Introduzione alla morfometria geometrica

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Marco Corti Forma e dimensioni: la nuova sintesi J.J. Grandville, 1844 Questo testo costituisce la base di un colloquio tenuto al simposio "I paradigmi della zoologia", 24/9/1996, 57° congresso UZI, S. Benedetto del Tronto. Non è dunque da considerarsi un saggio ma, piuttosto, una serie di spunti organizzati per una discussione. La rappresentazione della forma degli organismi tramite misurazioni di vario tipo ed effettuate in modi diversi ha costituito una lunga pratica nelle scienze biologiche, particolarmente in quelle zoologiche, con motivazioni spesso anche diverse. Vi sono semplici interessi volti all’identificazione di esemplari da effettuare sul campo o in museo; a tal scopo, molti ricercatori hanno spesso operato definendo indici ottenuti, ad esempio, tramite rapporti tra misurazioni. Lo studio delle forme biologiche tramite comparazione è stata ampiamente utilizzata anche per dimostrare la superiorità di alcune di queste, come in questa raffigurazione tratta da Lombroso in cui sono mostrati vari crani, tra cui Kant, Foscolo, Fusinieri, e dove viene messo a confronto il cervello di Gauss con quello di un operaio tedesco o, in questa successiva, dove sono mostrati le tipologie criminali. L’interesse scientifico vero è da sempre rivolto alla descrizione della variabilità della forma per identificare modelli di interesse evolutivo e sistematico, sia che la variabilità studiata riguardi fasi successive dello sviluppo pre- e postnatale, sia che si vogliano studiare le relazioni tra i taxa nel tempo e nello spazio per identificare le cause storiche (filogenetiche) adattative (dovute a selezione) responsabili della variabilità stessa. Le scienze biometriche della morfometria hanno tuttavia avuto un’origine diversa e uno sviluppo del tutto dicotomico: un ramo origina direttamente dalla necessità di quantificare in modo oggettivo la variabilità nelle specie mentre un secondo ha preteso di rappresentare un modo visivo, immediato, i cambiamenti di forma tra organismo ed organismo. Si sono infatti costituite, durante questo secolo, due scuole di pensiero. Da un lato vi è l’approccio che origina direttamente dalla biometria di Karl Pearson, Sewall Wright e Fisher e che applica tecniche di statistica univariata e multivariata a misurazioni quantitative della forma. D’Arcy Thompson (1917): trasformazione di Argylopelecus olfersi in Sternoptyx diaphana

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Cenni storici

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Marco Corti

Forma e dimensioni: la nuova sintesi

J.J. Grandville, 1844

Questo testo costituisce la base di un colloquio tenuto al simposio "I paradigmi della zoologia", 24/9/1996, 57° congresso UZI, S. Benedetto del Tronto. Non è dunque da considerarsi un saggio ma, piuttosto, una serie di spunti organizzati per una discussione.

La rappresentazione della forma degli organismi tramite misurazioni di vario tipo ed effettuate in modi diversi ha costituito una lunga pratica nelle scienze biologiche, particolarmente in quelle zoologiche, con motivazioni spesso anche diverse. Vi sono semplici interessi volti all’identificazione di esemplari da effettuare sul campo o in museo; a tal scopo, molti ricercatori hanno spesso operato definendo indici ottenuti, ad esempio, tramite rapporti tra misurazioni.

Lo studio delle forme biologiche tramite comparazione è stata ampiamente utilizzata anche per dimostrare la superiorità di alcune di queste, come in questa raffigurazione tratta da Lombroso in cui sono mostrati vari crani, tra cui Kant, Foscolo, Fusinieri, e dove viene messo a confronto il cervello di Gauss con quello di un operaio tedesco o, in questa successiva, dove sono mostrati le tipologie criminali.

L’interesse scientifico vero è da sempre rivolto alla descrizione della variabilità della forma per identificare modelli di interesse evolutivo e sistematico, sia che la variabilità studiata riguardi fasi successive dello sviluppo pre- e postnatale, sia che si vogliano studiare le relazioni tra i taxa nel tempo e nello spazio per identificare le cause storiche (filogenetiche) adattative (dovute a selezione) responsabili della variabilità stessa.

Le scienze biometriche della morfometria hanno tuttavia avuto un’origine diversa e uno sviluppo del tutto dicotomico: un ramo origina direttamente dalla necessità di quantificare in modo oggettivo la variabilità nelle specie mentre un secondo ha preteso di rappresentare un modo visivo, immediato, i cambiamenti di forma tra organismo ed organismo. Si sono infatti costituite, durante questo secolo, due scuole di pensiero. Da un lato vi è l’approccio che origina direttamente dalla biometria di Karl Pearson, Sewall Wright e Fisher e che applica tecniche di statistica univariata e multivariata a misurazioni quantitative della forma.

D’Arcy Thompson (1917): trasformazione di Argylopelecus olfersi in Sternoptyx diaphana

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L’altro è quello associato al nome di D’Arcy Thompson, anche se le sue origini sono da collocarsi nel XV secolo con la scoperta delle trasformazioni dovute alla prospettiva. Si sono così andate sviluppando due esperienze diverse, tra loro incommensurabili e rimaste autonome. Solo recentemente, sul finire degli anni ’80, sotto l’impulso di un gruppo ristretto di ricercatori, tra cui Fred Bookstein e Jim Rohlf, queste due esperienze si sono coniugate in un approccio nuovo allo studio delle differenze in forma e dimensioni tra organismo e organismo, conosciuto come "morfometria geometrica". Per questa ragione, ci si riferisce a questo atteggiamento del tutto nuovo come alla "nuova sintesi". Oggetto di questa rassegna è l’esposizione della filosofia e delle metodologie della scuola della nuova sintesi; si affermerà che oggi la comunità scientifica è finalmente dotata di un linguaggio oggettivo ed idoneo a rappresentare e studiare le modificazioni della forma e si mostrerà come questo tragga origine dalle due scuole precedenti.

Come sintesi, dunque, la morfometria geometrica racchiude in sé molti dei concetti e delle metodologie sviluppatesi nelle due scuole di pensiero e che vale la pena di esaminare brevemente.

Tra la pubblicazione dell’origine della specie e la riscoperta dell’ereditarietà mendeleiana la variabilità delle popolazioni non poteva che venire stimata tramite caratteri biometrici derivati direttamente da misurazioni lineari di caratteristiche morfologiche.

Tra i vari esempi vi è lo studio di William Bateson (1894) relativo alla variabilità riscontrata in una specie di coleotteri, lo Xylotrupes gideon, dell’isola di Giava. Nella specie sono presenti maschi di differenti dimensioni, illustrati nella figura, in alto, a loro volta caratterizzati dalla presenza di corna cefaliche di diverse dimensioni. Nel diagramma, in basso, è illustrata la variabilità della struttura, da cui si evince una bassissima frequenza di forme ‘medie’ rispetto alle grandi e alle piccole. Per spiegare la progressiva diminuzione della forma media e l’incremento di quelle piccole e grandi, Bateson fece ricorso in questo caso alla "legge della regressione" di Galton, identificando in un modello di variazione discontinua la possibilità, da lui ritenuta altamente improbabile, di speciazione.

Gran parte della statistica attuale, lo studio della distribuzione, trae origine dall’osservazione di fenomeni biologici e, tra i padri fondatori, vale la pena di ricordare Galton, Pearson, Sewall Wright e Fisher. Per diverse ragioni, questo tipo di approccio sperimentale al mondo biologico non è stato vissuto con eguale entusiasmo nel nostro paese, dove le scienze statistiche sono state utilizzate e sviluppate in un ambito socioeconomico.

La morfometria si definisce dunque come lo studio quantitativo della variazione delle forme biologiche. L’obiettivo non è costituito dallo studio della forma stessa, ma, piuttosto, dalle associazioni che intercorrono tra forme progressivamente diverse, al fine di identificare le cause e gli effetti delle modificazioni nella forma. La morfometria costituisce il trattamento formale delle differenze geometriche tra forme biologiche; tale formalismo deriva da un rapporto stretto e reciproco tra le metodologie numeriche e statistiche utilizzate e criteri biologici. Il formalismo procedurale è definito nella morfometria geometrica in modo tale che diviene possibile descrivere in modo ripetibile e oggettivo i cambiamenti di forma tra organismo ed organismo.

Il linguaggio della morfometria geometrica segue una metodologia ripetibile e risponde a due requisiti fondamentali:

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1. le forme biologiche e, dunque, i caratteri che si prendono in esame, per essere comparabili debbono necessariamente essere caratterizzate implicitamente da un criterio di omologia.

2. Lo studio delle differenze nella forma deve essere effettuato seguendo il formalismo che deriva dalla coniugazione delle proprietà geometriche che le forme biologiche hanno nello spazio con metodologie algebriche e statistiche esplicite.

Vediamo, in ordine, i due aspetti, cominciando dalla questione dell’omologia. Intanto, l’omologia non costituisce un problema empirico o concettuale.

L’omologia definisce unicamente la relazione che sussiste tra due parti in modo tale che risulta possibile identificare la specie progenitrice e quella derivata. Le due parti sono dunque da considerarsi operazionali e tassiche. L’omologia operazionale è usualmente associata alla morfometria, mentre l’omologia tassica costituisce il cuore della sistematica filogenetica. Questi due criteri sono apparentemente diversi e tra loro incompatibili.

In questo contesto, la morfometria costituisce la descrizione comparativa della forma degli organismi rilevata su insiemi di punti (distanze tra punti, coordinate, contorni, superfici), mentre la sistematica filogenetica è il metodo per dedurre una sequenza cladogenetica tramite l’ordinamento gerarchico di caratteri omologhi in cui siano riconoscibili stati ancestrali e stati derivati.

In termini biometrici, l’omologia è da considerarsi come una funzione topografica (mapping), una corrispondenza tra punti piuttosto che tra parti. Si tratta dunque di utilizzare un insieme di misurazioni in grado di rivelare diversità tra insiemi corrispondenti di punti matematici, a patto di aver assegnato in precedenza gli stessi nomi a tali insiemi (punta del naso, inserzione della pinna, ecc.). In tal modo, si ritiene implicito in questa rappresentazione topologica il concetto di omologia biologica.

L’omologia operazionale consiste dunque in una relazione di similitudine definita dalla corrispondenza di punti interni ed esterni. La morfometria contribuisce nel definire relazioni tra punti che identificano caratteri omologhi operativamente e per quantificare differenze di forma attraverso serie ontogenetiche e filogenetiche. La morfometria può avere una valenza post-cladistica nell’analisi di tendenze e risposte differenziate a cause e restrizioni evolutive, solo nel caso in cui la filogenesi dei taxa in esame sia conosciuta. Può anche avere una valenza pre-cladistica, quando invece l’analisi è finalizzata all’identificazione di strutture in cui siano presenti discontinuità e che possano essere utilizzate successivamente come caratteri propri per l’analisi filogenetica, a patto che si possano chiaramente distinguere e, di conseguenza, scindere la componente filogenetica e quella adattativa in ciascuno dei caratteri in esame.

Per quanto riguarda il secondo punto, ovvero l’aspetto formale relativo all’analisi delle proprietà geometriche delle forme biologiche tramite metodologie algebriche e statistiche esplicite, si è parlato in precedenza della dicotomia che ha caratterizzato la morfometria durante questo secolo. La prima scuola, conosciuta anche come ‘morfometria multivariata’, è limitato allo studio della covarianza, dei minimi quadrati e alla soluzione di sistemi lineari, senza alcun assunto implicito sulle proprietà geometriche delle forme oggetto di analisi. Tali proprietà geometriche della forma non hanno alcun ruolo formale nell’analisi della variazione. In altre parole, non si ritiene che sia importante conoscere la relazione spaziale tra due misure, anche semplici, come altezza e larghezza. Due persone possono avere la stessa altezza e la stessa misura di spalle ma, quasi certamente, non potrebbero indossare la stessa giacca: uno dei due potrebbe avere testa e collo più lunghi e quindi, a parità di altezza, possedere un tronco sicuramente più corto, con il risultato di indossare una giacca troppo lunga.

Al contrario, le proprietà geometriche degli organismi nello spazio costituiscono il nucleo centrale dell’idea di D’Arcy Thompson. L’approccio è completamente grafico: i cambiamenti di forma sono rappresentati come distorsioni di piani cartesiani su cui giacciono le coordinate che descrivono la forma, senza però rendere esplicito il linguaggio per la deformazione di tali piani. L’incapacità da parte di D’Arcy Thompson di fornire lo strumento algebrico per quantificare la deformazione delle griglie ha fatto sì che la sua geniale intuizione, così apprezzata da tutti i biologi, sia rimasta confinata, a partire da 1917, anno della prima edizione di "On growth and Form", a pura illustrazione grafica. Non

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esiste libro di testo moderno di biologia evoluzionistica in cui non sia riportata almeno una delle numerose illustrazioni presenti nella prima o seconda edizione del libro di D’Arcy Thompson.

Le sue illustrazioni erano prodotte manualmente da un amico ingegnere e, in molte, si possono notare errori nella posizione delle griglie tra due trasformazioni; errori che derivano, probabilmente, dalla mano di un non-biologo o dal non aver tenuto in stretta considerazione un criterio di omologia, almeno topografica. Le idee di D’Arcy Thompson hanno un’origine lontana, da collocarsi agli albori dell’architettura e sviluppatasi ulteriormente con la nascita della stampa nel XVI secolo, quando si rese necessario per gli artisti scoprire le regole geometriche necessarie per riprodurre la variabilità dell’espressione umana. Non a caso, sia D’Arcy Thomson che altri hanno utilizzato come esempio figure tratte da Dürer, o Camper.

Il vuoto metodologico e formale lasciato da D’Arcy Thompson è stato, in parte, colmato dalla morfometria multivariata. Questa ha prodotto strumenti statistici eccezionalmente raffinati per la manipolazione dei dati raccolti e per rappresentare in modo sintetica la variabilità biologica. È mancata però completamente la rappresentazione grafica dei cambiamenti a carico della forma; questi sono per lo più rappresentati da liste di coefficienti numerici, in modo tale che viene richiesto ad un eventuale lettore un notevole sforzo per poter ricreare mentalmente i cambiamenti di forma, rendendo così comprensibili i risultati solo a coloro che sono in possesso di background sufficiente.

Tuttavia, dalla morfometria multivariata deriva un paradigma fondamentale: l’allometria, secondo la quale esistono relazioni differenziate tra insiemi di due o più misurazioni della forma rilevate in due o più organismi, indipendentemente che si tratti di fasi vitali dello stesso individuo o di individui diversi. Il comprendere e rappresentare questo un fenomeno biologico ha rivestito una straordinaria importanza per tutto il pensiero della biologia evoluzionistica. Non si tratta solo di descrivere come cambiano i rapporti tra le parti nel corso della crescita di un organismo o tra linee evolutive diverse; sono le cause e gli effetti stessi di tale fenomeno, che costituiscono un aspetto dell’eterocronia, a fornirci una chiave di lettura adeguata alla comprensione dei cambiamenti di forma e dimensioni che si verificano nel corso dei processi evolutivi.

Uno dei primi esempi conosciuti relativi allo studio dell’allometria è quello di Montbeillard che descrive lo sviluppo dell’uomo, in questo caso il figlio, tramite una curva derivata da rilevamenti del peso e dell’altezza effettuati ad intervalli regolari. Da allora, sono numerose le illustrazioni che compaiono nei testi biologici ad illustrare questo fenomeno, sia sotto forma di figure rappresentative (FIG) che come grafici bivariati o multivariati.

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Nel 1932 compare un libro, Problems of relative growth, di Julian Huxley, ancora oggi ritenuto verboso e ripetitivo, ma che contiene la rappresentazione sintetica, sotto forma di equazione, del fenomeno dell’allometria.

Huxley dunque trova un modo per formalizzare le differenti relazioni che si verificano, nel corso della crescita, tra misurazioni diverse. L’esempio è tratto dal suo libro ed è relativo a misurazioni della lunghezza totale del cranio e della regione facciale in babbuini di differenti età. Dal grafico, in alto a sinistra, risulta chiaramente come i due caratteri si accrescano in modo differente nel corso della crescita. Non vi è certamente una relazione lineare, anche se questa può essere approssimata da una trasformazione logaritmica. E’ evidente come, durante la crescita, l’accrescimento maggiore sia a carico della regione facciale. Ciò che più è interessante però, è l’equazione della retta relativa a questi punti. Possiamo studiare la sua pendenza e l’intersezione con l’ascissa e l’ordinata, tutte informazioni di grande importanza.

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L’equazione è oramai diventata universalmente nota e non necessita, in questa sede, ulteriori spiegazioni.

L’applicazione dell’equazione allometrica consente di studiare differenze nella forma (rilevate, usualmente, tramite misure di distanze lineari o peso) tra organismi, sia durante il loro sviluppo che tra linee evolutive diverse. E’ bene allora stabilire un linguaggio, un glossario sull’allometria, che ci consenta di fare riferimento con maggiore precisione ai diversi aspetti dell’allometria. Nel caso del tutto particolare in cui x (una delle costanti) è eguale ad uno, l’incremento in dimensioni tra due o più variabili avviene per la stessa costante, ovvero il rapporto è isometrico. Rispetto a questo, si parla di allometria negativa o positiva a seconda che la costante incrementi maggiormente per l’una o l’altra misura.

Ma ciò che più è importante, è il contesto in cui si colloca lo studio dell’allometria, negativa, positiva o isometrica che sia. Sebbene la comparazione tra modelli allometrici diversi sia stata praticata correttamente a lungo nel passato, la formalizzazione del contesto in cui tale studio si colloca è recente.

I diversi contesti sono rappresentati in figura; rispetto alle relazioni di discendenza tra gli organismi si distingue:

1. una allometria ontogenetica, ove la comparazione viene effettuata tra diverse fasi del ciclo vitale di uno stesso organismo;

2. una allometria statica, che descrive la variazione allometrica tra individui appartenenti alla stessa linea evolutiva e alla stessa classe di età;

3. una allometria evolutiva, in cui sono messi a confronto i modelli di allometria che contraddistinguono diverse linee evolutive.

Di allometria ontogenetica si è parlato in precedenza citando Montbeillard e lo stesso Huxley. L’allometria evolutiva riveste una notevole importanza poiché, sintetizzando le differenze di forma tra linee evolutive sotto forma di equazione della retta, nel caso l’analisi sia condotta tra due variabili, o di vettori, nel caso si tratti di un’analisi condotta su un numero più alto di caratteri, essa consente di confrontare modelli di crescita diversi e desumere quindi l’esistenza di processi eterocronici intervenuti nel corso del differenziamento delle specie.

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L’esempio seguente riguarda l’analisi condotta su un gruppo di specie di roditori tropicali sudamericani del genere Proechimys, in attiva fase di speciazione. Nella figura è rappresentato l’areale di distribuzione delle specie e le popolazioni campionate. In questo caso sono rappresentati diversi livelli tassonomici: specie ben differenziate, superspecie, popolazioni. L’allometria evolutiva è stata studiata in modo multivariato comparando i modelli di allometria statica che contraddistinguono ciascuna popolazione.

L’allometria statica viene rappresentata, secondo un modello multivariato, tramite il primo autovettore estratto dalle matrici di covarianza di tutti i caratteri cranici rilevati, mostrati in questa diapositiva. I coefficienti per ciascun carattere associati al primo componente principale mostrano come questi variano in funzione di un vettore isometrico, dato da 1 diviso per la radice quadrata del numero dei caratteri considerati.

Tanto più il coefficiente di ciascun carattere si avvicina a questa stima, in questo caso 0.204, tanto più questo varia in modo isometrico rispetto al variare delle dimensioni. Coefficienti con valori superiori o inferiori a questa stima indicano, rispettivamente allometria positiva o negativa per il carattere considerato. Per esemplificare, sono riportati due caratteri misurati in Proechimys: larghezza zigomatica (BZW) e lunghezza palatale (PAW). I valori del primo, la larghezza zigomatica, sono tutti compresi tra 0.1 e 0.17 e indicano allometria negativa, ovvero il cranio tende a restringersi con la crescita assumendo una forma sempre più affusolata. Per il secondo carattere, la lunghezza palatale, in rosso, vi è una notevole variabilità tra le popolazioni e le specie, con valori varianti tra 0.37 e 0.08, rivelando forti tendenze allometriche positive o negative.

Vi è un altro aspetto di forte interesse. Gli autovettori, ciascuno rappresentante le tendenze o traiettorie allometriche caratterizzanti le popolazioni, hanno un orientamento nello spazio. La loro posizione reciproca suggerisce quanto tali traiettorie allometriche siano differenziate.

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L’esempio riportano in figura è stato semplificato, riducendo il numero delle popolazioni a tre specie e due sottospecie. Si deve tener presente che la speciazione in questo gruppo di Proechimys è iniziata nel corso del pleistocene recente e che è tuttora in atto. Nel grafico sono traslati i loro relativi vettori allometrici; più simili sono, per orientamento, tali vettori, più simile è la forma del cranio che caratterizza le popolazioni; più cambia l’orientamento relativo e l’intercetta, più diverse sono le forme del cranio. È evidente come si passi dalla allometria sostanzialmente simile delle due sottospecie di Proechimys guairae a quelle sempre più diversificate, nel confronto, di Proechimys poliopus e Proechimys trinitatis.

Un ulteriore modo per rappresentare i diversi modelli allometrici deriva dallo studio degli angoli formati tra vettore e vettore: nella parte sinistra della figura vi è la matrice di confronti a coppie con gli angoli, in gradi, formati tra i vettori allometrici delle popolazioni. In questo caso si è assunto che differenze in allometria non sono dipendenti da adattamenti a condizioni ambientali diverse (le specie occupano tutte la foresta pedemontana a quote attorno ai 1.000 metri) ma sono il risultato diretto degli eventi speciativi cladogenetici che hanno caratterizzato l’evoluzione recente del gruppo.

La grandezza dell’angolo tra i vettori è dunque proporzionale al tempo di divergenza e il grafico, nella parte destra della figura, ottenuto da questa matrice tramite analisi delle coordinate principali, mostra un ordinamento delle popolazioni e specie che è congruente con la loro sistematica e tassonomia.

Come detto in precedenza, per quanto sofisticate e potenti possano essere le tecniche utilizzate, viene richiesta una capacità di astrazione notevole ed uno sforzo mentale per immaginare e ricondurre i modelli grafici sintetici e le tabelle di coefficienti a quelle che sono le reali modificazioni nella forma degli organismi.

Vi è, dunque, ancora una notevole inefficienza nel combinare gli aspetti biomatematici della forma biologica con quelli biometrici. Non rimane che ricorrere nuovamente a D’Arcy Thompson che, tuttavia, ignorava completamente gli aspetti biometrici della descrizione dei cambiamenti di forma e della loro variazione. D’altra parte, la scuola della morfometria multivariata, pur producendo tecniche eleganti per la manipolazione statistica di descrittori della forma, non è in grado di trasformare in senso bioteoretico le combinazioni astratte di tali descrittori.

Queste due scuole hanno proceduto separatamente sino al termine degli anni ‘80, quando lo iato è stato colmato tramite la combinazione dell’approccio geometrico con quello algebrico. Si è venuta così a costituire una sintesi, la morfometria geometrica, in grado di coniugare l’intuizione di D’Arcy Thompson con le potenzialità dell’algebra e della statistica multivariata. Per quanto sia sofisticato il trattamento dei dati, le proprietà geometriche della forma degli organismi sono acquisite secondo principi che contengono le proprietà dell’omologia. Vediamo con un esempio. Nella figura sono rappresentati due crani di roditori, in tutto eguali se non per la diversa conformazione delle barre zigomatiche.

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Rilevando una serie di misurazioni di distanza tra punti, ad esempio la lunghezza totale e la larghezza zigomatica, si ottengono due serie di misurazioni tra loro identiche e l’analisi che ne risulta non può che suggerire la stessa forma.

È evidente che l’approccio che utilizza misurazioni di distanza tra cui non vi è alcuna relazione spaziale può seriamente inficiare l’identificazione di reali differenze di forma. In questo caso, la diversa forma delle barre zigomatiche suggerisce diversa una conformazione e dimensione della muscolatura masticatoria associata e l’analisi tradizionale non solo non è in grado di rilevare le differenze di forma ma induce in interpretazioni errate quando invece vi sono profonde differenze nella funzionalità.

L’approccio della morfometria geometrica al problema è completamente diverso: gli stessi punti misurati in precedenza vengono rilevati come coordinate cartesiane. Tali coordinate sono anche dette punti omologhi, perché sono identificabili chiaramente e senza ambiguità tra individuo ed individuo e identificano parti che sono omologhe in senso topografico. Tali sistemi di coordinate possono essere traslati e sovrapposti - secondo una qualche procedura - l’uno sull’altro in modo da evidenziare in modo visivo ed immediato le differenze di forma. Inoltre, le coordinate stesse possono essere sottoposte ad una qualsiasi verifica statistica volta alla stima delle differenze.

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Vi è nella morfometria geometrica un approfondimento sulle proprietà delle forme biologiche che necessita ulteriori spiegazioni. Vediamo in dettaglio che cosa si intende per forma; il linguaggio diviene più preciso, i termini utilizzati hanno un significato preciso e devono essere utilizzati nel loro contesto specifico.

In questa figura sono rappresentate due forme, un quadrato ed un rettangolo, con dimensioni diverse. Se volessimo utilizzare il perimetro come stima delle dimensioni, ogni riga nella figura contiene forma diverse con dimensioni uguali, le colonne forme uguali e dimensioni diverse, mentre i confronti incrociati mostrano forme e dimensioni diverse. Come risulterà sempre più chiaro, vi è la necessità di scindere l’elemento dimensionale da quello, puramente geometrico, della posizione relativa dei punti omologhi. Nella lingua inglese il problema è stato risolto includendo nella parola "form" sia "size" che "shape"; nella lingua italiana, si suggerisce di utilizzare i termini "dimensioni" e "configurazione" per identificare i due componenti della forma. Nel caso illustrato, dunque, vi sono, in totale, 6 forme differenti e due conformazioni; tre gruppi di queste forme presentano le stesse dimensioni. La distinzione tra questi diversi termini deriva dalla necessità di analizzare le due componenti della forma in modo congiunto e separato; può essere necessario mostrare quali siano le differenze dovute puramente alla configurazione e quale sia il loro eventuale rapporto con la variazione nelle dimensioni.

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Le diverse fasi operazionali che si devono compiere nello studio comparativo della forma tra due o più organismi biologici sono illustrate nelle figure seguenti. In questo caso, il rettangolo ed il trapezio hanno forma differente, per dimensioni e configurazione. Le dimensioni vengono identificate nel centroid size, la radice quadrata della sommatoria delle distanze al quadrato tra il centroide e ogni punto omologo. Piuttosto che una misura lineare tra due punti, come la lunghezza massima o l’altezza, il centroid size costituisce una stima sintetica delle dimensioni di un organismo in tutte le direzioni, qui rappresentate dai punti omologhi. Successivamente, le forme vengono standardizzate ponendo il centroid size eguale ad uno in modo tale che queste assumono il significato di conformazioni, se vogliamo, in un certo senso ‘forme pure’.

Le conformazioni vengono traslate l’una sull’altra facendo coincidere i rispettivi centroidi e la successiva rotazione, mantenendo fissi i centroidi, opera un allineamento delle conformazioni consentendo la valutazione, per lo meno visiva, delle differenze. L’operazione di rotazione è quella più critica, in quanto metodologie diverse possono portare a soluzioni diverse. Oggi si indica nel metodo dei minimi quadrati quello che soddisfa le proprietà di uno spazio non euclideo, noto come lo spazio di Kendall, in cui sono possibili operazioni algebriche e statistiche. L’allineamento utilizzando le distanze quadratiche minime tra punti omologhi delle diverse configurazioni è anche conosciuto come il metodo di Procuste, dal nome del predone della Magna Grecia che ricattava gli ospiti minacciando di allungarli o tagliarli a seconda che il letto su cui dovevano coricarsi fosse o troppo lungo o troppo corto.

Un’applicazione del metodo di Procuste è quella di Bookstein relativa a alla crescita di ratti dall’età di sette giorni a quella di 150 giorni. Nella figura è illustrata, in alto, una sezione sagittale di un ratto con la localizzazione, in rosso, dei punti omologhi utilizzati. Questi corrispondono a punti tipici della craniometria, quali il Lambda, Bregma, Opistion, Basion, eccetera. Nella parte in basso è illustrato l’allineamento di Procuste, dopo standardizzazione e traslazione. E immediatamente evidente dalla dispersione di ogni punto omologo la modificazione della conformazione del cranio nella sua moda sagittale. Un ingrandimento della variazione di uno di questi punti, il bregma, è riportato ad esemplificazione sulla destra, dove si può apprezzare il cambiamento di conformazione di questa area che tende, passando dall’età di 7 giorni a quella di 150, ad abbassarsi progressivamente.

Un’applicazione dell’analisi di Procuste nelle tre dimensioni verrà presentata da Carlo Fadda nel pomeriggio, sicché si può passare allo strumento di analisi più potente proposto dalla morfometria geometrica. Sebbene l’analisi di Procuste sia in grado di mostrare visivamente la variazione dei punti omologhi e consenta, su questi, una qualsiasi analisi statistica, la nuova tecnica del "Thin plate spline" proposta da Bookstein mostra tali differenze sotto forma di griglie di trasformazione, nello stile di D’Arcy Thompson. L’esempio relativo alla crescita dei ratti è stato trattato con questa tecnica e viene mostrato nella diapositiva. Le due griglie mostrano i cambiamenti di conformazione sotto forma di

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griglie di deformazione dall’età di sette giorni, a sinistra, a quella di 150 giorni, a destra. L’età è identificata dal primo autovettore, estratto da una matrice, la "weight matrix dei partial warp scores", ottenuta tramite una funzione interpolante dopo che le forma sono state standardizzate, traslate e ruotate con il metodo di Procuste.

La potenza del metodo sta nel mostrare l’effetto del movimento dei punti l’uno rispetto all’altro, risolvendo la modificazione della configurazione sotto forma di intere aree della griglia. Nel caso della crescita del ratto, risulta evidente come si assista ad un progressivo allungamento della scatola cranica, soprattutto nella sua parte basale posteriore, e ad un appiattimento della porzione dorsale posteriore, passando da sette a 150 giorni di età.

L’approccio del thin plate spline ha contribuito a definire, in modo definitivo, le due modalità in cui sono viene scomposto il cambiamento di configurazione. Queste sono riassunte nelle figure successive.

Una prima componente riguarda l’intera configurazione ed è detta "trasformazione uniforme": la configurazione può modificarsi per compressione o dilatazione o per scorrimento di una parte sull’altra.

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La seconda modalità, la "non uniforme", riguarda solamente aree localizzate della configurazione. Riassumendo, le modificazioni della forma sono scomposte in una componente dimensioni ed in una relativa alla configurazione che, a sua volta, è data da trasformazioni uniformi e trasformazioni localizzate.

La possibilità di identificare il contributo di ciascun componente nella trasformazione della forma offre possibilità del tutto nuove per l’interpretazione di cause ed effetti. Come esempio, possiamo utilizzare uno dei classici di D’Arcy Thompson, relativo alla trasformazione di Argylopelecus olfersi in Sternoptyx diaphana.

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Tompson interpreta la modificazione della configurazione come interamente dovuta a "shear", ovvero un’interpretazione di tipo completamente uniforme.

In realtà, analizzando questo caso, molto semplice in quanto sono coinvolti unicamente due individui, l’interpretazione di D’arcy Thompson è solo parzialmente corretta. La trasformazione totale è rappresentata sulla destra e, sebbene in questa vi sia una preponderanza della componente uniforme, data da uno scorrimento della parte dorsale su quella ventrale, la componente non uniforme a carattere locale è quella che determina la maggior parte dei cambiamenti nelle aree localizzate della bocca, nella regione gulare, nel peduncolo caudale e in generale nella testa. Conoscendo maggiormente l’ecologia e il tipo di alimentazione di queste specie si potrebbe mettere in luce il significato funzionale e adattativo di questi cambiamenti localizzati non uniformi.

Un limite è, senza dubbio, costituito in questi casi da uno studio limitato alle due dimensioni. In organismi o parti che siano sufficientemente piatti la terza dimensione può essere ignorata senza che vi sia una perdita apprezzabile di informazioni. In organismi ben definiti nelle tre dimensioni, diviene fondamentale poter studiare i cambiamenti di forma per il loro significato funzionale e per tutta la informazione di origine adattativa e funzionale che si può trarre da tali cambiamenti.

Un caso relativo ad una struttura con una forte componente tridimensionale studiato nel nostro laboratorio è quello della superspecie Spalax ehrenbergi, un roditore fossorio medio orientale in attiva speciazione. Dello Spalax si è parlato sovente all’U.Z.I. e forse vale la pena ricordare solo che è presente in Israele e in Egitto con quattro specie cromosomiche a 2n=52, 54, 58 e 60, la cui distribuzione è rappresentata in figura [Fig.].

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Come tutti i roditori fossori, utilizza gli incisivi superiori ed inferiori per scavare i sistemi di gallerie entro cui vive. Al contrario degli altri roditori, la mandibola possiede una forte componente tridimensionale per consentire l’inserzione di una potente muscolatura idonea per lo sforzo dello scavo. Abbiamo quindi analizzato la variazione della forma nelle tre dimensioni in alcune centinaia di individui appartenenti a diverse popolazioni di tutte le specie per verificare quanto la variazione dipendesse da fattori storici evolutivi o dall’adattamento a suoli duri o molli. Sulla parte destra della figura si può notare la conformazione della mandibola vista di lato. I risultati [Fig.] sono mostrati in questa figura: sulla sinistra è mostrato il grafico con le medie delle popolazioni dei primi due relative warps, o componenti principali della componente non uniforme e localizzata.

È stato però impossibile mostrare i cambiamenti di configurazione sotto forma di griglie tridimensionali; gli algoritmi sono ancora troppo pesanti e richiedono una grande potenza di calcolo e grandi possibilità grafiche da parte dell’elaboratore. Ci siamo limitati così a rappresentare le modificazioni di configurazione sotto forma di vettori. La figura in basso mostra i cambiamenti di configurazione relativi al primo asse del grafico e la direzione dei vettori è relativa alle popolazioni sulla sinistra del grafico, in questo caso la popolazione isolata di SedeBoquer e la specie a 54 cromosomi, mentre la figura in alto mostra il cambiamento progressivo relativo al secondo asse. È evidente che le modificazioni di configurazione coinvolgono prevalentemente il processo condilare e coronoide e il tubercolo masseterico.

Quali possono essere le cause di queste modificazioni? In figura è rappresentato, sulla sinistra, il diagramma di relazioni fenetiche tra le specie. Vi è una certa consistenza tra i grappoli e il numero cromosomico, a suggerire che vi sia molto di filogenetico in questo ordinamento. Tuttavia, i cambiamenti di configurazione sono stati messi in relazione con una serie di descrittori ambientali e geografici che determinano la durezza della granulometria del terreno che, di conseguenza, richiede uno sforzo diversificato nello scavo. Il fatto che si sia trovata una relazione significativa indica come anche fattori adattativi debbano essere chiamati in causa per spiegare le diversità di conformazione.

L’unico tentativo per realizzare nelle tre dimensioni trasformazioni di configurazione sotto forma di griglie è quello di John Little e Kanti Mardia, pubblicato nel corrente anno.

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Vi sono notevoli problemi di calcolo coinvolti in questa applicazione. Non si tratta di operare un semplice morphing di superfici tra l’individuo normale, quello a mento allungato e quello prognatico e a fronte sfuggente. Le trasformazioni tridimensionali qui illustrate sono il frutto di interpolazioni iperdimensionali. Sta di fatto che la tecnica è stata sviluppata e, a questo punto, sono necessarie macchine a velocità di calcolo e grafica particolarmente elevata per applicazioni che vedano coinvolti un certo numero di individui.

Mi auguro di essere riuscito ad illustrare, tramite questa rassegna, come si sia formata la nuova sintesi morfometrica e quale sia il formalismo procedurale che la contraddistingue. Sebbene le metodologie utilizzate dalla sintesi morfometrica (così come i termini) possano risultare ancora ostiche, ritengo che la comunità scientifica abbia finalmente a disposizione il linguaggio idoneo a rappresentare, in modo oggettivo e ripetibile, i cambiamenti di forma tra organismo e organismo. Come per tutte le nuove metodologie, è necessario che trascorra del tempo perché si possano diffondere tra la comunità scientifica e venire utilizzate.