Introduzione Al Pentateuco

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SACRA SCRITTURA MARCELLO MILANI ANTICO TESTAMENTO TORAH O PENTATEUCO ISSR - PADOVA 2010-2011

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SACRA SCRITTURA

MARCELLO MILANI

ANTICO TESTAMENTO

TORAH O PENTATEUCO

ISSR - PADOVA 2010-2011

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IL TESTO E I LIBRI DELL’ANTICO TESTAMENTO

ELENCO EBRAICO – TM (cf. Bibbia TOB) Tôrah - Nebî’îm – Ketubîm (= TaNaK)

ELENCO DEI LXX - Greco e Vulgata Latina (cf BG) (+ = Deuterocanonici)

Torah = Legge Gen, Es, Lev, Num, Dt

Pentateuco = Torah

Nebi’îm = Profeti Anteriori : Gs, Gdc, 1-2 Sam, 1-2 Re Posteriori: 3 Maggiori = Is, Ger, Ez

12 Minori = Os, Gl, Am, Abd, Gn, Mi, Na, Abc So, Ag, Zc, Mal

Libri storici = Gs, Gdc, Rut, 1-2 Sam, 1-2 Re (anche 1-4 Re), 1-2 Cr, Esd, Ne + Tb, + Gdt, Est, + 1-2 Mc

Libri sapienziali =

Gb, Sal, Prov, Qo (o Ecclesiaste= Ecle), Ct, + Sap, + Sir (Ecclesiastico = Ecli / Eclo)

Ketubîm = Scritti Sal, Gb, Prov, Ct, Rut, Qo, Lam, Est, Dan, Ne, 1-2 Cr

Libri profetici = Is, Ger (+ Bar, Lam), Ez, Dan, Dodici minori (cf elenco ebraico)

NB. La divisione rivela esperienze diverse: quella del sacerdote, che darà la struttura decisiva alla To-rah ed è legata al culto e al tempio, quella del profeta che legge i segni di Dio nel proprio tempo, quel-la del saggio che partendo dall’esperienza trae insegnamenti e valori per la vita. Confluiscono insieme per annunciare, prima a voce e poi in un libro, la «parola di Dio» multiforme come lo Spirito.

TRADUZIONI E ALTRI TESTI * Greca o dei LXX (cf lettera di Aristea): tra il 250 e il 100 a.C.; origine liturgica e rilettura attualiz-zante; valore per il cristianesimo. Vulgata: latina (preceduta dalla Vetus Latina); Peshitta: siriaca. * Midrash : interpretazione o ricerca del senso profondo - halakah e haggadah. Cf Qumran: Pesher * Targum : Aramaica; collegata alla liturgia sinagogale (cf Ne 8-9). * Rotoli del Mar Morto : la biblioteca del gruppo di Qumran - apocalittico, appartenente al movi-mento degli Esseni e guidato dal «maestro di giustizia» (Môreh zedeq), che insegna la giustizia o mae-stro legittimo che insegna con autorità - con testi biblici e commentari, oltre a testi appartenenti alla setta (ad es. Regola della guerra e Documento di Damasco).

Cf L. MORALDI (cur.), I manoscritti di Qumrân, UTET, Torino, 21986; F. GARCÍA MARTÍNEZ (cur.) - C. MARTONE (cur. ed. it.), Testi di Qumran, Paideia, Brescia 1996.

* Talmud : raccolta degli insegnamenti e delle interpretazioni dei grandi maestri del rabbinismo. È la base del giudaismo o ebraismo attuale.

Sussidi: G. CAPPELLETTO, In cammino con Israele. Introduzione all’AT, vol.I , EMP, Padova 21996 e G. CAPPELLETTO - M. MILANI , In ascolto dei profeti e dei saggi. Introduzione all’AT, vol.II, EMP, Padova 32001 (contiene anche una introduzione ai Salmi); M. NOBILE, Introduzione all’Antico Testa-mento. La letteratura veterotestamentaria, EDB, Bologna 1995. Un “Atlante biblico”. Per studiare l’AT sono utili tutti i documenti letterari e archeologici che provengono dall’Antico O-riente: permettono di ricostruire il terreno comune, come anche di percepire, nel confronto, l’originalità di ciascuno (cf G. RAVASI [con presentazione di], L’Antico Testamento e le culture del tempo, Borla, Roma 1990).

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Buoni sussidi facilmente consultabili per ogni tema e libro sono: R. PENNA - G. PEREGO - G. RA-

VASI, Temi teologici della Bibbia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010; G. RAVASI - A. GIR-

LANDA (cur.), Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1988; R.

BROWN - J.A. FITZMEYER - R.E. MURPHY (cur.), Nuovo grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1997.

Introduzioni generali: E. ZENGER (ed), Introduzione all’Antico Testamento, Queriniana, Brescia 2005; P. MERLO (cur.), L’Antico Testamento. Introduzione storico-letteraria, Carocci, Roma 2008. W. BRUEGGEMANN, Introduzione all’Antico Testamento (Strumenti 21), Claudiana, Torino 2005. IDEM, Teologia dell’Antico Testamento. Testimonianza, dibattimento, perorazione (Biblioteca bi-

blica 27), Queriniana, Brescia 2002 (originale inglese, Augsburg Fortress, Minneapolis 1997).

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TORAH O PENTATEUCO

IL NOME

TORAH, dall’ebraico yarah, «insegnare» e «gettare», indica l’«Insegnamento» per eccellenza, com-presa l’azione «pedagogica», l’accompagnamento e l’indirizzo di vita (cf Gal 3,23-25 con altro intento: la Torah «pedagogo» o sorvegliante, che viene superata con il passaggio dalla condizione di minorenni o schiavi a «figli» adulti).

Il termine si riferisce ai primi cinque libri della Bibbia chiamati in ebraico per lo più dalle pa-role che iniziano ogni singolo libro: bereshît, «in principio» = Genesi; shemôt, “questi i nomi” = Esodo; wayyqra’: «e Dio chiamò [Mosè]» = Levitico; bamidbar, «nel deserto» [o wayedabber, «e disse»] = Numeri; ’elleh debarîm, «queste le parole» = Deuteronomio. Talora sembra designare in generale tutta la “rivelazione”. Certo la traduzione “legge” è riduttiva, anche se il complesso contiene delle raccolte o codici di leggi, ma l’insieme appare come una “storia”.

PENTATEUCO è termine greco: indica i cinque “astucci”, nei quali venivano deposti i cinque rotoli, in cui era suddivisa la Torah, chiamati, sempre in greco, Genesi, Esodo, Levitico, Nume-ri, Deuteronomio.

UNA VISIONE UNITARIA

Contenuto dei singoli libri

La Torah, che costituisce un unico blocco, è stata divisa per esigenze pratiche e forse anche con un intento teologico che pone al centro il Levitico, libro che starebbe alla base della riforma po-stesilica. La divisione risponde dunque a criteri materiali e teologici. Criteri materiali: il materiale è diviso in parti meno poderose per un uso più confacente alla lettura sinagogale. Ma sono i crite-ri teologici a offrire il quadro, le idee e le prospettive che guidano le divisioni1.

– Genesi inizia con la creazione del mondo («in principio Dio creò») e finisce con la morte di Giacobbe e Giuseppe. Si conclude l’era patriarcale – la storia di “famiglia” – e inizia la storia del “popolo” che si prolunga nell’Esodo, anticipato anche dall’annuncio di Giuseppe del ri-torno dei discendenti nella terra promessa ad Abramo: apre la prospettiva verso il futuro e collega Genesi con Esodo-Deuteronomio. Il libro è strutturato sulle tôledôt: la formula in 2,4a, da tradurre con “origine”, applicata alla “creazione” del mondo, è probabilmente un espediente redazionale per integrare il racconto con le altre genealogie; l’espressione che significa “generazioni di...”, ha due usi, in alcuni luo-ghi introduce una genealogia o la storia, altrove un racconto. La formula ’elleh tôledôt si ripete 10 volte: 2,4a; 5,1 (Adamo); 6,9 (Noè); 10,1 (figli di Noè); 11,10 (Sem); // 11,27 (Terach-Abramo); 25,12 (Ismaele); 25,19 (Isacco); 36,9 (Esau); 37,2 (Giacobbe). Il libro si può articolare in due parti: Gen 1,1-11,26; 11,27-50,26

a) La creazione del mondo e dell’uomo e la storia delle origini (toledôt) che procede tra fe-deltà e peccato fino ad Abramo (1-11). Questa parte offre degli indizi per essere suddivisa in “prima del diluvio” (1,1-9,19) e “dopo il diluvio” (9,20-11,26; cf 10,1 e 11,10 la formula). La seconda sezione si può considerare come “transizione” verso la chiamata e la storia di Abramo. Con 9,20-29 è introdotto un principio di selezione che culmina nella chiamata di

1 Cf J. L. SKA, Introduzione alla lettura del Pentateuco. Chiavi per l’interpretazione dei primi cinque libri della Bibbia, Ed. Dehoniane, Roma 1998, pp.28-52; J. BLENKINSOPP, Il Pentateuco, Queriniana, Brescia 1996, pp. pp.69-156; F. GARCÍA LÓPEZ, Il Pentateuco (Introduzione allo studio della Bibbia 3/1), Paideia, Brescia 2004.

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Abramo (12,1-3). Ha poche narrazioni: 1) il disprezzo verso il padre ubriaco spiega perché Canaan, figlio di Cam, venga maledetto e perda i suoi privilegi, mentre Sem, antenato di Abramo venga benedetto (9,18-29) e occupi un posto privilegiato nella storia della salvezza (9,26; 10,21.31; 11,10-26); 2) la torre di Babele (11,1-9) prepara la migrazione di Terach e di Abramo (11,10-26), mentre la tavola dei popoli (10,1-32) inizia con la genealogia di Jafet, prosegue con quella di Cam, e alla fine con quella di Sem, benché sia il primogenito, per confluire su Abramo.

b) La storia dei Patriarchi (12-50) evoca le figure dei grandi «Padri», Abramo, Isacco e Gia-cobbe, antenati di Israele e sue figure; è scandita da itinerari, genealogie e protagonisti. Un ele-mento importante per la strutturazione è costituito anche dai “discorsi divini” che costituisco-no da un punto di vista narrativo dei “programmi narrativi” (Gen 12,1-3; 26,2-5; 28,13-15; 46,1-5a, cf 50,24).

La cronologia si fa più particolareggiata. Di fatto, il racconto è concentrato soprattutto su Abramo (annunciato in 11,27ss; sviluppato in 12,1-25,18) e su Giacobbe (25,19-37,1), mentre alla fine emerge la figura di Giuseppe. • Abramo è l’uomo della fede anche nella prova2. Genealogie e spostamenti fungono da

cornice della narrazione; Dio si rivela come El Shaddai, il Dio della Grande Montagna (sadu rabu), tradotto con “Onnipotente/Pantokrator”. Gen 12,1-3 contiene il programma divino per i suoi discendenti senza alcun limite: vale per sempre. A lui è promessa una dinastia (“racconti di promessa”) e il possesso della terra dove ora abita come «straniero e ospite» (gher): egli compie il primo “esodo”.

Una serie di racconti tratta anche del rapporto tra Abramo e Lot (cc. 13,1-13; 14; 18,16-33; 19,1-38). In seguito alla separazione tra i due, un secondo discorso divino (13,14-17) precisa i confini della terra.

• Isacco è il «figlio della promessa», la cui nascita conferma quella della terra. Il racconto è caratterizzato dal gioco sul nome: «colui che ride», ma non presenta un vero ciclo narra-tivo. Il discorso divino di Gen 26,2-5 ripete ad Isacco le promesse fatte al padre e stabi-lisce la continuità fra i due e fra il Dio dell’uno e dell’altro.

• Giacobbe è l’astuto che carpisce la primogenitura al fratello Esau (Gen 25 e 27) e supera in astuzia lo zio Labano (Gen 28-31), ma deve riconoscere che solo la grazia e la benedi-zione di Dio lo fanno riuscire. Se in Abramo prevale la promessa qui prevale la “benedi-zione”.

Con Giacobbe si accentua il tema del “ritorno” alla terra: – in Gen 28,10-22, la “vi-sione di Betel” dove Dio si rivela come il Dio di Abramo e di Isacco, accanto alle prece-denti promesse si accentua quella di “far tornare” Giacobbe nella terra dei suoi padri (28,13-15, cf anche 31,13 e 33,10); – in 46,1-5a inizia il viaggio verso l’Egitto e Dio pro-mette di accompagnare Giacobbe e poi di farlo “risalire” verso la terra; – prima di mori-re Giuseppe riprende il motivo annunciando in 50,24 che un giorno Dio condurrà il suo popolo nella terra promessa ai Padri («vi farà uscire verso il paese che gli ha promesso con giuramento», cioè in 22,16; 26,3; 28,15).

• Tra i figli di Giacobbe emerge Giuseppe (37,2-50,26) il cui racconto, dai caratteri sapien-ziali, pone le premesse dell’esodo mediante la discesa in Egitto di tutta la famiglia (cf Es 1,1-7). Si tratta non solo della storia del giusto umiliato ed esaltato, ma di un clan, di una famiglia con conflitti e riconciliazione («ritornarono a parlare in pace»). Alla fine, il pro-tagonista, a sua volta convertito, legge gli eventi come segno della provvidenza divina («per salvare molte vite»), ma Dio gioca dietro le quinte, quasi in filigrana, servendosi dei

2 Sulla figura di Abramo, cf W. VOGELS, Abraham. L’inizio della fede, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1999 (ed. francese: Abraham et sa légende. Genèse 12,1-25,11, Médiaspaul, Montréal 1996).

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sentimenti e delle passioni umane. La narrazione si chiude con le benedizioni e la morte di Giacobbe (49,29-50,26). I due discorsi in 46,1-5a e 50,24 accentuano sulla permanen-za “provvisoria” in terra straniera. La chiamata di Abramo (Gen 12,1-3) segna dunque una cesura: la prospettiva del rac-

conto si concentra sul popolo e sull’interesse per la terra. Questioni di genealogia e di territo-rio si intersecano.

Dio fa vedere la terra ad Abramo, la promette ancora Isacco, vi fa tornare Giacobbe dopo l’esilio presso lo zio Labano e promette il futuro ritorno, quando questi scende con la famiglia in Egitto. La vita di Abramo è come una partenza e un’esplorazione della terra promessa. La vita di Giacobbe è un itinerario circolare: lascia il paese per tornarvi con tutta la famiglia. La storia di Giuseppe spiega perché Israele è andato a vivere provvisoriamente in Egitto.

Le genealogie esprimono la preoccupazione per la discendenza: delimitano una fami-glia, una etnia, un popolo, inseriscono Israele nell’universo e definiscono la sua posizione con i popoli vicini, come i Moabiti e gli Ammoniti o i discendenti di Ismaele, legittimando le sue prerogative. Israele appartiene alle nazioni postdiluviane, Sem ne è il remoto antena-to. Si tratta di sapere chi è l’erede legittimo della promessa.

Nella storia di Abramo l’erede della terra promessa, la terra di Canaan, è Isacco, scartando Lot erede di Ammon e Moab (Gen 13), il servo Eliezer (Gen 15) ed Ismaele (Gen 16 e 21). Anche quest’ultimo avrà la sua genealogia (Gen 25,12-18), ma si tratta di una linea collatera-le. Giacobbe è definito di fronte ad altri popoli apparentati e residenti in territori vicini: Esau e gli Edomiti che vivono nel deserto nella montagna di Seir, Labano l’Arameo con il quale vengono definiti i confini (31,51-54). La terra di Canaan appartiene a lui (28,13-14; 31,3.13; 32.10). La storia di Giuseppe si interroga sulle “dodici tribù”: tutti i “fratelli” saranno bene-detti (Gen 49), costituiranno gli antenati del popolo; tutta la famiglia scende in Egitto, tutti ritorneranno nella terra.

– Esodo. Blenkinsopp, seguito da Whybray (Introduction), considera insieme Esodo-Numeri ar-ticolandolo in tre parti: 1) Israele in Egitto (Es 1,1-15,21); 2) Israele nel deserto (Es 15,22-18,27 + Nm 10,11-36,13); 3) Israele al Sinai (Es 19,1-Nm 10,10). Ma è bene seguire ogni libro mettendo in risalto la funzione di ogni sua parte in base ai dati letterari.

Il libro dell’Esodo si sviluppa in quattro parti accentuando la sovranità del Signore su Israele e la sua presenza nella dimora (simbolo del tempio). a) La liberazione (Es 1-15)

L’appello alla storia di Giuseppe con la discesa in Egitto fa da cerniera con Genesi, la presentazione dell’eroe protagonista introduce il nuovo contesto: schiavitù e persecuzione (Es 1-2). Mosè anticipa sin dall’inizio l’esodo del popolo in due “uscite”, verso i fratelli e verso il deserto di Madian (Es 2,11.13.15) 3.

Segue la narrazione della liberazione con il racconto delle piaghe o segni e prodigi che culmina nella morte dei primogeniti, la solenne e trionfale uscita, il passaggio del mar Ros-so (Es 3-15). • Israele dovrà “servire” non faraone, ma il Signore che rivela la sua sovranità e la pro-

clama sia nelle piaghe che nel passaggio del mare. • Faraone aveva negato di “conoscere” il Signore (Es 5,2); nel contesto Jhwh ripete fre-

quentemente la formula di riconoscimento: «Sappiate/sappiano che io sono Jhwh» (7,5.17; 8,6.18; 9,14.29; 10,2; 11,7; 14,4.8); dovranno riconoscerlo sia gli egiziani di fron-te alla disfatta che Israele dinanzi alla salvezza.

3 Sulla figura di Mosè, cf W. VOGELS, Mosè dai molteplici volti. Dall’Esodo al Deuteronomio, Borla, Roma 1998 (ed. francese, Moïse aux multiples visages. De l’Exode au Deutéronome, Médiaspaul, Montreal 1999.

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• Il poema liturgico conclusivo (Es 15) nella frase finale unisce la regalità del Signore e la sua dimora nel santuario.

b) Il cammino nel deserto (Es 15,22-18,27) Passato il mare, che segna la radicale divisione dall’Egitto, inizia il cammino sotto la guida di Dio e di Mosè, con le prove della fame, della sete e dei nemici e il «mormorio» del po-polo. Il racconto riassume i motivi che ritorneranno in Numeri. Il racconto è contrasse-gnato dalla formula di itinerario che indica gli spostamenti (15,22.27; 16,1; 17,1; cf 19,1-2) mediante i verbi nasa‘: “muovere la tenda, viaggiare, spostarsi”, bô’: “arrivare, entrare”, nÂÐah: “porre l’accampamento”, e nomi dei luoghi specialmente di partenza e di arrivo. Vi è anche un accenno alla organizzazione giuridica del popolo (Es 18).

c) L’alleanza al Sinai (Es 19-34) La prima sezione del racconto (Es 19,1-24,11) è inquadrata tra 19,7-8 e 24,3.7: alla richiesta al popolo della libera adesione (Es 19), seguono le condizioni dell’alleanza, mediante la proclamazione della legge, che inizia dalle “dieci parole”, da osservare ovunque, anche fuo-ri della terra (Es 20-23); conclude la narrazione celebrazione dell’alleanza (Es 24). • Jhwh si definisce: «Io sono Jhwh che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa di

schiavitù...», escludendo ogni altra divinità (Es 20,2-3). Fonda la sua sovranità unica in Israele, perché liberatore.

• Appare lo statuto di Israele che contiene il programma della sezione (Es 19,3-8): Israe-le è appannaggio o proprietà speciale (segullâ) del Signore, regno sacerdotale (mamleket kôhanîm), nazione santa (gôy qadôš). Il rituale di Es 24,3-8, soprattutto l’aspersione del sangue, consacra Israele: è alleanza nel sangue. Manca il santuario con il sacerdozio e l’altare (cf 29,43-46).

Il piano del santuario viene dato nella seconda sezione (Es 25-34) nell’ambito della prima infedeltà (il vitello) e del rinnovo del patto mediante il dono delle nuove tavole che raccol-gono scritte le condizioni fondamentali della relazione con il Signore. Emerge il tema della presenza del Signore. • In 24,12-31,18, il Signore mostra a Mosè il piano del santuario da costruire (25,8-9).

Sarà vero “sovrano” quando sarà costruito il santuario in cui potrà dimorare in mezzo al suo popolo e riceverne il culto. Dimora e accompagnamento saranno oggetto di ri-velazione e invocazione.

• La sezione è incorniciata dalla menzione delle “tavole di pietra” (Es 24,12; cf 31,18; 34,1.27-28): Dio abiterà in mezzo al suo popolo se Israele rispetterà la legge; ma il vi-tello d’oro pone in crisi l’esistenza stessa di Israele. Tuttavia, il Signore sarà un Dio di perdono e di misericordia (Es 34,6-7): la presenza di intercessori come Mosè e la mi-sericordia permetteranno al Signore di continuare a dimorare in mezzo al suo popolo (Es 32-34). Es 34 contiene una legge che entrerà in vigore solo dopo l’entrata nella terra promessa.

d) In Esodo 35-40 è dato il comando e descritta l’esecuzione della costruzione dell’arca: il Si-gnore viene a riempire con la sua “gloria” la dimora e ad abitarvi. È in mezzo al suo popo-lo e cammina con lui. D’ora in poi il Signore parla dalla tenda. • Stilisticamente la sezione collega inizio e fine (Es 35,1-3 e 40,34-38) mediante “lavoro”

e “opera” (mela’kâ) in 35,2 e 40,33. Ha legami anche con Gen 1,1-2,4a, soprattutto 2,1-3: Es 35,1-3 parla della settimana e del riposo nel settimo giorno; Gen 2,2 ed Es 44,33 Dio finì nel settimo giorno l’opera/Mosè finì l’opera. Dal santuario cosmico che Dio ha creato come sua opera d’arte si scende al santuario terreno segno della presenza di-vina in mezzo a un popolo, che lo servirà con il culto e il riposo sabbatico.

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• Dalla servitù al servizio: l’inizio descriveva la schiavitù, il lavoro forzato di Israele, ora questi compie verso il Signore il “servizio” liturgico (‘abôdâ), ma in libertà (35,5.21.22). Il riposo del sabato (35,1-3) distingue il lavoro libero dalla schiavitù.

• Due sono gli elementi fondamentali della conclusione: 1) Es 40,34-35, Jhwh abita in mezzo al suo popolo, occorre organizzare il popolo in funzione della presenza divina: è lo scopo del Levitico con le leggi liturgiche, le feste e i riti nel Santuario; 2) Es 40,37-38, dalla tenda Jhwh guida il popolo: Numeri riprenderà la marcia del popolo guidato dal Signore presente nella nube.

Levitico è il libro centrale. Contiene quasi esclusivamente leggi che in Levitico e Numeri vengo-no proclamate dalla tenda dell’incontro o durante il viaggio che conduce alle steppe di Moab. In particolare, il libro contiene: a) le leggi sul culto: sacrifici (Lv 1-7: sommario conclusivo in 7,37-38), consacrazione dei sa-

cerdoti e inaugurazione del culto (Lv 8-10); b) la legge di purità con il grande giorno della espiazione – lo yôm kippûr – (Lv 11-15.16); c) la legge di santità che culmina nel comandamento dell’amore verso il prossimo (Lv 17-26).

• Il testo risponde all’esigenza di vivere alla presenza del Dio «Santo» che accompagna il popolo nel cammino. Il Signore ora parla dalla tenda, ma fa appello alla rivelazione del Si-nai (cf Lv 26,3.14 e 27,34 appendice con medesima finale), per dire che la tradizione di Mosè ha normativa unica e si distingue dalle altre leggi.

• Significato del libro4. Due dati emergono: – L’esperienza dell’esodo fonda Israele: Jhwh l’ha fatto uscire dall’Egitto, l’ha reso libero. – Interpretazione: in questo atto Israele è “separato” dalle altre nazioni e “santificato”. Comportano conseguenze sullo statuto di Israele definendo i rapporti all’interno e con gli altri popoli. 1) L’esodo non è opera di un eroe umano, ma solo del Signore: Israele “appartiene” a

Jhwh, è “suo servo” (Lv 25,55). 2) Questo fatto definisce i rapporti tra i membri del popolo: a) saranno liberi non schia-

vi, la libertà è sacra (Lv 25,42); a questa libertà dell’esodo faranno appello i profeti (Am e Ger); b) Israele sarà “santo” come il suo Dio: «Siate santi perché io sono santo» (19,2; 22,31-33). Tutta la vita santa è regolata dalla legge; il culmine della legge di santi-tà è l’amore verso il prossimo (Lv 19,17-18).

3) La terra appartiene a Dio e resta sua: «Non sarà venduta perché voi siete residenti e ospiti presso di me» (Lv 25,23). Sono usufruttuari non possessori, se pignorata dovrà ritornare a coloro a cui è stata affidata (cf anno sabbatico).

4) “Separazione” e “santificazione” di Israele, che avviene con l’uscita dall’Egitto, defini-scono anche i rapporti con le altre nazioni. Il popolo che è stato “santificato” non può vivere come le nazioni dalle quali è stato separato (Lv 22,32-33). Questo si deve attuare con il rifiuto di ogni idolatria e con l’osservanza della legge e delle regole alimentari. La distinzione tra “puro e impuro” caratterizzerà tutta la vita di Israele: la purità rituale, riservata in particolar modo ai sacerdoti, si estenderà progressivamente alla vita quoti-diana di ogni giudeo.

• Valore e pericoli. Il valore di questa legge e mentalità consiste nel fatto che ha aiutato Isra-ele in diaspora, senza autonomia politica e senza terra, a sopravvivere e trasmettere la sua fede. La sua esistenza si fonda sulla fede e sulla legge prima che sulla terra. Non mancano però i pericoli: l’insistenza sul culto può diventare ritualismo se staccato dalla fede, la “se-

4 Cf J.L. SKA, cit., pp.45-47.

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parazione” può creare divisione e settarismo e il carattere distintivo – l’elezione – può es-sere inteso come privilegio e separazione anziché come compito e missione in mezzo all’umanità. Critiche al riguardo saranno portate da altri libri, come Giona e Rut, e un giu-dizio severo sarà dato nel Nuovo Testamento.

– Numeri riprende il tema del cammino di Esodo 16-18 seguendo le varie tappe, alternandolo con materiali legislativi: abbandono del Sinai (9-10) e proseguimento fino a Kadesh e alle steppe di Moab davanti a Gerico.

Il libro è per lo più diviso in tre parti: Israele al Sinai; la marcia dal Sinai alle pianure di Mo-ab; Israele nelle pianure di Moab. Invece Ska (che parte da Knierim5) considera due parti, la seconda (unita per convergenze formali e contenutistiche) è divisa in due tappe.

I parte (1,1-10,10): preparazione cultuale e militare – Israele si prepara a camminare nel deserto. Il racconto ha in vista tutta la marcia non una tappa particolare. II parte (10,11-36,13): esecuzione del piano – la marcia nel deserto, sul modello o genere letterario della “campagna militare”, che avviene in due tappe; Nm 21,10-20 funge da transi-zione. a) Israele cammina dal Sinai verso la terra promessa = marcia nel deserto (10,11-21,20). b) Israele inizia a conquistare un territorio (21,21-36,13). Da questo momento il racconto è

orientato alla conquista. Per la prima volta si dice che Israele «ha preso un territorio» e vi si è «stabilito»: Nm 21,25, cf vv.21-26; 21,31; 21,24 yaraš, “conquistare”: «Israele lo colpì [Sihon] a fil di spada e conquistò (wayyîraš) la sua terra dall’Arnon sino allo Iab-bok...»; nei cc.32 e 34 si danno istruzioni per la ripartizione del territorio; nei cc.22-24, gli oracoli di Balaam mostrano che nessuno potrà opporsi al piano divino.

• Significato del libro ❏ La prima parte insegna come “camminare con Jhwh” presente nella tenda: è dedicata infatti alla organizzazione delle tribù attorno alla tenda, ai compiti dei leviti e ad altre descrizioni legate al santuario. Il capitolo 10 tratta della preparazione immediata della partenza. ❏ La seconda mostra cosa significhi concretamente “camminare con Jhwh”: Jhwh è pronto ad aiutare il popolo, ma anche castiga ogni ribellione (castighi di tutto il popolo ribelle o di singoli: Aronne e Miriam, Nm 12; Datan e Abiran e i figli di Core, Nm 16; Mosè e Aron-ne, Nm 20,1-13). L’episodio più eclatante è in Nm 13-14, quando tutta la generazione dell’esodo è condannata a morire nel deserto a motivo del rifiuto di conquistare la terra.

• Messaggio I fallimenti dipendono non da Dio, ma dai peccati di Israele; quando segue il Signore rie-sce nelle sue imprese, come avviene nelle prime guerre di conquista (21,21-32; 21,33-35; 31). Composto dopo l’esilio, il libro spiega ai contemporanei a quali condizioni potranno ritrovare la terra promessa.

– Deuteronomio o «seconda legge» si svolge nella forma di tre grandi discorsi di Mosè che fa il resoconto degli eventi ed esorta alla fedeltà alla legge e la interpreta (Dt 1-4; Dt 5-11 [si con-clude in 26,16-28]; Dt 29-32); i discorsi sono interrotti dal codice deuteronomistico (16-26). Il libro si chiude con la narrazione degli ultimi eventi della vita di Mosè (Dt 33-34: testamento e benedizione, salita al monte Nebo, visione della terra, morte e sepoltura) e la sua successio-ne nella persona di Giosuè che guiderà il popolo ad entrare nella terra (cf libro di Gs).

5 R.P. KNIERIM, The Book of Numbers, in E. BLUM - C. MACHOLZ - E.W. STEGEMANN (edd.), Die heb-räische Bibel und ihre zweifache Nachgeschichte (Fs R. Rendtorff), Neukirchen-Vluyn 1990, pp. 155-163. An-che Olson divide il libro in due parti definite dai due censimenti, all’inizio e al c.26: a) la generazione che ha conosciuto l’esodo e il Sinai (cc.1-15; b) la nuova generazione che quarant’anni dopo ne prende il posto (cc.26-36).

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La struttura del libro è segnata da quattro titoli simili nel contenuto: • Dt 1,1: «Queste sono le parole (’elleh haddebārîm) che Mosè rivolse a tutti gli Israeliti al di là del

Giordano...»

• Dt 4,44: «Questa è la legge (wezō’t hattôrāh) che Mosè propose agi Israeliti»

• Dt 28,69: «Queste sono le parole dell’alleanza (’elleh dibrê habberît) che Jhwh ordinò a Mosè...»

• Dt 33,1: «Questa è la benedizione (wezō’t habberākāh) con cui Mosè, uomo di Dio benedisse gli I-sraeliti prima di morire...».

La teologia/ideologia deuteronomistica è alla base dei racconti dei libri di Giosuè e Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re, ritenuti nella tradizione ebraica come “Profeti anteriori”; influì anche nella redazione del libro di Geremia.

TEMA CENTRALE E SGUARDO GLOBALE

In una visione globale e nella prospettiva finale del Redattore, il contenuto del Pentateuco si può cogliere a partire dalla... fine. In Dt 34,1-4 Dio mostra a Mosè la terra promessa: «questa è la ter-ra!». Si conclude un ciclo iniziato con il libro dell’Esodo e con la vocazione di Mosè, dove Dio dichiara:

«Ho osservato la miseria, ho udito il grido (del popolo)... sono sceso per liberarlo, per farlo uscire da questa terra verso una terra bella e spaziosa» (Es 3,7-8).

È così tracciato l’arco che si estende dalla promessa al compimento (cf il «credo ebraico», Dt 26,5-9, che riassume gli eventi fondamentali, divenuti riferimento comune nella coscienza del popolo). Il tema centrale del Pentateuco inizia dunque con l’Esodo. La terra, tuttavia, resta fuo-ri; sarà raggiunta solo con Giosuè.

Il Pentateuco si presenta in gran parte anche come «vita di Mosè», totalmente al servizio del Signore: inizia con la sua nascita (Es 2), si conclude con la sua morte (Es 34).

Il primo libro – Genesi – occupa una posizione particolare con la descrizione dell’origine del mondo e di Israele. Costituisce la preistoria che Deuteronomio richiama:

Questa è la terra (ha’arez) per la quale ho giurato ad Abramo e a Giacobbe: io la darò alla tua discendenza (Dt 34,4, cf. Gen 15,7-19).

L’inizio è da ricercare nei Patriarchi la cui intera storia (Gen 12-50) è costituita attorno alla promessa e all’elezione (Gen 12,1ss) che si allarga in una visione universale:

In te saranno benedette tutte la famiglie della terra (Gen 12,3). Ma tale promessa può essere intesa in modo adeguato solo sullo sfondo dei primi undici ca-

pitoli: «la storia delle origini», in cui l’umanità creata da Dio intraprende un cammino dialettico tra bene e male. In mezzo a questa umanità Dio sceglie Abramo perché cammini davanti a lui e divenga benedizione per tutti.

I punti nodali che delineano la struttura ossia il disegno logico di tutto il Pentateuco sono dun-que: • La storia delle origini (toledôt, «generazioni/origini») come prologo (Gen 1-11). Il legame sem-

bra più allentato con il racconto che segue. In realtà aggiunge un elemento: colloca la storia del popolo di Dio nell’orizzonte della storia dell’umanità e del mondo. Il Dio dei Patriarchi e il Dio dell’esodo è anche il Creatore dell’universo. La “storia della salvezza” si estende a tutta l’umanità.

• La storia dei Patriarchi come preistoria (Gen 12-50): prepara il racconto dell’Esodo con la ele-zione e la promessa della terra e della discendenza.

• Il tema centrale è costituito dal racconto della liberazione e della peregrinazione dall’Egitto (Es 1-Dt 34), fino agli avvenimenti che precedono immediatamente l’ingresso nella terra. Essi hanno per protagonista la figura di MOSÈ.

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La terra resta come speranza, anche se intravista: l’Esodo non finisce, è soprattutto cammino, la terra non è pienamente raggiunta, resta «promessa» (modello escatologico) e resta sempre di Dio.

«La promessa della terra, non il suo possesso, è un elemento essenziale della fede di Israele. In al-tre parole, per il Pentateuco è possibile essere membro del popolo di Israele senza abitare nella terra promessa. Un’affermazione di questo tipo si capisce meglio dopo l’esperienza dell’esilio e al tempo della diaspora»6.

Il redattore finale fa un passo avanti rispetto ai predecessori, il Sacerdotale nel cui tempo Israe-le era un popolo senza terra, e il Deuteronomista, che narrava la conquista e la perdita della terra: «Esalta la promessa della terra. Tale scelta racchiude una lezione importante per gli israeliti, perché equivale a dire loro: abbiamo perso la terra, ma la promessa resta; ciò che conta non è la terra, ma la promessa. Gli israeliti del postesilio sapevano benissimo che la promessa della terra si era già re-alizzata. Questo fatto dava fiato alla loro speranza che avrebbe potuto realizzarsi nuovamente. Sotto questa luce, il Pentateuco diventa un libro di promesse»7.

Al centro dell’Esodo è l’alleanza (Es 19-24; 32-34), il contesto che offre la chiave di let-tura di tutta la storia seguente: l’accettazione libera dell’impegno, concretizzata nelle condizio-ni dell’alleanza (decalogo e legge) e nella sua celebrazione e stipulazione (Es 24 e 34); il conti-nuo alternarsi tra l’infedeltà all’alleanza (il vitello d’oro) e la riconciliazione grazie alla fedeltà del Signore (cf Es 34,6-7).

• Dt 33-34 conclude la storia del cammino nel deserto raccontata in precedenza. Il libro, che ha come prospettiva centrale l’alleanza, ha una sua storia, ma questo racconto fu introdotto in questa in modo da occupare la posizione finale, includendo la narrazione delle ultime vo-lontà e della morte di Mosè, e la elezione del suo successore Giosuè. Di fatto, l’influsso di Dt è alla base dell’«opera storica deuteronomistica» (Dtn), e di molte altre opere.

In conclusione 1) Due sono gli elementi essenziali per definire Israele: i Patriarchi, ai quali Dio aveva pro-

messo la terra, e Mosè, che la terra contemplò senza entrarvi. «Israele è il popolo che di-scende dai Patriarchi e che ha vissuto l’esperienza dell’esodo sotto la guida di Mosè. Dal punto di vista teologico, i due elementi basilari sono le promesse fatte agli antenati e il binomio esodo/legge (cf Es 20,2-3). Il Signore di Israele si definisce come “il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe” (Es 3,6) e come “il Signore che ha fatto uscire [Israele] dall’Egitto, dalla casa di servitù” (Es 20,2)».

2) L’esperienza dell’Esodo resta l’evento fondante della storia di Israele. Diverrà la struttura simbolica per interpretare il cammino storico di Israele e quello dell’intera umanità («libe-razione da – cammino verso»; tensione escatologica), e il modello teologico per parlare di JHWH e del suo modo di coinvolgersi nella storia dell’uomo (alleanza).

3) Il libro di Deuteronomio chiude un ciclo e ne apre un altro. Il testo conclusivo di Dt 34,10-12 segna uno spartiacque tra quanto precede e quello che segue. Infatti, Mosè appare il “più grande”: «Non è sorto in Israele un profeta come Mosè» (v.10). Ciò significa che la legge è superiore alle altre forme di rivelazione, perciò le precede. La sua superiorità dipende dalla sua relazione con Jhwh “faccia a faccia” – è contatto diretto – e per i conseguenti “segni e prodigi” compiuti in Egitto contro al faraone, i suoi ministri e tutto il suo paese e davanti a Israele.

6 J. L. SKA, Introduzione alla lettura del Pentateuco, p. 25, cf J. BLENKINSOPP, Il Pentateuco, pp. 67-68. 7 F. GARCÍA LÓPEZ, Il Pentateuco (Introduzione allo studio della Bibbia 3/1), Paideia, Brescia 2004, p. 281.

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APPENDICE8 Tetrateuco (Gen-Nm, Noth) – Pentateuco – Esateuco (Gen-Gs, Von Rad)? Enneateuco (Gen-2Re) = dalla creazione all’esilio con la distruzione del tempio? Nel Pen-

tateuco creazione e tempio sono fondamentali. Ma Gs-2Re rivelano l’impronta deuteronomisti-ca (Storiografia Dtn). Da un punto di vista canonico si può parlare di “storia principale” o “prima storia” (Primary History) di Israele. Ma non dal punto di vista letterario (cf sopra, Dt 34,10-12 “spartiacque”).

IL PENTATEUCO E IL NUOVO TESTAMENTO

– Una prima relazione con il NT appare nelle “figure”. 1) La contrapposizione dialettica tra Adamo e Gesù “nuovo Adamo” nella lettera ai Romani (Rm 5). 2) La figura di Abramo be-nedizione per tutti (Gen 12,3): come nel solo Gesù di Nazareth Dio diviene «carne» di salvez-za per tutti, così Dio elegge una «sola» stirpe fra i popoli, per benedire «tutti i popoli». Possia-mo stabilire un parallelo tra Gen 12,1-3 e Gv 3,16: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito». La promessa attraversa tutta la storia fino al suo compimento nel Fi-glio di Dio. Abramo è il “padre dei credenti”, la sua vera discendenza (Gv 8,31-58, gli altri hanno per padre il diavolo, cf Gal 3,6-29: figli di Abramo per la fede in Cristo). 3) Nel suo sa-crificio Isacco è considerato dai Padri immagine di Cristo nella passione. Anche Giuseppe, il giusto sofferente umiliato ed esaltato, è letto nei Padri come figura del Cristo.

– La struttura del Pentateuco e l’organizzazione del canone ebraico sono fondamentali per capi-re il NT9. La vita pubblica di Gesù inizia presso il Giordano, dove Giovanni battezza. Ora, il Pentateuco ha una conclusione aperta verso la terra. L’opera di Mosè resta incompiuta, senza superare quest’ultima frontiera: in Dt 34 Mosè è ancora sulle sponde del Giordano; solo Gio-suè compirà la traversata. Quando Gesù appare sulle rive del Giordano, annuncia il «regno», cioè il momento definitivo della salvezza, quando Israele potrà prendere finalmente possesso della sua terra. Il mistero si compirà a Gerusalemme centro della storia della salvezza. L’inizio del NT e l’opera salvifica di Gesù si presentano allora come compimento dell’opera incom-piuta di Mosè. Gesù è un altro Giosuè. E in realtà i due nomi: Giosuè (forma ebraica) e Gesù (forma aramaica) sono identici.

Giovanni 5, nel racconto della guarigione del paralitico alla piscina di Betesda, sembra ac-cennare a questa tematica: «Mosè ha parlato di me» (5,46). Mosè aveva annunziato che il Si-gnore aveva scelto Giosuè per compiere la promessa ai patriarchi di dare la terra a Israele. Gesù è questo Giosuè che fa compiere il passaggio definitivo, verso la terra che «i miti eredi-teranno» (Mt 5,5).

– Molti passi dei vangeli appellano con citazioni o allusioni alla figura di Mosè la cui opera Cri-sto Gesù viene a compiere in maniera definitiva, rinnovandone i gesti-prodigi e il messaggio. Del resto il mistero della morte, risurrezione e ascensione di Gesù viene considerato da Luca nella trasfigurazione come il suo “esodo” (Lc 9,31); e il segno che lo avvolge insieme con Mosè ed Elia sarà la nube, allo stesso modo delle manifestazioni divine dell’Esodo.

QUALE STORICITÀ?

Il Pentateuco, nonostante la presenza di numerosi corpi legislativi, ha la struttura della narrazione di una storia che raccoglie le tradizioni fondanti del popolo. Ma per valutare il contenuto occorre

8 Cf J.L. SKA, cit., pp. 28-34. 9 Cf J.L. SKA, cit., p. 26, e N. LOHFINK, «La morte di Mosè e la struttura del Canone biblico», La Civil-tà Cattolica 1999 III 213-222 (quaderno 3579-3580 [7-21 agosto 1999]).

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comprendere lo stile e lo scopo del racconto stesso, che è di narrare la «storia della salvezza». Inter-preta perciò la storia con intenti teologici. – Gen 1-11 descrive in modo popolare la creazione e l’origine del mondo, secondo i canoni e

le concezioni frequenti dell’epoca (del resto, nei Salmi e in altri passi, come Gb 38-39, ritor-nano diversi racconti di creazione). Al narratore non interessa come fu creato l’uomo, ma chi è l’uomo, le verità che riguardano lui, il mondo e il Creatore.

– La storia patriarcale a) È narrata come una «storia di famiglia», raccogliendo le tradizioni sugli antenati – i «Padri» –

in cui il popolo si riconosce. È la “memoria di gruppo”: nei racconti dei Patriarchi Israele cerca e comprende, racconta e definisce la propria identità.

b) È una «storia popolare», in uno stile esaltatorio che si sofferma sugli aneddoti senza preoc-cupazione di legare gli avvenimenti con la storia universale. Occorre perciò vedere se qualche dato – usi, costumi, migrazioni – si accorda indirettamente con altri, conosciuti at-traverso l’archeologia; lo storico farà opera di “selezione stratigrafica” nel racconto, tente-rà un confronto con i diversi dati, per verificare l’eventuale convergenza, senza tuttavia pretendere mai di raggiungere la piena sicurezza, consapevole che un processo di secoli è condensato in tre generazioni.

c) È una «storia religiosa», che sottende cioè una tesi religiosa: vi è un Dio che ha formato un popolo e gli ha dato un paese. • La prima oscura allusione a Israele appare nella stele del faraone Mernephtah (1220

circa). • In genere Abramo è posto verso il 1800-1700 a.C. Verso il 1700 è collocata la discesa

in Egitto: essa si accorda, a grandi linee, con le migrazioni in Egitto di popolazioni se-mitiche. Ma gli spostamenti migratori di Giacobbe sembrano da porre in un contesto di seminomadi più recenti, in fase di sedentarizzazione. Si tratta di spostamenti stagio-nali che ricordano la transumanza. È lui l’«arameo errante» di cui parla il «credo stori-co» di Israele (Dt 26,1-11).

– L’Esodo fa emergere la figura di Mosè, centrale per comprendere l’ebraismo. Egli non ha fun-zione militare (non ha esercito che è affidato a Giosuè) né dinastia (con la sua morte finisce il suo ministero), ma autorità profetica (è il più grande, Es 33-34) che gli deriva dal vedere Dio e dal parlargli «faccia a faccia» (Nm 12; Dt 34,10-12); l’autorità gli viene non dalla potenza, ma dalla competenza o conoscenza. Di Mosè si raccontano cinque vocazioni, per provare la sua autenticità: è stato chiamato e ha resistito, non ha agito per interesse.

• Il libro dell’Esodo accenna alla costruzione di due città deposito: Pitom e Ramses. L’uscita è posta in genere verso il 1250 a.C. o poco prima; l’insediamento in Trasgior-dania verso il 1225, in un momento di indebolimento del controllo egiziano in Siria-Palestina. L’Egitto, tuttavia, continuerà a dominare il territorio fino all’epoca dei re.

• Quella migrazione, però, verrà letta come il momento provvidenziale che darà origine al popolo, maturando una coscienza collettiva. La narrazione dell’uscita, poi, assume il colore di «gesta eroiche», talvolta inserite in contesto liturgico celebrativo (Pasqua).

– Deuteronomio rivela nelle sue leggi l’adattamento a nuove situazioni di vita posteriori, quando la sedentarizzazione è già avvenuta. È Mosè che fa il resoconto (1,1): riferisce e spiega al popolo quello che ha detto JHWH. Si passa dalla proclamazione della legge al primo stadio di interpre-tazione e attualizzazione, per indicare cosa si farà nella terra.

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FORMAZIONE - la «questione del Pentateuco»10

La ricerca sulle origini del Pentateuco conosce oggi un particolare travaglio e manifesta un evi-dente disagio dovuto da una parte alla critica alle teorie precedenti per superarne alcune defi-cienze, ma dall’altra alla fatica di proporne di nuove convincenti. Si vedano in proposito anche le nuove introduzioni alla Bibbia di Gerusalemme a alla TOB (Traduction Oecumenique de la Bible).

Il problema è nato in seguito ad alcuni aspetti curiosi che hanno spinto gli studiosi del Pen-tateuco a interrogarsi sulla sua formazione, privilegiando anzitutto una lettura «diacronica» del te-sto (metodo storico-critico). Gli autori hanno notato infatti: • ripetizioni di racconti (cf Gen 1 e 2; Abramo 15 e 17; i Patriarchi 16 e 21; manna e quaglie

Es 16,1-36 e Nm 11,4-34); • ripetizioni di leggi e la presenza di più codici (ad es. il decalogo Es 20 e Dt 5, o prescrizioni

per le feste, cf Es 12 e Dt 16, evoluzione delle stesse leggi che riguardavano circostanze di-verse);

• fusioni di racconti (Gen 6-9; Es 13-14); • stili diversi.

Si è posta dunque la domanda sulle origini storiche e letterarie del Pentateuco. Quali le ri-sposte? Nelle sue linee più ampie e generali è stata la seguente. a) L’esperienza fondante fu l’esodo, cioè la liberazione dall’Egitto, che ha posto Israele in rela-

zione al suo Dio: Dio liberatore e Dio dell’alleanza. Attorno ad essa è confluito il diverso materiale: racconti, discorsi, leggi, riflessioni sugli avvenimenti.

b) Si è passati da una fase orale e celebrativa (feste e templi), che ha creato un patrimonio comune, anche se con tradizioni diverse, alla fase scritta. Questo percorso è però difficil-mente percorribile nelle sue varie tappe. NB. Più che di «fonti» scritte, già definite, si preferisce oggi parlare di «tradizioni». La teoria classica (di Wellausen [fonti scritte], modificata da Gunkel e Von Rad [storia delle forme], e poi da Noth [storia delle tradizioni] e la scuola scandinava [tradizioni orali]) ne identifica 4: Jahwista (J), Elohista (E), Deuteronomista (D), Sacerdotale (P = Priester).

L’argomento comporta due piste di ricerca: le origini e il processo di redazione, riassunti da Erich Zenger (Introduzione, cfr. “Ipotesi sull’origine del Pentateuco e sviluppi dell’indagine scientifica” e “Processo di redazione”).

Le ipotesi delle “origini” vertono attorno a quattro modelli: Il modello Erich Zenger-Peter Weimar o modello di Münster) colloca l’origine del Pentateuco tra il VII secolo e la fine del VI, con la “ipotesi dei frammenti” ossia dei cicli narrativi, provenienti da due o tre «fonti» (opera storica gerosolimitana, che formò un quadro storico normativo sugli inizi del rapporto tra Jhwh e il suo popolo, il Deuteronomio, lo scritto sacerdotale), integrate insieme prima del 400 a.C, quando la Torah fu definita come opera autonoma (= Gen 1-Dt 34), delimitandola rispetto agli altri libri del cosiddetto Enneateuco.

Vi è poi il modello di Erhard Blum, che fa proprio quello di Rendtorff11, suo maestro, e sostiene una origine e una trasmissione indipendente delle tradizioni narrative della Genesi da una 10 Una sintesi dei dati e delle teorie recenti per interpretare il Pentateuco è in J.L. SKA, «Le Pentateuque: état de la recherche à partir de quelques récentes “Introductions”», Bib 77 (2/1996) 245-265 [excur-sus], cf IDEM, Introduzione alla lettura del Pentateuco, pp.113-185, e J. BLENKINSOPP, Pentateuco, pp.11-43; si vedano anche G. RAVASI, Genesi, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1988, pp.565-573; G. BORGONOVO, Genesi, in La Bibbia, Piemme; F. GARCÍA LOPEZ, Il Pentateuco (Intro-duzione allo studio della Bibbia 3/1), Paideia, Brescia 2004; la lunga rassegna di G. Braulik - E. Zenger, «I libri della Torah (del Pentateuco)», in E. ZENGER (ed.), Introduzione all’Antico Testamento, Queriniana, Bre-scia 2005, pp.281ss.

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parte e di Mosè e dell’Esodo dall’altra fino ai tempi dell’esilio; furono riunite solo nei primi tempi dopo l’esilio da una composizione sacerdotale

Il terzo modello è quello di Eckart Otto che pone il Deuteronomio come culla del Penta-teuco: non gli spetta solo il ruolo di conclusione, ma fornisce pure indicazioni decisive per cogliere le linee-guida cronologiche della crescita del Pentateuco, in quanto è possibile indi-viduare dei passi da Dt 13 e 28 quali ricezione letteraria di un testo esterno all’Antico Testa-mento sicuramente databile (confronto del giuramento di fedeltà o lealtà di Israele con il giu-ramento del nuovo re assiro Asharaddon, 681-669 a.C.).

Infine, Reinhard G. Kratz spiega l’origine del Pentateuco includendo i libri da Gs a 2Re (cf anche K. Schmid) e ritiene come primo decisivo mutamento nella formazione della tradi-zione la comparsa degli Assiri; egli considera due autonome “leggende sulle origini” che po-ne al VII secolo: la storia primordiale e la storia dei Padri (Gen 2-35) con una concezione re-ligiosa inclusiva, e l’esodo in una prospettiva esclusiva che separa Israele da tutti i popoli; furo-no poi completate dopo la conquista di Gerusalemme, in forza delle conseguenze che ne de-rivarono; l’ultimo passo nella genesi del Pentateuco si compì nel IV secolo con la suddivisio-ne dell’Enneateuco (i circoli che hanno compiuto l’opera è impossibile precisarli).

Un secondo atto o una seconda pista della ricerca storico-critica consiste nella precisazio-ne del processo di redazione del Pentateuco che ha creato l’opera nella sua attuale struttura u-nendo i vari testi, accostando svariate prospettive, assimilandole e contrastandole: la maggio-ranza degli autori propende per la redazione sacerdotale; altri optano per una non-sacerdotale, ma profetica, tardo-deuteronomista o sapienziale. Il problema presenta dunque un aspetto letterario, ma vi è anche un aspetto teologico e storico. Teologicamente il Penta-teuco appare come Torah, cioè come autorità ultima e come forza sanante e salvifica; centra-le è la categoria di berith; di conseguenza avviene la separazione tra Gen-Dt e Giosuè con i li-bri seguenti mediante l’inserimento del ‘giuramento’ di tipo deuteronomistico e dei Patriarchi come ‘figure fondanti’ di tipo sacerdotale; alla fine è posta la rielaborata ‘benedizione di Mo-sè’ (Dt 33) che considera il futuro di Israele non fondato sul potere statale, ma nella solidarietà familiare. Dal punto di vista storico, Zenger riprende dapprima l’idea della promulgazione in epoca persiana, dove si contrastano due opinioni: l’autorizzazione imperiale della Torah, quasi un documento della propria identità di fronte al potere persiano (cf P. Frei; R. Ren-dtorff e J. Blenkinsopp = scuola di Heidelberg), o il frutto di un processo interno al giudai-smo, opera della comunità dei cittadini di Gerusalemme legati al Tempio (cf J.P. Weinberg: “Bürger-Tempel-Gemeinde” e J.L. Ska); legge poi il Pentateuco come documento di compromesso tra due prospettive, quella teocratica (le promesse dei profeti sono già realizzate) e quella escatologi-ca di tipo deuteronomistico (la benedizione di Dio si realizzerà per Israele contro i popoli) o profetico (la sovranità regale di Jhwh in Sion). Infine, la Torah diventa libro «canonico» nel senso che raccoglie, in maniera vincolante per tutti, i valori normativi e formativi di una co-munità, ma nello stesso tempo diventa compromesso tra prospettive diverse e resta aperto a una rivelazione ulteriore, confermata dalla accettazione degli stessi libri profeti e degli Scritti, pure «canonici». La canonizzazione non intende causare la conclusione della rivelazione, ben-sì l’orientamento del senso della rivelazione (p. 203): il Pentateuco/Torah in quanto ‘canone’ resta guida per la vita (cf Dt 4,2), e deve soprattutto servire alla prassi (per osservare i co-mandamenti).

Tralasciando i dettagli delle varie tesi, potremmo convenire sul alcuni punti: Strati successivi e più teologie e linguaggi hanno contribuito alla formazione del Pentateuco, senza pensare che ogni tradizione abbia avuto una elaborazione teologica definita; la più antica

11 Cf R. RENDTORFF, Introduzione all’AT, Claudiana, Torino 1990.

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sarebbe stata J, forse scritta già prima dell’esilio. Ma soprattutto dobbiamo la composizione del Pentateuco alle correnti deuteronomistica (D) e sacerdotale (P).

Una redazione D fu rielaborata dalla sua scoperta (622 a.C.) fino all’esilio (molti sostengono che una riforma sia stata iniziata o tentata da Giosia, ma in realtà il testo che narra la scoperta della legge – 2Re 22-23 – sembra postesilico; servì per dare credito alla riforma di Esdra e Ne-hemia). Questa corrente deve aver sistemato il materiale secondo la propria linea teologica.

Alcuni autori (es. Garcia Lopez) sostengono la teoria delle «due edizioni» del Deuteronomio, quella preesilica, e la rielaborazione esilica e postesilica, evidenziando due diverse strategie e concezioni.

A) Nella prima (come Deut 6,4-5 che è posto tra il materiale originario), in seguito alla caduta di Samaria, la riforma deuteronomistica proclama Jhwh quale unico Dio d’Israele al quale si deve assolu-ta fedeltà, con tutte le forze; di conseguenza Israele nelle leggi cultuali e sociali appare come il po-polo di Jhwh, unito al suo Dio.

B) La tradizione esilica e postesilica (ad es. 4,6-8 e 30,15-20) affronta invece il problema dell’identità nazionale e religiosa di Israele, introducendo due modifiche o sottolineature: la ridefinizio-ne del Deuteronomio come Torah e una certa «sapienzializzazione». Di conseguenza, Israele è il popolo della Torah; l’osservanza della Torah e la vicinanza del Signore sono le caratteristiche che determinano la sua saggezza e superiorità di «popolo saggio e intelligente» come nessun altro, una nazione grande; e Mosè dà anche direttive, traccia la via che conduce alla vita12.

L’intervento finale di P (si discute sulla datazione e sulla sua organicità) riprese la scuola Dtn e completò il testo, a iniziare dall’epoca di Esdra, tra il 400 e il 350 o 300 a.C.

Per la stesura finale si confrontano due ipotesi dominanti. Da un lato si sostiene che essa av-venne per autorizzazione persiana, la potenza dominante su Israele (il Pentateuco sarebbe il do-cumento ufficiale che fissa lo statuto della comunità del Secondo Tempio agli occhi delle auto-rità persiane), dall’altro sarebbe stata la comunità dei cittadini di Gerusalemme legati al Tempio a compiere quest’opera.

Alcune spiegazioni storiche e letterarie dell’origine del Pentateuco ruotano attorno al mate-riale deuteronomistico e considerano il Tetrateuco (Gn-Nm) come un prodotto complementa-re di epoca persiana. Vi è probabilmente eccessiva enfasi sul deuteronomismo, ma anche una certa aderenza alla situazione storica e storico-religiosa da cui è sorta la letteratura biblica dell’antico Israele.13

In conclusione ❏❏❏❏ Il Pentateuco attuale risente della teologiadi P e Dt/Dtn, anche se parte del materiale dovette

esistere in epoca antecedente a Esdra (fonte preesilica). ❏❏❏❏ Emerge una varietà teologica e ideologica compresente, al di là della teoria classica delle tradizioni

o delle fonti che pone in risalto la variante delle figure dominanti: il re, il profeta, la comunità è organicamente strutturata in diverse istituzioni regolate da statuti (cf Dt 18), predomina la figura del sacerdote (P). Nei corpi legislativi Ska evidenzia tre codici e intravede tre ideologie: Deuteronomista, Sacerdotale e la “Legge di Santità” del Levitico; infine l’ultima redazione14.

Tuttavia, la questione letteraria e storica delle origini del Pentateuco è resta una delle più dibattute. Accanto a chi sostiene e difende le vecchie teorie, vi è chi le critica aspramente. Ma spesso la critica contro le tesi passate prevale sulle indicazioni positive, e le scelte metodolo-giche sono talora unilaterali come le teorie rifiutate. Probabilmente ha ragione Ska quando afferma che: «Il modello che appare più ragionevole oggi è quello che combina elementi dei

12 Cf F. GARCÍA LOPEZ, tôrāh, ThWAT VIII, Stuttgart 1995, 597-637; per il libro del Deuteronomio, IDEM, Il Pentateuco, pp. 224-265. 13 Cf E.TH. MULLEN, Jr., Ethnic Myths and Pentateuchal Foundations. A New Approach to the Formation of the Pentateuch (Society of Biblical Literature Semeia Studies), Scholar Press, Atlanta 1997. 14 J.L. SKA, pp.213-217. In questa linea, cf anche A. ROFÉ, Introduzione alla letteratura della Bibbia ebraica, vol 1. Pentateuco e libri storici (Introduzione allo studio della Bibbia Supplementi 48), Paideia, Brescia 2011, p.135.

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vari modelli proposti nel secolo passato, vale a dire l’ipotesi dei frammenti, l’ipotesi dei com-plementi e l’ipotesi dei documenti».15

❏❏❏❏ Oggi, tralasciando l’attacco alle teorie delle fonti per motivi fondamentalisti, si accentua un me-todo di lettura che parta anzitutto da una lettura unitaria o «sincronica» del testo canonico, per cogliere l’insieme organico di relazioni: analisi strutturale e strutturalista, simbolica e narrati-va. Questa non elimina l’importanza del metodo storico-critico, ma lo completa.

Bibliografia generale sul Pentateuco J. BLENKINSOPP, Il Pentateuco. Introduzione ai primi cinque libri della Bibbia (Biblioteca biblica 21),

Queriniana 1996. G. CAPPELLETTO, In cammino con israele. Introduzione all’Antico testamento, vol. I (Studi religiosi),

EMP, Padova 62009. J. L. SKA, Introduzione alla lettura del Pentateuco. Chiavi per L’interpretazione dei primi cinque libri della Bibbia,

Edizioni Dehoniane, Roma 1998 – Edizioni Dehoniane, Bologna 2000. F. GARCÍA LOPEZ, Il Pentateuco (Introduzione allo studio della Bibbia 3/1), Paideia, Brescia 2004. S. PINTO, Io sono un Dio geloso. Manuale sul Pentateuco e i Libri Storici: introduzione ed esegesi, Borla 2010. R. RENDTORFF, Introduzione all’AT, Claudiana, Torino 1990. A. ROFÉ, Introduzione alla letteratura della Bibbia ebraica, vol 1. Pentateuco e libri storici (Introduzione allo stu-

dio della Bibbia Supplementi 48), Paideia, Brescia 2011. H. CAZELLES e J.P. BOUHOT, Il Pentateuco, Paideia, Brescia 1968 (contiene la presentazione della teo-

ria classica della formazione del Pentateuco come appare anche nella seconda edizione della Bibbia di Gerusalemme [cf l’edizione attuale italiana; la nuova edizione è in accordo con le introduzioni della TOB], sottolineando più la teoria delle “tradizioni” che quella delle “fonti”).

E. ZENGER (ed.), Introduzione all’Antico Testamento, Queriniana, Brescia 2005 (ed ted. Einleitung in das Alte Testament, 52004 (per il Pentateuco offre, con Braulik, una lunga rassegna degli attuali tentati-vi che rivelano la complessità dei problemi inerenti al testo).

EXCURSUS

I - J.L. SKA, «Le Pentateuque: état de la recherche à partir de quelques récentes “Introductions”», Bib 77 (2/1996) 245-265. Cf IDEM, Introduzione alla lettura del Pentateuco. Chiavi per l’interpretazione dei primi cinque libri della Bibbia, Ed Dehoniane, Roma 1998.

L’autore nell’articolo analizza quattro introduzioni recenti: R.N. WHYBRAY (Introduction to the Pentateuch, W.B. Eerdmans, Grand Rapids MI 1995; cf IDEM, The Making of the Pentateuch. A Methodological Study [JSOTSS 53], Sheffield 1987; valutazione critica in Bib 69 [1988] 270-273) che opta per una lettura sincronica, per quanto è possibile: è un’opera nel suo insieme coerente e unitaria; il Pentateuco attuale è concepito come prefazione alla storia deuteronomista; data-zione postesilica (cf J. Van Seters);

15 J.L. SKA, cit, 1998, p.217, cf l’excursus, sotto. Lo stesso autore propone la citata rassegna su quattro in-troduzioni al Pentateuco con osservazioni critiche (Bib 77 [2, 1996] 245-265) [Excursus I). È interessante la disanima di G.L. PRATO, in RivBib 47 (1999) 229-232, nella recensione al libro di D.J. WYNN-WILLIAM, The State of the Pentateuch. A Comparison of the Approches of M. Noth and E. Blum (Beihefte zur Zeitschrift für die Alttestamentliche Wissenschaft 249), Walter de Gruyter, Berlin – New Zork 1997, che sostanzialmen-te continua a difendere, pur con molte distinzioni, la linea tradizionale che ritroviamo nel libro del suo maestro A.F. CAMPBELL scritto con M. O’BRIEN (Sources of the Pentatuch. Texts, Introduction, Annotations, For-tress Press, Minneapolis 1993): «Con questa puntigliosa analisi comparativa si è voluto dunque ritornare a difendere, sebbene con molta cautela e per vie traverse, la validità di un metodo che oggi molti ritengono superato... Di fronte a questi tentativi di ridare vigore a un metodo che sembra (o sembrava) ormai desti-nato al tramonto, vi è da chiedersi se si tratti solo di sporadici sprazzi di una comprensibile nostalgia op-pure se si debba registrare, magari con rammarico ma certo con la dovuta onestà, il comportamento attua-le di una ricerca che ha buon gioco nel far rilevare le deficienze di metodi ormai improponibili, ma non sa trovare sbocchi alternativi altrettanto convincenti».

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J. BLENKINSOPP (The Pentateuch. An Introduction to the First Five Books of the Bible [The Anchor Bible Ref-erence Library], Doubleday, New York-London-Toronto-Sydney-Auckland 1992; it. Il Pentateuco. Intro-duzione ai primi cinque libri della Bibbia [Biblioteca biblica 21], Queriniana, Brescia 1996) si ispira alla scuola di Heidelberg (Rendtorff, Blum, Albertz, Crüsemann): vi sono due grandi insiemi o composi-zioni, il deuteronomista (D) e il sacerdotale (P). La composizione dell’opera è posta all’epoca persiana, con autorizzazione imperiale: il Pentateuco sarebbe il documento ufficiale che fissa lo statuto della comunità del Secondo Tempio agli occhi delle autorità persiane; A.F. CAMPBELL - M.A. O’BRIEN (Sources of the Pentateuch. Texts, Introduction, Annotations, Fortress Press, Minnepolis, MN, 1993): sviluppa le idee di Noth = teoria classica con il concetto di Tetrateuco; insiste su unità, dualità, arte della combinazione; E. ZENGER (ed., Einleitung in das Alte Testament [Studienbücher Theologie 1,1], W. Kohlhammer, Stut-tgart 1995): è in una posizione intermedia tra la teoria documentaria e la scuola di Heidelberg. Ricono-sce tre insiemi preesistenti o fonti: opera presacerdotale (cf Jeovista = storia gerosolimitana), sacerdo-tale e deuteronomio, con cicli di racconti indipendenti all’origine. Il Pentateuco attuale è frutto di un compromesso tra diversi gruppi dell’Israele postesilico: i più importanti erano il sacerdozio teocratico e il laicato con tendenza escatologica influenzato dai circoli profetici.

Nota poi alcune convergenze degli studi attuali. 1) Molti metodologicamente fanno precedere una lettura di tipo sincronico all’analisi delle compo-

nenti (cf anche la introduzione dell’autore, cap. II); anche in chi sostiene le teorie classiche il con-tenuto è più nuovo della forma.

2) Una maggiore importanza è riservata alle leggi (la teoria documentaria nacque dall’esame delle leg-gi).

3) Circa le antiche fonti, Yahvista ed Elohista, se ne contesta l’antichità in base alle seguenti obiezioni: (1) la teologia complessa difficilmente può risalire agli inizi della monarchia; (2) J suppone anche un senso della storia e delle tecniche di composizione letteraria che non potevano esistere in epoca antica, ma si comprendono meglio a un’epoca vicina ai profeti scrittori; (3) un’opera così impor-tante avrebbe dovuto lasciar traccia negli scritti dei primi profeti; (4) testi fondamentali come Gen 12,1-4a o Gen 2,4b-8,22, si sono rivelati recenti per molti ricercatori; (5) ci sono più differenze che somiglianze tra J e la storia di Davide: la teologia non è la stessa ed è difficile spiegare perché i racconti di 1-2 Sam non facciano più chiara allusione ai testi J.

Inoltre due autori tendono ad attribuire ai testi di Gen 1-11 una origine recente: Blenkinsopp (64-66; 69-70; 77-78) e Zenger (114-115). E Genesi 2-3 ha una colorazione sapienziale presente nei testi esilici o postesilici (Blenkinsopp, p. 65, cf L. ALONSO SCHÖKEL, «Motivos sapienciales y de alianza en Gn 2-3», Bib 43 [1962] 295-316).

4) Due autori danno importanza all’autorizzazione imperiale persiana (Blenkinsopp e Zenger): cf au-torizzazione della ricostruzione di tempio e mura; redazione prima dello scisma samaritano e della traduzione dei LXX = verso il 400 a.C., per divenire la “legge ufficiale” della comunità giudaica, approvata dalle autorità persiane. Ma obiezioni alla teoria: tutta la legge o solo parte? Si tratta di approvazione ufficiale della legge o all’erezione della provincia? Si tratta di legge di Israele o della provincia della Giudea?

Infine pone dei punti interrogativi. a) Abbiamo un solo autore? Le osservazioni di Ska partono da Whybray con i suoi presupposti meto-

dologici che prendono le distanze dalla esegesi storico-critica (pp. 252-253). Risposta globale: molti concordano sulla data postesilica della composizione finale del Pentateuco; come anche sull’uso di materiali anteriori. Il punto delicato toccato da Whybray riguardava la possibilità di ritrovarli nell’opera finale.

Ora ci sono tracce visibili del lavoro “editoriale”, ossia gli stessi redattori hanno lasciato inten-dere che si tratta di aggiunte e non di parti di un’opera originale. Esempi di tecnica redazionale.

1 – Gen 16,9.10.11: la formula ripetuta d’introduzione per segnalare i loro interventi (oracolo primitivo ai vv.11-12; il v.9 tenta di conciliare Gen 16,1-14 con 16,15-16; bisognava anche concilia-re Gen 16 con Gen 21, altra visione della espulsione di Agar).

2 – Gen 22,15-18: il redattore fa chiamare Abramo dall’angelo per la “seconda volta” (v.15) = vuole distinguere il secondo discorso dal primo (vv.11-12).

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3 – Tecnica della “ripresa”. Il Redattore di Es 3,15: «E disse ancora (‘ôd)», è altro segno dell’intervento con una “ripresa”; cf Es 19,8b.9b, che aggiunge, dopo 19,3b-8, una frase sul ruolo di Mosè (8b: wayyaššeb mošeh ’et-dibrê ha‘am ’el-Yhwh; 9b “riprende” una frase simile: wayyagged mošeh ’et dibrê ha‘am ’el-Yhwh).

4 – Un altro esempio è in Gen 37,38: Giuseppe venduto dai Madianiti; in Gen 39,1, una ripresa classica, è venduto dagli Ismaeliti a Pothifar. Sono gli stessi? Forse, ma come mai queste incoeren-ze?

Perciò, quella di un autore unico resta una teoria assai problematica. È più semplice pensare che il testo attuale abbia voluto armonizzare diverse versioni.

Anche l’idea di “autore” resta problematica. Anonimo? Un testo, che proviene da un contesto simile e dalla medesima epoca, è Gilgameš16.

b) Un secondo problema riguarda il rapporto tra il Pentateuco e il Deuteronomista (pp.256-259). L’autore parte da Blenkinsopp sulla composizione del Pentateuco simile alla storia deuteronomista: la fraseologia e lo stile deuteronomico sono presenti nel Tetrateuco (Gen-Nm)? In realtà, P D e Cronache usano tecniche redazionali simili che erano diffuse. Senza rimettere in discussione gli studi già ricordati (cf Willi), suggerisce: 1) un metodo: il confronto tra tecniche redazionali dello scrittore sacerdotale, del deuteronomista o del Cronista potrebbero far avanzare la discussione; 2) bisogna chiedersi se non ci sia una redazione postdeuteronomista e postsacerdotale del Pentateuco (cf Otto e lo stesso Ska); 3) è certo, in ogni caso, che la composizione non sacerdotale del Pentateuco utilizza un metodo diverso da quello dello storico deuteronomista, una differenza che bisogna spiegare.

c) Segue l’esame critico di alcuni testi oggetto di discussione nelle teorie classiche, che possono essere spiegati in modo diverso: il racconto del diluvio, Gen 37 e la storia di Giuseppe.

d) Soprattutto considera la fine del racconto sacerdotale (che andrebbe, più che a Dt 34 o a Lv 9,24, almeno fino a Nm 13-14 e all’istituzione di Giosuè: Nm 27,12-14a.15-23): nel rifiuto del popolo di prendere possesso della terra per paura del popolo (Nm 14,9) è il riflesso di Esd 3,3 (gli esiliati ri-costruiscono l’altare nonostante la paura di fronte al popolo della terra) ed Esd 4,4 (il popolo della terra riuscì a scoraggiare la comunità della gôlâ durante il regno di Ciro fino al regno di Dario). Questo potrebbe essere un dettaglio importante per la datazione del racconto sacerdotale: «Ci sono numerose convergenze tra la situazione descritta da Esd 4,1-5 e la situazione che suppone Pg: lo scoraggiamento del popolo e la dilazione dell’entrata nella terra promessa, perché occorrerà una nuova generazione perché si compisse la promessa. Il racconto sacerdotale rilegge l’esperienza del ritorno e il suo parziale fallimento alla luce dell’esodo e delle ribellioni nel deserto» (mia sottolinea-tura).

Conclude: «Malgrado tutte le difficoltà con le quali si scontrano gli esegeti del Pentateuco e le numero-se divergenze di queste introduzioni, tuttavia è incoraggiante constatare i progressi compiuti dalla ri-cerca, lo sforzo costante di chiarificazione dei presupposti, la cura di far dialogare i metodi sincronico e diacronico e, infine, occorre sottolineare il desiderio comune di partire o ripartire dai testi» (p. 265).

16 Per la saga o epopea di Gilgameš/Gilgamesh, cf G. PETTINATO, La saga di Gilgamesh, Rusconi, Mila-no 41993; F. D’AGOSTINO, Gilgameš alla conquista dell’immortalità. L’uomo che strappò il segreto agli dei, Piemme, Casale Monferrato 1997; G. RAVASI (presentazione di) L’Antico Testamento e le culture del tempo, Borla, Roma 1990; C. SAPORETTI, Il Ghilgameš, Simonelli Editore, Milano 2001; cf anche A. PERROT, I Sumeri, BUR Arte, Rizzoli, Milano 1981 (ristampa dell’edizione del 1960).