sirivelerà l'unico possibile ed e�cace.

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6 Le Simmetrie

Uno dei concetti più ricchi e ridondanti in �sica è sicuramente quello disimmetria.Supponiamo di avere un sistema �sico il quale stato è descritto da un genericooggetto matematico che chiamiamo Ψ; si pensi ad esempio ad una funzioned'onda in meccanica quantistica.Immaginiamo ora di applicare una trasformazione al sistema, descritta ingenerale da un operatore matematico che agisce su Ψ; in generale scriviamo:

T Ψ = Ψ′

La trasformazione mi genera un nuovo oggetto matematico che mi descrivelo stato del sistema una volta avvenuta la trasformazione (si pensi alla tra-sformazione come ad una rotazione o ad una ri�essione ad esempio).Ora chiamiamo µ(Ψ) una certa misura che facciamo sullo stato del siste-ma. Ad esempio µ(Ψ) potrebbe essere la misura di quanto vale il momentoangolare del sistema (o l'energia, o la posizione ..qualsiasi quantità misura-bile), oppure potrebbe essere una misura di tipo geometrico, ad esempio unaveri�ca di come la forma di una �gura di partenza sia mutata dopo la tra-sformazione.Se succede che µ(Ψ) = µ(Ψ′), allora dirò che la trasformazione T che hoe�ettuato è una trasformazione di simmetria per il mio sistema, e la quantitàµ(Ψ) è un invariante sotto quella trasformazione.

In altre parole, se ho una misura invariante dopo una trasformazione fat-ta sul sistema, avrò una simmetria.

6.1 Un Universo di simmetrie

Le simmetrie sono tra gli aspetti forse più a�ascinanti e signi�cativi innatura. Esse sono connesse con il concetto di ordine, di sinuosità, di armonia,di eleganza geometrica, di ricorsività, ma anche di bellezza e di proporzione.Con un po' di attenzione le si ritrova ovunque, in ogni disciplina, e in ogniambito della realtà.

C'è chi sostiene che le simmetrie siano qualcosa di intrinseco alla naturadelle cose: una sorta di principio guida, un insieme di regole che soggiace allestrutture del cosmo.

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Un'altra corrente di pensiero, invece, ritiene che sia l'uomo a vedere la naturasimmetrica e ordinata, nel tentativo di costruire modelli che colgano proprie-tà di simmetria utili a schematizzare le cose e sempli�care la realtà.Ciò signi�cherebbe che la nostra mente è fatta in modo tale da apprenderela realtà attraverso schemi ordinati, proporzioni, situazioni che si ripetono...

In ogni caso, al di là delle speculazioni �loso�che, le simmetrie costituisconouno strumento importante di analisi e comprensione della realtà (indi�eren-temente che esse siano parte della realtà stessa o siano solo frutto del lavorodella nostra mente).

In particolare, esse sono fondamentali nella comprensione e nello studio deifenomeni �sici.

6.2 Le simmetrie in �sica

In �sica le simmetrie sono descritte elegantemente dal formalismo lagran-giano (come detto più volte nei capitoli precedenti).Vediamo da vicino il signi�cato di questa a�ermazione.Consideriamo un sistema �sico descritto da una certa funzione di Lagrange;l'evoluzione di questo sistema sarà data dalle equazioni di Eulero-Lagrange,ricavate nel Capitolo 3.Supponiamo ora di applicare una trasformazione �sica sul sistema: essa sitraduce in una trasformazione della lagrangiana (si pensi ad esempio ad unarotazione: ruotando il sistema, cambiano le coordinate spaziali e di conse-guenza cambia la Lagrangiana).Una trasformazione di simmetria per un dato sistema �sico, è una trasfor-mazione tale da lasciare invariata la Lagrangiana di tale sistema. Se essa noncambia, infatti, le equazioni di Eulero-Lagrange, che costituiscono le leggi�siche che governano il sistema, assumono la stessa forma.In questo modo la �sica è la stessa prima e dopo la trasformazione.N.B. Questo di fatto è il contenuto del Principio di Relatività delle leggi della�sica!

Ma c'è di più, le simmetrie in �sica ci assicurano anche che vi siano quan-tità misurabili che si conservano durante il moto.Vedere questo risultato è abbastanza semplice; basta conoscere bene e sfrut-tare a dovere le equazioni di Eulero-Lagrange.

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Supponiamo di avere un sistema descritto da una certa funzione di Lagrangeche non dipende da una certa coordinata che chiamiamo qi . Se ciò avviene,posso scrivere:

δL

δqi= 0

Ma per le equazioni del moto:

d

dt

δL

δqi=

δL

δqi= 0

il che implica che vi sia una quantità δLδqi

che si conserva (la sua derivata

rispetto al tempo è nulla).

Volendo essere più rigorosi, esiste un Teorema molto importante che genera-lizza questo risultato:Teorema di Noether: per ogni simmetria continua a n parametri esistonon cariche conservate.

Le cariche conservate sono quantità estremamente signi�cative dal puntodi vista �sico, perché sono quantità che rimangono invariate durante l'evolu-zione del sistema.Per fare alcuni esempi: alla simmetria di traslazione (in 3 direzioni, quindi 3parametri) corrisponde la legge di conservazione della quantità di moto delsistema (lungo x,y,z: 3 quantità in tutto); alla simmetria di rotazione corri-sponde la conservazione del momento angolare; alla simmetria di traslazionetemporale corrisponde la legge di conservazione dell'energia.Sappiamo bene quanto siano importanti in �sica queste leggi di conservazio-ne. La sola conoscenza di esse permette di ricavare risultati �sici estrema-mente signi�cativi.

Iniziamo ad avere un assaggio di quanta informazione �sica si nasconda die-tro il concetto di simmetria.

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6.3 Le simmetrie in matematica: teoria formale dei gruppi

In matematica le simmetrie sono studiate all'interno della cosiddetta Teo-ria dei Gruppi.

Un insieme G di elementi è detto gruppo se valgono le seguenti proprie-tà:

- esiste una legge di composizione, cioè un'operazione che chiameremo pro-dotto tra gli elementi dell'insieme G, tale che per ogni coppia h e g di elementidi G il prodotto di h e g restituisce un terzo elemento f che è ancora un ele-mento di G. (è fondamentale che sia 'per ogni coppia h e g')

- vale la proprietà associativa:

f(gh) = (fg)h

- esiste un elemento neutro e, tale che:

ef = f

- esiste, per ogni elemento di G, un elemento inverso f−1, tale che:

f−1f = e

Un gruppo è dunque qualcosa di estremamente astratto che soddisfa pro-prietà molto generali.(esempio: tanto per capirsi, anche l'insieme dei numeri reali forma un gruppoinsieme all'operazione di somma!).

I gruppi che ci interessano sono quelli delle trasformazioni.Possiamo pensare infatti di raggruppare una classe di trasformazioni mate-matiche (ad esempio: le rotazioni, le traslazioni ecc..) in un insieme i cuielementi (le trasformazioni) soddis�no le proprietà sopra elencate.Prima di arrivare a qualcosa di più concreto, occorre introdurre un altro con-cetto fondamentale: quello di rappresentazione di un gruppo.Consideriamo una mappa (un omomor�smo) che associa ad ogni elementodi un certo gruppo astratto G, un operatore lineare T (esprimibile in formamatriciale).Si dirà che l'insieme degli operatori T costiutisce una rappresentazione del

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gruppo G sullo spazio lineare vettoriale L su cui agiscono gli elementi di Tse vale:

T (g1) ˆT (g2) = T (g1g2)

T (e) = I , T (g−1) = T−1(g)

Per un particolare gruppo astratto non vi è una sola rappresentazione, alcontrario possono esservene in�nite a seconda dello spazio vettoriale L sulquale si vuole rappresentare il gruppo.Ad esempio il gruppo delle rotazioni può essere rappresentato nello spazioordinario dei vettori reali tridimensionali, ma anche nello spazio dei vettoricomplessi a due componenti, o addirittura nello spazio di Hilbert delle fun-zioni a quadrato sommabile.

Introduciamo in�ne un altro concetto fondamentale.Un sottospazio L1 di L è detto invariante sotto una certa trasformazione Tse vale:

T l = l′ , l, l′ εL1

cioè se la trasformazione T trasforma l in un elemento che fa ancora partedel sottospazio L1.Una rappresentazione T del gruppo G sullo spazio vettoriale L, è detta ir-riducibile se non esiste nessun sottospazio invariante di L rispetto ad unagenerica trasformazione di T .

Il concetto di rappresentazione irriducibile è importantissimo, poiché ci diceche quella rappresentazione non è più scomponibile in altre più elementari;in altre parole non trovo nessun sottospazio di L per il quale T è una rappre-sentazione del gruppo G. Ho trovato cioè la rappresentazione fondamentale(detto in linguaggio non rigoroso).

6.4 Gruppi e Algebre di Lie

In Fisica le simmetrie più ridondanti sono quelle a parametro continuo.Ciò signi�ca che una trasformazione (si pensi sempre ad una rotazione nellospazio per semplicità) dipende da uno o più parametri reali.Nel caso delle rotazioni i parametri sono gli angoli dei quali ruoto il sistema:una generica trasformazione di rotazione nello spazio tridimensionale saràdeterminata interamente da 3 parametri (3 angoli) che de�niscono il tipo dirotazione che compio sul sistema.

T (θ, φ, α) generica rotazione in tre dimensioni

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Si de�nisce Gruppo di Lie un gruppo di trasformazioni analitiche e a para-metro continuo.Cosa signi�ca che le trasformazioni sono analitiche?Signi�ca che posso fare una trasformazione in�nitesima nell'intorno dell'Iden-tità. Del resto se le trasformazioni sono parametrizzate da un numero reale,mi aspetto che una variazione in�nitesima del parametro, possa produrmiuna trasformazione in�nitesimamente vicina a quella di partenza, l'identità,che per de�nizione lascia invariato lo stato.

Esempi di gruppi di Lie sono: le rotazioni (in cui i parametri sono gli angoli),le traslazioni (in cui i parametri sono gli spostamenti dx), le trasformazioni diLorentz (in cui i parametri sono le velocità relative dei sistemi di riferimentoiniziali e �nali) e così via...

Prima di passare oltre, so�ermiamoci su due concetti importanti: quellodi generatore del gruppo e quello di Algebra di Lie.

Consideriamo una trasformazione generica di un gruppo Lie, T (α), e pro-viamo a svilupparla in serie di Taylor limitandoci al primo ordine:

T (α) = 1 + αδT

δα|α=0 + ...

Chiamiamo generatore del gruppo l'espressione δTδα|α=0.

Per ogni parametro che mi descrive la trasformazione T avrò un corrispon-dente generatore.Notando l'analogia con lo sviluppo in serie della funzione esponenziale nel-l'intorno di zero, possiamo scrivere una generica trasformazione in�nitesimanell'intorno dell'identità (ovvero nell'intorno di α = 0) in questo modo:

T (α) = exp(αJ)

in cui J = δTδα|α=0 è il generatore di tale trasformazione.

Tale espressione è chiamata anche mappa esponenziale del gruppo.

Il concetto di generatore è estremamente importante: noti i generatori delgruppo, infatti, attraverso la mappa esponenziale si riesce a ricavare l'espres-sione per una trasformazione generica a parametro α.

Perchè stiamo dicendo tutto questo?Perchè, come abbiamo acccennato precedentemente, un gruppo astratto di

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trasformazioni ha diverse rappresentazioni a seconda dello spazio di oggettimatematici sul quale si vuole agire.Come si trovano queste diverse rappresentazioni?? Proprio attraverso la ri-cerca dei generatori del gruppo.Ecco che arriviamo al concetto di Algebra di Lie.L'Algebra di Lie è una semplice espressione: dati n generatori di un grup-po, che indicheremo con Ji (con i = 1, 2, 3, ..., n), la loro Algebra è descrittadall'espressione

Ji Jj − Jj Ji

che solitamente si scrive [Ji , Jj] ed è chiamata commutatore dei generatori.

Il commutatore dei generatori (ecco che arriviamo al nocciolo della questio-ne) costituisce una sorta di carta d'identità del gruppo.Spieghiamoci meglio: consideriamo il gruppo delle rotazioni.In R3 si dimostra (attraverso teoremi di teoria dei gruppi astratti) che unarotazione è sempre parametrizzabile da un angolo ed un asse attorno al qualesi vuole ruotare un vettore e può sempre essere descritta da una matrice deltipo:

Rz(θ) =

cosθ sinθ 0−sinθ cosθ 0

0 0 1

N.B. per veri�care che Rz(θ) realizza una rotazione bisogna usare coordinatesferiche in R3.Tale matrice è ortogonale (cioè è uguale alla sua trasposta) e perciò soddisfala proprietà di mantenere �ssa la lunghezza del vettore (durante una rotazioneinfatti si vuole che rimanga costante la lunghezza del vettore ruotato).Calcoliamo i generatori di questa trasformazione:

J =δT

δα|α=0

Facendo le derivate in ognuno dei termini della matrice e calcolandole nelpunto α = 0 otteniamo:

Jz =

0 1 0−1 0 00 0 0

Questo è il generatore di una rotazione tridimensionale attorno all'asse z.

Ora, se ci si arma di tanta pazienza e si svolgono tutti i calcoli usando le regole

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dell'ordinario prodotto matriciale (righe x colonne), si riesce a scoprire checos'è quell'oggetto strano, il commutatore, nel caso di queste trasformazioni:

[Ji , Jj] = Ji Jj − Jj Ji

occorre moltiplicare tra loro i generatori delle rotazioni sui diversi assi carte-siani (l'indice i può valere x,y,z così come l'indice j).N.B.

Jx =

0 0 00 0 10 −1 0

Jy =

0 0 10 0 0−1 0 0

Cosa si ricava?

Il risultato è il seguente:

[Ji , Jj] = εijkJk

in cui εijk è un tensore di rango 3 (tensore di Levi Cita) che contiene solo 1o 0 a seconda delle combinazioni di i,j,k.Perciò questo risultato ci dice che ad esempio il commutatore di Jx con Jydà come risultato (a meno di un segno che non ci interessa) Jz !Questa è l'Algebra di Lie del gruppo delle rotazioni.Perchè è importante? (e qui arriviamo �nalmente al fulcro del discorso)Perchè l'Algebra è una proprietà del gruppo astratto e non di unasua rappresentazione.Noi abbiamo ricavato quella nel caso della rappresentazione delle rotazioninello spazio vettoriale 3-dimensionale, ma l'Algebra dei generatori sarà lastessa per tutte le rappresentazioni del gruppo delle rotazioni. Una rappre-sentazione delle rotazioni in uno spazio che non ha nulla a che vedere conquello dei vettori di R3, avrà dei generatori (diversi ovviamente da quelli cheabbiamo ricavato sopra) che soddisfano la stessa algebra dei generatori dellerotazioni in R3!!Ecco che ci si presenta un modo formale per dare la caccia a tutte le rappre-sentazioni di un Gruppo astratto come può essere quello delle rotazioni.

Tutto ciò lo si può guardare anche da questo punto di vista: ogni volta chetrovo degli oggetti matematici che soddisfano l'algebra delle rotazioni saròcerto che essi saranno i generatori di rotazioni su un qualche spazio vettoria-le!Ad esempio consideriamo gli operatori Li (i = x, y, z) che descrivono il mo-mento angolare in meccanica quantistica.La loro algebra è esattamente quella delle rotazioni!!Allora ne concludo che essi saranno i generatori di rotazioni delle funzioni

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d'onda quantistiche nello spazio di Hilbert; e attraverso la mappa esponen-ziale costruisco l'operatore che mi trasforma (ruota) una funzione d'onda:

U(α) |Ψ(θ)〉 = exp(− ihαL) |Ψ(θ)〉 = |Ψ(θ + α)〉

N.B. Si noti che l'operatore di evoluzione temporale introdotto al terminedel paragrafo 4.2 può essere visto come mappa esponenziale in cui H è ilgeneratore delle traslazioni temporali!

6.4 Il gruppo delle trasformazioni di Lorentz

Non perdiamo di vista il nostro scopo: la teoria dei campi.I concetti che abbiamo appena visto che riguardano la teoria dei gruppi ri-schiano di catalizzare l'attenzione facendoci smarrire il nostro obiettivo lungole vie astratte della matematica.La teoria dei gruppi, le rappresentazioni, le algebre di Lie, sono il mezzo, nonil �ne. Sono uno strumento essenziale per costruire una teoria quantistica erelativistica assieme.

Ci siamo addestrati sulla teoria dei gruppi, perchè quello che ci serve è sapertrattare matematicamente le simmetrie.Una simmetria è una trasformazione che lascia invariate alcune proprietà.Essendo una trasformazione, è descritta dal formalismo dei gruppi.

Iniziamo a costruire la teoria dei campi partendo dall'aspetto relativisticodella teoria.Vogliamo innanzitutto che la teoria sia Lorentz invariante, ovvero che sottotrasformazioni di Lorentz la �sica descritta rimanga la stessa (contenuto delPrincipio di Relatività Ristretta).Il nostro scopo perciò sarà quello di ideare una teoria lagrangiana (perchéabbiamo visto come il formalismo lagrangiano sia particolarmente adatto peresprimere le simmetrie di un sistema) che abbia come gruppo di simmetria ilgruppo delle trasformazioni di Lorentz.Analizziamo dunque come è fatto questo gruppo che gioca un ruolo così im-portante in �sica.

Il gruppo delle trasformazioni di Lorentz (o anche solo gruppo di Loren-tz), è sostanzialmente l'unione di tutte le trasformazioni di coordinate che

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lasciano invariate le leggi della �sica in Relatività Ristretta.Tali trasformazioni sono: le rotazioni (ecco perché le abbiamo citate in ma-niera così ridondante) e i cosiddetti boost di Lorentz (le ordinarie trasfor-mazioni di Lorentz).Per completezza si aggiungerà una terza classe di trasformazioni: le trasla-zioni spaziali e temporali.Il gruppo di Lorentz con l'aggiunta delle traslazioni prende il nome di gruppodi Poincaré.

Le rotazioni le abbiamo già analizzate a su�cienza per i nostri scopi, le tra-slazioni sono piuttosto intuitive, perciò l'unica classe di trasformazioni cherimane da studiare sono i boost di Lorentz.

Un boost (dall'inglese: spinta) è una trasformazione di coordinate che collegadue sistemi di riferimento in moto relativo uno rispetto all'altro.Una rappresentazione del gruppo dei boost che conosciamo bene è quella cheagisce sui 4-vettori dello spazio di Minkowski.Ecco come si trasforma il 4-vettore xα = (t, x, y, z) sotto un boost lungol'asse x:

x′ = γ(x− βt) , y′ = y , z′ = z , t′ = γ(t− β

cx)

γ =1√

1− β2, β = v/c

Che tipo di trasformazioni sono? Sono molto simili alle rotazioni: sonorotazioni iperboliche (a volte chiamate anche in modo improprio: rotazionispazio-temporali).

Una rotazione iperbolica è una trasformazione descritta da questa matri-ce:

Λx(η) =

cosh(η) sinh(η) 0 0sinh(η) cosh(η) 0 0

0 1 00 0 1

Come si può notare è molto simile ad una rotazione, ma contiene seni e

coseni iperbolici (ecco perchè rotazione iperbolica).cerchiamo di convincerci che una matrice si�atta realizza davvero un boostdi Lorentz.Limitiamoci per semplicità al caso in cui si ha una sola componente spaziale(tanto la trasformazione delle componenti y,z è triviale).Dal Principio di invarianza della velocità della luce, si deduce che:

c2dt2 − dx2 = 0

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poichè cdt è lo spazio percorso dalla luce in un intervallo di tempo dt e dx èproprio la lunghezza di tale spostamento.Dato che la luce viaggia alla stessa velocità in tutti i sistemi di riferimento,questa di�erenza dovrà essere zero in tutti i sistemi di riferimento.Più in generale, de�nendo ds2 = c2dt2 − dx2, si ha che ds2 dovrà essereinvariante per trasformazioni di coordinate.Ciò assomiglia molto alla lunghezza di un vettore in R2:

dl2 = dx2 + dy2

che deve essere lasciata costante durante una rotazione.Nello spazio di Minkowski, le trasformazioni di coordinate assomigliano quin-di molto ad una rotazione, con la di�erenza che compare un segno meno in-vece che più.Questo comporta che al posto di seni e coseni trigonometrici, dovrò utilizzareseni e coseni iperbolici che veri�cano la relazione:

cosh2x− sinh2x = 1

N.B.

sinhx =ex − e−x

2coshx =

ex + e−x

2

L'angolo di rotazione iperbolica (detto angolo in maniera impropria) non èun angolo, ma un parametro che caratterizza i boost.L'unico parametro �sico che caratterizza un boost è la velocità relativa deidue sistemi di riferimento.Infatti, con un po' di conti si ha che:

η = arctanh(v/c)

Come abbiamo visto dunque il gruppo dei boost è un gruppo di trasfor-mazioni (gruppo di Lie) molto simile alle rotazioni ordinarie.N.B. Se con un po' di pazienza si calcolano i generatori nello stesso modo dicome si è fatto per le rotazioni, si trova che l'algebra di Lie associata è moltosimile a quella delle rotazioni.

Ora che abbiamo capito cosa sono i boost di Lorentz, invochiamo l'aiutodi un teorema molto importante che ci dà informazioni sulle rappresentazioniirriducibili dei gruppi che abbiamo considerato �no ad ora.Perchè ci interessano le rappresentazioni irriducibili del gruppo di Lorentz(d'ora in poi diremo di Poincaré per comprendere anche le traslazioni) ??

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Le rappresentazioni irriducibili sono le rappresentazioni, in un certo senso,fondamentali di un gruppo. Possiamo pensarla in maniera suggestiva in que-sto modo: vogliamo descrivere i componenti ultimi della materia, le particellefondamentali, per cui le rappresentazioni che mi serviranno saranno quellefondamentali, elementari, irriducibili.

Il Teorema di Wigner, senza entrare nei dettagli, permette di conosce-re le rappresentazioni irriducibili che ci interessano del gruppo di Poincarè.

Sostanzialmente si hanno 3 rappresentazioni di interesse �sico :

- rappresentazione scalare: agisce su campi ad una sola componente;

φ(x, t)

- rappresentazione spinoriale: agisce su campi a due componenti;

φ(x, t) =( φ1(x,t)φ2(x,t)

)- rappresentazione vettoriale: agisce su campi a quattro componenti;

φ(x, t) =

φ1(x, t)φ2(x, t)φ3(x, t)φ4(x, t)

Queste rappresentazioni ci dicono come si trasformano questi 3 tipi di og-getti matematici:

- φ′(x′, t′) = φ(x, t′)nel caso del campo scalare; il campo trasformato è identico al campo di par-tenza.

- φ′(x′, t′) = exp(ωµνσµν) φ(x, t)

nel caso del campo spinoriale; σµν sono i generatori della rappresentazionespinoriale del gruppo (non entriamo nei dettagli, ci basta sapere che sonogeneratori di una rappresentazione 2-dimensionale la cui algebra di Lie èidentica a quella nota delGruppo di Poincarè).

- φ′(x′, t′) = Λµνφ

ν(x, t)nel caso del campo vettoriale; le matrici Λ sono le usuali matrici di Lorentz

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viste in precedenza (infatti è la rappresentazione 4-dimensionale!).

La teoria dei campi si basa sulla costruzione di Lagrangiane di campo in-varianti sotto queste trasformazioni.

7 Fondamenta di Teoria dei Campi

Stiamo iniziando �nalmente a dare forma ad una nuova teoria che sia quan-tistica e relativistica: la Teoria Quantistica dei Campi.

Le rappresentazioni irriducibili del gruppo di Poincarè, che abbiamo vistonel capitolo precedente, sono in parole povere i modi fondamentali e ultimi(nel senso democriteo del termine: indivisibili , a-tomi) attraverso i qualipossiamo realizzare le trasformazioni di Lorentz unite alle traslazioni spazio-temporali.Tutto ciò è per noi vitale, poichè la teoria che andiamo costruendo, si basasul Principio di Relatività secondo il quale le equazioni devono essere inva-rianti in forma sotto trasformazione di coordinate che mi fanno passare daun sistema di riferimento inerziale ad un altro.

7.1 Teoria dei campi classica

Le simmetrie in �sica sono descritte egregiamente dal formalismo lagran-giano. Se costruiamo cioè la Lagrangiana del nostro sistema in modo tale cheessa sia invariante per trasformazioni di Poincarè, diremo che esse costitui-scono un gruppo di simmetria per il nostro sistema, e saremo anche certi chele equazioni del moto saranno le stesse prima e dopo il cambio di coordinate.

Gli oggetti matematici su cui agiscono le rappresentazioni irriducibili delgruppo di Poincarè sono matematicamente vettori di funzioni che hanno co-me argomento le coordinate spazio-temporali dello spazio di Minkowski.Sono i cosiddetti campi, appunto.

N.B. Lo spazio e il tempo sono trattati allo stesso modo proprio come ri-chiesto dalla Relatività!

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Recap: costruiamo una funzione di Lagrange imponendo che sia costitui-ta di termini invarianti sotto trasformazioni di Poincarè, in questo modo ciassicuriamo che i cambi di coordinate relativistici siano una simmetria dellanostra teoria.Ma c'è di più. Non ci basta una qualsiasi rappresentazione del gruppo diPoincarè; cerchiamo le rappresentazioni irriducibili di tali simmetrie, così daaspettarci in qualche modo che gli oggetti matematici (che saranno gli ogget-ti che descrivono il mio sistema �sico) su cui agiscono tali trasformazioni,rappresenteranno qualcosa di altrettanto fondamentale in natura.Quello che si scopre, come abbiamo visto, è che ci sono diversi modi fonda-mentali di realizzare tutto ciò.Quei vettori di funzioni di cui parlavamo prima (i nostri campi, per l'ap-punto) possono essere vettori ad 1, 2, 4 componenti. Ad ognuna di questerappresentazioni (tutte fondamentali ed ugualmente importanti, se non altroa livello matematico formale) faremo corrispondere una teoria di campo di-versa che ci aspettiamo descriva di�erenti oggetti fondamentali in natura. Leparticelle.

Quello che faremo perciò sarà dunque costruire diverse Lagrangiane relativi-stiche (una per ognuna delle diverse rappresentazioni irriducibili del gruppodi Poincarè) alle quali facciamo corrispondere diverse teorie di campo.Cosa manca? Una dinamica del sistema descritto dai campi.

La dinamica (classica) dei campi la si costruisce facilmente risolvendo leequazioni di Eulero-Lagrange a partire dalle Lagrangiane di campo.

∂µδL

δ∂µφ− δL

δφ= 0

in cui ∂µ = δδxµ

.N.B. ad esempio, le equazioni di Maxwell sono le equazioni di Eulero-

Lagrange nel caso di campo con spin 1

Ora manca soltanto un ingrediente: la Quantizzazione.

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7.2 Quantizzazione dei campi

Avendo sottomano le Lagrangiane dei campi relativistici si potrebbe, comeappena detto, ricavare le equazioni del moto attraverso il Principio di Mini-ma Azione (o Principio di Hamilton).Tuttavia quella che si otterrebbe sarebbe una dinamica puramente classicadei campi.Non abbiamo infatti aggiunto ancora nulla di quantistico alla nostra teoria!

Una via possibile per quantizzare la teoria potrebbe essere quella di rica-vare le equazioni di campo classiche, trascriverle in formalismo Hamiltonianoe poi applicare quella che è de�nita quantizzazione canonica (o di Dirac-Heisenberg) facendo corrispondere i campi e i momenti coniugati dei campi(gli equivalenti cioè di posizione e impulso nel caso classico) ad operatori ericavare così le equazioni di campo quantizzate.Questo procedimento è il più di�uso nei libri di testo di Teoria dei Campi, incui vengono quantizzate le equazioni d'onda relativistiche di Klein-Gordon eDirac che storicamente hanno rivestito un ruolo fondamentale nello sviluppodella QFT.Noi vedremo tali equazioni nel prossimo capitolo, ma senza so�ermarci trop-po sulla loro quantizzazione o sui dettagli matematici.Questo per due motivi: in primo luogo occorrerebbe un'analisi molto accura-ta (che esula dagli scopi divulgativi del nostro corso) per cogliere il signi�cato�sico profondo dei lavori di Dirac, Klein e Gordon; in secondo luogo, perchètali risultati sono validi solamente nel caso NON-interagente, ovvero quandosi ha un campo di particelle libere non soggette ad alcun potenziale esterno.

I casi che principalmente vogliamo discutere noi sono invece i casi (di mag-giore interesse �sico) in cui i campi interagiscono tra loro.

Come introdotto nel capitolo 5, esiste un'alternativa alla quantizzazione ca-nonica: gli integrali di Feynman.Esattamente come si è mostrato nel caso della quantizzazione di moti classici,vedremo che basta inserire la Lagrangiana di campo all'interno dell'integralefunzionale per poter ottenere ciò che volevamo: una Quantum Field Theo-ry. Il formalismo dunque sul quale indugeremo sarà quello degli integrali sulcammino. Grazie ad essi avremo accesso diretto ai Diagrammi di Feynman,che sono lo strumento più semplice ed e�cace per capire come estrarre in-formazioni e quantità �siche misurabili da questi oggetti astratti che sono icampi.

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Dunque la domanda sorge spontanea: quali informazioni ci dà questointegrale?

K =

∫Dφ e

ih

∫d4x L(φ, ∂φ

∂xµ) = ?

La risposta si farà attendere ancora un capitolo.

8 Equazioni d'onda Relativistiche

Prima di a�rontare la quantizzazione tramite Path Integrals, gettiamo unosguardo sulle equazioni di campo relativistiche che descrivono la dinamica dicampi liberi nello spazio-tempo di Minkowski.

8.1 Equazione di Klein Gordon

L'Equazione di Klein-Gordon non è altro che l'equazione di Eulero-Lagrangeche si ricava dalla Lagrangiana:

L(φ, ∂µφ) =1

2gµν ∂

µφ ∂νφ − 1

2m2φ2

Il campo φ è una qualsiasi funzione delle coordinate spazio-temporali(perciò si dovrebbe scrivere: φ(xµ)).L'insieme, quindi, di queste funzioni non è altro che lo spazio vettoriale sulquale agisce la rappresentazione che abbiamo chiamato rappresentazionescalare del Gruppo di Poincarè.Il campo scalare descrive particelle con spin 0 (senza spin, sostanzialmente).In precedenza abbiamo de�nito i campi come vettori di funzioni. Il camposcalare è sostanzialmente un vettore ad una sola componente. Costituiscel'esempio di campo più semplice.

Analizziamo la funzione di Lagrange scritta sopra.Essa non è altro che la somma di termini invarianti (scalare è anche sinonimodi invariante): il primo contiene la contrazione di due 4-vettori con la metricadi Minkowski gµν , che dalla relatività speciale sappiamo generare uno scala-re (esattamente come il ds2); il secondo termine è manifestatamente scalarepoichè contiene una costante moltiplicata per il quadrato del campo (che è

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scalare!).La Lagrangiana di Klein-Gordon è dunque invariante per trasformazioni delGruppo di Poincarè, proprio come volevamo.

L'equazione di campo che ne deriva è:

(∂2t − ∂2x − ∂2y − ∂2z + m2) φ(t, x) = (∂µ∂µ + m2) φ(t, x) = 0

L'equazione di Klein-Gordon descrive l'evoluzione nello spazio tempo di uncampo privo di spin.Storicamente fu ricavata a partire dall'equazione di Schroedinger inserendo laformula relativistica dell'energia a sostituire l'Hamiltoniana classica. Quelloche noi chiamiamo campo φ(t, x), era ritenuto essere una funzione d'ondadello spazio di Hilbert. Tuttavia tale ipotesi si rivelò presto errata: la teoriadi singola particella descritta da una funzione d'onda che soddisfa l'equazionesopra scritta, porta a risultati �sicamente inaccettabili quali energia cineticanegativa o addirittura probabilità negativa!Abbiamo appena visto e sottolineato infatti che l'equazione di Klein-Gordonnasce da una teoria di campo classica. Non ha nulla di quantistico.

φ(t, x) è una semplice funzione delle coordinate spazio-temporali.

8.2 Equazione di Dirac

Dirac nel lontano 1928 fece qualche passo in avanti rispetto a Klein eGordon.Egli ricavò, sempre a partire dall'equazione di Schroedinger, un'equazionerelativistica (che conteneva la relazione relativistica tra energia e impulso)che, interpretata come equazione per una funzione d'onda di singola particellaquantistica, permette di ottenere probabilità quantistiche sempre positive.La celebre equazione da molti considerata una delle più belle e importantiequazioni della �sica è:

(iγµ∂µ − m) Ψ(t, x) = 0

dove γµ sono matrici 4x4 dette matrici di Dirac (una matrice diversa per ognivalore di µ).

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Storicamente l'equazione ebbe un grande successo. Per molto tempo ha co-stituito l'unico ponte più o meno stabile che congiungesse Meccanica Quan-tistica e Relatività.Dirac pensò che essa descrivesse il moto libero di una particella quantistica-relativistica e con spin 1/2! (N.B. se si fa il limite non-relativistico di taleequazione, si ricava un'equazione di Schroedinger per particella con spin semi-intero!)

Tuttavia anche la teoria di Dirac porta a soluzioni con energia cinetica negati-va (assolutamente prive di signi�cato �sico!). Egli con intuizione formidabileipotizzò l'esistenza di anti-particelle e formulò una teoria, che va sotto il no-me di Mare di Dirac, (che non approfondiamo oltre) nel tentativo di porrerimedio a tale problema.Anche se tale teoria non si è rivelata del tutto risolutiva, le anti-particellefurono scoperte sperimentalmente e per Dirac ciò fu un grandissimo successo.

L'equazione di Dirac tuttavia è un'equazione di campo classica, non un'e-quazione quantistica di singola particella.La teoria di Dirac oltre alle complicazioni portate dalle soluzioni ad energianegativa, mai del tutto risolte nel contesto di una teoria di singola particella,non tocca la questione della creazione e distruzione di particelle che emerge,come abbiamo visto all'inizio del nostro viaggio, dall'unione del Principio diindeterminazione e la legge di Einstein E = mc2 .

Pensare che una meccanica quantistica relativistica possa essere una teo-ria di singola particella, signi�ca contraddire uno dei principi della teoria diEinstein più profondi e fondamentali, quello cioè che la massa è energia!

Di fatto l'equazione di Dirac si ricava da un principio variazionaleattraverso una Lagrangiana di campo esattamente come l'equazio-ne di Klein-Gordon.Il campo Ψ(t, x) non è da interpretare come funzione d'onda di singola par-ticella, bensì come un vettore di funzioni reali de�nite sullo spazio di Minko-wski.L'insieme di tutte le possibili Ψ costituisce lo spazio vettoriale (funzionale)sul quale agisce la rappresentazione spinoriale del Gruppo di Poincarè.I cosiddetti spinori di Dirac, dunque, sono i campi che descrivono le par-ticelle di spin 1/2.Nel caso in cui non vi siano interazioni, tali campi soddisfano l'equazione diDirac.

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8.3 Equazione di Proca-Maxwell

L'equazione di Proca-Maxwell è l'equazione del moto che emerge dallaLagrangiana di un campo vettoriale.I campi vettoriali che intendiamo in questo contesto sono i campi sui quali agi-sce la rappresentazione 4-vettoriale del Gruppo di Poincarè. Essi descrivonoparticelle di spin 1. Senza dilungarci oltre, sottolineiamo solamente il fattoche nel caso di campi non massivi, le equazioni di Eulero-Lagrange dannoesattamente le Equazioni di Maxwell dell'elettromagnetismo in formalismotensoriale.

∂µFµν = 0

dove F µν = ∂µAν − ∂νAµ e Aµ è il quadripotenziale, nonchè il campodella nostra teoria.

8.4 Soluzioni delle Equazioni di Campo

Le soluzioni delle equazioni di campo, sia nel caso scalare che nel caso dispin diverso da zero, non sono altro che onde che si propagano nello spazio-tempo.

Caso Scalare:

φ(t, x) =

∫dp fp e

−ipµxµ + f ∗p e+ipµxµ

in cui fp sono ampiezze complesse.

Caso Spinoriale e Vettoriale:

ψ(t, x) =

∫dp fp u(p) e−ipµx

µ

+ f ∗p u∗(p) e+ipµx

µ

in cui

u(p) =

u1(p)u2(p)...

un(p)

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sono i cosiddetti stati di spin, ovvero ampiezze che moltiplicano l'esponen-ziale e che portano l'informazione sulla natura vettoriale della soluzione.Ovviamente nel caso spinoriale avranno 2 componenti, mentre nel caso vet-toriale 4.

Giungiamo alla domanda fondamentale: quali informazioni �si-che portano questi campi??

Finchè si rimane all'interno della teoria classica, i campi non sembrano essereutili in alcun modo per capire la �sica dei sistemi che descrivono.Tuttavia se passiamo alla quantizzazione di queste teorie di campo, la situa-zione cambia radicalmente.Tali teorie diventano infatti le uniche in grado di esplorare la �sica quantistica-relativistica, ovvero la �sica quantistica delle alte energie.

9 Quantizzazione: il Metodo Funzionale

Siamo giunti ad un punto decisivo del nostro percorso intellettuale.Inserendo le Lagrangiane di campo all'interno dell'Integrale funzionale (ointegrale sul cammino) di Feynman, abbiamo capito che otteniamo la quan-tizzazione della teoria descritta da tale Lagrangiana.Tale teoria sarà invariante per trasformazioni di Lorentz, rotazioni e trasla-zioni spazio-temporali in pieno accordo con i principi della Relatività.

Non rimane che armarsi di astuzia e curiosità, e tentare di comprendereil signi�cato e le conseguenze di questo misterioso integrale.

K =

∫Dφ e

ih

∫d4x L(φ, ∂φ

∂xµ) = ?

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9.1 Sviluppi Perturbativi

Innanzitutto cerchiamo di capire quali informazioni contiene questo inte-grale.Esso non è altro che un calcolo per valutare l'ampiezza di transizione da unostato iniziale ad uno �nale (in meccanica quantistica non relativistica simbo-leggiava infatti l'ampiezza di probabilità che la particella passasse dal puntoA al punto B dello spazio).

Solitamente come stato iniziale si considera in tutta generalità lo stato divuoto al tempo t = −∞ e come stato �nale, lo stato di vuoto al tempot =∞. Essi prendono il nome di 'stati asintotici'.Tra lo stato iniziale e lo stato �nale si suppone che avvengano processi checoinvolgano i campi e le interazioni tra i campi descritte nella Lagrangianache compare nell'integrale funzionale (N.B. l'integrale funzionale è esteso inquesto modo a tutto lo spazio-tempo di Minkowski!).In questo modo, data una certa Lagrangiana che �ssa la dinamica e le intera-zioni dei campi, l'integrale sul cammino restituisce una stima dell'ampiezzadi probabilità che avvengano determinati processi che coinvolgono i quantidei campi: le particelle.

La Lagrangiana che abbiamo utilizzato ed inserito nell'integrale funzionale èstata �no ad ora una Lagrangiana di campo libero, ovvero priva di interazio-ni.Tuttavia i casi �sici di interesse sperimentale sono quelli in cui le particelle (equindi i campi) interagiscono tra loro, perciò d'ora in poi inseriremo qualchetermine aggiuntivo alla Lagrangiana del sistema.

Innanzitutto, esattamente come succede in elettromagnetismo classico in cuii campi elettrico e magnetico vengono prodotti da una qualche sorgente, an-che nel caso quantistico supporremo di dover introdurre un termine nellaLagrangiana che tiene conto della presenza di una sorgente del campo.Naturalmente non si ha idea di che cosa sia �sicamente una sorgente di uncampo quantistico, ma in analogia con le teorie di campo classiche (elettro-magnetismo e gravità) e per comodità matematica (come vedremo) è utileaggiungere un termine J(t, x)φ(t, x) nella Lagrangiana.

N.B. risolvendo le equazioni di Eulero-Lagrange con l'aggiunta di quel ter-mine, si ottengono proprio le equazioni del moto in presenza di una sorgenteJ(t, x).

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In secondo luogo introduciamo anche un termine di interazione, che per ilmomento non speci�chiamo, e riscriviamo dunque il nuovo integrale funzio-nale:

Z[J ] =1

N

∫Dφ e

ih

∫d4x Llibera + Jφ +Linterazione = 〈0,∞|0,−∞〉J

in cui abbiamo aggiunto una costante di normalizzazione 1N

= Z[0] perassicurare che l'ampiezza di probabilità sia 1 nel caso in cui non vi sono sor-genti del campo; sostanzialmente si vuole che : 〈0|0〉 = 1.

La Quantum Field Theory descritta da una certa Lagrangiana L , sta tuttanella risoluzione di questo integrale.Peccato che nessuno sappia risolverlo esattamente.

In teoria quantistica dei campi non esiste il cosiddetto 'atomo di idroge-no' della teoria: non esiste cioè un modello esatto partorito dalla teoria econfermato dagli esperimenti.'Esatto' è la parola chiave.In QFT le soluzioni sono interamente prodotte tramite tecniche perturbative.Cosa signi�ca?Signi�ca che i risultati della QFT sono solamente approssimazioni della real-tà. Non solo non si conoscono soluzioni esatte, ma nessuno sa se addirittural'integrale che abbiamo scritto sopra sia o no risolvibile!Tramite sviluppo perturbativo in serie di Taylor si riesce, come vedremo abreve, ad approssimare una soluzione. Ma chi ci assicura che la serie pertur-bativa converga ?!Esistono complicatissime tecniche matematiche costruite ad hoc per poter'controllare' i termini della serie e impedire che essi divergano, ma ancoraoggi non sono del tutto chiare le giusti�cazioni �siche di alcuni di questi me-todi.

Perchè allora si parla della teoria dei campi come la vetta più alta di co-noscenza raggiunta dall'uomo? Come della teoria più potente esistente oggiin �sica?Perchè questi risultati, ottenuti tramite approssimazioni talvolta eleganti etalvolta controverse, sono stati capaci di prevedere i fenomeni della �sicasub-atomica con una precisione sconcertante (�no alla nona cifra decimale!!)

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Pare proprio che queste approssimazioni riproducano la realtà con una ra�-natezza che non ha precedenti nella Fisica.

Ciò non toglie che ci si può comunque fermare e ri�ettere sull'esistenza omeno della soluzione esatta.Approssimiamo un valore di un integrale che sembra rispecchiare la realtà...ma se l'integrale non converge, signi�ca che la realtà non è misurabile conesattezza.E se invece converge..... a cosa converge??

Forse non lo scopriremo mai.

9.2 Propagatore di Feynman

Concentriamoci sull'integrale Z[J ] e per il momento trascuriamo il ter-mine di interazione.

Per semplicità esaminiamo la teoria quantistica del campo scalare e inse-riamo perciò la Lagrangiana di Klein-Gordon nell'integrale funzionale.Per ricavare le altre teorie di campo basterà ripetere il procedimento sosti-tuendo la Lagrangiana appropriata (a complicarsi saranno solamente i conti).

Prima di proseguire con lo sviluppo in serie perturbativa, sfruttiamo un ar-gomento matematico per sempli�care i calcoli.Scriviamo cioè la Lagrangiana di Klein-Gordon in maniera di�erente da comeavevamo fatto nel Cap.8, ovvero la riscriviamo come:

L = φ(∂µ∂µ + m2)φ

Questa scrittura è resa possibile dal fatto che la Lagrangiana di un sistemaè de�nita a meno di derivate totali rispetto alle coordinate (l'Azione rima-ne infatti la stessa a meno di costanti che si annullano quando si applica ilPrincipio di Minima Azione).Si può veri�care facilmente infatti che:

φ(∂µ∂µ + m2)φ− ∂ν(φ∂νφ) = LKG

In questo modo l'integrale funzionale diventa:

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Z[J ] =1

N

∫Dφ e

ih

∫d4x φKφ + Jφ

In cui K = (∂µ∂µ + m2) ed è chiamato 'operatore cinetico' di Klein-Gordon.

Perchè rinominiamo e manipoliamo la Lagrangiana in questo modo se tantole formulazioni sono equivalenti?Il motivo è presto evidente: l'integrale è ora in forma 'Gaussiana' e (non lodimostriamo) per questo si può risolvere e ridurre alla forma molto più con-veniente:

Z[J ] = cost e−i2

∫d4xd4y J(x)DF (x−y)J(y)

Tale formula vale quando DF (x − y) è l'inverso operatoriale dell'operatorecinetico di Klein-Gordon.

L'operatore DF (x − y) è un oggetto fondamentale ed è chiamato Propa-gatore di Feynman.Mano a mano che proseguiamo avremo modo di coglierne l'importanza.

A questo punto possiamo procedere e operare �nalmente tramite uno svi-luppo in serie perturbativa.Sviluppiamo l'integrale in serie di potenze della sorgente J(x).Una giusti�cazione per questa scelta potrebbe ritrovarsi nel fatto che nonavendo alcuna informazione sull'esistenza o meno di sorgenti dei campi quan-tistici, dopo averle introdotte per analogia con i campi classici, si cerca ditrascurare la loro esistenza e il loro contributo �sico.

Z[J ]|J=0 = 1 +δZ[J ]

δJ(x)|J=0

∫dxJ(x) +

1

2!

δ2Z[J ]

δJ(x)δJ(y)|J=0

∫dxdyJ(x)J(y) + ...+....

in cui si è fatto uso del concetto di derivata funzionale δZ[J ]δJ(x)

che non pos-siamo introdurre qui in termini molto rigorosi, ma che possiamo solo intuiree considerare come estensione della derivata fatta rispetto ad un parame-tro. Citiamo le relazioni fondamentali che de�niscono tale derivata e che cisaranno utili per i calcoli:

∂J(y)

δJ(x)= δ(x− y)

δJ(x)

∫dyφ(y)J(y) = φ(x)

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Sviluppiamo quindi i conti relativi all'espansione perturbativa:

δZ[J ]

δJ(x)|J=0 = Z[J ]

∫d4yDF (x− y)J(y)

δ2Z[J ]

δJ(x)δJ(y)|J=0 = Z[J ] DF (x− y)|J=0 = DF (x− y)

Si intuisce che i termini che coinvolgono le derivate di ordine dispari si an-nullano tutti.Gli unici termini che rimangono sono quelli con derivate di ordine pari.Essi possono essere scritti in funzione del propagatore di Feynman.

In conclusione dunque abbiamo:

Z[J ] = 1 +1

2DF (x− y)

∫dx dyJ(x) J(y) + termini di ordine superiore...

Sostanzialmente l'integrale funzionale da cui eravamo partiti si riduce ad unasomma di in�niti termini ognuno dei quali è proporzionale a oggetti compostidal Propagatore DF (x− y).Quest'ultimo ha un'interpretazione ben precisa: rappresenta l'ampiezza diprobabilità per un Campo di 'creare' una particella nel punto x dello spazio-tempo e 'annichilirla' nel punto y in maniera tale che essa copra una distanza(spazio-temporale, perchè siamo nello spazio di Minkowski) pari a (x− y).

A questo punto facciamo un passo fondamentale attribuendo �nalmenteun signi�cato �sico a Z[J ] : è l'oggetto matematico che contiene tuttele ampiezze di probabilità di tutti i possibili processi che derivanodalla Lagrangiana di Campo.Spesso è chiamato Funzionale Generatore poichè le sue derivate, appunto,'generano' le varie ampiezze di probabilità.N.B. Z[J ] è derivabile in�nite volte, per cui genera in�nite ampiezze associa-te ognuna ad uno speci�co evento.

Sì.. avete capito bene: questo Funzionale Generatore è come se contenessetutto quanto lo spettro di informazione sui possibili eventi (processi) che sipossono veri�care su tutto lo spazio-tempo di Minkowski (quindi su tutto lospazio e su tutto il tempo)!

Che sia un oggetto mostruoso è evidente.

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Non ci si stupisce dunque che sia impossibile poter conoscere con esattezzatutta l'informazione che esso contiene.

Ci si accontenta di uno sviluppo perturbativo, che risulta già estremamentee�cace.Al primo ordine perturbativo Z[J ] restituisce sostanzialmente l'ampiezza diprobabilità DF (x− y) , che descrive il processo più elementare possibile: unaparticella creata dal campo in x e distrutta in y (probabilità di 'propagazio-ne' da x a y).Ad ordini perturbativi maggiori si ottengono via via tutte le ampiezze diprobabilità di processi sempre più complicati dovuti alle in�nite possibilitàdi manifestazione del Campo descritto dalla Lagrangiana della teoria.

Un risultato importante a cui abbiamo prima accennato è che i termini digrado superiore al primo, grazie ad un potente Teorema (di cui omettiamosaggiamente la dimostrazione) che va sotto il nome di Teorema di Wick, sipossono scrivere come prodotti di propagatori semplici.Tale risultato non è di�cile da visualizzare: nel caso di Campo non intera-gente infatti, esempi di processi più complicati della semplice propagazionedi una particella da un punto ad un altro dello spazio-tempo, possono esserepropagazioni multiple di più particelle.Non è di�cile immaginare allora che tali eventi possano essere descritti dauna combinazione (prodotto) di singoli propagatori del tipo DF (x− y).

La domanda che ora potrebbe sorgere è: siamo passati sostanzialmenteda un'espressione formale che abbiamo chiamato Z[J ] ad un'altra DF (x−y),ma in pratica come faccio ad estrarre risultati �sici??

Per rispondere a questa domanda è necessario indagare la forma matema-tica del Propagatore.Senza entrare in troppi dettagli, abbiamo introdotto il Propagatore come'inverso operatoriale' dell'operatore cinetico (di Klein-Gordon se si tratta ilcampo scalare).Ciò matematicamente sigini�ca che vale :

K DF (x− y) = (∂µ ∂µ + m2) DF (x− y) = δ(x− y)

Tale relazione la si può vedere come un'equazione in cui l'incognita è proprioDF (x− y).

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Essa si risolve tramite trasformata di Fourier; il risultato è :

DF (x− y) =1

(2π)3/2

∫d4p

e−ipµxµ

p2 −m2 − iε

Questo integrale è estremamente complicato da risolvere. Ma per i nostriscopi, ci basta sapere che esistono tecniche per calcolarlo.

Il risultato di tale integrale è un'ampiezza di probabilità �sica.

9.3 Funzioni di Correlazione

Prima di procedere, approfondiamo i concetti �sici che sono emersi dallosviluppo perturbativo dell'integrale funzionale.

Nel paragrafo precedente si sono calcolate le derivate funzionali δZ[J ]δJ(x)|J=0

, δ2Z[J ]δJ(x)δJ(y)

|J=0 utilizzando come espressione per Z[J ] quella ottenuta dall'in-tegrale Gaussiano, ovvero:

Z[J ] = cost e−i2

∫d4xd4y J(x)DF (x−y)J(y)

I risultati di tale lavoro coinvolgono come abbiamo visto i Propagatori diFeynman DF (x− y).

Vediamo cosa succede se le derivate funzionali le facciamo utilizzando laforma iniziale :

Z[J ] =1

N

∫Dφ e

ih

∫d4x Llibera + Jφ

Otteniamo:

δZ[J ]

δJ(x1)|J=0 =

∫Dφ φ(x1) e

ih

∫d4x Llibera∫

Dφ eih

∫d4x Llibera

Se ora interpretiamo eih

∫d4x Llibera come un 'peso' statistico, possiamo vedere∫

Dφ φ(x1) eih

∫d4x Llibera∫

Dφ eih

∫d4x Llibera

come una 'media' !

Abbiamo infatti la somma (in�nita) dei campi φ(x1) moltiplicati per il rela-tivo 'peso' diviso la somma dei 'pesi' !

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Vediamo ora la derivata seconda:

δ2Z[J ]

δJ(x1)δJ(x2)|J=0 =

∫Dφ φ(x1) φ(x2) e

ih

∫d4x Llibera∫

Dφ eih

∫d4x Llibera

in generale, possiamo estendere il risultato alla derivata n-esima:

δnZ[J ]

δJ(x1)δJ(x2)...δJ(xn)|J=0 =

∫Dφ φ(x1) φ(x2) ...φ(xn) e

ih

∫d4x Llibera∫

Dφ eih

∫d4x Llibera

Tale espressione costituisce esattamente quella che in Meccanica Statisti-ca è chiamata Funzione di Correlazione a 'n' punti.Generalmente si indica con:

G(n) = 〈φ(x1)φ(x2)...φ(xn)〉N.B. la funzione di correlazione a 1 punto è proprio il valore medio presosulla distribuzione statistica.

Questo è un risultato davvero sorprendente.Possiamo interpretare le derivate del Funzionale Generatore come funzionidi correlazione tra i campi!

Cosa signi�ca �sicamente 'funzione di correlazione'?Una funzione di correlazione è una misura di quanto due oggetti che obbedi-scono ad una distribuzione statistica (che nel nostro caso sarebbe e

ih

∫d4x Llibera)

siano correlati, ovvero quanto il valore dell'uno dipenda o sia in�uen-zato da quello dell'altro.

Se facciamo un attimo un passo indietro, ricordiamo di aver scoperto chele derivate del Funzionale Generatore Z[J ] non sono altro che le ampiezze diprobabilità dei processi associati e sono strettamente connesse con il propa-gatore DF (x− y).Per consistenza della teoria possiamo concludere che i propagatori legati adun processo sono interpretabili come funzione di correlazione statistica tra icampi!

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Esempio (fondamentale!):

δ2Z[J ]

δJ(x1)δJ(x2)|J=0 = DF (x1 − x2) = 〈φ(x1)φ(x2)〉

A ra�orzare l'idea che Propagatore di Feynman e Funzione di Correlazio-ne siano �sicamente la stessa cosa, è bene sottolineare che il Teorema di Wicksi estende anche alle funzioni di correlazione: una funzione di correlazione a'n' punti si può scrivere in termini di prodotti di funzioni di correlazionesemplici a 2 punti!

Il sunto del Teorema di Wick dunque è:

G(4) = 〈φ(x1)φ(x2)φ(x3)φ(x4)〉 = 〈φ(x1)φ(x2)〉〈φ(x3)φ(x4)〉 +

+ 〈φ(x1)φ(x3)〉〈φ(x2)φ(x4)〉 + 〈φ(x1)φ(x4)〉〈φ(x2)φ(x3)〉 =

= DF (x1 − x2)DF (x3 − x4) + DF (x1 − x3)DF (x2 − x4) +

+ DF (x1 − x4)DF (x2 − x3)

si scompone cioè in tutti i possibili accoppiamenti a due a due di funzioni dicorrelazione / propagatori (è la stessa cosa !) a 2 punti.

Terminiamo il paragrafo con l'eleganza e la semplicità concettuale dellosviluppo perturbativo di Z[J ] in termini della somma di in�nite funzioni dicorrelazioni.

Z[J ] = 1 + 〈φ(x1)〉 + 〈φ(x1)φ(x2)〉 + 〈φ(x1)φ(x2)φ(x3)〉 + ....

Ogni funzione di correlazione (repetita iuvant) simboleggia l'ampiezza di pro-babilità di un determinato processo �sico.

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9.4 Teoria di Campo Interagente

Fino ad ora abbiamo esplorato la �sica dei campi liberi , cioè non soggetti aForze (potenziali) esterni.Tutti i concetti elaborati sono in splendido accordo con i risultati della quan-tizzazione canonica. Il propagatore per campi liberi ad esempio può essereintrodotto anche attraverso l'approccio canonico. Le due formulazioni sonoequivalenti in quanto arrivano alle stesse conclusioni �siche.

Tuttavia l'approccio canonico fallisce quando si vuole trattare campi inte-ragenti, mentre il metodo del Funzionale Generatore permette di dare unadescrizione completa ed e�cace. Il motivo risiede nel fatto che il metodo fun-zionale è estremamente adatto per un approccio perturbativo, che nel casointeragente è l'unica via per ottenere risultati �sici.

Introduciamo dunque un termine di interazione nella Lagrangiana di campo.Il termine di interazione più semplice è quello della cosiddetta 'autointera-zione' (un campo che interagisce con se stesso; per immaginare la situazionesi deve pensare a molti campi dello stesso tipo che interagiscono tra loro); lestesse identiche procedure potranno poi essere applicate a termini di intera-zione più complicati.Rimanendo all'interno della teoria del campo scalare, che è la più semplice alivello matematico, il termine di autointerazione è dato da:

Lint = λφ4

in cui λ è la 'costante di accoppiamento' dell'interazione.

L'integrale funzionale (Funzionale Generatore) diventa:

Z[J, λ] =1

N

∫Dφ e

ih

∫d4x φ(∂µ∂µ + m2)φ + Jφ + λφ4

Come a�rontare tale integrale?

La chiave per la soluzione sta nello sviluppare Z[J, λ] in serie di potenzenon solo di J(x), ma anche della costante λ.La giusti�cazione �sica di tale procedimento risiede nel voler approssimareil risultato per 'piccole interazioni'. Naturalmente si ottiene una somma diin�niti termini in cui l'interazione è sempre più intensa.

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Per iniziare, l'integrando si può scindere nel prodotto di due esponenziali:

eih

∫d4x φ(∂µ∂µ + m2)φ + Jφ + λφ4

= eih

∫d4x φ(∂µ∂µ + m2)φ + Jφ e

ih

∫d4x λφ4

In questo modo abbiamo abilmente separato il termine libero da quello inte-ragente.A questo punto possiamo sviluppare in serie del parametro λ il secondo espo-nenziale.Si ottiene:

eih

∫d4x λφ4

= 1 + λi

∫d4xφ4 + termini di ordine superiore

Forti di questo risultato diventa facile dato, dato che il termine di inte-razione non dipende da J(x), che l'espansione di Z[J ] in serie di potenze diJ(x) dà come risultato:

Z[J ] = (1 + 〈φ〉+ 〈φφ〉+ ....) (1 + λi

∫d4xφ4 + ...)

Se si fa il prodotto dei due sviluppi perturbativi, si ottengono tutte leampiezze di probabilità relative a tutti i possibili eventi legati ad un camposcalare autointeragente!

Siamo �nalmente pronti per elaborare una tecnica gra�ca che possa riassu-mere in maniera semplice, con poche regole, tutta la conoscenza ed i concetti�sici acquisiti �no ad ora.

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10 I Diagrammi di Feynman

Nel 1948, Richard Feynman ideò una tecnica diagrammatica per poter rap-presentare i fenomeni di scattering (interazione) tra particelle elementari.Tali diagrammi prendono il suo nome e costituiscono uno strumento impor-tante per visualizzare e riassumere in maniera semplice il signi�cato �sicodella Teoria Quantistica dei Campi.

Quest'ultimo passo del nostro viaggio è dedicato proprio alla comprensio-ne di questi gra�, che riescono a condensare in qualche immagine molti deiconcetti chiave che abbiamo esaminato.

10.1 Le Regole di Feynmann: il caso libero

Innanzitutto partiamo dal caso estremamente semplice di teoria di camposenza interazione.

Le regole che permettono di associare espressioni analitiche a determinateparti del grafo sono chiamate regole di Feynman.

Iniziamo disegnando una linea che congiunge 2 punti dello spazio-tempo e associandole un propagatore DF (x − y); ad ogni verti-ce/punto spazio-temporale gli associamo invece una sorgente dicampo J(x).

Il punto cruciale è che ad ogni processo possiamo associare un diagrammaintuitivamente (con punti spazio-temporali per la presenza di sorgenti e lineeche congiungono i punti per propagazione di particelle) e ad ogni diagrammapossiamo associare un'ampiezza di probabilità tramite le regole di Feynman.

Nella �gura si può vedere come rappresentare lo sviluppo perturbativo diZ[J ] nel caso libero attraverso semplicissimi diagrammi.

Per trovare la probabilità associata ad un grafo, basta svolgeresemplici passi:

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1) Moltiplicare per DF (x−y) per ogni linea che congiunge due puntix e y;2) Moltiplicare per J(x) e integrare sullo spazio-tempo per ognipunto x;3) Dividere per n! dove n è il numero di punti spazio-temporali.

Tramite queste regole molto semplici si ritrova esattamente il calcolo del-l'ampiezza di probabilità tramite le derivate funzionali di Z[J ].Sostanzialmente è un modo molto comodo per scrivere e riassumere i risultatidella teoria.

Facciamo un esempio: calcoliamo l'ampiezza di probabilità per una parti-cella di essere creata nel punto x e distrutta nel punto y.Il diagramma associato sarebbe costituito da un unico segmento a congiun-gere i 2 punti spazio-temporali, per cui applicando le regole di Feynman siotterrebbe: 1

2DF (x− y)

∫d4x

∫d4yJ(x)J(y).

Se si confronta questo risultato con il primo termine dello sviluppo in se-rie del funzionale generatore del paragrafo 9.2 si nota immediatamente checoincidono.

10.2 Le Regole di Feynman: il caso interagente

Naturalmente il caso più interessante è quello in cui compaiono le intera-zioni.Fino a che i campi sono liberi, i diagrammi sono molto semplici e compren-dono solamente tutte le propagazioni possibili di un numero crescente diparticelle.Ma con le interazioni la cosa si fa più interessante.

Tramite le regole di Feynman è possibile estrarre l'ampiezza di probabili-tà direttamente dai gra� proprio come nel caso libero!

Come regola aggiuntiva basta ricordarsi di moltiplicare per la co-stante di accoppiamento tipica dell'interazione ogni volta che neldiagramma compare un vertice di scattering, cioè di interazione,tra due o più particelle (entranti o uscenti).

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Nella �gura in alto sono mostrati alcuni termini presenti nello sviluppoperturbativo di Z[J ] nel caso autointeragente.Il processo a) corrisponde alla funzione di correlazione a 2 punti; i processib) e c) sono entrambi parte della funzione di correlazione a 3 punti.N.B. Si noti come nel caso non interagente la funzione di correlazione a npunti sia la somma di semplici prodotti di DF (x− y), mentre nel caso inte-ragente contiene termini più complicati!

Come si vede dai diagrammi, in teoria interagente ogni sempli-ce processo (si prenda ad esempio il caso a) in �gura) può esseresviluppato in una serie teoricamente in�nita di modi.

Per capire meglio questo fatto basta riprendere la formula dello sviluppoperturbativo di Z[J ] nel caso autointeragente:

Z[J ] = (1 + 〈φ〉+ 〈φφ〉+ ....) (1 + λi

∫d4xφ4 + ...)

Si vede chiaramente che se si prende ad esempio la funzione di correlazione a1 punto, essa moltiplica l'intera serie perturbativa in λ. Si capisce subito chesi generano in�niti termini per ogni funzione di correlazione (è esattamenteciò che mostra la �gura in alto).

Ovviamente, più il diagramma si complica , minore sarà la probabilità diveri�carsi dell'evento associato. Infatti ogni volta che aggiungo un verti-ce al diagramma, l'ampiezza di probabilità associata va moltiplicataper la costante d'accoppiamento che è un numero < 1 ; per cui sicapisce che più vertici sono presenti nel diagramma e minore sarà il pesodell'evento associato.Ecco che lo sviluppo agli ordini più bassi trova una sua giusti�cazione.

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10.3 Cenni di Quantum Electro-Dynamics (QED)

La Teoria Quantistica dei Campi trova la sua maggiore applicazione ogginella descrizione delle interazioni tra fotoni (quanti del campo elettromagne-tico) ed elettroni (quanti del campo di Dirac).

La precisione con la quale si misurano le sezioni d'urto (ovvero le pro-babilità dei processi) in QED è la più elevata in Fisica.

La Quanto-Elettro-Dinamica è descritta attraverso una teoria interagentedi un campo spinoriale (che descrive gli elettroni) e di un campo vettorialemasss-less (che descrive i quanti di luce).

Non potendo entrare nei dettagli, vogliamo qui dare uno sguardo di insie-me alla teoria.

La Lagrangiana della teoria è composta dai termini della Lagrangiana diDirac, più i termini della Lagrangiana Proca-Maxwell ,più un termine di in-terazione che non stiamo qui a discutere, ma che è proporzionale ad unacostante di accoppiamento caratteristica dell'interazione elettromagnetica (αdetta costante di struttura �ne, il cui valore numerico è noto e pari a 1/137).La Lagrangiana inserita nell'integrale funzionale Z[J ] genera l'intero spettrodi eventi della QED.La teoria interagente tra fotone ed elettrone è contenuta tutta nelle derivatefunzionali di Z[J ].Esattamente come nella teoria del campo scalare autointeragente (i procedi-menti sono i medesimi), tutto ciò che si cerca di calcolare sono proprio questederivate, ovvero le funzioni di correlazione n-esime (che corrispondono ai pro-pagatori della teoria).Senza aver parlato di fotoni ed elettroni �no a questo momento, siamo co-munque in grado di capire cosa sia e come sia costruita questa complicatateoria quantistica di campo!E non solo: grazie alle regole di Feynman possiamo disegnare diagrammi delleinterazioni fondamentali e assegnare un'ampiezza di probabilità sfruttandola (quasi) totale analogia con la teoria del campo scalare!

Per fare ciò bisogna però tenere conto che al posto di DF (x − y) si avràil propagatore libero fermionico (per gli e−) e/o il propagatore libero boso-nico (per i fotoni).L'unica regola aggiuntiva, dunque, è che vanno introdotti due diversi tipi di

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segmenti che congiungono due punti spazio-temporali: uno a simboleggiareun propagatore fermionico (il primo in alto in �gura) e uno a distinguere quel-lo bosonico (il secondo mostrato in �gura simile ad una 'funzione oscillante').

I tre diagrammi mostrati sopra sono i mattoni fondamentali con i qualisi costruiscono i diagrammi della QED.

Analizziamo il più semplice e didattico diagramma della QED:

L'interpretazione che si dà al diagramma è il seguente: due elettroni inte-ragiscono tramite repulsione elettromagnetica scambiandosi un fotone γ (unquanto del campo vettoriale). N.B. il tempo scorre da sx verso dx.

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Se volessimo calcolare l'ampiezza di probabilità per questo evento, dovrem-mo semplicemente seguire le regole di Feynman: moltiplicheremmo tra loro ipropagatori fermionici e bosonici per ogni segmento , moltiplicheremmo perλ per ogni vertice di interazione presente (2 in questo caso), integreremmo in∫d4x per ogni punto spazio temporale e in�ne divideremmo per il fattoriale

del numero di vertici presenti nel diagramma.Un conto laborioso , ma concettualmente semplice.

Sebbene siano più complicati di quelli visti �no ad ora, i diagrammi dellaQED concettualmente sono del tutto simili a quelli del caso autointeragente.Essi descrivono propagazione di particelle e interazione tra esse (in ogni ver-tice presente).

Quale interpretazione �sica dell'Elettrodinamica Quantistica emerge dalmodello?

L'interazione elettromagnetica a livello quantistico è vista in questo modo:Gli elettroni (descritti da un campo di Dirac) interagiscono tra lorotramite scambio di quanti del campo elettromagnetico: in questosenso si dice che i fotoni sono i mediatori della forza elettromagne-tica.

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11 Conclusioni

Siamo giunti al termine del nostro percorso.Il nostro è stato un breve (ma intenso) viaggio panoramico sulla �sica deicampi e sulle idee fondamentali che sono alla base di tale teoria.

Alla luce delle conoscenze acquisite siamo �nalmente in grado di gettare unosguardo più consapevole sul paesaggio variegato delle particelle fondamentalioggi note.

11.1 Il Modello Standard della Fisica delle Particelle Elementari

Le particelle (fondamentali) conosciute oggi sono classi�cate a secondadelle loro proprietà �siche nel cosiddetto Modello Standard.

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Le particelle si dividono in due grandi famiglie:

- FERMIONI : sono le particelle di cui è costituita la materia e sono carat-terizzate da spin semi-intero (1/2). Esse sono divise a loro volta in Leptoni(elettrone , muone , tau ; con relativi neutrini) e Quark (sono i costituentifondamentali dei nuclei atomici; protoni e neutroni sono stati aggregati di 3quark!).N.B. Ogni Fermione possiede la sua antiparticella! Essa è del tutto identicaalla particella a cui è associata, a meno della carica elettrica che è di segnoopposto!

- BOSONI : sono particelle dotate di spin intero, che 'mediano' le forzefondamentali in Natura (esattamente come i fotoni sono i mediatori dellaforza elettromagnetica!).

Contemplando tale schema fondamentale, riassumiamo i concetti chiaveche abbiamo studiato durante il corso.

La �sica che sta dietro il modello si basa sull'idea che per ogni parti-cella vi sia una teoria di campo associata.Il Campo di Dirac descrive i Fermioni, mentre il Campo Vettoriale e quelloScalare descrivono invece i Bosoni (e quindi le interazioni fondamentali!)N.B. il campo Scalare descrive il celebre bosone di Higgs (l'unica particellacon spin 0 del modello) che qui non abbiamo tempo di discutere.Le particelle sono interpretate come i quanti, cioè la manifestazione �sica,del campo.

I campi quantistici in conclusione si possono immaginare come og-getti astratti che permeano tutto lo spazio-tempo di Minkowski eche si manifestano 'creando' e/o 'distruggendo' particelle che noimisuriamo.La dinamica di queste particelle è contenuta interamente nel Funzionale Ge-neratore Z[J ] in cui compare la Lagrangiana della teoria che si vuole costruire(con le relative simmetrie).

Tramite i diagrammi di Feynman in�ne come abbiamo visto si possono rap-presentare gra�camente i termini dello sviluppo perturbativo di Z[J ] (cherappresentano i processi elementari) e assegnare ad ognuno di essi un'am-piezza di probabilità grazie a semplici Regole nelle quali sono riassunti irisultati della teoria.

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11.2 Domande Filoso�che

Tramite la Teoria Quantistica dei Campi, e il supporto sperimentale delCERN di Ginevra, l'uomo sta davvero cogliendo le dinamiche fondamentalidella Natura in cui viviamo?O forse sta solamente costruendo un modello matematico estremamente po-tente e complesso in grado di simulare concettualmente meccanismi scono-sciuti?

La domanda è strettamente legata al quesito aperto sulla convergenza dellaserie perturbativa dell'integrale funzionale.Approssimiamo il risultato di una serie che non sappiamo se e nel caso a cosaconverga.

Quello di cui possiamo essere certi e soddisfatti, in ogni caso, è che unatale costruzione mentale riproduca la realtà in cui viviamo in maniera cosìsbalorditiva.

La Natura è dunque costituita, in ultima analisi, da Campi Quantisticiche interagiscono tra loro, creano e distruggono particelle con una certa pro-babilità?

E' a�ascinante pensare che sia così.

Note: Un ringraziamento speciale va a tutti coloro che con mirabile pas-sione e curiosità hanno seguito questo corso e soprattutto ad Arrigo Amadori,senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile.

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12 Appendice

Spazio di Fock

Dal momento che dopo l'integrazione funzionale, la teoria diventa quanti-stica, occorre introdurre uno spazio vettoriale di stati quantici che è l'equi-valente dello spazio di Hilbert per la meccanica quantistica non relativistica.L'unica di�erenza sostanziale tra questo nuovo spazio di oggetti matematicie l'usuale spazio di Hilbert, sarà che in ogni stato il numero di particelle delsistema può aumentare o diminuire arbitrariamente in accordo con la possi-bilità di creazione o distruzione di particelle.A partire dai vettori dello spazio di Hilbert costruiamo questo nuovo spazio,che chiameremo Spazio di Fock, attraverso una somma diretta di spazi diHilbert di dimensione crescente. Le formule a volte possono essere più chiaredelle parole:

F =∞⊕n=0

Hn = C + H + H ⊗H + H ⊗H ⊗H + ...

in cui H è lo spazio di Hilbert usuale.In questo modo un generico stato di Fock includerà un numero arbitrario diparticelle, da zero a in�nito.

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