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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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1 Premessa

Questo testo contiene le riflessioni sull’Apocalisse tenute da fratel Luca, priore della Comunità benedettina di Dumenza, in occasione della settimana di esercizi spirituali serali: In ascolto di ciò che lo Spirito dice alle sette chiese dell’Apocalisse (Ap 1-3), or-ganizzata dal Decanato di Besozzo in occasione dell’avvento del 2011 cui è stata ag-giunta la conversazione da lui tenuta nel Convento di Dumenza il 12 maggio 2012 come introduzione a una serie di tre incontri scelti dalla comunità per proporre una riflessione sulla speranza, un tema urgente in tempi di crisi, non solo economica, ma più ampiamente sociale, culturale, antropologica.

Epoca di passioni tristi, com’è stata definita. Crisi non necessariamente da intendersi in senso negativo, ma come tempo di discernimento, tra un’epoca che sta conclu-dendo il suo ciclo e una nuova epoca che sta nascendo, ma di cui stentiamo a intra-vedere una fisionomia più precisa.

Perché l’Apocalisse? Nel depliant di presentazione di questi incontri abbiamo citato un’espressione ancora molto attuale, del cardinale Godfried Danneels, già arcive-scovo di Bruxelles, che in una lettera pastorale scritta alla sua diocesi nel 1995 defi-niva l’Apocalisse come il vademecum ideale per l’epoca depressa in cui stiamo vi-vendo1. Nel medesimo depliant abbiamo anche riportato un’affermazione del gran-de regista russo Andrei Tarkovskij, secondo il quale:

«l’Apocalisse è forse la più grande creazione poetica che sia mai esistita sulla terra. Essa è, in ultima analisi, un racconto del nostro destino. Ma sa-rebbe sbagliato pensare che l’Apocalisse contenga soltanto l’idea della pu-nizione. Forse la cosa più importante in essa contenuta è la speranza».

Queste due citazioni mi pare delineino bene quale dovrebbe essere il mio compito:

offrire alcuni criteri di lettura di questo libro che ci aiutino a riconoscere in esso una profezia di speranza; e fra breve preciserò meglio in che senso utilizzo questo termi-ne profezia.

Direi più precisamente che il compito, o il mio desiderio, è duplice: da una parte mo-strare in che modo e a quali condizioni possiamo leggere l’Apocalisse come profezia di speranza; dall’altra fare attenzione a come l’Apocalisse ci possa aiutare a leggere la storia in cui viviamo come tempo di speranza.

Un’ultima premessa. In una risposta alle lettere che riceve tramite il Corriere della Sera, lo scorso anno il Card. Martini affermava, a proposito di questo testo:

«Tra i libri della Bibbia quello dell'Apocalisse (che significa semplicemente rivelazione) è scritto prevalentemente con il genere apocalittico che si tro-va anche in altri libri dell'Antico Testamento e chiede al lettore una notevo-

1 G. DANNEELS, Sperare. La società depressa, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2006, p. 58.

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le preparazione sul significato dei simboli utilizzati dall'Autore. Anche io trovo questo scritto di difficile interpretazione e per questo raramente, in passato, mi sono avventurato in commenti» (Corriere della Sera del 26 giugno 2011).

Queste parole del Card. Martini ci ricordano dunque che il compito al quale ci accin-giamo è tutt’altro che facile, anche perché sarebbe necessario fare una lettura pun-tuale e integrale del libro. Nello spazio di un unico incontro non abbiamo invece al-tra possibilità che suggerire alcuni criteri di lettura, con l’auspicio che possano invo-gliare e favorire una più ampia lettura personale.

2 Un libro profetico

Intitoliamo questo libro Apocalisse, dimenticando spesso che in greco questo termi-ne non significa altro che rivelazione. Questo è il primo vocabolo con cui, al v. 1, si apre il libro:

Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve.

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Dunque, si tratta di una rivelazione di Gesù Cristo. Quest’affermazione suona già con un duplice significato. Innanzitutto dice che Gesù Cristo si presenta come l’autore di questa rivelazione, o meglio ne è il suo mediatore. L’autore infatti è Dio stesso, il Padre; è lui che la consegna al Figlio e nostro Signore Gesù Cristo - «al quale Dio la consegnò», dice il testo, «per mostrare ai suoi servi» -; vale a dire, Dio dona la rivela-zione al Figlio perché ce la faccia conoscere, attraverso i suoi servi, che sono in pri-mis i profeti. Gesù è il mediatore unico della rivelazione del Padre.

L’espressione rivelazione di Gesù Cristo, sta tuttavia a significare anche una seconda cosa: Gesù non ne è soltanto il mediatore, ma anche il contenuto, l’oggetto fonda-mentale di questa rivelazione. Si tratta cioè di una rivelazione che ci parla di Gesù Cristo, che ci fa meglio conoscere il suo mistero, e dunque anche il mistero del Padre che in lui si manifesta. Come ogni altro libro della Bibbia, anche l’Apocalisse è scritta per farci conoscere il mistero di Dio, non altro. Tuttavia, subito dopo, sempre in que-sto primo versetto, si specifica con quale prospettiva particolare l’Apocalisse ci parla del mistero di Cristo e ce lo rivela. Aggiunge infatti:

per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve.

Le cose che dovranno accadere tra breve: questa espressione indica né più né meno la nostra storia; ciò che deve accadere è la storia dell’uomo, in generale, ma anche quella storia particolare che noi oggi viviamo, e che l’uomo di ogni tempo ha vissuto, vive, vivrà.

Anche se non va dimenticato che il verbo dovere, che qui risuona, è un verbo fon-damentale della teologia della storia non soltanto dell’Apocalisse, ma di tutto il Nuovo Testamento e allude al piano di Dio che si dispiega nella storia.

Ciò che deve accadere è la nostra storia, ma interpretata e compresa nel suo signifi-cato più profondo che si rivela alla luce del progetto di salvezza che Dio compie in essa. Allora, il modo con cui l’Apocalisse vuole rivelarci il mistero di Gesù Cristo si co-lora di questa prospettiva peculiare: ci parla di Gesù Cristo, ma dal di dentro della nostra storia, a partire da essa.

È quindi un modo diverso da come, ad esempio, gli evangeli ci parlano dello stesso Gesù Cristo. Essi fissano e tramandano la memoria della storia di Gesù (come ha vis-suto, ciò che ha detto e fatto, come è morto e come è risorto), perché possa illumi-nare e dare significato anche alla nostra storia personale.

L’Apocalisse capovolge e integra questa prospettiva, in quanto ci parla della nostra storia, ma cogliendo in essa la presenza del Signore Gesù come di colui che sempre viene a rischiararne il senso e a riscattarne il significato da tutto ciò che appare as-surdo e insensato.

Il Gesù di cui ci parla l’Apocalisse non è dunque il Gesù della carne e della sangue, di quella storia accaduta più di duemila anni fa, ma è il Gesù vivente e continuamente veniente in questa storia che viviamo per svelarcene il mistero. Per questo motivo

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l’Apocalisse è eminentemente un libro profetico. Infatti, quando parla di se stessa, si definisce come profezia. Questo accade subito, al v. 3:

Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia.

L’Apocalisse è dunque una profezia. Attenzione però: profezia, nel vocabolario bibli-co, non sta a significare la capacità di indovinare il futuro, o di immaginare come ac-cadrà la fine del mondo, se e quando ci sarà. Il futuro lo indovinano i fattucchieri, gli astrologi, gli indovini, non i profeti. O meglio, pretendono di farlo senza riuscirci.

I profeti biblici non guardano anzitutto al futuro, ma al presente. Leggono il presen-te, ma alla luce della parola di Dio, alla luce cioè di quel compimento futuro che la parola di Dio promette e realizza. L’Apocalisse è una profezia perché, come ha scrit-to Karl Rahner:

«più che come un oroscopo sul destino della storia umana, si presenta co-me una lettura del presente in funzione del futuro»

Io direi anche: una lettura del presente, ma dal punto di vista del futuro, non un fu-turo immaginato, o sognato, o progettato dall’uomo, ma garantito dalla promessa del Dio fedele, che non viene mai meno alla parola data.

L’Apocalisse un libro profetico perché ci fa fissare lo sguardo su Gesù Cristo come l’unico in grado di dare significato, e perciò speranza, a tanta storia insensata che non solo abbiamo vissuto o vivremo, ma stiamo oggi già vivendo.

2.1 Il linguaggio simbolico

Nell’orizzonte di questa lettura profetica del presente possiamo anche comprendere il significato del ricco simbolismo presente in questo libro, che ricorre a una grande quantità d’immagini simboliche. Non è sempre facile per noi lettori decodificarle, anche se, una volta individuate alcune chiavi ermeneutiche, la maggior parte dei simboli diventano trasparenti all’interpretazione. Tuttavia, al di là della comprensio-ne puntuale del significato di ciascun simbolo, ciò che più importa è capire bene il ruolo che il linguaggio simbolico gioca nell’Apocalisse. Non è solamente un elemento accessorio, quasi che l’autore abbia usato questo particolare linguaggio nello stesso modo in cui avrebbe potuto usarne altri. Tutt’altro: il linguaggio simbolico è costitu-tivo della visione teologica dell’Apocalisse e del suo modo peculiare di leggere la sto-ria. Esso assume più di un significato nell’economia del libro. Io mi limito a ricordare l’aspetto più importante per la riflessione che stiamo facendo.

L’autore dell’Apocalisse legge, alla luce della parola di Dio e della rivelazione di Gesù Cristo, il presente di sofferenza, di persecuzione, di oppressione che la sua comunità sta sperimentando, ma lo fa ricorrendo non a un linguaggio di tipo narrativo o de-scrittivo, ma appunto simbolico.

Attraverso la simbolizzazione, gli avvenimenti, i personaggi, le situazioni vengono sottratti alla loro materialità storica, quasi scontornati da un tempo e da una situa-zione contingente, per diventare criteri di interpretazione - schemi di intelligibilità

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teologica’, li definisce Ugo Vanni - validi per ogni epoca storica. In questo modo il linguaggio simbolico consente all’autore non soltanto di descrivere un evento che egli o la sua comunità stanno vivendo, ma di offrire alle generazioni successive un criterio interpretativo valido anche per loro. L’immagine simbolica non chiude l’interpretazione nel passato, ma la lascia aperta, consentendo una continua rilettu-ra e attualizzazione.

Ad esempio, l’Apocalisse parla dell’oppressore politico, del persecutore, dell’idolo, ricorrendo al simbolo della bestia. Dietro questa immagine c’è certamente una figu-ra storica, Nerone o forse Domiziano, ma attraverso il simbolo ogni generazione può riconoscere dietro il simbolo non più Nerone, ma la struttura idolatrica e oppressiva che caratterizza l’epoca in cui vive.

Questo gioco simbolico costringe il lettore a una continua opera di decodificazione e attualizzazione. Leggendo l’Apocalisse sono infatti sollecitato non solo a interrogar-mi su quali avvenimenti o personaggi si nascondano dietro i simboli, ma che cosa oggi rappresentano per me, nell’attuale contingenza storica che vivo.

La Bestia è caratterizzato da una cifra: 666. E l’autore precisa:

«Chi ha intelligenza calcoli il numero della Bestia: esso rappresenta un nome di uomo» (13, 18).

Tutti i commentatori si sono affannati e sbizzarriti a calcolare questo numero e a in-dividuare un nome e nei commentari è possibile trovare le ipotesi più varie e dispa-

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rate. Un esegeta ha anche affermato che occorre prudenza nel non sforzarsi troppo a ricercare il significato di questa cifra misteriosa, perché prima o poi si finisce con il riconoscervi il proprio nome. Non è che una battuta, ma che nasconde qualcosa di molto vero. È probabile che 666 alluda a Cesare Nerone (il valore numerico delle let-tere ebraiche corrispondenti a quelle greche può condurre a questo significato).

Ma il problema vero del lettore dell’Apocalisse non è indovinare chi si nasconda per Giovanni dietro il 666, se Nerone o altri, ma chi sia oggi per noi. Qual è per noi oggi la bestia dell’idolatria e dell’oppressione ideologica e politica? Per Giovanni era Ne-rone e la struttura di potere che rappresentava, per noi oggi chi è?

Ed è anche in parte vero, ritornando alla battuta del nostro amico esegeta, che die-tro questa cifra simbolica c’è anche il nome di ciascuno di noi, perché nella logica evangelica non è possibile giudicare la storia senza nel contempo giudicare se stessi. Un autentico criterio interpretativo delle vicende umane è il proprio personale cammino di conversione, giacché non si può giudicare la colpa del fratello senza pu-rificare il proprio occhio da quella trave che impedisce la limpidezza dello sguardo.

Dunque, il linguaggio simbolico ha anche questa funzione: obbliga il lettore a leggere l’Apocalisse leggendo contemporaneamente la propria storia. Il libro illumina il pre-sente e nello stesso tempo il presente, interpretato alla luce dei criteri sapienziali of-ferti dal testo, conferisce un nuovo significato al libro, giacché la Bestia, o Babilonia, o il Drago, ogni altro simbolo assumono, di generazione in generazione, volti e nomi diversi.

2.2 L’Apocalisse, libro liturgico

L’Apocalisse è anche un libro liturgico. È sorprendente notare che il suo Prologo e il suo Epilogo, cioè i due testi con cui il libro si apre e si chiude, si presentino come un vero e proprio dialogo liturgico. Più che letti personalmente, o da un solo lettore, questi testi andrebbero proclamati a più voci.

Infatti, all’inizio, dopo i prime tre versetti che costituiscono un prologo all’intera opera, nei versetti 4-8 incontriamo un dialogo, tra un lettore che proclama e l’assemblea che ascolta e risponde. Si tratta chiaramente di un dialogo liturgico, in cui possiamo facilmente riconoscere alcune espressioni tipiche di questo genere re-torico:

• nei vv. 4 e 5a incontriamo il saluto iniziale;

• l’assemblea risponde con un’acclamazione di lode e di gratitudine, nei vv. 5b-6;

• quindi il lettore riprende la parola annunciando la venuta di Cristo nella gloria del crocifisso: v. 7;

• nuovamente l’assemblea risponde con l’adesione di fede: «sì, amen!»;

• infine è il lettore a concludere il dialogo: ora è Dio stesso che attraverso il lettore interviene e parla all’assemblea, al v. 8.

Anche alla fine del libro incontriamo un altro dialogo, questa volta più articolato,

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giacché in esso intervengono voci diverse: quella dell’angelo, che media tra Dio e gli uomini; quella dell’autore del libro, Giovanni; quella dell’assemblea, che ascolta e ri-sponde; infine quella di Cristo stesso, il quale assicura la sua venuta.

Incontriamo dunque un dialogo liturgico all’inizio e alla fine dell’Apocalisse. Ciò atte-sta che questo libro è nato in un contesto liturgico e di preghiera. Non solo: è anche, e direi soprattutto, un libro destinato a un’assemblea liturgica. Più che essere un’opera da leggere e meditare in modo personale, quasi privato, l’Apocalisse è uno scritto da proclamare e ascoltare comunitariamente, riuniti in assemblea liturgica, in un contesto di preghiera, di ruminazione della parola di Dio, di celebrazione delle sue opere.

È possibile fare un’ulteriore osservazione a proposito di questo dialogo. La lettura globale dell’Apocalisse consente infatti di precisare di quale liturgia si tratti. L’autore colloca la sua visione, che costituisce il contenuto del suo scritto, in un giorno parti-colare che chiama giorno del Signore. Leggiamo infatti in 1,10-11:

10Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: 11«Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Èfeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sar-di, a Filadèlfia e a Laodicèa.

Giovanni, dunque, si premura di precisarci il luogo - Patmos - e il tempo - il giorno del Signore - in cui avviene il suo incontro straordinario con il Risorto. La sua espe-rienza, dunque, non si colloca fuori della storia, ma dentro di essa: ha un tempo e un luogo come ogni altro evento della nostra vita. Il Dio dell’Apocalisse, lo abbiamo già iniziato a intuire, è il Dio dell’Avvento, un Dio che continuamente viene a visitare la nostra vita. È qui, nel tempo e nello spazio che giorno dopo giorno sperimentiamo, che dobbiamo riconoscerlo e incontrarlo. Diciamo ancora qualcosa di più preciso su queste coordinate storiche e geografiche dell’incontro.

Siamo a Patmos, un nome che indica non solo una località geografica, ma una situa-zione storica ed esistenziale:

«mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della te-stimonianza di Gesù» (v. 9b).

Con queste espressioni l’autore intende quindi parlare di un soggiorno obbligato nell’isola, a motivo probabilmente di una qualche persecuzione. Quanto precede sembra confermare questa lettura:

«Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù» (v. 9a).

L’ambiente storico in cui il libro si colloca è quello di una comunità già perseguitata. Se l’Apocalisse è un libro di speranza, teso a svelare il senso profondo della storia, lo è innanzitutto per una comunità provata dalla tribolazione e dalla sofferenza a moti-vo della fede nel Signore Gesù. La persecuzione consente di divenire partecipi del

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regno e della perseveranza in Gesù, perché associa i credenti alla sua testimonianza fedele: partecipando alla sua tribolazione si giunge a condividere la sua vittoria pa-squale che trasfigura la storia.

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Nel giorno del Signore: l’esperienza straordinaria si colloca in questo giorno della settimana, che qui, per la prima e unica volta nel NT, riceve il suo nome cristiano di dies dominicus (in latino, da cui il nostro ‘domenica’). È il giorno in cui si fa memoria della Pasqua del Signore. Se il dialogo iniziale evocava un contesto liturgico, questa ulteriore specificazione sembra alludere a una comunità che celebra la Pasqua del Signore nell’Eucaristia domenicale.

È allora per noi significativo considerare insieme questi due termini: Giovanni si tro-va a Patmos, in esilio, ma nel giorno del Signore. Il tempo in cui Giovanni vive è quel-lo della tribolazione, della prova nella fede, della persecuzione, ma già illuminati dal giorno del Signore, cioè dalla sua Pasqua.

In questo luogo e in questo giorno Giovanni ha una visione: «preso dallo Spirito», di-ce il v. 10. Possiamo anche intendere: «venni a trovarmi nello Spirito». Tutto ciò che il profeta vede e scrive è dono dello Spirito, che diventa come l’ambito in cui si muo-ve, o anche, per usare un’altra immagine, il respiro della sua vita. Essere nello Spirito significa per Giovanni leggere la storia collocandosi dal punto di vista di Dio, secon-do i suoi criteri e la sua logica, che rimane una logica pasquale.

L’espressione «preso dallo Spirito» non intende quindi indicare un’esperienza straordinaria che l’autore vive e che solo pochi altri possono sperimentare nella loro vita. Ci viene raccontato, al contrario, qualcosa di più ordinario, cui anche la nostra vita deve sentirsi chiamata: leggere la storia, ma nello Spirito di Dio, con i suoi criteri di giudizio e di discernimento. Nello Spirito lo sguardo di Dio e il suo pensiero ven-gono ad abitare e a trasformare il nostro stesso sguardo e pensiero.

Ci vengono donati occhi nuovi, occhi appunto spirituali per giudicare il mondo così come lo giudica Dio stesso. Quella di Giovanni dovrebbe diventare l’esperienza che anche noi possiamo fare nel giorno del Signore: ogni volta che la domenica ci radu-niamo per ascoltare la parola di Dio e condividere insieme il pane, la nostra vita do-vrebbe aprirsi al dono dello Spirito e acquisire un modo diverso di stare nella storia.

La Parola che ascoltiamo dovrebbe creare in noi una mentalità nuova, secondo il pensiero di Dio e non secondo logiche mondane, per giudicare gli avvenimenti; an-che il pane che spezziamo e al quale comunichiamo dovrebbe aprire la nostra vita a vivere nello stesso atteggiamento di donazione in cui è vissuto Gesù. Allora, anche se non vivremo chissà quali esperienze mistiche, anche la nostra vita viene rapita nello Spirito, diviene cioè una vita abitata e trasformata dallo Spirito Santo di Dio.

2.3 La struttura dell’Apocalisse

Per capire bene in che modo l’Apocalisse ci suggerisce di leggere l’oggi di Dio nella nostra storia, è opportuno fare un’ulteriore premessa. Non abbiamo ora modo di parlare dell’intera Apocalisse, tuttavia può essere utile accennare a un suo elemento strutturale. Come gran parte degli studi esegetici affermano, il libro può essere sud-diviso in due grandi parti.

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a) Una prima parte, molto breve, comprende i primi tre capitoli; si estende più esattamente, dopo il dialogo introduttivo, da 1,9 fino a 3,22. Questa prima se-zione è costituita dalle lettere alle sette chiese dell’Asia minore, che, come lo stesso numero sette suggerisce, rappresentano la totalità della chiesa. In tutte queste lettere è centrale il messaggio penitenziale, con la parola di Cristo che sollecita le diverse comunità a lasciarsi purificare e rinnovare, in un itinerario di conversione.

b) Nella seconda parte, che dal capitolo 4 va fino all’epilogo, le chiese, purificate dalla parola di Cristo che hanno accolto, iniziano a discernere i segni dei tempi, per capire il senso della storia che stanno vivendo e riconoscere, pur nelle innu-merevoli difficoltà e tribolazioni che sopportano, la presenza di Cristo risorto, il quale, nella potenza della sua risurrezione, assicura loro la vittoria su ogni forma di male.

Ebbene, se queste sono le due parti in cui l’Apocalisse può essere suddivisa, è inte-ressante notare che esattamente all’inizio di ciascuna di esse, in 1,10 e in 4,2, Gio-vanni ricorda di essersi trovato nello Spirito. Giunti a questo punto, una domanda af-fiora spontanea: cosa rivela questa voce dello Spirito che parla attraverso Giovanni? Qual è questa testimonianza dello Spirito che la comunità cristiana deve saper ascol-tare e accogliere? Per rispondere dobbiamo fare attenzione a un altro elemento let-terario significativo, che scandisce l’intero libro.

Al v. 1,1 si diceva:

Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve.

Questa espressione è presente in tutte le grandi svolte dell’Apocalisse; ritorna infatti anche all’inizio di ciascuna delle due parti in cui abbiamo suddiviso il libro, precisa-mente in 1,19 per la prima parte e in 4,1 per la seconda, per poi ritornare un’ultima volta alla conclusione del libro, nel dialogo liturgico dell’epilogo.

Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accade-re in seguito. (1, 19).

Poi vidi: ecco, una porta era aperta nel cielo. La voce, che prima avevo udito parlarmi come una tromba, diceva: «Sali quassù, ti mostrerò le cose che devo-no accadere in seguito (4,1).

E mi disse: «Queste parole sono certe e vere. Il Signore, il Dio che ispira i profe-ti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi le cose che devono ac-cadere tra breve. Ecco, io vengo presto (22,6-7).

Ricapitolando, quattro volte, sia pure con varianti sulle quali ora non abbiamo tem-po di soffermarci, ricorre la stessa espressione, e sempre in punti cruciali: nel prolo-go, all’inizio della prima e della seconda parte, nell’epilogo.

Appare evidente che l’intera rivelazione dell’Apocalisse non ha altro intento che

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quello di manifestare ciò che deve accadere tra breve. Giunti ora alla fine del libro, ci viene rivelato in cosa consista l’evento che dobbiamo attendere. Leggiamo insieme il v. 6 e il successivo v. 7:

…il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere tra breve. Ecco, io vengo presto!

Questo è ciò che deve accadere. Questo, e nient’altro, occorre attendere e desidera-re che accada presto: la venuta del Signore; che egli rompa ogni indugio, attui la sua promessa e finalmente venga!

Questo è il compimento della storia: il Signore viene!

Anche se siamo purtroppo abituati ad ascoltare tante letture catastrofiche e apoca-littiche, l’Apocalisse non vuole descrivere la fine del mondo, ma affermare con forza, anche contro le apparenze, che la storia ha un compimento, e questo compimento ha il volto vittorioso, ancorché si tratti della vittoria della croce, del Signore che vie-ne.

Se di fronte a letture catastrofiche e apocalittiche sperimentiamo uno spontaneo smarrimento, dinanzi alla promessa di questa venuta non possiamo, al contrario, che provare il desiderio struggente che questo accada presto. È il desiderio che nell’epilogo viene espresso dalla voce dello Spirito e dalla voce della sposa che in-sieme invocano «Vieni, Signore Gesù!», e con gioia e gratitudine si sentono rispon-dere «Sì, verrò presto».

Possiamo allora concludere che l’Apocalisse, più che essere un libro che orienta il nostro sguardo verso la fine della storia, o del mondo, è una rivelazione che annun-cia non quale sia la fine, ma qual è il fine verso cui tende la storia umana, la mèta in cui ogni realtà personale, creaturale, cosmica, troverà il suo compimento e il suo si-gnificato. Il fine della storia è il Signore Gesù che viene. Viene lui verso di noi.

In altri termini, questa mèta non può essere compresa come un semplice traguardo che la storia è in grado di raggiungere in virtù di un suo intrinseco dinamismo, ma è un compimento donato da colui che viene. La speranza dell’Apocalisse poggia pro-prio su questo fondamento: anche quando la storia umana sembra incapace di darsi il proprio compimento felice, o addirittura pare al contrario votarsi verso una tragica autodistruzione, il Signore Gesù viene lui come compimento, al di là di ogni umana possibilità, anche se rimane pur sempre un compimento dentro, non al di fuori della storia. La speranza annunciata dall’Apocalisse afferma che c’è ancora una storia pos-sibile, perfino quando pare che per l’uomo non ci sia più storia. C’è ancora una storia possibile, perché il compimento è garantito dal Signore che viene.

2.4 Chi può sciogliere i sigilli

Occorre a questo punto aggiungere che colui che viene è anche colui che già da ora è presente in ciò che viviamo, come l’unico mistero capace di aprire il significato del-la storia e di riscattarlo da ogni caduta nel vuoto e nell’assurdo, nella violenza e nel

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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male. Ho affermato prima che l’Apocalisse è un libro profetico, che legge e interpre-ta il presente; possiamo ora aggiungere che il modo con cui lo fa consiste precisa-mente nel leggerlo alla luce del suo fine, e quindi del suo compimento.

Ho prima accennato alle due parti in cui l’Apocalisse può essere suddivisa. Dopo la prima parte, in cui la Chiesa deve lasciarsi sot-toporre al giudizio purificatore della parola del Risorto che la rinnova e la converte, nella seconda parte, che inizia con il capitolo quar-to, la Chiesa diviene capace di interpretare la propria storia alla luce del mistero di Dio.

Questa seconda parte inizia con il capitolo quarto, quando una porta si apre in cielo e una voce invita Giovanni a salire; viene così condotto in una liturgia celeste in cui tutta la creazione, tutta la natura, tutta la storia sono

radunate al cospetto del trono di Dio.

Subito dopo, al capitolo quinto, incontriamo la suggestiva visione del ‘libro sigillato’. Questo libro è a forma di rotolo ed è sorprendentemente scritto sia sul lato interno sia su quello esterno. Nell’antichità i rotoli venivano scritti solo sul lato interno. Que-sto è scritto anche sul lato esterno, per simboleggiare una comunicazione piena, traboccante, definitiva da parte di Dio. È la rivelazione definitiva del significato della storia umana. Inoltre è sigillato: il sigillo, nell’antichità, non solo chiudeva il libro per custodirne il segreto, ma certificava chi ne fosse l’autore o a chi appartenesse. Que-sto rotolo ha i sette sigilli di Dio: gli appartiene, è totalmente ‘suo’ (ricordiamo che il ‘sette’ è cifra simbolica che allude a completezza, interezza). Inoltre, se è sigillato, totalmente sigillato, nessuno può leggerlo. Afferma il testo dell’Apocalisse:

2Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?». 3Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra, era in grado di aprire il libro e di guardarlo. 4Io piangevo molto, per-ché non fu trovato nessuno degno di aprire il libro e di guardarlo (5,2-4).

Questo è il pianto, il dramma, la disperazione dell’uomo, che cerca un senso alla propria storia, ma non lo trova. C’è una rivelazione divina, piena e traboccante, sim-boleggiata dal rotolo, ma l’uomo rimane incapace di leggerla e di comprenderla. Il senso della storia rimane chiuso, sotto sigillo, per l’umana esperienza. Ma ecco im-provvisamente la sorpresa: nell’orizzonte di questo disperante dramma irrompe la speranza. Continua infatti il testo:

Uno degli anziani mi disse: «Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli» (v.5).

Ecco chi è in grado di aprire il senso della storia: il leone di Giuda e il Germoglio di

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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Davide, cioè il forte, come un leone, e insieme il debole, come un germoglio.

L’Agnello ritto in piedi, è dunque vittorioso, ma nello stesso tempo sgozzato, immo-lato nella morte. Dietro questi simboli non possiamo che riconoscere il Cristo, ma nel suo mistero pasquale di morte e di risurrezione. Il Cristo immolato, e dunque crocifisso e morto, ma nello stesso tempo il Cristo ritto in piedi, e dunque vittorioso e risorto. Solo lui, solo la sua croce, la sua Pasqua, possono rischiarare l’assurdità della storia, il non senso disperante della sua violenza e della sua oppressione.

È significativo questo breve commento di don Bruno Maggioni: La visione afferma che Gesù è al centro della storia. La rivelazione che oc-corre per leggere la storia e prevederne il corso è la vicenda storica che egli ha vissuto. È osservando la sua vicenda di morte e di risurrezione che puoi comprendere come vanno le cose in profondità. Non occorre dunque una rivelazione nuova, ma una memoria. Se ricordi la vicenda di Cristo, com-prendi che il disegno di Dio è sempre combattuto, che addirittura c’è un tempo in cui le forze del male sembrano prevalere (la Croce), ma compren-di anche che l’ultima parola è la risurrezione. La via dell’amore, della non violenza coraggiosa e del martirio, è crocifissa, ma non vinta. Di qui una grande consolazione. Ma prima ancora un criterio di valutazione. Contra-riamente alle apparenze sono i martiri che costruiscono la vera storia, non i potenti e gli oppressori. Per un cristiano questo è un irriducibile criterio di lettura. Ma se è così, dovremo riscrivere tutti i libri di storia. È anche un avvertimento: se vuoi fare storia, poniti alla sequela di Cristo. Mettiti dalla sua parte, non altrove2.

3 Il Risorto scrive alle Chiese

In queste pagine sono lette alcune delle sette lettere mandate alle sette Chiese indi-cate nel primo capitolo il cui numero simbolico indica totalità, pienezza e quindi rappresenta la totalità della Chiesa di ogni tempo e quindi le lettere sono rivolte an-che al nostro essere Chiesa qui e oggi.

Queste riflessioni sono esercizi spirituali poiché il protagonista di questa esperienza è lo Spirito Santo, non quindi chi parla o chi ascolta, non il nostro spirito, ma lo Spiri-to stesso di Dio che desidera esercitare il nostro spirito per renderlo sempre più aperto e disponibile a una relazione autentica con Dio, vivere un’esperienza di eser-cizi spirituali significa questo, lasciare che lo Spirito Santo eserciti la nostra relazione con Dio e la renda sempre più vera, più profonda, sapendo che questa relazione è chiamata a trasformare e configurare tutte le altre relazioni che intessano la nostra vita, noi stessi, gli altri, le cose, i beni della terra e gli eventi della storia.

Questo è in perfetta sintonia con quello che l’Apocalisse ci ricorda, infatti ognuna

2 B. MAGGIONI, L’Apocalisse. Per una lettura profetica del tempo presente, Cittadella Editrice, Assisi 1990, pp. 57-58.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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delle sette lettere del Risorto, che Giovanni vede al centro del-la visione introduttiva, scrive alle sette Chiese ognuna di queste lettere si chiude con un’espressione simile:

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

La Rivelazione di Gesù Cristo ha un duplice significato al quale prestare attenzione:

� Gesù Cristo, il Risorto si pre-senta come l’autore di que-sta rivelazione o meglio come il mediatore perché l’autore della rivelazione è Dio Padre che consegna questa rivelazione al Figlio perché a sua volta la consegni a noi attraverso i suoi servi che sono i profeti.

� Ma questa espressione ha anche un altro significato fondamentale ossia che il contenuto è Gesù Cristo, ossia di una rivelazione che ci parla di Gesù Cristo fa-cendoci conoscere meglio il suo mistero e quello del Dio Padre che in lui si mani-festa.

Quindi come ogni altro libro della Bibbia, l’Apocalisse è stata scritta per farci cono-scere il mistero di Dio e non altro.

Tuttavia in questo primo versetto ci dice anche con quale prospettiva particolare ci intende rivelare il mistero di Gesù Cristo che fa rendere noto ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve e non indica un futuro imprecisato ne tanto meno una ipotetica fine del mondo, piuttosto designa nient’altro che la nostra storia che noi viviamo e la storia di ogni uomo e donna vissuti prima di noi e che vivrà dopo di noi.

C’è anche un verbo importante. L’autore dice le cose che dovranno accadere tra breve dove il verbo dovere assume un valore fondamentale nella teologia della sto-ria non solo dell’Apocalisse ma di tutta la bibbia e sopratutto del Nuove Testamento, è un verbo che allude sempre al piano di Dio, al progetto di salvezza di Dio che pian piano pazientemente Dio intesse nella storia umana, quindi ciò che deve accadere è la nostra storia ma interpretata e compresa nel suo significato più profondo che si manifesta alla luce del progetto di salvezza che Dio compie in questa storia nono-stante tutti i drammi, le fatiche, le sofferenze e il dolore di questa storia, c’è un pro-getto e una promessa di salvezza che si realizza in questa storia. L’Apocalisse. inten-de rivelarci questo

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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Il modo in cui l’Apocalisse vuole rivelarci il mistero di Gesù Cristo si colora di questa prospettiva peculiare, ci parla di Gesù Cristo ma dal di dentro della nostra storia, a partire dalla storia che ciascuno di noi vive, sia la sua piccola storia personale e fami-liare che ciascuno di noi vive, sia la storia più ampia del mondo e degli uomini e quindi l’Apocalisse ci parla di Gesù Cristo in un modo un po’ diverso da come ce ne parlano ad esempio i vangeli, che fissano e tramandano la memoria della storia di Gesù, come ha vissuto, quello che ha detto, quello che ha fatto, come è morto, co-me è risorto, cioè ci parlano direttamente della storia di Gesù, perché possa illumi-nare il significato della nostra storia.

Potremmo dire che l’Apocalisse capovolge e integra questa prospettiva in quanto ci parla direttamente della nostra storia per aiutarci a cogliere in essa la presenza del Signore Risorto come colui che viene sempre a rischiarare il senso della nostra sto-ria, il significato di ciò che viviamo riscattandolo anche da tutto ciò che può apparirci assurdo, insensato.

Quindi il Gesù di cui ci parla l’Apocalisse non è il Gesù che è vissuto circa 2000 anni fa ma il Signore Risorto, vivente, presente, continuamente veniente nella storia che viviamo per illuminarla, darle senso, per riscattarla da tutto il non senso che speri-mentiamo.

Ed è per questo motivo che l’Apocalisse quando parla di sé si definisce come profe-zia come dice al versetto 3:

Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia

L’Apocalisse è una profezia di cui dobbiamo capire bene il senso che non è tanto il tentativo di indovinare o predire il futuro, roba da fattucchieri, cartomanti e indovi-ni, il profeta è colui che è capace di leggere e interpretare il presente, la storia che viviamo alla luce della promessa di Dio, alla luce del futuro di Dio, che è promesso ed è garantito dalla sua parola.

Si tratta quindi di leggere il nostro presente nella luce del futuro di Dio, quindi non tanto della fine della storia, ma del fine della storia e della nostra piena partecipa-zione alla Pasqua alla Resurrezione di Gesù, alla liberazione da tutto il male che Gesù attraverso la sua Pasqua ha operato.

L’Apocalisse ci fa fissare lo sguardo su Gesù Cristo, sul Signore Risorto, come unico in grado di dare significato e perciò speranza a tanta storia, che a volte ci pare così in-sensata, che non solo abbiamo vissuto e non solo vivremo ma stiamo vivendo nel nostro presente.

Quando lo Spirito parla alle Chiese, quando lo Spirito ci parla, ci dona anzitutto dei criteri per poter discernere la presenza del Risorto nella nostra vita, nella nostra sto-ria e in tal modo mostrarci che solamente lui che è già presente ma che nello stesso tempo è sempre colui che viene e che dobbiamo invocare: maranatha, vieni Signore

Gesù. Lui viene per dare significato a tante nostre esperienze che altrimenti ci par-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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rebbero assurde irrimediabilmente chiuse nella loro sfera di sofferenza, di smarri-mento, di dolore.

Leggere l’Apocalisse e ascoltare ciò che lo Spirito vuole dirci significa perciò fare l’esercizio di speranza che volgiamo fare in questi esercisti spirituali.

Questo libro ci ricorda infatti che la nostra vita quella del nostro mondo non è desti-nata ad una fine catastrofica ma ha un fine diverso quello di giungere alla piene co-munione con Signore Risorto colui che continuamente ci da vita-

3.1 La visione introduttiva: il capitolo 1

9 Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza di Gesù, mi trovavo nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. 10 Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di trom-ba, che diceva:

11 Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Efeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa.

12 mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d'oro 13 e in mezzo ai candelabri uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'o-ro. 14 I capelli del suo capo erano candidi, simili a lana candida, come neve. I suoi occhi erano come fiamma di fuoco, 15 i piedi avevano l'aspetto del bronzo splendente purificato nel crogiuolo. La sua voce era simile al frago-re di grandi acque. 16 Teneva nella sua destra sette stelle e dalla bocca usciva una spada affilata a doppio taglio e il suo volto era come il sole quando splende in tutta la sua forza. 17 Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo 18 e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sem-pre e ho le chiavi della morte degli inferi. 19 Scrivi dunque le cose che hai vi-sto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito. 20 Il senso na-scosto delle sette stelle che hai visto nella mia destra e dei sette candelabri d'oro, è questo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese e i sette candelabri sono le sette Chiese.

Bisogna anzitutto osservare le coordina geografiche e storiche in cui la visione si col-loca.

Giovanni si premura di dirci dove si trova: Patmos; e il giorno: nel giorno del Signore; quindi la sua esperienza non si colloca fuori del tempo, ma come ogni nostra espe-rienza ha un luogo e un tempo preciso in cui avviene.

Patmos indica non solo una località geografica ma soprattutto una situazione storica ed esistenziale. Scrive l’autore che si trovava in quest’isola a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù, e con questa espressione intende parlare di un

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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soggiorno obbligato nell’isola, a motivo probabilmente di una qualche persecuzione. Quindi l’ambiente storico in cui il libro si colloca è quello di una comunità cristiana già perseguitata. L’Apocalisse è un libro di speranza che teso a svelare il senso pro-fondo della storia ma lo è anzitutto per una comunità già provata dalla tribolazione, dalla sofferenza a motivo della propria fede nel Signore Gesù.

E poi aggiunge il giorno in cui tutto avviene, nel giorno del Signore, quindi nella Do-

menica. Questo è l’unico testo del Nuovo Testamento in cui questo giorno riceve già il suo nome cristiano, il giorno del Signore, mentre in tutti gli altri testi del nuovo te-stamento si parla del giorno con espressioni più tipiche della cultura biblica, giudai-ca: il primo giorno della settimana; il giorno dopo il sabato. Ossia il giorno in cui la comunità cristiana si riunisce per fare memoria e partecipare alla Pasqua di Gesù, spezzando il pane e celebrando l’Eucarestia.

Nei primi versetti c’è un piccolo dialogo liturgico, così come nel capitolo 22 che con-clude l’Apocalisse c’è un altro dialogo liturgico a significare che il contesto in cui l’Apocalisse nasce è un contesto liturgico. È Una comunità cristiana che sta cele-brando l’eucarestia nel giorno del Signore, come noi continuiamo a fare ogni Dome-nica.

Questo ha un significato importante, Giovanni si trova a Patmos in esilio per una persecuzione. Quindi il tempo in cui Giovanni vive è si quello della tribolazione, della prova delle fede, della persecuzione, ma è già un tempo illuminato dal giorno del Si-gnore, cioè dalla sua Pasqua, e questo è fondamentale per capire l’Apocalisse.

In questo luogo e in questo giorno Giovanni ha una visione e dice: e fui preso dallo Spirito; e più precisamente potremmo dire: mi trovai nello Spirito Santo, fui afferrato dallo Spirito Santo. Tutto ciò che lui vede tutto ciò che lui scrive è dono dello Spirito che diventa come l’ambito in cui si muove, il respiro della sua vita.

Ed essere dello Spirito Santo significa leggere la storia collocandosi dal punto di vista di Dio, secondo i suoi criteri, secondo la sua logica, una logica che rimane, una logica Pasquale. Qui credo che dobbiamo fare attenzione perché l’espressione fui preso dallo Spirito non vuole indicare un’esperienza straordinaria che Giovanni vive che solo pochi altri possono vivere o hanno vissuto: un’esperienza mistica fuori dell’ordinario e dalla norma. Io credo che Giovanni ci voglia parlare di un’esperienza molto più quotidiana, molto più ordinaria, che anche noi siamo chiamati a fare, cioè la capacità di leggere di interpretare la storia ma nello Spirito di Dio, cioè coi suoi cri-teri di giudizio e discernimento.

Nello Spirito lo sguardo di Dio e il suo pensiero vengono ad abitare a trasformare il nostro sguardo, il nostro pensiero, ci vengono dati occhi nuovi, occhi spirituali per giudicare la vita, la nostra vita, il mondo, la storia, come li giudica Dio stesso.

Credo che in questo modo Giovanni ci vuole ricordare che l’esperienza che lui vive dovrebbe diventare l’esperienza che noi comunità cristiana, noi battezzati viviamo

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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ogni volta che celebriamo l’eucarestia nel giorno del Signore nella memoria della Pa-squa di Gesù, cioè ogni volta noi la domenica ci raduniamo per ascoltare la parola di Dio e spezzare insieme il pane la nostra vita dovrebbe aprirsi al dono dello Spirito e acquisire un modo diverso di stare nelle situazione e nella storia.

Dobbiamo fare attenzione a questo verbo che Giovanni usa, fui preso dallo Spirito, ciò è passivo, può dire che tutto ciò che Giovanni vive non dipende da un suo sforzo, da un suo merito, da una sua conquista, è un dono gratuito di Dio, è Dio che afferra la sua vita e la porta a dimorare nello Spirito Santo.

Anche se Giovanni deve fare qualcosa, l’esperienza non è un frutto del suo impegno, è un dono gratuito che lui riceve da Dio, ma che richiede una sua risposta. In partico-lare la risposta che Giovanni deve dare è descritta nei versetti 10 e seguenti dove Giovanni vive un’esperienza in due fasi:

� la prima ascolta una voce che lo raggiunge dal dietro, alle spalle, sente qualcuno che gli parla alle spalle,

� e poi si deve voltare per vedere e contemplare di fronte faccia a faccia colui che gli parla e questo voltarsi è detto con insistenza due o tre volte in questi versetti e non è soltanto un voltarsi indietro fisico e corporeo è un voltarsi più profondo che indica una conversione è il voltarsi di chi si converte.

C’è un’esperienza gratuita, lo Spirito che ci afferra, ma noi siamo chiamati a rispon-dere, e la nostra risposta è la conversione, per poter contemplare il Signore non solo di spalle ma faccia a faccia. Che cosa vede Giovanni dopo che si è voltato? Ecco la sua descrizione:

Vidi sette candelabri d’oro e in mezzo ai candelabri c’era uno simile a un Figlio d’uomo.

Per sette candelabri non dobbiamo immaginare sette candelabri distinti ma dobbiamo immagi-narli come la menorah, tipico candelabro a set-te braccia della tradizione e liturgia ebraica. Questo candelabro a sette braccia che simboli-camente indica le sette Chiese dell’Asia minore alle quali poi l’Apocalisse si rivolge le sue lette-re.

Però per comprendere bene le immagini dob-biamo anche ricordare il significato simbolico che il candelabro ha nella tradizione biblica. Quando nel libro dell’Esodo Dio descrive a Mosè come deve realizzare il candelabro a sette brac-cia gli precisa che i suoi calici devono avere la forma del fiore di mandorlo, non deve essere

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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fatto min un modo qualsiasi. Dunque il candelabro deve imitare, evocare, deve sim-boleggiare l’albero del mandorlo, che nella bibbia è un albero importante perché è un simbolo di vigilanza, è un albero che veglia e attende perché è il primo albero che annuncia l’arrivo della primavera con la sua fioritura precoce.

In ebraico il termine con cui si definisce il mandorlo è molto simile a quello di colui che veglia, il sorvegliante. Il mandorlo è un simbolo di vigilanza, però attenzione non è anzitutto il simbolo dell’uomo che deve vegliare ma anzitutto simbolo di Dio che vegli su di noi, il primo vigilante, il primo a vigilare è Dio stesso.

Qui per capire dobbiamo ricordare un altro testo del primo testamento, la visione che ha Geremia, all’inizio del suo libro. Dio domanda a Geremia:

cosa vedi? E il profeta risponde; vedo un ramo di mandorlo. Allora Dio gli dice: hai visto bene perché io veglio sulla mia parola per realizzarla,

È molto bello, il mandorlo è Dio che veglia sulla sua parola per realizzarla, sulla sua promessa di salvezza per realizzarla. Quindi il Signore Risorto, e Giovanni lo vede come presente in mezzo, al centro di questo candelabro, cioè presente al centro e nel cuore della vita della Chiesa, come colui che veglia per realizzare la sua promessa di salvezza.

E il frutto di questa visione è l’ordine che Giovanni riceve dal Risorto quello che vedi scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese e il Signore Risorto si rivolge a queste Chiese con delle lettere.

Anche qui bisogna fare attenzione perché la lettera rappresenta un modo molto di-retto, molto personale per parlare con qualcuno e una lettera ha sempre un destina-tario preciso: è per quella situazione; per quella comunità; per quella persona.

Se io decido di scrivere un trattato o un libro immagino davanti a me un destinatario molto ampio che non conosco prima, non so chi leggerà quello che intendo scrivere, al contrario quando scrivo una lettera so a chi l’indirizzo, è proprio per lui, per lei, per quella persona o quella comunità. So a chi mi rivolgo e quello che intendo dire non ha un destinatario generico e indistinto, ma uno preciso con un volto e una sto-ria.

Ebbene il Signore quando si rivela scrive anche lettere. Questo è molto bello, perché vuol dire che la sua parola non è mai generica ma ci interpella personalmente e dice di conoscere profondamente coloro ai quali si rivolge. In ogni lettera i Risorto dice sempre le stesse parole:

io conosco le tue opere, io ti conosco, so chi sei, so cosa c’è nel tuo cuore, nella tua vita.

Il Signore scrive lettere dunque perché desidera entrare in un dialogo veramente in-terpersonale con il suo popolo, con la sua Chiesa. Non decide solamente di svelarsi, di parlare, ma più precisamente desidera dialogare entrare in una relazione autenti-ca e, come accade anche per le nostre parole più vere, anche la parola di Dio non è

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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pronunciata con altro scopo se non quello di creare relazione, di consentire un in-contro, generare una comunione, suscitare un dialogo.

Da questa prima osservazione, ne scaturisce subito una seconda, quando scrivo una lettera a qualcuno desidero normalmente una risposta e se l’altro non mi risponde rimango deluso o rimango preoccupato. Se il Risorto si rivolge con delle lettere a queste comunità, ma anche alla nostra Chiesa, significa anche che attende da noi una risposta.

La lettera è sempre un parlare rivolgendosi a qualcuno ma aprendo insieme la bocca ma anche l’orecchio perché si attende che anche l’altro a sua volta parli, si attende una risposta. Noi dobbiamo capire quale è la vera risposta che il Signore attende dal-la sua Chiesa o dalle sue Chiese.

Infine queste lettere testimoniano la cura che il Signore ha verso la sua Chiesa, la ama, la conosce profondamente, ha a cuore le sue difficoltà, la vuole liberare dalle sue schiavitù, dai suoi peccati, la vuole purificare.

Quando una persona che amiamo è lontana o non la vediamo da molto tempo una sua lettera quando giunge riempie la nostra attesa di una gioia profonda, ci confer-ma la verità e la bellezza di una relazione, abbiamo la conferma di essere ricordati, di essere amati. Ascoltando queste lettere alle sette Chiese e anche alla nostra, do-vremmo percepire gli stessi sentimenti, una gioia autentica e piena perché ci perce-piamo custoditi dalla memoria del Signore della sua cura sulla nostra vita. Sappiamo e siamo certi che siamo raggiunti dal suo amore che supera ogni distanza il Signore ci scrive e questo ci testimonia il suo amore e la sua cura.

Inoltre l’imperativo è scrivere, non solamente dire. La parola del Signore ci raggiun-ge attraverso uno scritto, una lettera scritta, un particolare che non è banale ma di grande importanza, perché lo scritto rimane nel tempo e può raggiungere ogni ge-nerazione che si succede all’altra. Proprio perché scritte possiamo anche noi a circa 2000 anni di distanza continuare a leggere queste lettere e riconoscere che sono ri-volte anche al nostro essere Chiesa oggi.

Con questo imperativo a scrivere dobbiamo riconoscere questo desiderio del Signo-re che la sua parola rimanga e continui a giudicare, a sostenere, a purificare, a inco-raggiare, la nostra vita personale comunitaria. Se l’accogliamo è come il seme che produce in noi il frutto buono, se non l’accogliamo rimane comunque scritta, non possiamo distruggerla, non possiamo ignorarla, rimane e giudica la nostra infecondi-tà, mette a nudo la nostra vista sterile, senza frutti.

3.2 Intronizzazione dell’Evangeliario

Con questo primo incontro abbiamo intronizzato il vangelo del Signore Gesù al cen-tro della nostra Chiesa, della nostra assemblea, della nostra comunità. Questo segno ci ricorda che il Signore Gesù è al centro al cuore, al centro della nostra vita e del no-stro essere Chiesa. Come ci ha ricordato il testo dell’Apocalisse che abbiamo letto il

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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Signore veglia sulla sua Chiesa, veglia sulla sua parola, veglia sulla sua promessa per portarla a compimento e ci ricorda che il Signore è al centro della nostra vita.

Anche noi possiamo rivivere l’esperienza vissuta da Giovanni a Patmos, essere nello

Figura 1 - La Gerusalemme Celeste - De Chirico

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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Spirito, lasciarci afferrare dallo Spirito per imparare ad avere uno sguardo diverso su di noi, sulla vita, sulla storia, sulle nostre comunità.

Ora ci possiamo dare un breve periodo di silenzio, di preghiera in cui ciascuno di noi oltre a ringraziare Dio per la sua prossimità, può provare a ripercorrere alcuni tratti con cui la figura del Figlio dell’uomo viene descritta in questa pagina e provare a far-vi alcune domande.

Il Figlio dell’uomo, il Risorto è stato descritto con occhi di fuoco, occhi che giudicano con amore la nostra vita. Allora possiamo domandarci in quali aspetti il fuoco del suo amore deve purificare la nostra vita, il nostro cuore ma anche la vita delle nostre comunità?

Un altro tratto con cui l’Apocalisse ci descrive il Signore Risorto è la sua saldezza, poggia su piedi saldi, come la sua saldezza può rendere salda la nostra vita, dove maggiormente sperimentiamo il bisogno della sua forza che ci sostenga

Infine l’Apocalisse ci descrive il Risorto con un volto luminoso e con una parola a doppio taglio. Questo volto luminoso può davvero diventare luce che orienta la no-stra esistenza, le nostre decisioni, le decisioni delle nostre comunità mentre la sua mano si posa su di noi e ci rialza, davvero ci custodisce.

In quale situazione sentiamo che deve maggiormente sostenerci da quale situazione e necessità che mi rialzi e mi rimetta in piedi?

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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4 Lo schema comune delle lettere

Se leggete tutte le sette lettere una dopo l’altra vi accorgete facilmente che ogni let-tera è costruita seguendo sempre lo stesso schema letterario con qualche piccola variante, ma il modo di scrivere rimane lo stesso.

Proviamo a riconoscere questo schema leggendo la prima lettera alla Chiesa di Efeso che inizia col saluto seguito dall’imperativo scrivi nel primo versetto in cui il Signore si rivolge personalmente alla nostra Chiesa e ci interpella personalmente.

4.1 L’angelo della Chiesa

Osserviamo anche un altro par-ticolare, il Risorto non si rivolge alla Chiesa in quanto tale, ma all’angelo della Chiesa che signi-fica, secondo alcuni interpreti, un titolo per designare il re-sponsabile della comunità, noi oggi diremmo scrivi al Vescovo, ma è anche possibile pensare ad un significato differente. Rivol-gendosi all’angelo della comuni-tà, della Chiesa Giovanni intende rivolgersi alla Chiesa colta nella pienezza del suo mistero che è un mistero nello stesso tempo storico e trascendente.

Gli angeli sono coloro che guar-dano sempre il volto di Dio, che dolorano stabilmente alla sua presenza e sono anche i mes-saggeri attraverso cui Dio custo-disce il suo popolo.

Noi qui abbiamo una bella visio-ne di Chiesa importante da ricordare. La Chiesa è una comunità che cammina nella storia con tutte le sue fatiche, i suoi limiti, anche i suoi peccati, ma nello stesso tem-po è una comunità che partecipa già del mistero di Dio, è sempre in adorazione da-vanti al suo volto, è custodita nelle sue mani, è pellegrina nella storia degli uomini, ma rimane sempre davanti a Dio, diesa è la Chiesa.

L’Apocalisse insiste sempre su questo aspetto ci fa cogliere sempre una dimensione

Figura 2 - Le sette chiese

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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storica ma ricordandoci che questa dimensione rimane aperta ad un dimensione trascendente in comunione col mondo di Dio già da ora.

4.2 La firma

Quindi ogni lettere inizia con questo saluto, questo indirizzo iniziale e subito dopo colui che scrive si presenta, ossia mette la firma all’inizio come era tipico nelle lette-re dell’antichità, mentre oggi siamo soliti mettere la firma alla fine delle nostre lette-re. Subito nel primo versetto chi scrive si presenta: Così parla colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro.

Qui è il risorto che presenta la sua identità e come accade nella prima lettera così avviene in tutte le lettere. Il Risorto si presenta riprendendo alcune immagini pre-sentate già nel capitolo primo nella visione iniziale e fa di questa immagine del risor-to che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro, ovvero la menorah ebraica, è il risorto presente nella sua Chiesa come colui che veglia sulla sua parola per portarla a compimento, per realizzarla. Questa è la sua identità, potremmo dire è la sua fir-ma non solo su questa lettera ma è la sua firma nella storia. È colui che è presente e la sua presenza è un dono di vita è un dono di benedizione.

Per noi è importante osservare che quando parla alla Chiesa la prima cosa che il Si-gnore fa è dire chi è, è rivelare il suo volto, un aspetto del suo mistero.

4.3 Il giudizio

Poi come vedremo seguirà anche un giudizio sulla condotta di vita della comunità e anche un forte invito alla conversione, però il cammino di conversione che ciascuna Chiesa è sollecitata ad intraprendere ha soprattutto una dimensione teologica, un tema su cui insisto sempre molto, ha una dimensione teologica prima ancora che etica prima ancora che morale: convertirsi significa conoscere più profondamente il volto del Signore, fare un’esperienza più vera più profonda di lui.

La comunità cristiana in fondo trova la sua identità confrontandosi con il volto, la parola di Cristo morto e risorto, ed è sulla base di questo confronto che poi scaturi-sce l’esame di coscienza che in ciascuna lettera leggiamo.

La parola del Signore, lo diceva la visione iniziale, è una spada a doppio taglio, pene-tra nel profondo della nostra vita, ci giudica, in qualche modo ci ferisce perché porta alla luce il nostro peccato ma poi con l’altro taglio della spada ci consola, non solo ci ferisce ma ci guarisce, non solo porta allo scoperto il nostro peccato ma anche lo perdona con la sua misericordia e dunque la parola del Risorto è una parola di giudi-zio ma anche una parola di consolazione, ma anche una promessa di vita.

Questo significa che le comunità trovano nel loro Signore il giudice ma anche il sal-vatore convertirsi non significa prima di tutto cambiare il nostro modo di agire ma il nostro modo di guardare e conoscere Dio.

Dalla conoscenza del suo volto poi deve scaturire una diversa condotta di vita ed è

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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per questo che la prima cosa che fa quando risorto appare alla Chiesa non è dirci co-sa dobbiamo fare ma dirci chi lui è, rivelarci il suo volto come fa in tutte le lettere.

4.4 L’esame di coscienza

Dopo l’autopresentazione del Risorto abbiamo la parte centrale di ciascuna lettera che è costituita dal discernimento che la parola di Dio opera sulla vita della Chiesa, lo potremmo chiamare un vero e proprio esame di coscienza che il Signore ci fa fare.

Io conosco le tue opere afferma il Risorto alla sua Chiesa, il Signore ci conosce, il suo giudizio nasce appunto da questa conoscenza, intima, profonda, animata da amore autentico, è la conoscenza che nasce dall’amore.

Al capitolo primo appunto l’assemblea, la comunità cristiana così parla, così defini-sce il Risorto, così definisce il mistero di Dio:

A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati

E col giudizio di Dio, il discernimento di Dio sulla vita delle Chiesa è sempre una libe-razione dal peccato da parte di colui che ci ama.

4.5 L’invito alla conversione

Ma insieme al rimprovero e all’avvertimento c’è anche l’invito alla conversione, un altro elemento dello schema di queste lettere, dopo questo esame di coscienza c’è l’invito alla conversione espresso sempre con alcuni imperativi.

4.6 L’invito conclusivo

La conversione è possibile solo se il nostro sguardo si fissa non su ciò che noi pos-siamo o non possiamo fare, ma su quanto il Signore ha già fatto per noi e continua a fare per noi. Tanto è vero che ogni lettera dopo questa esortazione alla conversione segue un invito conclusivo che ricorre in tutte le lettere:

chi ha orecchie ascolti ciò che lo Spirito dice a tutte le Chiese

4.7 La promessa

Infine c’è una promessa perché la parola del Signore non solo giudica, rimprovera, esorta alla conversione, ma soprattutto promette e la sua è una promessa di vittoria e al vincitore io darò, questa è un’espressione che ricorre in diverse lettere, il Signo-re è l’unico vero vincitore del male, proprio con la sua Pasqua.

Ha già vinto il male, il peccato, la morte e ciò che promette alla sua Chiesa è di ren-derla partecipe della sua vittoria. E quindi quello che viene promesso non è tanto un premio nella logica retributiva del contraccambio è piuttosto l’annuncio di un futuro certo di comunione piena col Signore, anche noi saremo con lui, anche noi parteci-peremo della sua vittoria, saremo in comunione con la sua vita.

Tutte le lettere si concludono con una promessa, e ogni promessa pur nella varietà delle sue immagini, dei suoi simboli rimanda sempre alla descrizione della Gerusa-lemme Celeste dei capitoli finali dell’Apocalisse, al capitolo 22 quando viene descrit-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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ta la Gerusalemme Nuova, la meta del nostro pellegrinaggio nella storia, nel versetto 2 leggiamo:

In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall'altra del fiume si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte l’anno portando frutto ogni me-se; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni.

Questo simbolo dell’albero della vita è chiaro e ci ricorda immediatamente la Genesi nei capitoli iniziali, prima che il peccato di Adamo ed Eva introducesse nel giardino della creazione la sofferenza e la morte.

Questo albero che da frutti in ogni mese dell’anno con un fecondità straordinaria è un’immagine di vita in pienezza, di vita eterna colta dall’autore dell’Apocalisse non semplicemente come una vita infinita, una vita che non conosce termine, non cono-sce la morte, che non finisce più, ma c’è un’immagine più profonda e più bella della vita eterna.

A questo punto deve essere chiaro che questa promessa di Dio di questa vita nuova, ci consente anche di vivere un cammino di conversione, di conoscere il nostro pec-cato, ma soprattutto questa vita nuova, questa vita feconda che il Signore dona sempre alla sua Chiesa, a ciascuno di noi dentro la sua Chiesa.

Questa vita eterna e sempre feconda, porta eternamente frutti in ogni stagione, sia nelle stagioni belle e sia nelle stagioni brutte sia nella buona e sia nella cattiva sta-gione.

Questa vita eterna è promessa non solo per il futuro ma anche viene promessa già da ora per chi vive nella logica evangelica nella logica del Signore Gesù.

È la nostra vita che diventa feconda, una vita capace di portare frutti buoni, capace di generare la vita negli altri. Questa è la promessa.

Ci mettiamo quindi in ascolto delle sette lettere indirizzate alle Chiese dell’Asia Mi-nore.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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5 Non abbandonare il tuo primo amore

5.1 La lettera alla Chiesa di Efeso (Ap 2,1-7)

La prima delle lettere è indirizzata alla Chiesa di Efeso. È la Chiesa madre che ha ge-nerato nella fede le altre Chiese di cui parla l’Apocalisse ed è anche la Chiesa che vi-ve nella città più importante dell’Asia Minore è la capitale della provincia dell’Asia dell’impero romano.

1 All'angelo della Chiesa di Efeso scrivi: Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro. 2 Co-nosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza, per cui non puoi sopportare i cattivi; li hai messi alla prova - quelli che si dicono apostoli e non lo sono - e li hai trovati bugiardi. 3 Sei perseverante e hai molto sop-portato per il mio nome, senza stancarti. 4 Ho però da rimproverarti di aver abbandonato il tuo primo amore. 5 Ricorda dunque da dove sei caduto, convertiti e compi le opere di prima. Se invece non ti convertirai, verrò da te e toglierò il tuo candelabro dal suo posto. 6 Tuttavia hai questo di buo-no, che detesti le opere dei Nicolaìti, che anch'io detesto. 7 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò da mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio.

5.2 L’esame di coscienza

Qual è l’esame di coscienza che il Signore fa fare a questa Chiesa di Efeso? Innanzi tutto la sua parola porta alla luce alcuni aspetti positivi che ci sono in questa comu-nità che leggiamo in particolare ai versetti 2 e 3. La comunità di Efeso è anzitutto lo-data per la sua fedeltà, per la sua perseveranza, non solo nella persecuzione, ma an-che nella sua capacità di opporsi, di resistere alla testimonianza di falsi apostoli, di falsi profeti che predicano un Cristo diverso da quello della verità evangelica. Il peri-colo che la Chiesa vive è sempre duplice: un pericolo esterno, la persecuzione, ma un pericolo anche interno, quelli di falsi apostoli, di falsi profeti, di falsi missionari che predicano un Cristo diverso da quello consegnateci dal Vangelo.

E facciamo attenzione soprattutto a com’è espresso questo elogio perché esso si manifesta con una dimensione importante della vita di fede anche della nostra vita di fede. Il Risorto dice alla comunità di Efeso:

tu non puoi soffrire i malvagi, i cattivi questi falsi apostoli perché sei stata perseverante nella prova, hai sofferto a causa del mio nome.

Qui troviamo davvero un criterio importante per la nostra vita di fede, la condizione per non sopportare il male e vincerlo è essere disposti a soffrire per il nome di Cri-sto. Solo se ci lasciamo prima giudicare dalla sua parola, dalla parola di Dio attraver-so anche un cammino nella prova, nella purificazione, poi noi diventiamo davvero capaci di vincere il male in noi e attorno a noi.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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5.3 La prova

È sempre l’amore della croce che vince alla radice il male nel nostro cuore e anche quello che troviamo nella storia attorno a noi. Tanto è vero che il Risorto aggiunge:

tu hai messo alla prova quelli che si dicono apostoli e non lo sono e li hai trova-ti bugiardi

Cosa consiste questa prova che mette a nudo la propria menzogna il testo non lo di-ce ma lo possiamo un po’ intuire, non è un test, non è un esame dottrinale sui con-tenuti della fede, non è niente di tutto questo, è la prova in quanto tale cioè è la prova in quanto disponibilità a rimanere saldi nella difficoltà o addirittura nella sof-ferenza per amore del nome di Cristo.

Quello che vuole dire è, detto in modo forse più semplice, ciò che rivela la menzo-gna del falso apostolo è proprio la sua incapacità di perseverare nella prova nel no-me di Cristo, la sua indisponibilità a dare la vita per lui, per il Signore. Quella del fal-so apostolo è la menzogna di predicare una verità ma senza essere disposto a dare la vita per il Signore, a riempire questa verità della propria stessa vita.

Forse un’immagine che può aiutarci a capire è l’immagine che troviamo nel vangelo di Giovanni al capitolo X, la differenza tra il vero e buon pastore e coloro che non sono pastori ma sono solo mercenari. Il pastore è colui che è disposto a dare la vita per le pecore, il mercenario e colui che appena arriva il ladro o il brigante se ne fug-ge via lasciando le pecore incustodite.

Ancora una volta è la croce, cioè la disponibilità a rimanere saldi nella prova anche a costo di un prezzo, di una sofferenza da pagare, a portare alla luce la verità o la menzogna della parola che annunciamo.

Nel diario di un curato di campagna di Bernanos c’è questa bellissima affermazione in bocca a un anziano sacerdote che dialoga col il più giovane sacerdote protagoni-sta del dialogo e del romanzo e gli dice:

Insegnare piccolo mio non è una faccenda piacevole la parola di Dio è un ferro rovente e tu che l’insegni tu vorresti afferrarla con le pinze per paura di bruciarti, non la impugneresti a piene mani, io preferisco semplicemente quando il Signore trae da me per caso una parola utile alle anime il sentir-la dal male che mi fa

La parola vera che possiamo annunciare con verità, senza menzogna agli altri come veri apostoli e non falsi apostoli, è sempre una parola che anzitutto deve imprimere il suo marchio di fuoco nella nostra vita ed è questa la parola annunciata alla comu-nità di Efeso nella fatica e nella perseveranza della sua prova.

La parola dei falsi apostoli è menzognera è una parola vuota, non è piena della loro vita, della loro testimonianza, della loro capacità di perseverare anche nella prova per amore di Cristo.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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Questo rimane anche un buon criterio anche per noi per discernere la parola della verità che viene da Dio e dai suoi veri testimoni da tante parole false che vengono dette in nome di Dio ma non secondo la verità della vita di fede che è una vita che rimane fedele al Signore anche nella prova.

5.4 Il rimprovero

Quindi c’è questo elogio, ma poi il Signore ha anche un rimprovero per la Chiesa di Efeso che subito dopo al versetto 4 l’accusa di avere abbandonato il tuo primo amo-re.

L’invito è non abbandonare il primo amore e qui notiamo che la comunità di Efeso viene giudicata anzitutto sull’amore.

Efeso è la Chiesa madre, la Chiesa che ha generato tutte le altre Chiese dell’Asia Mi-nore alla fede, è la prima Chiesa alla quale il Signore si rivolge e questa Chiesa viene giudicata proprio sull’aspetto fondamentale della vita credente, della vita cristiana, appunto l’amore: hai abbandonato il tuo primo amore.

E cerchiamo di comprendere bene questa espressione, che sta a significare l’amore di un tempo, l’amore che ha caratterizzato la vita nel passato, il primo amore è l’amore di un innamorato, potremmo dire, è un amore ancora fresco sorgivo, gene-roso, entusiasta che non è ancora entrato nel rischio nel cliché dell’abitudine, della consuetudine.

Tutto questo è vero ma forse l’espressione ci ricorda qualcosa di ancora più fonda-mentale il primo amore, l’amore di prima, evoca anche l’amore che viene prima. E qual è l’amore che viene prima? È l’amore del Signore per noi, non innanzi tutto il nostro amore per il Signore, ma l’amore del Signore per la sua Chiesa. L’amore che egli ha testimoniato nella sua Pasqua dando la sua vita per la sua Chiesa.

Ecco alla comunità di Efeso fa questo rimprovero, non ha saputo rimanere stabile, fedele in quest’amore e non ha saputo corrispondergli pienamente.

E qui dobbiamo fare attenzione anche a un altro aspetto, non possiamo leggere questo testo come se l’elogio e il rimprovero fossero sullo stesso piano, come se il Signore dicesse di positivo hai questo: la tua fedeltà, la tua costanza, la tua perseve-ranza, e negativo sull’altro piatto della bilancia questa perdita dell’amore, del primo amore.

Non sono due cose che stanno su due piatti della bilancia e la bilancia sta in equili-brio, perché non sono sullo stesso piano queste due realtà, perché l’amore è ciò che è costitutivo della Chiesa e della vita del credente e senza l’amore tutto il resto si svuota, tutto il resto perde di significato, dunque anche la costanza e la perseveran-za della comunità di Efeso sono un nulla se non sono animate dall’amore.

Qui vengono in mente le parole che scrive Paolo alla comunità di Corinto (1Cor,13) il cosiddetto Inno alla carità dove Paolo appunto ricorda che puoi fare tante cose po-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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sitive, importanti, conoscere le lingue, avere il dono delle profezia, avere una fede così grande da trasportare le montagne, persino donare tutte le proprie sostanze, il proprio stesso corpo per essere bruciato, ecco puoi fare tutto questo ma se non hai la carità, dice Paolo, se non hai l’amore, tutto questo a nulla giova, tutto questo ri-mane vano.

Ecco questo è il pericolo grave che minaccia la comunità di Efeso, anche una condot-ta esemplare che però rimane vuota senza significato perché rischia di non essere vissuta nell’amore. Qui si potrebbe rileggere le parole molto forti che papa Benedet-to XVI ha rivolto alla Chiesa di Germania, una Chiesa esemplare per l’efficienza, per le sue opere a cui il papa ha ricordato cos’è essenziale nella vita della Chiesa. Non è tanto la sua efficienza ma questa qualità nella relazione col Signore, questa capacità di rimanere in questo amore che viene prima, che è l’amore della sua Chiesa che chiede anche la nostra accoglienza, la nostra corrispondenza.

5.5 L’invito alla conversione

L’amore non è una qualità fra le altre è ciò che fa l’identità della Chiesa, perché è la stessa identità di Dio che è amore. La Chiesa è chiamata a essere segno di questa identità. L’amore è la condizione per la quale la Chiesa è o non è, tanto è vero che il Signore dice alla Chiesa di Efeso, se tu non ti convertirai verrò da te e toglierò il tuo candelabro dal suo posto.

Abbiamo già visto il candelabro è il simbolo della Chiesa chiamata a essere segno della luce di Cristo nel mondo. E la lampada di Efeso è spenta rimossa perché senza amore la Chiesa non esiste più, muore, scompare. In queste parole, che possono sembrare molto dure da parte del Risorto, dobbiamo scorgere non tanto la minaccia quanto una parola che ammonisce come se il risorto dicesse: stai attenta o Chiesa di Efeso perché stai morendo, senza l’amore la tua stessa vita viene meno, non esisti più, la tua lampada, il tuo candelabro se non solo alimentati dall’amore si spengono e allora è inutile tenere lì una lampada spenta e allora il Signore verrà a rimuoverla.

Ma insieme al rimprovero e all’avvertimento c’è l’invito alla conversione alla Chiesa di Efeso con tre imperativi che risuonano al versetto 5: ricordati da dove sei caduto, è al maschile perché sta parlando all’angelo della Chiesa, convertiti e compi le opere di prima. Ricordati, convertiti e compi. Di questi imperativi vorrei ricordare solo il primo perché per convertirsi occorre ricordare, ma ricordare non tanto quello che eravamo prima, ricordare non semplicemente il nostro passato, ma ricordare il pas-sato della salvezza. Ecco questo è l’invito del Signore.

Ricorda quello che io ho già fatto per te. Custodisci nella memoria della vita l’amore con il quale il Signore nella sua Pasqua ci ha amati, in fondo ciò che dobbiamo ricor-dare è che siamo già stati salvati che non dobbiamo sforzarci di salvarci ma siamo già stati salvati e dobbiamo custodire nella vita questo dono, rimanendo quindi nell’amore di prima, nell’amore che ci viene donato ed è prima di ogni cosa.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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La conversione è questo itinerario di penitenza, di trasformazione, di ravvedimento ed è possibile solo se il nostro sguardo si fissa non su ciò che noi possiamo o non possiamo fare, ma su quanto il Signore ha già fatto per noi e continua a fare per noi.

5.6 La promessa

La lettera si conclude, dopo l’esortazione alla conversione, con la promessa che per la Chiesa di Efeso suona in questi termini nell’ultimo versetto:

Al vincitore darò da mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio.

La possibilità di mangiare dell’albero della vita è una promessa di una vita di pienez-za che non conoscerà più la morte.

5.7 Risonanze e invocazioni spontanee

Il suggerimento è di vivere ora un breve momento di silenzio e di preghiera persona-le, in cui ciascuno può rileggere questa lettera e lasciarsi interpellare personalmente da quello che il Risorto scrive, magari rispondendo a qualche domanda. Poi al termi-ne v’invito di esprimere a voce alta una preghiera, un pensiero, un versetto che ci ha particolarmente colpito e che volete rendere comune.

Il Signore di presenta e si fa riconoscere e questo ci porta a domandarci ma come conosciamo il suo volto, quale tratto del suo mistero abbiamo bisogno di conoscere meglio?

Il Signore discerne la nostra vita, che è anche la vita delle nostre comunità, la giudica soprattutto sulla qualità del nostro amore, ciò che viviamo e facciamo e davvero animato dall’amore?

Per quali aspetti della nostra vita ecclesiale e anche della nostra vita personale la nostra lampada rischia di spegnersi?

Dove e come il nostro amore deve essere maggiormente ravvivato?

Ricorda, convertiti, compi sono i tre imperativi che questa sera il Signore lascia alla nostra vita e di quale verbo ha maggiormente bisogno la nostra conversione?

E la promessa del Signore sostiene davvero il nostro cammino e la crediamo vera?

è una promessa capace di orientare i nostri passi e di offrire dei criteri alle nostre scelte?

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese e ciò che dice ci sarà svelato soprattutto nell’ultima pagina dell’Apocalisse quando leggiamo che lo Spirito e la Sposa dicono vieni. Ciò che lo Spirito continuamente dice alle Chiese di invocare di attendere vigilanti questa venuta del Signore. In quest’avvento come viviamo il de-siderio di Dio, abbiamo davvero sete di Lui, attendiamo la sua venuta e desideriamo conoscere meglio il suo volto?

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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6 Sei povero, eppure sei ricco

Se Gesù si rivolge alle sette Chiese con delle lettere è perché attende una risposta, ieri abbiamo risposto attraverso la nostra preghiera, oggi desideriamo dare una se-conda riposta fondamentale, potremmo dire la risposta della nostra conversione, la nostra vita che si lascia trasformare, guarire, rinnovare dalla parola di Dio con una celebrazione penitenziale.

È un segno che stiamo vivendo e poniamo all’interno di questi giorni di esercizio, cioè il segno della nostra disponibilità, il nostro desiderio di vivere un vero cammino di conversione, che ci consenta di conoscere sempre più approfonditamente il mi-stero di Dio, che si rivela anche attraverso questi testi che stiamo leggendo così da diventargli sempre più somiglianti. Come ci ricorda il libro della Genesi, siamo stati creati a immagine di Dio, per divenire a lui somiglianti.

L’ascolto della parola orienta, sostiene la nostra vita in questo cammino di sorve-glianza, che si realizza anche attraverso un cammino penitenziale, di conversione che ci fa accogliere il perdono di Dio, e le sette lettere alle Chiese dell’Asia Minore che stiamo leggendo possono aiutarci, e già ci stanno aiutando, in questo itinerario.

Abbiamo già visto, leggendo la prima di queste lettere alla Chiesa di Efeso, e tornia-mo a constatarlo sulla seconda lettera rivolta alla Chiesa di Smirne.

Attraverso queste lettere il Signore Risorto opera un discernimento sulla vita della Chiesa, ci fa fare non solo un vero e proprio esame di coscienza, ma ci offre anche dei suggerimenti, delle indicazioni, soprattutto promette il suo dono che ci fa vivere.

E attenzione credo che dobbiamo capire bene questo rapporto che c’è tra la nostra conversione e la promessa del suo dono con cui ogni lettera si conclude. Non è la nostra conversione a meritarci il premio, piuttosto è la promessa di Dio che ci con-sente di intraprende un autentico cammino di conversione, e la promessa di Dio è la sua vita che viene offerta alla nostra esistenza, una vita nuova che ci viene offerta anche tramite il perdono che il Signore ci perdona.

È dunque la promessa che ci sostiene, ci incoraggia e ci consente di vivere quello che altrimenti sarebbe impossibile per le nostre sole forze e allora è questo itinerario di conversione è fondato sulla promessa di Dio alla quale crediamo.

6.1 Le lettera alla Chiesa di Smirne (Ap 2,8-11)

Questa seconda delle sette lettere è indirizzata alla Chiesa di Smirne, e noi cogliere-mo qualche aspetto presente in questo testo.

8 All'angelo della Chiesa di Smirne scrivi: Così parla il Primo e l'Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita: 9 Conosco la tua tribolazione, la tua po-vertà - tuttavia sei ricco - e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana. 10 Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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in carcere, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci gior-ni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita. 11 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte.

6.2 Una premessa

Già nella prima sera ricordavo come il numero sette sia nell’Apocalisse una cifra simbolica che dice totalità, sette lettere per dire che il Risorto si rivolge a tutta la Chiesa e alla Chiesa di ogni tempo, questo è vero, però nello stesso tempo queste lettere non sono generiche, ciascuna di esse affronta problemi particolari, caratteri-stici di comunità concrete, ciascuna con il suo volto, le sue qualità, anche coi suoi li-miti, i suoi peccati, con le fatiche con cui vivono nella storia di fedeltà al Signore ri-sorto, Ciascuna ha i suoi limiti e le sue ricchezze, ogni comunità ha un volto diverso dalle altre, c’è il volto della comunità di Efeso, ma c’è anche il volto della comunità di Smirne e questo ci ricorda che il Signore non parla in modo generico, astratto, a cia-scuna Chiesa rivolge una parola appropriata, ma nello stesso tempo, e anche questo è importante osservalo, ogni Chiesa è invitata ad ascoltare e accogliere ciò che il Si-gnore dice anche alle altre Chiese come si può cogliere nell’esortazione finale che contiene un plurale importante:

Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese

Alle Chiese, non alla Chiesa, quindi non semplicemente alla mia comunità, che mi trovi ad Efeso, a Smirne, o mi trovi qui oggi, ma a tutte le Chiese.

Questo può sembrare un dettaglio, invece è importante perché dietro questo modo di parlare c’è l’invito a camminare insieme, c’è l’invito a imparare gli uni dagli altri, a sostenersi a vicenda, nel proprio itinerario di ricerca del regno di Dio. Ciò che il Si-gnore dice a ciascuna Chiesa deve diventare ricchezza anche delle altre Chiese, ric-chezza comune, ricchezza di tutti.

I doni di ciascuna comunità sono anche i doni delle altre, le fatiche di una Chiesa ri-chiedono l’aiuto anche delle altre, questo è in fondo quello che stiamo vivendo noi in questa sere, in cui diverse comunità pastorali parrocchiali sono qui radunate per ascoltare insieme ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

Allora credo che sia importante per noi accogliere questa parola come un invito che viene dal risorto stesso a camminare maggiormente insieme, a collaborare, a condi-videre, doni e limiti, fatiche e risorse.

Il Signore attraverso queste sue lettere ci invita a fare un esame di coscienza anche su questo aspetto, ci suggerisce anche di verificare questa possibile tentazione o peccato che può esserci anche nella nostra vita, quali resistenze poniamo allo sforzo richiesto anzitutto da ciò che lo Spirito dice alle Chiese a: camminare insieme, colla-borare, condividere maggiormente ricchezze e limiti presenti nelle nostre comunità.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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6.3 Una Chiesa povera

Alla luce di questa premessa allora una breve parola su quello che l’autore scrive alla comunità si Smirne, e che ciascuna Chiesa deve ascoltare a sua volta.

Io penso che riusciremo comprendere meglio il significato di questo messaggio do-mani sera quando avremo letto l’ultima lettera rivolta alla Chiesa di Laodicea, ma possiamo ed è utile anticipare questa sera qualcosa perché Smirne e Laodicea sono Chiese molto diverse, per certi aspetti appaiono anche diametralmente opposte.

Smirne, lo abbiamo ascoltato è una Chiesa povera tu seri ricca le dice il Signore, Lao-dicea al contrario è una Chiesa ricca, una Chiesa che rischia di ritenersi autosuffi-ciente, non bisognosa di nulla, e dunque non bisognosa neppure dei doni del suo Si-gnore, tentata quindi di confidare solamente in se stessa, nelle proprie strutture, nei propri beni, nelle proprie risorse, nei propri progetti.

Come vedremo domani sera è proprio a questa Chiesa ricca che il Signore rivolge il rimprovero più duro, il più duro di questa sette lettere, le scrive infatti:

Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo

Da notare che è al maschile perché si rivolge all’angelo della Chiesa. Avremo modo domani sera di tornare ad approfondire queste espressioni, per il momento notiamo questo contrasto tra le parole rivolte a questa due Chiese.

Alla Chiesa di Smirne il Signore dice: tu sei povera e invece sei ricca; alla Chiesa di Laodicea dice: tu ti ritieni ricca e non ti accorgi di essere povera, perché la vera po-vertà e la vera ricchezza di una Chiesa non dipendono dai suoi beni, dalle sue strut-ture, dalle sue risorse, ma dalla qualità della relazione che ciascuna comunità vive con il Signore, dalla fiducia che ripone nei suoi doni, nella sua promessa, anziché nei propri possessi o nei propri progetti.

Qui può essere utile richiamare un breve commento dell’allora arcivescovo Malines-Bruxelles il cardinale Godfried Danneels, che una quindicina di anni fa in occasione del Natale ha scritto una lettera alla sua Chiesa dedicata al tema della speranza e nel capitolo finale di questa lettera pastorale commentava alcuni testi dell’Apocalisse e a proposti di questa lettera scritta alla Chiesa di Smirne affermava:

Smirne non possiede niente, non si riscontra in essa alcune opera nuova

Abbiamo ascoltato ieri che alla Chiesa di Efeso il Signore rivolgeva alcuni elogi per al-cuni aspetti della sua vita, anche se poi c’era anche il rimprovero, mentre la Chiesa di Smirne non viene lodata per nessuna opera buona, nessun altro merito se non quello di essere povera, disarmata, perseguitata, nessun motivo di sussiego, Chiesa poveretta dirà Calvino.

È anche la sola delle sette Chiese che non riceve nessuna messa in guardia, Cristo non le rimprovera niente. Per la Chiesa di Efeso, soprattutto per la Chiesa di Laodi-cea che ascolteremo domani sera, ci sono dei rimproveri, per la Chiesa di Smirne, è l’unica Chiesa che non riceve dal Risorto nessun rimprovero. È una Chiesa che in ap-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

Kairòs -2013 35

parenza non ha avvenire, una Chiesa povera e maldestra, ma che beneficia della compassione del suo Signore:

Conosco la tua tribolazione, la tua povertà - tuttavia sei ricco - e la calun-nia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono

6.4 La Chiesa della speranza

Una comunità povera come Smirne è una Chiesa della prima beatitudine, è povera e per questo stesso motivo è ricca:

Beati voi poveri perché vostro è il regno di Dio (Lc.6,20)

Smirne, conclude il cardinal Danneels, è la Chiesa delle speranza, è perseguitata e non possiede alcun merito purché resti fedele.

È la Chiesa della speranza perché è una Chiesa che pur nella sua povertà continua a essere fedele e a confidare solamente nei doni del suo Signore. Allora questa Chiesa è una Chiesa che ci ricorda, quello che il Signore le scrive: la ricchezza di una Chiesa non dipende da quello che possiede o è in grado di fare secondo logiche mondane di efficienza ma dalla sua fedeltà alla parola del Signore, dalla sua fede nella sua pro-messa, dalla confidenza nel suo dono anche in tempo di persecuzione e di calunnia.

Ieri vedevamo come la Chiesa di Efeso doveva confrontarsi con dei falsi profeti, che annunciavano un Cristo diverso da quello del Vangelo, la Chiesa di Smirne deve con-frontarsi piuttosto con questi falsi giudei, membri del popolo ebraico che però non vivono la loro fedeltà alla loro alleanza e alla parola del Signore.

Non è un caso allora che a questa Chiesa, povera eppure ricca, il Signore risorto si presenti all’inizio proprio con due particolari titoli. Dicevamo ieri che ogni lettera di apre con una autopresentazione del Risorto, come avviene anche in questo caso do-ve si presenta così:

All'angelo della Chiesa di Smirne scrivi: Così parla il Primo e l'Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita:

Il Signore di presenta con questi due titoli: primo e ultimo che nell’Apocalisse corri-sponde ad altri due titoli: l’Alfa e l’Omega, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, appunto il primo e l’ultimo ovvero Gesù si presenta come l’unico vero fonda-mento della vita della Chiesa.

È il primo perché è all’origine di ciò che siamo, è l’ultimo perché è colui che porta a compimento tutto quello che noi spesso nella nostra povertà, nel nostro limite riu-sciamo soltanto a iniziare senza riuscire a portare a termine.

Ma non occorre percepire con angoscia questa povertà questa incompiutezza, que-sta incapacità di portare sino in fondo quello che facciamo, perché se confidiamo nel Signore siamo certi che sarà lui, il primo e l’ultimo a portare a compimento ciò che noi avremmo cercato di vivere non secondo logiche di efficienza ma secondo logiche di coerenza evangelica, perché se ciò che facciamo è coerente al Vangelo, alla sua parola, alla sua promessa, sarà il Signore a compiere quello che noi a volte nella no-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

Kairòs -2013 36

stra povertà rischiamo sempre di lasciare un po’ a metà, un po’ sospeso.

6.5 La promessa

A questa Chiesa così povera il signore promette la vita in pienezza lo fa con due im-magini, la prima negativa e la seconda positiva. In negativo nel versetto 11 dice:

Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte.

Questa immagine semitica ricorre in altri due passi dell’Apocalisse, verso la fine del libro ai capitoli 20 e 21, ed è un’immagine semitica per alludere a una morte da cui non c’è ritorno.

La seconda morte è una morte da cui non c’è ritorno. Dalla prima morte c’è ritorno perché il Signore ci rende partecipi della sua Pasqua e della sua Resurrezione a con-dizione che confidiamo in lui.

Se al contrario ci separiamo da lui, confidiamo in noi stessi anziché confidare nella sua vita, nella sua resurrezione, ecco allora che arriveremo a bere sino in fondo il ca-lice della seconda morte, in quanto separati da lui, siamo separati dalla sua vita, dal suo amore che è più forte della morte.

Poi c’è in positivo una promessa nel versetto 10: Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita.

Smirne era una città importante dell’Asia Minore, tale da contendere il primato, in-sieme a Pergamo, a Efeso, la capitale della provincia, ed era una città famosa anche per i suoi giochi in cui l’atleta gareggiava per vincere e ricevere la corona di alloro, la corona della vittoria.

E allora alla Chiesa di Smirne il Risorto ricorda che la corona che occorre conquistare non è quella dei giochi atletici, ma la corona della vita che il Signora dona non a chi è forte come un atleta, ma a chi è povero e debole perché nella sua povertà e debo-lezza sa confidare in lui e sa vivere una fedeltà che sa giungere sino alla morte, ma chi muore nel Signore non gusta la seconda morte e riceve la corona della vita in pienezza.

6.6 La confessione

Quello che il Signore scrive ai cristiani di Smirne lo dice anche a noi oggi. Questa sua parola può aiutarci a vivere bene il sacramento della riconciliazione che adesso chi vorrà potrà ricevere, in fondo confessare il nostro peccato significa confessare sem-pre allo stesso tempo la nostra povertà, il nostro limite, ma anche la nostra fede in lui, la nostra fede nel risorto che ci arricchisce con la sua misericordia e con il suo perdono se ci riconosciamo poveri siamo ricchi, sei povera eppure sei ricca dice il Si-gnore alla Chiesa di Smirne.

Egli è colui che era morto ed è tornato alla vita

ci ricorda il versetto 8 quando il Signore si presenta come il primo e l’ultimo, colui che era morto ed è tornato alla vita e in questo modo il Signore ci promette che fa

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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morire anche noi al peccato per farci rinascere a una vita nuova, simboleggiata da questa corona della vita, che ci promette e ci dona.

Questa lettera così come le altre ci aiuta a vivere bene il nostro cammino penitenzia-le di conversione perché ci ricorda che il punto di partenza non è il nostro peccato, non è la nostra povertà, ma il punto si partenza è sempre il modo in cui il Signore si rivela nella nostra vita e ci fa conoscere un tratto del suo volto e del suo mistero ed è per questo che ogni lettera si apre con un’autopresentazione del Signore. Poi c’è anche l’esame di coscienza, c’è il discernimento ma innanzitutto c’è il Signore che dice chi è, che ci rivela un tratto del suo mistero.

Ogni volta che ci accostiamo al sacramento della penitenza, non dobbiamo anzitutto porre il nostro sguardo sul nostro peccato ma sul volto del Signore che giudica la no-stra vita e quindi pone il nostro sguardo anche sulla sua promessa, che ci darà sem-pre, di sperare in una vita nuova, una vita che non nasce dalla nostra ricchezza, ma dalla nostra povertà a condizione che sia vissuta in relazione con Lui confidando nel-la sua misericordia, confidando nel suo amore.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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7 Io sto alla porta e busso

Dell’ultima delle sette lettere alle Chiese dell’Asia Minore, la lettera alla Chiesa di Laodicea, abbiamo già anticipato qualcosa parlando della lettera alla Chiesa di Smir-ne, ora la possiamo ascoltare e approfondire nella riflessione di questa sera.

7.1 La lettera alla Chiesa di Laodicea: Ap 3,14-22

14 All'angelo della Chiesa di Laodicèa scrivi: Così parla l'Amen, il Testimone degno di fedele e veritiero, il Principio della creazione di Dio: 15 Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! 16 Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. 17 Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla", ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo.18 Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diven-tare ricco, e abiti bianchi per vestirti perché non appaia la tua vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista. 19 Io tutti quelli che amo li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convertiti. 20 Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. 21 Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e mi siedo con il Pa-dre mio sul suo trono. 22 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

Anche questa lettera alla Chiesa di Laodicea segue lo schema delle altre lettere, però in questa lettera c’è anche una particolarità che possiamo subito sottolineare. Nelle altre lettere il giudizio del Signore comprendeva sia lodi, sia rimproveri, la comunità di Efeso era anzitutto lodata per la sua fatica per la sua perseveranza nella prova, la sua costanza, ma poi veniva rimproverata per aver abbandonato il suo primo amore, l’amore di un tempo, l’amore che viene prima.

Per Smirne addirittura non ci sono rimproveri, ci sono solo le lodi, senza rimprovero e senza avvertimento.

Invece, se avete fatto attenzione a questa lettera alla Chiesa di Laodicea, per questa Chiesa il Signore non ha lodi da rivolgere, ma ci sono solo rimproveri. Questa è l’ultima lettera ma è anche la lettera più dura tra le sette.

Quindi la situazione di questa Chiesa è particolarmente grave agli occhi del Risorto e quindi richiede un giudizio più radicale, un ammonimento più forte, più severo. Nell’esaminare questo testo allora possiamo partire proprio dal discernimento che la parola del Risorto opera nella vita di questa Chiesa con l’esame di coscienza che fa fare a questa Chiesa, e che troviamo in particolare nei versetti 15,16 e 17.

Poi recupereremo, alla luce di questo esame di coscienza, anche il modo in cui il Si-gnore si presenta a questa Chiesa nei versetti che precedono, in particolare nel ver-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

Kairòs -2013 39

setto 14.

Anche a questa Chiesa come alle altre il Signore dice: 15 conosco le tue opere

Qui in greco c’è il verbo oida che esprime una conoscenza profonda, non superficia-le, che scende nella verità della situazione. Perché è una conoscenza profonda? Per-ché è una conoscenza che matura nell’amore, anche questo è da sottolineare, è il conoscere amando. Lo afferma il Signore stesso quando al versetto 19 dice alla Chie-sa di Laodicea:

19 Io tutti quelli che amo li rimprovero e li educo.

Fortunatamente la traduzione della CEI, quella che stiamo leggendo, ha corretto il testo vecchio dove leggevamo: tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo, ma il verbo là non è esatto perché in greco c’è il verbo palideu, che è il verbo tipico che si-gnifica proprio educare. Il Signore educa.

E dunque il rimprovero del Signore nasce dall’amore e ha come unico scopo quello di educarci a riconoscere, ad accogliere, quest’amore, affinché anche noi possiamo amare, impariamo ad amare come lui ci ha amati. Il Signore ci ama e ci educa ad amare. Questo è lo scopo fondamentale della sua parola anche di questa parola che rivolge alla Chiesa di Laodicea.

7.2 Il rimprovero

E comunque il rimprovero è severo e denota proprio questa mancanza di amore:

15 tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! 16 Ma poi-ché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.

E qui l’immagine è particolarmente dura, è particolarmente forte:

16 sto per vomitarti dalla mia bocca.

Quindi c’è qualcosa nella vita di questa comunità che il Signore non può assoluta-mente tollerare. Qui dobbiamo fare attenzione perché quello che il Signore non può tollerare non è la gravità di qualche peccato, neppure una situazione particolarmen-te difficile come quelle che vengono rimproverate alla Chiese precedenti.

Si veda in particolare il rimprovero alla Chiesa di Efeso di aver perduto il primo amo-re e nelle altre lettere la minaccia per la fede e per l’ortodossia che il Signore rim-provera alla comunità di Pergamo e di Tiatira.

Laodicea non conosce neppure la condizione di morte spirituale che si trova ed è rimproverata alla comunità di Sardi con una delle altre lettere che la precedono.

Non c’è niente di tutto questo.

Laodicea è rimproverata per non essere né calda né fredda, cioè si trova in una con-dizione che non è caratterizzata da mancanze particolarmente gravi, ma da tiepidez-za, cioè potremmo dire, dall’incapacità di assumere scelte chiare, scelte radicali.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

Kairòs -2013 40

Probabilmente possiamo immaginare, il testo ce lo fa un po’ intuire ma non lo dice chiaramente, che in questa Chiesa viva una fede, un amore che scende facilmente a patti, a compromessi con le logiche del mondo senza il coraggio di sposare fedel-mente tutte le esigenze evangeliche e di viverle fino in fondo.

Allora possiamo immaginare questa timidezza anche come un essersi adagiata in modo un po’ accidioso in una situazione di mediocrità, è la timidezza di chi è medio-cre. È una comunità che conduce una vita cristiana senza peccati, senza negligenze particolarmente gravi, ma anche senza slancio, senza amore, senza la vigilanza, la tensione interiore necessaria per camminare con perseveranza, ma anche con slan-cio, con ardore in una via di conversione di fedeltà al Vangelo.

Potremmo dire che la Chiesa è in preda a una sorta di pigrizia, a un sonno spirituale che fa pensare che le cose vanno bene così, che bisogna accontentarsi di ciò che si vive senza cercare grandi novità o ancora pensando che nessun vero cambiamento, nessuna conversione sia possibile oppure ritenendo che sia troppo faticoso e quindi è meglio non impegnarsi, e comportarsi e fare come si è sempre fatto.

E qui credo che dobbiamo fare molta attenzione, perché forse il volto delle nostre comunità rischia di assomigliare maggiormente a questa Chiesa di Laodicea che non a quella delle altre Chiese che la precedono.

Noi non viviamo situazioni di persecuzione particolarmente gravi che ci mettono alla prova nella nostra perseveranza, nella nostra fedeltà almeno non qui da noi, mentre sappiamo come altre comunità di fratelli cristiani in altre parti del mondo siano in una situazione di prova e di persecuzione molto più ardue da sopportare.

Probabilmente tra di noi non ci sono movimenti eretici che minacciano la nostra fe-de, non ci sono segni di morte spirituale, piuttosto le nostre comunità possono ri-schiare di adagiarsi in una mediocrità senza fervore che assume quasi senza accor-gersene logiche mondane o scende a facili compromessi con le logiche del mondo anziché confidare nell’unica signoria del Signore Gesù, ebbene per il Signore Risorto questa situazione appare peggiore di altre, non la può sopportare, sto per vomitarti.

Possiamo immaginarne il motivo, nella sua misericordia Dio perdona e guarisce il nostro peccato per quanto grande sia, non c’è peccato per quanto grande sia che non possa essere perdonato dalla misericordia del Signore, però perdona il peccato di chi lo riconosce, di chi si affida, di chi confida nella sua salvezza, invece il Signore può fare ben poco per chi si accontenta di ciò che già vive e non è animato da una tensione continua verso una novità di vita.

Qui non dobbiamo mai dimenticare, l’Apocalisse ce lo ha ricordato sin dalla prima visione, quella iniziale che abbiamo visto rapidamente, il Signore è presente in mez-zo a noi come il Risorto e quindi vuol dire che è presente in messo a noi con la sua forza la sua potenza di resurrezione e di vita nuova. Una potenza di resurrezione che davvero può trasformare la nostra vita, sia la nostra vita personale e sia la vita delle

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

Kairòs -2013 41

nostre comunità rendendola sempre nuova.

In fondo il Signore Risorto è in mezzo a noi come colui che dice anche a noi la stessa parola che dice nel vangelo di Giovanni al Lazzaro:

Lazzaro esci fuori dal tuo sepolcro esci da una condizione di morte spiritua-le, inizia a camminare in una novità di vita.

Noi spesso rischiamo come vive la comunità di Laodicea di non essere capaci di ascoltare, di credere, di obbedire a questa parola che ci chiama alla vita. Preferiamo rimanere adagiati nel sepolcro delle nostre pigrizie spirituali anziché accogliere que-sta parola che ci chiama a uscire fuori e a intraprendere con slancio, con vitalità, an-che con amore, con gioia, le vie nuove, le vie della vita.

Lazzaro ascolta e obbedisce prontamente, noi non sempre viviamo la stessa fede e la stessa obbedienza alla parola del Signore. Questo è il vero problema della fede perché credere nella Risurrezione non significa semplicemente che il Signore è risor-to, ma significa più profondamente che egli, proprio perché risorto nella sua potenza di resurrezione, può già da ora donarci una vita nuova trasformando la nostra esi-stenza e facendola uscire da questa tiepidezza, da questa mediocrità, da questa pi-grizia in cui noi spesso rischiamo di rifugiarci e forse un po’ di rintanarci.

La lettera che stiamo leggendo mette in luce anche qual è la radice di questo atteg-giamento, cosa c’è al fondo di questo atteggiamento, così tiepido, così mediocre, co-sì pigro. Credo che lo troviamo espresso soprattutto dove il Signore dice rivolgendosi all’angelo della Chiesa di Laodicea:

17 Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla"

È l’atteggiamento della ricchezza contrapposta alla povertà che vedevamo ieri carat-terizzare la Chiesa di Smirne, una ricchezza che non è solo materiale ma si riduce so-pratutto in una ricchezza spirituale, cioè una autosufficienza orgogliosa che può por-tare a dire non ho bisogno di nulla e dunque non bisogno neppure del Signore, non ho bisogno dei suoi doni, della su grazia, del suo perdono.

Chi si vanta di avere tutto si rinchiude nella sfera di ciò che già possiede e rischia an-che di adagiarsi in ciò che già vive pensando di trovare lì ciò che è, cioè trovare la propria salvezza in ciò che già vive.

Questo è l’inganno della ricchezza e il motivo per cui ad esempio il vangelo di Luca definisce la ricchezza iniqua o disonesta, non semplicemente perché può essere ac-quistata e mantenuta attraverso mezzi disponesti come purtroppo spesso avviene, ma per una radice più profonda, essa è iniqua e disonesta perché inganna l’uomo facendogli balenare davanti agli occhi una promessa di bene, una promessa di vita che invece non può mantenere. È il grande inganno.

Con altri termini ci inganna illudendoci di poter fondare la nostra vita, la nostra feli-cità su ciò che possediamo, anziché su Dio e sulla relazione che viviamo con lui.

L’uomo pensa di potersi salvare da solo attraverso ciò che fa, attraverso ciò che

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

Kairòs -2013 42

conquista, attraverso ciò che possiede dimenticando invece di essere bisognoso di essere salvato dall’amore di un altro, ed ecco che la ricchezza diventa il grande idolo, la grande idolatria che inganna il nostro cuore.

E questo è l’atteggiamento grave che il Signore non può sopportare e che caratteriz-za la comunità di Laodicea la quale afferma con sicurezza: non ho bisogno di nulla, dimenticando che la sua vita dipende dall’affidamento a Dio e non dalla confidenza autosufficiente nelle proprie risorse.

Questo inganno della disonesta e iniqua ricchezza, come direbbe Luca, viene sma-scherarlo dalla parola che il Risorto rivolge all’angelo di questa Chiesa: tu pensi di non aver bisogno di nulla e invece:

non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo.

Questa è la situazione contrapposta rispetto a Smirne, tu sei una Chiesa povera ep-pure sei ricca, dice il Signore, mentre qui abbiamo una Chiesa che pensa di essere ricca invece il Signore le dice non ti accorgi di essere infelice, miserabile, povera, cie-ca e nuda. Questo è il peccato più grave, ovvero il pericolo più grave per il credente e anche per una comunità: presumere di essere ricco e scoprire invece di essere po-vero, pretendere di vedere, mentre invece si rimane ciechi.

Forse qui, per capire possiamo riascoltare una parola altrettanto dura che dice Gesù nel vangelo di Giovanni nel capitolo IX dopo la guarigione del cieco nato nel dialogo polemico con i farisei:

se foste ciechi non avreste alcun peccato, ma siccome dite noi vediamo, il vostro peccato rimane (Gv.9,41)

Il vostro peccato rimane non tanto perché Gesù non voglia o non possa perdonarlo, ma perché voi stessi non chiedete di essere perdonati e ritenete di non aver bisogno di questo perdono, perché pensate di vedere, presumete di vedere, con l’autosufficienza di chi s’illude di non avere bisogno di nulla e dunque di non avere bisogno della salvezza di Dio.

Dunque l’atteggiamento spirituale della Chiesa di Laodicea è esattamente capovolto rispetto l’atteggiamento dei poveri di spirito che Gesù proclama beati nel discorso della montagna di Matteo (5) e anche di Luca (6).

Essere poveri di spirito significa riconoscere la propria povertà, la propria cecità, la propria nudità, per vivere nell’affidamento al Signore, nella dipendenza del suo do-no.

Qui vorrei commentare questo aspetto e ricorre ad alcune parole di don Bruno Maggioni il quale in modo molto centrato:

Non c’è nella Bibbia una mistica della povertà, bensì una mistica della di-pendenza da Dio. La povertà è un valore nella misura in cui favorisce la fe-de e la dipendenza da Dio. La povertà dai beni non è al centro della figura del povero del Signore ma soltanto la cornice, anche se si tratta di una

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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cornice importante. Il centro è un vivo senso della dipendenza da Dio da quale solo si attende salvezza. Il povero del Signore si definisce anzitutto per un atteggiamento interiore di fede, di fiducia, di abbandono, atteg-giamento questo, ripetiamolo che può germogliare pienamente soltanto in una situazione concreta di povertà. Il ricco infatti è facilmente illuso e di-stratto dai molti beni che possiede e confida in sé stesso.

Questa è la situazione in cui si trova la Chiesa di Laodicea, dell’autosufficienza anzi-ché della dipendenza dal dono di Dio e per questo motivo allora capiamo un po’ me-glio il Signore non può che vomitarla dalla sua bocca, non perché voglia rigettare questa comunità che pure ama, lo dice chiaramente: io tutti quelli che amo, e quindi ama anche questa comunità, ma il problema è che questa comunità si pone lei stes-sa al di fuori dell’amore del Signore, perché si illude di poter fare a meno di lui e dei suoi doni. La sua cecità non è il non vedere ma il chiudere gli occhi pensando di non aver bisogno di vedere, di potere fare a meno di vedere il volto del suo Dio e di do-ver dipendere dal rapporto, dalla relazione con questo volto.

Per questo motivo il consiglio, l’invito alla conversione che la parola di Dio rivolge

alla vostra comunità e di ricuperare in pieno un vivo senso di dipendenza dai doni

di Dio.

7.3 L’invito alla conversione e i doni

Anche in questa lettera seguendo lo schema di tutte le altre lettere, dopo l’esame di coscienza, c’è l’invito alla conversione, un ammonimento, un suggerimento su come cambiare vita e questo invito alla conversione qui risuona:

18 Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, abiti bianchi per vestirti perché non appaia la tua vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista.

Il Signore a questa comunità promette tre doni, consiglia di acquisire questi tre doni, i tre beni che questa comunità a maggiormente bisogno per vincere la sua tiepidezza per superare la sua pigrizia, la sua morte spirituale.

Il primo dono è l’oro purificato dal fuoco, la vera ricchezza è quella che viene dal Si-gnore, non quella che viene dal mondo, quella che riceviamo secondo le logiche del Vangelo, non secondo logiche mondane, ma la ricchezza di Dio ha sempre questa qualità: è oro sì, ma purificato dal fuoco; nel linguaggio biblico la purificazione col fuoco allude sempre al tema della lotta, della prova, del combattimento spirituale, del cammino nel deserto, quindi questa ricchezza la si acquisisce sempre combat-tendo contro l’amore proprio, per giungere al dono di sé nell’amore, è la ricchezza che passa non attraverso la logica di possesso, di ricerca di sé ma attraverso la logica contrapposta del dono di sé, della condivisione, dell’amore, è la ricchezza che non si conquista con voracità, con egoismo, ma al contrario vivendo la logica evangelica del perdere la propria vita, del donare la propria vita per guadagnarla davvero.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

Kairòs -2013 44

Il secondo dono sono: le vesti bianche per coprire la tua nudità; nella bibbia la veste è sempre il simbolo di una relazione riuscita, mentre la nudità è simbolo di una rela-zione fallita, ricordate dopo il peccato di Adamo ed Eva, nel momento in cui il pecca-to interrompe la relazione con Dio, ma anche tra Adamo ed Eva e anche con tutte le altre creature del giardino, Adamo ed Eva si accorgono di essere nudi e ne provano vergogna.

E anche la comunità di Laodicea deve diventare consapevole di questa nudità vergo-gnosa, simbolo della sua autosufficienza che le impedisce di vivere una vera relazio-ne col Signore e con gli altri. Anche lei si trova una situazione di relazione fallita, di relazione che non riesce, che non si compie. Allora ciò che il Signore desidera donare a questa Chiesa è una vesta bianca. Ricordata che anche dopo il peccato di Adamo ed Eva il primo gesto di misericordia che Dio compie è di donare loro delle vesti, cu-cendo per loro tuniche ti pelle, in questo modo il Signore dice qual è la tentazione, ancora una volta la tentazione dell’autosufficienza con cui Adamo ed Eva cercano di rimediare al proprio peccato, la propria nudità, ricordate che si coprono con delle foglie di fico, cercano da soli di rimediare alla propria nudità, ma questo è un tenta-tivo inutile. Solo il Signore, solo la sua misericordia può rivestirci delle vesti che pos-sono davvero coprire la nostra nudità.

Quindi anche di fronte al peccato non dobbiamo arrangiarsi da soli, ma dobbiamo confidare nella misericordia di Dio che ci riveste delle sue vesti. Questa veste bianca è uno dei grandi simboli con cui si chiude il libro dell’Apocalisse, quando appunto la fidanzata che si prepara la diventare la sposa, si preoccupa come ogni sposa di pro-curarsi l’abito nuziale, ecco la veste bianca, ma anche lì verrà detto che la veste bianca è lo sposo che la dona.

Dobbiamo vivere dalla dipendenza da questo dono di Dio.

Il terzo dono è il collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista. A questa comuni-tà che pretende di vedere e invece rimane cieca, il Signore promette di guarire gli occhi col suo collirio perché possa finalmente vedere e vedere bene. Per vedere be-ne significa due cose: essere da un lato consapevoli del proprio bisogno, t’illudi di essere ricca e invece devi accorgerti di essere povera e dall’altro riconoscere chi davvero può colmare di beni questa povertà. Non siamo noi confidando nei nostri beni o nella promessa mondana di ricchezza che avviene con le logiche del mondo, ma l’unico che può colmarci della vera ricchezza è il Signore, è al suo dono che dob-biamo affidarci.

Infatti la conversione a cui sollecita questa Chiesa consiste proprio nell’invito a ca-povolgere l’atteggiamento che questa Chiesa vive, infatti le dice: ti consiglio di com-perare da me, sia l’oro, sia la veste e sia il collirio; ed è fondamentale questo compe-rare da me e a questo devi convertirti, non devi confidare in te stessa, ma devi com-perare da me, cioè devi confidare solamente in ciò che io solo posso donarti.

Allora ecco l’invito alla conversione:

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

Kairòs -2013 45

19 Io tutti quelli che amo li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e con-vertiti

Sii dunque zelante e ravvediti, è nel liberare questo atteggiamento radicale dalla au-tosufficienza, dalla dipendenza, che consiste la conversione che la Chiesa di Laodicea deve vivere.

Allora in questa luce, cominciamo a capire meglio i tre titoli con cui all’inizio della lettera il Risorto si presenta a questa Chiesa e rivela il suo volto:

14 Così parla l'Amen, il Testimone degno di fedele e veritiero, il Principio della creazione di Dio

Ricordiamo questi tre titoli, queste tre immagini con cui il Risorto rivela sé stesso. Egli è il principio della creazione di Dio, corrisponde un po’ anche a quello che aveva detto alla Chiesa di Smirne, io sono il primo e l’ultimo, io sono il principio.

A questa Chiesa ricca, autosufficiente, che s’illude di poter bastare a sé stessa il Ri-sorto ricorda che il principio della sua vita può essere solamente lui con i suoi doni, con la sua parola, col suo perdono, con la sua misericordia, con la sua correzione, in una parola, col suo amore: io tutti quelli che amo.

Poi c’è il Signore al principio della nostra vita, di tutto ciò che siamo, viviamo, deci-diamo, oppure la nostra vita rimane infelice, miserabile, povera, ceca, nuda, questi terribili aggettivi che la parola del Signore rivolge a questa Chiesa.

È lui, il nostro vero bene, potremmo dire: è lui la nostra vera ricchezza.

Ed è l’amen, non solo il principio della creazione, ma c’è anche quest’affermazione, che significa che lui è il vero fondamento della nostra vita, il fondamento su cui la nostra vita può costruirsi come casa edificata sulla roccia e non sulla sabbia.

Possiamo qui ricordare quella parola che Gesù dice nei vangeli a proposito del rap-porto con le ricchezze:

24 Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o pre-ferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammo-na.(Mt.6,24)

La nuova traduzione della CEI sostituisce il termine mammona, che è ormai un ter-mine desueto che non capiamo più, con ricchezza, però può essere utile conservare questo termine. Gesù che definisce questa ricchezza come mammona, perché è un termine importante che in aramaico ha la stessa radice di amen, sono due termini simili e quindi è come Gesù dicesse qual è il vero fondamento della tua vita, qual è il vero amen su cui costruisce la tua vita. O sono io o sono le tue ricchezze con tutto ciò che simbolicamente le ricchezze rappresentano.

Perché anche in questo si manifesta l’inganno della ricchezza, ci illudiamo di essere noi a possederle, e invece sono le ricchezze ad impossessarsi del nostro cuore e del-la nostra vita e in qualche modo ci rendono un po’ schiavi, mentre la signoria del Ri-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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sorto è sempre una signoria liberante che ci dona la vera libertà, che è la libertà dell’amore, mentre al contrario la signoria della ricchezza ci rende schiavi, ci impri-giona nelle logiche dell’egoismo, del possesso che non sono logiche di libertà.

Cristo deve essere l’amen della nostra vita, e questo significa anche, ed è il terzo ti-tolo con cui si rivela alla Chiesa di Laodicea che lui è il testimone fedele e verace, il testimone degno di fede e veritiero.

Come ricorda san Paolo alla comunità di Corinto nella seconda lettera che scrive a quella Chiesa:

20 E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria.(1,20)

Le promesse di Dio in Cristo sono diventate un sì per un duplice motivo o potremmo dire che il sì è duplice: in Gesù c’è il vero definitivo sì che Dio dice alla nostra umani-tà, la fedeltà di Dio per noi per la nostra vita, ma in Gesù c’è anche il sì definitivo che noi diventiamo finalmente capaci di dire a Dio. Ecco in Gesù c’è l’incontro di questo duplice sì, il sì che Dio dice a noi uomini e il sì che noi diciamo a Dio.

Il Signore fedele non ci inganna mentre le ricchezze sono inique, disponeste perché ci ingannano promettendoci un bene, facendoci una promessa che poi non riescono a mantenere, invece il Signore Risorto è fedele, è veritiero, compie le sue promesse e noi non dobbiamo avere alcuna paura che ci deluda. E per questo è il vero amen, il vero fondamento della nostra vita. Un altro fondamento altrettanto affidabile non esiste non lo troviamo, ci inganniamo, ci illudiamo se lo andiamo a cercare altrove.

E questa fedeltà del Signore, questo essere l’amen che Dio dice a noi, il s’ che dice a noi, si rivela con una bellissima immagine che risuona nel nostro testo che fa un po’ da titolo al nostro incontro di questa sera:

20 Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.

7.4 La promessa di tenerezza

Ecco dicevo che la lettera alla Chiesa di Laodicea è la più dura, quella che contiene il rimprovero più severo tra tutte le sette lettere e nello stesso tempo è anche la lette-ra più premurosa, quella che contiene la promessa di vita più grande, questa comu-nione intima con il Signore Risorto, o meglio questa comunione che il Signore vuole creare non solo con la Chiesa, ma con ogni membro all’interno della comunità:

se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre,

Qui il discorso si fa veramente tenero, personalissimo, quasi intimo, a essere inter-pellata da questa parola non è solo la comunità nel suo insieme, ma la vita di ciascu-no di noi.

Questa immagine della porta, alla quale il Signore bussa, richiama anche Il Cantico

dei Cantici, con lo sposo che bussa alla porta della sua amata, della sua sposa. È un linguaggio sponsale con cui il Signore Risorto vuole davvero entrare in una comunio-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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ne d’amore con la vita di ciascuno di noi.

Una comunione che poi viene anche espressa con questa metafora del mangiare in-sieme che indubbiamente richiama anche la cena eucaristica, l’Eucarestia che l’uomo privilegiato, di cui noi oggi possiamo già vivere di questa comunione profon-da con il Signore.

Non dimentichiamo ciò che dicevo la prima sera, tutta l’Apocalisse si colloca nel cli-ma liturgico di una comunità che nel giorno del Signore spezza il pane, celebra l’Eucarestia nella memoria della sua Pasqua.

Ma la cosa che dobbiamo osservare è proprio questa, che la promessa più grande viene fatta proprio alla Chiesa che si trova in una situazione più grave delle altre, al rimprovero più severo, il Signore accompagna la promessa di un amore più grande.

Egli, come ci rivelano i vangeli, è sempre colui che viene a cercare non i sani, ma i malati, non i giusti, ma i peccatori e desidera donare la sua misericordia a coloro che maggiormente ne hanno bisogno, purché appunto riconoscano questo bisogno, ri-conoscano questa dipendenza, non si chiudano nella loro autosufficienza.

Non si tratta di chiudere ma di aprire, non si tratta di chiudere la porta per rintanarci nelle nostre autosufficienze, ma si tratta di ascoltare la sua voce, di aprirgli la porta, di accoglierlo nella nostra vita perché lui solo può darci quei doni che conducono la nostra esistenza alla pienezza e anche alla pienezza di felicità.

7.5 La proposta

Lasciare che nel silenzio e nella preghiera il Signore possa bussare alla porta della vostra vita personale e anche a quella delle nostre comunità. E in questa preghiera silenziosa potranno maturare anche alcune invocazioni, richieste, anche impegni di conversione che intendiamo personalmente assumere e che chiediamo al Signore di portare a compimento. Possiamo in modo più particolare domandarci quali ricchez-ze, quali atteggiamenti di autosufficienza spirituale possano ostacolare la nostra re-lazione con il Signore, sia nella vita personale, sia in quella comunitaria.

Su che cosa fondiamo le nostre esistenze, le nostre decisioni, quali sono i nostri cri-teri di giudizio?

Quali doni abbiamo maggiormente bisogno di ricevere da lui?

La parola di Dio, ci dice oggi questa lettera, è anche un collirio per i nostri occhi.

Quali segni di tiepidezza ci consente di conoscere nella nostra vita e in quella delle nostre comunità?

Come possiamo trasformare la nostra preghiera e la nostra riflessione in qualche impegno da assumere nella nostra vita spirituale o negli altri ambiti in cui la nostra esistenza si svolge, nella famiglia, nel lavoro, negli impegni professionali, negli impe-gni della comunità ecclesiale e così via?

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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La proposta di questa sera è di scrivere qualcosa che matura nella vostra preghiera, di scriverlo su un pezzo di carta, per dare un valore simbolico a questo gesto molto semplice che possiamo caricare di un valore simbolico.

Se ricordate nel nostro primo incontro ho sottolineato come il Signore si rivolge alle nostre Chiese con delle lettere scritte, scrivi, è il comando che riceve il veggente dell’Apocalisse e possiamo ritenere questo comando rivolto anche a noi, come la pa-rola del Signore scritta perché è una parola che rimane, segno che la sua promessa è affidabile, fedele, non viene meno, come ci ha ricordato la lettera alla Chiesa di Lao-dicea, lui è l’amen fedele.

Anche la nostra risposta può essere questa sera una risposta scritta, perché deside-riamo a nostra volta assegnare un valore di fedeltà e di affidabilità al nostro impe-gno e alla nostra preghiera, una parola che rimane perché scritta.

Poi questi nostri fogli verranno raccolti e deposti ai piedi dell’ambone, dove è stata posta la parola di Dio, con questa parola che è segno della presenza del Risorto in mezzo a noi anche questa sera. La nostra fedeltà infatti ha sempre bisogno di fon-darsi sulla fedeltà del Signore, sulla fedeltà della sua Pasqua, sulla fedeltà della sua parola.

È lui che ci promette di portare a compimento ciò che noi desideriamo vivere nel suo nome. Solo lui può portare a compimento perché solo lui è l’amen, il testimonio degno di fede veritiero, il principio della creazione di Dio.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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8 L’Agnello aprirà il libro e i suoi sette sigilli

Dopo la lettura di tre delle sette lettere alle chiese dell’Asia Minore, stasera conclu-diamo i nostri incontri con la visione dell’Agnello, descritta al capitolo V con qualche accenno al capitolo IV.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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8.1 Premessa sulla struttura del libro

Prima di entrare nell’interpretazione di queste pagine, testi fondamentali di tutto il libro dell’Apocalisse, può essere utile richiamare l’articolazione fondamentale dell’intero libro, per capire bene in che punto ci troviamo e fare sintesi e memoria del cammino percorso nei precedenti incontri.

Dobbiamo fare particolare attenzione a come l’Apocalisse è costruita dal punto di vi-sta letterario, perche ci aiuta poi a capire il senso di questi capitoli.

L’Apocalisse è suddivisa in due grandi parti, precedute da un prologo e concluse da un epilogo.

Una prima parte, molto più breve della seconda, che si estende nei primi tre capitoli a partire dal versetto 9 del primo capitolo a tutto il capitolo III, costituita dalla visio-ne iniziale del Risorto, sulla quale ci siamo soffermati nel primo incontro, e poi dalle lettere alle sette chiese.

Nella seconda parte dal capitolo IV al capitolo XXII, le chiese in qualche modo purifi-cate dalla parola di Cristo che hanno accolto, iniziano a discernere i segni dei tempi per capire il significato della storia che stanno vivendo e soprattutto per riconoscere, pur nelle innumerevoli difficoltà a vivere sofferenze che segnano questa storia, co-munque la presenza del Risorto che assicura la vittoria su ogni forma di male che minaccia la nostra vita.

Allora è importante capire il senso di questa costruzione letteraria. Dopo che la co-munità cristiana si è lasciata purificare, convertire, trasformare dalla parola del Ri-sorto delle sette lettere, diviene capace di discerne in profondità, alla luce del miste-ro di Dio, il senso della storia che sta vivendo.

8.2 La visione dell’Agnello

Capitolo 4

1Poi vidi: ecco, una porta era aperta nel cielo. La voce, che prima avevo udito parlarmi come una tromba, diceva:

Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito.

2Subito fui preso dallo Spirito. Ed ecco, c’era un trono nel cielo, e sul trono Uno stava seduto. 3Colui che stava seduto era simile nell’aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile nell’aspetto a smeraldo avvolgeva il tro-no. 4Attorno al trono c’erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro anziani avvolti in candide vesti con corone d’oro sul capo. 5Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; ardevano davanti al trono sette fiaccole accese, che sono i sette spiriti di Dio. 6Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi, pieni d’occhi davanti e dietro. 7Il primo vivente era simile a un leone; il secondo vivente era simile a un vitello; il terzo vivente

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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aveva l’aspetto come di uomo; il quarto vivente era simile a un’aquila che vola. 8I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di ripetere:

Santo, santo, santo

il Signore Dio, l’Onnipotente,

Colui che era, che è e che viene!

9E ogni volta che questi esseri viventi rendono gloria, onore e grazie a Colui che è seduto sul trono e che vive nei secoli dei secoli, 10i ventiquattro an-ziani si prostrano davanti a Colui che siede sul trono e adorano Colui che vive nei secoli dei secoli e gettano le loro corone davanti al trono, dicendo:

11 Tu sei degno, o Signore e Dio nostro,

di ricevere la gloria, l’onore e la potenza,

perché tu hai creato tutte le cose,

per la tua volontà esistevano e furono create.

Capitolo V

1E vidi, nella mano destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. 2Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce:

Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?.

3Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra, era in grado di aprire il libro e di leggerlo. 4Io piangevo molto, perché non si trovava nessuno de-gno di aprire il libro e di leggerlo. 5Uno dei vegliardi mi disse:

Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di

Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli.

6Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dai ve-gliardi, un Agnello, in piedi, come immolato; aveva sette corna e sette oc-chi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. 7Giunse e pre-se il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono. 8E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi, 9e cantavano un canto nuovo:

Tu sei degno di prendere il libro

e di aprirne i sigilli,

perché sei stato immolato

e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue,

uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione,

10e hai fatto di loro, per il nostro Dio,

un regno e sacerdoti,

e regneranno sopra la terra».

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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11E vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia 12e dice-vano a gran voce:

L’Agnello, che è stato immolato,

è degno di ricevere potenza e ricchezza,

sapienza e forza,

onore, gloria e benedizione.

13Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano:

A Colui che siede sul trono e all’Agnello

lode, onore, gloria e potenza,

nei secoli dei secoli.

14E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.

Coi capitoli IV e V, ci collochiamo all’inizio di una nuova tappa del percorso che l’Apocalisse ci invita a compiere. Allora diventa per noi significativo che proprio all’inizio di questa seconda parte ritornino espressioni del tutto simili a quelle incon-trate all’inizio della prima parte. Al capitolo IV, dice:

2 Subito fui preso dallo Spirito. Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto.

che è la stessa espressione che abbiamo già incontrato nel capitolo I:

10 Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore

In questo modo Giovanni vuol farci capire che ciò che racconterà fino alla fine del li-bro dipende proprio da questa esperienza profonda dello Spirito che vive proprio nel giorno del Signore.

Continuiamo a essere nel contesto della medesima esperienza liturgica che avevamo incontrato nel capitolo I, nel giorno del Signore la comunità cristiana celebra l’Eucarestia e spezza il pane, facendo memoria della Pasqua del Signore Gesù.

Inoltre nel capitolo IV Giovanni scrive:

1Poi vidi: ecco, una porta era aperta nel cielo. La voce, che prima avevo udito parlarmi come una tromba, diceva: «Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito».

Dunque si tratta della stessa voce, della stessa parola potente che Giovanni aveva già ascoltato al capitolo I, e quello che va ricordato, costretto a voltarsi, e ora questa stessa voce lo invita a salire: Sali quassù, gli ordina.

Facciamo attenzione a questa sequenza importante per la vostra esperienza di fede: la voce potente del Risorto ordina dapprima Giovanni di voltarsi, in segno di conver-sione, poi gli ordina di salire in cielo per giungere al cospetto stesso del trono di Dio.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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E tutto questo sta a significare che ascoltare e accogliere la parola del Signore, dona anche noi la possibilità di vivere questo duplice movimento, ci convertiamo a lui e nello stesso tempo ci è consentito di salire:

Questa parola ci conduce all’incontro personale di comunione intima, potremmo anche dire d’incontro mistico col mistero di Dio.

Ogni volta che noi ascoltiamo la parola di Dio, in particolare in un contesto liturgico nel quale celebriamo comunitariamente la parola di Dio, viene offerta anche a noi la possibilità di vivere ciò che Giovanni vive cioè anche per noi la porta di apre, siamo invitati a salire al cospetto del trono di Dio e partecipare alla grande liturgia del cie-lo.

Facciamo attenzione a questa immagine della porta che si apre, ricordate che que-sto simbolo della porta lo abbiamo incontrato nella promessa di Gesù alla chiesa di Laodicea:

20 Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.

In questo versetto la porta simboleggia un po’ il nostro cuore, la nostra vita che deve aprirsi al Signore che viene a dimorare in noi, a sedersi alla mensa della nostra vita.

Ora al capitolo IV questa porta si apre al cielo per accogliere la nostra vita che è invi-tata a sua volta a salire nel mondo stesso di Dio.

Questa è l’esperienza di Dio che sempre facciamo, il Signore risorto chiede di essere accolto da noi, potremmo dire nella casa della nostra vita, ma poi ci introduce nella stessa casa in cui lui dimora presso il Padre, là dove egli stesso è, e da dove, ci ricor-da il Vangelo di Giovanni:

2 Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io va-do a prepararvi un posto; 3 quando sarò andato e vi avrò preparato un po-sto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io., lui stesso è andato a prepararci un posto (14)

Come noi ospitiamo il Signore e diveniamo suoi ospiti del mistero Trinitario di Dio, mentre si apre la porta del nostro cuore per accogliere in noi il Signore che viene, così si apre una porta in cielo per condurci nell’esperienza di Dio.

Quindi quella che qui ci viene descritta è un’esperienza che nello stesso tempo è personale e comunitaria, intima e liturgica.

Isacco il Siro, un grande monaco vissuto nel VI secolo dice: Discendi nel più profondo del tuo cuore e là che troverai la porta che si apre su cielo

Scendere nella profondità del proprio cuore significa salire in cielo alla presenza di Dio e ogni volta che noi attraversiamo questa porta che si apre al cielo, come fa Gio-vanni, diventiamo partecipi di una liturgia celeste, che non è altro che il riflesso della

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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verità più nascosta, più profonda di una liturgia terrestre che celebriamo ora nella nostra storia, nella nostra vita, nelle vite delle nostre comunità.

Nell’Apocalisse di Giovanni c’è questa porta aperta che comunica la terra col cielo, non c’è separazione, questo ci ricorda questo simbolo della porta aperta.

Per altro il verbo qui usato da Giovanni, è in greco un perfetto verbo passivo che fa riferimento all’azione di Dio, è lui che ha dischiuso questa via di comunicazione e l’ha fatto in modo permanente, come sottolinea il verbo perfetto, che in greco indi-ca sempre un’azione che è iniziata nel passato ma che permane nel tempo, un’azione che non passa, che dura. Questa porta è stata aperta e rimane aperta an-che per noi oggi.

Chi apre questa porta e quando questa porta è stata aperta?

È chiaro che è Dio ad averla aperta e l’ha aperta attraverso il Figlio e in particolare attraverso la sua Pasqua, come ricordano i racconti evangelici della Passione, soprat-tutto la versione sinottica: nel momento in cui Gesù muore, si squarcia, si apre il ve-lo del tempio.

Quel velo che prima impediva l’accesso agli uomini nel Santo dei Santi che custodiva la presenza di Dio nel tempio di Gerusalemme, ecco quel velo si squarcia perché ap-punto ora insieme a Gesù e grazie e Gesù anche noi possiamo salire ed entrare nel cospetto di Dio.

Non c’è più nessuna separazione, nessun velo che ci impedisce il cammino.

Il vangelo di Marco per descrivere questo squarciarsi del velo usa lo stesso verbo con cui descrive lo squarciarsi dei cieli nella scena del battesimo di Gesù. Gesù, in tutta la sua vita, dal momento iniziale, il battesimo, al momento finale, la croce, il cielo si squarcia, si apre e la terra degli uomini può finalmente comunicare col cielo di Dio, quel cielo che ha causa del nostro peccato si era chiuso e ora torna a essere un cielo aperto.

È la grande promessa che Gesù fa a Natanaele all’inizio del Vangelo di Giovanni

51 In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo.

È lui il Figlio dell’uomo a consentire questa comunicazione, a consentire questa di-scesa del cielo sulla nostra terra e questo salire di questa terra nel cielo di Dio. Pote-va dire ancor meglio è lui il Signore crocifisso e risorto è la vera porta del cielo, è la vera porta aperta come lui stesso afferma sempre nello stesso vangelo di Giovanni:

9 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.(10)

ossia troverà vita.

Ogni volta che noi, comunità cristiana, celebriamo la liturgia accogliamo in mezzo a noi il Signore risorto che è questa porta aperta che ci consente di entrare in comu-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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nione col mistero di Dio.

E qui dobbiamo fare attenzione a un secondo elemento, Giovanni è invitato ad at-traversare questa porta aperta non tanto e non soltanto per contemplare il mistero di Dio, ciò che avviene davanti al suo trono e viene descritto soprattutto nel capitolo IV ma anche nel capitolo V, ma viene invitato ad attraversare questa porta anche per guardare in modo diverso alla storia degli uomini. L’invito suona in questi termi-ni:

Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito.(4,1)

Espressione che si trova anche nel capitolo I, e poi torna in tutti gli episodi fonda-mentali dell’Apocalisse, all’inizio del prologo. nella prima parte, all’inizio della se-conda parte e poi tornerà all’inizio dell’epilogo. In tutte le grandi parti dell’Apocalisse ritorna in un modo più o meno simile questa espressione che, come abbiamo già detto la prima sera, non intende indicare la serie di fatti che devono ac-cadere ma piuttosto indicare il senso degli eventi.

Non vuole cioè dire che la rivelazione che Giovanni riceve riguarderà la previsione degli eventi futuri ma piuttosto la rivelazione del senso profondo che ha la storia guidata da Dio. È determinante questo uso del verbo dovere: ciò che deve accadere tra breve; questo dovere ricorda il piano di Dio e la sua salvezza che si realizza nella nostra storia.

Tutto questo è importante perché ci ricorda che ogni volta che noi celebriamo il mi-stero liturgico, ad esempio quando celebriamo l’Eucarestia, noi non evadiamo dalla storia, noi non cerchiamo di sfuggire alle assurdità e alle contraddizioni per rifugiarci in un luogo al riparo da tutto ciò che accade, tutt’altro, ogni volta che celebriamo noi entriamo più profondamente nella storia, in qualche modo la costruiamo, ma po-nendoci dalla parte di Dio in relazione coi suoi criteri di giudizio, affidandoci alla sua misericordia, confidando nella sua promessa di salvezza.

Celebrare la liturgia, fare Eucarestia significa vedere e comprendere le vicende degli uomini ma in modo diverso perché ora le comprendiamo con il cielo aperto. Questo è l’invito che l’Apocalisse offre oggi anche alla nostra comunità cristiana nelle nostre liturgie: imparare a guardare la storia in modo diverso, alla luce della promessa e del progetto di salvezza di Dio.

Giovanni, dopo che ha attraversato questa porta, assiste a una grande liturgia di do-nazione e di lode che ci celebra attorno e davanti al trono di Dio e che è descritta in due quadri, o meglio in due dittici dello stesso quadro, il primo dittico è il campitolo IV e il secondo dittico è il capitolo V.

Al capitolo V si dice che Giovanni vede nella mano destra di colui che è assiso sul trono un libro a forma di rotolo scritto sul lato interno e su quello esterno e sigillato con sette sigilli, appunto la grande visione del capitolo V.

Il rotolo è in mano a colui che siede sul trono, gli appartiene, appartiene alla sua si-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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gnoria, inoltre l’autore specifica che è nella sua mano destra, e il lato destro per la Bibbia è sempre il lato positivo. Quindi questo libro ha un valore positivo perché è nella mando destra.

La forma è quella di un rotolo, come è tipico dei libri dell’antichità, tuttavia c’è una stranezza, perché diversamente dall’uso più consueto è scritto non solo sul lato in-terno ma anche sul lato esterno. Normalmente nei rotoli antichi si scriveva solo sul lato interno e sul latro esterno normalmente solo qualche nota che accompagnava il libro, se era una lettera, a chi era indirizzato, oppure il titolo o il contenuto scritto nel lato interno. Invece questo rotolo è scritto su entrambi i lati. Significa che non si può aggiungere più nulla, non c’è più spazio per aggiungere nulla, è una rivelazione piena, è una rivelazione definiva.

Però è sigillato, e anche qui in greco ricorre il participio o meglio il passivo di forma perfetta, cioè è stato sigillato e rimane sigillato in modo duraturo in un modo che sembrerebbe assoluto, definitivo.

I sigilli peraltro sono sette, abbiamo già ricordato che per l’Apocalisse sette è una ci-fra simbolica che indica totalità, pienezza, è totalmente sigillato.

Il sigillo poi dobbiamo ricordare che nell’antichità, e anche nei nostri giorni, il alcuni casi non aveva solo la funzione di chiudere il documento ma soprattutto serviva per identificare l’autore o il proprietario di un oggetto importante, con la ceralacca l’autore poneva il proprio sigillo, perché fosse chiaro a chi appartenesse il libro o l’oggetto sigillato.

Dunque questo rotolo appartiene pienamente a Dio, è suo, è solamente suo, ha il suo sigillo impresso.

E cosa rappresenta questo rotolo, qual è il contenuto racchiuso da questo rotolo si-gillato? Probabilmente anche in questo caso il linguaggio simbolico non intende cir-coscrivere un unico contenuto, univoco, ben determinato, ma vuole alludere a più significati, si ricorre al linguaggio simbolico anche non solo per alludere a una sola cosa ma anche per aprire sempre a tante vie d’interpretazione.

Ma direi che fondamentalmente questo rotolo sembra evocare il progetto di Dio sul-la storia, la sua rivelazione piena, definitiva con uno scritto sia pure scadente, la rive-lazione piena delle vicende degli uomini, del creato, dell’intero cosmo.

Dunque questo libro, questo rotolo della rivelazione di Dio, contiene una rivelazione piana, definiva, ma rimane ermeticamente chiuso, e da qui il pianto, la disperazione dell’uomo, dell’umanità, rappresentata qui da Giovanni, che cerca un senso per la propria vita, cerca un senso per la storia più ampia del mondo, senza trovarlo, è im-possibile leggere nel libro della rivelazione del senso degli avvenimenti.

E quindi, sfuggendogli il senso del tempo che vive, l’uomo non riesce neppure a deci-frare il volto autentico di Dio, il suo rivelarsi negli avvenimenti che scandiscono la storia umana. Descrive l’autore:

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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3nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra, era in grado di aprire il libro e di leggerlo. 4Io piangevo molto, perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo.

ogni volta che noi facciamo fatica a comprendere il senso di ciò che viviamo, a livello personale, e anche a livello della più ampia storia degli uomini, di fatto noi ci andia-mo a trovare di fronte a questi sigilli, non riusciamo ad aprire il rotolo, e questa esperienza ci conduce nel pianto, nello smarrimento, nella disperazione.

8.3 La speranza

Ma ecco che in questo dramma, irrompe improvvisamente la speranza:

5Uno dei vegliardi mi disse: Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli. 6Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi, un Agnello, in piedi, come immolato; aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra.

Ha vinto, quindi suona il grande annuncio pasquale, qualcosa si simile al grande Exultet, il grido di esultanza e di gioia che noi cantiamo all’inizio della nostra veglia Pasquale, ha vinto, l’agnello ha vinto.

La vittoria di Cristo è sconfitta del male, della morte, di tutto il consenso che attra-versa la storia dell’uomo, provocando il suo smarrimento, il suo sgomento, la sua angoscia, non piangere più.

Possiamo ascoltare in queste parole l’eco dell’annuncio prima degli angeli e poi del Risorto a Maria di Magdala:

12 e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'al-tro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: "Donna, perché piangi? ". Rispose loro: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto". 14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. 15 Le disse Gesù: "Donna, perché piangi? Chi cerchi? "(20)

Perché piangi, non piangere più, Colui che cerchi è anche colui che vittorioso sul ma-le e sulla morte, è in grado di restituire significato, orientamento, soluzione, alla ri-cerca più profonda dell’umanità.

Il libro può essere finalmente aperto e letto, il Risorto con la sua Pasqua è in grado di rimuovere i sigilli quindi nei versetti che seguono con un linguaggio molto poetico, molto simbolico viene ancora messa al centro, l’attenzione su questa vittoria pa-squale dell’agnello, il mistero di Cristo crocifisso e risorto che viene disdegnato con un simbolismo un molto ricco.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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8.4 I simboli principali

Noi non ci attardiamo a sciogliere tutti i simboli ma guardiamo semplicemente i principali.

Anzitutto il protagonista viene definito da uno dei vegliardi, come il leone della tribù di Giuda e poi col titolo di germoglio di Davide, due immagini che richiamano la Ge-nesi il titolo di Leone di Giuda (49,9) e poi quello di Germoglio di Davide (49.22), che costituiscono un ossimoro, cioè due immagini contrastanti, addirittura opposte di questo misterioso personaggio, è forte come un leone, ma nello stesso tempo è te-nero, debole come un germoglio.

La potenza di Dio che si esprime sempre nella debolezza della tenerezza di un amo-re, nello stesso è si debole, ma anche tenace come un germoglio di giovane vita, è la debolezza che da vita. Poi questo linguaggio paradossale si accentua di più nel ver-setto 6 perché colui che era stato annunciato come un leone, il leone di Giuda, si ri-vela invece come un agnello, è un leone o nello stesso tempo è un agnello.

Tu attendevi un leone e al contrario arrivare un agnello e qui il contrasto è tra il messia atteso come potente in parole e opere, ricordate quello che dicono i discepo-

Figura 3 - Rotolo dell'Exultet - Barberini - c.a. 1087

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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li di Emmaus a quel forestiero che non hanno ancora riconosciuto, erano in attesa di un messia potente in parole e opere e invece si è proposto il messia crocifisso, mite, sofferente come un agnello preannunciato da alcune pagine profetiche:

Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. (Is. 53,7)

Questo agnello è nello stesso tempo immolato e ritto in piedi e qui due immagini contrastanti, facciamo fatica immaginare questo agnello ritto in piedi che nello stes-so tempo è sgozzato.

È ancora un contrasto per esprimere il mistero pasquale, è morto ed è risorto, anzi è ritto proprio perché è sgozzato. Ecco questo è colui che ha vinto, un agnello immola-to, una agnello sgozzato.

Quindi il Cristo che ha vinto la morte, che ha vinto il male, non come un leone ma come un agnello ed è ritto in piedi non perché ha evitato la morte, ma perché l’ha accettata, l’ha accetta fino in fondo.

La forza vittoriosa del leone si manifesta nella debolezza immolata di un agnello e qui vi ancora faccio qualche commento di Bruno Maggioni che scrive:

La visione afferma che Gesù è al centro della storia. La rivelazione che oc-corre leggere la storia per vederne il corso, è la vicenda storica che egli ha vissuto. Osservando la sua vicenda di morte e risurrezione che puoi com-prendere come vanno le cose in profondità, non occorre quindi una rivela-zione nuova, ma una memoria.

Se ricordi la vicenda del Cristo, comprendi che il mistero di Dio è sempre combattuto, che addirittura c’è un tempo in cui le forze del male sembrano prevalere, la croce, la morte, ma comprendi anche che l’ultima parola è la Risurrezione, la via di un amore nell’accettazione coraggiosa di un martirio è crocifissa, ma non vinta. Di qui una grande consolazione, ma prima anco-ra un criterio di valutazione, contrariamente alle evidenze da ciò che ci fa credere la logica mondana, sono i martiri che costruiscono la vera storia, non i potenti e gli oppressori.

Per un cristiano questo è un irriducibile criterio di lettura, ma se è così do-vremmo riscrivere tutti i libri di storia ma è anche un avvertimento per noi, se vuoi fare storia poniti alla sequela di Cristo, mettiti dalla sua parte, non altrove, mettiti dalla parte di questo agnello immolato.

Dunque possiamo dire che la sua Pasqua deve diventare anche la nostra Pasqua, so-lo così si capisce la storia.

Il libro del profeta Isaia ci ricorda con un’immagine simile a quella che usa qui Gio-vanni nell’Apocalisse, ci ricorda che i sigilli che chiudono il libro della rivelazione di Dio sono sempre due, l’Apocalisse parla di sette sigilli ma questi setti sigilli sono di

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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due tipi diversi. Dice Isaia:

11 Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere dicendogli: Leggilo, ma quegli risponde: Non posso, perché è sigillato. 12 Oppure si dà il libro a chi non sa leggere dicendogli: Leggilo, ma quegli risponde: Non so leggere. (29)

I sigilli che chiudono il libro sono due: il sigillo che chiude il libro: è sigillato non posso leggerlo; ma c’è un sigillo che chiude la nostra vita: non so leggere, non sono capace, non sono in grado di leggere.

E questi sigilli non possono che cadere insieme, e l’Agnello immolato nella sua Pa-squa è in grado di muoverli entrambi, egli ci dischiude il significato della rivelazione di Dio e del senso della nostra storia mostrando che il suo amore crocifisso porta a compimento la creazione di Dio, ma in questo modo anche la nostra vita. Togliendo il sigillo che così spesso la chiude e uccide la nostra vita rendendoci incapaci di leg-gere, perché ci rende incapaci di amare come lui ci ha amato, come lui è stato capa-ce di amare.

Ogni volta che noi non ci chiudiamo alla parola di Dio e ci lasciamo da questo amore trasformare, diventiamo anche noi capaci di amare, di donare la nostra vita anche nei piccoli gesti feriali che compiamo ogni giorno.

I due sigilli cadono e non solo compendiamo il senso della nostra storia, ma attra-verso il dono di noi stessi, attraverso il dono della nostra vita, seguendo l’agnello di Dio diventiamo anche noi partecipi della nostra Pasqua e diventiamo anche noi par-tecipi della sua vittoria e capaci non solo di capire ma anche di donare, di dare un si-gnificato diverso alla storia che noi viviamo, rischiarando la tenebra con la luce pa-squale, la luce del Cristo risorto.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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9 I quattro cavalli

L’Agnello scioglie i sigilli del rotolo e i primi quattro sigilli fanno entrare in scena i quattro cavalli, che nell’immaginario dell’autore rappresentano le grandi dinamiche che segnano la storia dell’umanità. Più esattamente ognuno di essi è chiamato da uno dei quattro esseri viventi (zoa in greco) che abbiamo visto stare in mezzo e at-

torno al trono.

E vidi, quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, e udii il primo dei quattro esseri viventi che diceva come con voce di tuono: «Vieni» (6,1).

Le forze che dominano la storia non sono dunque lasciate a loro stesse e al loro arbi-trio, ma sono controllate e guidate dagli esseri viventi che, essendo vicini al trono di Dio, partecipano del suo dominio sull’universo e sulla storia. In altri termini, la storia non è in balia di eventi o di forze casuali e incontrollate. C’è chi è in grado di eserci-tare un dominio su di esse.

Ogni cavallo è caratterizzato da un colore simbolico, e il rispettivo cavaliere è anch’esso equipaggiato con altri elementi simbolici. Lasciamo per il momento da parte il primo cavallo, sul quale torneremo alla fine. Il secondo cavallo è di colore rosso fuoco e il suo cavaliere ha in mano una spada. Questo cavallo simboleggia la

violenza omicida che toglie la pace e fa sì che gli uomini si uccidano l’un l’altro.

Il secondo cavallo è di colore nero, simbolo dell’ingiustizia sociale, e il suo cavaliere ha in mano una bilancia, non per pesare con giustizia, ma al contrario per vendere

Figura 4 - Cavalieri dell'Apocalisse - Viktor Vasnetsov (1887)

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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con fraudolenza grano, orzo, olio e vino, di modo che siano pochi coloro che si arric-chiscono, condannando i più a morire di fame.

Il terzo cavallo, di colore verde, simboleggia la morte; il suo cavaliere ha infatti que-sto nome - morte - e lo accompagna l’ade, l’inferno.

Questi tre cavalli simboleggiano le forze negative che attraversano la storia, e che paiono dotate di un’energia travolgente, per uccidere con la spada, con la fame, con tutto ciò che causa morte: a loro è dato potere sulla quarta parte della terra (è un potere irresistibile, ma nello stesso tempo limitato, può estendersi solo su un quarto della terra, così come, più avanti, all’apertura dell’ultimo sigillo e al suono delle trombe, si dirà che non tutto il cielo, la terra e il mare, vengono distrutti, ma solo un terzo; la violenza si fa sempre più forte e grave, da un quarto si passa a un terzo di distruzione, ma è pur sempre una forza limitata, c’è un resto di salvezza).

Attenzione però, perché accanto a queste forze di segno negative è presente anche il primo cavallo, di colore bianco. L’interpretazione di questo primo cavallo, che esaminiamo per ultimo, è ancora discussa e controversa.

Secondo alcuni autori va interpretato in analogia con gli altri tre cavalli, suoi compa-gni; rappresenterebbe dunque anch’esso un’ulteriore forza negativa presente nella storia umana, sintetizzata simbolicamente nell’arco di guerra che impugna il suo ca-valiere.

Altri autori, e io mi associo a loro, leggono al contrario in questo primo cavallo una forza antitetica di segno positivo: il bianco è il colore della risurrezione e nell’Apocalisse ha sempre un valore positivo (abbiamo già incontrato, ad esempio, il simbolo delle vesti bianche) e dunque questo cavallo sta proprio a simboleggiare il dinamismo di risurrezione che il Cristo morto e risorto ha già immesso nella storia. È una forza minoritaria, il rapporto è di uno a tre, sembra perdente, eppure risulta vincente contro ogni apparenza o previsione.

Il testo dice che egli «uscì vittorioso per vincere ancora». Il greco usa qui un partici-pio presente (nikôn = il vincente), che indica appunto una potenzialità continua di vittoria sul male, fino al suo definitivo annientamento: egli è il vincente che esce per vincere ancora, cioè per vincere definitivamente.

Questo cavallo bianco sembra perciò alludere a un altro cavallo bianco che farà il suo ingresso in scena al capitolo 19:

11Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia. 12I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; por-ta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui. 13È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è: il Verbo di Dio. 14Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. 15Dalla boc-ca gli esce una spada affilata, per colpire con essa le nazioni. Egli le gover-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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nerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell’ira furiosa di Dio, l’Onnipotente. 16Sul mantello e sul femore porta scritto un nome: Re dei re e Signore dei signori. (19,11-16).

Colui che al capitolo sesto esce vittorioso per vincere ancora, al capitolo 19 riporta la sua piena vittoria. Ha commentato Ugo Vanni:

Il cristiano apocalittico non è un trasognato: ha il coraggio di guardare in faccia a tutta la realtà, anche negli aspetti più crudi. Nota allora la violen-za, l’ingiustizia in tutte le forme che esse sono capaci di assumere [i tre ca-valli]; rileva quell’interruzione forzata della presenza attiva sulla storia che è la morte, con il suo contorno di pesantezza e negatività. Il rilevamento del male, anche quando questo assume proporzioni impressionanti, non lo schiaccia. Il cristiano non dispera.

Accanto e in contrapposizione dialettica con le forze di segno negativo, esi-ste, anche se come sommersa e meno evidente, la forza di risurrezione che Cristo irradia nei fatti degli uomini e di cui i cristiani diventano i portatori, sviluppando così la loro mediazione sacerdotale. Si tratta di quella vitalità misteriosa che permette al cristiano di non combattere il male con le armi e le modalità del male, ma di riuscire, accanto a Cristo e insieme a lui, a vincere il male con il bene. Siamo alla radice della speranza, che viene atti-vata nel cristiano dalla partecipazione alla vitalità di Cristo-agnello3.

…gli eventi negativi non autorizzano mai a pensare che stiamo vivendo in un mondo impazzito, che va per conto suo, volgendosi al peggio; un mon-do che è quasi sfuggito dalle mani di Dio. Questo pessimismo radicale, ap-parentemente irrimediabile, che spesso si sente ostentare e che i fatti tal-volta sembrano comprovare, risulta infondato per un cristiano che voglia leggere la storia personale e universale. Dietro l’espressione «fu dato», «fu concesso» o «fu permesso», c’è sempre Dio, al quale il mondo non sfugge mai di mano. Pertanto, non si capisce come e quando, ma esiste uno spa-zio irrinunciabile, un ricorso a Dio che riserva e assicura sempre una spe-ranza. […] Il primo sigillo è una forza positiva, un’energia vincitrice: è la presenza della vitalità di Cristo risorto. Il cavallo bianco, che lo simbolizza, ferisce con la sua parola ed estrae qualcosa di positivo persino dai suoi nemici, recupera e dà senso a ogni cosa.

La capacità immensa di Cristo, donata, portata e immessa da lui e dai cri-stiani nella storia, è un’energia che vince e vincerà, facendo scomparire e annullando la violenza, l’ingiustizia e la morte: essa possiede già un impat-to che è di vittoria, anche se non definitiva, che supera il male con il bene, che innesta nella vicenda umana innumerevoli generosità nascoste, frutto

3 U. VANNI, Lo Spirito e la Sposa dicono: «Vieni!». L’Apocalisse liturgia della speranza, in «Rivista Liturgica» 81 (1994), pp. 193-211: 202.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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della presenza di Cristo e dei suoi seguaci, responsabilmente immersi nelle vene del tempo4.

10 Alcuni atteggiamenti

In conclusione, proviamo a sintetizzare alcuni elementi emersi in questa veloce let-tura, in alcuni criteri interpretativi della storia umana. Giocando a mio volta con il simbolismo numerico, vorrei anch’io suggerire sette criteri, considerando l’importanza che la cifra ‘sette’ ha nella costruzione di questo libro. Ricorro eviden-temente al numero ‘sette’ non perché pretenda che quanto intendo dire sia pieno e completo, ma a mo’ di un augurio perché sia il Signore e il suo Santo Spirito a con-durre a pienezza la nostra speranza.

1. l’Apocalisse, sin dalle sue prime pagine, ci ricorda che il luogo autentico in cui cer-care il senso della storia è quello della conversione personale. Abbiamo notato cole il libro è strutturato in due grandi parti: i primi tre capitoli, incentrati sulle sette lette-re alle Chiese; i capitoli dal 4 al 21, con il succedersi dei grandi settenari che evocano simbolicamente la vicenda storica dell’uomo e del mondo.

La comunità cristiana diviene capace di comprendere il senso di ciò che accade, e di interpretarlo nella luce della parola di Dio, solo se si lascia giudicare personalmente, e trasformare, da quella stessa parola. Abbiamo anche visto che l’autentica conver-sione non si colloca anzitutto sul piano dei comportamenti morali; si tratta di volge-re il nostro sguardo, la nostra vita, a Dio perché dalla relazione con lui scaturiscano quegli atteggiamenti etici che devono rendere più giusta la nostra vita e consentirci anche di impegnarci per una maggiore giustizia nella storia che viviamo.

2. Questo impegno di conversione - ed è una seconda chiave di interpretazione - im-plica sempre una presa di posizione. Si legge correttamente la storia e se ne può ri-cercare il senso solo a condizione di prendere posizione in essa. E la posizione del credente non può essere che quella del martire, del testimone fedele, di colui che è disposto a seguire l’Agnello ovunque vada, lavando le proprie vesti nel suo sangue.

Questa sequela e questa testimonianza conducono anche a una denuncia decisa e coraggiosa di tutti i poteri idolatrici, oppressivi, tirannici che possono riempire del proprio nome, il nome o la cifra della Bestia.

Il capitolo 4 ci introduce nella lode e nell’adorazione che tutto il creato e tutta la sto-ria rivolgono verso Colui che è assiso sul trono. Nello stesso tempo l’Apocalisse ci ri-corda i molti troni che gli uomini nel corso della storia innalzano ai potenti e agli ido-li. Se in cielo c’è il trono di Dio e dell’Agnello, sulla terra c’è anche il trono di satana (cf. Ap 2, 13). Occorre scegliere tra i due.

3. Da questo punto di vista l’Apocalisse è anche un libro eminentemente politico,

4 ID., Apocalisse, libro della Rivelazione. Esegesi biblico-teologica e implicazioni pastorali, EDB, Bologna 2009, p. 79.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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segnato da una continua riflessione sulla violenza del potere, sulla sua struttura ideologica e propagandistica, sulla sua idolatria, sulla sua efficacia persecutoria di-rompente, sul suo fascino di seduzione, ma anche sulla sua vanità e vacuità.

Le bestie dell’Apocalisse provengono dal mare, simbolo del male, ma anche sella sua instabilità e provvisorietà; provengono dal mare e ritornano nel mare dopo un pe-riodo trascorso sulla terra.

Soltanto il Figlio dell’Uomo non sta sulle acque né a esse ritorna. Sta sulla nube, im-merso nella trascendenza e nella stabilità di Dio, che è il solo che non passa e non viene meno. Dunque, nell’Apocalisse c’è un’analisi politica molto attenta, che gene-ra un appello forte e radicale a prendere posizione nella storia. Altrimenti, non si può comprendere l’oggi di Dio nel tempo. Se si rimane neutrali, anche il libro resta sigillato.

4. Questo impone, ed è un ulteriore atteggiamento da vivere, una grande vigilanza e attenzione nel discernimento. Il male, nell’Apocalisse, assume forme varie e molte-plici, si presenta con volti differenti, utilizza tanto le armi della violenza quanto quel-le della seduzione, giunge persino a mascherarsi da agnello. A proposito della terza bestia, come ho già avuto modo di ricordare, l’autore scrive:

«Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: è in-fatti un numero di uomo, e il suo numero è seicentosessantasei» (13,18).

La sapienza sta nel discernere le dinamiche con cui il male si nasconde nelle pieghe della storia, ma anche in quelle del proprio cuore e della propria vita. Occorre sma-scherarlo, denunciarlo, per non cadere nel suo inganno, che è sempre quello di ma-scherarsi da Agnello, oppure di indurci a credere che sia lui il più forte mentre al contrario è stato vinto.

5. L’Apocalisse è un libro politico perché nello stesso tempo è un libro liturgico e mi-stico. Ci conduce a leggere la storia con il ‘cielo aperto’ come ricorda l’inizio del capi-tolo 4 con la visione di questa porta che si apre nei cieli. Per comprendere appieno il senso di ciò che viviamo occorre anche salire e oltrepassare questa porta che si apre e che introduce in quel mistero di Dio che trascende la storia e proprio per questo motivo ne consente una più profonda visione.

Il senso sigillato della vita ha bisogno di una rivelazione, di una profezia, di un’attitudine contemplativa che assuma la prospettiva e i criteri di discernimento propri del giudizio di Dio e dell’azione sovrana, terribile e misericordiosa, che egli di-spiega nella storia. Questa porta aperta è per noi l’esperienza liturgica.

In particolare, ogni volta che celebriamo l’eucaristia, l’Agnello immolato e ritto in piedi, il Signore crocifisso e risorto, è in mezzo alla comunità e ci aiuta a capire il senso della storia e anche del male in essa presente. Non ce lo spiega. Se Gesù aves-se spiegato il male, non sarebbe morto. Rimaniamo con l’interrogativo. Ma anche con la certezza che comunque c’è un senso, custodito da quel futuro assoluto che è

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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il Signore che viene, e che viene a darci quelle risposte che spesso a noi sembra di cercare invano.

6. Nella liturgia, la porta aperta in cielo diventa anche una porta aperta verso il futu-ro di Dio. Noi anticipiamo e già rendiamo presente quella salvezza di cui dobbiamo ancora attendere la piena manifestazione. Questa anticipazione profetica nel pre-sente, diventa capace allora anche di orientare la nostra vita, di ispirare i giusti at-teggiamenti, di discernere e sostenere le scelte, anche difficili e coraggiose, da com-piere.

Solo l’Agnello immolato e vittorioso può aprire i sigilli chiusi del grande libro della storia. Questo significa anche che per noi il senso della storia si apre se a nostra vol-ta conformiamo la nostra vita alla figura dell’Agnello pasquale. Comprendiamo il senso della storia solo a condizione di essere disposti a conferire un senso diverso al-la storia che viviamo, trasformando tutto il male e tutto il peccato da cui è segnata attraverso la testimonianza e l’offerta di un amore più grande dell’odio, di un bene più grande e perciò vittorioso sul male.

L’Apocalisse, come grande libro liturgico dell’Agnello immolato, ci educa proprio a vivere questo atteggiamento: l’oggi di Dio nella storia lo si decifra anche attraverso questa capacità pasquale di donare un senso diverso agli avvenimenti. Quel senso diverso che nasce dalla consegna di se stessi, nelle tante forme d’impegno alle quali la parola di Dio ci chiama.

Nella tradizione rabbinica si racconta un episodio significativo della vita di un grande maestro tannaita, rabbi Aqiva, che può aiutare a comprendere quanto sto tentando di dire. Rabbi Aqiva vive nel tempo della seconda rivolta giudaica contro Roma. Tut-to sembra crollare e per un ebreo pare davvero la fine di un mondo. O meglio, po-trebbe essere la fine stessa del mondo, la fine di tutto, ma per rabbi Aqiva rimane comunque solo la fine di un mondo, la storia continua, va avanti, e dunque si può guardare al presente anche dal punto di vista del futuro. Ebbene, si racconta che:

Aqiva un giorno sale al Tempio con altri amici, rabbi come lui. Visitano la spianata del Tempio. Tutto è in rovina. Perfino una volpe esce dal Santo dei santi: un animale impuro che scorrazza all’interno del santuario stesso. Tutto davvero sta crollando! Visto questo, i tre compagni di rabbi Aqiva non riescono a trattenere le lacrime e si mettono a piangere e a piangere. Rabbi Aqiva invece si mette a ridere e a ridere. Ma perché ridi? gli doman-dano i suoi compagni. E lui ribatte; perché voi piangete? Piangiamo per la rovina del tempio. Non hai forse visto anche tu la volpe nel santuario? E Aqiva: sì, ho visto, e proprio per questo rido. Sta scritto nelle Lamentazioni che «il monte Sion è desolato, vi scorrazzano le volpi» (Lam 5, 18). Io non potevo credere a questo versetto; non riuscivo a immaginare che questa parola un giorno si sarebbe avverata. Ma ora ho visto la volpe con i miei

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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occhi. E allora, se questo versetto si è avverato, si avvererà anche il verset-to che viene dopo:

Ma tu, Signore, rimani per sempre, il tuo trono di generazione in generazione. Perché ci vuoi dimenticare per sempre, ci vuoi abbandonare per lunghi giorni? Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo, rinnova i nostri giorni come in antico.

Io non potevo leggere il secondo versetto, perché non credevo nel primo. Ma ora ho visto avversarsi il primo; dunque anche il secondo si avvererà!

Per rabbi Aqiva la storia va avanti, la storia ha un senso. Egli sa giudicare il presente, anche un presente terribile, in cui tutto crolla e ogni certezza viene meno - persino le volpi scorrazzano nel tempio -, lo sa interpretare alla luce del futuro, alla luce del versetto che viene dopo, che ancora si deve avverare, ma che certo si avvererà.

Questa è un’attitudine altamente contemplativa: leggere la storia dal punto di vista del futuro, che però non rimane indeterminato, perché ad esso si può guardare nella memoria del passato, nel ricordo della parola di Dio, nella fiducia nella fedeltà di Dio alle sue promesse. Rabbi Aqiva sa leggere il presente alla luce del futuro perché ha memorizzato le Scritture, e conosce il primo versetto come pure quello che viene dopo. E se vede realizzarsi nel presente il primo versetto, non rimane bloccato nella lamentazione, ma sa aprirsi al futuro della Parola che deve ancora avverarsi, e alla luce di questo ad-venire della Parola giudica il presente dischiudendolo alla speran-za. Mentre gli altri piangono, lui può ridere!

L’Apocalisse ci educa a leggere la storia in questo modo, ricordandoci che l’al-di-là del versetto, il versetto che viene dopo è il Signore risorto, il Signore che viene. Il versetto che viene dopo tutti gli altri versetti delle Scritture è proprio quello con cui l’Apocalisse si conclude: «Sì, vengo presto!» (Ap 22,20).

Di conseguenza, questo piccolo libro ci consente di guardare alla sofferenza e al ma-le del mondo, senza chiudere gli occhi di fronte ad essi. Anzi, gli occhi ci costringe ad aprirli.

Le sue visioni sono terribili, i suoi flagelli, i tormenti che descrive, non sono la narra-zione di ciò che accadrà alla fine del mondo, ma rappresentano il modo, indubbia-mente violento, con cui il libro ci costringe ad aprire gli occhi sul male e sul non-senso presenti nella nostra storia. Ma nello stesso tempo, ci fa guardare a questa storia segnata dalla violenza alla luce del futuro, alla luce della Gerusalemme nuova che scende dal cielo, alla luce dello Sposo che viene per salvare, liberare, compiere, ricreare cieli nuovi e nuova terra.

Allora l’Apocalisse diviene in modo paradossale un libro violento e nello stesso tem-po rasserenante. Non è però la serenità di chi ha gli occhi chiusi, di chi non vuol ve-

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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dere, ma quella di chi ha gli occhi ben aperti, spalancati, al punto che non solo vede, ma può anche contemplare, penetrare con lo sguardo più in profondità. In questo modo vede, nel travaglio doloroso del parto, la nascita dell’uomo nuovo, di un mon-do nuovo.

7. Un settimo criterio di lettura della storia che l’Apocalisse può suggerirci è il se-guente: occorre leggere il presente nell’attesa e nell’invocazione. Sono le ultime pa-role dell’Apocalisse, il grido dello Spirito e della sposa: «Vieni, Signore Gesù!». È il marana tha aramaico, anch’esso invocazione tipica nella celebrazione eucaristica della prima comunità cristiana. Attendere e invocare il Signore significa riconoscere che la storia non è nelle nostre mani, ma in quelle di Dio; che il Regno non siamo noi a costruirlo, perché è Dio che lo dona e allora noi, accogliendo il suo dono, possiamo costruirlo assieme a lui; che la speranza è possibile perché Dio è sovranamente libe-ro rispetto a ogni presunto determinismo storico.

La storia non procede verso un compimento in forza di un suo dinamismo intrinseco, come se la città dell’uomo, di progresso in progresso, fosse in grado di trasformarsi, autonomamente e per virtù propria, nella città di Dio. L’Apocalisse distrugge questa illusione ricordando che Dio è sovranamente libero e che tutto è grazia. La salvezza viene dall’alto e dall’Altro; non dal basso, ma dall’alto, non da noi ma dall’Altro. An-che se i nostri sforzi, il nostro impegno, la nostra ricerca rimangono necessari, e anch’essi sono inclusi nell’orizzonte del tutto è grazia.

11 Il senso della storia

Nella visione del capitolo quarto, con la porta che si apre nel cielo, si ode una voce misteriosa che raggiunge Giovanni e lo invita: Sali! Giovanni è sollecitato a salire. Ma una volta che sarà salito e avrà contemplato l’intero dispiegarsi della storia della sal-vezza, l’ultima visone, quella del compimento finale, gli rivelerà il mistero di una cit-tà, la nuova Gerusalemme, che dal cielo discende sulla terra.

Occorre salire, ma per giungere a contemplare nella gioia il dono di Dio che discende dal cielo, come opera delle sue mani, grazia della sua misericordia. Attenzione: sol-tanto salendo si può percepire ciò che discende. Solo salendo. Il dono di Dio non consegna l’uomo a un’attesa passiva. Lo sollecita al contrario a fare tutto ciò che può e deve fare, perché solo nella sua fatica e nel suo sudore l’uomo può percepire ciò che non è frutto della sua fatica e del suo sudore, ma dono di Dio. Tutto è grazia, ma solo chi molto si affatica giunge a riconoscere che davvero tutto è grazia.

Il senso della storia, e un criterio per leggerla riconoscendovi l’oggi di Dio, è allora costituito anche da questo grande criterio di discernimento che è l’attesa. Devi fare tutto quello che ti è possibile fare, ma rimanendo in attesa di un compimento, e te-stimoniando al mondo questa attesa. Padre Timothy Radcliffe ha un’immagine sim-patica per suggerire il senso di questa attesa. Dice che:

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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se vedi qualcuno che attende su un marciapiede, intuisci che lì prima o poi passerà un autobus. Anche questo è il compito del cristiano nella storia.

Al centro dell’Apocalisse c’è il grido dei martiri, come risuona ad esempio in 6,10: «Sino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?».

Fino a quando? Occorre assumere sulla nostra pelle tutta la violenza, lo sconcerto, lo scandalo di questa domanda, e sostenere l’attesa assieme a tutte le vittime della storia. Solo così si ricono-sce nella storia l’oggi di Dio e già si contempla, nella speranza e non an-cora nella visione, la Ge-rusalemme che scende dal cielo.

Questi sono alcuni atteg-giamenti che la lettura dell’Apocalisse può sugge-rirci. Vorrei allora conclu-dere con un’affermazione di padre Ugo Vanni, tratta non da uno dei suoi tanti scritti su questo libro, ma da una sua conferenza:

L’Apocalisse è un libro di speranza, perché ci dice: credete in quello che sie-te. Siete una Chiesa amata da Cristo, con la forza di Cristo. sarete una mi-noranza, ma avete questa ricchezza esplosiva di Cristo in mezzo a voi e di Cristo con voi. Camminate con Lui, perché solo così il futuro da sogno sarà veramente vostro5.

11.1 La proposta

Ora possiamo continuare la nostra preghiera con un momento di adorazione eucari-stica, sapendo di accogliere e di adorare l’agnello immolato, morto e risorto, l’unico in grado di rimuove i sigilli che ci appaiono quando viviamo giorni di smarrimento, di sofferenza, di preoccupazione o addirittura di angoscia.

Il Signore ci fa una promessa ed è la promessa di una grande apertura, se siamo di-sposti ad aprire la nostra vita a lui: “io sto alla porta e busso, se qualcuno mi apre la porta” per accoglierlo e ospitarlo nella nostra esistenza egli apre per noi la porta del cielo e apre per noi il rotolo che custodisce il senso della storia di tutto ciò che vi-

5 ID., L’Apocalisse, un libro per la Chiesa di oggi, in G. FACCHINETTI, P. PEZZOLI, P. ROTA SCALABRINI , U. VANNI, Scuola della Parola della Diocesi di Bergamo¸ anno 1998, Seminario vescovile, Bergamo 1998, p. 172.

Figura 5 - La nuova Gerusalemme

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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viamo e allora un’altra apertura anche la nostra porta si può aprire alla lode, al rin-graziamento, alla benedizione, all’adorazione.

Nei giorni scorsi abbiamo cercato di dare risposte diverse alle lettere che il Signore ci scrive, c’è stata la risposta della preghiera, dell’invocazione, c’è stata la risposta del-la nostra conversione attraverso la celebrazione penitenziale, c’è stata la risposta del nostro impegno fedele che abbiamo voluto mettere simbolicamente per iscritto, tut-te risposte vere, necessarie, ma non dobbiamo dimenticare la risposta culminante è quella in un qualche modo sintetizza tutte le altre, la risposta dell’adorazione, la ri-sposta del ringraziamento, della lode e della benedizione.

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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Indice

1 Premessa ............................................................................................................. 1

2 Un libro profetico ................................................................................................. 2

2.1 Il linguaggio simbolico .................................................................................... 4

2.2 L’Apocalisse, libro liturgico ............................................................................ 6

2.3 La struttura dell’Apocalisse ............................................................................ 9

2.4 Chi può sciogliere i sigilli .............................................................................. 11

3 Il Risorto scrive alle Chiese ................................................................................. 13

3.1 La visione introduttiva: il capitolo 1 ............................................................. 16

3.2 Intronizzazione dell’Evangeliario .................................................................. 20

4 Lo schema comune delle lettere ........................................................................ 23

4.1 L’angelo della Chiesa .................................................................................... 23

4.2 La firma ........................................................................................................ 24

4.3 Il giudizio ...................................................................................................... 24

4.4 L’esame di coscienza .................................................................................... 25

4.5 L’invito alla conversione............................................................................... 25

4.6 L’invito conclusivo ........................................................................................ 25

4.7 La promessa ................................................................................................. 25

5 Non abbandonare il tuo primo amore ................................................................ 27

5.1 La lettera alla Chiesa di Efeso (Ap 2,1-7) ...................................................... 27

5.2 L’esame di coscienza .................................................................................... 27

5.3 La prova ....................................................................................................... 28

5.4 Il rimprovero ................................................................................................ 29

5.5 L’invito alla conversione............................................................................... 30

5.6 La promessa ................................................................................................. 31

5.7 Risonanze e invocazioni spontanee .............................................................. 31

6 Sei povero, eppure sei ricco ............................................................................... 32

6.1 Le lettera alla Chiesa di Smirne (Ap 2,8-11) .................................................. 32

6.2 Una premessa .............................................................................................. 33

6.3 Una Chiesa povera ....................................................................................... 34

6.4 La Chiesa della speranza .............................................................................. 35

6.5 La promessa ................................................................................................. 36

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Introduzione alla lettura dell’Apocalisse

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6.6 La confessione ............................................................................................. 36

7 Io sto alla porta e busso ..................................................................................... 38

7.1 La lettera alla Chiesa di Laodicea: Ap 3,14-22 .............................................. 38

7.2 Il rimprovero ................................................................................................ 39

7.3 L’invito alla conversione e i doni .................................................................. 43

7.4 La promessa di tenerezza ............................................................................. 46

7.5 La proposta .................................................................................................. 47

8 L’Agnello aprirà il libro e i suoi sette sigilli .......................................................... 49

8.1 Premessa sulla struttura del libro ................................................................ 50

8.2 La visione dell’Agnello .................................................................................. 50

8.3 La speranza .................................................................................................. 57

8.4 I simboli principali ........................................................................................ 58

9 I quattro cavalli .................................................................................................. 61

10 Alcuni atteggiamenti ....................................................................................... 64

11 Il senso della storia ......................................................................................... 68

11.1 La proposta ............................................................................................... 69