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AFFARI SOCIALI INTERNAZIONALI NUOVA SERIE Trimestrale - Anno IV, n. 1-4/2016 INTRA MOENIA Il sistema di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo in Italia nei rapporti di monitoraggio indipendenti Realizzato con il contributo di Roma, ottobre 2016 Rapporto a cura del Centro Studi e Ricerche IDOS

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AFFARI SOCIALI INTERNAZIONALINUOVA SERIE

Trimestrale - Anno IV, n. 1-4/2016

INTRA MOENIAIl sistema di accoglienza

per rifugiati e richiedenti asilo in Italia nei rapporti di monitoraggio indipendenti

Realizzato con il contributo di

Roma, ottobre 2016

Rapporto a cura del Centro Studi e Ricerche IDOS

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Affari Sociali Internazionali, n. 1-4/2016Edizioni IDOS

con il contributo di Open Society Foundations

Society Foundations (Grant OR2015-25560)Curatore: Ugo Melchionda Hanno curato alcuni capitoli: Giulia Gori (pp. 32-52), Antonella Elisa Castronovo (pp. 68-83), Valentina Brinis (pp. 135-145)Hanno collaborato: Maria Pia Borsci, Raniero Cramerotti, Ginevra Demaio, Luca Di Sciullo, Claudia Mancosu, Giuseppe Mazza, Maria Paola Nanni, Franco Pittau, Antonio Ricci. Hanno contribuito, rilasciando interviste, raccogliendo informazioni e dati o fornendo i rapporti realizzati dalle rispettive organizzazioni: Alessandra Ballerini, Fulvio Vassallo Paleologo, Elena de Filippo, Paola Andrisani, Rita Carravetta, Laura Cremonini, Giorgia Serughetti, Giovanna Castagna, Marco Perduca, Silvia Festi, Giulia Capitani.

Chiuso in redazione: il 31/10/2016.

La rivista Affari Sociali Internazionali (Nuova Serie) è aperta a contributi e ricerche di studiosi ed esperti delle tematiche migratorie italiani e stranieri. I collaboratori esprimo-no, nella massima libertà, opinioni che non riflettono necessariamente il pensiero della direzione né dei curatori.

Affari Sociali Internazionali – Nuova Serie – Trimestrale – Anno IV, n. 1-4/2016 Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 56 del 20.03.2013Direttore responsabile: Francesco PittauCopyright©by IDOS Società [email protected]. +39 06.66514345 (int. 1 o 2)fax +39 06.66540087Editing: Inprinting srlFinito di stampare a dicembre 2016 presso Consorzio Age - Pomeziaper conto di Inprinting srl, Via E. Dalbono, 35 - Roma

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Sommario

1. IntroduzIone metodologIca e rImando alle fontI utIlIzzate ... « 5

Uno sguardo al sistema attuale: aspetti statistici e operativi ................................... « 8

Criteri di lettura del presente Rapporto .................................................................... « 13

2. l’accoglIenza per rIchIedentI aSIlo e rIfugIatI .................................. « 15

Le strutture di primo soccorso e assistenza: i Cpsa e la loro trasformazione in hotspot ............................................................................................................ « 26

Le strutture di prima accoglienza: dai Cda e Cara agli hub regionali .................... « 60

Le strutture di seconda accoglienza: Sprar o Cas ................................................... « 84

Gli insediamenti informali ....................................................................................... « 122

Dentro/fuori il sistema di accoglienza: i Cie ........................................................... « 135

3. raccomandazIonI, rIchIeSte, concluSIonI deSunte daI rapportI ...« 146

Raccomandazioni di Medici per i Diritti Umani (Medu) ....................................... « 148

Le richieste di Naga ................................................................................................. « 151

Le richieste di Oxfam .............................................................................................. « 153

Le richieste del Tavolo Nazionale Asilo ................................................................. « 154

Richieste di MSF alle autorità nazionali e locali in merito agli insediamenti informali ............................................................................................................. « 157

Non Paper (Open Society Foundations). Oltre l’emergenza: raccomandazioni per la riforma del sistema d’asilo in Italia (Luglio 2016) ....................................... « 158

4. concluSIonI deI curatorI ............................................................................. « 165

Criticità dell’accoglienza e differenze a livello territoriale: un’analisi Swot ......... « 167

Un compito difficile per tutti ................................................................................... « 172

5. rIferImentI bIblIografIcI ............................................................................ « 175

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1. IntroduzIone metodologIca e rImando alle fontI utIlIzzate

Il sistema di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo in Italia è partico-larmente complesso per “la varietà dei centri in cui si articola, differenziati per la natura dell’ente gestore (istituzionale o del privato sociale), per gli obiettivi (prima o seconda accoglienza), per l’approccio (assistenzialista o progettuale), per la natura più o meno coercitiva dell’inserimento, per il carattere nazionale o locale del sistema di rete entro il quale il centro d’accoglienza è inserito, per le caratteristiche strutturali (centri collettivi o appartamenti singoli), per la tipolo-gia dei servizi erogati, nonché per la capacità ricettiva”1.

Ad aggiungere complessità sono ancora altri due elementi: l’incremen-to del numero di posti disponibili per l’accoglienza, rispetto a pochi anni fa, e le trasformazioni che la stessa normativa italiana sta conoscendo, in parte per adeguarsi alle esigenze di crescita che la cosiddetta “emergenza umanitaria” ha imposto negli ultimi due anni e, in parte, per adeguarsi a quelle imposte dall’Ue per la gestione delle migrazioni e dei richiedenti asilo, dando luogo a nuovi stru-menti e nuovi istituti.

A fronte di questa situazione, profondamente cambiata rispetto al passato e in continua evoluzione, le riflessioni sono state di tipo giuridico e operativo. Riguardo alle prime, su diversi aspetti, e soprattutto sulla creazione di nuovi isti-tuti (come ad esempio gli hotspot), sono state sollevate numerose perplessità da parte di avvocati, centri di studi giuridici ed organizzazioni sociali, che ne hanno evidenziato la mancanza di un’adeguata base nel nostro ordinamento nazionale. Le riflessioni di natura operativa, invece, hanno riguardato per lo più le forme, le modalità e la qualità dell’accoglienza praticata. Su questo punto sono interve-nuti rapporti dettagliati da parte sia di organizzazioni nazionali e internazionali come Anci, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Servizio Centrale dello Sprar, UNHCR (Rapporto sulla protezione internazionale 20152), sia di istituzioni, o nazionali come il Ministero dell’Interno (Rapporto sull’accoglien-za di migranti e rifugiati in Italia. Aspetti, procedure, problemi3) o legate ad enti

1 Angela Suprano, Il sistema di accoglienza in Italia. Un cammino verso l’integrazione?, 2016, in http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/asilo/suprano/index.htm.2 http://www.caritasitaliana.it/materiali/Pubblicazioni/libri_2015/Rapporto_protezione_2015/Rapp _Prot_Int_2015-RAPPORTO.pdf.3 http://www.asylumineurope.org/sites/default/files/resources/ministry_of_interior_report_on_reception_of_migrants_and_refugees_in_italy_october_2015.pdf.

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pubblici locali come la rete Sprar (Rapporto annuale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Atlante Sprar 20154).

Tali rapporti analizzano il fenomeno concentrandosi su numerosi punti di vista, che possiamo così sintetizzare: - la normativa che regola il sistema; - i flussi di rifugiati e richiedenti in entrata e in uscita (con numerosi dettagli

riguardanti i paesi di origine, il genere e le classi di età dei beneficiari); - le modalità di accoglienza e i percorsi di fuoruscita per un autonomo inseri-

mento nella società previsti dal sistema Sprar; - i costi del sistema nel suo complesso e pro capite (rispetto agli ospiti), a

fronte dei servizi offerti.Leggendo i vari rapporti, appare evidente come essi, pur molto completi su

ciascuno di questi aspetti, non entrano tuttavia nel dettaglio delle condizioni di vita e di accoglienza all’interno dei centri che costituiscono il sistema articolato dell’ac-coglienza nel nostro paese. Su questi ultimi aspetti si è soffermata, per esempio, la relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate5, che ha analizzato, tra l’altro, le con-dizioni di trattenimento dei richiedenti asilo e dei rifugiati nelle diverse tipologie di centri di accoglienza. Altri report sono stati prodotti da associazioni e organiz-zazioni indipendenti, segnatamente da Medici senza Frontiere (MSF), Medici per i Diritti Umani (MeDU), Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), LasciateCIEntrare, Cittadinanza Attiva e altre organizzazioni, che hanno cercato di verificare le condizioni effettive di accoglienza nei centri, il livello di soddisfazione dei beneficiari, le criticità e la risposta data alle loro richieste.

A partire da questi rapporti indipendenti, il presente lavoro intende fare il punto complessivo sul sistema di accoglienza in Italia, mettendone a fuoco le luci e le ombre, raccogliendo le best practice che per alcuni aspetti lo caratte-rizzano e anche le criticità che ne sono state segnalate, pervenendo a una sintesi coerente con l’impostazione metodologica specifica di Idos; maturata nella re-alizzazione di numerose ricerche specialistiche sull’immigrazione, il cui pro-dotto più noto è il Dossier Statistico Immigrazione, un rapporto impostato sulla raccolta, analisi e presentazione (senza prese di posizione aprioristiche) dei dati relativi all’immigrazione. Seguendo tale impostazione, sono state raccolte, ana-lizzate, comparate e selezionate, a partire dai rapporti istituzionali e non isti-tuzionali precedentemente citati, le informazioni, in essi contenute, relative a diversi aspetti del sistema di accoglienza del nostro paese.

4 http://www.sprar.it/images/Atlante_Sprar_2015.pdf.5 http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/022bis/006/INTERO.pdf.

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A questo riguardo, occorre tener presente che i flussi migratori sono una materia controversa fin dagli anni ’90, quando la loro consistenza era ancora molto ridotta rispetto a quella attuale. Da ultimo invece i toni del confronto sono diventati ancora più accesi. Ci auguriamo che l’impostazione da noi seguita, che sollecita un confronto senza pregiudizi sui dati di fatto più che sulle posizioni di principio, possa favorire e rafforzare una linea di impegno concreta e un con-fronto aperto, in grado di promuovere anche rispetto agli elementi di criticità identificati, una riflessione più fruttuosa.

Speriamo, quindi, che questo rapporto risulti utile. Per evidenti ragioni di budget, tempi, logistica, natura giuridica di Idos (che è un istituto di ricerca pri-vato), non sarebbe stato possibile percorrere l’iter che invece associazioni e ong, istituzioni e la stessa Commissione parlamentare di inchiesta hanno intrapreso, andando a verificare le reali condizioni di accoglienza in tutti i centri; inoltre, non abbiamo avuto a disposizione tutta la documentazione del Ministero dell’In-terno e delle Prefetture (o degli enti gestori dei Centri di accoglienza). In un contesto ideale, conoscendo in maniera completa tutti i centri di accoglienza, sarebbe stato possibile estrarre un campione statisticamente rappresentativo di tutto l’universo delle strutture in essere, per dare luogo a una vera e propria in-dagine campionaria sulla estensione e la qualità dell’accoglienza, con un’analisi esaustiva di quanto “statisticamente significativo”.

Nondimeno è tutt’altro che trascurabile quanto si è stati in grado di fare con questo Rapporto, dove sono confluite le informazioni già raccolte da orga-nizzazioni del Terzo Settore, associazioni di medici e avvocati, organizzazioni internazionali come anche da attivisti e ricercatori. Restando lontani dai toni di denuncia riscontrabili sui media, è stato condotto uno studio di secondo livel-lo, che utilizza i materiali prodotti direttamente dalle organizzazioni che hanno avuto la possibilità di entrare nei centri e raccogliere sul posto informazioni di prima mano.

Di tali informazioni forniremo un ampio resoconto, con alcune scelte di indirizzo che focalizzano l’attenzione su: - i dati strutturali relativi al sistema di accoglienza nel suo complesso; - l’analisi del cosiddetto approccio hotspot e delle sue conseguenze; - le condizioni di prima accoglienza nei centri Cara /Cpsa /Cda in via di tra-

sformazione in hub e nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria); - i dati generali riferibili al sistema di seconda accoglienza Sprar, con specifi-

ca attenzione alle best practice sviluppate al suo interno; - la situazione dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie).

Dei rapporti utilizzati si forniscono diversi stralci, facendo il più possibile parlare gli autori dei rapporti stessi, sulle condizioni di vita e di accoglienza di

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rifugiati e richiedenti asilo. Ove possibile daremo spazio alle parole dirette dei migranti, che in questi rapporti spesso raccontano in prima persona le proprie esperienze. Tuttavia, in considerazione della grande diffusione che vorremmo dare a questa ricerca, eviteremo, nei limiti del possibile, di far riferimento ai singoli centri, su cui i rapporti utilizzati danno dettagliate informazioni, riman-dando agli stessi per ulteriori approfondimenti.

Visti i nostri obiettivi, tesi a raccogliere e presentare dati sul sistema genera-le di accoglienza dei richiedenti asilo e i limiti delle nostre informazioni, i lettori troveranno ampi riferimenti per andare ai rapporti originali, mentre noi ci limi-teremo qui a illustrare le caratteristiche generali (con pregi e limiti) del sistema di accoglienza, così come emergono dall’analisi dei testi utilizzati, fornendo, nello stesso tempo, complete indicazioni bibliografiche e sitografiche, in modo da permettere ai lettori di farvi riferimento diretto.

uno sguardo al sistema attuale: aspetti statistici e operativiAl 31 ottobre 2016 i migranti e richiedenti asilo sbarcati in Italia dal 1°

gennaio dello stesso anno erano in totale 159.432, che andavano ad aggiunger-si ai 153.842 sbarcati nel 2015 ed ai 170.100 sbarcati nel 2014, per un totale di 401.378 persone approdate sulle coste italiane solo negli ultimi 30 mesi (cfr. Ministero dell’Interno, Cruscotto statistico6 del 31 ottobre 2016).

Alla stessa data, però, erano appena 171.938 i migranti, rifugiati e richie-denti asilo, ospiti del sistema di accoglienza creato in Italia, mentre la parte restante era al di fuori del sistema di protezione offerto a chi fugge da guerre e atti di terrorismo, affrontando, prima dei pericoli della traversata del Mediter-raneo, detenzione, torture e violenze durante tutto il percorso.

Le ipotesi riguardanti le persone (oltre 260.000) rimaste all’esterno del sistema di accoglienza sono diverse, ma non si dispone di dati adeguati a suf-fragarne l’effettiva permanenza e la loro consistenza. Manca la conoscenza su quanti siano quelli andati via dall’Italia per dirigersi verso altri paesi dell’Ue, dove poter contare su relazioni familiari e affettive oltre che su un contesto in grado di corrispondere meglio al loro progetto migratorio (e quanta parte, di costoro, siano tuttavia in attesa di un ritorno coatto verso l’Italia, come imposto dagli accordi di Dublino); quanti invece, in Italia, stiano attendendo di essere rimpatriati oppure vivano semplicemente al di fuori dei centri di ac-coglienza, nei cosiddetti insediamenti informali; quanti, inoltre, siano quelli che, pur avendo ricevuto un foglio di via con l’intimazione a lasciare l’Italia entro 7 giorni, vi si trattengano irregolarmente; e quanti, infine, siano diventa-

6 http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/documentazione/statistica/cruscotto-statisti-co-giornaliero.

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ti vittime di lavoro nero, prostituzione o manovalanza delle bande criminali: non conosciamo l’entità numerica di tutte queste categorie, alcune delle quali peraltro sovrapponibili. Così come ignoriamo quanti abbiano trovato soluzioni migliori, basate su un posto di lavoro e una prospettiva reale di integrazione.

Intanto, in attesa di approfondire questi aspetti, è il caso di ricordare che il sistema nazionale di accoglienza, pur ospitando una parte minoritaria di que-sto flusso di persone, offre un rifugio a persone giunte in Italia ad un prezzo altissimo, come attesta il fatto che nello stesso periodo sulle diverse rotte me-diterranee, siano morte, secondo l’UNHCR, 3.500 persone nel 2014, 3.771 nel 2015 e già 4.899 nei primi 10 mesi del 20167, una strage che conta 10mila vittime in meno di tre anni, sufficiente a dare la misura del pericolo mortale che grava su questi flussi.

Nel già citato rapporto Protezione internazionale 2015 si riconosce che “La strutturazione di un sistema unico di accoglienza in Italia – del quale par-lano da anni Ministero dell’Interno, Regioni, Anci, Unhcr, enti di tutela e as-sociazioni – per diventare effettivo deve necessariamente riuscire a superare la dicotomia tra prima e seconda accoglienza, che in termini operativi si è nel tempo tradotta in differenti obiettivi tra l’uno e l’altro livello, nonché in standard d’intervento differenziati, con una propensione alla bassa soglia nella fase di prima accoglienza”8.

È essenziale inoltre, secondo lo stesso rapporto, implementare “modalità comuni di monitoraggio e di valutazione degli interventi in tutti i contesti di accoglienza, che consentano di verificare l’efficienza e l’efficacia degli inter-venti adottati, nonché di far emergere i possibili modelli replicabili e sosteni-bili, sia in termini qualitativi (sulla base dei comuni standard), sia di ottimizza-zione delle risorse economiche, delle strategie politiche e organizzative” (ivi).

E infine: “Durante il periodo di accoglienza è necessario mettere gli ospiti in condizione di acquisire strumenti che possano consentire loro di sentirsi padroni della propria vita e di agire autonomamente, una volta usciti dai pro-grammi di assistenza” (ivi).

Si tratta, in effetti, di persone che hanno non solo bisogni diversi, ma anche (e soprattutto) un diverso status giuridico: in alcuni casi vige nei loro confronti l’obbligo internazionale di accoglienza e protezione (il divieto di refoulement nei confronti dei richiedenti asilo, previsto dalla Convenzione di Ginevra); in altri casi (i migranti “irregolarmente” entrati nel paese) vige l’obbligo di respingimento, di espulsione o comunque di rimpatrio, a partire dagli accordi intraeuropei di difesa delle frontiere esterne (accordi di Schengen); infine ver-

7 http://www.panorama.it/news/esteri/migranti-strage-mare-2016/8 Protezione internazionale 2015, p. 13

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so un terzo gruppo, costituito dai richiedenti asilo che tuttavia non intendono esercitare tale diritto in Italia, varrebbe il doppio obbligo di accoglienza e bloc-co della mobilità all’interno dell’UE (ai sensi del Regolamento di Dublino).

Ma, a fronte di tali regole, le dimensioni della crisi umanitaria degli ultimi anni e le recenti decisioni dei paesi UE per farvi fronte hanno portato a deci-sioni di emergenza, spesso ritenute conflittuali con la normativa preesistente e consolidata, rendendo ancora più complicata la gestione del fenomeno nel suo complesso per il sovrapporsi di norme aggiuntive all’ordinamento giu-ridico preesistente. Ad esempio, un caso molto dibattuto è l’uso della forza per identificare chi si rifiuta di fornire le proprie generalità: una misura che, pur richiesta dall’Unione Europea, da diversi commentatori viene ritenuta il-legittima in quanto non contemplata dalla normativa italiana, né formalmente dal diritto comunitario. Un caso assai più rilevante è stato ritenuto l’approc-cio hotspot, che comporterebbe, secondo quanto sostenuto in vari rapporti sui quali ci soffermeremo in seguito, la delega a funzionari di polizia, assistiti da membri di Frontex ed Easo, di distinguere, prima facie, tra richiedenti asilo e migranti economici, attuando una separazione spesso irreparabile tra coloro che vengono accolti e coloro che vengono respinti, senza aver adempiuto tutte le procedure previste dalla normativa nazionale e internazionale.

A queste ragioni di complessità si è aggiunta, nel caso italiano, un’ulterio-re variabile endogena: l’insufficienza del preesistente sistema di accoglienza, costruito man mano che aumentavano le domande dei nuovi arrivati ed emer-gevano i loro problemi e le loro esigenze, spesso in un clima politico arro-ventato dalla polemica tra i partiti, ma anche caratterizzato dall’inserimento, nei centri, di diversi gestori improvvisatisi operatori dell’accoglienza, in realtà senza esperienza e capacità sufficienti; essi hanno offerto in molti casi, come vedremo, servizi inadeguati e a volte, come hanno rilevato le indagini giudi-ziarie, hanno fatto dell’accoglienza stessa niente altro che un enorme business.

Questo insieme di fattori ha reso il sistema italiano dell’accoglienza dei richiedenti asilo particolarmente sensibile ad alcune criticità, sulle quali si ri-ferirà nelle pagine seguenti, senza però che vadano sottaciuti i tanti vantaggi che esso ha offerto e che possiamo così sintetizzare: - una crescita quantitativa dello stesso sistema di accoglienza, che oggi di-

spone di una capacità di accoglienza pressoché tripla rispetto alla passata “Emergenza Nord Africa” (2011);

- una diffusione del sistema di accoglienza in pressoché tutte le regioni italiane, che seppure con numeri differenti, si sono mostrate aperte all’i-stituzione di centri di accoglienza e al trattamento dei migranti accolti;

- un’assistenza che è stata pensata su misura per i diversi beneficiari: richie-

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denti asilo in condizioni ordinarie, soggetti vulnerabili, minori stranieri non accompagnati, pur persistendo in qualche caso fenomeni di promi-scuità;

- una governance multilivello, che vede coinvolti le istituzioni centrali (Mi-nistero dell’Interno e suoi Dipartimenti, Ministero del Lavoro, il Ministro delegato alle pari opportunità), regionali e locali (i progetti dei Comuni e della loro associazione ANCI), e un Tavolo nazionale asilo9 insediato presso il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione che com-prende anche i rappresentanti di diverse strutture: Regioni, UPI e ANCI, UNHCR e Commissione nazionale per il diritto di asilo (a cui prendono parte inoltre qualificate associazioni di tutela dei diritti dei migranti). Il Tavolo nazionale asilo ha principalmente compiti di indirizzo e di pro-

grammazione, poiché è qui che si fissano i criteri di ripartizione regionale dei posti da destinare all’accoglienza, d’intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni. Presso questa Conferenza si predispone ogni due anni – salva la ne-cessità di un termine più breve – un Piano nazionale che individua le linee di intervento per realizzare l’effettiva integrazione dei beneficiari di protezione internazionale. Gli indirizzi e la programmazione sono poi attuati, in sede di Tavolo di coordinamento regionale, presso le Prefetture del rispettivo capoluo-go e a questo riguardo possono essere evidenziati i seguenti aspetti: - la realizzazione di percorsi di eccellenza in molti centri Sprar, che si ac-

compagnano a lezioni di lingua, formazione professionale, orientamento legale e lavorativo e spesso terminano con un inserimento effettivo nella società locale;

- un tendenziale passaggio dalla logica dello “stato di emergenza”, che ave-va caratterizzato l’Emergenza Nord Africa, anche in termini di contratti e assegnazioni di appalti agli enti gestori, alla logica ordinaria che prevede l’assegnazione della gestione dei centri tramite gara;

- il passaggio tendenziale dalle gare al massimo ribasso alla scelta dell’of-ferta economicamente più vantaggiosa;

- la riduzione dei costi medi della permanenza giornaliera del richiedente asilo e rifugiato rispetto all’emergenza Nord Africa. Accanto a questi punti di forza, sono state segnalate tuttavia delle criticità,

che si possono così sintetizzare: - l’insufficienza della rete di accoglienza strutturata a fronte del numero

aumentato degli sbarchi, che costringe a periodi di sovraffollamento (so-prattutto nei centri vicini alle aree di sbarco) o a periodi di promiscuità tra

9 Cfr. articolo 16 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che riprende il comma 3 dell’articolo 29 del decreto legislativo n. 251 del 2007.

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soggetti appartenenti a categorie ordinarie e soggetti vulnerabili (minori stranieri non accompagnati, vittime di tratta o di tortura ecc.);

- il numero eccessivo di Centri di accoglienza straordinaria, arrivati a co-prire mediamente più dell’80% di tutti i posti di accoglienza, pur essendo meno in grado di offrire un progetto di accoglienza complesso e adeguato, come invece viene fatto nei centri Sprar;

- le condizioni di accoglienza spesso insufficienti rispetto ai capitolati e agli standard richiesti, soprattutto in riferimento ai seguenti aspetti: fornitura di beni e servizi (dal pocket money alla scheda telefonica, dai vestiti alla biancheria), servizi di formazione linguistica, informazione legale e assi-stenza alla pratica di richiesta di asilo, formazione professionale, orienta-mento al territorio, assistenza medica e psicologica;

- le perplessità sul fondamento giuridico dell’approccio hotspot per la pre-identificazione e il triage delle persone sbarcate, le cui procedure previste dall’agenda europea sull’immigrazione non trovano, secondo numerosi giuristi e avvocati, riscontro nella normativa attualmente vigente;

- il bassissimo livello di relocation, cioè di trasferimento dei richiedenti asilo sbarcati in Italia verso altri paesi europei, che avrebbe dovuto attuare una sorta di burden sharing rispetto ai flussi giunti nel 2015. A proposito di relocation, vedremo nelle pagine seguenti come l’Agenda

europea sulla migrazione, presentata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea, sancendo un approccio globale per migliorare la gestione della mi-grazione in tutti i suoi aspetti, prefiguri, unitamente all’istituzione di un nuo-vo metodo di governance dell’emergenza sbarchi, basato sui “punti di crisi” (hotspot), l’attuazione di un innovativo programma di riallocazione e reinse-diamento dei richiedenti asilo negli altri Stati membri. Di fronte a un ambi-zioso programma che prevedeva la relocation di 160.000 richiedenti asilo, la Commissione ha riconosciuto che al 27 settembre 2016 erano stati ricollocati soltanto 5.651 rifugiati (4.555 dalla Grecia e 1.196 dall’Italia), sia per il ritardo con cui i paesi europei hanno accettato o stanno accettando di accogliere i nuo-vi arrivati, sia per la prevalenza nel nostro paese di richiedenti asilo non con-siderati ricollocabili, secondo le norme dell’Agenda europea. A fine ottobre la cifra delle persone ricollocate era salita a 1.318 per l’Italia, mentre erano, alla stessa data 5.428 le persone complessivamente coinvolte in questi spostamen-ti10. Il documento comunitario prevede, infatti, che siano rilocabili richiedenti asilo appartenenti a paesi dai quali almeno il 75% delle domande di asilo ven-gono accettate: in pratica si tratta soltanto di siriani, iracheni ed eritrei. Ma

10 http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/documentazione/statistica/cruscotto-statistico-giornaliero del 31/10/2016

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basta osservare il grafico seguente, basato su dati Eurostat, per rendersi conto che in Italia i primi 5 gruppi nazionali presenti tra i profughi sbarcati in Italia hanno tutti tassi di accettazione delle domande molto inferiori a tale soglia.

criteri di lettura del presente rapportoChiudendo questa introduzione, vogliamo sottolineare ancora una volta i

criteri a cui ci siamo attenuti per scrivere le pagine di questo rapporto: - riportare fedelmente e con un atteggiamento di terzietà quanto è stato scritto

sul tema da organizzazioni indipendenti della società civile dopo aver avuto accesso diretto alla realtà da loro descritta, senza essere mossi da motivi spuri per distorcere i dati riferiti, e senza essere parte in causa nella gestione dei centri stessi, confidando da parte nostra sulla responsabilità civica degli autori dei rapporti utilizzati come nostra fonte, risultando impossibile per Idos verificare la corrispondenza di quanto scritto con l’effettiva realtà;

- mostrare quanto la questione dell’accoglienza sia diventata difficile, non solo per la dimensione quantitativa che ha assunto, ma anche per la stessa complessità giuridica e i nodi problematici riscontrabili in Italia, ai quali si sono aggiunti quelli imposti a livello europeo;

- mantenere un atteggiamento obiettivo, senza dare spazio né al sensazio-nalismo mediatico, né alla tendenza a negare o ridimensionare le criticità rilevate;

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- infine, ma non come ultimo punto per importanza, sottolineare che proprio per le caratteristiche della nostra ricerca, l‘obiettivo conoscitivo che abbia-mo privilegiato non è costituito da ciò che avviene nei singoli centri, ma dalle linee di tendenza che è possibile identificare nel loro funzionamento complessivo, con la consapevolezza che una conoscenza adeguata è funzio-nale all’efficacia degli interventi, tanto dal punto di vista delle opportunità da offrire che da quello, non meno importante, delle criticità.

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2. l’accoglIenza per rIchIedentI aSIlo e rIfugIatI

Il sistema generale di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati è stato for-temente innovato a seguito dell’approvazione del D.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, “in attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglien-za dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale”, dopo la fase della c.d. “Emergenza Nord Africa”, che aveva caratterizzato gli anni precedenti (il 12 febbraio 2011 era stato dichia-rato “lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all’ec-cezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa”, revocato soltanto il 28 febbraio del 2015 con la chiusura dei Centri di primo soccorso e accoglienza che avevano ospitato i circa 50.000 profughi giunti in Italia).

Il D.lgs. 142/2015 ha riorganizzato il Sistema di accoglienza nelle sue tre diverse articolazioni, corrispondenti ad altrettante fasi del processo di soccorso e accoglienza (artt. 8 - 14): - soccorso e prima assistenza - prima accoglienza - seconda accoglienza.

Le funzioni di soccorso e prima assistenza, nonché di identificazione, con-tinuano ad essere svolte nelle strutture allestite ai sensi della c.d. legge Puglia (D.L. 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 di-cembre 1995, n. 563).

Per le esigenze di prima accoglienza, il D.lgs. 142/2015 istituisce i Centri governativi di prima accoglienza (art. 9), la cui gestione può essere affidata “ad enti locali, anche associati, alle unioni o consorzi di comuni, ad enti pubblici o privati che operano nel settore dell’assistenza ai richiedenti asilo o agli immigra-ti o nel settore dell’assistenza sociale, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici. In tali centri il richiedente asilo è accolto per il tempo necessa-rio all’espletamento delle operazioni di identificazione, ove non completate pre-cedentemente, alla verbalizzazione della domanda ed all’avvio della procedura di esame della medesima domanda, nonché all’accertamento delle condizioni di salute diretto anche per poter verificare, fin dal momento dell’ingresso nelle strutture di accoglienza, la sussistenza di situazioni di vulnerabilità”.

Infine per la seconda accoglienza il D.L. norma il trasferimento dei richie-denti asilo che abbiano espletato le operazioni di identificazione, siano privi di

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mezzi e ne facciano richiesta, nei centri del Sistema di Protezione per Richieden-ti Asilo e Rifugiati (Sprar) regolamentati dal successivo art. 14, ovvero, in caso di temporanea indisponibilità nei centri Sprar, la permanenza nei centri di prima accoglienza “per il tempo strettamente necessario al trasferimento”.

L’art. 10 del citato provvedimento stabilisce che nei Centri governativi di prima accoglienza debbano essere “assicurati il rispetto della sfera privata, com-prese le differenze di genere, delle esigenze connesse all’età, la tutela della salute fisica e mentale dei richiedenti, l’unita’ dei nuclei familiari composti da coniugi e da parenti entro il primo grado, l’apprestamento delle misure necessarie per le persone portatrici di particolari esigenze ai sensi dell’articolo 17”. [minori, vit-time di tratta o di tortura ecc. (NdC)]. “Sono adottate misure idonee a prevenire ogni forma di violenza e a garantire la sicurezza e la protezione dei richiedenti”.

L’Art. 11, intervenendo a regolamentare le misure straordinarie di acco-glienza, nel caso in cui sia “temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all’interno delle strutture di cui agli articoli 9 e 14” [Centri governativi di prima accoglienza e Sprar], “a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti”, definisce la possibilità che, in questi casi, il Prefetto possa disporre l’accoglienza in “strutture temporanee, appositamente allestite, previa valutazione delle con-dizioni di salute del richiedente, anche al fine di accertare la sussistenza di esi-genze particolari di accoglienza”. Tali strutture, definite nelle successive norme Centri di assistenza straordinaria (Cas), devono soddisfare “le esigenze essenzia-li di accoglienza nel rispetto dei principi di cui all’articolo 10, comma 1 [dello stesso provvedimento], e sono individuate dalle Prefetture-uffici territoriali del Governo, sentito l’ente locale nel cui territorio è situata la struttura, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici”. Tuttavia è consentito, nei casi di estrema urgenza, il ricorso alle procedure di affidamento diretto.

L’art. 17 della stessa legge individua soggetti particolarmente vulnerabili che possono aver bisogno di misure di assistenza particolari, quali i minori non accompagnati, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le vittime di tortura o di gravi violenze anche se legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere, e le vittime di mutila-zioni genitali.

Infine l’art. 19, relativo al trattamento dei minori non accompagnati, stabi-lisce che essi siano accolti in strutture governative di prima accoglienza per il tempo strettamente necessario, e comunque per non più di 60 giorni, per l’esple-tamento delle operazioni di identificazione e l’eventuale accertamento dell’età, mentre la seconda accoglienza dei minori non accompagnati è disposta nelle strutture Sprar (cfr. Decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, “Attuazione del-la direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti

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protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione inter-nazionale”.

Su tale legge quadro sono poi intervenuti una serie di provvedimenti legisla-tivi, tra i quali innanzitutto la cosiddetta Roadmap del settembre del 2015, che ha ridisegnato il sistema generale di accoglienza per tenere conto dell’Agenda europea sulle migrazioni, innanzitutto per implementare “un piano volto a cana-lizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati dove vengono effettua-te tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri”.

Si tratta, nel linguaggio della Roadmap e dell’Agenda europea, degli hotspot, più che di nuove strutture, di un nuovo approccio, secondo cui i fun-zionari di polizia italiana, supportati da personale Frontex ed Easo, informano velocemente le persone sbarcate sulle possibilità di protezione, verificando la loro disponibilità a farsi identificare. Gli hotspot sono da implementare in centri già esistenti (a settembre 2015 operavano come tali Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e l’isola di Lampedusa, in Sicilia), per un totale di 1.500 posti, mentre altri due sono da collocare nei porti di Augusta e Taranto per portare la capacità di accoglienza delle aree hotspot fino a oltre 2.500 posti.

Si immaginava che i migranti dovessero rimanere in questi centri non più di 48-72 ore, il tempo necessario a identificare chi ha diritto all’accoglienza e accetta di farsi identificare, e chi non ha manifestamente diritto all’accoglienza o rifiuta di farsi identificare. Per questi ultimi è previsto il trasferimento nei Cie, attraverso degli hub chiusi, mentre chi fa richiesta di asilo viene trasferito nel circuito d’accoglienza ridisegnato, attraverso degli hub aperti.

“Il sistema di prima accoglienza è composto da strutture appartenenti ad ex centri governativi (Cara/Cda e Cpsa), che attualmente si stanno riconfigurando come “Regional hub”. (Roadmap, p. 4) Gli hub, nella concezione espressa dalla Roadmap, sono “strutture aperte da utilizzare nella prima fase di accoglienza, destinate a ricevere quei cittadini di Paesi terzi – già registrati e sottoposti alle procedure di foto-segnalamento – i quali devono compilare il cd. modello C3 per la formalizzazione della domanda di protezione internazionale. Normalmente il periodo di permanenza va dai 7 ai 30 giorni, in modo da assicurare un rapido turn over dei richiedenti asilo i quali, in ogni caso, una volta presentata la do-manda di protezione, potranno lasciare l’hub per essere trasferiti nei centri di seconda accoglienza” (Roadmap, p. 4).

La Roadmap aveva previsto che il sistema dei Regional hub fosse comple-tato entro la fine del 2016 con un centro per ogni regione. Una volta completata questa trasformazione, la capacità di posti del sistema sarà incrementata fino a

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“14.750 posti entro il primo semestre 2016 e 15.550 alla fine del 2016” (Ro-admap, p. 4).

A questo sistema di prima accoglienza si accompagna il sistema per l’acco-glienza a lungo termine dei richiedenti asilo (vale a dire la seconda fase dell’ac-coglienza), basato principalmente sul modello Sprar, diffuso su tutto il territo-rio italiano e destinato a diventare, secondo il Piano Nazionale di Accoglienza approvato nel 2014 “il modello di riferimento nazionale per l’accoglienza di profughi e richiedenti asilo”11.

Secondo il citato Rapporto sull’accoglienza del Ministero dell’Interno, il sistema Sprar si compone di “una rete strutturata di enti locali che, per la realizzazione di progetti territoriali e accoglienze, dovute a richiedenti asilo e rifugiati accedono al fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo gestito dal Ministero dell’Interno” (Rapporto sull’accoglienza, p. 31).

Nello stesso rapporto viene data la descrizione delle sue caratteristiche principali nei termini seguenti: 1. Il coinvolgimento dei territori (...), valorizzando la scelta volontaria di ade-

sione, senza che la collocazione di un centro quindi sia vissuta come una imposizione.

2. Un modello di accoglienza integrata. L’accoglienza del sistema Sprar non si esaurisce in un modello di “ospitalità”, ma prevede, oltre a garantire i ser-vizi minimi materiali necessari, l’orientamento alla costruzione di percorsi di uscita in autonomia.

3. L’integrazione linguistica. 4. La tutela sanitaria, psicologica, legale.5. L’utilizzo della mediazione specializzata, essenziale come canale comunica-

tivo.6. Il contratto di accoglienza. (...) Il rapporto fiduciario con ogni singolo ospi-

te, in cui il beneficiario può sapere qualcosa sui tempi, sulle tappe, sui ser-vizi a cui potrà accedere (Rapporto sull’accoglienza, pp. 32-34). Lo stesso rapporto riconosce ancora che “L’esperienza Sprar ha creato o

rafforzato una professionalità sull’asilo che in Italia era quasi sconosciuta, specializzando alcune professioni (assistenti sociali, educatori, psicologi, gestori di gruppi e comunità, personale sanitario, mediatori)” (Rapporto sull’accoglienza, p. 34).

L’accoglienza nella rete Sprar nel 2015 si è articolata in 430 progetti, di cui 348 per categorie ordinarie, 52 per minori non accompagnati, 30 per persone con

11 Ministero dell’Interno, Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia. Aspetti, proce-dure, problemi, p. 32.

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disagio mentale o disabilità. Nei progetti sono stati coinvolti 381 Enti Locali di cui 342 Comuni, 31 Province, 8 Unioni di Comuni (Atlante Sprar 2015, p. 14).

La diffusione territoriale dei centri Sprar viene illustrata nella tavola seguente.

ItalIa. ripartizione degli ospiti nei centri di accoglienza, per regione e tipologia di cen-tro (31 ottobre 2016)

Territorio immigrati presenti

nelle strutture

temporanee

immigrati presenti negli hot

spot

immigrati presenti

nei centri di prima

accoglienza

Posti SPRAR occupati

(al 12 ottobre 2016)

totale immigrati presenti

sul territorio

% di distribuzione dei migranti presenti per

Regione

Lombardia 20.850 0 0 1.483 22.333 13%Veneto 11.426 0 2.828 500 14.754 9%Lazio 9.100 0 918 4.213 14.231 8%Sicilia 4.826 985 3.996 4.360 14.167 8%Campania 11.912 0 0 1.286 13.198 8%Piemonte 11.862 0 0 1.206 13.068 8%Toscana 11.328 0 0 842 12.170 7%Emilia Romagna 10.103 0 567 1.172 11.842 7%Puglia 5.777 240 3.328 2.220 11.565 7%Calabria 3.091 0 1.231 2.238 6.560 4%Sardegna 5.715 0 0 193 5.908 3%Liguria 5.405 0 0 453 5.858 3%Friuli V. G. 4.064 0 1.147 357 5.568 3%

Marche 4.263 0 0 694 4.957 3%Molise 2.932 0 0 475 3.407 2%Umbria 2.974 0 0 411 3.385 2%Abruzzo 3.067 0 0 262 3.329 2%Basilicata 1.964 0 0 459 2.423 1%Bolzano 1.494 0 0 0 1.494 1%Trento 1.284 0 0 147 1.431 1%Valle d’Aosta 290 0 0 0 290 0,2%totale 133.727 1.225 14.015 22.971 171.938 100%

FONTE: Ministero dell’Interno, Cruscotto statistico giornaliero, 31 ottobre 2016

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Nel 2016 la capacità dello Sprar si aggirava attorno ai 22.900 posti, anche se al momento della pubblicazione della Roadmap (28 settembre 2015) era in corso una gara di appalti straordinaria per conseguire la disponibilità immediata di ulteriori 10.000 posti e quindi raggiungere la capacità complessiva di 32.000 posti nei primi mesi del 2016.

Lo stesso documento ha riconosciuto che “a causa dei flussi migratori sen-za precedenti registrati nel 2014, molti richiedenti asilo sono stati sistemati in appartamenti o in altre strutture disponibili (denominate Centri di Accoglienza Straordinaria - Cas)” (Roadmap, p. 5).

Complessivamente, al 31 ottobre 2016 i migranti in accoglienza erano 171.938, tra cui sono compresi i 19.429 minori non accompagnati presenti negli appositi centri gestiti dai Comuni e altri 872 ospiti dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), “dove poter attuare tutte le procedure che sono necessarie per il rimpatrio forzato dei migranti irregolari” (Roadmap, p. 15).

La situazione a fine ottobre 2016Alla data del 31 ottobre 2016, i 171.938 ospiti del sistema di accoglien-

za per richiedenti asilo e rifugiati erano così ripartiti: 133.727 nelle strutture temporanee e straordinarie (il 77,7%); 15.240 nei centri di prima accoglienza e hotspot governativi (pari all’ 8,9%) e 22.971 nei centri del Sistema di pro-tezione per richiedenti asilo e rifugiati (13,4%), come riportato nel Cruscot-to statistico giornaliero del Ministero dell’Interno in data 31 ottobre 2016. Ignoriamo la ripartizione a quella data tra “categorie ordinarie”, “minori non accompagnati” e “persone con disagio mentale o disabilità”; tuttavia al 31 dicembre 2015, quando i posti disponibili erano in totale 21.613, 20.356 erano riservati a categorie ordinarie, 977 a minori non accompagnati e 280 a persone con disagio mentale o disabilità.

Ai primi posti per entità delle presenze erano la Lombardia (13,0% del totale), e il Veneto (9%), con rispettivamente 22.333 e 14.754 persone. Altre sette regioni seguivano con valori percentuali compresi tra l’8% e il 7% e va-lori assoluti superiori alle 10.000 unità, mentre tutte le altre si collocavano tra il 3,8% della Calabria e lo 0,2% della Val d’Aosta.

Andando ad analizzare la qualità dell’accoglienza offerta, innanzitutto va segnalato che soltanto in 7 regioni (Sicilia, Puglia, Veneto, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Lazio ed Emilia Romagna) sono attivi centri di prima acco-glienza e hotspot con un numero di presenze comprese tra quasi 5.000 e 560 (rispettivamente per Sicilia ed Emilia Romagna).

In alcune di queste regioni si trovano hotspot che costituiscono secondo molti, come è stato prima segnalato, un elemento di criticità, sia per l’insuffi-

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ciente fondamento giuridico a cui si rifanno (che è unicamente l’Agenda euro-pea sulle migrazioni, come si rileva anche dalla stessa Roadmap del Ministe-ro), sia per gli effetti non programmati che sembrano determinare.

La Roadmap descrive l’approccio hotspot nei termini seguenti: Al fine di gestire i flussi ininterrotti di cittadini di Paesi terzi che raggiun-

gono le coste italiane dall’inizio del 2014, e in linea con l’Agenda europea sulle migrazioni, l’Italia ha messo in atto il nuovo approccio “hotspot”. Essenzial-mente questo è stato fatto attraverso un piano volto a canalizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati dove vengono effettuate tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri. L’Italia ha poi messo a disposizione i locali per l’ufficio Task Force Regionale (EURTF) dell’UE a Catania, dove le preposte agenzie europee, in collaborazione congiunta, sup-portano le operazioni eseguite nelle aree hotspot (Roadmap, pp. 6-8).

A partire da settembre 2015 sono stati istituiti, come prima richiamato, degli hotspot in quattro località portuali: Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e nell’isola di Lampedusa.

Stando alla Road map negli hotspot verranno attuate le seguenti procedure: a) Tutte le persone sbarcate saranno sottoposte a screening medico al

fine di accertare immediatamente eventuali problemi sanitari di ogni singolo individuo.

b) Successivamente saranno intervistate da funzionari degli uffici immi-grazione, i quali compileranno il cd. foglio-notizie contenente le generalità, la foto e le informazioni di base della persona, nonché l’indicazione circa la sua volontà o meno di richiedere la protezione internazionale. Le persone suscettibili di aderire alla cd. procedura di ricollocazione (relocation) ver-ranno informate circa le modalità e gli effetti della procedura. In questa fase è previsto il supporto dei funzionari dell’EASO (la preposta Agenzia Europea per il Supporto all’Asilo). Pertanto, avrà luogo una prima differenziazione tra le persone richiedenti asilo/potenziali ricollocabili e quelle in posizione irregolare.

c) Sulla base degli esiti delle menzionate attività/interviste di pre-identifi-cazione le persone potrebbero essere ulteriormente intervistate da funzionari di polizia investigativa con il supporto di funzionari Frontex ed Europol al fine di acquisire informazioni utili per scopi investigativi e/o di intelligence. L’individuazione delle persone da sottoporre ad interviste di approfondimento in quanto suscettibili di fornire preziose informazioni può aver luogo anche prima del loro arrivo nelle aree hotspot (ad es. quando di trovano ancora sui mezzi di salvataggio oppure non appena arrivano nel porto di sbarco). (...).

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d) Subito dopo la procedura di pre-identificazione, tutte le persone saran-no foto-segnalate come CAT 2 (ingresso irregolare) e registrate in conformità con la legislazione nazionale ed europea (ad eccezione di quelle ricollocabili che saranno registrate come CAT 1).

Saranno foto-segnalati come CAT 1 (richiedenti asilo) anche coloro che manifestano la volontà di richiedere la protezione internazionale e pertanto, successivamente, formalizzeranno la propria intenzione compilando il model-lo “C3” nelle strutture per richiedenti asilo (cioè i cd. regional hub presenti sul territorio nazionale) dove verranno trasferiti dopo la conclusione delle menzionate attività di registrazione.

Le persone richiedenti asilo e suscettibili di rientrare nella procedura di ricollocazione formalizzeranno la propria domanda di protezione internazio-nale compilando uno specifico modello “C3” in lingua inglese con il supporto di esperti degli Stati membri selezionati dall’EASO.

Per le persone richiedenti asilo ma non rientranti nella procedura di ri-collocazione, l’attività di foto-segnalamento come CAT 1 e la compilazione del modello “C3” sarà effettuata soltanto da funzionari della polizia scientifi-ca e personale degli uffici immigrazione dell’Italia. Questi ultimi e gli esperti dell’EASO saranno supportati da 15/20 mediatori culturali da ingaggiare con utilizzo dei fondi dell’Unione europea. (...)

e) Successivamente all’espletamento delle attività di screening sanitario, pre-identificazione, di quelle investigative/intelligence, e sulla base dei relativi esiti, le persone che richiedono la protezione internazionale saranno trasferite nei vari regional hub presenti sul territorio nazionale; le persone che rien-trano nella procedura di ricollocazione saranno trasferite nei regional hub dedicati; le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione (C.I.E.). Tali trasferimenti interni saranno effettuati tramite autobus o aero-plani con l’ausilio delle scorte di polizia. Si possono effettuare anche trasfe-rimenti via mare (nel caso di persone che debbano essere trasferite dall’isola di Lampedusa). (...)

f) Il personale richiesto per espletare le summenzionate attività in ciascu-na area “hotspot” è il seguente:

- 6 operatori dell’ufficio immigrazione (Italia); - 2 addetti di polizia investigativa (Italia); - 2 addetti della polizia scientifica preposti alle fotografie degli stranieri per

il foglio notizie (Italia); - un team di 3 rappresentanti Frontex addetti agli interrogatori; - 6 mediatori culturali;

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- 4 esperti EASO; - 10 addetti della polizia scientifica (Italia) preposti al foto-segnalamento e

rilevamento impronte; - 10 esperti degli Stati membri scelti da Frontex o EASO per supportare il

personale italiano nelle attività di foto-segnalamento e rilevamento impronte; - in ciascuna area “hotspot” sono richieste anche 5 unità mobili per le atti-

vità di foto-segnalamento e rilevamento impronte (Roadmap, pp. 6-8).Riporteremo meglio, in seguito, un’analisi delle criticità che tale approccio

presenta, facendo riferimento a testimonianze di associazioni e ong, giuristi e politici, basate da un lato sul fatto che la procedura di pre-identificazione rischia di fare le veci di quella ben più complessa di accesso alla domanda di asilo e, dall’altro, sul fatto che la procedura così descritta, anche se correttamente ap-plicata, possa produrre degli effetti imprevisti su persone che, identificate come migranti economici giunti in Italia irregolarmente e quindi da respingere, per motivi contingenti non siano immediatamente espulsi o accompagnati nei Cie. In tali casi, secondo numerose testimonianze, una volta che è stato loro notificato il foglio di via con accompagnamento alle stazioni ferroviarie per ottemperare all’obbligo di lasciare il paese entro 7 giorni, essi risultano essere “abbandonati senza denaro, e lasciati in un limbo dove non possono né andare via né restare in Italia”, come riferito dal segretario generale della Commissione di inchiesta sul sistema di accoglienza per richiedenti asilo, Erasmo Palazzotto (Giornale di Sicilia, 1 marzo 2016).

Ritornando al fondamento giuridico su cui si basa l’istituzione degli hotspot, secondo vari osservatori, tra cui l’ASGI, questi “metodi o luoghi, la cui istitu-zione e attività è di per sé priva di alcuna efficacia giuridicamente vincolante in Italia perché nessuna norma italiana o dell’UE li precisa e gli impegni presi dal Governo italiano nella Italy’s Roadmap inviata il 15 settembre alla Commissione europea per poter fruire della ricollocazione dei richiedenti asilo sbarcati in Italia [sono] impegni privi di qualsiasi efficacia giuridica diretta nel diritto nazionale perché sono inseriti in un mero documento di lavoro riservato” (ASGI, Docu-mento del Consiglio direttivo del 21/10/2015).

I centri governativi già realizzati o in via di realizzazione sono illustrati nella tavola qui di seguito riportata dal sito del Ministero dell’Interno12.

12 http://www.interno.gov.it/it/temi/immigrazione-e-asilo/sistema-accoglienza-sul-territorio/centri-limmigrazione

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ItalIa. centri governativi per richiedenti asilo (cda cara/cpsa) operativi al 28 luglio 2015Gorizia (Gradisca d’Isonzo) Cda CaraAncona (Arcevia) Cda CaraRoma (Castelnuovo di Porto) Cda CaraFoggia Borgo Mezzanone Cda CaraBari (Palese) Cda CaraBrindisi (Restinco) Cda CaraLecce (Don Tonino Bello) Cda CaraLecce- Otranto CpsaCrotone (località S. Anna) Cda CaraCatania (Mineo) CaraRagusa (Pozzallo Cpsa e CaraCaltanissetta (Contrada Pian del lago) Cda CaraAgrigento (Lampedusa) Cpsa e Cda CaraTrapani (Salina grande) Cda CaraCagliari (Elmas) Cpsa Cara

FONTE: Ministero dell’Interno

Infine, sono da aggiungere i Centri di identificazione ed espulsione (Cie), che costituiscono un sistema di cui fanno ormai parte anche i nuovi hotspot, perché le linee di uscita dall’hotspot stesso sono soltanto due: verso gli hub re-gionali e gli Sprar (o, in mancanza temporanea di posti, verso i Cas) per i richie-denti asilo, oppure verso i Cie per i migranti economici, di cui analizzeremo nel seguito anche i dati relativi alle permanenze.

Si tratta, come già permettono di comprendere i primi elementi conoscitivi fin qui forniti, di un sistema complesso e per certi versi soggetto a numerose criticità, in cui, per effetto di vincoli normativi, economici e sociali, di origine nazionale e internazionale, si possono determinare situazioni capaci di mettere a rischio alcuni diritti fondamentali dei richiedenti e titolari di protezione in-ternazionale o pregiudicare le condizioni di vita in cui essi si trovano o, infine, di ritardare e rendere più difficoltosa, se non addirittura impedirla, l’efficace e piena integrazione ai richiedenti asilo e rifugiati.

Questi sono stati ritenuti rischi concreti, come segnalano non solo le Ong e le associazioni che a vario titolo hanno stilato i rapporti qui utilizzati, ma anche alcune indagini commissionate da Regioni e osservatori regionali, o disposte da strutture ecclesiastiche o facenti capo alla stessa Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo.

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analisi contenute nei rapportiPer le ragioni suesposte, nelle prossime pagine, seguendo lo stesso schema

del D.lgs. 18 agosto 2015 n. 142, analizzeremo il Sistema di accoglienza gene-rale per rifugiati e richiedenti asilo, nelle sue diverse articolazioni e prenderemo in esame:

1. le strutture di soccorso e prima assistenza2. le strutture di prima accoglienza3. le strutture di seconda accoglienza.Nell’esposizione che seguirà terremo conto delle trasformazioni in corso,

per cui trattando delle strutture di soccorso e prima assistenza, prenderemo in esame la loro progressiva sostituzione da parte degli hotspot, descrivendo le strutture di prima accoglienza, terremo conto della loro trasformazione prevista dalla Road map in hub regionali e infine quanto alle strutture di seconda acco-glienza, verrà fatto riferimento assieme ai centri Sprar, che ne costituiscono il paradigma, anche ai Centri di accoglienza straordinaria (Cas), venute da ultimo a far parte del sistema di accoglienza. Infine parleremo degli insediamenti infor-mali e dei Cie.

Su ciascuno di questi aspetti, infine, faremo presenti le numerose raccoman-dazioni o richieste rivolte ai decisori pubblici per superare i limiti della situazio-ne attuale.

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le strutture di primo soccorso e assistenza: i cpsa e la loro trasformazione in hotspot

Come abbiamo riportato sopra, citando direttamente dal D.lgs. 142/2015,

prima ancora della “fase di prima accoglienza” è prevista una fase di “soccorso e prima assistenza” che avviene di solito in prossimità dei luoghi di sbarco nei Cpsa (Centri di primo soccorso e assistenza)13, definiti dal Ministero dell’Interno come centri che “ospitano gli stranieri al momento del loro arrivo in Italia. Qui i migranti ricevono le prime cure mediche necessarie, vengono foto-segnalati, possono richiedere la protezione internazionale”14. Dei 4 Cpsa attualmente ope-ranti, Agrigento - Lampedusa, Cagliari - Elmas, Lecce - Otranto, Ragusa - Poz-zallo, riporta il sito L’altro diritto che:

solo i centri di Lampedusa e di Cagliari –– sono stati istituiti con decreto ministeriale: il primo in data 16.02.2006, il secondo il 17.09.2007. Degli altri due non è dato sapere nulla di più rispetto alla loro formale istituzione. Sono centri di transizione, nei quali ai migranti sono forniti un primo soccorso e ac-coglienza, per poi procedere al loro trasferimento presso le altre tipologie di centri. Il decreto che li ha istituiti non ha indicato né le condizioni né le modalità di trattenimento, limitandosi ad affermare che la permanenza in tali strutture deve perdurare il tempo strettamente necessario all’espletamento delle opera-zioni di prima assistenza e soccorso dei migranti sbarcati sulle coste italiane. Nella prassi si cerca di non andare oltre le 48 ore, ma non sono mancati i casi in cui, soprattutto in occasione delle ricorrenti “emergenze sbarchi”, la perma-nenza in tale tipo di strutture si è protratta per settimane15.

Lo stesso sito continua con questa analisi: Nella normativa vigente non vi è traccia alcuna di norme che regolino le

modalità con cui è imposta la permanenza obbligatoria e il relativo controllo giurisdizionale, nel caso in cui tale permanenza si protragga oltre il periodo consentito dall’art. 13 della Costituzione. Tale situazione, oltre a non risultare conforme alla legislazione italiana in materia di provvedimenti limitativi della libertà, può altresì configurarsi come una violazione dell’art. 5 comma 1 della Convenzione Europea dei diritti Umani (CEDU), a causa della radicale caren-za del titolo giuridico legittimante la privazione della stessa libertà personale. Poco convincente anche la scarna normativa richiamata quale fonte legittiman-13 Art. 8, comma 2, D.lgs. 142/2015. 14 Definizione reperibile nella sezione dedicata a “I centri dell’immigrazione” sul sito ufficiale del Ministero dell’Interno.15 http: //www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/asilo/suprano/cap5.htm.

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te il funzionamento dei Cpsa, l. 563/1995 cosiddetta ‘Legge Puglia’. Tale leg-ge, infatti, all’art. 2, comma 1, prevedeva ‘l’istituzione, a cura del Ministero dell’Interno, sentita la regione Puglia, di tre centri dislocati lungo la frontiera marittima delle coste pugliesi per le esigenze di prima assistenza a favore dei predetti gruppi di stranieri’. La norma invocata si limita in realtà a disciplinare le attività di prima assistenza attivate in Puglia in un preciso arco temporale, tra il 1º luglio e il 31 ottobre del 1995, e in una altrettanto precisa area geografica e in ogni caso nulla dispone in materia di provvedimenti limitativi della libertà personale.

Inoltre la dichiarata finalità di accoglienza e primo soccorso lascerebbe pensare a centri con finalità primariamente umanitarie, più che di sorveglianza e controllo; a centri, in sostanza, in cui vige un regime a ‘porte aperte’, con pos-sibilità di libera uscita per gli stranieri accolti. In realtà, la gestione dei centri ha assunto nel tempo i tratti caratterizzanti la gestione dei Cie, pur in assen-za delle limitate garanzie giurisdizionali previste nel caso dei provvedimenti di trattenimento nei centri per stranieri in via di espulsione16.

La realtà è che a questa vecchia struttura è stato sovrapposto il piano di la-voro costituito dall’Agenda europea sulla migrazione, del 13 maggio 2015, con le misure e proposte legislative che essa prevedeva, al punto che i vecchi centri previsti dal riferimento alla “Legge Puglia” (563/95) sembrano sempre più in via di trasformazione nei nuovi hotspot. Non sembra, infatti, una coincidenza che dei 4 Cpsa attivi, due, Lampedusa e Pozzallo, siano già trasformati in hotspot, mentre nel piano del Ministero dell’Interno sono previsti due hotspot mobili in Sardegna e Puglia, le stesse regioni dove sono collocati gli altri due Cpsa attivi, rispettivamente a Cagliari-Elmas e Lecce-Otranto.

Sui Cpsa abbiamo poche informazioni recenti. Dopo la Commissione de Mistura, la maggior parte di esse sono state prodotte da due rapporti: il primo, già alcuni anni fa, sul Cpsa di Lampedusa, a cura di Terre des Hommes; il secon-do, più recente, relativo al Cpsa di Pozzallo, a cura di Medici Senza Frontiere17, che riporteremo ampiamente (d’ora in poi “MSF2015”), facendo riferimento inoltre al rapporto sullo stesso centro di Terre des Hommes18.

le condizioni di accoglienza nel cpsa di pozzallo Il Rapporto di Medici Senza Frontiere sulle condizioni di accoglienza nel

Cpsa di Pozzallo, presentato all’attenzione della Commissione di inchiesta sul

16 http: //www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/asilo/suprano/cap5.htm.17 http://archivio.medicisenzafrontiere.it/pdf/Rapporto_CPI_Cpsa_Pozzallo_final.pdf.18 http://terredeshommes.it/comunicati/pozzallo-preoccupazione-per-le-condizioni-di-accoglienza.

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sistema di accoglienza, identificazione e trattenimento dei migranti il 17 novem-bre 2015, prende in considerazione il periodo febbraio-settembre 2015, anche se alcune informazioni o dati forniti potrebbero in qualche caso fare riferimento a eventi la cui estensione nel tempo si è protratta al di là del mese di settembre. il rapporto denuncia i seguenti elementi critici.

Sovraffollamento Il Cpsa di Pozzallo, struttura ubicata presso i locali della Dogana dello

stesso comune e di proprietà della Regione Sicilia, è funzionante, in termini di espletamento delle attività di soccorso e assistenza, fin dal 2008 con una capa-cità di 180 posti (con un tetto massimo pari a 220).

Nel corso del periodo considerato ai fini di questo rapporto, MSF ha rileva-to che la struttura è stata sottoposta a delle condizioni di sovraffollamento, con picchi che hanno oltrepassato il tetto massimo di 220 per protratti e consecutivi periodi di tempo (>3 giorni). Sulla base dei nostri dati, il numero di episodi registrati è indicativamente pari a cinque.

La condizione di sovraffollamento, nonostante l’amministrazione del centro provi ad attuare in maniera superficiale una separazione tra individui di diverso sesso, induce persone con disabilità e con vulnerabilità di diverso tipo (donne sole, possibili vittime di tratta e minori non accompagnati) a situazioni di forzata promiscuità in uno spazio limitato (MSF 2015, p. 3).

Infiltrazioni Durante il mese di settembre sono stati identificati due punti di infiltrazione

di acqua dal tetto del centro: uno corrispondente all’area dormitorio destinata agli uomini e un altro localizzato invece nell’area di passaggio del corridoio. Il soffitto gocciola e sul suolo si nota la presenza di pozze d’acqua.

I locali del presidio medico così come tutte le altre aree del centro sono soggette a infestazioni di blatte.

Lo stato degradante e il malfunzionamento in cui versano i servizi igienici del centro sono stati oggetto di segnalazioni da parte della nostra organizzazio-ne fin dai primi mesi della nostra presenza nel centro. Nel corso dei mesi, e a più riprese, le autorità competenti sono state informate, attraverso rapporti mensili e segnalazioni ad hoc miranti a sollecitare un intervento urgente e definitivo, dello stato inaccettabile di degrado e insalubrità dei servizi (che si acuisce ul-teriormente in concomitanza di sbarchi ravviciati e in situazioni di sovraffolla-mento) (MSF 2015, pp. 3-4).

Ad oggi, i servizi continuano a presentare le seguenti importanti criticità: - docce w.c. sprovvisti di porte e/o tende;

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- malfunzionamento delle docce, dei meccanismi di scarico dei w.c. e del siste-ma di evacuazione delle acque attraverso gli scarichi delle griglie di terra;

- mancanza di acqua calda o presenza solo nelle prime ore del mattino. (MSF 2015, p. 5). La mancanza di porte (interne ed esterne) non garantisce un adeguato

isolamento dell’area dei servizi (malfunzionanti) dagli altri ambienti del centro, comportando possibili contaminazioni dal punto di vista sanitario.

L’assenza di porte o di strutture provvisorie che consentano agli ospiti di accedere ai servizi in condizioni di riservatezza e in pieno rispetto della dignità della persona rappresentano un elemento di criticità addizionale inaccettabile che espone gli ospiti, in maniera continuativa, a un trattamento umiliante e de-gradante (ivi).

Infestazione da blatte I locali del presidio medico così come tutte le altre aree del centro sono

soggette a infestazioni di blatte. La presenza nel centro di insetti che possono contribuire allo sviluppo di

patologie respiratorie di origine allergica o alla trasmissione di diverse malattie risulta inaccettabile, in particolare quando essa si manifesta, come in questo caso, all’interno dell’ambulatorio medico. La presenza degli insetti infestanti è stata rilevata il 16 di luglio e nel corso dello stesso mese è stata effettuata la prima segnalazione (MSF 2015, p. 4).

Trattamento scabbia MSF ha riscontrato in molteplici occasioni la mancata distribuzione di kit

oppure la consegna solo parziale o non corrispondente a quanto previsto da capitolato (MSF 2015, p. 6).

Tale inosservanza, oltre ad inficiare l‘effettiva possibilità di trattare imme-diatamente l’infezione, con un impatto diretto sulla salute della persona interes-sata, favorisce la trasmissione dell’infezione tra gli altri ospiti del centro. Per evitare tale rischio, la nostra organizzazione si è trovata obbligata, in più di una occasione, a sopperire alle mancate distribuzioni o a integrare i kit con gli articoli mancanti (MSF 2015, p. 6).

Distribuzione kit Rispetto alla consegna dei kit igienici, è già stato precedentemente esposto

l’impatto medico-sanitario di una mancata consegna per le persone che presentano patologie infettive ma, nell’ambito dell’erogazione di tale servizio, MSF ha riscontrato un più ampio disfunzionamento.

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In particolare la distribuzione deficitaria assume le seguenti caratteristiche: - totale mancata distribuzione di kit; - distribuzione parziale (solo pochi articoli presenti); - distribuzione di articoli inadeguati; - mancata re-distribuzione di kit per gli ospiti la cui permanenza è stata su-

periore alle 48 e alle 72 ore (MSF 2015, p. 8). In diverse occasioni, MSF ha sollecitato l’ente gestore e ha successivamen-

te esposto la situazione alle autorità, attraverso le relazioni mensili e nel corso di comunicazioni ad hoc.

Nel corso dei mesi, MSF ha riscontrato una difficoltà oggettiva (e continua) degli ospiti del centro a comunicare (con il mondo esterno) al momento dell’ar-rivo al centro. Dopo l’arrivo, le persone private dei loro effetti personali, inclusi i telefoni, devono aspettare che l’ente gestore, su richiesta della questura, forni-sca una unica scheda telefonica di € 15.

Con la presenza di un unico apparecchio telefonico installato, MSF ha, fin dall’inizio del proprio lavoro all’interno del centro, rilevato problemi relativi all’ef-fettivo utilizzo dell’apparecchio e ciò sulla base delle ragioni sotto elencate: - ubicazione dell’apparecchio nell’area esterna del centro alla quale gli

ospiti non hanno accesso regolare; - distribuzione di schede non adatte alle chiamate ad aree geografiche diverse; - schede non compatibili con l’apparecchio telefonico installato al centro

(MSF 2015, pp. 9).

Protratta permanenza e divieto di uscita dal centro Tra febbraio e maggio, MSF ha comunicato alle autorità casi di protratto

trattenimento di alcuni ospiti del centro ai quali era negata la possibilità di usci-re e ai quali era anche vietato l’accesso alla zona aperta del centro.

Il protratto trattenimento all’interno del centro senza possibilità di usci-ta, spesso in un contesto di sovraffollamento e promiscuità, ha chiaramente un impatto negativo sul trattamento delle sintomatologie cutanee, al quale contri-buiscono il degrado dei servizi della struttura e la mancata consegna di kit di ricambio, anche dopo diversi giorni di permanenza (MSF 2015, pp. 9-10).

Condizioni di promiscuità e protezione categorie vulnerabili La struttura del centro non permette una suddivisione degli ospiti accolti

in termini di genere, età e vulnerabilità. La struttura è priva di un’ala specifica protetta dedicata all’accoglienza dei minori non accompagnati che condividono gli stessi spazi, inclusi i servizi igienici, degli adulti.

I due ambienti che tendenzialmente sono denominati e utilizzati come “sala

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uomini” e “sala donne” non sono dotati di nessuna barriera fisica di separazio-ne e gli ospiti, anche in condizioni di rispetto della capienza massima del cen-tro, si trovano a condividere gli stessi spazi. In diverse occasioni è stato anche riscontrato che in presenza di pochi ospiti, le donne presenti al centro fossero alloggiate nell’area maschile mentre quella femminile restava chiusa.

Il centro non assicura inoltre un adeguato servizio in termini di spazi riser-vati e protetti che offrano le condizioni necessarie all’accoglienza e alla even-tuale identificazione di vittime di tratta, tortura e altre forme di violenza fisica, psicologica e sessuale (MSF 2015, p. 10).

Informativa legale e procedure identificazione Uno degli elementi alla base di tensioni, stress e preoccupazione tra la

popolazione ospitata all’interno del centro è rappresentato, sulla base della nostra osservazione ed esperienza, dalla mancanza di accesso sistematico ad un’adeguata informativa legale. La nostra organizzazione, la cui missione è di carattere medico-umanitario, non è sicuramente nella posizione di valutare la qualità del servizio erogato all’interno del centro in termini di informazione le-gale offerta e individuare responsabilità in termini di monitoraggio dello stesso servizio. Si intende però sottolineare in questa sede che lo staff di MSF presente al centro è continuamente sollecitato dagli ospiti a rispondere a domande di carattere legale che sembrano non trovare una risposta nell’ambito dell’orga-nizzazione dei servizi del centro (MS2015, p. 11).

Tale analisi è confermata da un’altra organizzazione, Terre des Hommes, che a proposito dello stesso centro scrive:

Terre des Hommes esprime forte preoccupazione per le condizioni di ac-coglienza all’interno dell’Hotspot di Pozzallo (Ragusa). Dopo quattro sbarchi consecutivi in poche settimane, infatti, il centro è sovraffollato. A preoccupare sono soprattutto le pessime condizioni igienico-sanitarie della struttura, dove sono costrette a vivere più di trecento persone tra cui molte donne (alcune delle quali in stato di gravidanza), minori non accompagnati e bambini anche molto piccoli. Le condizioni igienico-sanitarie della struttura – già precarie, come più volte denunciato in passato da diverse associazioni – sono ulteriormente peg-giorate da quando è venuta meno l’assistenza medica costante all’interno del centro da parte di altre Ong.

Terre des Hommes è consapevole che la struttura dell’Hotspot di Pozzallo è tale da non garantire l’accoglienza in locali separati per donne e minori. E che, per questo motivo, all’interno del centro non è possibile garantire un’atten-zione specifica ai migranti più vulnerabili come mamme con bambini, donne in stato di gravidanza, minori non accompagnati. Ciononostante, le preoccupanti

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condizioni igienico-sanitarie rilevate all’interno dell’Hotspot di Pozzallo non possono essere taciute all’opinione pubblica.

A titolo di esempio si riporta quanto registrato dall’equipe di Terre des Hom-mes in data 26 aprile 2015. All’interno dell’Hotspot di Pozzallo si trovavano 323 migranti, di cui 146 minori stranieri non accompagnati, 6 donne in stato di gra-vidanza e 7 bambini molto piccoli. Tutti sono confluiti nel centro dopo quattro sbarchi avvenuti tra il 29 marzo e il 25 aprile.

Siamo coscienti della complessità della situazione e della difficoltà di dover gestire flussi così importanti con sbarchi tanto ravvicinati tra loro. Tuttavia il nostro mandato ci impone di portare all’attenzione delle istituzioni nazionali e internazionali le condizioni in cui i migranti sono costretti – commenta Federica Giannotta, responsabile dei Progetti Italia di Terre des Hommes. Sono condizio-ni inaccettabili soprattutto per i minori, per non parlare dei bambini molto pic-coli, costretti a stare in grandi spazi occupati da centinaia di adulti sconosciuti in condizioni igienico-sanitarie molto precarie19.

A questo punto, considerando che gli hotspot sostituiranno - come si diceva - gli attuali Cpsa, conviene guardare all’approccio hotspot nel suo complesso, che riguarda anche Lampedusa.

l’approccio hotspot20 Come già anticipato nelle pagine precedenti, la Commissione Europea ha

presentato, il 13 maggio 2015, l’Agenda Europea sulla Migrazione, in cui ven-gono illustrate quelle che, nelle intenzioni della Commissione, dovrebbero essere le azioni immediate per “agire rapidamente e con determinazione di fronte alla tragedia umana che si consuma in tutto il Mediterraneo”21. Oltre alle operazioni di ricerca e salvataggio in mare, alla lotta alle reti di trafficanti, ai meccanismi di redistribuzione di persone con evidente bisogno di protezione internaziona-le (la cosiddetta ricollocazione e reinsediamento) e alla collaborazione con gli Stati terzi, viene introdotto per la prima volta il cosiddetto “approccio hotspot”. Il termine “hotspot”, tradotto nella versione italiana dell’Agenda Europea come “punto di crisi”, si riferisce alle frontiere esterne dell’Unione Europea più espo-ste e permeabili ai flussi migratori, ovvero le coste italiane e greche. L’approccio hotspot, infatti, è una nuova metodologia di lavoro intesa a “dare sostegno agli Stati membri in prima linea nell’affrontare le fortissime pressioni migratorie alle

19 http://terredeshommes.it/comunicati/pozzallo-preoccupazione-per-le-condizioni-di-accoglienza.20 Sezione tematica a cura di Giulia Gori.21 Commissione Europea, Agenda Europea sulla Migrazione, COM(2015) 240 final, p. 4: http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/background-in-formation/docs/communication_on_the_european_agenda_on_migration_it.pdf.

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frontiere esterne dell’UE”22.Il nuovo orientamento riguarda le operazioni di identificazione, registrazio-

ne e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo, che non verranno più gestite esclusivamente dalle autorità nazionali competenti ma beneficeranno della collaborazione e il sostegno delle agenzie europee Easo (European Asylum Support Office), Frontex (EU Border Agency), Europol (EU Police Cooperation Agency) e Eurojust (EU Judicial Cooperation Agency).

I migranti che presenteranno domanda di protezione internazionale verran-no immessi in una procedura di asilo cui contribuiranno le squadre di sostegno dell’Easo. Frontex coordinerà, invece, assieme agli Stati membri, il rimpatrio di coloro che non presenteranno domanda di protezione. Europol e Eurojust, infine, assisteranno lo Stato membro ospitante conducendo indagini finalizzate a smantellare le reti della tratta e del traffico dei migranti.

Considerando le azioni proposte dall’Agenda Europea, è piuttosto evidente che, accanto all’urgenza, esplicitamente manifestata, di salvare vite umane in mare, vi sia quella di conseguire un maggior controllo dei migranti in ingres-so che permetta di raggiungere un tasso di rilevamento delle impronte digitali pari al 100%. Negli ultimi anni, infatti, un numero consistente di migranti sono sbarcati sulle coste italiane senza essere stati identificati da parte delle autorità competenti e hanno continuato il loro viaggio verso altri Stati membri dove han-no successivamente presentato domanda di protezione internazionale. Emble-matica è stata la cosiddetta “emergenza transitanti”, nel maggio – giugno 2015, con decine di migliaia di migranti accampati nelle stazioni ferroviarie di Milano e di Roma e al confine italo-francese di Ventimiglia, in attesa di riprendere il viaggio per raggiungere il Nord Europa. Il fenomeno è stato talmente consisten-te che la Commissione Europea, nel dicembre 2015, ha aperto una procedura di infrazione23 nei confronti dell’Italia e della Grecia per la mancata attuazione del regolamento Eurodac, che dispone il rilevamento delle impronte digitali dei migranti in ingresso.

Effettivamente, a seguito dell’entrata in vigore dell’approccio hotspot, i dati relativi alle rilevazioni dattiloscopiche presentati dai report periodici della Com-missione europea hanno registrato miglioramenti significativi. Se a settembre 2015 solo il 36% dei migranti arrivati sulle coste italiane sono stati identificati e

22 Commissione Europea, Il metodo basato sui hotspot per la gestione dei flussi migratori ec-cezionali: http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/background-information/docs/2_hotspot_it.pdf.23 Commissione Europea, comunicato stampa Attuazione del sistema europeo comune di asilo: la Commissione porta avanti 8 procedimenti di infrazione: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-6276_it.htm.

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foto-segnalati, già a gennaio 2016 la percentuale è salita al 78%24, per raggiungere l’obiettivo del 100% di rilevamento delle impronte digitali nel mese di marzo25.

Tra le azioni immediate proposte dall’Agenda Europea sulla Migrazione, oltre all’approccio hotspot, vi sono anche i meccanismi di redistribuzione di persone con evidente bisogno di protezione internazionale. Accanto al mecca-nismo di resettlement, o reinsediamento, di rifugiati da Paesi terzi sul territorio Europeo, la Commissione introduce il nuovo meccanismo della relocation ba-sato sull’attivazione, per la prima volta, del sistema di emergenza ex articolo 78, paragrafo 3, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che mira ad aiutare gli Stati membri interessati da un afflusso improvviso di migranti.

Sulla base di due decisioni successive del Consiglio dell’Unione Europea, adottate il 1426 e il 2227 settembre 2015, si è stabilito di ricollocare, entro il 26 settembre 2017, prima 40.000 persone con evidente bisogno di protezione internazionale dalla Grecia (16.000 persone) e dall’Italia (24.000 persone), poi ulteriori altre 120.000 persone dagli stessi Stati membri (50.400 persone dalla Grecia, 15.600 dall’Italia e ulteriori 54.000 suddivisi proporzionalmente tra i due Stati a decorrere dal 26 settembre 2016).

Non tutti i richiedenti asilo giunti nel territorio italiano e greco possono accedere alla relocation ed essere trasferiti in altri Stati membri, sulla base delle quote messe spontaneamente a disposizione da ogni Stato. Infatti, i soli soggetti eleggibili per il meccanismo di ricollocazione sono quei richiedenti asilo, giunti nel territorio dei due Stati membri coinvolti a decorrere dal 24 marzo 2015, che appartengono a una nazionalità per la quale la percentuale di decisioni di riconoscimento della protezione internazionale, in base ai dati trimestrali aggiornati Eurostat, sia pari o superiore al 75% delle decisioni sulle domande di protezione internazionale adottate in primo grado.

24 Commissione Europea, comunicato stampa Agenda europea sulla migrazione: Relazioni della Commissione sui progressi compiuti in Grecia, Italia e nei Balcani occidentali: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-269_it.htm.25 Commissione Europea, First report on relocation and resettlement, COM(2016) 165 final, An-nex IV: Italy – State of Play Report: http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/proposal-implementation-package/docs/20160316/first_report_on_re-location_and_resettlement_-_annex_4_en.pdf.26 Consiglio dell’Unione Europea, Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio del 14 settem-bre 2015 che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a benefi-cio dell’Italia e della Grecia: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX: 32015D1523&from=EN.27 Consiglio dell’Unione Europea, Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio del 22 settem-bre 2015 che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a benefi-cio dell’Italia e della Grecia: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX: 32015D1601&from=EN.

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Il sistema hotspot e la ricollocazione sono meccanismi strettamente corre-lati, poiché la seconda è resa possibile proprio alla luce delle più efficienti ed efficaci procedure di identificazione e foto-segnalamento dei soggetti eleggibili per la relocation. Il successo del meccanismo di ricollocazione, però, dipende soprattutto dalla collaborazione degli Stati membri e dai posti in accoglienza messi volontariamente a disposizione. Sotto tale aspetto, questo meccanismo redistributivo non è risultato pari alle attese. L’adesione al programma de-gli Stati membri è stata estremamente scarsa. Gli impegni formali (i pledge) di ricollocazione ammontano in tutto a 7.731 (2.048 dall’Italia e 5.683 dalla Grecia). Alcuni paesi, come l’Austria, la Croazia, l’Ungheria, la Polonia e la Slovacchia, non hanno messo a disposizione alcun posto. Sette Stati membri (il Belgio, la Bulgaria, la Repubblica Ceca, la Germania, la Lituania, la Ro-mania e la Spagna) hanno ricollocato solo l’1% della loro quota. Solo quattro paesi (la Finlandia, il Lussemburgo, Malta e il Portogallo) hanno coperto più del 10% delle loro quote.

Il sostanziale fallimento del meccanismo di redistribuzione della re-location, particolarmente cocente nel nostro paese, ha messo l’Italia in una situazione assai scomoda visto che l’aumento delle identificazioni, dovuto all’approccio hotspot e all’intervento delle agenzie europee, ha portato ad un conseguente incremento delle domande di protezione internazionale, cui non è seguita, appunto, un’effettiva redistribuzione dei richiedenti asilo verso al-tri paesi. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno28, infatti, nei primi cinque mesi del 2016, in Italia sono state presentate 40.512 richieste di asilo, il 58% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. È palese come, in mancanza di un’equa distribuzione dell’onere di accoglienza tra gli altri Stati membri, l’approccio hotspot abbia pesanti conseguenze sul sistema di asilo e di accoglienza italiano.

L’approccio hotspot in ItaliaNel quadro dell’avvio della procedura di ricollocazione29, la Commissione

Europea ha richiesto alla Grecia e all’Italia di elaborare una tabella di marcia nella quale indicare le misure da adottare per l’implementazione delle Decisio-ni del Consiglio. Il 6 ottobre 2015, il Ministero dell’Interno ha così emanato una circolare30, diretta ai Prefetti e al Capo della Polizia, contenente misure

28 Prefetto Angelo Trovato, Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate (08.06.16): http://webtv.camera.it/evento/9576.29 Consiglio dell’Unione Europea, Decisione (UE) 2015/1601(22.06.2016), art. 8 (1).30 Ministero dell’Interno, circolare n. 14106 (06.10.2015): http://www.asgi.it/wp-content/uplo-

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relative all’avvio della procedura di relocation e contenente, in allegato, una Roadmap che ha il compito di “migliorare la capacità, la qualità e l’efficienza del sistema italiano nei settori dell’asilo, prima accoglienza e rimpatrio e assi-curare le giuste misure per l’attuazione della decisione”31 del Consiglio.

La Roadmap individua quattro siti per implementare il nuovo approccio: Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e Lampedusa, per una capacità comples-siva di circa 1.500 posti, a cui si sarebbero dovuti aggiungere, entro la fine del 2015, due ulteriori centri hotspot ad Augusta e Taranto per arrivare a una capienza totale di oltre 2.500 posti. I piani della Roadmap, in realtà, hanno dovuto subire più di una variazione poiché, alla data di giugno 2016, i soli cen-tri hotspot operativi sono quelli di Lampedusa32 (500 posti), Trapani33 (400), Pozzallo34 (300) e Taranto35 (400). L’ipotesi di attivare un centro a Porto Em-pedocle e ad Augusta sembra essere del tutto sfumata. È invece in fase di implementazione l’utilizzo di hotspot mobile team che, lavorando in mobilità, garantiscano il funzionamento del sistema hotspot anche nei casi di sbarchi che avvengono in porti distanti dai siti hotspot operativi.

La Roadmap italiana dettaglia tutta una serie di procedure da attuarsi all’interno dell’hotspot, dal momento dello sbarco all’uscita e trasferimento in altre strutture. Nello specifico, all’interno dell’hotspot: - tutte le persone sbarcate saranno sottoposte a screening medico al fine

di accertare immediatamente eventuali problemi sanitari di ogni singolo individuo;

- successivamente saranno intervistate da funzionari degli uffici immigra-zione, i quali compileranno il cd. foglio-notizie contenente le generalità, la foto e le informazioni di base della persona, nonché l’indicazione circa la sua volontà o meno di richiedere la protezione internazionale. Le per-sone eleggibili per la cd. procedura di ricollocazione verranno informate circa le modalità e gli effetti della procedura. In questa fase, avrà luogo una prima differenziazione tra le persone richiedenti asilo/potenziali ri-collocabili e quelle in posizione irregolare;

ads/2015/11/2015_Ministero_Interno_14106_6-_10_accoglienza.pdf.31 Ministero dell’Interno, Roadmap italiana (28.09.2015), p. 2: http://www.asgi.it/wp-content/uplo-ads/2015/11/ Roadmap-2015.pdf.32 Il Cpsa di Contrada Imbriacola, a Lampedusa, è operativo dal 01.10.2015.33 Il Cie di Trapani Milo, operativo dal 22.12.2015 a seguito di alcuni lavori di adeguamento della struttura.34 Il Cpsa di Pozzallo, operativo dal 19.01.2016, necessita ancora di ulteriori lavori di adeguamento.35 Il centro hotspot di Taranto è operativo dal 29.02.2016 dopo che, nell’area di un ex parcheggio, sono stati appositamente costruiti alcuni prefabbricati. Al mese di giugno 2016, la struttura ancora non era stata munita di impianto di climatizzazione degli ambienti.

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- sulla base degli esiti delle menzionate attività/interviste di pre-identifi-cazione le persone potrebbero essere ulteriormente intervistate da fun-zionari di polizia investigativa con il supporto di funzionari Frontex ed Europol al fine di acquisire informazioni utili per scopi investigativi e/o di intelligence.Subito dopo la procedura di pre-identificazione, tutte le persone saranno

foto-segnalate come ingressi irregolari (CAT 2) o come richiedenti asilo (CAT 1). Coloro che manifestano la volontà di richiedere la protezione internazio-nale formalizzeranno, successivamente, la propria intenzione compilando il modello C3 in lingua inglese, con il supporto di esperti degli Stati membri se-lezionati dall’EASO, nelle strutture per richiedenti asilo (i cosiddetti regional hub presenti sul territorio nazionale) dove verranno trasferiti dopo la conclu-sione delle menzionate attività di registrazione.

Per i richiedenti asilo non rientranti nella procedura di ricollocazione, l’at-tività di foto-segnalamento come CAT 1 e la compilazione del modello C3 sarà effettuata soltanto da funzionari della polizia scientifica e personale degli uffici immigrazione dell’Italia.

Successivamente all’espletamento delle attività di screening sanitario, pre-identificazione e investigative o di intelligence, e sulla base dei relativi esiti, le persone che richiedono la protezione internazionale saranno trasferite nei vari regional hub presenti sul territorio nazionale (quelle rientranti nella procedura di ricollocazione in regional hub dedicati). Le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno invece tra-sferite nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie).

Per quanto riguarda la dotazione di personale specializzato all’interno dei siti hotspot, in base ai dati aggiornati forniti dalla Commissione Europea si apprende che a giugno 2016 erano a disposizione 93 funzionari di Frontex, 5 funzionari EASO e 8 mediatori culturali EASO di lingua araba e tigrina.

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ItalIa. hotspot attivi per capienza complessiva e presenza di esperti di organismi ue (22 giugno 2016)

Lampedusa Pozzallo Porto Empedocle Augusta Taranto Trapani

capienza totale 500 300 300 300 400 400

presenza ue

Frontex: 25 funzionari (attività di

debriefing e screening,

acquisizione rilievi foto-

dattiloscopici, attività di supporto)

Frontex: 24 funzionari (attività di debriefing

e screening)

0 0 Frontex: 22 funzionari (attività di

debriefing e screening)

Frontex: 22 funzionari (attività di

debriefing e screening)

EASO: 1 esperto dello

Stato Membro

EASO: 1 esperto dello

Stato Membro

0 0 EASO: 1 esperto

dello Stato Membro

EASO: 2 esperti dello

Stato Membro

EASO: 2 mediatori

culturali (arabo e tigrino)

EASO: 2 mediatori culturali (arabo e tigrino)

0 0 EASO: 2 mediatori culturali (arabo e tigrino)

EASO: 2 mediatori culturali (arabo e tigrino)

FONTE: Commissione Europea, State of Play of Hotspot capacity

Da questi numeri è evidente la centralità delle procedure di identificazio-ne, foto-segnalamento e registrazione rispetto a quelle legate all’informativa e all’accesso alla richiesta di protezione internazionale. Tuttavia, se la presenza EASO è numericamente molto contenuta, Europol e Eurojust, che dovrebbero coordinare gli interventi in materia di intelligence e investigazione contro traffi-canti e altre forme di crimine organizzato, sono totalmente assenti. Le Procedure Operative Standard (SOP)36, recentemente redatte dal Ministero dell’Interno, prevedono l’impiego di personale Europol a supporto delle autorità locali nelle attività di contrasto all’immigrazione clandestina, alla tratta di esseri umani e alla criminalità organizzata o terrorismo.

Estremamente esiguo è anche l’impiego di mediatori culturali a supporto

36 Ministero dell’Interno, Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione e Dipartimento del-la Pubblica Sicurezza, Standard Operating Procedures (SOP) applicabili agli hotspot italiani (17.05.2016): http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/hotspot_sops_-_versione_italiana.pdf.

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delle attività del personale delle agenzie europee all’interno di ogni centro. Dai dati forniti dalla Commissione, infatti, si evince la presenza di soli due media-tori linguistico-culturali EASO (uno di lingua araba e l’altro di lingua tigrina) per ogni centro che, vale la pena sottolineare, accoglie dalle 300 alle 500 per-sone. Sebbene i dati messi a disposizione dalla Commissione si riferiscano al solo personale UE e sia perciò possibile che nei centri siano presenti ulteriori mediatori culturali a supporto delle autorità nazionali, si evidenzia comunque la non centralità del servizio di mediazione linguistico-culturale. Con questi numeri, infatti, sembra veramente difficile immaginare che si riescano ad effet-tuare identificazioni e interviste approfondite e un’adeguata informativa legale rispetto alla possibilità di presentare domanda di protezione internazionale o di accedere alla procedura di ricollocazione. Il fatto poi che l’EASO garantisca la mediazione solamente a migranti arabofoni o di lingua tigrina (idiomi parlati dalle nazionalità al momento eleggibili per la relocation) esclude evidentemen-te un numero elevatissimo di persone dal diritto di essere propriamente ascolta-te e informate in una lingua a loro comprensibile. Stando ai dati UNHCR37, in-fatti, nei primi sei mesi del 2016 i migranti sbarcati sulle nostre coste (e quindi plausibilmente passati attraverso un hotspot) provengono soprattutto da Eritrea (15%), Nigeria (14%), Gambia (9%), Somalia (8%), Costa d’Avorio (8%), Gui-nea (7%): paesi nei quali solo in alcuni casi si parla arabo o tigrino.

Oltre alla insufficiente dotazione di personale specializzato, a destare preoc-cupazione all’interno dei centri sono le condizioni di accoglienza dei migranti. A seguito dell’introduzione delle nuove procedure previste dall’Agenda Europea sulla Migrazione e con il sostanziale fallimento del meccanismo della relocation, in molti centri hotspot si assiste di fatto ad una permanenza più lunga di quella prevista; ciò dà luogo a una serie di criticità denunciate, tra l’altro, in una lettera aperta al Ministro dell’Interno dal sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini:

Sia le caratteristiche strutturali del Centro, sia gli oneri previsti dal Ca-pitolato d’affidamento del servizio, non sono idonei e sufficienti a garantire condizioni dignitose di accoglienza a persone che vengono trattenute da oltre 30 giorni e che potrebbe essere trattenute addirittura a tempo indetermina-to. Ciò è anche dimostrato dal fatto che indumenti e scarpe sono forniti dalla Parrocchia e dalla comunità, dal fatto che oltre 135 minori non accompagnati sono lasciati liberi e senza alcuna tutela in qualunque ora del giorno e della notte, che qualche ospite viene sottoposto a cure mediche solo su richiesta di volontari lampedusani che vengono casualmente a conoscenza delle specifiche problematiche di salute38.

37 UNHCR (23.06.2016): http://data.unhcr.org/mediterranean/country.php?id=105.38 In Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della

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Le preoccupazioni del sindaco di Lampedusa sono condivise dalla Commis-sione straordinaria del Senato che, durante un sopralluogo nell’ex Cpsa di Contra-da Imbriacola, ne ha valutato le condizioni igieniche “appena dignitose” rilevando una serie di carenze evidenti, come bagni poco puliti e non riscaldati e dormitori stipati di letti con poco spazio rimanente per muoversi. Valutazione poco dissimile da quella della Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglien-za dei migranti in visita ufficiale all’hotspot di Pozzallo39, che ha riscontrato gravi problemi nell’approvvigionamento idrico, nei servizi igienici e nell’organizzazione interna degli spazi, con una mancanza assoluta di garanzia di privacy per i rifugiati, soprattutto nell’accoglienza dei minori non accompagnati e delle donne con bambi-ni. Unica “isola felice” sembra essere quella di Trapani Milo che, secondo la Com-missione di inchiesta, “non presenta particolari criticità se non quelle legate ai tempi di permanenza”40 che, pure, configurano una forma illegittima di trattenimento.

Un sistema al di fuori dello stato di diritto?Il sistema hotspot presenta numerose criticità sotto molteplici punti di vista,

tanto da aver destato forte preoccupazione tra i maggiori enti di tutela italiani41. Ad essere messa in discussione è, anzitutto, la legittimità stessa del meccanismo, ritenuto privo di base giuridica poiché istituito e regolato, sia a livello europeo che nazionale, da documenti di carattere politico privi di alcun valore norma-tivo. Allarmante è anche la diffusa adozione da parte delle autorità di pubblica sicurezza di prassi contrarie alla normativa interna e internazionale in materia di diritti fondamentali di richiedenti asilo e migranti. In particolare, le maggio-ri preoccupazioni riguardano la durata del trattenimento all’interno dei centri hotspot, le garanzie personali durante il foto-segnalamento, l’informativa resa al migrante circa la possibilità di presentare domanda di protezione internazionale o di avere accesso alla relocation, il concreto esercizio del diritto di accesso alla procedura di asilo, la prassi diffusa dei respingimenti collettivi.

Repubblica, Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione (febbraio 2016), p. 17: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/file/repository/commissioni/dirittiumaniXVII/rapporto_cie.pdf.39 Cfr:http://www.ragusah24.it/2016/06/24/hotspot-pozzallo-rischio-chiusura (24.06.2016); http://www.corrierediragusa.it/articoli/attualit%E0/pozzallo/35214-hotspot-pozzallo-o-si-cambia-subito-oppure-si-chiude-senza-se-e-senza-ma-lapidario-il-giudizio-della-commissione-parlamentare.html (24.06.2016).40 Redattore Sociale, Accoglienza migranti, la commissione d’inchiesta promuove Trapani (21.05.2016), http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/508540/Accoglienza-migranti-la-commissione-d-inchiesta-promuove-Trapani.41 Il Tavolo Nazionale Asilo, del quale fanno parte i maggiori enti di tutela attivi in materia di diritto di asilo, ha inviato il 3 novembre 2015 una lettera al Ministro Alfano sui preoccupanti fatti che stanno accadendo all’interno del sistema Hotspost: http://www.asgi.it/notizia/hotspot-il-tavolo-nazionale-asilo-chiede-incontrare-il-ministro-dellinterno.

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La mancanza di base normativa e l’ambigua natura giuridica dei sitiL’approccio hotspot nasce, già a livello europeo, privo di base giuridica.

Come suggerito da un recente studio commissionato dal Parlamento Europeo42, infatti, l’Unione Europea ha preferito, per ragioni meramente pratico-operative, muoversi all’interno di un quadro politico piuttosto flessibile, scegliendo di non ricorrere a atti di carattere normativo, come Regolamenti o Direttive, ma a stru-menti di carattere essenzialmente politico, come l’Agenda Europea sulla Migra-zione e le due Decisioni del Consiglio dell’UE. L’assenza, però, di una specifica cornice giuridica lascia nell’incertezza normativa e nella mancanza di chiarezza su come le norme europee e nazionali debbano interagire43. Le Decisioni adot-tate dal Consiglio nel settembre 2015, infatti, non possono in alcun modo essere ritenute basi legali vincolanti per provvedimenti nazionali di recepimento.

A livello nazionale la situazione non è dissimile. In Italia, infatti, l’approc-cio hotspot è stato reso operativo a seguito della Circolare n. 14106 adottata dal Ministero dell’Interno il 6 ottobre 2015 contenente, in allegato, la Roadmap italiana attuativa delle decisioni del Consiglio. È evidente che se la Roadmap è un documento di carattere politico, privo quindi di valore normativo, le circolari ministeriali sono provvedimenti amministrativi non riconosciuti come fonti di diritto. Lo stesso dicasi delle Standard Operating Procedures (SOP), disposi-zioni ministeriali recentemente redatte dal Ministero dell’Interno per definire le procedure operative da adottare all’interno degli hotspot italiani.

In tutti questi casi sono stati utilizzati provvedimenti amministrativi, privi di per sé di efficacia normativa, in una materia che regola la condizione giuridica dello straniero, in violazione della riserva di legge costituzionale sancita dall’ar-ticolo 10, comma 2, della Costituzione44. Similmente, non è rispettata la riserva di legge e di giurisdizione ex articolo 13, comma 2, della Costituzione45, poiché misure limitative della libertà personale dello straniero, quali appunto il tratteni-mento all’interno dei siti hotspot, sono contenute in provvedimenti privi di base legale e risultano sottratti a qualsiasi controllo giurisdizionale, con conseguente limitazione al diritto di difesa, riconosciuto ad ogni persona indipendentemente

42 European Parliament, DG for Internal Policies, Policy Department Citizens’ Rights And Consti-tutional Affairs, On the frontline: the hotspot approach to managing migration (May 2016): http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2016/556942/IPOL_STU(2016)556942_EN.pdf.43 Ibi, p. 30: While the Commission’s preference to create a loose policy framework for the opera-tion of hotspot is understandable from a purely practical and operational perspective, the absence of a specific legal framework for hotspot leaves a lack of legal certainty and clarity as to how EU and national rules interact. 44 Costituzione Italiana, art. 10 (2): La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge.45 Costituzione Italiana, art. 13 (2): Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o per-quisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

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dal suo stato giuridico sul territorio46. È da sottolineare a tal riguardo che la stes-sa Corte Costituzionale, nella sentenza 105/2001, ha riconosciuto che il tratteni-mento “è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione, determinando anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortifica-zione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggetta-mento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale”47.

Considerando che, di fatto, gli hotspot sono centri chiusi all’interno dei qua-li i migranti vengono trattenuti per un certo lasso di tempo, l’assenza di una definizione della natura giuridica di tali siti è particolarmente problematica. Né l’Agenda Europea sulla Migrazione né la Roadmap italiana, infatti, chiariscono se i centri all’interno dei quali si attua l’approccio hotspot continuino ad essere dei centri di prima accoglienza, come erano i Cpsa di Contrada Imbriacola a Lampedusa o di Pozzallo prima della conversione in hotspot, o se diventino piuttosto centri di identificazione e espulsione, unica tipologia di strutture dove è possibile essere trattenuti, ma solo a seguito di convalida di un giudice e con precisi limiti e garanzie di difesa sia nel caso di migranti irregolari48, sia nel caso di richiedenti protezione internazionale49. Di fatto, quindi, all’interno delle strutture nelle quali si pratica l’approccio hotspot si sottopongono i migranti a limitazione delle loro libertà personali per una durata di tempo non quantificata50 e al di fuori delle garanzie previste dalla legge.

Trattenimento e misure coercitive ai fini identificativiCome già evidenziato in precedenza, l’approccio hotspot è stato introdotto

dall’Unione Europea con l’obiettivo di conseguire un maggior controllo dei mi-granti in ingresso dalle frontiere esterne, raggiungendo un tasso di identificazio-ne dei migranti sbarcati pari al 100%. In una comunicazione della Commissione europea del 15 dicembre 2015 si chiede all’Italia di incrementare gli sforzi, an-

46 Costituzione Italiana, art. 24 (1): Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.47 Corte Costituzionale, sentenza n. 105/2001 (10.04.2001): http://www.giurcost.org/decisioni/ 2001/0105s-01.html.48 Si veda la Direttiva 2008/115/CE (direttiva rimpatri) e gli articoli 13 e 14 del T.U. n. 286 del 1998.49 Si vedano i limiti posti dal decreto legislativo n. 142/2015, art. 6, al trattenimento amministrativo di richiedenti protezione internazionale.50 Le Standard Operating Procedures (SOP) del Ministero dell’Interno, che non essendo fonti di diritto non avrebbero neppure l’autorità per normare in materia di condizione giuridica dello straniero, prevedono genericamente un periodo di permanenza nella struttura hotspot “il più breve possibile”.

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che a livello legislativo, per assicurare una cornice legale allo svolgimento delle procedure previste per l’hotspot, con particolare riferimento all’uso della forza per il rilevamento delle impronte digitali e all’introduzione di tempi di tratteni-mento più lunghi nei confronti di chi si rifiuta di farsi foto-segnalare51.

Le recenti Standard Operating Procedures, adeguandosi alle sollecitazioni provenienti dall’Europa, hanno infatti ribadito che in materia di identificazione e foto-segnalamento è doveroso, ove si renda necessario, “un uso della forza pro-porzionato a vincere l’azione di contrasto, nel pieno rispetto dell’integrità fisica e della dignità della persona”52.

Come l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione53 ha detta-gliatamente argomentato, si deve invece rilevare che la legge vieta l’utilizzo della forza ai fini identificativi fuori delle ipotesi previste dall’articolo 349 com-ma 2 bis del codice penale, che consente, esclusivamente nei confronti di una persona sottoposta a indagini preliminari poiché accusata di aver commesso un qualsiasi reato, il prelievo coattivo di capelli o saliva, comunque nel rispetto del-la dignità personale del soggetto, previa autorizzazione del Pubblico Ministero. Questo è l’unico caso in cui le forze di polizia sono autorizzate a procedere in modo coattivo per vincere le resistenze passive poste in essere durante la fase di identificazione.

In tutti gli altri casi, le forze di polizia possono accompagnare presso i propri uffici chiunque rifiuti di farsi identificare54 ma non possono fare uso della forza ai fini dell’effettuazione dei rilievi foto-dattiloscopici. La persona accompagnata può essere trattenuta per il tempo strettamente necessario all’identificazione e comunque non oltre le 24 ore. Dopo tale termine, la persona deve essere rila-sciata anche nel caso le forze di polizia non siano riuscite ad identificarla com-piutamente. Dell’accompagnamento e del successivo rilascio deve essere data immediata comunicazione al Pubblico Ministero.

D’altro canto, la persona ha l’obbligo di eseguire l’ordine impartito dagli agenti e, se oppone resistenza, commette reato. In caso di resistenza violenta

51 Commissione Europea, Progress Report on the Implementation of the hotspot in Italy, COM(2015) 679 final (15.12.2015), p. 4: Further efforts, also at legislative level, should be accelerated by the Italian authorities in order to provide a more solid legal framework to perform hotspot activities and in particular to allow the use of force for fingerprinting and to include provisions on longer term retention for those migrants that resist fingerprinting, in http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/securing-eu-borders/legal-documents/docs/communication_-_progress_re-port_on_the_implementation_of_the_hotspot_in_italy_en.pdf.52 Ibi, p. 15.53 ASGI, L’identificazione dei cittadini stranieri da parte delle forze di polizia e il divieto dell’u-so della forza per i rilievi foto-dattiloscopici (14.12.2014): http://www.asgi.it/wp-content/uplo-ads/2014/12/IDENTIFICAZIONE.-OBBLIGHI-E-FACOLTA2.pdf.54 DL 59/1978 (convertito in legge 191/78), art. 11.

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commette il reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale55, per il quale è pre-visto l’arresto immediato (facoltativo). Nel caso, invece, di resistenza passiva, senza utilizzo di violenza o minaccia, la persona commette il reato contravven-zionale di rifiuto di indicazioni sulla propria identità56, punito in modo molto lieve e tale da non prevedere l’arresto o la privazione della libertà oltre i limiti di 24 ore previsti per la procedura di identificazione. Ne consegue, quindi, che l’utilizzo della forza per costringere una persona che oppone resistenza passiva ai rilievi foto-dattiloscopici è da considerarsi illegittimo e penalmente rilevante.

Parimenti illegittimo è l’uso del trattenimento coercitivo ai soli fini identifi-cativi, anche se le linee di comportamento diffuse dal Ministero dell’Interno sem-brano legittimare anche la possibilità di termini di trattenimento più lunghi nel caso dei migranti in oggetto. Si deve invece rilevare che, in base alla normativa vigente, i rilievi foto-dattiloscopici non possono avvenire con misure limitative della libertà personale fuori delle ipotesi, previste dalla legge, di trattenimento in un Centro di identificazione e di espulsione disposto nei confronti di straniero già espulso57, o nei confronti di richiedenti asilo che abbiano presentato la domanda di asilo quando erano già destinatari di provvedimenti di espulsione o sottoposti a provvedimento di trattenimento (cioè che chiedano asilo dopo tali provvedimenti), o che siano ritenuti pericolosi o per l’ordine e la sicurezza pubblica (avendo subito condanne per determinati reati) o socialmente o in quanto sospetti terroristi, oppu-re nel caso di rischio di fuga (se il richiedente asilo ha, precedentemente alla do-manda di asilo, fornito sistematicamente false generalità al solo scopo di impedire l’esecuzione o l’adozione del provvedimento di espulsione)58. Al di fuori di queste ipotesi non è legittimo alcun trattenimento dei richiedenti asilo.

Stando a quello che si apprende dalle dichiarazioni del prefetto Alessandro Pansa alla Commissione parlamentare sui centri per migranti, la Polizia italiana, pur rivendicando esplicitamente la legittimità dell’uso della forza ai fini identi-ficativi, ha ammesso che una simile strategia rischia di rivelarsi del tutto con-troproducente di fronte alle forme più estreme di resistenza. Ha, perciò, deciso di aggirare il problema dividendo in piccoli gruppi i migranti che attuano forme di resistenza più pervicaci, dislocandoli presso caserme o strutture della polizia sparse sul territorio italiano:

le persone che sbarcano generalmente si fanno foto-segnalare e i gruppi che

55 Per il reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, previsto dall’ art. 336 del codice penale, è possibile l’arresto immediato ed esso è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.56 Il reato di rifiuto di indicazioni sulla propria identità, regolato dall’art. 651 del codice penale, è una contravvenzione punita con l’arresto fino a un mese o l’ammenda fino a 206 €, ma in ogni caso non è possibile l’arresto immediato.57 T.U. n. 286/1998, art. 14.58 D.lgs. 142/2015, art. 6.

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rifiutano il foto-segnalamento – essenzialmente oggi solo gli eritrei – riusciamo a foto-segnalarli perché li dividiamo in piccoli gruppi o singolarmente e li di-stribuiamo sul territorio. Come vi è stato detto, a Lampedusa questa resistenza accadeva una volta su tre, ma adesso è molto meno perché li dividiamo in gruppi da dieci o da cinque e li distribuiamo. Il fatto è che cento persone non si fanno foto-segnalare, ma, presi dieci per volta in questura, si fanno foto-segnalare perché non hanno più la forza del gruppo e hanno la possibilità anche di capire l’inutilità del loro atteggiamento, quindi alla fine vengono foto-segnalati59.

Il problema, però, è che così facendo, il trasferimento e la detenzione presso i locali delle Questure dei migranti che resistono al foto-segnalamento avviene in assenza di qualsiasi tutela giuridica, senza dare immediata comunicazione al Pubblico Ministero e facendo uso del trattenimento coercitivo di richiedenti asilo ai soli fini identificativi.

La pre-identificazione e i rischi di una distinzione arbitraria tra richie-denti asilo e migranti “economici”

Secondo quanto prescritto nella Roadmap italiana, immediatamente dopo le procedure di sbarco e di screening medico, le persone vengono intervistate da funzionari degli uffici immigrazione, i quali compilano il cd. foglio-notizie contenente le generalità, la foto e le informazioni di base della persona, nonché l’indicazione circa la sua volontà o meno di richiedere la protezione interna-zionale. In questa fase, secondo la Roadmap, ha luogo “una prima differenzia-zione tra le persone richiedenti asilo/potenziali ricollocabili e quelle in posizio-ne irregolare”60. La Commissione europea appare ancora più netta rispetto alla funzione della pre-identificazione specificando che: Central to the hotspot ap-proach is that it helps to identify who is and who is not in need of international protection through a process of identification and filtering of applications61.

La pratica descritta nella Roadmap e nei documenti dell’Unione desta for-

59 Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione ed espulsione, Resoconto Stenografico della seduta n. 37, (20.01.2016), in Campesi, G., Chiedere asilo in tempo di crisi. Accoglienza, confinamento e detenzione ai margini d’Europa (2016): http://www.academia.edu/23166256/Chiedere_asilo_in_tempo_di_crisi._Accoglienza_confinamento_e_detenzione_ai_margini_d_Europa.60 Ministero dell’Interno, Roadmap italiana (28.09.2015), p. 6: http://www.asgi.it/wp-content/uplo-ads/2015/11/Roadmap-2015.pdf.61 Commissione Europea, Communication from the Commission to the European Parliament and and the Council on the State of Play of Implementation of the Priority Actions under the Euro-pean Agenda on Migration, COM(2016) 85 final (10.2.2016), p. 10, http: //ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/proposal-implementation-package/docs/managing_the_refugee_crisis_state_of_play_20160210_en.pdf

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ti preoccupazioni sotto una molteplicità di aspetti. Anzitutto, la distinzione tra migranti economici e richiedenti protezione internazionale non può compe-tere alle autorità amministrative di pubblica sicurezza, neanche se coadiuvate dall’UNHCR e dall’EASO, come previsto dalla procedura hotspot. Il decreto legislativo n. 142/2015, attuativo di due direttive dell’Unione Europea sull’ac-coglienza dei richiedenti asilo e sulle procedure ai fini del riconoscimento dello status di protezione internazionale62, attribuisce alle forze di Polizia l’unico ruo-lo di “ricezione” delle richieste di asilo dei migranti alla frontiera. I soli organi che hanno l’autorità di stabilire se un migrante ha o meno il diritto alla protezio-ne internazionale sono le Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale che decidono, con provvedimento impugnabile, e a seguito di un’audizione personale che ha l’obiettivo di vagliare la storia di ogni singolo richiedente asilo nel dettaglio e che non avviene di certo al momento dello sbarco, quando la persona è stremata dalle condizioni del viaggio.

Il decreto legislativo n. 142/2015 specifica anche che è da considerarsi un ri-chiedente protezione internazionale colui che ha “manifestato la volontà di chie-dere tale protezione”, prima cioè di aver formalmente verbalizzato la richiesta. La manifestazione della volontà assume perciò grande rilievo ed è importante, durante la fase di pre-identificazione, che le forze di Polizia mettano in atto pro-cedure che permettano di rilevare e registrare prontamente tale volontà. Nume-rose sono, invece, le fonti63 che denunciano l’assenza di garanzie legali durante questa fase. Secondo il Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione pro-dotto dalla Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani del Senato64, a Lampedusa i migranti appena sbarcati vengono trasferiti all’interno dell’hotspot e, dopo essere stati forniti di abiti asciutti, svolgono un colloquio con gli agenti dell’Ufficio immigrazione, solitamente della durata di pochi minuti. Durante il colloquio, allo straniero viene consegnato il cosiddetto foglio notizie su cui vanno inserite le generalità (nome, cognome, data di nascita, residenza, paternità, nazionalità, luogo di partenza). Viene poi chiesto il motivo dell’arrivo in Italia e vi sono una serie di risposte da selezionare: venuto in Italia per lavoro; per raggiungere i familiari; per fuggire alla povertà; per asilo; e infine

62 Il decreto legislativo n. 142/2015 è attuativo della Direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale e della Direttiva 2013/32/UE sulle procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.63 Si vedano, ad esempio, Oxfam, Hotspot, il diritto negato, (19.05.2016), http: //www.oxfami-talia.org/wp-content/uploads/2016/05/Rapporto_Hotspot_Il-diritto-negato_Oxfam_19mag16.pdf; ASGI, Documento del Consiglio direttivo del 21/10/2015, www.asgi.it/wp.../documento-ASGI-hot-spot-road-map-21-ottobre-2015.-def.doc.64 Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della repub-blica, ibid.

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l’opzione “altro”. Il documento, una volta compilato, viene firmato dallo stranie-ro e controfirmato dall’operatore della polizia e dal mediatore culturale65. Spesso il mediatore si assume la responsabilità dell’accertamento della nazionalità dei migranti. Come dichiarato dal Prefetto Pansa durante un’audizione di fronte alla Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza66, “il foglio notizie viene sottoscritto anche dal mediatore culturale, che, attraverso la sua esperienza e la sua capacità, può confermare o meno la nazionalità indicata da chi sbarca”. Come giustamente sottolineato da Oxfam, “al di là dell’esperienza e della capacità dei mediatori culturali presenti allo sbarco, trattandosi di una figu-ra professionale non ufficialmente riconosciuta, e non tutelata dall’esistenza di un albo nazionale, pare improprio che venga loro affidata tale responsabilità” 67.

La pre-identificazione, quindi, sebbene abbia conseguenze importantissime per il migrante, avviene quando le persone, soccorse in mare e appena sbarcate, sono stremate dal viaggio e plausibilmente ancora sotto shock. Inoltre, il que-stionario contenuto nel foglio notizie è formulato in maniera molto stringata e schematica. Benché sia solitamente tradotto anche in inglese, francese e arabo, è possibile che per una gran parte dei migranti risulti di difficile comprensione perché non tradotto in una lingua a loro pienamente comprensibile, o perché formulato in modo ambiguo. Dalle interviste condotte da Oxfam ad alcuni ope-ratori presenti nei luoghi di sbarco emerge in modo chiaro e allarmante l’in-tenzionale ambiguità con la quale viene condotta la fase di pre-identificazione: “All’inizio, durante le prime interviste, ai migranti veniva semplicemente chie-sto: “Sei venuto qui per lavorare”? Ed è ovvio che loro rispondevano di sì, anche chi richiede protezione internazionale poi vuole lavorare, ma questo bastava per classificarli come migranti economici. Era la classica domanda trabocchetto”68.

Sebbene le Standard Operating Procedures sottolineino che “l’attività di pre-identificazione non è in nessun caso idonea a determinare l’attribuzione, in capo all’individuo, di uno status giuridico definitivo e non preclude comunque l’esercizio del diritto di richiedere, anche successivamente a tale fase, la pro-tezione internazionale”69, appare difficile che si riesca ad esercitare tale diritto senza ricevere adeguata informativa e senza avere piena cognizione delle conse-guenze delle operazioni cui si viene sottoposti.

Poiché il foglio notizie ha, nella prassi, un ruolo determinante per stabilire

65 Vedi fotocopia di un foglio notizie nel rapporto Oxfam pp. 20-21 riprodotto a fine capitolo.66 Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione ed espulsione, ibid.67 Oxfam, ibid, p. 19.68 Oxfam, ibid, p. 22.69 Ministero dell’Interno, Standard Operating Procedures, ibid, p. 7.

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la futura condizione del migrante, anche in termini di libertà personale, la fase della pre-identificazione assume un rilievo tale da richiederne modalità assai differenti di svolgimento. Dovrebbe certamente essere svolta nelle condizioni di massima lucidità e consapevolezza, e quindi non immediatamente dopo lo sbarco, e solo dopo aver ricevuto adeguata informativa sulle normative vigenti in materia di immigrazione, sulla possibilità di presentare domanda internazio-nale, sulle conseguenze di un eventuale diniego, sulle possibilità di un’eventuale espulsione. È evidente che ciò non è possibile senza l’assistenza di mediatori culturali che permettano al migrante di comprendere effettivamente quanto sta avvenendo.

Il diritto all’informativa legale per garantire l’effettivo accesso alla procedura

Questo ci porta all’ulteriore, grave criticità dell’approccio hotspot: la man-canza di un’adeguata informativa legale che tuteli pienamente il diritto dei mi-granti a presentare domanda di protezione internazionale.

In base a quanto stabilito dalle Standard Operating Procedures (Sop), im-mediatamente dopo le procedure di sbarco e di screening medico, i migranti sono trasferiti all’interno dei siti hotspot dove ricevono delle “informative car-tacee sulla normativa vigente in materia di immigrazione e asilo […] e sulle modalità con le quali le persone in ingresso possono manifestare la volontà di chiedere la protezione internazionale (…). Solo in una fase successiva, dopo es-sere stati pre-identificati ed aver compilato il foglio-notizie, al migrante vengono somministrate “delle informative sulla normativa vigente in materia di immi-grazione e asilo da parte delle Organizzazioni Internazionali […] in una lingua comprensibile alla persona”70.

Come è evidente, quindi, le sequenze operative stabilite dalle Sop non per-mettono al migrante di affrontare la fase di pre-identificazione e di compilazio-ne del foglio-notizie essendo stati precedentemente e adeguatamente informati rispetto ai propri diritti e alla possibilità di presentare domanda di protezione internazionale. La distribuzione all’ingresso nei centri di opuscoli cartacei, sep-pure curati da organizzazioni internazionali quali l’UNHCR e l’IOM, non può essere in alcun modo considerata sufficiente a garantire il diritto all’informativa nei confronti di persone che si trovano inevitabilmente in condizioni di elevato stress fisico e psichico, che potrebbero non essere pienamente competenti nelle lingue nelle quali gli opuscoli sono tradotti o essere addirittura analfabeti, e che potrebbero non essere in grado di comprendere pienamente il contenuto del ma-teriale informativo ricevuto. 70 Ministero dell’Interno, Standard Operating Procedures, ibid, p. 7.

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Le procedure operative prevedono, in un secondo momento, lo svolgimento di attività di somministrazione di informativa legale ai migranti. Oltre a non essere immediatamente comprensibile dalla formulazione delle SOP se, in que-sta fase, le informazioni sono fornite in forma scritta o tramite colloqui con operatori e funzionari della Pubblica amministrazione, ci si chiede anche se tali informazioni siano garantite a tutti i migranti arrivati nell’hotspot o solo a coloro che, durante la precedente fase di pre-identificazione, sono riusciti a verbalizzare la loro volontà di richiedere protezione internazionale.

A tal riguardo, appare opportuno ricordare che l’obbligo d’informazio-ne sulle procedure di asilo è sancito anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che, nella motivazione della sentenza Hirsi Jamaa c. Italia, ha rilevato che “la mancanza di informazioni costituisce uno dei principali ostacoli all’accesso alle procedure d’asilo”71. La Corte ha quindi sottolineato “l’importanza di garantire alle persone interessate da una misura di allontanamento, le cui conseguenze sono potenzialmente irreversibili, il di-ritto di ottenere informazioni sufficienti a consentire loro di avere un accesso effettivo alle procedure e di sostenere i loro ricorsi” (ivi). L’importanza del diritto dello straniero a ricevere un’informativa completa e comprensibile è stato ulteriormente affermato dalla Cassazione che, in un’ordinanza del marzo del 2015, ha ribadito l’obbligo [della Pubblica amministrazione “di informare gli stranieri, giunti irregolarmente sul territorio di uno Stato dell’Unione Euro-pea, sulle procedure da seguire per ottenere il riconoscimento della protezione internazionale cui aspirino”72.

La Corte ha anche affermato la nullità dei decreti di respingimento e tratte-nimento quando siano mancate informazioni e servizi di interpretariato “nella misura necessaria per favorire l’accesso alla procedura di asilo a pena di nulli-tà dei conseguenti decreti di respingimento e trattenimento” (ivi).

Il diritto, quindi, ad avere accesso a informazioni complete e comprensi-bili sulla propria condizione giuridica è un aspetto cruciale e può minare gra-vemente la possibilità di accedere concretamente alla procedura. La priorità data, nell’ambito dell’approccio hotspot, alla celerità dei tempi e alle attività di identificazione e registrazione, mal si concilia, evidentemente, con lo svol-gimento di un’adeguata informativa legale che tuteli pienamente il diritto dei migranti ad accedere alla procedura d’asilo e a non essere respinti senza una valutazione completa, approfondita e impugnabile della propria situazione in-dividuale.

71 CEDU, causa n. 27765/09, Hirsi Jamaa c. Italia, (23.02.2012), § 204.72 Corte di Cassazione, VI Sezione Civile, ordinanza n. 5926/2015 (25.03.2015).

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respingimenti differiti ed espulsioni collettiveA partire dagli ultimi mesi del 2015, con l’avvio dell’approccio hotspot e

l’apertura del primo sito hotspot all’intero del Cpsa di Contrada Imbriacola a Lampedusa, si è registrato un preoccupante incremento del numero di espulsioni e respingimenti nei confronti di migranti soccorsi in mare e sbarcati in Italia. Enti di tutela presenti nei luoghi di sbarco hanno ripetutamente denunciato il fenomeno73 segnalando migliaia di casi di migranti, per lo più provenienti dal continente africano, ai quali, dopo essere stati classificati come migranti econo-mici a seguito di una sommaria intervista, è stato loro notificato un decreto di respingimento. In provincia di Agrigento, è accaduto che, non essendoci posti disponibili all’interno dei vicini Centri di Identificazione ed Espulsione, i mi-granti venissero lasciati, a tarda sera, nei pressi della stazione o nelle campagne dell’entroterra agrigentano costringendoli a vivere per strada e impedendo loro di avere accesso ad una difesa legale in quanto privi di mezzi economici e di informazioni sui servizi del territorio74. Secondo quanto riferiscono gli operatori di Borderline Sicilia, alcuni migranti respinti avrebbero espresso la volontà di chiedere asilo alle forze di polizia senza alcun esito. Altri, si sarebbero rivolti all’ufficio immigrazione della Questura di Palermo e al Commissariato di Licata per presentare la domanda di asilo, ma i funzionari dell’amministrazione si sa-rebbero rifiutati di riceverla in quanto respinti dalla Questura di Agrigento.

Anche in Puglia, l’ASGI segnala casi di respingimenti differiti in totale mancanza di informativa legale e effettiva possibilità di manifestare la volon-tà di presentare domanda di asilo. Secondo i legali dell’ASGI, “un gruppo di nazionalità nigeriana è stato immediatamente trasferito nei Cie di Bari e Restin-co (Brindisi), mentre circa 150 persone provenienti dall’area del Maghreb sono state rilasciate sul territorio con un provvedimento di respingimento differito e l’intimazione a lasciare l’Italia entro sette giorni e, di fatto, condannati ad una condizione di irregolarità non avendo neanche la reale possibilità di eseguire l’eventuale allontanamento dall’Italia”75.

Anzi tutto occorre ricordare che, in ogni caso, una persona che faccia ingresso irregolarmente nel territorio dello Stato ma che manifesti la volontà di presentare domanda di asilo non può essere destinataria di un provvedimento di respingimen-

73 Si vedano, ad esempio, le denunce della Caritas Agrigento, http: //www.caritasagrigento.it/migranti-abbandonati/(25.01.2016) e di Borderline Sicilia Onlus, http: //siciliamigranti.blogspot.it/2015/12/hotspot-in-sicilia-la-macchina-dei.html.74 Si veda, Borderline Sicilia Onlus, Hotspot e respingimenti differiti: il modello Lampedusa (30.12.2015), http: //www.meltingpot.org/Hotspot-e-respingimenti-differiti-il-modello-Lampedu-sa.html; Oxfam, ibid, p. 29. 75 ASGI, Il diritto negato: dalle stragi in mare agli hotspot (22.01.2016), p. 2, www.asgi.it/notizia/asilo-diritto-negato-stragi-mare-hotspot/

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to76. Anche nel caso in cui la persona manifesti tale volontà dopo aver ricevuto un provvedimento di respingimento, ha comunque diritto di accedere alla procedura e di rimanere sul territorio dello Stato fino a che la decisione sulla sua domanda non passi in giudicato77. Il Questore è tenuto a revocare sia il provvedimento, che cessa di avere efficacia in caso di applicazione delle norme sul diritto di asilo78, che l’ordine di lasciare il territorio nazionale entro il termine di sette giorni79.

In molti dei casi denunciati dalle associazioni sul territorio, ai migranti è stato immediatamente notificato un decreto di respingimento senza aver avuto la possibilità di manifestare la propria volontà di domandare asilo. In altri casi, tale volontà è stata manifestata ma è stata ignorata dalle forze di Polizia. Nella quasi totalità dei casi, i migranti appartenevano a una delle nazionalità che non possono accedere al piano di ricollocamento perché non in clear need of pro-tection. Una prassi, questa, confermata dallo stesso prefetto Alessandro Pansa che, durante la sua audizione alla Camera dei Deputati nel gennaio 201680, ha ammesso che nelle fasi più concitate della procedura hotspot possono essere stati emanati provvedimenti di respingimento senza che i migranti siano stati messi in condizione di esercitare il loro diritto alla protezione internazionale. Il fenomeno è così diffuso che, a gennaio 2016, una Circolare “urgente” del Ministero dell’Interno ha dovuto ribadire ai Prefetti e alle Questure le garanzie previste dalla legge a tutela del diritto all’informazione dei migranti e del diritto a presentare domanda di asilo indipendentemente dal momento in cui questa sia presentata o dalla nazionalità del richiedente81.

Selezionare i migranti tra richiedenti asilo e migranti economici, irregolari e da respingere, sulla base della mera nazionalità dichiarata allo sbarco si configu-ra come una gravissima violazione del diritto di asilo che consente a chiunque, indipendentemente dalla propria nazionalità, di avere accesso alla procedura per l’esame della propria domanda da parte delle competenti Commissioni Territo-riali per il riconoscimento della protezione internazionale.

Distinguere tra richiedenti asilo e migranti economici sulla sola base del paese di origine dei migranti, oltre a violare il diritto di accesso alla procedura, rappresenta anche una violazione del divieto di respingimenti collettivi, sancito dall’articolo 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uo-76 T.U. n. 286/1998, art. 10(4) e art. 19(1). 77 D.lgs. n. 25/2008, art. 7.78 T. U. n. 286/1998, art. 10 (4).79 T.U. n. 286/1998, art. 14 (5-bis).80 Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione ed espulsione, ibid.81 Ministero dell’Interno, Circolare urgente: Accesso alle procedure d’asilo. Garanzie e modalità, (20.01.2016).

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mo. La Corte di Strasburgo82, proprio in riferimento a respingimenti disposti dal Questore di Agrigento nel settembre 2011 nei confronti di migranti di nazionali-tà tunisina soccorsi e condotti nel Cpsa di Lampedusa, ha affermato che il divie-to di espulsioni collettive è violato ogni qualvolta decreti di respingimento siano disposti nei confronti di stranieri della medesima nazionalità che si trovino in analoghe circostanze e non contengano alcun riferimento alla situazione perso-nale degli interessati ovvero non si possa provare che i colloqui individuali sulla situazione specifica di ogni straniero si siano svolti prima dell’adozione di questi decreti, ovvero allorché gli accordi bilaterali con i loro Stati di provenienza non sono stati resi pubblici e prevedano il rimpatrio dei migranti irregolari tramite procedure semplificate, sulla base della semplice identificazione della persona interessata da parte delle autorità consolari.

Quindi, i respingimenti effettuati nei mesi passati nell’ambito della proce-dura hotspot, rischiano di essere illegittimi non solo perché collettivi, attuati nei confronti di migranti provenienti dagli stessi paesi di origine, e perché disposti senza aver garantito al migrante il diritto di ricevere un’informativa legale e di avere avuto effettivo accesso alla procedura ma anche perché redatti in forma standardizzata, praticamente identici tra loro, senza alcun riferimento alla situa-zione individuale del soggetto e basati su interviste e presunte dichiarazioni di cui l’interessato non riceve copia83.

Tra le cause che rendono illegittimi i provvedimenti di espulsione annove-rate dalla sentenza CEDU, vi è anche l’eventualità che tali provvedimenti siano adottati alla luce di accordi bilaterali con i paesi di origine che prevedano il rimpatrio dei migranti irregolari tramite procedure semplificate. A tal proposito è allarmante che nella Roadmap italiana si affermi che il Ministero dell’Interno stia cercando di stipulare Accordi veloci con alcuni paesi84 per agevolare i rimpa-tri forzati. Tra essi vi sono paesi dai quali provengono gran parte dei richiedenti asilo che giungono in Italia, i quali hanno comunque diritto ad accedere alla procedura per l’esame della domanda e eventualmente, a rivolgersi all’Autorità giudiziaria in caso di esito negativo.

Per concludere questa disamina degli hotspot, riteniamo utile aggiungere alle considerazioni svolte nel capitolo precedente alcuni stralci del rapporto re-

82 CEDU, causa n. 16483/12, Khlaifia e altri c. Italia (01.09.2015).83 ASGI, Il diritto negato: dalle stragi in mare agli hotspot, ibid, p. 4.84 Nel Progress Report on the Implementation of the hotspot in Italy, del 15.12.2015, la Commis-sione Europea afferma che “The Italian authorities concluded in the past bilateral operational agreements with Egypt and Tunisia where 48 hour return procedures are in place. Italy is currently working towards simi-lar agreements until the end of 2015 with certain key Sub Saharan countries (Senegal, Nigeria, Ivory Coast)”.

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datto dopo la visita agli hotspot di Trapani e Lampedusa scritto dall’avvocato Alessandra Ballerini al seguito della Parlamentare Europea Elly Schlein85.

Trapani: Al momento della nostra visita i profughi presenti sono 180. La capienza, da quando la struttura ha cambiato destinazione, è di 400 posti, ma fino a dicembre, quando era adibita a Cie, era di 204. Ora, in casi di emergenza le persone presenti nel centro arrivano fino a 700. Quando siamo entrate stava-no dimettendo circa 70 persone destinate al Lazio, ma contemporaneamente ne stavano arrivando 378 provenienti da un’imbarcazione di salvataggio di Emer-gency in arrivo al porto di Trapani.

Permanenza media: La permanenza media è di 5 giorni, ci dicono, che pos-sono arrivare ad un massimo di 13 quando è difficile trovare posto negli hub regionali. Il centro è chiuso e chiediamo se i profughi possono uscire; ci rispon-dono che, teoricamente, se fanno domanda possono uscire, ma fuori c’è il nulla e non ci sono navette, e i trasferimenti verso altre strutture del territorio sono repentini, quindi di fatto non esce nessuno. (…)

minori e donneQui vengono spesso trattenuti interi nuclei familiari con bambini piccoli (an-

che neonati). I minori stranieri non accompagnati (Msna) sono numerosissimi (ci dicono oltre al 30%), e spesso anche molto piccoli (anche 10 anni o meno). È cresciuta anche la presenza femminile, specie di giovani donne nigeriane.

Kit all’arrivo: All’ingresso viene distribuito un borsone con il kit conte-nente: 3 schede telefoniche da 5 euro (insufficienti per i tempi di permanenza prolungati che si verificano), 2 lenzuola di carta, 1 federa monouso, 1 pettine, 3 asciugamani, 4 calze, un paio di ciabatte, un pigiama, un rotolo di carta igieni-ca, 4 mini doccia shampoo, un paio di scarpe, 4 slip, un set dentifricio e spaz-zolino, 4 magliette, 2 tute; per le donne sono previsti anche un reggiseno e un pacco di assorbenti. Non sono ancora stati installati i telefoni pubblici quindi i profughi utilizzano i cellulari (quando ne sono in possesso), oppure un telefono messo a disposizione dell’ente gestore.

Procedure: Appena fanno ingresso nell’hotspot i profughi vengono sottopo-sti ad una preidentificazione, attraverso la compilazione del cd. foglio notizie, viene data loro una prima informativa giuridica, vengono sottoporti a screening sanitario (ulteriore rispetto a quello effettuato al momento dello sbarco) e poi viene distribuito loro il kit di accoglienza e assegnato il settore del dormito-rio. Solo il giorno dopo vengono sottoposti all’identificazione vera e propria, con fotosegnalamento e impronte, alla presenza della polizia e del personale di

85 http://www.lasciatecientrare.it/j25/italia/news-italia/225-report-delle-visite-agli-hotspot-di-tra-pani-e-lampedusa

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Frontex ed Easo. Per quanto riguarda i minori non accompagnati, quando vi è un dubbio sull’età, vengono sottoposti ai raggi del polso in ospedale. (…)

Vulnerabilità: Le psicologhe raccontano che quasi tutti i profughi sono evi-dentemente vittime di traumi, torture e violenze sessuali (anche e soprattutto durante i periodi di prigionia in Libia). Nei casi di vulnerabilità più accentuate viene redatta una relazione che viene consegnata al diretto interessato insieme alla sua cartella clinica, al momento dell’uscita. Per quanto riguarda le patolo-gie, quelle riscontrate maggiormente sono scabbia e varicella.

Strutture: La struttura è composta dagli uffici amministrativi, di polizia e dagli ambulatori, dai numerosi dormitori (12 letti, 3 docce e WC in ciascuno), e da una grande sala mensa (120 posti) all’interno della quale vi è una piccola stanza adibita a moschea ed una ludoteca. Adiacenti all’hotspot sono anche gli uffici della Commissione territoriale di Trapani, cui accedono altri profughi già in accoglienza presso altre strutture. Per chi si trova all’interno dell’hotspot, infatti, non è possibile compilare il modulo C3 per formalizzare la domanda di protezione internazionale, bensì solo manifestare la generica volontà di chie-dere asilo. Tale manifestazione, se puntualmente registrata, dovrebbe evitare i respingimenti differiti ai quali sono invece sottoposti i migranti ritenuti non richiedenti asilo. In questo caso verranno colpiti da un decreto di respingimento differito e successivamente, se c’è disponibilità di posti, trattenuti nei Cie per poi essere espulsi. Ma nella più parte dei casi ci si trova di fronte all’indisponi-bilità di posti nei Cie, e i migranti riceveranno il decreto con ordine di lasciare il territorio entro 7 giorni via Fiumicino. Il funzionario di polizia confermava che, in virtù degli accordi di riammissione stipulati dall’Italia con Tunisia ed Egitto, avvengono spesso respingimenti verso questi due paesi.

Al Porto di Trapani abbiamo assistito allo sbarco di 378 persone, alla pre-senza degli operatori di: Croce Rosse Italiana, Protezione civile regionale e comunale, Save the Children, UNHCR, Frontex, EASO, medici ospedalieri e ASP, polizia. Le organizzazioni presenti sembrano rodate nelle procedure, e pa-iono muoversi a sistema, quindi tutto avviene in un contesto ben coordinato: appena attracca la nave sale un medico per verificare se ci sono casi gravi da portare in cura subito, poi le persone cominciano a scendere, vengono date loro delle scarpe, acqua e un panino, e si siedono all’ombra dei tendoni nell’attesa dei controlli sanitari, prima di essere trasportati nell’hotspot. Le procedure di sbarco, dopo averne fatte centinaia, diventano quasi meccaniche, senz’altro agli occhi esterni un po’ asettiche.

hotspot lampedusa 21/7/2016 Presenze: Al momento della nostra visita nell’hotspot si trova un numero

relativamente basso di persone, almeno rispetto ai numeri abituali di presenze. I

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profughi trattenuti sono 350, tra cui una ventina di donne, alcuni nuclei familiari con 6 bimbi piccoli, e una decina di minori stranieri non accompagnati (Msna).

Strutture: I padiglioni dentro il cosiddetto “gabbio” (ovvero la parte inter-na del centro) sono composti da 7 stanze da 12 letti, ma in alcune stanze i letti sono a castello, quindi diventano 24, o addirittura 36 se viene estratto il mate-rassino che si trova sotto il letto più basso. Le docce per tutte e sette le stanze sono 8, mentre i wc sono 12 (alla turca e in condizioni pessime). Nel settore dei minori stranieri non accompagnati (che a volte sono molto numerosi e raggiun-gono percentuali anche superiori al 30% delle presenze) le docce non sono state neppure previste e i wc sono inagibili da mesi. Nel settore donne / nuclei fami-liari con minori sono presenti 6 stanze da 6 letti (che possono diventare anche il doppio). Non esiste una mensa, quindi i profughi devono consumare i propri pasti a letto oppure all’aperto. I padiglioni sono strutture prefabbricate, in cat-tive condizioni quando non fatiscenti, non sono isolati termicamente e manca un sistema di ventilazione adeguato; caldissime e soffocanti in estate, gelide in inverno. Manca un servizio di pulizia adeguato ma anche interventi di mera manutenzione della struttura.

Area per le persone affette da scabbia: Sopra gli uffici amministrativi e l’infermeria è ubicato uno stanzone adibito ai profughi affetti da scabbia e da altre patologie. Solo dopo molte insistenze siamo riuscite a visitare quest’area, particolarmente calda e maleodorante. I gabinetti erano particolarmente spor-chi tanto da apparire inagibili. In quel momento era presente un solo trattenu-to, disteso su uno dei tanti materassini di gommapiuma sistemati uno accanto agli altri, per lo più sprovvisti di lenzuola. Altri profughi, considerati “infetti” stavano per essere trasferiti in quella stanza dove - ci dicono e non si fa fatica a credere - i materassi non vengono mai sostituiti, ed essendo patologie che si trasmettono tramite contatto, i rischi di implicazioni sanitarie sono facilmente immaginabili.

Tempi di permanenza: Tra i profughi ci sono persone rinchiuse da quasi un mese (al momento della visita ci dicono che le persone presenti nel centro da più tempo sono lì dal 29 giugno) ma gli operatori ci raccontano che è capitato di assistere a trattenimenti protratti fino a tre mesi e mezzo. (…)

Medici: Il personale medico dell’ente gestore del centro (la Confederazione nazionale delle misericordie d’Italia) è composto da un medico ed un infermiere operativi h24 con turni di una o due settimane consecutive. Vale a dire che do-vrebbero lavorare per 24 ore al giorno, senza sosta, per 14 giorni consecutivi e senza alcuna turnazione (considerando che spesso gli sbarchi avvengono in piena notte). Una violazione dei loro più elementari diritti di lavoratori e degli speculari diritti dei profughi di farsi curare da personale vigile e adeguatamen-

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te riposato. Sono presenti due psicologi della cooperativa per 6 ore al giorno. Inoltre, sono presenti anche medici e operatori dell’Inmp (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà): un infettivologo, un dermatologo, una pediatra, uno psicologo e un mediatore.

Sbarco: Il mattino dopo verso le 6.30 assistiamo allo sbarco di 126 persone al molo, in presenza dell’ente gestore, delle autorità di Polizia e Guardia di Fi-nanza, di una decina di agenti Frontex (che però durante lo sbarco non pare svol-gano alcun ruolo), di operatori EASO, di un’ambulanza e un medico. Noi siamo poco più in là, con gli straordinari volontari del Forum Lampedusa Solidale, che nella fretta con cui sono gestite le operazioni riescono comunque ad offrire un tè caldo, coperte termiche, merendine e pupazzetti per bambini. Ed è incredibile quanta differenza faccia per persone che scendono stremate, ustionate dalla ben-zina, traumatizzate dal viaggio, un sorriso ed un po’ di calore umano. Quello di questi volontari è il volto migliore che possiamo offrire a chi arriva.

In seguito, torniamo all’hotspot per concludere la visita. (…) Ci viene con-fermato che ancora oggi, nonostante la presenza nel centro di personale di poli-zia dell’Ufficio immigrazione, non è possibile formalizzare la domanda di asilo tramite il modulo C3 direttamente nell’Hotspot, e quindi è impossibile per il richiedente asilo avere in mano una prova certa della sua manifestazione di vo-lontà di richiedere protezione internazionale. Questa mancanza può comportare che il richiedente, una volta trasferito altrove, non venga riconosciuto come tale e venga colpito da decreto di respingimento cd. differito, che gli impone di allon-tanarsi dal territorio dello Stato entro 7 gg coi suoi propri mezzi. Mentre parlia-mo con gli operatori delle ONG, si svolge la preidentificazione dei profughi (con foto e assegnazione di un codice) e ancora non è iniziata l’identificazione vera e propria (con rilievi fotodattiloscopici), eppure lo sbarco era avvenuto 4 ore prima e le persone interessate erano solo 126. Durante questa procedura viene fatto firmare dai nuovi giunti, ancora in stato confusionale post approdo, senza che sia stata ancora fornita loro alcuna infomativa sui propri diritti, il cosiddet-to “foglio notizie”, sul quale viene indicato, insieme alle generalità, il motivo del viaggio in Italia. Se mal compilato, questo modulo prestampato a risposta multipla può implicare che si venga qualificati come “migranti economici”, ri-tenuti indegni di protezione e come tali immediatamente espellibili.

Easo e Frontex: All’interno dell’hotspot sono presenti anche 5 operatori di Easo (che si occupano dell’informativa sulle possibilità di ricollocamento, con l’ausilio dell’UNHCR) e 24 di Frontex, che si occupano, a quanto ci dice il team leader, di aiutare a prendere le impronte e di raccogliere informazioni sulle reti di trafficanti.

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Kit all’arrivo: Ai trattenuti viene erogato un kit allo sbarco che ci dicono essere spesso insufficiente ed inadeguato, specie per i tempi di permanenza lunghi che si verificano (i profughi rinchiusi da circa un mese pare non abbiano ancora ricevuto un nuovo kit). Inoltre, non esiste un sistema di lavanderia e dunque è impossibile lavare la biancheria o gli abiti. Apprendiamo dalla visita effettuata dalla Commissione parlamentare che da circa un mese viene sospesa l’erogazione dell’acqua (peraltro salata) per molte ore e senza preavviso. Il pocket money (pari a euro 2,50 al giorno) spesso non viene erogato ed al suo posto l’ente gestore fornisce un pacco di biscotti dal valore commerciale di soli 44 centesimi. A volte i profughi preferiscono cumulare i pocket money e barattarli con sigarette o con schede telefoniche, poiché le tre schede telefoniche da 5 euro distribuite dall’ente gestore solo all’arrivo non bastano quando la permanenza si allunga. Peraltro abbiamo potuto constatare, assistendo alla distribuzione dei kit e delle schede telefoniche, che nessuna informativa veniva fornita ai profughi i quali si trovano costretti a firmare una ricevuta di consegna illeggibile e a tenere tra le mani un foglietto con un numero telefonico e un codice che servirebbe per fare le telefonate dalla cabina, ma senza avere idea su come si usi, tanto da chiederlo a noi.

Minori: Ulteriori criticità si riscontrano sul fronte dei minori, questi infatti rimangono nel centro illegittimamente (dovrebbero essere destinati immedia-tamente a strutture dedicate) e in condizioni di promiscuità con gli adulti, per tempi medi di 25 giorni. Accade spesso, quando si tratta di minori non bambini e vi sia un dubbio sulla minore età, che gli stessi vengano sottoposti all’esame a raggi del polso presso l’ambulatorio dell’Isola, seppure tale esame sia notoria-mente desueto, invasivo e abbia un alto margine di errore. Ed infatti può capita-re che minori considerati tali anche da referto della pediatra e della psicologa, vengano comunque, all’esito dell’esame radiologico, certificati come maggio-renni. In questi casi dubbi dovrebbe prevalere la presunzione di minore età.

Conclusioni: Appare evidente complessivamente come l’ente gestore non garantisca affatto tutti i servizi previsti nel capitolato d’appalto e nelle speci-fiche tecniche integrative al capitolato pubblicate dalla prefettura di Agrigen-to. Peraltro, nonostante la relazione sulle condizioni del centro presentata al Ministero dell’Interno dalle organizzazioni umanitarie presenti dentro il centro (UNHCR e OIM) descrivesse già a gennaio le condizioni degradanti constatate, non risulta che siano stati effettuati controlli di sorta dal Ministero o dalla Pre-fettura sulla reale erogazione di beni e servizi (…).

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copia di foglio notizie, riportato nel rapporto oxfam “Il diritto negato”, pp. 20-21

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copia di foglio notizie, riportato nel rapporto oxfam “Il diritto negato”, pp. 20-21

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le strutture di prima accoglienza: dai cda e cara agli hub regionali

Dopo le strutture del primo soccorso e assistenza comincia il circuito dell’accoglienza vera e propria, articolata in due fasi distinte: la prima e la se-conda accoglienza. Stando all’art. 9 del D.lgs. 142/2015, come già riportato, i “Centri governativi di prima accoglienza” verranno sostituiti dai cosiddetti hub istituiti dallo stesso articolo.

Come scrive il sito l’Altro diritto86: “Si tratta di strutture la cui identità ri-sulta ancora un’incognita”, la cui funzione sarebbe quella di “colmare quel di-slocamento esistente tra il primo e il secondo sistema di accoglienza, creando un collegamento più strutturale al fine di evitare dispersioni sul territorio”87.

Da questo stesso sito traiamo i seguenti elementi di descrizioneLa fisionomia degli hub è quella di centri gestiti dagli Enti locali, aventi la

funzione di predisporre una prima forma di accoglienza agli stranieri che siano già stati sottoposti alle procedure di foto segnalamento e primo screening sa-nitario, e che abbiano espresso, nella fase di primo intervento, la volontà di chiedere protezione. La permanenza all’interno del centro è limitata ai tempi di espletamento della domanda di protezione internazionale e alla decisione della stessa da parte della Commissione territoriale. Una volta conclusa la procedura prevista per l’esame della domanda, si procede all’individuazione della «mi-gliore collocazione possibile nello Sprar88.

Si tratta quindi di strutture che dovranno essere distribuite in ciascuna regio-ne, con capienza stimata tra i 100 e i 250 posti e il cui obiettivo “nell’ottica di riorganizzazione del sistema nazionale dell’accoglienza” sarà quello di sostituire gradualmente l’intero sistema attuale dei Cara.

Infine, lo stesso sito descrive i centri di accoglienza (Cda), istituiti nel lontano 1995 dalla cosiddetta “Legge Puglia”, nei termini seguenti: “Si tratta di strutture ideate al fine di rispondere alle emergenze degli sbarchi dei profughi provenienti dall’ex Jugoslavia. Sono i primi centri creati dal governo ed accolgono i migranti

86 http: //www.altrodiritto.unifi.it87 Soran Amhad, responsabile del settore Cara-Servizio centrale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), Hub e sistema di accoglienza, Percorsi di Cittadinanza, luglio 2014.88 Piano operativo nazionale per fronteggiare il flusso di cittadini di Stati terzi, siglato dal Mini-stero dell’Interno, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Regioni e Province Autonome Di Trento e Bolzano, ANCI, UPI, Accordo Piano Nazionale Accoglienza, Roma 2014.

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appena giunti sul territorio indipendentemente dal loro status giuridico”. Nella descrizione che ne dà il Ministero dell’Interno, i Cda “garantiscono

prima accoglienza allo straniero rintracciato sul territorio nazionale per il tempo necessario alla sua identificazione e all’accertamento sulla regolarità della sua permanenza in Italia89”.

E, fa notare sempre lo stesso sito: “come per i Cpsa, anche per i Cda la legge non fissava i termini né le modalità di accoglienza, limitandosi a stabilire che le operazioni di primo soccorso e accoglienza debbono realizzarsi nel “tempo strettamente necessario” a permettere l’adozione dei provvedimenti”.

Per quanto apparentemente sovrapponibili, e per quanto spesso “si tende ad utilizzare i termini Cda e Cpsa come fossero indicativi di una medesima struttura di accoglienza, causa la mancanza di norme regolatrici”, opportunamente Altro diritto fa notare che nello Schema di Capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza per immigrati, i Cpsa sono definiti “strutture localizzate in prossimità dei luoghi di sbarco destinate all’accoglienza degli immigrati per il tempo strettamente occorrente al loro trasferimento presso altri centri (indicati-vamente 24/48 ore)”; e i Cda “strutture destinate all’accoglienza degli immigrati per il periodo necessario alla definizione dei provvedimenti amministrativi rela-tivi alla posizione degli stessi sul territorio nazionale (Legge 29 dicembre 1995 n. 563 - Legge Puglia).

Infine, per terminare questa lunga, ma efficacissima citazione dal sito Altro diritto, i Cara, che descriveremo ampiamente nelle prossime pagine, ma di cui abbiamo in poche righe la struttura e la determinazione legislativa nei termini seguenti:

Compongono il sistema di accoglienza ancora operativo i Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati). Si tratta di centri istituiti con DPR 303/2004, poi confluiti nel d.lgs. 25/2008, ex art. 20, comma 2 (abrogato dall’attuale d.lgs. 142/2015) e che hanno rappresentano di fatto gli unici cen-tri organicamente inseriti nel sistema ricettivo per richiedenti asilo e rifugiati, costituendone in passato, sia per la capacità ricettiva sia per il ruolo, uno dei pilastri. Nati dall’esperienza dei Cid (Centri di identificazione)90, la loro funzio-ne era quella di consentire l’identificazione del soggetto e di fornire accoglienza durante la procedura per il riconoscimento dello status. La disposizione all’art.

89 Definizione reperibile nella sezione dedicata a “I centri dell’immigrazione” sul sito ufficiale del Ministero dell’Interno.90 Si tratta di centri frutto dell’esperienza della l. Bossi-Fini, istituiti al fine di trattenere i richiedenti asilo entrati in Italia irregolarmente, o che al momento della presentazione della domanda di asilo versavano in una condizione di soggiorno irregolare o destinatari di un provvedimento di espulsio-ne o respingimento precedente alla loro richiesta di protezione.

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20, d.lgs. 25/2008 (mantenuta pressoché identica nell’attuale disposizione ex art. 10, comma 2, d.lgs. 142/2015) prevede il diritto del richiedente all’uscita nelle ore diurne senza la richiesta di una previa autorizzazione; era previsto l’obbligo per il richiedente di chiedere al Prefetto territorialmente competente l’autorizzazione all’allontanamento temporaneo, in tutti i casi in cui l’allonta-namento avesse avuto una durata superiore a quella prevista ex lege.

L’invio ai Cara era previsto per il tempo strettamente necessario al comple-tamento delle procedure di identificazione (il cui limite massimo era fissato a 20 giorni, e che in ogni caso si esauriva prima dell’esame di merito della doman-da), scaduto il quale al richiedente era rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo valido tre mesi (oggi la validità del permesso ha durata seme-strale, come precisato ex art. 4, d.lgs. 142/2015) rinnovabile fino alla decisione sulla domanda o comunque “per il tempo in cui è autorizzato a rimanere sul territorio nazionale ai sensi dell’art. 19, comma 4-5 del d.lgs. 150/2011, come stabilito ex art. 4, comma 1, d.lgs. 142/2015)91.

I cara/cpsa di cagliari elmas e bari paleseIl centro di Cagliari Elmas visitato a più riprese da LasciateCIEntrare è un

centro polifunzionale Cpsa /Cara che di fatto ha funzionato solo come Cara e che pertanto descriviamo in questo capitolo unitamente al Cara di Bari Palese, facendo riferimento alle visite effettuate dalla campagna LasciatCIEntrare del 21 febbraio 2015 e del 28 agosto 2015 a Cagliari e dell’8 aprile a Bari92).

Entrambe le strutture sono collocate in parti dei rispettivi aeroporti di Elmas e Palese.

Il Cara di Elmas è un’unica struttura “vecchia e fredda” caratterizzata dal “crollo di intonaco da alcune pareti, buchi nei muri, panni stesi ovunque” (Acco-gliere la vera emergenza, p. 70).

I migranti sono ospitati in camerate di 12 posti ciascuna, non ci sono porte nelle camere; la privacy è garantita da teli e/o coperte appesi in modo provviso-rio. (...) Non ci è stato possibile vedere i locali sanitari, ma in seguito ai colloqui intercorsi, è lo stesso staff dell’ente gestore ad affermare che le toilette e i bagni sono vecchi, spesso intasati, e alcuni inutilizzabili. L’acqua calda viene erogata tre volte al giorno (mattina, ora di pranzo e sera, per più ore) attraverso scalda-bagni obsoleti. Il volume dell’acqua calda pare non essere sufficiente per sod-disfare le necessità di tutti gli ospiti (Accogliere la vera emergenza, pp. 70-71).

Gli operatori si mettono a disposizione per rispondere alle nostre domande. 91 http: //www.altrodiritto.unifi.it92 Campagna LasciateCIEntrare, Accogliere la vera emergenza, http://www.lasciatecientrare.it/j25/italia/news-italia/193

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Parliamo con un paio di collaboratori (uno dei quali gestisce anche il magaz-zino), due psicologi e un mediatore culturale. Non abbiamo avuto il piacere di conoscere il personale medico (Accogliere la vera emergenza, p. 71).

Al 21 febbraio 2015 sono presenti nel centro 306 richiedenti asilo, di fronte a una capienza totale dell’edificio di 312 persone. Tutti gli ospiti sono di sesso maschile e non sono presenti minori. All’arrivo, i migranti sono registrati ed eventualmente viene loro ufficializzata la domanda di richiesta d’asilo. L’iter della richiesta di asilo si conclude con un colloquio con la Commissione Cen-trale per il riconoscimento dello status di rifugiato, che avviene con la presenza di un interprete e di un solo membro della Commissione, sempre all’interno del Cara.

I migranti hanno a disposizione un servizio sanitario 24h su 24h. L’infer-meria è gestita da un paramedico e un medico è sempre presente all’interno del centro. Le visite specialistiche ed eventuali ricoveri vengono effettuati nel-le strutture sanitarie cittadine, con accompagnamento da parte degli operatori stessi. Ci dicono che in genere i migranti godono di buona salute e attualmente non sono presenti casi di tossicodipendenza e non sono stati registrati casi di suicidio durante l’attuale gestione. Per ciò che concerne le attività diverse, lo staff comprende anche un’insegnante per la lingua italiana, per diversi livelli, dal lunedì al giovedì; mentre il venerdì è riservato alla preparazione per l’esame di licenza media per coloro che ambiscono a un titolo di studio (Accogliere la vera emergenza, p. 72).

Come previsto dalle norme vigenti, il richiedente asilo ha diritto a un po-cket money giornaliero del valore di euro 2,50. La somma non viene erogata in contanti in base alle disposizioni generali previste dal Ministero dell’Interno, ci dicono, bensì come buono di acquisto da consumarsi allo spaccio all’interno del centro.

I richiedenti asilo sono liberi di uscire dal centro, quotidianamente e per più volte al giorno, un servizio navetta infatti è a disposizione per il trasporto dal centro al capoluogo e viceversa.

È in fase di sviluppo una convenzione con l’Università di Cagliari e la Asl n. 8, al fine di rispondere efficacemente alle esigenze sanitarie e psicologiche particolari degli utenti del centro.

All’interno del servizio psicologico presente nel centro, su richiesta degli ospiti, si organizzano corsi di musica etnica (Accogliere la vera emergenza, p. 73).

Il 28 agosto 2015 LasciateCIEntrare è nuovamente autorizzato all’ingresso nel Cara di Elmas.

Ci sono 140 persone, tra questi 17 minori stranieri non accompagnati (Msna) .

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Una parte della struttura è adibita anche a Cpsa ma in questo momento nessuno è presente.

Fuori dalla recinzione sono presenti carabinieri e polizia. Anche all’inter-no, all’ingresso, è presente una postazione di guardia dei carabinieri. Mentre una parte del piano terra della struttura è adibita ad uffici di polizia: uno destinato all’identificazione, anche Eurodac, ed un altro ufficio per la compilazione dei moduli C3.

Non sono presenti attualmente uffici né personale di FRONTEX o di altra polizia europea (...). Nel Cpsa di solito sono ospitati/trattenuti i profughi che arrivano direttamente in Sardegna a bordo di piccole imbarcazioni per lo più provenienti dall’Algeria e che di solito restano nel Cpsa circa una settimana in attesa di essere trasferiti nei Cie per l’espulsione (o forme il respingimento differito). Dal Cpsa pare nessuno sia ma stato espulso o respinto direttamente verso il Paese di provenienza.

I minori stranieri non accompagnati (msna) spesso sono di età tra 16 e 17 anni e vengono sottoposti (nonostante questa procedura sia unanimemente con-dannata come obsoleta, fallace e invasiva) all’esame RX del polso (...).

Gli operatori dell’ente gestore non hanno alcun segno di riconoscimento e qualifica (Lo stesso ragazzo con maglietta, pantaloncini e scarpe da tennis, al nostro arrivo puliva in terra e poi due ore dopo preparava la distribuzione dei pasti, in entrambe le operazioni senza guanti).

(...) I profughi pare che non usufruiscano del pasto del pranzo distribuito all’interno del Cara (se non facendoselo mettere da parte e poi recuperandolo la sera insieme con la cena) ma che pranzino alla mensa dei poveri della Caritas.

I pasti sono forniti da una ditta esterna in subappalto alla quale l’ente ge-store paga euro 6,50 al giorno per profugo per i tre pasti (compresa la colazione portata coi thermos) (Accogliere la vera emergenza, p. 75).

Anche i msna escono dal Cara dalla mattina alla sera per recarsi a Caglia-ri. All’interno del Centro tranne alcune partite di Calcio pare non siano previste attività ricreative.

Ai profughi viene consegnato un pocket money equivalente ad un buono di euro 2,50 al giorno spendibili solo all’interno del Cara per l’acquisto dei (po-chi) beni disponibili all’interno del cosiddetto “spaccio”: patatine e bevande gasate, ricariche del cellulare e sigarette.

Nessun denaro contante è a disposizione dei profughi che quindi non hanno soldi da spendere quando si trovano fuori dalla struttura in giro per Cagliari.

All’interno non viene distribuito nessun opuscolo informativo, viene appeso in copia il regolamento e, per chi ne fa richiesta, viene data in visione la guida pratica per i titolari di protezione internazionale predisposta dall’UNHCR e ASGI.

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Le condizioni della struttura sono insane (lampade e cavi pendono in ogni dove, tubi che gocciolano dai soffitti, la balaustra di protezione della rampa del centro ha alcuni pannelli di vetro danneggiati, umidità presente in tutte le pareti.) e decisamente inadeguate ad ospitare anche per tre anni (questi sono i tempi di permanenza per chi ha avuto il rifiuto della Commissione ed è in attesa della decisione del tribunale o della corte di appello) esseri umani (Accogliere la vera emergenza, p. 76).

Un altro Cara è quello di Bari, descritto sempre nello stesso rapporto, in termini non troppo diversi: anche esso è un complesso ospitato all’interno della base dell’Aeronautica, vicino alla vecchia pista dell’aeroporto militare. Lontano dai centri abitati della città.

Il Cara si trova in mezzo al nulla, dopo una spianata su cui gli aerei pren-devano la rincorsa per volare.

Il Cara è organizzato in moduli abitativi prefabbricati disposti attorno ad un grande spiazzo centrale in cemento, dove troviamo il tendone adibito a mo-schea, la chiesa, un paio di campi da calcio. Non esistono aree verdi, se non un’aiuola striminzita.

L’area degli alloggi è composta di 31 blocchi abitativi composti da 4 unità abitative ciascuna di 20mq. Ciascuna unità è composta da 4 stanze di 4mq: 3 camere da letto ed uno spazio per l’ingresso, in alcuni casi usato come cucinino improvvisato o deposito. Il pasto viene consumato negli alloggi. Per stanza ci sono circa 4 persone, in letti a castello, per un totale di 12 persone a “caset-ta”. In ogni casetta ci sono persone appartenenti allo stesso gruppo “etnico”. I servizi igienici sono separati dalle abitazioni (2 per lato del campo). Ci sono mediatori di varie lingue; presente uno staff di psicologi. c’è una scuola per im-parare l’italiano ed una sala computer, l’ambulatorio ed una “sede distaccata della questura”. È presente una palestra attrezzata ed una grande area centrale che funge da mensa e ristoro, dove si trovano biliardini, e televisione. L’ente ge-store ha anche organizzato dei percorsi di formazione per pizzaioli, pasticcieri e giardinieri, con altre associazioni locali (...).

Il Cara potrebbe accogliere 744 persone, ma ve ne sono attualmente circa un migliaio ufficialmente. Tra le donne presenti non ci sono vittime di tratta. Il centro è comunque provvisto di uno staff di psicologi pronto ad intervenire nel caso. Non ci sono stati negli ultimi mesi atti di autolesionismo gravi o tentativi di suicidio. I migranti sono liberi di uscire e molti di loro vanno a cercare lavoro, spesso cadendo nelle mani dello sfruttamento. Lo sanno tutti.

Chiediamo al responsabile dell’Ente ed a quello della struttura se stanno in qualche modo cercando di monitorare la situazione. Ma ci rispondono che sanno ma non è compito loro prevenire o intervenire.

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Nel centro si trova un migrante iracheno agli arresti domiciliari, conside-rato soggetto altamente pericoloso. Lo staff degli psicologi ce lo descrive bre-vemente come pazzo criminale. Lui non è però seguito da nessuno di loro e da nessun altro. È in una stanza chiusa all’interno di un centro di accoglienza lontano da tutto. È un “mostro” di cui hanno tutti paura.

Alcuni migranti nigeriani lamentano le difficoltà legate al diniego, dovute ai soldi da dare agli avvocati per i ricorsi. Soldi che nessuno ha. A differenza delle altre commissioni territoriali, infatti, da sempre, per la commissione di Bari non viene concesso il patrocinio gratuito. Quindi se i richiedenti asilo ascoltati da tutte le Commissioni in Italia possono usufruire del patrocinio gratuito, a Bari, e solo a Bari, non si può.

In una visita precedente dell’11 novembre 2014 diversi migranti afgani dor-mivano da oltre 6 mesi all’addiaccio nel Cara, usando come copertura le tettoie in legno, ed aiutati dai loro compatrioti per le esigenze di tutti i giorni. Non potevano accedere alle visite mediche effettuate nel Cara, perché non avevano la carta del campo. Migranti-fantasma. Avevano fatto richiesta d’asilo in Italia a giugno 2014, ma erano ancora in lista d’attesa per il Cara. Altri addirittura erano in lista d’attesa per poter accedere alla compilazione del modello C3, la procedura di richiesta d’asilo politico, da oltre 4 mesi. La lista dell’attesa. C’erano almeno altre 300 persone tra afghani, irakeni e pakistani nella stesa situazione a Bari, costretti a cercare alloggi di fortuna o a dormire per strade od in case abbandonate, perché non c’era posto.

Non ci sono attualmente nel centro persone che dormano fuori, ce lo con-fermano anche alcuni migranti con cui abbiamo la possibilità di parlare e non incontriamo migranti che ci portino eventuali rimostranze a riguardo. Anche se comunque ci confermano che a Bari sono diversi i migranti che continuano a dormire per strada.

La Prefettura dovrebbe chiedere trasferimenti. Perché non lo fa? Il respon-sabile della Questura ci dice che molti sono dublinati, quindi non hanno diritto”. (Accogliere la vera emergenza, pp. 77-78).

Ma il Cara più noto è quello di Mineo, il più grande d’Italia e d’Europa, quello che più di tutti ha fatto discutere del modello italiano di accoglienza e che più di tutti ha mostrato le sue contraddizioni.

Il cara di mineoIl Cara di Mineo, il più grande centro di prima accoglienza per rifugiati e

richiedenti asilo in Europa, dove si sono concentrati ad un certo punto 4.000 rifugiati e richiedenti asilo, esemplifica bene le contraddizioni del sistema di accoglienza, quando, in condizioni di forte pressione, dovuta a numerosi sbarchi

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in uno stretto margine temporale, si realizza un progetto di ospitalità di massa in una realtà locale, fatta di appena 5.000 abitanti.

Sulle criticità relative all’istituzione del centro, abbiamo la testimonianza del sindaco del Comune di Mineo e presidente del consorzio Calatino Terra d’Accoglienza, che lo gestisce, alla Commissione Parlamentare di inchiesta, che parla delle relazioni non facili tra i suoi concittadini e gli ospiti del Centro:

Noi sindaci abbiamo cercato di creare integrazione, anche se questo di-venta molto difficile quando il numero dei migranti è così alto, ma soprattutto abbiamo cercato di far sì che i nostri cittadini potessero accettare la presenza massiccia di giovani stranieri di colore.

Noi non siamo assolutamente razzisti. Abbiamo cercato di portare avanti questo progetto dell’accoglienza, perché comprendiamo che si tratta di persone disperate, però allo stesso tempo dobbiamo cercare di far capire ai nostri citta-dini la situazione (...). Il nostro operato è stato quello di far sì che non accadesse una rivoluzione, cosa che purtroppo è accaduta l’anno scorso. Come voi sicu-ramente avete appreso dai mass media, ci sono state proteste forti da parte dei migranti, e i paesi vicini al Cara e Mineo in particolare sono stati sequestrati da questi ultimi.

Noi abbiamo condannato i mezzi di protesta, però ne abbiamo riconosciuto il motivo, che era il numero esiguo di Commissioni, che, ahimè, continua a es-sere il problema principale del centro di Mineo. Quando sono stata eletta, c’era soltanto una Commissione a esaminare lo status di rifugiato politico. Questo chiaramente comporta l’eccessivo permanere dei migranti.

Io non faccio assolutamente differenze di colore o di razza, ma ritengo che anche nel miglior villaggio turistico che ci possa essere dopo una settimana ci si stanchi e si voglia ritornare a una vita ordinaria e ad avere un proprio lavoro e una propria casa (...) Abbiamo chiesto la riduzione dei migranti, perché il Patto per la sicurezza ne prevedeva 2.000 e invece sono aumentati. Chiedevamo un aumento delle commissioni, che è avvenuto, ma ancora in una forma molto ridotta(...).

Siamo stati attaccati dai mass media, che hanno detto di tutto e di più a li-vello nazionale. Io mi ritengo un eroe – scusate questa superbia – e invece sono stata trattata veramente come un delinquente e vi assicuro che questa cosa mi fa molto male. Mi sono sentita sola.

Io mi auguro che si possa comprendere veramente il lavoro che abbiamo fatto e di avere un’attenzione seria, che purtroppo non abbiamo potuto ricevere, anche per via della stampa. Io sono nuova alla politica. Come dicevo, sono stata eletta circa un anno e mezzo fa. Non sapevo quanto la stampa potesse accanirsi e distrug-gere l’immagine di persone che fanno il loro dovere, solo per fare uno scoop.

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Hanno mostrato all’Italia una nostra immagine decisamente negativa. Spesso si parla di business a Mineo, ma semmai questo business dovesse esserci, i cittadini di Mineo che colpa ne hanno? Contrariamente a quanto è accaduto a Lampedusa, dove si è sempre parlato di cittadini eroi, che accolgono, a Mineo e al Calatino viene associato sempre il business. Il business ci può essere per alcuni, ma non per il resto dei cittadini di Mineo.

Noi sindaci lo abbiamo fatto totalmente a titolo gratuito e sfido chiunque a dimostrare che io e tutti gli altri sindaci abbiamo potuto avere in compenso qualcosa, se non un’immagine negativa, anche a livello nazionale. L’abbiamo fatto a titolo gratuito, perché credevamo veramente nell’accoglienza93.

Le parole del sindaco inducono a riflettere su quello che è accaduto a Mineo, su cui comunque, lo ricordiamo, è in corso un’inchiesta giudiziaria.

E mentre non abbiamo nulla da dire sugli elementi oggetto dell’indagine e relativi principalmente agli appalti e alle procedure di verifica dei pagamenti da parte dello Stato, riteniamo assai utile l’analisi che la dottoressa Antonella Elisa Castronovo ha fatto del Cara di Mineo nella sua tesi di dottorato e che ha sinte-tizzato per questo capitolo.

Alcune riflessioni preliminariEssendo divenuto dal 2011 uno dei più importanti laboratori nei quali viene

sperimentata la governance italiana dell’immigrazione, il Cara di Mineo (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) costituisce il luogo privilegiato dal quale analizzare le modalità con le quali nelle diverse fasi storiche il governo italiano ha risposto all’arrivo ed alla permanenza di uomini e donne richiedenti protezio-ne internazionale. Se, a partire dallo scoppio della cosiddetta “emergenza Nord Africa”, il centro calatino era stato concepito come spazio di accoglienza tout court con il quale far fronte – dopo una breve pausa di circa due anni – alla ripresa degli sbarchi ed al successivo intensificarsi delle migrazioni forzate ver-so l’Europa; più di recente, esso si è andato configurando come dispositivo di selezione e di “contenimento” della mobilità migratoria, come dimostra la sua prossima trasformazione in hotspot94 ed il ruolo che da ultimo la struttura è stata

93 Audizione della dott.sa Anna Aloisi del 26 maggio 2015 presso la Commissione Parlamentare di Inchiesta94 Per un confronto si rimanda a: Ministero dell’Interno, Piano Accoglienza 2016. Tavolo di Coor-dinamento nazionale, scaricabile al link http: //www.vita.it/attachment/d601c9b0-b314-46ba-b708-d4341546c2d9/. Nel rapporto viene chiarito che “al fine di portare la capacità delle aree hotspot fino a oltre 2500 posti” (Ivi, p. 16), il centro di Mineo – oltre a mantenere il suo ruolo tradizionale di struttura di prima accoglienza con una capacità recettiva pari a duemila unità – verrà destinato entro la fine del 2016 ad una funzione hotspot fino ad una capienza massima di novecentosessanta posti (Ivi, p. 61). Sebbene con procedure ancora non ufficialmente formalizzate, alcuni testimoni

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chiamata a svolgere rispetto alla gestione dei tentativi di fuga messi in atto dai migranti per sottrarsi ai vincoli del Regolamento di Dublino95. Vera e propria “eccezione” italiana dell’accoglienza96, il Cara sito nella piccola cittadina in pro-vincia di Catania rappresenta dunque l’occasione per riflettere criticamente sugli snodi che caratterizzano il sistema nazionale di protezione e sulle sfide poste in essere dalla trasformazione della natura dei movimenti migratori verso il nostro paese.

Partendo da tale quadro, nelle pagine che seguono analizzeremo i percorsi di inserimento sociale dei richiedenti asilo accolti all’interno del centro di Mineo. Lo studio sarà supportato dai risultati più significativi di un’indagine avviata nel mese di settembre 2014 e tuttora in corso97 che ha inteso offrire una lettura analitica tanto delle trasformazioni sociali e politiche generate dalla istituzione della struttura per richiedenti asilo nel piccolo centro urbano di Mineo, quanto dei processi di inserimento dei richiedenti asilo tra le maglie dell’economia in-

qualificati ascoltati nel corso della nostra ricerca hanno evidenziato come il centro di Mineo asse-condi già il ruolo di hotspot, funzionando come struttura all’interno della quale vengono condotti i migranti da identificare subito dopo lo sbarco presso il porto di Catania.95 Alla fine del mese di maggio 2016, in seguito alla chiusura del centro della Croce Rossa ed allo sgombero del campo sul lungofiume, i migranti fermati nelle strade e nella stazione di Ventimiglia sono stati portati in pullman fino a Genova e, da lì, sono stati trasferiti tramite aereo nell’hotspot di Trapani e nel Centro di Mineo. Per un confronto si rimanda a P. Barabino, M. Macor, Cin-quanta migranti rispediti dalla Liguria in Sicilia con l’aereo, in http: //genova.repubblica.it/cro-naca/2016/05/30/news/aeroporto_cristoforo_colombo_cinquanta_migranti_rispediti_in_sicilia_con_l_aereo-140958250/96 Oltre che essere confermata da un riscontro effettivo sui dati relativi alla dimensione fisica ed alla capacità recettiva della struttura del Calatino rispetto agli altri centri di accoglienza presenti nel resto della penisola italiana, il concetto di “eccezionalità” della istituzione e della gestione del Cara di Mineo è stato più volte ribadito anche nel corso delle interviste ai testimoni qualificati ascoltati durante la ricerca, i quali hanno contribuito ad evidenziare come la stessa nascita del centro di acco-glienza per richiedenti asilo più grande d’Europa sia la diretta conseguenza di un approccio ancora oggi emergenziale ai fenomeni migratori.97 In questa sede, le riflessioni sui percorsi di vita e di lavoro dei richiedenti asilo presenti a Mi-neo prenderanno le mosse dall’analisi dei protocolli di quarantanove interviste semistrutturate a testimoni qualificati, così distribuite: dodici interviste a lavoratori di origine straniera occupati nel settore agricolo; nove ad operatori sindacali della Flai-Cgil e della Fai-Cisl; sette ad esponenti di organizzazioni non governative impegnate attivamente nella tutela dei diritti dei migranti; cinque a rappresentanti istituzionali di livello locale (n. 3), regionale (n. 1) e nazionale (n. 1); cinque a gior-nalisti attenti ai temi della migrazione in Sicilia; tre al personale dirigenziale del Centro di Mineo (n. 1 al Direttore, n. 2 alle Vicedirettrici); tre ad operatori sociali occupati all’interno di centri Sprar presenti nell’area calatina; una al presbitero della parrocchia di Caltagirone; una al funzionario del Centro per l’impiego di Caltagirone; infine una rispettivamente ad un imprenditore agricolo, un bracciante ed un piccolo proprietario terriero della zona. A queste saranno aggiunte una intervista di gruppo a quattro braccianti agricoli e ventidue colloqui informali con i richiedenti asilo residenti nel Cara di Mineo, che consentiranno di approfondire le ragioni sottese al ricorso alle pratiche di lavoro irregolare all’interno delle campagne del Calatino e le modalità con le quali esse prendono forma.

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formale del territorio calatino. Scopo precipuo è quello di evidenziare attraverso le evidenze empiriche emerse dal caso studio qui proposto come, a dispetto della distinzione tra “migranti economici” e “profughi” e della “dotazione di diritti” di cui questi ultimi formalmente disporrebbero, neppure i cittadini stranieri inclusi nel circuito della accoglienza siano riusciti a sfuggire al modello di “inclusione differenziale”98 nel tessuto connettivo e nel mercato del lavoro. Più in particola-re, si dimostrerà come in un contesto di crisi generalizzata del welfare pubblico, i richiedenti asilo non siano stati dotati di quegli strumenti culturali e legislati-vi che gli avrebbero consentito di avviare più genuini percorsi di inserimento all’interno delle società ospitanti99. In virtù di tali dinamiche, anche la loro for-za lavoro è stata spesso esposta a “condizioni di ipersfruttamento finanche più gravose rispetto a quelle riscontrabili presso altre categorie di migranti”100, con ricadute spesso assai contraddittorie nelle relazioni con la popolazione locale.

come si costruisce una “emergenza”: note sull’istituzione del cara di mineoCome ha ben messo in luce l’inchiesta Mondo di Mezzo della Procura di

Roma, anche il reception system italiano ha rappresentato un terreno fertile sul quale sono proliferate ambigue relazioni tra il sistema politico, la criminalità organizzata ed il Terzo Settore. Il risultato di questo meccanismo si è tradotto in quello che Maurizio Ambrosini, parafrasando Pierre Bourdieu, ha definito la “doppia mano destra” degli attori istituzionali101: con una mano, essi hanno di-chiarato di voler garantire i diritti umani dei richiedenti asilo, pur nella necessità di gestire il fenomeno migratorio in una situazione di “emergenza”; con la stessa mano, essi hanno esercitato forme di speculazione economica ed elettorale sugli arrivi “non previsti” dei migranti dal Sud del Mediterraneo, fino a configurare vere e proprie “holding dell’accoglienza”102. Il diffondersi nel dibattito pubblico della cosiddetta “retorica dell’abuso” che etichetta i cittadini stranieri come pa-

98 S. Mezzadra, B. Neilson, Borderscape of Differential Inclusion: Subjectivity and Struggles on the Threshold of Justice’s Excess, in É. Balibar, S. Mezzadra, R. Samaddar (eds.), The borders of Justice, Temple University Press, Philadelphia (PA) 2011.99 Per un approfondimento sul tema, tra gli altri, si veda: Medici Senza Frontiere, Fuori campo. Ri-chiedenti asilo e rifugiati in Italia: nsediamenti informali e marginalità sociale, in http: //www.me-dicisenzafrontiere.it/notizie/news/fuori-campo-mappa-dell%E2%80%99accoglienza-che-esclude.100 M. D’Agostino, Governance dei rifugiati e sviluppo locale in Calabria, in C. Colloca, A. Cor-rado (a cura di), Globalizzazione delle campagne. Migranti e società rurali nel Sud Italia, Franco-Angeli, Milano 2013, p. 172.101 M. Ambrosini, Immigrazione irregolare e welfare invisibile. Il lavoro di cura attraverso le frontiere, cit., p. 26.102 L’espressione è stata coniata e utilizzata da Erasmo Palazzotto, deputato nazionale alla Camera e Coordinatore siciliano di SEL (Sinistra Ecologia e Libertà), nel corso di un’intervista raccolta dall’autrice del contributo nel giorno del 12 dicembre 2014.

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rassiti dei paesi riceventi103 può dunque essere compreso meglio se si analizza alla luce di questi recenti accadimenti storici.

Le indagini su Luca Odevaine e sull’organizzazione mafiosa, della qua-le egli, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, è stato complice, hanno già contribuito a rivelare il ruolo cruciale del Cara di Mineo nel raccogliere prima e nello smistare dopo il flusso di richiedenti asilo all’interno del territorio nazio-nale, mettendo in evidenza il nesso tra la gestione emergenziale del fenomeno migratorio e gli interessi economici ad essa sottesi. Ancora forte rimane, tutta-via, l’esigenza di riflettere sugli effetti sociali che questo sistema di governance ha prodotto all’interno e all’esterno della struttura, individuandone le ricadute più significative che esso ha generato sulla vita delle sue vittime principali: i migranti titolari di protezione internazionale. In questa direzione, ci sembra utile risalire ai passaggi cruciali che si sono accompagnati alla istituzione del cen-tro di Mineo, per poi centrare l’attenzione sulle implicazioni che essa ha avuto sull’assetto societario e sull’organizzazione politico-economica del contesto ter-ritoriale calatino.

“dal ‘miricanu al nivuru”: le testimonianze dei soggetti intervistatiIl percorso storico che porta alla nascita del centro per richiedenti asilo più

grande d’Europa all’interno di una piccola realtà agricola della Sicilia orientale ha inizio nel mese di gennaio 2010, quando la Us Navy comunica ufficialmente alla Pizzarotti&Co S.p.A. – impresa edile proprietaria del complesso residenzia-le – la volontà di non rinnovare il contratto che la aveva vincolata per dieci anni alla locazione della struttura pensata e costruita appositamente per i marines americani di stanza nella Naval Air Station di Sigonella. A partire da questo mo-mento, la presenza del Residence degli Aranci – che era stata mantenuta in una condizione di invisibilità sociale quando gli abitanti erano i cittadini statunitensi – comincia a divenire scomodamente visibile ed ingombrante.

Con la conclusione della esperienza a stelle e strisce, la preoccupazione principale è quella di trovare nuovi acquirenti disposti ad acquistare o ad oc-cupare a vario titolo le quattrocentoquattro unità abitative presenti all’interno dell’area. L’obiettivo della ditta parmense Pizzarotti è quello di promuovere un progetto di riconversione dello spazio residenziale, allo scopo di individuare al-tre fonti di finanziamento in grado di mettere a frutto le cospicue somme di de-naro private, ma anche pubbliche, investite sul fondo immobiliare. Accantonata la proposta di realizzare un “nucleo sociale polifunzionale” in virtù del quale

103 L. Schuster, Dublino II ed Eurodoc: esame delle conseguenze (in)attese, in «Mondi Migranti», n. 3, 2009, pp. 29-35.

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destinare l’intera struttura ad un programma di “edilizia residenziale locativa a canone calmierato”104, le rivoluzioni arabe ed il consequenziale incremento degli arrivi dei migranti sulle coste siciliane offrono alla impresa edile, fin dai primi mesi del 2011, una soluzione ben più veloce e redditizia, sull’onda della “emer-genza immigrazione”: quella di trasformare il Residence degli Aranci nel Villag-gio della Solidarietà. È così che l’ex residenza per i soldati americani inizia ad assumere la funzione di Cara, configurandosi come uno dei più importanti centri con i quali viene “contenuta” e fronteggiata la ripresa dei movimenti migratori dal Nord Africa dopo la breve pausa durata circa due anni. Le testimonianze di alcuni informatori qualificati contattati nel corso dell’indagine hanno contribuito a chiarire con maggiore dettaglio analitico questo passaggio, mettendo ben in evidenza come la spettacolarizzazione politico-mediatica degli sbarchi dei citta-dini tunisini ed il malcontento generalizzato seguito all’“invasione” dell’isola di Lampedusa siano intimamente legate all’istituzione del Cara di Mineo, che ha trovato la sua ragion d’essere proprio nella necessità del governo nazionale di mostrare all’opinione pubblica la capacità di intervenire tempestivamente con una strategia in grado di far fronte ad una nuova fase dell’immigrazione, definita da alcuni quotidiani di “esodo biblico”105:

Lì ha giocato un ruolo centrale la santa “emergenza”. C’è stata una pri-ma gestione emergenziale che è durata sei mesi: Maroni insieme al Prefetto ha stabilito che per emergenza si dovesse costituire questo centro. Poi la fandonia quale fu? È stato pubblicizzato in tutta Europa il fatto che sarebbe stato aperto questo grandissimo centro di accoglienza per decongestionare l’isola di Lam-pedusa e poi sono state mandate da Lampedusa soltanto cento persone, proprio in un momento nel quale Lampedusa stava esplodendo: il mondo doveva vedere l’Italia che non reggeva al flusso migratorio e alle guerre dall’altra parte del Mediterraneo. All’inizio a Mineo è stata mandata gente che stava nel centro di Crotone e a cui è stata sospesa la procedura d’asilo lì e ricominciata a Mineo. Il bisogno era quello di riempire questo centro! (Laura, operatrice di Emergency);

Il Cara di Mineo nasce proprio a partire da una truffa messa in atto dal governo Berlusconi per risolvere una “emergenza immigrazione” creata ad hoc a Lampedusa, nella quale sono stati strumentalmente concentrati un centinaio di tunisini che dovevano servire a dare l’immagine dell’isola invasa da questa

104 Cfr. A. Mazzeo, Grandi affari a Mineo con il villaggio dei marines di Sigonella, 15 ottobre 2010, in http: //antoniomazzeoblog.blogspot.it/2010/10/grandi-affari-mineo-con-il-villaggio.html105 L’immagine dell’esodo biblico viene fornita da molti quotidiani nazionali nei primi mesi del 2011 per descrivere la ripresa degli sbarchi sulle coste italiane. Tra gli altri, si rimanda a: A Lam-pedusa esodo biblico di clandestini («Il Sole 24Ore», 12 febbraio 2011); Lampedusa dopo l’esodo biblico. Un piano per uscire dall’emergenza («la Repubblica», 13 febbraio 2011).

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massa di gente (Erasmo Palazzotto, deputato alla Camera).Non a caso, è proprio la retorica della “liberazione” dell’isola siciliana dai

migranti a segnare l’inizio della vicenda che qui ci proponiamo di analizzare.Rileggendo le trascrizioni delle interviste e dei colloqui che si sono soffer-

mati sulla prima fase della fondazione della struttura di accoglienza, è possibile ritrovare nelle parole dei testimoni coinvolti interessanti elementi di riflessione, tali da lasciar comprendere meglio le dinamiche sociali sottese alla decisiva tra-sformazione della piccola cittadina calatina nel luogo di arrivo e di permanenza di migliaia di richiedenti asilo. Di seguito alcuni degli stralci più significativi:

Gli americani a Mineo neanche si vedevano! Loro avevano i soldi e le per-sone che lavoravano lì avevano un sacco di benefici perché i miricani buttavano le cose nuove, senza usate, e loro se le prendevano. In questo caso, veramente si può dire che “i neri eravamo noi”. Quando hanno costruito il centro c’era a quel tempo la guerra del Golfo e a loro serviva una base lontana da Sigonella perché le famiglie dei soldati non potevano abitare vicino all’aeroporto (Salva-tore, bracciante agricolo);

‘I miricani non disturbavano nessuno, si facievanu i fatticieddi so [stavano in disparte]. Iddi sì che erano signori! Di questi [gli abitanti del Cara] non ne so parlare molto perché, le devo dire la verità, qui la gente non è molto contenta, quindi c’è un po’ di diffidenza. A me però non hanno fatto niente, anzi le devo dire che mi fanno pena perché sono soli e spaesati (Antonino, cittadino di Mi-neo);

Io non sono d’accordo che devono andare a taliari nna munnizza [a rovista-re nei cassonetti della spazzatura], questa cosa non la capisco proprio, io non la posso vedere proprio! C’è pure questo, che si mettono nei cassonetti e prendono le cose. Si vedono ovunque, non è che rimangono solo d’assutta [si riferisce al luogo nel quale è stato costruito il Cara] (Gaetano, bracciante agricolo).

Le parole dei testimoni qualificati risultano particolarmente interessanti ai fini dello studio qui proposto, poiché gettano luce sul complesso delle visioni e delle rappresentazioni collettive che condizionano le modalità con le quali nel-la società contemporanea si costruisce la relazione con la “diversità”. I brani sopracitati evidenziano innanzitutto una dimensione profondamente dicotomica del rapporto dei menenini con “l’altro”, che si esprime attraverso il diverso va-lore dato, per un verso, alla visibilità ed all’invisibilità sociale e, per altro verso, alla vicinanza ed alla lontananza spaziale. A questo proposito, è emblematico lo schema narrativo che fa da sfondo alla costruzione della figura del “miricanu” ed a quella del “niviru”. Il soldato americano – pur rappresentando un potenziale “pericolo” per gli abitanti di Mineo dato che “c’era a quel tempo la Guerra del Golfo” – possiede una posizione sociale e soprattutto economica che rende, agli

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occhi di chi lo descrive, non soltanto “invisibile” la propria presenza, ma anche piacevole la propria “estraneità” (“Quelli sì che erano signori”). Una rappre-sentazione ben diversa viene invece fornita dei nuovi inquilini del complesso residenziale, dei quali viene innanzitutto rimarcata l’“inciviltà” e l’incolmabile differenza attraverso l’enfatizzazione del colore della loro pelle (“i nivuri”). Se le dimensioni semantiche che si legano alla passata esperienza con la Us Navy rimandano, dunque, alla sfera della “pacifica convivenza”, della “tranquillità” e dell’“ordine”; nella descrizione della situazione presente l’immagine predomi-nante è quella del pericolo, dell’invasione di massa e della sporcizia. In defini-tiva, mentre nel primo caso il riferimento alla “diversità” dei soldati americani viene inteso in un’accezione esclusivamente positiva, che rinvia all’esistenza di un notevole scarto economico tra la condizione degli statunitensi e quella dei siciliani; nel secondo caso, l’enfasi sull’alterità viene costruita su un piano ben diverso, che chiama invece in causa “l’irriducibilità culturale” dei gruppi resi-denti al Cara e che trascende da considerazioni legate alla permanenza di sogget-ti eterogenei per estrazione sociale o per appartenenza nazionale. Sullo sfondo, si colloca il rifiuto dello straniero come “migrante povero” che – contrariamente al giudizio positivo espresso nei confronti degli abitanti di Mineo rispetto al loro comportamento con i marines statunitensi – viene condannato ed etichet-tato come “parassita” della società ospitante se rovista tra gli oggetti scartati da coloro che si trovano in una posizione di maggiore vantaggio economico. Alla dicotomia invisibilità/visibilità corrisponde anche una diversa definizione della vicinanza e della lontananza sociale e fisica: i marines americani hanno scelto di vivere “là sotto” – ovvero nella vallata all’interno della quale sorge il fondo im-mobiliare, meglio noto come Residence degli Aranci – tanto da venir accusati da alcuni informatori di voler evitare i contatti con gli autoctoni. I richiedenti asilo, invece, lungi dal manifestare il desiderio di rimanere reclusi all’interno del cen-tro, “si vedono ovunque”, destando talvolta paura o fastidio, talaltra pena (“mi fanno pena perché sono soli e spaesati”). In questa direzione, la separatezza e la lontananza spaziale del Cara di Mineo – distante dal centro cittadino ben undici chilometri – pongono in evidenza due questioni cruciali sulle quali vale la pena soffermarsi se si vogliono comprendere a fondo le conseguenze che l’istituzione della struttura di accoglienza di Mineo ha generato in termini sociali e politici: da una parte, esse sono la conferma della diversità “etnica” dei richiedenti asilo, in un circolo vizioso che ribadendo tale visione la riproduce e la conferma ineso-rabilmente; dall’altra parte, esse costituiscono la manifestazione più chiara di un processo di territorializzazione dell’ineguaglianza sociale, ovvero del tentativo “di controllare un sistema segregativo, per cui alcuni gruppi sono confinati in aree specifiche in funzione del loro status (socio-economico o politico), o della

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loro posizione nella gerarchia dei gruppi di appartenenza”106. In sintesi, come ebbe a dire Robert Castel riferendosi alle banlieue francesi, lo spazio “etnicizza-to” ed “impoverito” nel quale sorge il centro calatino viene percepito come luo-go di “derelizione”107. Da questo punto di vista, non sorprende che il riferimento al “nero”, inteso nel senso più marginalizzante e più escludente del termine, sia risultato dominante nel corso delle nostre interviste agli abitanti locali.

un “male necessario”? la posizione dei cittadini e degli attori politici nei confronti del cara di mineo

Inizialmente uniti e decisi a contrastare con qualunque mezzo l’istituzione della struttura per migranti, gli attori politici locali cominciano repentinamente a differenziare le proprie posizioni quando dai vertici delle istituzioni giunge un chiaro messaggio: le realtà locali disposte a dare il proprio contributo nello sfor-zo collettivo di accogliere i nuovi arrivati saranno generosamente ricompensate. A ciò si aggiunge anche una forte pressione proveniente dalle parti imprendito-riali allettate dai facili guadagni derivanti dagli investimenti a garanzia statale, oltre che una prospettiva di sviluppo economico e di rilancio del mercato occu-pazionale che un centro sovradimensionato come quello di Mineo sembrerebbe lasciar intravedere in tutto il contesto territoriale calatino. Da quel momento, i rappresentanti politici conoscono una profonda scissione che, al di là degli orientamenti ideologici e valoriali di ciascuno di essi, porta alla formazione di due diversi schieramenti: chi è favorevole e chi rimane invece risolutamente contrario alla istituzione del Cara. Sullo sfondo, si colloca una definizione del concetto di “accoglienza” che assume caratteri assai ambivalenti. Alla schiera di coloro che considerano la struttura il fiore all’occhiello del reception system europeo per richiedenti asilo, si contrappongono due posizioni politiche che, pur essendo antitetiche, finiscono con il convivere e con il portare avanti la medesi-ma battaglia. Per questa via, la necessità di superare il “sistema Cara” viene riba-dita tanto da coloro che auspicano maggiori tutele dei diritti umani e processi più inclusivi di inserimento sociale dei migranti; quanto da coloro che alimentano posizioni contrarie alla accoglienza tout court dei cittadini stranieri. Appare em-blematica, a questo proposito, la testimonianza di un esponente di spicco della Rete Antirazzista catanese:

La situazione nel Calatino è assai spinosa: da una parte da Destra e da Si-nistra si registra questa ondata di proteste nei confronti della presenza del Cara; dall’altro lato però chi gestisce il Cara vince le elezioni. Il Sindaco di Mineo è 106 C. Colloca, A. Corrado, “Trasformazioni meridionali: migranti e aree rurali. Un’introduzione”, in Id. a cura di, Globalizzazione delle campagne. Migranti e società rurali nel Sud Italia, cit., p. 18.107 R. Castel, La discriminazione negativa. Cittadini o indigeni?, Quodlibet, Macerata 2008, pp. 26-32.

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il legale del Cara di Mineo, quindi si fanno vittorie elettorali su questo sistema. Il grosso della società civile nel Calatino è divisa tra chi ha posizioni razziste e tra chi assume invece posizioni tolleranti perché “ci mangia sopra” (Alfonso Di Stefano, Rete Antirazzista Catanese).

Il dibattito sul centro di Mineo diviene così il laboratorio nel quale vengo-no sperimentate pratiche di governo ed esercizi di potere che si ripercuotono visibilmente sull’opinione pubblica e sulle modalità con le quali viene mediato e costruito il rapporto tra gli abitanti locali e gli “ospiti” della struttura di acco-glienza.

L’avvio dei primi trasferimenti dei cittadini di origine tunisina rappresenta il campo di prova nel quale si confrontano atteggiamenti e visioni della migrazio-ne assai diversi tra loro. Nonostante le rassicurazioni dei rappresentanti istituzio-nali e il loro impegno formale ad offrire garanzie ai cittadini sottoscrivendo un documento noto come Patto per la sicurezza, 108 in questa prima fase prevalgono i sentimenti di paura collettiva e di “ansia da invasione” che contribuiscono ad instaurare un clima di profonda tensione sociale. Stando alle parole dei testimo-ni privilegiati da noi intervistati, a spaventare in modo particolare sono i liberi spostamenti di numerosi gruppi di migranti, per lo più “islamici” e di sesso ma-schile, avvertiti come una minaccia per le donne e per gli altri abitanti della zona:

Ora ci sono gli autobus, ma prima salivano in massa a Mineo, a Caltagiro-ne e Palagonia. Tu vedevi centocinquanta persone in mezzo alla strada [….] Al-cuni immigrati rubavano, i cittadini avevano paura perché non si sapeva questa massa di persone cosa poteva fare (Mario, cittadino residente a Mineo).

Il Cara ha creato paura nella gente, la tipica paura dell’invasione. Tu pri-ma vedevi per strada ciurme di persone che salivano non si sa per fare cosa e questo ha scosso molto la gente. Nella prima ondata, quella del 2011, c’erano moltissimi maschi, erano tunisini ed erano neri… questo ha influenzato l’atteg-giamento popolare (Anna, impiegata al Comune di Mineo).

La marginalizzazione spaziale e il sovraffollamento della struttura – che, a fronte di una capienza prevista di circa duemila unità, ospita al suo interno circa quattromila richiedenti asilo – costituiscono soltanto alcuni degli elementi che concorrono a far esplodere la bomba sociale, con il risultato di contrapporre in

108 Il Patto per la sicurezza, siglato il 28 marzo 2011, è un documento attraverso il quale la Prefettura di Catania, la Provincia di Catania e i Comuni di Catania, Caltagirone, Castel di Judica, Grammichele, Lìcodia Eubea, Mazzarrone, Militello Val di Catania, Mineo, Mirabella Imbaccari, Palagonia, Rad-dusa, Ramacca, San Cono, San Michele di Ganzaria, Scordia e Vizzini si impegnano formalmente «a promuovere – con progetti mirati – azioni coordinate volte a garantire la sicurezza e la migliore qualità della vita delle comunità locali, attraverso il contrasto di ogni forma di illegalità e il rafforzamento della coesione sociale» (p. 4). Il documento è consultabile al link http: //www.comune.mineo.ct.it/emergenza-immigrati/allegati/patto_per_la_sicurezza_-sottoscritto_e_firmato.pdf

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un conflitto permanente la popolazione locale a quella straniera. Al panico gene-ralizzato si mescola il timore degli agricoltori locali che la presenza del centro di accoglienza nel mezzo della distesa agrumicola possa provocare effetti dannosi sui propri possedimenti agricoli.

Se i sentimenti di paura e le trasformazioni del tessuto produttivo contribui-scono a spiegare le ragioni della tensione sociale che ha accompagnato la prima fase di vita del Cara di Mineo, le modalità con le quali sono state distribuite le risorse occupazionali derivanti dalla istituzione della struttura all’interno del contesto territoriale calatino chiariscono, invece, il perché il clima si sia succes-sivamente pacato fino a lasciare spazio ad atteggiamenti di tacita “accettazione” del centro di Contrada Cucinella. Non a caso, questa sorta di “pax” sociale è sta-ta oggetto di attenzione specifica da parte degli organi istituzionali regionali che hanno indagato sul sistema degli appalti di beni e servizi nel centro di accoglien-za per richiedenti asilo, come evidenziano le dichiarazioni di Nello Musumeci, Presidente della Commissione Antimafia della Regione Siciliana:

Quello che appare strano è che all’inizio c’era una sorta di conflittualità tra i proprietari terrieri, gli agricoltori del luogo e la popolazione residente nel Cara. Dopo qualche mese è arrivato il silenzio, una sorta di pax… è una pace fittizia? È una pace reale? È una pace raggiunta su quale terreno? È probabile che il fatto che il Cara dia lavoro a circa trecento persone – quasi tutte della zona – questa sorta di ammortizzatore sociale abbia contribuito a determinare una sorta di compromesso non scritto (Nello Musumeci, Presidente della Com-missione Antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana).

Anche gli abitanti del luogo e gli altri testimoni ascoltati nel corso della indagine hanno concordato nel sottolineare come si sia consolidato un legame molto forte tra il sistema politico locale ed il complesso residenziale per richie-denti asilo di Mineo:

Si sa come funziona la politica in questo paese: io ti voto perché voglio qualcosa in cambio oppure ti voto perché già mi hai dato qualcosa in cambio. A Mineo non è successo niente più di questo (Antonino, abitante di Mineo);

Il beneficio del Cara è questo: ci sono cento persone che sono impiegate, solo questo è! Il Cara ha coinvolto tutta la popolazione: chi ci ha il figlio, chi ci ha la figlia, chi ci ha il nipote, chi ci ha il fratello. Prima non lo volevano, poi giustamente hanno i parenti che lavorano lì e ora non dicono più niente (Anna, impiegata presso il Comune di Mineo).

In una piccola cittadina tornata ad essere terra di esodo per i giovani poco di-sponibili a svolgere mansioni legate al settore agricolo, la presenza di una strut-tura in grado di impiegare oltre trecento persone ha rappresentato non soltanto un motore di sviluppo per il contesto produttivo locale, ma anche uno strumento

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di potere attraverso il quale orientare le preferenze politiche dei cittadini. Proprio sul terreno del consenso elettorale si è giocata dunque un’importante partita tra le posizioni di chiusura nei confronti dei richiedenti asilo e la loro inclusione di fatto all’interno dell’assetto societario calatino.

Il reclutamento lavorativo dei richiedenti asilo nelle campagne del calatino

Le considerazioni sin qui avviate hanno permesso di gettare luce su alcuni degli snodi che si sono accompagnati alla fondazione del centro di accoglien-za di Contrada Cucinella e che continuano ancora oggi a permeare il rapporto dei cittadini autoctoni con quelli di origine straniera. Passando dall’analisi del-la dimensione sociale allo studio delle dinamiche produttive che presiedono ai processi di inserimento dei richiedenti asilo nel settore agricolo locale, l’ambi-gua tensione tra l’accettazione ed il rifiuto della struttura per richiedenti asilo di Mineo appare con forme ancora più evidenti. Il focus su tali aspetti ci porta, in termini conclusivi, a riflettere sugli effetti che la governance delle migrazioni forzate109 ha prodotto sulle traiettorie di vita dei migranti e sui territori interessati da queste esperienze.

Confinamento e lavoro dei richiedenti asilo Al pari di altre realtà votate al settore primario, nell’area di Mineo – e, più

in generale, in quella del comprensorio calatino – le possibilità di impiego in agricoltura si sono dimostrate un importante fattore di richiamo per i gruppi di origine straniera110, anche in virtù della crescente polarizzazione tra una ri-stretta domanda di lavoro più qualificato, tutelato e specializzato ed un’ampia richiesta di manovalanza generica, altamente precaria ed adattabile alle esigenze congiunturali del settore primario. Il bisogno delle piccole imprese agricole di reclutare una manodopera disposta ad adattarsi a condizioni di lavoro diverse rispetto a quelle tendenzialmente riservate agli autoctoni ha così contribuito ad

109 S. Castles, Back to the future? Can Europe meet its Labour Needs through Temporary Migra-tion?, in «International Migration Institute», Working Paper, n. 1, 2006.110 Non esistono fonti ufficiali che documentino la quota numerica di braccianti di origine migrante nei comuni del comprensorio calatino Per indagare le dinamiche occupazionali che hanno fatto da sfondo al radicamento della componente straniera nel contesto agricolo, ci siamo quindi serviti degli elenchi anagrafici pubblicati annualmente dall’Inps e relativi agli operai regolarmente assunti nel settore primario ed a tempo determinato nel corso del 2013. Secondo tali cifre, i lavoratori stranieri si attestano su un valore pari a 1.236 unità, documentando un’incidenza pari al 10,7% sul totale degli operai agricoli regolarmente registrati all’Inps. Questo dato, che risulta decisamente sottorappresentato rispetto alla media rilevata a livello nazionale (24,0%), assume invece maggiore valore se si raffronta alla presenza dei cittadini stranieri nel Calatino sul piano demografico (3,2%).

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avviare percorsi di stabilizzazione e di radicamento della componente straniera negli assetti societari locali, consolidando un sistema occupazionale fortemente gerarchico e connotato sia da una segmentazione delle posizioni di impiego, sia da una differenziazione etnica dei salari.

La fondazione del Cara in un contesto territoriale a forte vocazione agricola ha agito sull’economia del comprensorio con un impatto ancora più forte che ha influenzato non soltanto i modelli di produzione, ma anche i processi di re-clutamento lavorativo, rimettendo in discussione i presupposti sui quali si sono costruite nel tempo le forme di convivenza tra gli autoctoni e gli immigrati, per un verso, e tra gli immigrati stessi, per altro verso.

Gli stakeholder ed i cittadini menenini coinvolti nella ricerca hanno ben illu-strato come esista un rapporto assai conflittuale e contraddittorio tra i richiedenti asilo e le campagne circostanti. Collocandosi nel mezzo della Piana di Catania, l’istituzione del complesso residenziale ha coinvolto in primo piano i piccoli proprietari terrieri della zona, che – secondo la rappresentazione fornita dagli informatori qualificati coinvolti nella ricerca – hanno visto il proprio fondo agri-colo non soltanto “deprezzato” a causa della vicinanza con il centro, ma anche derubato da alcune “razzie” dei cittadini stranieri, di passaggio nelle campagne per raggiungere i vicini contesti urbani. Sin dal 2011, ai timori dei cittadini me-nenini si sono così aggiunte le proteste dei coltivatori della zona che, alimentate anche dalle forze politiche di opposizione, hanno contribuito ad acuire il clima di tensione sociale di quella cruciale fase storica:

Tante persone non ci possono andare più in campagna, perché che ci hanno una piccola casa? Che ci hanno un frigorifero dove ci mettono l’acqua fresca, mezza bottiglia di olio per farsi un’insalata? Non si può tenere più niente. Questi rompono tutto, spasciano [rompono] ogni cosa, se ci sono catenazzi prendono una pietra e li rompono (Pietro, piccolo proprietario terriero).

Quelli che non vogliono assolutamente il Cara sono quelli che hanno i ter-reni lì vicino. Ora si sono calmati perché c’è l’esercito nel Cara e pure a Mineo, ma prima [i richiedenti asilo del Cara di Mineo] andavano a ruota libera: chi prendeva le arance, chi rubava dentro le case di campagna, chi faceva sporci-zia, ci sono stati disagi […] Molti addirittura facevano la guardia ai terreni, stavano lì tutto il giorno a rimproverare tutti quelli che passavano. Prima qui i terreni erano liberi, ora molti hanno messo i recinti, i cancelli, per proteggersi la proprietà (Salvatore, bracciante agricolo).

Se tali immagini esprimono bene le ragioni del rifiuto espresso dagli agri-coltori locali nei confronti dei nuovi inquilini del centro di Contrada Cucinella, guardando alle dinamiche produttive innescate successivamente dal contatto della struttura di accoglienza con la distesa agrumicola è facile comprendere

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perché, a partire da un certo momento, il malcontento si sia placato fino a la-sciare spazio ad un processo di “integrazione invisibile”111 tra le parti coinvolte.

L’isolamento spaziale e la collocazione del centro nel mezzo della Piana di Catania costituiscono importanti riferimenti a partire dai quali è possibile studiare con quali modalità la criminalizzazione e la stigmatizzazione dei ri-chiedenti asilo come potenziali “usurpatori della proprietà privata” abbiano ceduto il passo a processi relazionali più “costruttivi” tra questi ultimi ed i pro-duttori locali. La buona conoscenza maturata dai residenti di origine straniera delle campagne circostanti e la scarsa accessibilità ai fondi agricoli limitrofi al Cara da parte degli Ispettorati del lavoro hanno attivato nel tempo una felice convergenza tra l’offerta e la domanda di impiego. All’esigenza dei richiedenti asilo di guadagnare piccole somme di denaro da inviare alle famiglie rimaste nei paesi d’origine, oppure da accumulare per programmare la propria vita una volta ottenuto il titolo di soggiorno è, cioè, corrisposto il bisogno dei piccoli imprenditori locali di reclutare lavoratori precari e a basso costo, disposti ad adattarsi alle esigenze momentanee del settore primario. In questa direzione, non è azzardato sostenere che, nel corso di pochi anni, la struttura di acco-glienza si sia trasformata – per utilizzare l’immagine fornita da alcuni infor-matori privilegiati – in un vero e proprio “serbatoio” di manovalanza generica, non specializzata e a buon mercato da impiegare nelle mansioni più pesanti e dequalificate del comparto agricolo.

Le testimonianze dei soggetti coinvolti nell’indagine, oltre che le eviden-ze empiriche emerse dalla nostra osservazione diretta della realtà calatina, ci consentono di rilevare come il reclutamento lavorativo dei richiedenti asilo residenti all’interno del Villaggio della Solidarietà, da caso sporadico e poco diffuso, sia progressivamente divenuto una prassi consolidata tra i piccoli pro-duttori del comprensorio comunale. Al mattino, lo spettacolo che si offre ad un osservatore attento è degno di rilievo: numerose auto e furgoncini posteggiati a breve distanza dall’ingresso principale della struttura attendono che i migranti vi salgano su per poi scomparire nelle campagne circostanti:

Fuori dal Cara tu vedi tanti camion e furgoncini che, ad una certa ora, aspettano che le persone escano e vadano con loro nelle campagne a lavorare. Questo fenomeno esiste anche con numeri molto alti (Hassan, Arci);

Il Cara è diventato un serbatoio di manodopera. Tra l’altro, il lavoro dei richiedenti asilo è tacitamente favorito da coloro che gestiscono la struttu-ra. Se tu tieni delle persone senza far nulla, senza alcun euro, è ovvio che

111 M. Colasanto, M. Ambrosini, a cura di, L’integrazione invisibile. L’immigrazione in Italia tra cittadinanza economica e marginalità sociale, Vita e Pensiero, Milano 1993.

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favorisci fenomeni di questo tipo, per non parlare di fenomeni di piccola cri-minalità (Valerio, Sindaco di Palagonia);

Il Cara è la fonte principale alla quale attingono tutti i proprietari terrieri per far lavorare questa gente nelle vigne, nelle campagne. I grandi commer-cianti e i piccoli proprietari terrieri che non possono più permettersi di pagare un operaio con paghe sindacali attingono a questo tipo di manodopera (Don Luciano de Silvestro, Direttore della Caritas diocesana di Caltagirone).

Nello spazio esterno alla struttura di accoglienza, oltre alle automobili, è facile notare anche una lunga schiera di biciclette; conquista di coloro che, riu-scito a recuperare un mezzo con il quale potersi spostare in autonomia, hanno la possibilità di intrattenere rapporti di lavoro presumibilmente più liberi da inter-mediari esterni:

La bicicletta al Cara ha un grande valore. Se hai la bicicletta puoi muover-ti, se non ce l’hai rimani indietro e stai con la speranza che qualcuno venga a prenderti per lavorare (Rocco, Flai-Cgil).

Il ricorso alla forza lavoro dei richiedenti asilo è risultato ancora più utile in una fase storica nella quale la forte competizione con i mercati internazionali e la prospettiva di guadagni limitati dalla stagione agrumicola hanno spinto i piccoli produttori locali a lasciare sugli alberi i frutti, per poi procedere successivamente alla raccolta degli agrumi da indirizzare alle industrie di trasformazione. Questo tipo di lavorazione – che, come hanno documentato i rappresentati sindacali e gli agricoltori ascoltati nel corso dell’indagine, richiede operai scarsamente qualificati – ha incentivato meccanismi di reclutamento occasionale dei migran-ti, con paghe giornaliere che hanno raggiunto livelli ancora più bassi rispetto a quelli stabilizzatisi con l’arrivo degli uomini e delle donne provenienti dall’Est Europa:

Qui le arance vengono vendute “a corpo”, cioè sul campo, come frutto pendente. L’agrumicoltore che produce le proprie arance difficilmente le com-mercializza, ma le vende ai commercianti. Da questo punto di vista funziona abbastanza bene […] Se però il canale commerciale non funziona – così come non ha funzionato l’anno scorso – e il produttore non riesce a vendere le proprie arance, il produttore non raccoglie il frutto con i propri uomini e con le proprie maestranze. A quel punto, interviene la manodopera a bassissimo costo degli ospiti del Cara (Giuseppe, imprenditore agricolo);

Con la crisi che c’è l’agricoltore non chiama più né l’italiano, né l’immi-grato economico che è presente sul territorio e che è abituato al mercato. Gli conviene andare al Cara di Mineo o nelle comunità di accoglienza e andare a prendere gli africani che chiedono qualsiasi cosa, anche con un prezzo mol-to basso loro sono d’accordo purché non rimangano a mangiare e a dormire.

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Perciò, se il mercato costa 45 o 50 euro a giornata, loro li prendono a lavorare anche a venti euro (Hassan, Arci).

Se, pertanto, è facile comprendere come le modalità piuttosto caute di inserimento e l’estrema adattabilità dei cittadini stranieri alle mansioni ed alle posizioni di impiego loro “riservate” nel settore primario abbiano contribuito a salvaguardare la società locale da spinte xenofobe e da conflitti tra le fasce più povere della popolazione; è altrettanto facile intuire perché i meccanismi attivati dal reclutamento lavorativo dei richiedenti protezione internazionale abbiano agito nella direzione opposta, innescando ben presto dinamiche competitive tra i braccianti – autoctoni o immigrati –, che hanno finito con il tradursi in un tendenziale abbassamento dei livelli salariali ed in un peggioramento delle loro condizioni di lavoro. Alla riduzione delle paghe giornaliere ha fatto da contral-tare anche l’introduzione di nuove strategie utilizzate per reclutare i lavoratori da impiegare nei campi. In questa direzione, il ricorso di manodopera da parte dei piccoli imprenditori agricoli locali si è accompagnato alla progressiva stabi-lizzazione della figura del caporale – soprattutto di origine straniera ed interno alle collettività residenti nel Cara – quale fondamentale elemento di raccordo tra l’ampia offerta di braccia e la limitata domanda di lavoro. Trattandosi di un feno-meno molto recente, non è possibile prevedere quali saranno gli esiti dell’istitu-zione di una pratica prima sconosciuta nel comprensorio calatino. Estendendo lo sguardo alle dinamiche bracciantili presenti in altri contesti agricoli del Meridio-ne d’Italia112, è tuttavia facile comprendere come l’ingresso di un intermediario tra il datore di lavoro ed i braccianti non possa far altro che rafforzare le forme di controllo della manodopera straniera, con conseguenze significative in termini di ulteriore abbassamento delle tutele di soggetti già in una condizione di pro-fonda marginalità spaziale, sociale e giuridica.

Gli ospiti del Villaggio della Solidarietà sono in possesso di un documen-to di soggiorno che consentirebbe loro di svolgere attività lavorativa sessanta giorni dopo la presentazione della domanda di asilo (e qualora il procedimento di esame della richiesta non si sia concluso per ragioni non imputabili a loro)113. Sebbene molti di essi rispondano ai criteri di permanenza contemplati dalla legge, i migranti residenti all’interno del centro di accoglienza prestano attivi-

112 Tra gli altri si rimanda a D. Perrotta, “Traiettorie migratorie nei territori del pomodoro. Rumeni e Burkinabè in Puglia e Basilicata”, in C. Colloca, A. Corrado, a cura di, Globalizzazione delle campagne. Migranti e società rurali nel Sud Italia, cit., pp. 134-140.113 Si tratta di una importante novità introdotta dal dlgs 142/2015 che detta nuove regole per la protezione internazionale in Italia, scardinando il precedente vincolo normativo che autorizzava il migrante richiedente protezione internazionale a svolgere attività lavorativa solo trascorsi sei mesi dalla presentazione della sua domanda e sempre che il procedimento non si fosse concluso per ragioni a lui estranee.

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tà lavorativa nelle campagne del Calatino solo e soltanto in forma irregolare. Secondo quanto i testimoni qualificati e gli stessi richiedenti asilo ascoltati nel corso della ricerca hanno contribuito ad evidenziare, non risultano finora mai stati formalizzati i rapporti di lavoro tra i “nuovi braccianti” ed i proprietari terrieri che ricorrono alla loro manodopera. D’altro canto, se questi ultimi lo fa-cessero verrebbero presumibilmente meno le ragioni di convenienza economica che portano al mattino decine di uomini del luogo a ricorrere al “mercato delle braccia” consolidatosi nello spazio antistante il Cara. Per dirla con altre parole, la regolarità de facto dei richiedenti asilo presenti a Mineo è una condizione che, non trovando riscontro nelle caratteristiche oggettive della domanda di lavoro, finisce con il perdere il valore di strumento di “difesa” del cittadino straniero dalla ricattabilità occupazionale alimentata dal suo status giuridico. Il risultato si traduce in un anomalo rapporto tra protezione e speculazione sui migranti che, in una dialettica tra push and pull factors, rende il centro di Contrada Cucinella uno dei luoghi di osservazione privilegiati dai quali riflettere in chiave critica su alcune delle “trappole” alimentate dal sistema italiano dell’accoglienza.

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le strutture di seconda accoglienza: Sprar o cas Il sistema Sprar Continuando il nostro viaggio nel terzo livello troviamo finalmente la se-

conda accoglienza, affidata in via principale ai centri Sprar (Sistema di protezio-ne per richiedenti asilo e rifugiati) e, in via sussidiaria, ove esigenze di afflusso straordinario e di impossibilità a reperire posti disponibili nei centri ordinari lo imponessero, ai Centri di accoglienza straordinari (Cas).

Il sistema Sprar costituisce il punto di eccellenza del sistema di accoglienza italiano, ma anche, per certi versi un oggetto di attenzione limitata del nostro rapporto, perché, per questa stessa ragione è più di tutto il resto del sistema sotto i riflettori, mentre sulle altre componenti l’informazione è molto minore. D’altro canto sul piano meramente numerico costituisce un sistema minoritario in cui è attualmente accolto appena il 16,3% dei rifugiati e richiedenti asilo.

La fonte principale di analisi è il rapporto di Cittalia che monitora i progetti realizzati dai comuni e che elenca, per il 2015, 430 progetti finanziati dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, tra cui: - 52 destinati all’accoglienza di minori non accompagnati - 30 destinati all’accoglienza di persone con disagio mentale e disabilità fisica - 348 destinati a richiedenti e titolari di protezione internazionale (categorie

ordinarie)Nel 2015 i progetti hanno reso disponibile una rete di 376 enti locali titolari di

progetto (comuni) per circa 800 Comuni coinvolti nell’accoglienza, mentre sono stati complessivamente 29.761 i beneficiari accolti nei progetti Sprar. Tra di essi: - il 58% è richiedente protezione internazionale - il 10% ha ottenuto lo status di rifugiato - il 13% è titolare di protezione sussidiaria - il 19% è titolare di protezione umanitaria.

Tra le 10 nazionalità più rappresentate, troviamo:

Ripartizione per paese dei beneficiari accolti nel sistema Sprar 20151. Nigeria 15,2% 7. Somalia 4,9%2. Pakistan 12,5% 8. Eritrea 3,0%3. Gambia 12,2% 9. Ghana 2,9%4. Mali 10,6% 10. Bangladesh 2,8%.5. Afghanistan 10,1% Altri 19,66. Senegal 6,2% totale 100,0%

FONTE: Rapporto Sprar Cittalia 2015

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Per quel che riguarda il genere, i beneficiari di sesso maschile sono pari all’88%.

Relativamente agli accolti come “rientri Dublino” si tratta complessivamen-te di 966 persone rinviate in Italia prevalentemente da: - Svezia (134 persone, che rappresentano il 13,9%), - Svizzera (109 persone, 11,3%), - Norvegia (105 persone, 10,9%), - Germania (95 persone, 9,8%), - Paesi Bassi (59 persone, 6,1%).

Caratteristiche dei beneficiariIl 18,3% degli accolti nel 2015 appartiene a categorie vulnerabili. Il 7,1% è composto da persone disabili, con disagio mentale o con necessità

di assistenza domiciliare, sanitaria specialistica e prolungata. Per tali casistiche è stata prevista un’accoglienza specifica all’interno dello Sprar, ma i relativi be-neficiari sono stati altresì presi in carico anche da progetti territoriali non dedi-cati a loro in maniera mirata, come dimostra il valore assoluto degli accolti nei progetti a loro dedicati: 297 persone accolte nei cosiddetti progetti per disagio e disabilità, a fronte dei 1.196 dichiarati complessivamente presenti nei progetti territoriali dello Sprar. I beneficiari rispetto ai quali è emerso un caso di tortura o violenza subita costituiscono il 5,8% delle persone accolte, che in termini as-soluti corrispondono a 1.426 persone. Le vittime di tratta o potenziali tali sono invece il 2%, pari a 492 beneficiari. Infine, i beneficiari che rientrano in nuclei monoparentali sono il 2,4%, le donne sole in stato di gravidanza lo 0,8% e gli anziani lo 0,2%.

Analizzando la distribuzione delle segnalazioni secondo la loro provenienza si può notare come, a differenza dell’anno precedente, la maggioranza provenga dai Cas, veicolata anche per mezzo delle Prefetture di competenza, arrivando al 38,3% del totale. Si attestano al secondo posto le segnalazioni da parte di pro-getti ordinari della rete Sprar con il 30,1%, percentuale in diminuzione rispetto all’anno precedente. Questi due dati sono correlati e si spiegano innanzitutto con il trasferimento dei richiedenti protezione internazionale dai luoghi di sbarco direttamente nei Cas e non nei progetti Sprar, e in secondo luogo con la perma-nenza degli stessi all’interno dei Cas fino all’esito della valutazione delle Com-missioni Territoriali.

Le segnalazioni di casi di vulnerabilità psichica per l’anno 2015 sono 269, con un aumento del 74,7% rispetto alle 154 dell’anno precedente. Si tratta in-dubbiamente di un aumento sensibile, che non può essere esclusivamente legato all’aumento degli arrivi sul territorio nazionale, ma è anche conseguenza della

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prolungata permanenza nei centri segnalanti, che, da un lato, ne ha permesso una maggiore emersione della vulnerabilità, dall’altro, proprio per i tempi di per-manenza in centri di prima accoglienza, rischia di esacerbare le problematiche psicologiche dei beneficiari.

Sono 8.291 le figure professionali quotidianamente impegnate nei progetti. In media, in ciascun progetto, sono presenti svariati professionisti, per la mag-gior parte come consulente di progetto (24,2%) mentre meno numerosi sono coloro che svolgono la propria attività a tempo pieno (16,5%).

I ruoli ricoperti sono: operatori di accoglienza (22,0%); attività amministra-tive (10,1%), operatori legali (6,9%), personale ausiliario (5,6%), insegnanti di italiano (5,1%) e coordinatori di équipe (5,0%).

E, cosa che realmente fa la differenza tra la rete Sprar e il resto del sistema di accoglienza, nel corso del 2015 i progetti Sprar hanno erogato 259.965 servizi (ma ovviamente il singolo beneficiario può aver avuto accesso a più di uno di essi). Tali servizi riguardano principalmente: - l’assistenza sanitaria (20,7%), - la formazione (16,6%), - le attività multiculturali (15%), - l’alloggio (14,9%), - l’istruzione/formazione (10,9%) - l’inserimento scolastico dei minori (9,5%).

le buone prassi del sistema SprarSecondo gli ultimi dati (2015) pubblicati dal Servizio Centrale del Sistema

Sprar114, le buone prassi rilevabili nel sistema stesso (intendendo per buona pras-si “un’azione che, sperimentata positivamente, risulta significativa in termini di innovatività, efficacia, innalzamento qualitativo dei servizi, sostenibilità nel tempo, riproducibilità e trasferibilità, capacità di coinvolgimento orizzontale e verticale (effetti di mainstreaming), coerenza del risultato rispetto agli obietti-vi”), si sviluppano sui seguenti temi: - Gestione dell’accoglienza- Equipe- Assistenza sanitaria- Orientamento e informazione dei beneficiari- Apprendimento della lingua italiana e formazione scolastica- Formazione professionale e inserimento lavorativo- Inserimento abitativo

114 http: //www.sprar.it/?option=com_content&view=article&id=109&Itemid=567

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- Inserimento socio-economico e culturale- Costruzione della rete- Attività di sensibilizzazione e comunicazione- Minori

Su ognuno di tali temi il sito presenta degli esempi, che ovviamente non sono né gli unici, né devono essere intese come ricette inderogabili, ma che sono utili per pensare alle esperienze stesse.

Cercheremo pertanto di darne una descrizione sintetica, capace di coglierne gli aspetti essenziali e mostrare come il sistema Sprar possa rappresentare il sistema di eccellenza dell’accoglienza e dell’integrazione dei richiedenti asilo e costituire forse un modello anche per altri paesi.

gestione dell’accoglienzaIn merito alla gestione dell’accoglienza vengono presentate tra le best prac-

tice: 1. La presentazione formale e la sottoscrizione del contratto di accoglienza e

del regolamento presso la sede dell’ente locale in varie lingue al momento dell’ingresso degli ospiti (comune di Macerata).

2. L’iscrizione del centro di accoglienza del progetto nel registro delle convi-venze presso l’ufficio anagrafe del comune al fine di permettere ai beneficia-ri già in possesso del permesso di soggiorno per asilo politico, l’elezione del domicilio presso il centro stesso (comune di Ostuni). L’effetto di queste due prassi fa sì che gli ospiti del centro Sprar, accom-

pagnati presso l’assessore ai Servizi Sociali (del comune di Macerata), firmino insieme al presidente dell’ente gestore e all’assessore molti punti del contratto di accoglienza e del regolamento del centro, al fine di rendere ufficiale l’accettazio-ne di tali documenti da parte dei beneficiari, così come da parte dell’ente gestore e del comune, favorire il rispetto delle regole da parte di tutti (best practice 1).

L’attivazione della best practice 2, l’iscrizione del centro nel registro del-le convivenze, invece è nata dalla constatazione che per tutto il periodo di permanenza presso il centro, all’ospite non era concessa la possibilità di conse-guire la patente di guida, a causa della mancanza della carta d’identità che sola poteva permetterlo, cosa a cui rimedia l’elezione di domicilio presso il centro.

assistenza sanitariaTra le best practice relative all’assistenza sanitaria, vengono presentate:

1. L’accordo con l’azienda sanitaria locale per l’effettuazione di esami clinici ed eventuali trattamenti terapeutici dal momento dell’ingresso degli ospiti (comune di Bergamo).

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2. L’attivazione di un progetto di etnopsichiatria per il sostegno a livello clini-co degli ospiti (comune di Borgo san Lorenzo).

3. L’attivazione di laboratori di riequilibrio funzionale (percorsi di educazione alla salute) rivolti alle beneficiarie ospiti (comune di Catania).

4. Il Protocollo Operativo per la presa in carico socio-sanitaria dei beneficiari del progetto territoriale di accoglienza Codroi/PO_lis (comune di Codroipo).

5. L’attribuzione del codice fiscale al beneficiario in possesso di cedolino (o anche solo con attestato nominativo purché corredato di foto) per immediata iscrizione al SSN (comune di Conza della Campania).

6. L’accesso diretto ai servizi erogati dalla “Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori”, in occasione di un’iniziativa promossa per lo screening diagnosti-co oncologico (comune di Cosenza).

7. L’accordo tra l’ente gestore e la farmacia comunale per l’acquisto di medi-cinali a prezzo ridotto (comune di Grottammare).

8. L’accordo tra l’ente gestore e un medico dentista per prestazione odontoia-triche a prezzo ridotto (comune di Macerata).

9. L’accordo con il Centro Soccorso Violenza Sessuale per l’assistenza alle donne vittime di violenza (comune di Torino).

10. La collaborazione con l’Ufficio Igiene Ulss 12 per la predisposizione della documentazione necessaria al riconoscimento dell’invalidità (comune di Ve-nezia).Tra gli elementi positivi e spesso innovativi di tali best practice sono da

rilevare: - la tempestività dell’intervento terapeutico nel caso di patologie alle quali i

beneficiari risultino positivi; la sensibilizzazione delle realtà socio-sanitarie locali; la creazione di una rete, tra Ente locale referente del Progetto, Ente gestore e principali realtà sociosanitarie locali. la realizzazione concreta della presa in carico socio-sanitaria di cittadini stranieri; la conoscenza da parte dei cittadini stranieri del funzionamento del sistema socio-sanitario del territorio; l’accesso ai servizi socio-sanitari territoriali e la rilevazione dei bisogni socio-sanitari dei cittadini stranieri (best practice 1, 4, 5);

- la possibilità di offrire alle persone che hanno subito traumi di vario genere di creare un collegamento tra la vita attuale e le esperienze del passato e utilizzare il supporto offerto per l’elaborazione di tutti quei processi come la depressio-ne, il lutto, i vissuti persecutori e i sensi di colpa o garantire una integrazione sociale e lavorativa delle persone sopravissute alla tortura. (best practice 2);

- il favorire la creazione di un clima di fiducia che facilita l’affidamento, l’o-rientamento ed il rapporto tra gli ospiti e con gli operatori, evitando conflitti e alterazioni della comunicazione.(best practice 3);

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- la realizzazione di una campagna di screening diagnostico in ambito pre-valentemente oncologico, attraverso la possibilità di usufruire di check-up gratuiti in ambito dermatologico, ginecologico, pneumologico, estrema-mente utile per evidenziare le malattie infettive contratte durante il viaggio o nel periodo di permanenza nei campi di accoglienza, che rendono i mi-granti particolarmente vulnerabili sotto il profilo sanitario (best practice 6);

- la possibilità di acquistare farmaci per i beneficiari e la necessità di ottenere una fattura delle spese sostenute ai fini della rendicontazione, e grazie alla collaborazione attivata con la farmacia comunale si è riuscito a ottenere un risparmio e una rendicontazione completa delle spese. (best practice 7);

- la risposta data alla necessità di garantire alle beneficiarie, segnalate e in-viate su appuntamento concordato tra gli operatori, la possibilità di essere ricevute da specialisti che già sono informati circa la loro situazione e il loro percorso sociale sul territorio e di essere ricevute alla presenza di mediatori culturali (best practice 9);

- la possibilità di velocizzare i tempi per la presentazione della documenta-zione necessaria al riconoscimento dell’invalidità. (best practice 10).

-Orientamento e informazione dei beneficiariIn merito alla gestione dell’Orientamento e informazione dei beneficiari

vengono presentate tra le best practice: 1. La produzione di una guida ai servizi per le donne immigrate e rifugiate

presenti sul territorio (comune di Bitonto).2. La realizzazione di un corso o di incontri, settimanali per informare i be-

neficiari del progetto riguardo i loro diritti e doveri (comuni di Comiso e Fidenza).

3. L’attivazione di corsi di informazione e orientamento sanitari rivolti a tutte le beneficiarie del progetto (comune di Jesi).

4. la creazione di uno sportello di contatto, orientamento legale e ai servizi per richiedenti e titolari di protezione internazionale presenti sul territorio e in arrivo dai Cara (comune di Modena).

5. La collaborazione tra la Provincia di Napoli, l’ente gestore e l’ASGI per l’inserimento dello sportello di integrazione e monitoraggio nella rete degli sportelli per immigrati della Provincia di Napoli (comune di Napoli).Tra i vantaggi che tali best practice comportano, sono segnalati:

- la creazione e diffusione di strumenti per affrontare le difficoltà che gli ospi-ti devono affrontare in un nuovo territorio, per far conoscere i servizi della città, e favorire il riconoscimento dei diritti per la popolazione immigrata nella società di accoglienza (best practice 1);

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- la possibilità di Informare gli utenti circa i loro diritti fondamentali e faci-litare la comprensione dei loro doveri, nonostante gli ostacoli frapposti da una normativa non facile, barriere e differenze culturali, complessità bu-rocratiche, grazie a incontri di gruppo e confronto tra i partecipanti (best practice 2 e 3);

- la risposta alla difficoltà delle beneficiarie di orientarsi rispetto alle pro-blematiche sanitarie, l’incremento della capacità di affrontare in maniera adeguata un’emergenza o di prevenire le malattie sessualmente trasmissibili (best practice 4);

- l’incremento della rete dei contatti necessaria ad affrontare le esigenze dei richiedenti asilo dal punto di vista dell’orientamento, dell’accoglienza e della tutela e incrementare le capacità di monitoraggio (best practice 5).

formazione professionale e inserimento lavorativoLe best practice relative alla formazione professionale e all’inserimento la-

vorativo sono le più numerose e diversificate. Possiamo dividerle in 5 grandi gruppi: 1. Accordi tra enti locali, l’ente gestore e imprese per l’attivazione di tirocini

formativi (comuni di Badolato, Catania, Comiso, Ivrea, Jesi, Narni, Ragusa) o finalizzati alla sperimentazione della “Formazione Pratica in Impresa” (provincia di Ascoli Piceno) o per l’attivazione di borse lavoro (comune di Parma).

2. Creazione di scuole e laboratori di cucina tradizionale e multietnica (comu-ne di Borgo San Lorenzo), di lavori all’uncinetto (Comune di San Pietro Ver-notico / Comune di Trepuzzi), del laboratorio per la realizzazione di prodotti con materiale riciclato (comune di Santorso), per la costruzione di muretti a secco, potatura e giardinaggio (comune di Trepuzzi) o collaborazione tra l’ente gestore e un’agenzia formativa per garantire l’inserimento in corsi di formazione professionale (comuni di Grottammare, Ravenna, Venezia).

3. Collaborazione con un ente per la formazione, accreditato, per la verifica delle competenze lavorative (comune di Udine).

4. Collaborazione con i centri per l’impiego della provincia per inserimento la-vorativo dei beneficiari (provincia di Caserta, comuni di Comiso Codroipo) o per garantire ai beneficiari la conoscenza delle offerte lavorative (comune di Macerata) o per la verifica dei contratti lavorativi in essere (comune di Prato) o per l’individuazione delle opportunità lavorative offerte dal territo-rio (Unione dei Comuni Alta Sabina).

5. Protocollo d’intesa tra vari enti per la realizzare dell’accompagnamento al lavoro mediante la sperimentazione di metodi innovati come il metodo ICF

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(International Classification Function) (comune di Ravenna) o peer educa-tion per l’informazione e l’orientamento al lavoro (comune di Venezia).Al di là delle diverse denominazioni regionali e locali i vantaggi offerti sono

comuni e numerosi.Tutti i progetti mirano “alla creazione di percorsi di autonomia personale,

di formazione e di inserimento socio-lavorativo”, attraverso l’individuazione e contatto con le imprese disponibili alla collaborazione, all’avvio di percorsi di formazione, all’ orientamento individualizzato e di gruppo del beneficiario, in alcuni casi attraverso il bilancio delle competenze, finalizzato a verificare le ca-pacità, le attitudini, le aspirazioni e le potenzialità dei destinatari e ad incrociarle con le disponibilità delle aziende ad effettuare percorsi formativi.

Tale percorso si accompagna alla mappatura del territorio di riferimento, alla presentazione dei cv alle aziende del territorio ed a percorsi in grado di sviluppare competenze professionali nelle persone; a fornire un’autonomia eco-nomica; a mettere in contatto tra loro attori (datori di lavoro e beneficiari) che altrimenti non si sarebbero mai incontrati.

Importanti sono strumenti come i tirocini, le “borse lavoro”, ma anche corsi professionalizzanti specifici, come quelli sopra elencati, qualche volta realizzati con metodologie innovative, che permettono ai partecipanti di apprendere ed insegnare all’interno del gruppo in un rapporto paritario o che permettono anche a persone non alfabetizzate di poter sperimentare il ruolo di docente e di discente senza temere il giudizio degli altri,

Altro elemento positivo e fortemente innovativo sperimentato in qualche caso è quello della verifica delle competenze informali, al cui riguardo è in-teressante l’esperienza del comune di Codroipo: Qualora vi siano particolare competenze professionali, dichiarate ma non documentabili, è stata attivata una semplice procedura che consente un “esame pratico” da svolgersi presso la sede di un’officina metalmeccanica e del laboratorio di falegnameria. La scelta orientativa predilige percorsi tali da consentire, ove possibile, il raggiungimen-to della “Qualifica di base abbreviata”, che consente l’acquisizione di compe-tenze professionali, certificate dal Sistema formativo regionale, il più possibile rispondenti alle esigenze del mercato del lavoro locale.

Step importante, non appena la condizione giuridica lo consente, è l’iscrizione presso il Centro per l’impiego con la duplice valenza di far conosce-re il servizio ai beneficiari del Progetto e di consentire l’iscrizione alle liste di immediata disponibilità al lavoro.

Inoltre il settimanale invio agli operatori delle offerte di lavoro dei Centri per l’Impiego consente l’aggiornamento delle possibili soluzioni lavorative sul territo-rio provinciale, che vengono vagliate dagli operatori insieme ai beneficiari.

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L’accompagnamento presso le agenzie interinali consente invece di favorire nei beneficiari la conoscenza delle modalità con cui sostenere eventuali colloqui di lavoro e la modalità di compilazione delle schede curricolari richieste anche da alcune aziende

Non si può tacere delle difficoltà che in queste pratiche così diffuse non mancano e che sono riconosciute dagli stessi protagonisti, e, se le segnaliamo è solo per indicare quanto meritorio sia provare a trovare degli elementi di reale integrazione socio-economica in una condizione in cui, come rilevano gli stessi autori del rapporto, dominano la mancanza di fiducia nei servizi offerti. Spes-so i beneficiari preferiscono rivolgersi ad una rete etnica, già precedentemente stanziata sul territorio, che offre loro informazioni (a volte distorte) ed eventuali contatti, condizioni di svantaggio materiale, che comportano l’esigenza di “un lavoro immediato e riluttanza a effettuare colloqui di orientamento, spesso ri-tenuti inutili perché non presenti nella cultura del paese d’origine, o spesso i soggetti pretendono subito di essere inseriti in ambito lavorativo pur non avendo alcuna esperienza né dimestichezza con la nostra lingua o, viceversa gli opera-tori si trovano in presenza di “aspettative più elevate rispetto alle reali possibili-tà offerte dal mercato del lavoro locale”.

apprendimento della lingua italiana e formazione scolasticaTra le esperienze di insegnamento della lingua italiana realizzate, vengono

segnalate sul sito del ministero, 1. Il protocollo d’intesa con il Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti

(ex Ctp) (comune di Comiso).2. I circoli di studio per la realizzazione di un corso d’italiano base nel periodo

estivo (comune di Pontedera).Gli elementi positivi e per certi versi innovativi di tali esperienze sono l’atti-

vazione dei corsi ad hoc per i beneficiari dello Sprar, per essere successivamente trasferiti nel corso per il conseguimento della licenza media. I beneficiari quindi, oltre a ricevere le nozioni di base della lingua italiana hanno la possibilità di formarsi in tutte le materie previste dai normali corsi di studio e, come gli autori riconoscono, “non pochi sono stati i casi di iscritti negli ultimi due mesi per cui si è riusciti a completare la preparazione agli esami con il rilascio della licenza media”.

Oltre questo già notevole risultato, è da segnalare anche l’innovazione metodologica dei “circoli di studio”. Il circolo di studio prevede la creazione di un gruppo di almeno 8 persone appartenenti a categorie socialmente svantaggia-te che per un periodo predeterminato studiano in parte in presenza di un esperto, in parte in presenza di un tutor e in parte in autoapprendimento senza tutor.

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Lo strumento del circolo di studio è facilmente attivabile, flessibile e si adatta alle esigenze del progetto Sprar: buon margine di autonomia nel decidere quando farlo partire e in quali giorni/orari; autonomia nella scelta della sede in cui tenerlo.

La prassi adottata ha permesso ai nuovi ospiti di avere, fin dai primi giorni di accoglienza nello Sprar, un corso d’italiano per poter apprendere i primi elemen-ti della lingua, di svolgere un’attività organizzata in un periodo in cui il territorio non offre altre occasioni, di conoscere gli altri beneficiari del progetto.

Inserimento socio-economico e culturalePer l’inserimento socio-economico e culturale il sito segnala:

1. Accordo informale con l’INPS per erogazione degli assegni familiari an-che in assenza di iscrizione anagrafica (comune di Alice Bel Colle).

2. Protocollo d’Intesa con la Banca delle Marche per l’apertura di un c/c bancario a condizioni agevolate (comune di Ancona).

3. Accordo tra vari enti per l’attivazione di percorsi di integrazione sociale rivolti alle donne beneficiarie di interventi di accoglienza (comune di Co-droipo)

4. Centro multimediale Nelson Mandela, che propone materiale audio, video e testi in varie lingue straniere (comune di Fidenza).

5. Convenzione con la scuola guida per l’iscrizione alla stessa a prezzo ridot-to (comune di Grottammare).

6. Convenzione con un fotografo per le fototessere a prezzo ridotto (comune di Macerata).

7. Affiancamento di un tutor economico al fine di orientare gli stili di consu-mo verso la sostenibilità del bilancio famigliare (comune di Pordenone).

8. Accordo con una scuola secondaria di I grado per il coinvolgimento dei beneficiari quali tutor per l’insegnamento della lingua straniera agli stu-denti (comune di Todi).

Sono iniziative molto diverse tra loro riunite correttamente dagli estensori del rapporto sotto l’unico titolo di inserimento socio-economico e culturale, per-ché pur in apparenza rivolti ad aspetti minori, facilitano effettivamente l’inclu-sione sociale. Tra i vantaggi che tali best practice presentano, riporta il Servizio Centrale, sono da evidenziare le minori difficoltà che gli ospiti dei centri Sprar incontrano: - nell’accesso agli assegni familiari; - nell’apertura di un c/c, cosa non scontata perché molte sono state le risposte

negative da parte di banche e da parte delle poste); - nella conoscenza del territorio con passeggiate alla “scoperta dei luoghi”

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e/o visite guidate in città d’arte quali Trieste e Venezia. Interessante nota, riferita a questo ultimo punto è che essa consente, secondo

gli autori del rapporto non solo “di creare momenti di incontro con la comunità locale, ma realizza anche la riconquista del “tempo per sé” in relazione al nuovo contesto d’inserimento e la costruzione ed il mantenimento di rapporti sociali”.

Ne è un esempio la creazione di un Centro multimediale (il Centro Nelson Mandela) dove ogni giorno decine di richiedenti asilo, rifugiati, titolari di prote-zione umanitaria, grazie all’impiego di giovani volontari immigrati, che da tem-po collaborano con l’Associazione, si incontrano per individuare e sviluppare progetti ed iniziative.

Ma non mancano, in seguito alle numerose richieste dei beneficiari, il supporto per il conseguimento del patentino per i motocicli, utile anche ai fini dell’inserimento lavorativo, il sostegno per ottenere fototessera per i documenti e, poiché le macchine automatiche non rilasciano ricevute rendicontabili, l’ente gestore ha pensato di servirsi esclusivamente da un fotografo. Questo consente di avere una fattura riepilogativa mensile (valida per la rendicontazione), uno sconto del 10% (concordato con il fotografo) e favorisce l’autonomia dei bene-ficiari che possono recarsi da soli presso il suddetto negozio.

L’attenzione a dettagli di solito non previsti ha fatto sì che si è prestato at-tenzione anche alle forti situazioni di disagio economico, legate per la maggior parte a esposizioni debitorie con finanziarie e a difficoltà nella gestione del bi-lancio familiare (uscite sistematicamente più alte delle entrate anche a fronte di redditi dignitosi).

Ci si è accorti che le persone accolte nel progetto non vengono a contat-to con tutta una serie di costi che si troveranno ad affrontare nel momento in cui abbandonano il progetto. La funzione “pedagogica” del pocket money non è sufficiente perché riguarda solamente una parte di quella che possiamo chia-mare “alfabetizzazione economica”. L’accompagnamento permette di percorre-re insieme al beneficiario le prime fasi in prossimità all’uscita del progetto per valutare insieme la sostenibilità del bilancio famigliare, garantendo un grado di autonomia maggiore.

O, infine, l’esperienza di ricorrere a dei richiedenti asilo dotati di un alto livello educativo e di una perfetta padronanza della lingua inglese e francese, per insegnare queste due lingue ai ragazzi italiani, ha permesso da un lato di avvicinare i giovani studenti alle esperienze vissute dai rifugiati che arrivano a Todi e di promuovere una maggiore sensibilizzazione nel confronto di questa particolare categoria e, dall’altro, di procurare una qualche attività ai beneficiari del progetto, e permettere loro di praticare l’uso della lingua italiana.

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attività di sensibilizzazione e comunicazioneTra le best practice comprese nelle attività di sensibilizzazione e comunica-

zione vengono segnalati sul sito: 1. La proposta di materiale audio, video e testi in varie lingue straniere (co-

mune di Fidenza).2. L’organizzazione di attività di sensibilizzazione con varie scuole (comune

di Marsala).3. L’attivazione di laboratori musicali come supporto per attività di educazio-

ne alla multiculturalità all’interno della scuola (comune di Perugia).

Tutte offrono la possibilità di conoscere, attraverso il racconto diretto, l’e-sperienza vissuta dei richiedenti asilo, e nello stesso tempo di abbassare notevol-mente la distanza dall’altro e avere una lettura diversa rispetto a quanto esposto solo dai media.

Poiché, inoltre sono stati creati dei momenti di scambio culturale tra le fami-glie degli studenti e i beneficiari dei progetti attraverso la proposizione di canti, filastrocche, poesie, giochi, gastronomia, i beneficiari stessi riescono ad aumen-tare la propria autostima sentendosi portatori di valori culturali e scoprendo le tante affinità quotidiane fra le diverse culture.

Équipe Anche la formazione e l’aggiornamento dello staff di operatori può essere

realizzata con best practice o con mezzi ordinari e, anche in questo caso, non mancano esempi, quali: 1. Gli incontri di supervisione psicologica dello staff del progetto (comune di

Fara in Sabina).2. L’organizzazione di riunioni di equipe per l’aggiornamento e il confronto

tra gli operatori (comune di Padova). Per quanto semplici, tali iniziative consentono un sostegno allo staff nella

fase iniziale del progetto e nella costruzione delle relazioni con i primi benefi-ciari e le loro storie.

Tale supporto iniziale ha avuto un effetto positivo tale che con il passare del tempo, si è deciso di dare continuità all’azione, visti gli effetti positivi e le regolari evoluzioni che la supervisione produceva riguardo alla costruzione delle relazioni con i beneficiari, alla capacità di condividere gli obiettivi del progetto, generare nello staff rapporti di sostegno reciproco e agevolare la gestione di eventuali conflitti e facilitare la comunicazione all’interno dello staff e tra lo staff ed i beneficiari.

A cadenza fissa si sono realizzate dunque riunioni di équipe durante le quali

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sono state poco a poco elaborate e condivise le procedure di realizzazione delle attività di accoglienza e tutela rivolte ai beneficiari.

L’adozione delle procedure di realizzazione delle attività di accoglienza da parte dell’equipe ha consentito agli operatori di poter adottare un metodo co-mune e condiviso di lavoro, che ha permesso loro di poter sistematicamente verificare il proprio operato, nonché l’andamento del percorso di integrazione del beneficiario.

Inserimento abitativoPer quel che riguarda l’inserimento abitativo alla fine del percorso di acco-

glienza, o in alternativa ad esso (ricordiamo che non tutti i richiedenti asilo e/o rifugiati hanno diritto all’accoglienza in centri specializzati, ma soltanto coloro che sono dichiaratamente privi di mezzi), il sito riporta delle best practice che sono di estremo interesse quali: 1. La creazione di un Fondo di rotazione per la ricerca di una soluzione al-

loggiativa (comune di Borgo San Lorenzo).2. La costituzione di un Fondo di garanzia a favore dei proprietari di alloggi

(comune di Fidenza).Il primo è un’azione volta alla creazione di un fondo di rotazione che sup-

porta i cittadini italiani e stranieri nella ricerca di una soluzione abitativa (nello specifico viene concesso un prestito a tasso zero che permette al fruitore di far fronte alle spese di attivazione delle utenze e l’affitto di alcune mensilità).

Il secondo prevede il supporto a beneficiari del Progetto, ed altri rifugia-ti e titolari di protezione umanitaria in situazione di emergenza abitativa ed in possesso di un regolare contratto di lavoro, nei processi di inserimento sociale, attraverso la stipula di contratti di locazione tra privati ed associazioni indivi-duate, che svolgeranno attività di intermediazione, gestione dell’immobile e di accoglienza temporanea degli immigrati.

Gli interventi previsti dal Progetto sono: l’attivazione di un Fondo di rota-zione per quanto concerne l’anticipazione del deposito cauzionale, la copertura dei rischi di morosità ed eventuali danni procurati all’immobile.

L’apertura di alloggi collettivi per lavoratori, con il supporto del Progetto Arca, rappresenta un anello importante per completare il sistema locale di acco-glienza: offre un aiuto importante al percorso di inserimento di persone che già svolgono un’attività di lavoro per supportare il raggiungimento di una loro piena autonomia abitativa (nel periodo di qualche mese) e consente un’uscita dai centri e dai progetti di prima accoglienza per coloro che raggiungono una condizione di autonomia economica.

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I cas Le strutture temporanee, definite nelle circolari del Ministero dell’Interno

Centri di accoglienza straordinaria (Cas), secondo i dati dello stesso Ministero hanno accolto, al 10 ottobre 2015, il 73,2% di tutti i rifugiati e richiedenti asilo in Italia, con punte superiori al 90% in diverse regioni. Tuttavia, nonostante la re-golamentazione generale che le ha istituite, le condizioni di accoglienza offerte sono state giudicate da numerosi osservatori estremamente critiche.

Secondo il rapporto del Ministero dell’Interno esse assommavano a 3.090 in tutta Italia al 10 ottobre 2015. Regioni come la Lombardia, la Toscana, l’Emilia Romagna e il Piemonte che ne contenevano diverse centinaia (rispettivamente 554, 416, 376 e 323), altre 5 regioni ne avevano tra 105 e 269 (Veneto, Campa-nia, Marche, Umbria, Lazio e Sicilia) e le altre regioni a seguire.

numero delle strutture temporanee (cas) nelle regioni italiane al 10/10/2015 Regioni Strutture temporanee Distribuzione % per regione

Lombardia 554 17,9Toscana 416 13,5Emilia Romagna 376 12,2Piemonte 323 10,5Veneto 269 8,7Campania 181 5,9Marche 127 4,1Umbria 118 3,8Lazio 113 3,7Sicilia 105 3,4Liguria 99 3,2Friuli Venezia Giulia 91 2,9Sardegna 66 2,1Puglia 63 2,0Trentino Alto Adige 58 1,9Abruzzo 51 1,7Calabria 30 1,0Molise 20 0,6Basilicata 17 0,6Valle d’Aosta 13 0,4totale 3.090 100,0

FONTE: Ministero dell’Interno

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Il punto di partenza per l’analisi dei Cas può essere costituito da questi rap-porti: - Accogliere: la vera emergenza, realizzato da Cittadinanzattiva, un’organiz-

zazione, fondata nel 1978, che promuove il protagonismo dei cittadini per la tutela dei diritti, la cura dei beni comuni, il sostegno alle persone in con-dizioni di debolezza;

- LasciateCIEntrare, frutto di una campagna nata nel 2011 a seguito del di-saccordo con la circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei Cie (Centri di Identificazione ed Espulsione) e nei Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo)

- e da Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, che non ha bisogno di una ulteriore presentazione, essendo una struttura molto conosciuta.115 La prima difficoltà incontrata dai ricercatori che hanno lavorato al rapporto

LasciateCIEntrare è stata la mancata conoscenza dei centri, pur essendo i Cas oltre tremila e pur raccogliendo gli stessi oltre il 70% dei rifugiati e richiedenti asilo (e, come vedremo, spesso anche soggetti vulnerabili, o minori): “non esiste neppure un elenco pubblico di tali strutture, della loro ubicazione, di chi le gesti-sce. Non vi è trasparenza sugli affidamenti, sui finanziamenti, sul rispetto degli standard di erogazione dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto” (LasciateCIEntrare, p. 7).

Per queste ragioni, i promotori del rapporto, nel giugno 2015, sulla base del D.lgs. n. 33/2013, hanno rivolto istanza alle 106 Prefetture italiane e al Mi-nistero dell’Interno per richiedere la pubblicazione delle informazioni relative all’ubicazione delle “strutture temporanee” presenti nei vari territori, all’elenco dei soggetti gestori e al numero delle persone ospitate in ciascuna struttura.

Inoltre, essi hanno chiesto di conoscere gli esiti delle procedure di gara per l’affidamento del servizio di accoglienza e della gestione dei servizi connessi, i criteri di assegnazione e informazioni sulle convenzioni stipulate dalle Prefettu-re con gli enti gestori, nonché, le informazioni sulla rendicontazione economica di ciascuna gestione e sugli esiti delle attività di monitoraggio e di vigilanza sulla erogazione dei servizi condotte dalle Prefetture.

Il Ministero dell’Interno, da parte sua, per dirla con le parole del rapporto InCAStrati che riferisce degli sforzi fatti per ottenere tali informazioni,116 ha ri-gettato “in buona sostanza l’istanza presentata, limitandosi a fornire dati generici in relazione alla singole richieste” e specificando in merito alle informazioni ri-chieste, o che non sia previsto alcun obbligo di pubblicazione, “ritenendo altresì 115 Il rapporto è stato pubblicato sul sito: http://www.lasciatecientrare.it/j25/attachments/arti-cle/193/lasciateCIEntrare%20rapporto%202016-2.pdf.. 116 http: //www.lasciatecientrare.it/j25/attachments/article/193/Report%20Incastrati%20.pdf

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inopportuna la diffusione di notizie a tutela della sicurezza dei richiedenti asilo accolti nelle strutture”, ovvero, “ritenendo che si tratti di dati nella disponibilità delle Prefetture competenti e pertanto la richiesta andrebbe effettuata diretta-mente a tali uffici”, o, infine, ritenendo le verifiche condotte sulla gestione del servizio “atti interni e non ostensibili“ (InCAStrati, p. 13).

Dal canto loro le Prefetture, a cui i ricercatori hanno rivolto analoghe ri-chieste, in 54 casi non hanno risposto, in 52 hanno risposto, ma solo in 8 casi hanno fornito l’elenco e l’ubicazione dei centri dove sono accolti i migranti o informazioni sugli enti gestori, e solo in 3 casi hanno fornito informazioni sulle convenzioni con gli stessi.

A quel punto gli autori del rapporto hanno iniziato una serie di visite ai Cas di cui erano a conoscenza, soprattutto nelle regioni meridionali (Campania e Ca-labria), spesso accompagnando parlamentari o altre autorità ammesse a visitare i centri stessi e realizzando così quasi 40 visite (tra il 12 febbraio e il 20 novembre 2015).

Sono seguiti nei mesi successivi alla presentazione del rapporto visite in al-tri Cas e queste hanno confermato la situazione di generale difficoltà e mostrato, in qualche caso, condizioni ancora più gravi. In particolare, sono stati visitati almeno altrettanti Cas (una quarantina) negli ultimi mesi del 2015 e nei primi mesi del 2016.

A queste visite, realizzate dalla campagna LasciateCIEntrare, possiamo ag-giungere le visite effettuate da altri organismi presso altri centri: in particolare, le 16 visite effettuate da MEDU nei Cas della provincia di Ragusa117 e le 60 visite effettuate da Naga in Lombardia118.

Ancora altri 46 Cas sono stati analizzati,i sia pure con metodologie diverse, nell’indagine curata dal Servizio Regionale di Mediazione Culturale della Re-gione Campania119, basata sulla realizzazione di 14 interviste in profondità a rap-presentanti (operatori, responsabili o legali rappresentanti) delle strutture (Cas): a Napoli, 2 a Caserta, 4 a Salerno e 2 ad Avellino. Da tenere in considerazione che i dodici enti a cui fanno riferimento gli intervistati gestiscono complessiva-mente 46 strutture di accoglienza (Cas), pari a circa il 25% dei Cas presenti nella regione.

Complessivamente sono stati forniti dati relativi a un numero consistente di

117 Cfr. MEDU, Rapporto Asilo Precario, I Centri di Accoglienza Straordinaria e l’esperienza di Ragusa, http://www.mediciperidirittiumani.org/asilo-precario/118 Cfr NAGA, (Ben)venuti! Indagine sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo a Milano e provincia, http://www.naga.it/index.php/notizie-naga/items/id-40ben41venuti.1530.html119 Servizio Regionale di Mediazione Culturale Area Studi e Ricerca, I migranti e i rifugiati nei Centri di accoglienza straordinaria in Campania, Napoli, dicembre 2015

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centri (tra i 120 e i 150) presenti nelle regioni meridionali, centrali e settentrio-nali, rilevati attraverso visite dirette, interviste rilasciate dai beneficiari o dagli operatori (e, talvolta, solo dai gestori), o riportati sulla stampa in occasioni di proteste da parte dei beneficiari o di indagini da parte della magistratura.

Le luci evidenziate da questa documentazione sono costituite dalla dimo-strata capacità di aver offerto un “minimo” di accoglienza a oltre 130.000 richie-denti asilo in Italia in poco meno di due anni, senza avere alle spalle un sistema strutturato calibrato su queste dimensioni. Le ombre, secondo questi rapporti, sono costituite dai limiti del sistema di accoglienza che, pur essendo straordina-rio, si è fatto carico di oltre i 4/5 dei richiedenti asilo; inoltre, per il fatto di es-sere stato costruito in gran fretta, raccogliendo nello stesso tempo sia le energie migliori che hanno fatto fare dell’accoglienza umanitaria la loro ragion d’essere, sia anche agenti economici che non meritano tale accredito, perché nell’acco-glienza, hanno visto l’occasione di business aspettata da tempo.

Sia ben chiaro, come si è già detto, che non trattandosi di un campione sta-tisticamente rappresentativo dell’universo dei centri di accoglienza straordinaria (né del resto avrebbe potuto esserlo, stante la mancata conoscenza della stessa ubicazione dei centri e la lista dell’universo da cui estrarre, con tecniche statisti-che convalidate, un campione in grado di fornire evidenze generalizzabili, con un margine di confidenza altissimo), i risultati non si collocano a tale livello. Ma siamo di fronte a un campione che potremmo definire “socialmente signi-ficativo”, perché esso, dal Nord al Sud, grazie ad indagini effettuate da ONG e rappresentanti delle istituzioni, mette in luce le stesse problematiche e porta a interrogarci sulle caratteristiche generali del sistema di accoglienza in Italia e ci mette a conoscenza delle richieste e delle raccomandazioni provenienti da enti diversi per superarne i punti critici.

Le caratteristiche del sistema dei centri di accoglienza straordinaria (Cas), sintetizzate dal rapporto Accogliere, la vera emergenza, sono le seguenti: - molte di queste strutture sono del tutto inidonee all’accoglienza; - emergono diversi casi di centri fatiscenti, privi di condizioni igieniche e di

sicurezza minimamente adeguate sia per gli ospiti che per i lavoratori ed i volontari che vi operano;

- spesso i servizi relativi all’accoglienza vengono affidati a “a gestioni im-provvisate, che si rivelano sprovviste di adeguata preparazione e compe-tenza, per cui buona parte delle attività da erogare - dalla mediazione, assistenza psicologica, legale, corsi di alfabetizzazione, attività finalizzate all’inserimento - restano spesso sulla carta”;

- la geografia stessa dell’accoglienza che, soprattutto nell’Italia meridionale dove c’è una fioritura di Cas in zone del tutto periferiche, sembra rispon-

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dere a scelte segreganti, peraltro spesso adottate senza alcun raccordo con gli Enti locali e quindi anche foriere di possibili conflitti con le comunità locali. Spesso i centri sono inseriti in contesti problematici sul piano del disagio sociale e della diffusione della criminalità;

- un’accoglienza gestita da pochissimi, sempre gli stessi, che continuano ad accumulare “numeri di persone”, a stiparli in posti improponibili come strutture improvvisate, hotel, ristoranti, vecchi casolari;

- staff spesso del tutto impreparati a gestire il fenomeno complesso dell’ac-coglienza; in alcuni casi si è riscontrato che gli operatori non conoscono neppure l’inglese né risultano avere alcuna preparazione in materia di pro-tezione internazionale;

- alcuni enti gestori si affidano ad un unico operatore/mediatore per l’in-tera struttura, che deve spesso svolgere innumerevoli funzioni: attività di mediazione, accompagnamento in questura, presso la ASL e in ospedale, distribuzione dei pasti;

- spesso (ad esempio nel napoletano, in provincia di Benevento, in Calabria) i migranti raccontano di trovare sistematicamente lavoro tramite “servizio di caporalato”, o riferiscono di lavorare in nero nelle vicine campagne dietro un compenso di 25 euro per 10 ore lavorative;

- diverse strutture sono lontanissime dai centri abitati o sono situati in zone ad altissima criticità sociale, come in tutta la fascia del casertano che va da Licola a Casal di Principe, dove sono concentrati numeri elevatissimi di migranti e spesso le strutture non svolgono nessun tipo di attività;

- in diversi Cas risulta oramai diffusa la pratica della cura delle malattie de-gli ospiti da parte dello stesso gestore: si somministra ordinariamente pa-racetamolo e nimesulide per le più varie patologie. A fronte della assenza di adeguati servizi di assistenza psicologica, inoltre, si registrano frequenti casi di patologie e disturbi psicologici, di depressione, fino a tentativi di suicidio;

- in diversi centri di prima accoglienza, inoltre, si continua a registrare ele-vata presenza di minori che spesso restano con gli adulti fino a compimento della maggiore età senza che ci sia alcun tipo di intervento;

- continua ad essere latitante il coinvolgimento degli Enti locali: in diverse occasioni i sindaci non vengono a conoscenza della presenza dei migranti nel proprio territorio;

- in alcune zone, infine, l’accoglienza purtroppo continua ad essere gestita da soggetti già in passato denunciati. (LasciateCIEntrare, pp. 7-8)Queste non sono altro che sintetiche descrizioni che ci mettono di fronte a

storie di sofferenza drammatiche, che spesso sono state raccontate dai migranti

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e richiedenti asilo alle persone che visitano questi centri. Dando loro la parola, i rapporti consentono di rendersi conto di quanto sia

difficile vivere nelle condizioni descritte: Queste le parole pronunciate da uno dei giovanissimi ragazzi del centro:

“Siete le uniche persone con le quali parliamo da tempo, nessuno viene mai qui a chiederci come stiamo, cosa vogliamo, ci sentiamo come se fossimo spazzatura scaricata in questo posto. E tra poco, quando sarete andati via, saremo nuova-mente soli, abbandonati e dimenticati dal resto del mondo” (p. 90).

Su un Cas, chiuso qualche mese dopo, questa la segnalazione di Lascite-CIEntrare alla Commissione d’Inchiesta sui Cie e sui Cara e sui centri per mi-granti: “Qui mangiamo e dormiamo. Pasta. Riso. Pollo. Sempre poco e sembra cucinato per i cani. Abbiamo ancora gli stessi vestiti di quando siamo arrivati. C’è solo una persona per tutti noi” (LasciateCIEntrare p. 92).

O, secondo le parole drammatiche di uno degli ospiti, che mostrano effica-cemente la povertà relazionale dei centri: Qui non c’è nessuno con cui parlare. Niente. Nessuno fa le pulizie. Niente di niente. Ci portano da mangiare e nem-meno ci cambiano le lenzuola. Non ci danno i saponi. E poi dicono che siamo sporchi (LasciateCIEntrare, p. 92).

Alcuni ospiti sono in giro a cercare qualcosa da fare. Altri dormono tutto il giorno - ci dice M. - perché qui il tempo non passa mai. Non possiamo lavorare. Non conosciamo nessuno. Molti cominciano a bere e non smettono più. Alcuni ven-gono solo a firmare preferiscono dormire altrove. E hanno ragione. Io non ho amici qui e resto. Il cibo puzza e non si può mangiare (LasciateCIEntrare, p. 93).

Ci hanno dato solo un paio di lenzuola! Anche le scarpe, una sola volta“. “Il cibo fornito e cucinato in struttura è scadente e spesso lo gettiamo (Lascia-teCIEntrare, p. 27).

Non possiamo nemmeno telefonare alle nostre famiglie. Vedi questo telefo-no l’abbiamo comprato con l’elemosina. We have to beg! you see, M. dice: “se ti ammali nessuno si occupa di te. C’è chi telefona a casa per farsi mandare le medicine. Ti rendi conto? C’è un ragazzo che ha sempre la febbre e dorme sem-pre. Ma credi che qualcuno lo veda? (LasciateCIEntrare, p. 102).

Quelli che abbiamo addosso in questo momento sono gli unici vestiti che ci hanno dato ed inizia a fare freddo” - ci dice un ragazzo che incontriamo sulla stradina che porta verso il paese. L’unico al quale riusciamo a rivolgere qualche domanda, avendo ricevuto un tassativo divieto di rivolgerci ai migranti all’interno della struttura (LasciateCIEntrare, p. 104).

I ragazzi riferiscono che gli operatori sono tre in tutto. Nessun mediatore linguistico culturale (LasciateCIEntrare, p. 89).

Un ragazzo ha raccontato di soffrire di disturbi di tipo psicologico, di sen-

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tire ‘la testa come una pentola in ebollizione’, implorandoci di portarlo via da quel posto dove continua a ‘pensare giorno e notte al suicidio’ (LasciateCIEn-trare, p. 98).

Dichiarano di non avere mai incontrato l’operatore legale né l’avvocato, né di essere stati informati della possibilità di presentare ricorso (Lasciate-CIEntrare, p. 98).

“C’è un solo avvocato”, ci dicono, che si occupa dei loro ricorsi. Uno solo per trecento persone. Ma ignorano come si chiami né hanno il suo numero di telefono (LasciateCIEntrare, p. 90).

I migranti, in particolare ci parlano del fatto che qui non hanno possibilità di avere un avvocato di loro scelta: “il mediatore sceglie chi dovrà occuparsi di noi se per caso abbiamo il negativo dalla commissione” (LasciateCIEntrare, p. 91).

Ci dicono che ci sono educatori che dovrebbero fare il corso di italiano, ma arrivano, firmano e se ne vanno senza aver mai fatto nessuna lezione. Lamentano il cibo insufficiente e mal cucinato, che ha determinato un calo ponderale in tutti. Inoltre non hanno alcuna attività da svolgere. Riguardo all’assistenza sanitaria, questa è affidata all’operatore di turno che fornisce Nimesulide od Oki per qual-siasi tipo di problema: mal di testa, mal di pancia (LasciateCIEntrare, p. 103).

La maggior parte delle persone intervistate racconta di essere stata reclutata da parte del gestore della struttura (ex Cie), per lavorare all’interno della coope-rativa nel servizio di pulizia e manutenzione urbana. Dieci euro al giorno per un totale di dodici ore di lavoro è il compenso stabilito (LasciateCIEntrare, p. 89).

Quando ci vedono arrivare in realtà la prima cosa che ci chiedono è se sia-mo lì per offrire lavoro, perché così funziona. Chi ha bisogno di lavoratori va a cercare lì (LasciateCIEntrare, p. 103).

Centri lontanissimi dai centri abitati (Feroleto in Calabria ad esempio o diversi Hotel nella provincia di Salerno e nell’Agrigentino e nel Cosentino) o situati in zone ad altissima criticità sociale (tutta la fascia ad esempio, che va da Licola a Casal di Principe lungo la Domiziana, teatro di ogni forma di de-grado possibile: dall’abuso edilizio alla criminalità organizzata, lo spaccio, la prostituzione ed il disastro ambientale e sociale), dove si concentrano numeri elevatissimi di migranti: nel solo giuglianese parliamo di oltre 1000 migranti che non svolgono nessun tipo di attività (LasciateCIEntrare, p. 86).

Né i rapporti pubblicati online, ma non raccolti nella pubblicazione (perché effettuati in seguito), si discostano da tali segnalazioni:

Tra le 21 persone ospitate vengono individuati 4 minori, le camere sono umide e, mentre alcune hanno il bagno all’interno, per 8 persone lavarsi diventa difficile in considerazione della mancanza di una doccia nel bagno comune che devono utilizzare.

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Le persone intervistate lamentano una serie di mancanze: dall’abbiglia-mento per proteggersi dal freddo alla mancanza dei corsi di italiano, al cibo insufficiente.

All’interno delle strutture mediatore culturale e assistente sociale fanno la loro apparizione solo 2 volte a settimana per un’ora al giorno, racconta ancora l’operatore. Uno psicologo non ha mai varcato la soglia dei due stabili, secon-do quanto riferito dai richiedenti asilo e dalla persona con la quale abbiamo parlato.

Il pocket-money non viene erogato ormai da 4 mesi ed è stata data loro una sola scheda telefonica di 15 euro per chiamate internazionali al momento dell’arrivo.120

Tanti ragazzi raccontano, con voci diverse, di trovarsi nella stessa condizio-ne, ma, al di là dei risultati di questo rapporto specifico, a conclusioni non molto diverse giunge anche il rapporto di MEDU (Medici per i Diritti Umani), dedica-to a 16 Cas della provincia di Ragusa121, che, con le stesse parole degli estensori, così presenta la sua attività:

“L’attività di MEDU si è concentrata nei 16 Cas presenti nella provincia di Ragusa. MEDU ha preso in esame tutti i servizi offerti da questi centri, ha rilevato criticità e formulato proposte e raccomandazioni”:

1) Struttura e collocazione“In alcuni Cas sono state riscontrate condizioni di accoglienza non idonee,

soprattutto per la carenza di alcuni servizi essenziali (riscaldamenti) e per la scarsa disponibilità di spazi comuni. Inoltre, alcuni Cas, alquanto isolati, non sono adeguatamente collegati ai centri abitati” (Asilo Precario, p.4).

2) numero e formazione degli operatori“Sono state riscontrate rilevanti carenze sia per quanto riguarda il numero

degli operatori che per le competenze specialistiche necessarie per seguire ade-guatamente gli ospiti” (ivi).

3) regolamento interno e pocket money“Gli ospiti dei Cas spesso non sono informati adeguatamente circa i servi-

zi offerti; talvolta non è garantita la riscossione del pocket money giornaliero (2,50 euro) cui ogni migrante ha diritto” (ivi).

120 http://www.meltingpot.org/Visita-al-CAS-di-Conflenti-Cz-della-Campagna.html#.V-43jPCLQhc121 Asilo Precario. I Centri di Accoglienza Straordinaria e l’esperienza di Ragusa, in http: //www.mediciperidirittiumani.org/asilo-precario/

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4) assistenza sanitaria “Spesso l’assistenza sanitaria non è adeguatamente garantita per una serie

di ragioni: i tempi eccessivamente lunghi della procedura d’iscrizione al Ser-vizio Sanitario Nazionale (SSN) senza che vi siano indicazioni precise su come gestire l’assistenza sanitaria nel periodo di attesa; talvolta è di fatto impossibile raggiungere il medico di base a causa dell’isolamento del centro; spesso non è possibile acquisire la documentazione medica del migrante prodotta in una fase precedente all’ingresso ai Cas” (Asilo precario, p. 5).

5) assistenza psicologica “Come ha avuto modo di rilevare il team di MEDU nella sua pratica me-

dica, la maggior parte dei richiedenti asilo ospitati nei Cas è stata vittima di molteplici esperienze traumatiche come la tortura e la violenza intenzionale, nel proprio paese o lungo la rotta migratoria. Un numero significativo di questi mi-granti sviluppa poi una psicopatologia post-traumatica collegata a questi even-ti. Nei 14 mesi oggetto di questo rapporto, il team di MEDU ha fornito supporto medico e psicologico a 74 ospiti dei Cas di Ragusa sopravvissuti a esperienze traumatiche estreme. A fronte di questa situazione, in nessuna delle strutture vi-sitate è previsto personale dedicato al servizio psicologico. Gli operatori spesso non hanno le competenze per gestire i vissuti traumatici degli ospiti, né gli stru-menti per individuare precocemente le persone più vulnerabili. Il monitoraggio di MEDU ha riscontrato che in alcune strutture è difficile identificare uno spazio protetto per i colloqui psicologici e medici. È inoltre emerso uno scarso collega-mento con i servizi territoriali di salute mentale” (ivi).

6) Servizi di consulenza ed orientamento legale “Gli operatori impiegati nei Cas sono numericamente insufficienti e non

adeguatamente formati per fornire l’assistenza e l’ascolto necessari per la pre-parazione alla domanda di protezione internazionale” (ivi).

7) mediazione linguistico culturale “È stata riscontrata una grave carenza di mediatori culturali nella gran

parte dei centri, che spesso non possono svolgere neanche il proprio ruolo in quanto destinati ad altre mansioni” (ivi).

8) Insegnamento della lingua italiana ed inserimento lavorativo “In nessuna struttura visitata sono fornite le ore d’insegnamento settima-

nali previste dalle linee guida per lo Sprar. È stata inoltre riscontrata una grave carenza di percorsi d’inclusione sociale” (Asilo precario, pp. 8-9).

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Il già citato rapporto I migranti e i rifugiati nei Centri di accoglienza straor-dinaria in Campania (citato d’ora in poi come I Cas in Campania), pur con tutti i limiti di un resoconto che ha come fonte non le visite effettuate da rilevatori indipendenti, o le testimonianze degli ospiti, ma i rappresentanti e gli operatori degli enti gestori, mostra che le caratteristiche dei centri, qui di seguito riportate, sono in linea con quelle illustrate precedentemente (sottolineature nostre):

1) Specifica esperienza degli enti gestoriSui dodici enti analizzati “Sei nascono con un impegno nel sociale, due nel

settore specifico del socio sanitario, uno in quello della comunicazione, due si oc-cupavano di turismo e una era... un’impresa di pulizie” (I Cas in Campania, p. 13).

“Per undici enti l’accoglienza residenziale di migranti e/o la tutela dei di-ritti dei richiedenti asilo è una novità a cui sono approdati nel 2011 (quattro) o nel 2014 (sette)” (I Cas in Campania, p. 13).

2) tipologia delle strutture dedicate all’accoglienza“La situazione si presenta estremamente variegata sia per quel che riguarda

la dimensione (che varia da 10 a 230 posti tra gli enti raggiunti) sia per la natura stessa della struttura: appartamenti, villette autonome, agriturismi, stazioni fer-roviarie dismesse, alberghi e villaggi turistici” (I Cas in Campania, p. 13).

3) presenza di mediatori I mediatori, nella maggior parte dei casi sono “collaboratori o dipendenti

degli enti gestori, mentre in pochissime circostanze ci si è rivolti a mediatori esterni, che parlassero particolari dialetti. In circa la metà dei casi i mediatori sono italiani e parlano più lingue, generalmente inglese e francese. Pochi quelli che conoscono specifiche lingue o dialetti” (I Cas in Campania, p. 14).

4) pasti “In alcune strutture è presente la figura del cuoco, che si occupa dell’orga-

nizzazione dei pasti e dell’approvvigionamento dei generi alimentari. In qualche struttura il personale addetto alla cucina possiede la qualifica hccp”.

“In tutte le interviste emerge che il cibo è uno dei principali motivi di conflitto all’interno delle strutture, tra le abitudini ed esigenze specifiche degli immigrati ospiti e la abitudini culinarie del territorio italiano” (I Cas in Campania, p. 15).

5) Pocket money I ritardi nell’erogazione del pocket money, “derivanti dai ritardi nei paga-

menti da parte delle Prefetture, divengono spesso fonte di conflitti tra ospiti ed

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operatori. Tutti gli enti incontrati dichiarano di impegnarsi per garantire la pun-tualità nell’erogazione, ma non sempre ci riescono” (I Cas in Campania, p. 17).

6) Sanità “Tutti gli intervistati lamentano, a tal proposito, l’assenza di disponibilità

delle strutture sanitarie locali a far fronte a tale esigenza, la mancanza di proce-dure condivise tra le diverse strutture sanitarie competenti, l’indisponibilità di diversi operatori socio-sanitari pubblici a fornire cure mediche adeguate.

“Rispetto allo stato di salute presentato dai migranti al momento dell’ac-coglienza, molti sono i problemi legati alle condizioni del viaggio affrontato per giungere in Italia.

“Frequenti i casi di scabbia, dermatiti, forte disidratazione, infezioni geni-tali. Alcuni presentavano uno schiacciamento delle vertebre dovuto alle condi-zioni di costrizione sulla barca, altri traumi dovuti ad aggressioni subite durante il viaggio (prevalentemente ad opera degli scafisti)”.

“Come ben evidenziato da un responsabile di un centro di accoglienza nel salernitano: “Noi avremmo più bisogno di una équipe all’interno dell’ospedale, di un primo presidio ospedaliero che possa intervenire quando noi realizziamo la prima accoglienza (...) perché abbiamo gestito anche casi gravi di salute”....

“Le strutture che ospitano donne hanno inoltre riferito di diversi problemi di salute dovuti a violenze sessuali subite durante il viaggio (a partire dal mo-mento in cui hanno lasciato il proprio paese di origine fino a giungere in Italia) che, in certi casi, hanno portato a gravidanze che le donne hanno interrotto autoinducendosi l’aborto, durante il viaggio stesso o nei primi giorni di acco-glienza” (I Cas in Campania, p. 18).

7) consulenza psicologica “Sono stati inoltre riferiti casi di disturbo psichico conclamato. Per uno di

questi si è reso necessario un trattamento sanitario obbligatorio. In generale, gli operatori raccontano di forme di disagio psicologico legate all’attesa (‘al non conoscere il loro destino’) e a difficoltà dovute all’adattamento al nuovo contesto culturale. Nelle strutture che ospitano sia uomini che donne, è tra quest’ultime che vengono prevalentemente rilevate forme di malessere psicologico. Alcune presentano forme di stress post traumatico, legate alle violenze subite durante il viaggio o ad eventi vissuti nel paese di origine dove hanno visto torturare e ammazzare propri familiari”.

“Alcune strutture hanno la figura dello psicologo all’interno della propria équipe di lavoro e, con l’aiuto dei mediatori, provano a fornire autonomamente supporto psicologico a chi ne necessita. Molte altre lamentano l’inadeguatezza dei servizi sanitari pubblici nel rispondere a tali problematiche”.

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“Alcuni operatori individuano tra i principali bisogni degli utenti quello di ricevere un supporto psicologico adeguato, da figure professionali competenti e preparate a rispondere alla domanda di cura dei cittadini stranieri, lamentando dunque l’assenza di servizi pubblici dedicati” (I Cas in Campania, p. 19).

8) formazione e inserimento lavorativo “Sono solo due le realtà che sono riuscite ad impegnare i migranti in corsi

di formazione professionale e tirocini lavorativi. Una di queste ha anche istituito una borsa di studio che consiste in un incentivo economico (del valore di 150 euro) per proseguire la formazione, a seguito del corso di lingua italiana, con la preparazione per il conseguimento della licenza media inferiore”.

“Tutti gli intervistati riferiscono di lavori a nero in cui la maggior parte dei migranti è impegnata. Si tratta di lavori saltuari, quali lavavetri, vendita ambulante, piccoli lavori di manovalanza, raccolta di prodotti agricoli, babysit-teraggio, parrucchiera, e lavori più stabili come quelli nella ristorazione e nel settore alberghiero per l’intera stagione estiva. Alcuni i casi di coinvolgimento in attività illegali, come lo spaccio di droga, denunciati alle forze dell’ordine e fatti presenti in Prefettura. Tra le donne nigeriane, numerosi i casi di sospetto di sfruttamento sessuale” (I Cas in Campania, p. 20).

A parte le considerazioni relative ai percorsi attivati nell’ambito dell’acco-glienza che viene descritta dagli enti gestori intervistati in maniera convenziona-le (“tutti i centri hanno fornito la possibilità ai migranti ospitati di frequentare un corso di lingua italiana (...). Alcuni migranti seguono un corso di preparazione per il conseguimento della licenza elementare e media inferiore. Un ente gestore offre la possibilità di frequentare un corso di alfabetizzazione informatica” o e considerazioni relative alle altre attività in cui gli ospiti sono impegnati (“attività fisica e sport (maggiormente calcio per gli uomini (...) attività di volontariato (raccolta rifiuti per la pulizia delle strade (?!), manutenzione spazi verdi pubblici, pulizia delle spiagge), corsi di educazione civica, corsi di fotografia, cineforum, manifestazioni, cene sociali, visite a musei e siti archeologici, partecipazione a feste popolari, organizzazione di cene etniche, frequentazione di associazioni”, l’aspetto più originale della ricerca va invece trovata nell’identificazione di tre specifici aspetti: - “le differenze di relazione tra centri e pubbliche amministrazione nel caso

di centri collocati nei piccoli comuni e centri collocati nelle grandi città; - gli atteggiamenti della popolazione locale nei confronti dei richiedenti asilo; - l’atteggiamento degli enti gestori nei confronti degli ospiti” (I Cas in Cam-

pania, p. 21).

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le differenze di relazione tra centri e pubbliche amministrazioni nel caso di centri collocati nei piccoli comuni e dei centri collocati nelle grandi città;

“Se da un lato i centri aperti nei piccoli comuni campani hanno, senza dubbio, avuto un impatto più forte e visibile sulla popolazione e sugli enti locali, va rilevato, comunque, che anche quelli sorti nelle città più grandi hanno dato il via a processi territoriali importanti di cui, probabilmente, si vedranno gli effetti nel più ampio periodo. L’accoglienza di migranti nei piccoli comuni è spesso risultata più difficile proprio per quanto concerne le problematiche relazionali con gli enti locali. Sono diversi i gestori dei Cas intervistati che lamentano la chiusura da parte delle amministrazioni comunali; chiusura che spesso sfocia in un’aperta contrapposizione alla residenzialità dei migranti. Il fatto che per l’a-pertura di strutture prefettizie di accoglienza straordinaria non siano richiesti l’adesione o il consenso dei Comuni ha creato, in diverse occasioni, malumori ed equivoci tra i soggetti gestori e le amministrazioni pubbliche”.

“Alcuni dei ragazzi che ospitiamo provenivano da un centro di un piccolo comune qui vicino e abbiamo saputo che se ne sono dovuti andare di lì perché il comune non ha voluto mai rilasciare le autorizzazioni che servivano perché sapevano che quelle strutture erano destinate ad immigrati. Il sindaco e l’am-ministrazione politicamente non accettavano la cose e hanno ritardato con i permessi …” (Intervista alla coordinatrice di un centro di Caserta).

“Abbiamo avuto non pochi problemi con l’amministrazione locale ci sono gli atti, loro hanno scritto a tutti per mandarli via, non li hanno mai accettati, non li vogliono.” (Intervista al gestore di un centro in un piccolo comune della provincia di Salerno).

“All’inizio nessuno dei comuni voleva la presenza di questi ragazzi … Ti posso assicurare che nessun comune ti dice sì vieni.” (Intervista al coordinatore di diversi centri nella provincia di Caserta).

“Se nei piccoli comuni le relazioni con le amministrazioni locali sono state più problematiche, chi gestisce i centri nelle città ha spesso lamentato totale indifferenza e distanza di fronte all’apertura delle strutture e all’inserimento dei migranti nel tessuto sociale e politico-amministrativo locale”.

“Con il Comune … nota dolente perché il comune diciamo manco sa che esistono questi ragazzi. Non ne vogliono sapere, non si interessano. Nella nostra sfortuna del non interessamento almeno c’è la fortuna che ti lasciano operare in pace. Il comune semplicemente non esiste. Qui ci sono tantissimi immigrati, ci sono intere comunità che sono molto numerose ma non se ne fregano proprio.” (Intervista alla coordinatrice di un centro di Caserta).

“No non abbiamo niente non c’è niente cioè non c’è stato un assessore delle

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politiche sociali che ci ha chiesto o ha fatto visita ai ragazzi non c’è stato un sindaco un assistente sociale.” (Intervista a responsabili di centri di Napoli e provincia) (I Cas in Campania, p. 22).

gli atteggiamenti della popolazione locale nei confronti dei richiedenti asilo

“Anche il quadro delle relazioni con la popolazione locale è alquanto va-riegato: negli episodi raccontatici dai soggetti intervistati, l’apertura dei Cas e il conseguente arrivo di migranti hanno generato negli abitanti dei comuni in-teressati reazioni che vanno dall’ostilità dai connotati xenofobi, all’accoglienza paternalista che cavalca la retorica del “povero immigrato” e che si manifesta, spesso, attraverso la donazione di abiti usati. Fortunatamente la maggior parte degli intervistati concorda nell’affermare che, dopo una fase iniziale di diffiden-za e distanza, la cittadinanza si è gradualmente aperta e avvicinata alla vita dei centri, lasciando spazio a forme di solidarietà e volontariato. In molti comuni si è dato anche spazio a momenti di unione e di festa o a manifestazioni collettive dalle tinte interetniche che hanno contribuito alla creazione di relazioni positive tra la popolazione residente e gli immigrati dei centri”.

“Stiamo avendo buoni risultati anche di integrazione perché in particolare abbiamo iniziato con delle strutture nostre da giugno dove siamo stati aggre-diti dalle persone con mazze pietre e quant’altro … non volevano i migranti ci avevano minacciato come non mai che entravano queste persone … poi un po’ con l’aiuto della Prefettura un po’ perché ci eravamo intestarditi questi ragazzi sono diventati da 69 persone tra donne, uomini, bambini famiglie che si stanno integrando”. (Intervista a responsabile di centri di Napoli e Provincia).

“… molte persone li hanno presi a cuore, hanno lasciato per loro abiti spes-so li chiamano quando devono pulire giardini, svuotare le cantinole, insomma si è creato un rapporto, sanno che sono lì, e li cercano per attività, per piccoli lavoretti a giornata, insomma c’è stato più rapporto di fiducia” (Intervista a responsabile di centri di Napoli e Provincia).

“No, la popolazione locale ha risposto molto bene... all’inizio c’è stata mol-ta diffidenza, perché sapete come funziona sempre al sud... la persona nuova, lo straniero viene visto in un modo diverso, però poi piano piano, con il passare del tempo la situazione è migliorata... adesso non c’è nessun problema, abbiamo anche organizzato, io stesso ho organizzato dei meeting con delle associazioni della zona, delle cene con i pakistani, delle feste africane con loro … dei tornei sportivi. Quindi hanno risposto molto bene”: intervista a un mediatore di un centro della provincia di Avellino (I Cas in Campania, p. 23).

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l’atteggiamento degli enti gestori nei confronti degli ospiti In più di un’intervista, infine, è emerso che gli stranieri ospiti delle struttu-

re vengono spesso definiti come dei bambini da educare e da assistere: “non è facile, perché tu hai settantasette bambini di cinque anni allora tu devi spiega-re perché uno ha avuto la caramella più grande e uno più piccola, perché lui l’ha avuta prima e tu dopo …”: presidente di una cooperativa del napoletano (I Cas in Campania, p. 25) .

Alle medesime conclusioni giungono ricerche realizzate in maniera indi-pendente in altre realtà italiane. Ad esempio, il rapporto su Roma realizzato dal CODA122, benché centrato sulla prassi del diritto di asilo, riferisce su un moni-toraggio condotto sul territorio di Roma, di cui riporta le principali criticità nei termini seguenti:

“È evidente come il livello della qualità della maggior parte dei servizi of-ferti in moltissimi dei centri di accoglienza di Roma sia molto basso.

Per esempio, se si considerano gli operatori assunti in tali centri, che svol-gono un ruolo centrale nella loro gestione concreta e quotidiana, va notato come questi vengano assunti con contratti estremamente precari (di durata anche bre-vissima), vengano poi assegnati a svolgere una varietà di mansioni anche del tutto estranee alla loro categoria contrattuale. Per esempio, un operatore socia-le spesso si occupa contemporaneamente di: distribuzione pasti, pulizia del pro-prio ufficio (quando esistente), assistenza legale, assistenza sociale, mediazione.

Va aggiunto inoltre che, particolarmente nell’ultimo periodo, il pagamento degli stipendi avviene spesso con ritardi gravissimi che possono arrivare fino a 3-4 mesi. Ciò evidentemente non può che condurre all’abbassamento della qualità dei servizi svolti dagli operatori, estremamente provati dalle ingiuste condizioni di lavoro e dunque a un peggioramento della qualità della vita dei richiedenti asilo e rifugiati ospiti nei centri, a loro volta provati dalle difficoltà e dai ritardi incontrati nel corso della procedura di riconoscimento della prote-zione internazionale.

Per ultimo, le strutture stesse che ospitano i centri sono spesso assoluta-mente inidonee a fornire alloggio ai richiedenti asilo e rifugiati che poi si tro-vano a viverci”.123

Anche le interviste a ospiti e operatori dei Cas effettuate dal Naga di Milano confermano lo stesso quadro124.

122 Diritto di asilo. Regole ed eccezioni nella prassi della Pubblica Amministrazione. Il monitorag-gio di Coda sul territorio di Roma, ottobre 2015123 http: //laboratorio53.it/rapporto-coda-2015-pubblica-amministrazione-e-prassi-illegittime-nel-rapporto-con-gli-asilanti/124 (Ben)venuti! Indagine sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo a Milano e provincia

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Naga ha, infatti, realizzato oltre 60 interviste nei Cas di Milano e provincia, come scrivevamo sopra, giungendo a risultati non troppo diversi. Tra i punti critici che il rapporto sottolinea, sono da segnalare: - “l’enorme eterogeneità tra le tipologie delle strutture di accoglienza; - la numerosità degli ospiti, che in concreto si trasforma in enormi differenze

di qualità della vita per le persone accolte; - l’eterogeneità (che) si riflette - naturalmente - sui servizi erogati; - la mancata definizione della competenza necessaria per rispondere ade-

guatamente ai bisogni delle persone accolte; - la delega completa al terzo settore e agli albergatori privati riguardo

all’accoglienza” (Naga, pp. 36-37).Più in dettaglio, tra i diversi aspetti problematici sono stati segnalati i seguenti.

presenza di operatori: - “La presenza di mediatori linguistico-culturali è perlopiù costante nei vari

centri, sebbene la presenza sul campo non sempre sia garantita, come ri-portano gli ospiti di alcuni centri (da più fonti veniamo a sapere che, in alcune strutture, l’ente gestore tende ad abbandonare gli ospiti a loro stes-si e che gli operatori non sono presenti, ma vengono chiamati in caso di emergenza;

- per quanto riguarda le strutture monitorate (a parte il caso di cui sopra) la presenza di operatori sul posto è costante;

- le strutture gestite da enti che hanno esperienza nel settore, o che se la sono creata nell’ambito dell’Emergenza Nord Africa, prevedono una varietà di figure professionali (es. psicologi, assistenti sociali, mediatori, antropologi, addetti alle pulizie, custodi, educatori, insegnanti, sociologi, avvocati, per-sonale sanitario), che vengono periodicamente formate;

- in alcuni casi si rileva, anche in realtà molto coinvolte nell’attività di acco-glienza, un problema di disinformazione rispetto alle norme e alle procedu-re relative all’accoglienza di richiedenti asilo (si pensi ai casi di accoglien-za di minori e donne);

- spesso non è stata fornita alcuna formazione specifica agli operatori: alcu-ni degli operatori di qualche ente gestore (), ad esempio, non sono formati e non conoscono la procedura d’asilo, come riferiscono gli ospiti e gli ope-ratori stessi;

- nel caso dell’accoglienza presso strutture alberghiere si può rilevare l’as-senza totale di personale addetto, a parte i gestori o proprietari degli hotel. L’assenza di queste figure è lamentata dai gestori stessi” (Naga, p. 25).

http: //www.meltingpot.org/IMG/pdf/_ben_venuti_naga.pdf

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Scuola di italiano“La mancanza totale dell’erogazione del servizio è stata denunciata da

molti degli ospiti degli alloggi gestiti dall’ente Integra Onlus che ci hanno ri-portato, in particolare, risposte elusive degli operatori come “Aspetta domani, il mese prossimo, l’insegnante poi verrà…”; - in altri casi gli intervistati hanno raccontato che la scuola era stata attivata

solo dopo alcuni mesi, o solo per qualche mese; - laddove la scuola veniva erogata per due giorni alla settimana, o per un

solo giorno, era considerata dagli ospiti non sufficiente; - solo in un caso era stata organizzata un’ora di italiano tutti i giorni, con

classi divise in base alla provenienza da paesi anglofoni o francofoni. Qui era possibile per gli ospiti accedere liberamente a una piccola biblioteca e avere materiale gratuito per studiare;

- in generale abbiamo riscontrato una forte disinformazione e ad alcuni de-gli intervistati non era stata neanche prospettata la possibilità di frequen-tare un corso di lingua. Molti sono riusciti a trovare una scuola solo grazie all’aiuto di amici o cercandola da soli” (Naga, p. 23).

- Assistenza Legale - “Nella maggior parte dei casi ci è stato riportato di aver ricevuto spiega-

zioni relative alla richiesta di asilo, molto generiche, visto che i più erano inconsapevoli dei diritti effettivi derivanti dal proprio status giuridico;

- nessuno ci ha riferito di aver ricevuto un’assistenza legale individuale e spiegazioni più approfondite; pochi gli accompagnamenti in questura e ca-rente la preparazione alla Commissione;

- presso i centri risultavano carenti le figure in grado di dare questo tipo di assistenza. Gli intervistati hanno lamentato la presenza di personale non preparato dal quale avevano ricevuto risposte fuorvianti, incomplete, se non completamente sbagliate. A un ospite la cui domanda d’asilo aveva avuto esito negativo, è stato sconsigliato di tentare il ricorso; a un altro è stato suggerito di cercare le informazioni su Internet; a chi aveva perso i documenti è stato detto di non poterne avere altri;

- chi nei centri aveva trovato un aiuto concreto sembrava esserci riuscito grazie all’incontro fortunato con operatori disponibili e competenti;

- dalle interviste agli ospiti dei centri gestiti da Integra Onlus è emersa la difficoltà anche solo di trovare gli operatori per ricevere un supporto lega-le, perché gli ospiti non conoscevano gli operatori o li incontravano solo una volta al mese, spesso alla consegna del pocket money o non riuscivano nemmeno a contattarli telefonicamente;

- molte persone hanno saputo come poter avere i documenti solo grazie all’aiuto di altri ospiti o di amici ospitati in altri centri” (Naga, pp. 23-24).

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assistenza medico sanitariaAnche l’assistenza medico-sanitaria, dalle testimonianze raccolte nelle in-

terviste svolte presso il Centro Naga Har, risulta fornita secondo livelli forte-mente differenziati: - “non sempre era stata rilasciata la tessera sanitaria; - la tessera sanitaria era stata rilasciata solo dopo alcuni mesi di presenza

dell’ospite nel centro; - gli ospiti non sapevano di poter avere, in quanto richiedenti asilo, un medi-

co di base o di avere il diritto all’esenzione dal pagamento del ticket; - alcuni ospiti erano costretti ad acquistare i medicinali con il pocket money,

quindi spesso ne dovevano fare a meno, non avendo denaro sufficiente; - nessuna delle persone intervistate ha mostrato di essere a conoscenza di

avere diritto all’assistenza “psico-sociale” (Naga, p. 24).

erogazione pasti “Da quanto emerso dall’analisi svolta, l’erogazione dei pasti è fornita con

diverse modalità, dipendenti dalla tipologia della struttura di accoglienza. La situazione cambia se si tratta di appartamenti di piccole dimensioni, o di centri di grandi dimensioni o, ancora, di hotel: - le persone accolte negli appartamenti usufruiscono di una cucina. Questo

significa che preparano i pasti in autonomia; - la maggioranza dei centri di medie e grandi dimensioni ha una cucina in-

terna, dove i pasti vengono preparati da cuochi e distribuiti con l’aiuto de-gli ospiti. Interessante l’esperienza della Cooperativa Lotta Contro l’Emar-ginazione, che fornisce un pocket money giornaliero raddoppiato rispetto a quanto previsto dal bando di gara del 22 gennaio 2016 e dalla conven-zione (5 euro) in modo che gli ospiti possano creare una cassa comune per acquistare autonomamente il cibo (la Cooperativa acquista solo i generi di base come pasta, olio, sale, zucchero, ecc.). Gli ospiti sono autonomi anche nel cucinare;

- alcuni operatori ci hanno riferito della difficoltà di andare incontro alle esigenze alimentari degli ospiti, dovendo conciliare in una stessa struttura abitudini culturali e alimentari diverse. È il caso ad esempio di Ai.Bi., che ospita famiglie con bambini e donne incinte, che riferisce come il problema sia ancora più sentito in quanto la dieta di queste ultime è ancora più com-plessa da gestire. Per questo motivo, dopo vari tentativi falliti e vivaci di-scussioni, è stato adottato il sistema di accompagnare due volte al mese gli ospiti ad acquistare determinati prodotti alimentari presso l’African Shop;

- ancora diverso è il caso di persone ospitate in strutture alberghiere. Si ri-

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cordano casi, segnalati dagli ospiti di alcuni alberghi che fanno capo ad In-tegra onlus, nei quali non veniva offerta la prima colazione perché ritenuta troppo costosa, limitandosi quindi a due pasti al giorno” (Naga, p. 31).

fornitura beni “Come spiegato in precedenza, gli enti gestori si impegnano, firmando la

Convenzione con la Prefettura di Milano, a fornire diverse tipologie di servizi. Per quanto riguarda la fornitura di beni di prima necessità sono previsti: ef-fetti letterecci, vestiti adeguati, prodotti per l’igiene personale, erogazione del pocket money di 2,50 euro al giorno (sotto forma di buoni o carte prepagate), tessera telefonica di € 15 da fornire una sola volta all’ingresso dell’ospite nella struttura.

Per quanto riguarda il pocket money ad esempio, varia sia la cadenza tem-porale che la quantità con cui viene erogato. In alcuni casi il denaro è sostituito con altri beni. La fornitura di pocket money si articola come segue: - nella maggior parte dei casi è erogato con continuità, una volta al mese in

un’unica soluzione in denaro contante, nella misura di euro 2,50 al gior-no per ospite. In taluni casi è erogato con versamento su carta prepagata postpay o con versamento mensile su conto corrente bancario intestato al singolo utente (se in possesso di Codice Fiscale);

- l’erogazione avviene in alcuni casi con cadenza quindicinale, o settimanale o comunque a intervalli regolari;

- esiste anche un gran numero di enti che, ci riferiscono gli ospiti, non eroga-no il pocket money con continuità (GM Residence; Integra onlus) o lo fan-no solo saltuariamente (per alcuni mesi quindi il pocket money non viene erogato). Gli ospiti del GM Residence hanno anche denunciato la situazio-ne in Prefettura. Il gestore del GM Residence, in particolare, ha giustificato la mancata erogazione e il ritardo di due mensilità adducendo a sua volta il mancato pagamento da parte della Prefettura da sei mesi;

- il caso limite è quello di enti che non hanno mai erogato il pocket money o che lo hanno erogato solo ad alcuni ospiti, come ci ha riferito ad esempio un operatore dell’ex Hotel Ambra e alcuni operatori di alcuni alberghi ge-stiti da Integra onlus (oggi non più in funzione);

- vi sono poi alcuni casi in cui, al posto di erogare il pocket money, l’ente for-nisce beni quali buoni spesa, ticket per mezzi di trasporto pubblico e schede telefoniche. Gli ospiti dell’hub di Bresso da noi intervistati hanno dichia-rato di essere stati costretti a rivendere le schede telefoniche in cambio di denaro contante o di aver dovuto chiedere prestiti di denaro a familiari o amici” (Naga, p. 32).

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Igiene personale, pulizia dei centri, pocket money“Su questi punti le notizie che gli intervistati ci hanno ri-portato erano tal-

volta piuttosto sconcertanti: - per quanto riguarda l’igiene personale alcuni ospiti riferivano di non rice-

vere shampoo, saponi, detersivi o dentifricio e di doverli acquistare con il pocket money mensile. A volte gli ospiti dovevano attendere l’arrivo degli operatori per avere di nuovo sapone e dentifricio finiti, aspettando anche settimane;

- l’uso della lavatrice risultava spesso soggetto a pagamento a ore di utilizzo. In questi casi, non essendo sufficiente il pocket money per coprire le spese dell’intero mese, alcuni si sono trovati costretti a chiedere supporto econo-mico ad amici fuori dai centri;

- per quanto riguarda la divisione degli spazi poche sono state le recrimina-zioni, se non nel centro in via Quintiliano e a Besate (Cooperativa LTI). Nel primo caso ci hanno riferito di essere in otto persone per stanza. Nel secon-do, la famiglia intervistata ci ha detto di dover condividere la stanza con un altro nucleo famigliare e di trovare altre tre persone fuori dalla porta della stanza, sistemate nel corridoio;

- per quanto riguarda l’erogazione del pocket money, non sempre veniva soddisfatta e veniva spesso ricevuta con gravi ritardi. Tale inadempienza ci è stata riferita soprattutto dagli ospiti dei centri gestiti da Integra: secondo le testimonianze veniva distribuito in maniera assolutamente discontinua, saltando anche alcune mensilità. Fortissimi ritardi sono stati segnalati an-che dagli ospiti del GM Residence di Rho, che non avevano ricevuto il po-cket money per ben tre mesi” (Naga, p. 24).

La Commissione parlamentare di inchiestaAl di là di tutti questi rapporti, elaborati dalle ONG, le audizioni della Com-

missione parlamentare di inchiesta confermano lo stesso panorama. Nelle parole del rapporto finale della Commissione, che riportiamo di seguito, si evidenziano le stesse difficoltà evidenziate nei rapporti prima commentati:

“I meccanismi di controllo delle presenze effettive in alcuni centri sono su-scettibili di perfezionamento avendo dato luogo ad indebite erogazioni di dena-ro, come risulta anche da indagini giudiziarie in corso.

La Commissione, nello svolgimento della sua attività di indagine e ispetti-va, ha preso atto dell’esistenza di fenomeni speculativi legati alla lunga durata dell’accoglienza (Relazione, p. 70).

Troppo spesso le misure di accoglienza sono carenti e non portano gli accol-ti ad una vera inclusione nonostante l’esborso considerevole di denaro pubbli-

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co. In altre parole, l’accoglienza nel nostro Paese non sembra essere impostata all’accompagnamento (accueil) e all’integrazione di coloro che per un verso o per l’altro – magari finanche come irregolari – sono destinati a rimanere nel nostro Paese per un periodo di tempo non breve.

La Commissione, nello svolgimento della sua attività di indagine e ispettiva – anche in relazione al monitoraggio delle inchieste giudiziarie in corso, su cui si sofferma un successivo capitolo –, ha preso atto dell’esistenza di fenomeni speculativi legati alla lunga durata dell’accoglienza, con il conseguente rischio di generare interessi degli enti gestori a favorire la permanenza nei centri in luo-go di virtuosi percorsi di inserimento e integrazione che non possono limitarsi agli aspetti di “soccorso”.

Di conseguenza, la Commissione ha riscontrato l’esigenza di accompagna-re al potenziamento della capacità ricettiva, un’opera di ripensamento dell’in-tero sistema nazionale, a partire dall’individuazione delle principali criticità del settore.

Inoltre, appare opportuno riflettere sulla qualità dell’accoglienza offerta che – come giustamente denunciato dagli organi di informazione e non solo – talvolta non è in linea con quanto previsto dalle “regole d’ingaggio” dei cen-tri stessi. Di conseguenza è indispensabile prestare maggiore attenzione, da un lato, ai requisiti degli enti gestori dei centri di accoglienza, e dall’altro, al controllo sull’effettiva erogazione dei servizi che rappresentano un significativo peso per l’Erario.

Non appare infatti individuato un imparziale, strutturato e pubblico con-trollo sulla effettiva erogazione dei servizi. In relazione a tali controlli, vi è in particolare la necessità di uniformare e monitorare l’attuazione dei servizi alla persona finalizzati all’integrazione (quali l’insegnamento della lingua italiana, l’orientamento alla società di accoglienza ecc. (Relazione, p. 73).

I sopralluoghi ai Cas da parte della Commissione – al di là di situazioni realmente patologiche pur riscontrate dall’organo parlamentare – evidenziano problemi comuni di carattere strutturale.

In particolare, tali centri sono condizionati dalla loro stessa natura di strut-ture temporanee. I profili di provvisorietà – che spesso derivano anche dal ban-do che fissa la durata dell’affidamento del servizio in pochi mesi – determinano una generalizzata situazione di difficoltà (se non di vera e propria impossibilità) di erogazione dei servizi secondo standard qualitativi accettabili.

Si pensi, ad esempio, alla inevitabilmente precaria situazione del personale che vi opera, la cui professionalità non può essere garantita a fronte di meri affidamenti a carattere trimestrale.

Ciò va inevitabilmente a detrimento di ogni forma di reale integrazione con

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il territorio, certamente non favorita dalla loro frequente collocazione in zone urbane periferiche o addirittura in zone rurali collegate sporadicamente con centri anch’essi di piccole dimensioni, e dunque impossibilitati a prestare i ne-cessari servizi socio-sanitari (Relazione, p. 58).

E infine: Improvvisati imprenditori del settore, approfittando di una gestio-ne perennemente emergenziale, sono riusciti ad aggiudicarsi soprattutto bandi per l’apertura di Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria), che, a dispetto del nome, costituiscono ancora i due terzi dell’intero sistema di accoglienza.

La necessità delle Prefetture di individuare repentinamente strutture ove collocare migranti, talvolta in numero consistente, non sempre ha consentito agli Uffici Territoriali di Governo di controllare adeguatamente la qualità e l’i-doneità delle strutture offerte.

Le resistenze e i pregiudizi delle popolazioni locali hanno reso ulteriormen-te difficile il compito dei prefetti ed il risultato finale è stato, spesso, la colloca-zione dei migranti in strutture periferiche, dismesse ovvero senza le necessarie garanzie sulla qualità dei servizi offerti o degli standard di accoglienza. Si sono riscontrate in più occasioni la collocazione dei migranti in strutture “periferi-che, dismesse ovvero senza le necessarie garanzie sulla qualità dei servizi offerti o degli standard di accoglienza” (Relazione, p. 149).

Un ultimo Cas(o)C’è, infine, da segnalare l’esistenza di centri atipici, come quello di cui rife-

risce LasciateCIEntrare: Questo centro “Ha una capienza di 150 posti, ma ha avuto picchi di acco-

glienza anche di 250 persone. I tempi di permanenza dovrebbero essere brevi, dai tre giorni alla settimana. In tutto ci sono 10 operatori, con funzioni varie. Il servizio di catering è affidato ad una ditta esterna. Nella struttura non vi sono cucine. È una struttura che non ha un tempo definito di permanenza, dipende dalle esigenze di spostamento, predisposte dal Ministero. Al momento ci sono solo uomini provenienti dall’Egitto, dal Gambia, dal Mali. Sono tutti testimoni di giustizia al momento affidati dalla Procura che li affida “il tempo necessario per le indagini”. Chiediamo se qualcuno ha fatto richiesta di asilo politico, il responsabile risponde di no.

Domandiamo di che tipologia di struttura si tratta “Il centro è un Cpsa e qui la permanenza dovrebbe essere di 96 ore. Quindi che centro è? Forse non è un Cpsa?” Ci viene detto che è un centro temporaneo non governativo, ma una struttura di temporanea accoglienza, per cui c’è stata una gara pubblica, con vittoria e convenzione con la prefettura. Dal 1° novembre 2012 al 31 dicembre 2013 ha ottenuto 31 affidamenti dalla prefettura di Siracusa per “primissimo

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soccorso e accoglienza per immigrati” e “servizio di accoglienza cittadini ex-tracomunitari”, tutto per trattativa privata, sulla fiducia.

I servizi sanitari della struttura sono forniti da Emergency che supporta l’ASL. Emergency è presente nella struttura da luglio 2013 e garantisce l’assi-stenza quotidiana, segnala anche le situazioni più delicate. C’è anche un sup-porto psicologico … vi sono due operatori ogni giorno nella struttura oltre i testimoni di giustizia o altri. Ma sempre e solo uomini. Viene dato il kit di in-gresso con schede telefoniche o sigarette. Mai soldi. Non acquistano all’esterno perché i supermercati non lo consentono. A causa della breve permanenza non vengono svolte attività di scolarizzazione. Se qualcuno rimane gli indicano una scuola gratuita vicina. Il trasferimento è mirato secondo i casi. I vulnerabili vengono trasferiti attraverso il servizio centrale. L’unica persona malata è stata trasferita in ospedale.

Parliamo con qualcuno dei ragazzi di Emergency in servizio oggi. Aiutano su ogni livello sia in caso di emergenze per condurre i migranti in ospedale, sia per le visite specialistiche. C’è un medico, due infermieri e due o tre mediatori. All’inizio c’erano anche Minori stranieri non accompagnati. Si fa la prima ac-coglienza con le visite generali di rito.

Il mediatore di lingua araba ci racconta che essere considerati testimoni è allucinante. Li prendono a caso e li interrogano. Alcuni esausti alla fine indica-no come scafista qualcuno che nemmeno conoscono pur di mettere fine a questa fase di limbo. Ci racconta la storia di un uomo siriano, accusato di scafismo e rivelatosi poi innocente “Ha fatto un anno e mezzo di carcere, gli sono stati sottratti i soldi con cui aveva venduto la casa. E non ha più notizie della moglie e del figlio che aveva lasciato in Egitto”.

Un ragazzo bengalese di appena 18 anni si avvicina. Vuole fare la scuola di italiano. Vuole andarsene e non sa perché si trova qui. Qui la scuola di Italiano non c’è. Non serve attivarla perché i tempi sono ristretti, chi insegna italiano da tempo sa però che anche in un giorno qualcosa può sempre esser fatto e sarebbe soprattutto un messaggio di accoglienza chiaro per chi ha subito ogni genere di violenza. Un messaggio semplice ma molto importante, che qui non pare neces-sario “tanto restano poco”.

Ci fermiamo vicino ad un gruppo di nigeriani preoccupatissimi per il loro avvenire. Nessuno gli ha spiegato perché loro sono qui visto che i loro amici sono stati già trasferiti. Ci chiedono perché devono sempre incontrare la polizia e vedere centinaia di foto. Hanno paura di essere arrestati o riportati indietro. Non hanno mai incontrato un avvocato se non all’inizio.

Non sanno cosa firmano. Ci dicono che li hanno presi a caso nel gruppo così come ci aveva già detto il mediatore di Emergency. Uno di loro si trova qui

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da oltre un mese (quindi non sette giorni), ha anche problemi agli occhi.Il ragazzo continua a chiederci perché si trovi ancora lì. Cosa ci sta a fare?

Perché non ha ancora fatto la richiesta di asilo politico? O forse l’ha fatta ma non lo sa. Perché firma senza sapere cosa. Quando ce ne andiamo ci guardano disperati sperando che qualcuno li porti via di li al più presto.

Parliamo con tre ragazzi. Un uomo tunisino che parla italiano, un maroc-chino ed un egiziano.

Anche loro sono testimoni di giustizia, forse avranno promesso anche a loro un permesso di soggiorno. Nessuno li ha informati che potrebbero fare richiesta di asilo. Anche loro non sanno quanto tempo resteranno nel centro.

Mentre parliamo con i migranti siamo strettamente osservati da poliziotti e responsabili. Non possiamo registrare nulla né fare foto, così come da au-torizzazione.

È il primo centro per “testi” che vediamo. I testimoni vengono prelevati a caso. Nessuno li informa dei loro diritti e soprattutto del tempo che richiederanno le indagini.

Non hanno avvocati di fiducia e non sanno nemmeno di avere un avvocato di ufficio. I testimoni sono lì a “testimoniare” che qualcosa la giustizia fa. Ecco ci chiediamo questa giustizia come abbia potuto individuare tra i “testi” un ra-gazzo eritreo palesemente in stato di grave alterazione psicologica. Ci chiedia-mo che valore abbia una giustizia che preleva a caso nel mucchio e che lascia poi i “prelevati” nel totale buio… (LasciateCIEntrare, p. 128-130)

I punti salienti dei rapporti sui casGli elementi presentati nelle pagine precedenti, ricavati da rapporti indipen-

denti l’uno dall’altro, e riferiti a diversi promotori dei rapporti stessi, istituzionali o non governativi, nonché desunti da visite effettuate in diverse aree d’Italia, sembrano presentare una certa continuità negli aspetti di criticità rilevati. In que-sti diversi documenti analizzati e riassunti, ci pare di poter rilevare, come prima precisato, pur nell’assenza di un vera e propria indagine campionaria, sono state evidenziate alcune criticità del sistema straordinario di accoglienza in Italia. Qui di seguito ci limitiamo a sintetizzare, proponendoli negli stessi termini utilizzati da queste fonti.

Le principali criticità strutturali sono relative alla collocazione, l’inade-guatezza e l’insufficienza dei centri ad offrire una adeguata accoglienza agli ol-tre 130.000 ospiti accolti: centri lontani dalle città, difficilmente collegati, vec-chi, in precedenza adibiti ad altri scopi e recuperati in via del tutto eccezionale, spesso sprovvisti di spazio sufficiente ad ospitare dignitosamente il numero di persone accolte.

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Le principali criticità gestionali sono invece relative alla difficoltà a forni-re servizi adeguati, dai più basilari (cucina, vestiti, assistenza sanitaria, pocket money in tempi certi), ai servizi un po’ più sofisticati (assistenza psicologica, informazione legale, mediazione culturale, corsi di formazione anche solo lin-guistica, orientamento al territorio).

Le principali criticità di impatto dei centri sono relative all’incapacità di costituire un ponte tra la realtà locale in cui avviene l’accoglienza straordinaria e i percorsi di integrazione più generale nella società italiana. Sembra leggere nelle fonti riportate che, piuttosto che fungere da ponti, i Cas hanno finito col costituire dei muri che isolano i richiedenti asilo dal resto della società, limitan-dosi a fornire loro, almeno nella maggioranza dei casi, vitto e alloggio, ma non riuscendo ad attivare un meccanismo di inclusione accettabile.

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gli insediamenti informali

MSF ha realizzato nel corso del 2016 una prima mappatura su scala nazio-nale degli insediamenti informali, abitati in prevalenza da rifugiati mai entrati nel sistema istituzionale di accoglienza, oppure usciti prima della conclusione del loro percorso di inclusione sociale: edifici occupati, baraccopoli, tendopoli, oppure siti all’aperto sparsi sull’intero territorio nazionale. Dal rapporto di MSF vengono citati solo alcuni di questi insediamenti, sufficienti tuttavia a sintetizza-re quanto emerso. 125

Le condizioni di vita sono inaccettabili: in metà dei siti non c’è acqua né luce, anche laddove sono presenti donne e bambini; l’accesso alle cure è limitato o manca del tutto: 1/3 dei rifugiati presenti in Italia da più anni non è iscritto al Servizio Sanitario Nazionale, i 2/3 degli aventi diritto non ha accesso regolare al medico di medicina generale e al pediatra di libera scelta.

La popolazione di questi insediamenti, secondo la stima di MSF, corrispon-de a meno di 10.000 persone, ma potrebbe incrementarsi notevolmente nella fase successiva alla dismissione dei 130.000 migranti attualmente accolti nel sistema di accoglienza dovessero andare incontro allo stesso percorso.

Gli insediamenti spontanei presentano tutti caratteristiche simili:Con la sola parziale eccezione di Trieste, dove i richiedenti asilo sostavano

all’interno di vecchi silos dismessi e pericolanti a ridosso della stazione ferro-viaria, si tratta di luoghi all’aperto: parchi e piazze cittadini, sottopassaggi e binari delle stazioni ferroviarie, aree boschive. Al momento della visita di MSF a Trieste, ai richiedenti asilo in sosta all’interno dei silos era consentito l’accesso ai servizi igienici della vicina stazione, mentre a Crotone i bagni pubblici della stazione erano stati chiusi per impedirne l’utilizzo da parte dei migranti. In tutti gli altri casi, l’accesso a bagni e docce era garantito presso servizi dedicati ai senza fissa dimora, a distanze comprese tra i cinque e i trenta minuti a piedi dall’insediamento. A Gorizia, le persone che sostavano lungo le rive dell’Ison-zo, in un’area chiamata dagli stessi migranti “giungla”, utilizzavano la bosca-glia per i bisogni corporali e l’acqua del fiume per lavarsi, cucinare e bere. In almeno tre insediamenti – a Trieste, Crotone e in una delle piazze di Catania – la raccolta dei rifiuti nella zona di sosta dei richiedenti asilo non era effettuata o era effettuata in maniera parziale (Fuori campo, p. 21).

125 MSF, Fuori Campo. Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali e marginalità sociale, http://www.medicisenzafrontiere.it/notizie/news/fuori-campo-mappa-dell%E2%80%99accoglienza-che-esclude

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La popolazione degli insediamenti si trova mediamente in Italia da 6 anni.Due richiedenti asilo su tre hanno riferito di essere in attesa dell’esito del

ricorso avverso il diniego di protezione internazionale da parte delle Commis-sioni territoriali.

Il 73% della popolazione non ha alcuna occupazione lavorativa in corso.Gran parte della popolazione degli insediamenti spontanei vive in immobili

privati o pubblici occupati e ai sensi della normativa vigente (art. 5 della legge 23 maggio 2014, n. 80) non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pub-blici servizi come luce e acqua.

Il che comporta anche la conseguente impossibilità di iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale per adulti e minori, anche in presenza di condizioni di par-ticolare vulnerabilità (Fuori campo, p. 22).

Nelle pagine seguenti descriveremo dove questi insediamenti informali si sono costituiti, dando, per ciascuno dei principali di essi, una brevissima de-scrizione che possa mostrare in una sorta di istantanea, gli aspetti salienti:

torinoDall’estate 2015, un gruppo variabile tra 50 e 100 migranti, provenienti in

prevalenza da Pakistan e Afghanistan e in attesa di accedere alla procedura di asilo, sostava nel parco archeologico di Porta Palatina, nei pressi del Palazzo Reale. Il periodo di permanenza nel parco variava da pochi giorni fino a un massimo di tre mesi. Solo un numero limitato di richiedenti era riuscito a benefi-ciare dell’accoglienza notturna presso il dormitorio del Sermig, per un massimo di 30 giorni, prima di tornare a dormire all’aperto, riparandosi in tende da campeggio fornite da alcuni volontari. Oltre al parco di Porta Palatina, MSF ha rilevato la presenza di quattro insediamenti informali (Ex Moi, via Madonna della Salette, via Bologna e Corso Chieri), con una popolazione complessiva di circa 1.400 persone” (Fuori campo, p. 22).

trieste e goriziaLa carenza di posti nel sistema di accoglienza governativo costringe i mi-

granti giunti a Trieste e Gorizia attraverso la “rotta dei Balcani occidentali” ad attendere settimane, a volte mesi, prima di poter accedere alla procedura di asilo e alle misure di accoglienza e assistenza previste dalla legge.

Durante le prime visite di MSF, nel settembre 2015, i migranti erano co-stretti a sostare a Trieste dentro ripari di fortuna di cartone e teloni di plasti-ca collocati all’interno di silos dismessi e pericolanti a ridosso della stazione ferroviaria; a Gorizia all’aperto nel parco della Rimembranza, in pieno centro cittadino, e nella boscaglia su una delle rive del fiume Isonzo, la cosiddetta “Giungla”.

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Riportiamo le parole di uno degli intervistati da MSF: “Sono sporco, qui non c’è nemmeno un bagno: per lavarmi devo andare in un bagno pubblico in centro a Trieste. Fa molto freddo la notte, ma non sappiamo dove andare: non ho un’alternativa, per questo sono qui. Sono molto stanco, viaggio da 42 gior-ni. Non avrei mai pensato di trovarmi in questa situazione, non credevo che in Europa esistessero posti cosi. Dormo qui da una settimana con altre tre persone e aspetto che la questura accetti la mia domanda d’asilo. Nessuno è venuto a vedere come stiamo: siamo abbandonati” (M., Afghanistan, 20 anni) (Fuori campo, p. 22).

padovaIl 18 dicembre 2013, una sessantina di migranti occupano due palazzine di

800 metri quadrati nella zona antistante la fiera di Padova: la struttura viene ri-battezzata Casa dei Diritti “Don Gallo”. Gli occupanti sono parte di un gruppo di circa 260 persone accolte nella provincia di Padova nell’ambito del program-ma “Emergenza Nord Africa” e che successivamente hanno trovato rifugio per mesi nei locali dell’Associazione “Razzismo Stop”.

Secondo un censimento del marzo 2015, più dell’80% degli occupanti sono titolari di forme di protezione internazionale e umanitaria e provengono da Ghana, Nigeria, Mali e Togo. Tutti uomini, tranne una donna. Quasi tutti gli oc-cupanti non hanno un lavoro stabile: per sopravvivere usufruiscono della mensa e degli altri servizi delle Cucine Economiche Popolari/CEP (p. 27), a pochi me-tri dalla casa “Don Gallo”. L’unica doccia, allestita all’aperto nel giardino che circonda le due palazzine, consiste in semplici assi di legno. Durante il periodo di occupazione, a più riprese sono state interrotte le utenze principali (acqua ed energia elettrica). Nel dicembre del 2014 uno degli occupanti, un ragazzo di 22 anni proveniente dal Ghana, muore all’interno della struttura per cause naturali, aggravate dal freddo dovuto alla completa assenza di riscaldamento” (Fuori campo, p. 22).

romaIn risposta a un’interrogazione parlamentare sull’edificio occupato in via

Curtatone 28, il 3 dicembre 2015, il Ministro dell’Interno ha dichiarato che le occupazioni illegali in corso a Roma erano 103.

Di queste, almeno tre – presso gli edifici di via Cavaglieri (“Palazzo Se-lam”), via Collatina e, appunto, via Curtatone – hanno una popolazione com-posta quasi esclusivamente da rifugiati di nazionalità eritrea. Il numero degli occupanti, stimabile in almeno 2.500 persone inclusi donne e minori, è soggetto a forti oscillazioni dovute soprattutto alla presenza negli ultimi due anni di mi-granti in transito verso il Nord Europa.

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Nel 2014 diversi enti pubblici e del privato sociale, coordinati dal Diparti-mento di Prevenzione dell’ASL Roma B e dall’Istituto Nazionale per la promo-zione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà (INMP) e con una partecipazione pur limitata di MSF, hanno at-tivato presso i siti di via Cavaglieri e via Collatina un servizio socio-sanitario con l’utilizzo di un camper attrezzato ad ambulatorio medico e la presenza di un’équipe composta da medico, infermiere e mediatore. L’iniziativa rappresenta un possibile modello di intervento presso gli insediamenti informali, con un’of-ferta proattiva, in loco, di un servizio di assistenza sanitaria di base, mirato so-prattutto ai migranti in transito, e la promozione dell’accesso ai servizi sanitari pubblici territoriali rivolta ai rifugiati stanziali.

Ancora a Roma è da segnalare l’esperienza del Baobab, un centro auto-gestito di assistenza ai rifugiati creato in una vecchia vetreria abbandonata, situata in via Cupa 5, tra il piazzale del Verano e la stazione Tiburtina. Dal 12 giugno 2015 questa struttura ha fornito su base interamente volontaria ac-coglienza migranti o rifugiati in transito sul territorio romano, divenendo un punto di riferimento per oltre 30.000 persone passate per i locali di via Cupa. Il centro, chiuso nel dicembre 2015, ha continuato a “ospitare” tra le 200 e le 300 persone, per lo più africani (provenienti da Etiopia, Eritrea, Marocco, Tunisia, Egitto, Sudan) che ogni giorno in tende o su materassi all’aperto sostavano nel-la stessa area. Numerose le donne con bambini, e, come afferma un volontario a Radio Vaticana: “Continuiamo ad essere un punto di riferimento, anche dopo la chiusura del centro, nel dicembre scorso. Garantiamo i pasti, la raccolta di vestiti. Giornalmente arrivano donazioni da ogni parte e paradossalmente - non avendo i locali e gli strumenti per custodire ciò che ci viene offerto - va a fini-re che dobbiamo rimandare indietro tante cose”. Spiega un altro volontario: “Cerchiamo anche di dare un minimo di supporto legale. Ma tutto viene fatto in maniera artigianale” (Fuori campo, pp. 30-31).

provincia di foggia e bariLa presenza rilevante di richiedenti asilo e rifugiati in Puglia è da sempre

legata a due fattori: da un lato la presenza di centri governativi di prima acco-glienza di dimensioni rilevanti; dall’altro l’ampia domanda di braccianti nel settore dei lavori agricoli stagionali. I due elementi si sono ben integrati, soprat-tutto nel foggiano: data la natura di struttura aperta del centro di Borgo Mez-zanone, i richiedenti asilo, per l’intero periodo dell’accoglienza, costituiscono manodopera a basso costo e senza contratto nelle campagne della Capitanata, soprattutto durante i picchi delle raccolte stagionali. Gli insediamenti di Bari/Ex Set, Foggia/ Ex Daunialat, Borgo Mezzanone e San Severo sono sicuramente

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tra i peggiori esaminati in questa ricerca: una situazione ancor più inaccettabile se si considera che da più di dieci anni le condizioni di alcuni di questi siti sono sistematicamente oggetto di denuncia da parte di organizzazioni umanitarie e inchieste giornalistiche. Tra i siti della Capitanata, è paradossale la situazione di Borgo Mezzanone, dove una serie di container, dismessi dal centro gover-nativo di prima accoglienza e abbandonati sulla pista di un aeroporto militare in disuso, a ridosso dello stesso centro governativo, sono stati occupati da al-tri migranti: richiedenti asilo e rifugiati passano continuamente da uno spazio (gestito direttamente dal Ministero dell’Interno) all’altro (abusivo) attraverso i varchi aperti nelle reti di recinzione del centro, sotto l’occhio vigile delle video-camere di sorveglianza. La giunta regionale recentemente insediatasi ha dichia-rato come uno dei suoi obiettivi prioritari lo smantellamento dei tre “ghetti” di San Severo, Borgo Mezzanone e Cerignola: non si fa alcun cenno a piani di ricollocazione delle centinaia di persone attualmente presenti nei tre siti, in gran parte titolari di forme di protezione internazionale o umanitaria e quindi regolarmente presenti sul territorio, sulle quali si basa una parte significativa dell’economia agricola della provincia” (Fuori campo, pp. 33-35).

Queste descrizioni vengono confermate dal reportage su Borgo Mezzanone fatto da Fabrizio Gatti sull’Espresso del 12 settembre 2016, di cui citiamo sol-tanto alcuni stralci, rimandando all’articolo, caratterizzato da una drammatica narrazione, per i dettagli più rilevanti.

Sette giorni all’inferno: diario di un finto rifugiato nel ghetto di StatoUna distesa di decine di persone, ammassate come stracci su tranci di gom-

mapiuma. Niente lenzuola, a volte solo un asciugamano fradicio di sudore sotto le coperte di lana. Nemmeno un armadietto hanno messo a disposizione: ciabat-te e scarpe sono sparse sul pavimento, i vestiti di ricambio dentro sacchetti di carta. Rischio di calpestare una serpentina incandescente, collegata alla presa elettrica da due fili volanti. Qualcuno sta preparando la colazione per poi an-dare a lavorare nei campi. Cucinano per terra. Se scoppia un incendio, è una strage. (…)

No, questa non è una bidonville. È un ghetto di Stato: il Cara di Borgo Mez-zanone vicino a Foggia, il Centro d’accoglienza per richiedenti asilo, il terzo per dimensioni in Italia. Ce ne sono molti altri di stanzoni ricoperti di corpi. (…)

La quinta notte rinchiuso qui dentro ho già visto i gangster nigeriani entra-re nel Cara a prelevare le ragazzine da far prostituire. I cani randagi urinare sulle scarpe degli ospiti messe all’aria ad asciugare. E perfino i trafficanti af-ghani offrire viaggi nei camion per l’Inghilterra.

Mi hanno anche interrogato. Un picciotto dei nigeriani, non la polizia.

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Agenti e soldati di guardia non si muovono dal piazzale asettico del cancello di ingresso. In una settimana, mai incontrati. Nessuno protegge i 636 ospiti di-chiarati nel contratto d’appalto. Ma siamo sicuramente più di mille. Contando gli abusivi, forse millecinquecento. Perché da quattro buchi nella recinzione, chiunque può passare. (…)

Il Cara è diviso in due settori. Il primo, proprio qui davanti, è composto da diciotto moduli prefabbricati. Quattro abitazioni per modulo. Ogni abitazione ha tre stanzette: due metri per due, una finestra, lo spazio per due brande, rara-mente quattro a castello. Ciascun modulo ospita così tra le 24 e le 48 persone. Oppure, per dirla brutalmente, rende ai gestori tra i 528 e i 1.056 euro al giorno. La piazza centrale è un campetto di calcio, davanti al capannone con la mensa, la moschea e i pavimenti di tre camerate ricoperti di materassi. Anche il secondo capannone accanto è un dormitorio stracolmo. I bagni sono distribuiti in una dozzina di casupole: sei rubinetti ciascuno, sei turche, sei docce malridotte, al-cune con l’acqua calda. Il secondo settore è invece rinchiuso dietro cancellate alte cinque metri: due fabbricati illuminati a giorno sotto un’altra schiera di telecamere. È il vecchio Cie per le espulsioni, una prigione. (…)

Centinaia di richiedenti asilo escono che è ancora buio. E ritornano che è già buio. I caporali nigeriani li aspettano su furgoni e auto sgangherate all’i-nizio della Pista: per il trasporto ai campi di ortaggi e pomodori, incassano cinque euro al giorno a passeggero e li trattengono dalla paga. I capibianchi, gli sgherri italiani, li prendono invece a bordo lungo la strada che porta a Fog-gia. Così molti ragazzi per evitare il costo del passaggio partono in bici da soli. Lavorano illegalmente nel campi di pomodori.(…)

Poco più tardi tre nigeriani entrano a prendere le prostitute. Le ragazzine sono a malapena maggiorenni. Due in particolare. Nessuno sa se siano ospiti o abusive. Dormono nella sezione femminile, dice qualcuno, ricavata nell’ex centro di espulsione. Le portano dalle parti della discoteca, la causa dell’inson-nia di molti di noi. Entrano nell’anticamera illuminata a giorno. E scompaiono oltre il separé, nella sala con la musica al massimo, le luci colorate, la palla di specchi al centro del soffitto. (…)

Quello che colpisce è la rinuncia totale a spiegare, insegnare, preparare i richiedenti asilo a quello che sarà. Se i gestori lo fanno nei loro uffici, i risultati non si vedono. Qui fuori sembriamo tutti pazienti di un reparto oncologico. In attesa permanente di conoscere la diagnosi: vivremo da cittadini o moriremo da clandestini?”.126

126 http://espresso.repubblica.it/inchieste/2016/09/12/news/sette-giorni-all-inferno-diario-di-un-finto-rifugiato-nel-ghetto-di-stato-1.282517

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A conferma di questa descrizione vi sono le visite nei centri informali della campagna effettuate da LasciateCIEntrare, riportate nel volume già citato, che descrivono con parole simili i centri visitati.

castelvolturnoUna palazzina fatiscente dove vivono oltre 80 persone in mezzo al nulla.

Non c’è nulla. Ognuno si è creato un ambiente così come può. La corrente a volte c’è a volte no. Anche l’acqua. Anche le finestre e le porte. A volte ci sono a volte non ci sono. Molti dei residenti fecero richiesta di asilo politico nel lontano 1992. “Denegati senza ricorso!” Ci sono famiglie e minori in que-sta palazzina dove si trovano tutte le tipologie di sfruttamento: prostituzione, spaccio e chissà cos’altro. Sono i luoghi del silenzio. Tutti sanno. Nessuno ne parla. (LasciateCIEntrare, p. 118).

falerna A distanza di tempo dalla chiusura dell’Emergenza Nord-Africa, la strut-

tura di Falerna, dismessa dal Consorzio Calabria Accoglie che l’aveva uti-lizzato come centro di accoglienza, vede presenti ancora duecento persone, vittime dello sfruttamento lavorativo agricolo, nessuna reale interazione con la comunità locale, nessuna prospettiva di cambiamento.

Nelle parole dei migranti: “Avete deciso di dichiarare guerra a Ghedda-fi, noi siamo dovuti scappare per ritrovarci qui dove siamo quotidianamente sfruttati nelle vostre campagne per venti euro al giorno. Che ne è della nostra dignità? Siamo esseri umani, non siamo spazzatura da smaltire nei cassonetti delle vostre città (LasciateCIEntrare, p. 118).

bari Al termine dell’Emergenza Nord Africa, a Bari un gruppo di circa 180

migranti occupa l’ex Convento di Santa Chiara, uno spazio pubblico abban-donato da molti anni, dove non c’è acqua né luce, ma spazio a sufficienza. Si sistemano, sistemano il posto, le loro condizioni di “vita” non sono certo dignitose, ma sempre meglio che vivere e dormire in strada. Il Comune, di soluzioni, non ne ha mai date. Nasce la Casa dell’ex-Rifugiato. I migranti si autorganizzano, svolgendo attività insieme a diversi attivisti della città.

Uomini che provengono dal Ghana, Nigeria, Gambia, Somalia, Eritrea, Etiopia, Togo.

Il 23 ottobre 2014 viene notificata dal Comune di Bari un’ordinanza di sgombero, su sollecitazione del Patrimonio ai Beni Culturali. Il “trasferimen-to” avviene in data 13 novembre 2014 presso il capannone Ex-Set in via Bri-gata Regina, in passato chiuso e bonificato per amianto.

All’interno del capannone il Comune ha fatto allestire una tendopoli. Le

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19 tende vengono messe a disposizione dalla Regione Puglia e dalla Protezio-ne civile. Vengono messi a disposizione all’esterno della struttura tre moduli/container per i servizi igienici.

L’Ex Set è un edificio alto e con molte finestre rotte. Non ci sono porte. L’umidità è altissima, come dimostrano i muri ammuffiti. La tendopoli è un ac-campamento dove diversi migranti svolgono attività: c’è chi ripara biciclette e chi cuce vestiti.

“Questo piccolo lavoro mi permette di guadagnare un po’ la mia giorna-ta. Qualcuno dei vestiti lo prendo nella spazzatura. Lo lavo ed aggiusto per rivenderlo. Ci stiamo abituando a stare qui ma non avevo mai vissuto così nel mio Paese. Non pensavo di venire in Europa e finire a vivere in una tenda. Ho sempre vissuto in una casa”.

“In Africa vivevo in una casa di mattoni, qui in Italia ho conosciuto le tende. Ci avevano detto che saremmo dovuti rimanere 3 mesi, ma siamo qui da oltre 5 mesi. Prima eravamo in un palazzo, l’ex convento, dove avevamo una stanza che ci eravamo presi. Non faceva così freddo. Tenevamo tutto in ordine ed avevamo aggiustato molti ambienti. Stavamo molto meglio. Pensate che questo posto è AUTORIZZATO”.

Ci accompagna a vedere un’ala della struttura dove svolazzano decine di piccioni che lasciano escrementi dappertutto. “qui l’ASL non è mai venuta. Eppure sono importanti le condizioni nelle quali viviamo …. guardate che schifo! Nemmeno gli animali si fanno vivere così” ci mostra uno strato di escrementi alto almeno 3 centimetri (LasciateCIEntrare, pp. 118-120).

Infine, relativamente a questo capitolo, vanno citate anche le descrizioni della stampa e dei media dedicate a realtà come Ventimiglia, Como, Milano, il Brennero: in questi luogo su accalcano migliaia e migliaia di richiedenti asilo e migranti che non vogliono restare in Italia, ma preferiscono recarsi nei paesi vicini e anche dirigersi verso il Nord Europa.

brennero, como e VentimigliaCome scritto efficacemente ne La Stampa il 21 luglio 2016: “Se Como

avesse il mare e gli ombrelloni sarebbe Ventimiglia”.Le due città di confine presentano le stesse situazioni: Spiaggiati sul pratone di piazza San Gottardo, di fronte alla stazione fer-

roviaria San Giovanni, ci sono 200 migranti e richiedenti asilo. Non possono andare avanti, la Svizzera ha chiuso le frontiere, alla stazione di Chiasso chi non ha i documenti in regola lo sbattono nuovamente in Italia. E non vogliono tornare indietro. Allora stanno qui, in questo pratone con una fontanella per 200, dove ci si lava e si lavano i panni nei catini di plastica. Dove i bambini

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girano nudi perché fa caldo. Dove il più piccolo ha un mese, è nato in Libia poco prima della traversata, sua madre rifiuta ogni aiuto e sogna solo di an-dare in Svizzera e poi in Germania.

La Croce Rossa porta cibo e acqua. L’assessore ai Servizi sociali di Como Bruno Magatti teme il peggio: “Ri-

fiutano ogni ipotesi di finire in un centro di accoglienza. Sognano solo di pas-sare il confine. Facciamo di tutto per affrontare l’emergenza. Ma questo non è un problema di Como. La politica e il governo devono farsene carico”.

Alla stazione di Chiasso le guardie di frontiera anche in borghese con-trollano ogni treno. Non passa nessuno. Non parla nessuno. Nessuna tolle-ranza, zero accoglienza. Il cartello della Croce Rossa in stazione invita alla solidarietà: “Aiutiamo gli anziani”. Si presume solo se bianchi e ticinesi” (La Stampa, 21 luglio 2016).

Sullo stesso tema in un’intervista a Radio Vaticana, Roberto Bernasconi, direttore della Caritas di Como così si esprime127:

Ci siamo accorti subito che era una situazione non sostenibile in stazione, per cui abbiamo immediatamente richiesto la possibilità di un campo con dei container per poter ospitare queste persone. Speriamo che questo si riesca a concretizzare, perché c’è una burocrazia grossissima, non tanto sui contai-ner, che sono stati trovati, quanto sul sito dove posizionarli. Ci sono stati dei veti incrociati rispetto ad alcuni siti. Spero che oggi questo si possa risolvere, altrimenti non abbiamo più tempo, perché si avvicina la fine di agosto e se il tempo qui cambia è un disastro.

(...) Siamo riusciti a far partire questa mensa che fornisce più di 500 pasti al giorno e tutte le mattine diamo loro la colazione. Il Collegio Gaio, che è una scuola cattolica, ci ha messo a disposizione le docce della loro palestra, per cui tutti i giorni diamo la possibilità a più di 200 persone di farsi una doccia, di cambiare biancheria e abiti. La situazione sanitaria è altrettanto sotto con-trollo proprio perché c’è un presidio fisso della Croce Rossa. Inoltre, in questo momento, sta partendo, in modo organizzato, una mediazione culturale, che è la cosa più importante, perché bisogna riuscire a far capire a queste persone dove sono e quali sono le opportunità per loro per un futuro in Europa: tante volte esse non corrispondono a fuggire dall’Italia e cercare a tutti i costi di arrivare nei Paesi del Nord Europa.

(...) In questo momento il volontariato ha un ruolo chiave e posso dire una cosa bella per la nostra città: c’è stata una risposta altissima delle persone.

127 http://it.radiovaticana.va/news/2016/08/17/migranti, _caritas_di_como_allarme_minori_non_accompagnati/1251868

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Tutti i giorni, 500 persone girano proprio nei vari servizi. Questo ti fa dire però che se non ci fosse stato il volontariato, che comunque è parte integrante della nostra società, le cose sarebbero state più difficili.

Qui il 30, 35 percento è composto da minori non accompagnati. Ci sono ragazzini di 12 anni … con tutti i problemi che questo comporta. Questi ra-gazzi sono un po’ allo sbando perché, in teoria, il Comune - e in questo caso il Comune di Como - dovrebbe farsene carico. Però, si capisce che nel giro di due settimane farsi carico di 500 ragazzi, che poi non vogliono neanche stare nelle strutture dove al limite potrebbero essere collocati, diventa una cosa impossibile. Credo che in questo momento sia un problema irrisolvibile. Noi mettiamo dei pannicelli caldi su questi ragazzi. Loro vengono respinti alla dogana, io li porto in una parrocchia dove vengono rifocillati, dove hanno la possibilità di una doccia e poi loro scappano di nuovo, tornano alla stazione e ritentano la strada. Qualcuno riesce a passare, qualcuno tenta un’altra stra-da, altri tentano magari per due, tre, quattro volte e vengono sempre rimanda-ti indietro. È un problema grosso, anche perché, poi, alla stazione adesso sta girando un po’ di gente, per cui io credo che siano merce a buon prezzo per il discorso della prostituzione, piccoli spacci e azioni non molto corrette. Con le possibilità che abbiamo oggi, però, noi possiamo solo monitorare, fare in modo che non delinquano in modo grosso insomma.

VentimigliaÈ una realtà molto simile la situazione di Ventimiglia: secondo diverse fonti

(in primo luogo secondo la Caritas locale), dal 31 maggio al 15 luglio sono passate presso la chiesa di Sant’Antonio circa 6.000 persone (il 20% minori non accompagnati). 128 Sono state un centinaio le famiglie (accolte anche nelle parrocchie di San Secondo, Cattedrale Nostra Signora Assunta, Sant’Agostino e San Nicola) provenienti da Sudan, Somalia, Eritrea, Etiopia, Nigeria, Ciad, Camerun, Marocco, Afghanistan e Siria. Tra queste vi sono state alcune mamme incinte e 80 bambini. La maggior parte dei migranti proviene da Sudan (65%) ed Eritrea (8%) e da altri 50 paesi diversi.

Si è passati da una presenza media di 200 persone alle 800 degli ultimi giorni.

Sono stati distribuiti prodotti per l’igiene e vestiario. I migranti hanno inol-tre potuto ricaricare i cellulari, fondamentali per poter mantenere i contatti con le famiglie ma anche per organizzare il proseguimento del viaggio.

128 http://www.caritasventimigliasanremo.org/ventimiglia-confine-solidale/

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MEDU riporta la seguente descrizione delle condizioni dei migranti a Ven-timiglia sul proprio sito:129

Abbiamo deciso di recarci a Ventimiglia dopo aver ricevuto diverse segna-lazioni sullo sgombero dei migranti presenti al confine italo-francese e sulle modalità dell’intervento delle forze dell’ordine.

Siamo arrivati all’accampamento informale alle nove e mezza di sera del 20 Maggio (2016). Ci sono circa 200 persone in fila per mangiare. Sono tutti giovani uomini.

Al momento ci sono una trentina di tende e, dietro un muro, tantissime per-sone che dormono.

Nel campo non c’è accesso all’acqua, all’elettricità, non ci sono bagni. I ragazzi vanno a lavarsi nel fiume.

Chiedo a uno di loro dove vanno al bagno. Mi indica gli alberi che si tro-vano intorno agli argini del fiume rispondendomi: “in the jungle… it is really difficult for us, it is smelling” (nel bosco… è molto difficile per noi, c’è un cattivo odore).

I migranti vanno a fare colazione alla Caritas. L’unico pasto che gli viene fornito al giorno è una scatoletta di tonno con un quarto di baguette, a volte un uovo, un frutto o un pezzo di colomba.

Tutto il resto del cibo che viene distribuito proviene dall’azione di privati, associazioni e centri sociali. Durante le visite incontriamo diversi sudanesi che ci raccontano la loro storia. (…)

Dalla stazione arriva una famiglia con un bambino di 5 mesi e mezzo. Sono partiti dal Sudan 10 giorni fa. Sono arrivati in aereo in Egitto, sono stati portati da un trafficante fino alla costa, dalla barca piccola a quella grande.

Con loro in barca c’erano 170 persone. Hanno pagato 4000 euro per tutta la famiglia per arrivare a Taranto. Tutte le donne con bambini viaggiano in un ambiente chiuso sottocoperta e i padri e i ragazzi sul ponte.

Ci raccontano che a Taranto vengono trattenuti tre giorni nell’Hotspot con la polizia che picchia e lascia senza acqua e senza cibo e senza possibilità di andare al bagno tutti quelli che non vogliono lasciare le impronte.

Il padre della famiglia per proteggere il figlio piccolo e la moglie decide di farsi identificare(…) (MEDU, xx cit)

Dopo la decisione della Prefettura di aprire un centro di transito tempora-neo, nasce una sorta di campo profughi nel Parco ferroviario del fiume Roja. Ciò è avvenuto dopo i tragici incidenti di metà agosto, che hanno portato alla morte per infarto del sovrintendente capo della Polizia di Stato di Genova, Diego

129 http://www.mediciperidirittiumani.org/comunicati-it-it/xxmiglia/

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Turra, e dopo la decisione del Ministero dell’Interno di reagire con misure dure alle proteste dei richiedenti asilo e dei no border con la decisione di trasferire nei centri del sud del paese i profughi rifiutatisi di chiedere asilo in Italia. Il Secolo XIX l’11 agosto 2016 scrive: “Le forze di polizia stanno setacciando Ventimi-glia strada per strada alla ricerca di tutti i profughi che non sono ospiti del centro di accoglienza al Parco Roja gestito dalla Croce Rossa”.

In quel centro le condizioni di vita sono descritte nei seguenti termini:Con l’apertura del centro di accoglienza per migranti in transito nella pro-

prietà delle Ferrovie dello Stato in frazione Bevera, i migranti ospiti nella chie-sa di Sant’Antonio hanno dovuto lasciare il quartiere delle Gianchette. Lì non possono più stare.

All’interno del centro allestito dalla Prefettura e gestito dalla Croce Rossa, però, il posto per tutti non c’è. E allora circa trecento migranti hanno continuato il valzer che da un anno li ha portati da una zona all’altra della città e si sono fermati, questa volta, in un’altra ala del parco Roja, quella pensata per acco-gliere il bestiame in partenza sui treni. Mai utilizzata per questo scopo, però, in quanto all’apertura del parco Roja era già in vigore il divieto di trasporto di animali vivi sui treni.

Ad occuparsi di loro, ora, sono associazioni umanitarie. Come la francese Une geste pour tous. Dieci i volontari presenti questa sera al cen-tro. “La situazione qui è disumana”, dicono, “Queste persone sono lasciate allo sbando. Non hanno la possibilità di lavarsi perché non c’è acqua. E manca anche l’elettricità.

A Bevera, ora, sono presenti circa trecento persone, tutti uomini, molti dei quali poco più che adolescenti. Vengono dal Sudan, raccontano, e sognano la Francia. Ma le frontiere sono chiuse e, nell’attesa di riuscire a varcare il con-fine, cercano sistemazioni di fortuna. Come quella al parco Roja. I loro servizi igienici? Sono i binari dei treni. L’acqua per bere la portano i volontari. Lavar-si, però, resta un problema130.

Su Ventimiglia vi sono ulteriori testimonianze, come quella dell’avvocato Alessandra Ballerini131 che scrive:

È difficile anche solo contarli. Nei locali della chiesa di san Antonio e sparsi nei cortili adiacenti, sono oltre mille, almeno cosi risultavano dalla conta di qualche ora prima. Poi, come accade ormai quasi quotidianamente, circa duecento di loro, prelevati a caso, sono stati caricati sui pullman della polizia

130 http://www.riviera24.it/2016/07/ventimiglia-migranti-emergenza-senza-fine-al-parco-roja-sono-300-senza-acqua-ne-luce-229876/131 www.alessandraballerini.com

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e riportati a forza in qualche centro per migranti (Cara o hot spot) del Sud Italia, in alcuni casi gli stessi centri dai quali si erano allontanati pochi giorni prima. Rimandati indietro, illogicamente, illegalmente e dispendiosamente, per essere sottoposti ancora (in alcuni casi per la terza o quarta volta) al prelievo delle impronte digitali. (…) Sono magrissimi, i profughi. Alti ma tutt’ossa. E pelle, spesso violata dalle torture subite nel Paese di fuga o in Libia. I nostri pantaloni dismessi, quelli che scout, associazioni di volontariato e singoli cittadini raccolgono da ogni dove, addosso a loro sembrano enormi. Moltissimi profughi poi, circa il 25 per cento di loro (ma la percentuale sale a 50 nel caso degli eritrei) sono minori non accompagnati.

Piccoli. Ci sono anche infanti, loro fortunatamente quasi sempre con la fa-miglia o almeno una parte, quella scampata alla guerra, alla prigionia e al mare. (…) Qui intorno gravitano i passeur che per un centinaio di euro offrono il loro bagagliaio e un biglietto di solo andata per l’ennesimo viaggio e un’ulti-ma speranza. È un laboratorio, Ventimiglia. Di umanità e di politica, nel senso nobile del termine.

Lo ripete anche il vescovo Suetta in un incontro «operativo» coi suoi «col-leghi» di Nizza e Monaco, con la sua consueta determinata chiarezza. Il potere in sé non è qualcosa di male ma dovrebbe offrire la possibilità di cambiare le cose, aveva detto Suetta poche sere prima, in un dibattito pubblico a Sanremo. E cambiare le cose, lo si capisce chiaramente in questo luogo che da una parte rappresenta l’accoglienza volontaria e autogestita, e dall’altra il confine isti-tuzionale, vorrebbe dire cambiare immediatamente alcune leggi e convenzioni.

Ed in primis quelle che impediscono ai profughi di scegliere il Paese in cui chiedere asilo e vivere e che impongono a uomini, donne e bambini in fuga di attraversare frontiere attraverso canali illegali in totale insicurezza. Caritas Europa, non a caso, ha presentato pochi giorni fa a Bruxelles una petizione a tutti i politici per «accogliere le persone umanamente”.

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dentro/fuori il sistema di accoglienza: i cie132

Per quanto non facciano a rigore parte del sistema di accoglienza, a conclusio-ne di questo excursus vogliamo dedicare uno spazio ai Centri di identificazione ed espulsione (Cie), le strutture in cui vengono trattenuti i migranti privi di un regola-re documento di soggiorno e in attesa di essere identificati e rimpatriati. Poiché tra questi vi sono spesso anche potenziali richiedenti asilo, si è ritenuto di soffermarsi anche su queste strutture e sul loro funzionamento, nonostante ufficialmente esse non rientrino nel sistema nazionale di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati.

L’istituzione dei Cie in Italia, con il nome originario di Centri di Perma-nenza Temporanea (Cpt), risale alla Legge 6 marzo 1998, n. 40, la cosiddetta Turco-Napolitano, poi confluita nel Decreto legislativo n. 286 del 1998 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero). L’articolo 14 di quel Decreto, modificato in seguito dalla Legge n. 189 del 30 luglio 2002, prevede che “quando non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento” alla frontiera, il questore “dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario” presso un Centro di identificazione ed espulsione.

La durata del trattenimento, inizialmente di 30 giorni (Legge Turco-Napoli-tano), è via via andata aumentando: dai 60 giorni previsti dalla Legge Bossi-Fini nel 2002 ai 180 giorni del Pacchetto sicurezza del 2008. Con il Decreto Legge del 23 giugno 2011 n. 89, il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è stato prolungato fino a 18 mesi complessivi. A ottobre del 2014, un emendamento dei senatori Luigi Manconi e Sergio Lo Giudice alla Direttiva europea 2013-33-bis ha consentito la riduzione del periodo massimo di tratte-nimento a 90 giorni. Il 2015 è stato il primo anno in cui l’emendamento è stato applicato producendo i primi effetti, anche se nei confronti di un numero esiguo di persone: 214 sono uscite dopo un mese perché provenivano dal carcere e 301 hanno raggiunto il limite previsto.

Il termine massimo di trattenimento è mutato ancora a settembre del 2015 con l’approvazione del Decreto legislativo n. 142. Quest’ultimo ha recepito la Direttiva 2013/33/UE sulle norme relative all’accoglienza dei richiedenti prote-zione internazionale e ha previsto, in alcune circostanze, la possibilità di tratte-nere fino a 12 mesi il richiedente asilo che costituisca “un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica” e per il quale sussista il “rischio di fuga”. La prima circo-stanza viene “desunta anche dalla sussistenza di condanne per determinati reati

132 A cura di Valentina Brinis, Associazione “A Buon Diritto”

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gravi, tra cui quelli per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. La valutazione è fatta caso per caso e può anche prescindere da una sentenza di con-danna”. Quanto al rischio di fuga da parte del richiedente, questo è stabilito caso per caso ma, in generale, si può manifestare in situazioni in cui “il richiedente ha in precedenza fatto ricorso sistematicamente a dichiarazioni o attestazioni false sulle proprie generalità al solo fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione”.

Il termine di 12 mesi fissa una durata massima: la misura restrittiva è man-tenuta solo finché sussistono i motivi che hanno determinato il trattenimento ed è sottoposto a convalida e a periodico riesame da parte del giudice competente. Tuttavia, le modifiche introdotte dal Decreto vanno sempre interpretate in modo conforme alla Direttiva 2013/33/UE, secondo cui il trattenimento in un Cie di un richiedente asilo è da intendersi come “extrema ratio”. Ciò significa che deve essere applicato solo laddove non sia possibile applicare le misure alternative al trattenimento indicate nell’art.14, comma 1-bis del D. lgs. n. 286/1998.

Nel 2015, i trattenuti che hanno inoltrato richiesta di asilo all’interno di un Cie - e che potenzialmente sarebbero potuti rientrare in quel provvedimento - sono stati 1.356 su un totale di 5.242 persone trattenute in quelle strutture, vale a dire circa il 25%.133

I centri di identificazione ed espulsione attualmente attivi in Italia hanno sede nelle città di Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Roma e Torino (quello di Trapani, attivo fino al 31 dicembre 2015, dal 1° gennaio 2016 è stato conver-tito in hotspot). Due di queste strutture, quella di Brindisi e quella di Crotone, sono state inaugurate nel mese di ottobre del 2015, tuttavia non si tratta di nuovi stabili, bensì di edifici che erano stati già utilizzati allo stesso scopo negli anni passati e che erano stati dismessi per varie ragioni. Quello di Crotone, ad esem-pio, era stato chiuso in seguito alla morte di un migrante lì trattenuto, avvenuta il 10 agosto del 2013. Un episodio, quest’ultimo, non ancora chiarito dalla ma-gistratura. Lo stesso centro era stato anche oggetto di ripetute segnalazioni per via di una gestione lacunosa attribuita alla scarsità dei fondi a disposizione, a causa del metodo “a ribasso” previsto dal Ministero dell’Interno per decretare il vincitore del bando.

La maggior parte dei centri di identificazione e di espulsione funziona a scartamento ridotto e ospita un numero di immigrati ben inferiore all’effettiva portata. Attualmente la capienza totale nei Cie è di 720 posti134. Tuttavia, il 10 maggio 2016 il capo del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Mini-133 Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione in Italia (Febbraio 2016), Senato della Repubblica - XVII Legislatura.134 Cfr. Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, op. cit.

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stero dell’Interno, Mario Morcone, ha dichiarato in audizione alla Commissione d’inchiesta sul sistema di accoglienza dei migranti: “Abbiamo sottoscritto l’im-pegno con l’Europa ad avere la disponibilità di 1.500 posti nei Cie e lo rispette-remo” (Ansa, Roma, 10 maggio 2016).

La riapertura dei due centri di Brindisi e Crotone è, inoltre, strettamente col-legata con quanto previsto a maggio del 2015 dalla Commissione europea, con l’adozione dell’Agenda europea sulla migrazione. In quel piano, infatti, sono sta-te stabilite le misure minime per governare i flussi migratori con una prospettiva a breve, medio e lungo termine. Una di queste misure minime consiste nell’a-pertura di centri in cui applicare la procedura hotspot al fine di identificare tutti i migranti che giungono in Italia. I centri di accoglienza in cui questa nuova proce-dura è stata da subito sperimentata sono i Centri di Primo Soccorso e Accoglienza (Cpsa) di Catania, Trapani, Pozzallo e Taranto, vale a dire le strutture collocate nei luoghi di sbarco, dove i migranti sono sottoposti, subito dopo l’arrivo, a una serie di operazioni quali lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registra-zione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici. La sede di Catania, invece, è stata scelta come luogo in cui opera la Task Force Regionale (EURTF) dell’Ue.

Il momento dell’ingresso nell’hotspot rappresenta, dunque, un passaggio molto delicato per il singolo migrante. È in questa fase, infatti, che viene stabi-lito chi accederà alla procedura di relocation, chi a quella prevista per inoltrare richiesta d’asilo in Italia e quanti, invece, debbano essere rimpatriati in quanto privi dei requisiti per rimanere regolarmente sul territorio europeo e italiano. Questi ultimi, come si legge nel punto 2 della procedura di ricollocamento inse-rita nella Roadmap italiana, “saranno trasferiti in apposite strutture (Centri per l’identificazione e l’espulsione - Cie) per il seguito degli accertamenti”.

La difficoltà maggiore della procedura hotspot è l’identificazione certa delle persone che giungono in Italia, che non consiste solo nel determinarne l’identità, ma anche lo status giuridico e, dunque, le motivazioni che hanno determinato l’emigrazione. Il rischio è che il tempo a disposizione, unitamente all’ingente mole di lavoro, incidano negativamente su tali procedure portando a una cernita di chi può e di chi non può fare ingresso in Europa basata su automatismi, più che su attente valutazioni che tengano conto dei singoli casi. Sarà importante, dunque, non soffermarsi primariamente – né tanto meno esclusivamente – sulla provenienza geografica delle persone, bensì sulla loro storia individuale, perché da questa analisi dipenderà la decisione finale del rimpatrio o, viceversa, dell’accesso all’asilo.

È questo passaggio a rappresentare il nesso tra le esigenze europee, da un lato, e le strutture di trattenimento italiane, dall’altro. Ed è per far fronte a tali richieste che l’Italia (il Dipartimento di Pubblica Sicurezza) ha dato il via a forme

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di cooperazione operativa con le autorità competenti dei paesi dai quali hanno origine i flussi migratori, in particolare con Costa d’Avorio, Ghana, Senegal, Bangladesh e Pakistan.

Se questa è la politica che si è deciso di attuare, affinché possa risultare so-stenibile ed efficace da punto di vista operativo, in conformità con quanto richie-sto dall’approccio hotspot, richiede necessariamente all’Italia di incrementare il numero di posti disponibili all’interno dei Cie nazionali. Questa constatazione lascia presumere, come tra l’altro già anticipato dallo stesso Ministero dell’Inter-no, che vengano riaperti alcuni vecchi Cie, in particolare quello di Milano (132 posti) e quello di Gradisca d’Isonzo (248 posti). Ma senza la messa a punto di strategie condivise con i paesi di provenienza per completare l’identificazione, è anche evidente che non sarà possibile rispettare alla lettera le indicazioni dell’A-genda Europea. I rimpatri, infatti, possono essere effettuati solo verso quei paesi con cui esiste un accordo di riammissione. In passato, l’Italia ha formalizzato intese di questo tipo con l’Egitto nel 2007 e con la Tunisia nel 2011; più recen-temente, con la Nigeria e il Marocco.

Le 290 persone rimpatriate attraverso voli Frontex nel 2015 (153 verso l’E-gitto e la Tunisia e 137 verso la Nigeria) sono solo una minima parte di quelle destinatarie di un decreto di espulsione o trattenute nei Cie italiani. In essi, dal 1° gennaio al 20 dicembre 2015, sono transitate complessivamente 5.242 persone, di cui 2.746 effettivamente rimpatriate. Significa che il 52% dei trattenuti è stato effettivamente riportato nel proprio paese, un dato in linea con quello degli anni scorsi, quando il valore si è sempre aggirato intorno a una media del 50%.

Anche per quanto attiene le espulsioni, si rilevano dati similari. Il Capo della Polizia, infatti, nel corso di un’audizione alla Camera presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, ha relazionato in merito agli stranieri effettivamente allontanati dall’Italia in seguito a un provvedimento di espulsione, dichiarando che nel 2015 la percentuale è stata del 46% su un totale di 34.107 stranieri interessati da tale disposizione (per cui il 54%, pari a 18.128 persone, non sarebbe stato allontanato dal territorio nazionale).

Gli stranieri trattenuti nei Cie e che non vengono materialmente rimpatriati, possono uscire dal Cie per varie ragioni: alcuni riescono a regolarizzare la loro posizione sul territorio italiano nel periodo della reclusione, altri scelgono la via del ritorno volontario assistito135 (411 nel 2015), altri escono dopo aver raggiun-to il limite massimo di permanenza previsto dalla normativa. In questo scenario,

135 Il Ritorno Volontario Assistito (RVA) è una misura concessa ai cittadini dei paesi terzi presenti nei paesi Ue per ritornare in modo volontario e consapevole nel proprio paese di origine in condi-zioni di sicurezza e con un’assistenza adeguata. È prevista dalla Direttiva Ue Rimpatri del 2008 e in Italia è regolata dalla L. 129/2011 e dalle relative Linee Guida.

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quindi, la misura del rimpatrio volontario assistito andrebbe rafforzata ed estesa, soprattutto quando si parla di alternative al trattenimento cui gli stranieri dovreb-bero avere diritto (ad eccezione dei casi in cui, come previsto dalla normativa, sussista un pericolo di fuga).

Il regolamento unico dei cieIl 20 ottobre 2014 il Ministero dell’Interno ha approvato il regolamento re-

cante i “Criteri per l’organizzazione e la gestione dei centri di identificazione ed espulsione previsti dall’articolo 14 del Decreto legislativo 25 luglio 1998, 286 e successive modificazioni”. L’intervento risponde all’esigenza di assicu-rare regole e livelli di accoglienza uniformi per l’organizzazione dei Cie e per l’erogazione dei servizi all’interno degli stessi. Nel documento vengono stabiliti i parametri per l’assistenza linguistico-culturale, la tutela della salute, la libertà di corrispondenza e il diritto di ricevere visite. Inoltre, sono indicati i soggetti au-torizzati all’accesso e la procedura per richiederlo. L’articolo 2, poi, precisa quali sono i diritti della persona che sta per essere trattenuta. Viene dato molto rilievo all’informativa iniziale che deve essere garantita dall’ente gestore, il quale si do-vrà avvalere, qualora risulti necessario, di un mediatore. Alla persona trattenuta saranno elencati i diritti e i doveri, oltre che le modalità del trattenimento e le regole di convivenza all’interno della struttura.

Il Regolamento include anche la Carta dei diritti e dei doveri dello straniero recluso nel Cie. Si tratta di un documento, inserito come allegato al Regolamen-to unico dei centri, che deve essere consegnato in copia a ciascun straniero e che sancisce, tra le altre cose, il diritto della persona trattenuta a essere informata, a esprimersi nella propria lingua o in un’altra lingua conosciuta, la libertà di culto, la libertà di corrispondenza epistolare e telefonica.

Nonostante il Regolamento rappresenti un documento molto importante per la gestione dei Cie, bisogna segnalare che, tra gli aspetti che dovrebbero essere ancora potenziati, vi è certamente la necessità di favorire una costante collabora-zione tra i centri e le amministrazioni locali dei territori in cui questi si trovano. Attualmente, infatti, anche se il rapporto con i servizi territoriali è intenso – si pensi al caso di chi, una volta uscito, si inserisce nel circuito locale dell’acco-glienza – manca l’autorizzazione all’ingresso degli amministratori locali all’in-terno dei Cie. Certamente, come spesso accade, di fronte a una richiesta presen-tata formalmente alla Prefettura da parte di un consigliere comunale la risposta difficilmente è negativa, ma ciò non toglie che prevedere stabilmente il diritto di accesso e di ingresso degli amministratori locali, alla pari di quanto previsto per i membri del Parlamento, renderebbe più fluido e più stretto il legame con il Comune di appartenenza del centro.

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L’importanza di questa previsione viene ribadita perché, in molte occasio-ni, è risultato che il Cie si sia trovato a usufruire dei servizi messi a disposi-zione dall’amministrazione locale senza che alcun rappresentante della stessa conoscesse l’ente gestore e fosse mai entrato in contatto con il centro. A questo proposito un caso emblematico è rappresentato dalla vicenda delle 68 donne nigeriane inviate in poche ore nel Cie di Ponte Galeria a Roma direttamente dai luoghi dello sbarco. Due di loro sono da subito risultate in stato di gravidanza e, dunque, trasferite in un centro idoneo, mentre le altre hanno presentato domanda di asilo. L’uscita dal centro delle prime due ha però richiesto l’intervento degli assistenti sociali, che sono stati contattati direttamente dall’ente gestore. Ed è questo il passaggio cruciale, perché in realtà, stando alle previsioni attuali, l’ente gestore non era tenuto a farsene carico, dal momento che le donne erano state già rilasciate. L’amministrazione del centro, infatti, non ha alcuna convenzione con il Comune territorialmente competente e, nel caso in questione, i due soggetti interessati, vale a dire i servizi sociali e l’ente gestore, hanno amministrato la vi-cenda indipendentemente dall’esistenza di un accordo formale. Da questo esem-pio, seppure dall’esito positivo, si evince l’importanza di pervenire alla messa a punto di una formalizzazione dei canali e delle modalità di comunicazione tra questi soggetti.

Per quanto concerne gli aspetti sanitari, l’articolo 3 del Regolamento fa esplicito riferimento alla possibilità di sottoscrivere protocolli d’intesa con strut-ture sanitarie pubbliche per assicurare la somministrazione di cure e servizi spe-cialistici. Attraverso questo strumento, viene data la possibilità agli operatori sanitari interni al centro di garantire un’assistenza medica completa agli ospiti affetti da patologie specifiche, avendo particolare attenzione per quelle misure necessarie per il sostegno di situazioni vulnerabili, oltre che di assicurare agli ospiti i necessari approfondimenti diagnostico-terapeutici.

I trattenutiAll’interno dei Centri di identificazione ed espulsione vengono trattenute

persone straniere irregolari maggiorenni. Questo status può essere, però, perma-nente o transitorio e può riguardare persone e condizioni anche molto differenti.

Un caso molto delicato è quello di chi, pur essendo irregolare, abbia in passa-to vissuto una lunga fase di regolarità. È quanto accade, per esempio, a chi perde il lavoro o a chi non abbia rinnovato il permesso di soggiorno per più di 12 mesi.

Altro caso critico è quello dei neo-maggiorenni che, tutelati per legge finché erano minorenni, con il passaggio alla maggiore età non riescono a rinnovare il permesso di soggiorno.

Tra i casi ambigui e problematici c’è anche quello degli apolidi che non han-

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no ancora presentato domanda di riconoscimento di tale status, anche quando però siano in Italia da molto tempo. E, in ultima istanza, non si può trascurare la presenza degli ex-detenuti.

Uno dei paradossi dei Cie è il trattenimento in essi di persone che sono inespellibili. E ciò è ancora più grave quando una valutazione sulla non espelli-bilità sia stata già fatta durante un precedente trattenimento. Un esempio chiaro è quello dei rom che, come è stato riscontrato nel corso delle visite nei centri, vengono più volte reclusi perché non sanano mai la loro posizione giuridica. Una soluzione potrebbe essere quella del riconoscimento dell’apolidia, che evi-terebbe loro di essere ripetutamente portati in un Cie per essere identificati. Ma questa procedura, anche quando accessibile, non viene quasi mai attivata, e così accade che ci siano persone che vengono trattenute anche 6-7 volte. L’aspetto che più colpisce è che in rari casi queste esperienze si concludono con l’avvio di un procedimento di regolarizzazione. Una simile situazione ha indotto la Com-missione diritti umani del Senato, in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e il Consiglio italiano per i rifugiati (CIR), a lavorare alla stesura di un ddl sull’apolidia. In Italia, infatti, manca una normativa organica su questa materia, che consenta alle persone apolidi di essere riconosciute e di godere dei diritti – nonché di adempiere ai doveri – previsti a livello internazionale. Il ddl è stato presentato alla fine di novembre 2015 ma, fino a che non sarà discusso e approvato, in Italia continua a vigere la procedura attuale, che non garantisce la risoluzione del problema dei rom nei Cie. Questi continuano ad esservi trattenuti senza migliorare in alcun modo la propria situa-zione.

Un’altra criticità riguarda le vittime di tratta o potenziali tali. Nel 2015 si è registrato un aumento degli arrivi via mare di donne provenienti dalla Nigeria, potenziali vittime di tratta (4.371 rispetto alle 1.008 nell’anno precedente). A rendere noto questo dato è stata l’Organizzazione Internazionale per le Migra-zioni (OIM), che svolge un lavoro di informativa al momento dello sbarco per rendere le donne in grado di procedere con una segnalazione, se non con una vera e propria denuncia, qualora si trovino in una situazione di sfruttamento (palese o non). Tuttavia, quello dello sbarco non è l’unico momento in cui è pos-sibile intervenire. Molte delle donne che arrivano in Italia presentano domanda di asilo e, dunque, affrontano il colloquio presso la Commissione Territoriale. In tale contesto è possibile, da parte dei membri della Commissione, individuare situazioni critiche e provvedere a segnalare l’urgenza di una protezione. Una situazione emblematica è quella accaduta nel Cie di Ponte Galeria e prima citata. Questo centro è l’unico in cui esiste il reparto femminile e per questo vi giun-gono spesso donne, per lo più nigeriane, inviate direttamente dopo lo sbarco.

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Sono donne che non hanno alcuna nozione del paese in cui si trovano e che dell’Italia non hanno visto altro che le strutture preposte all’identificazione. Non esiste alcun nesso diretto tra l’invio nel Cie e il fenomeno della tratta, ma un indicatore utile – come suggerisce la letteratura sull’argomento – può essere proprio la presenza di un numero così elevato di giovani donne, tutte della stessa nazionalità, e per lo più provenienti dalla Nigeria. Le interviste a cui sono state sottoposte non hanno fatto emergere con chiarezza il motivo del loro arrivo in Italia e anche le modalità non appaiono sospette. Bisogna anche considerare che, stando alla normativa vigente, se non vi è da parte della vittima una denuncia della sua condizione di trafficata (non è invece richiesta la denuncia esplicita dei trafficanti e/o sfruttatori), non è possibile ricondurre quelle situazioni al traffico e allo sfruttamento. Molto spesso le donne coinvolte non sono consapevoli di ciò che accadrà loro e del motivo per cui il loro viaggio, che per tutti gli altri migranti ha un prezzo altissimo, sia stato interamente pagato da una persona a loro sconosciuta. Ciò rende anche difficile il riconoscimento della protezione internazionale e dello status di rifugiato.

Le raccomandazioni, in questo caso, sono molte. La principale è rivolta a tutti i soggetti istituzionali, presenti al momento dello sbarco, affinché prestino la massima attenzione a quanto accade e, quando possibile, prendano immediati provvedimenti per limitare il fenomeno del traffico di esseri umani. Si tratta dunque di attuare quanto prima il Piano Nazionale Antitratta in cui queste indi-cazioni sono ben riportate.

Una nota ed ulteriore criticità è l’alta presenza nei Cie di stranieri che pro-vengono direttamente dal carcere. Queste persone, non essendo state identificate anche dopo una detenzione molto lunga, vengono trasferite nei Cie per procede-re a questa operazione ed, eventualmente, all’espulsione. Una volta convalidato il trattenimento, però, la scarsa collaborazione con il Consolato del paese in cui la persona dovrebbe fare ritorno, fa sì che il rimpatrio non sia immediato. E dun-que quel periodo di tempo si trasforma in una seconda detenzione. Per rimediare a questo problema il governo aveva emanato il Decreto legge n. 146 del 2013, recante misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria. Nel decreto venivano intro-dotte alcune disposizioni in materia di trattenimento degli immigrati, interpre-tando la misura dell’espulsione come alternativa alla detenzione e ipotizzando un’accelerazione delle procedure di identificazione (art. 6). Nel 2014 doveva essere reso operativo un tavolo di coordinamento tra Giustizia e Interno al fine di migliorare le procedure per l’identificazione dei detenuti stranieri. Il Direttore dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere, tuttavia, in una recente audi-zione alla Camera dei Deputati ha dichiarato che questo lavoro sarebbe in corso.

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Gli uffici immigrazione della Polizia possono consultare i dati del Sidet (il Siste-ma informativo detenuti) per stabilire con buona approssimazione l’identità di un soggetto e dare avvio al processo di identificazione. Le possibilità di mettere a punto un sistema di identificazione valido e funzionante già dal carcere, quindi, ci sono, ma sono ancora scarsamente utilizzate.

conclusione sui cIeCon l’introduzione della procedura hotspot voluta dall’Ue, i Cie hanno as-

sunto un ruolo ancora più decisivo nell’esecuzione dei provvedimenti di espul-sione degli stranieri irregolari, tanto che talvolta sembra quasi che siano l’unico strumento utilizzato. Questa impostazione, tuttavia, contravviene alle indicazio-ni impartite dalla Direttiva Rimpatri (2008/115/CE45 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008) che prevede il ricorso a strumenti meno coercitivi del trattenimento nei Cie. Nello stesso documento viene anche au-spicato che il “ricorso al trattenimento sia limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti e solo nel caso in cui l’uso di misure meno coercitive sia insufficiente”. L’approvazio-ne del Decreto legislativo 142/2015 deve essere sempre interpretata, quindi, in modo conforme alla direttiva 2013/33/UE (art. 8, parr. 2 e 4), che prevede “il trattenimento in un centro di identificazione e di espulsione come extrema ratio” che può essere disposta quando non sia possibile applicare alcuna delle misure alternative indicate nell’art. 14 comma 1-bis del d.lgs 286/1998.

Da quanto riportato dalla Commissione straordinaria per la tutela e la pro-mozione dei diritti umani, invece, risulta che in Italia non sempre il trattenimen-to è l’ultima delle opzioni considerate. La relazione diretta e sempre più stretta tra l’ingresso irregolare via mare, la compilazione del “foglio notizie” e l’ingres-so nel Cie è indicativa di come l’Italia si trovi in difficoltà di fronte all’obbligo del rispetto delle normative europee. E, nel caso dei Cie, ciò appare evidente. Se infatti è stato ampiamente dimostrato che essi svolgono la loro funzione solo per metà – i trattenuti rimpatriati sono poco più del 50% del totale dei transitati - e che primariamente debba essere accertata l’efficacia di altre misure per l’iden-tificazione e per il rimpatrio, la posizione dell’Italia dovrebbe essere tesa alla chiusura dei Cie, più che a un loro aumento.

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3. raccomandazIonI, rIchIeSte, concluSIonI deSunte daI rapportI

Prima di provare a trarre delle conclusioni da questo viaggio attraverso i centri di accoglienza in tutta la penisola, riportiamo le richieste e le raccoman-dazioni formulate da numerose associazioni e strutture di intervento umanitario, che, seppure non necessariamente condivisibili in toto, né sempre compatibili tra di loro, permettono di evidenziare quelli che ad oggi risultano essere gli aspetti ritenuti più problematici dal mondo dell’associazionismo e del volontariato.

Prenderemo in considerazione soltanto alcune delle raccomandazioni for-mulate, vale a dire quelle presentate dalle strutture di cui abbiamo analizzato e riportato i materiali (Medu, Naga, Oxfam), le richieste del Tavolo Nazionale Asilo (cui aderiscono numerose associazioni), quelle di Medici Senza Frontie-re e concluderemo con quello che oggi è il più ampio tentativo di sintesi delle richieste avanzate dal mondo sociale per riformare il sistema di accoglienza ita-liano, il Non paper curato da Open Society Fondation e frutto del confronto tra numerose organizzazioni quali: A Buon Diritto, Arci, Asgi, Be Free, Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili, Consiglio Italiano per i Rifugiati, LasciateCIEn-trare, Legal Clinic - Università di Roma Tre, Lunaria, Medici per i Diritti Umani, Parsec, Refugee Welcome Italia.

Potremmo sintetizzare, senza pretesa di esaustività, i punti su cui le loro le loro raccomandazioni si focalizzano. nei seguenti termini:

1. Garantire un indirizzo univoco e chiaro da parte del servizio pubblico ca-pace di offrire una programmazione e organizzazione di un sistema di ac-coglienza non basato su un approccio emergenziale, ma sulla previsione dei flussi, per esempio attraverso: - l’incremento della capacità attuale dello SPRAR (che attualmente co-

pre meno del 15% dei posti disponibili), per tendere in prospettiva a uniformare l’accoglienza in un unico sistema;

- l’incremento della partecipazione degli Enti locali al sistema Sprar - la semplificazione e standardizzazione del rapporto dei centri con gli

enti locali /regionali. 2. Predisporre organismi e procedure di controllo e monitoraggio indipendenti

dei servizi offerti, anche attraverso l’introduzione dell’obbligo di rendicon-tazione dettagliata dei servizi di accoglienza erogati nel caso di affidamento diretto da parte delle Prefetture.

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3. Garantire un’accoglienza il più possibile diffusa sul territorio, per - evitare eccessive concentrazioni e abolire i grandi centri collettivi atti-

vando una relazione proficua con il terzo settore e il territorio, per un reale inserimento nelle comunità locali;

- definire protocolli operativi per l’accoglienza “in famiglia”.

4. Offrire interventi di accoglienza integrata, capaci di garantire misure d’in-formazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, percorsi indivi-duali d’inserimento sociale e lavorativo, che prevedano: - l’insegnamento della lingua; - una corretta informazione ai richiedenti asilo sui loro diritti e doveri - l’iter per l’iscrizione al SSN reso più snello e rapido - l’offerta di servizi di consulenza ed orientamento legale anche per ga-

rantire al richiedente asilo un’adeguata preparazione per sostenere al meglio l’audizione di fronte alla Commissione Territoriale.

5. Offrire servizi di mediazione linguistico culturale e includere un mediatore culturale in ogni struttura.

6. Sviluppare progetti e iniziative di inclusione sociale, lavorativa, culturale e sportiva capaci di offrire: - il riconoscimento dei titoli di studio; - i percorsi di formazione professionale; - l’attivazione di tirocini professionali; - il sostegno all’autonomia abitativa.

7. Individuare precocemente i soggetti più a rischio e incrementare il numero di progetti che rispondono alle esigenze dei più vulnerabili, come le vittime di tortura e le persone con disagio psichico post-traumatico minori non ac-compagnati, donne che viaggiano sole o in stato di gravidanza, persone che hanno subito traumi fisici o psichici, malati o portatori di handicap.

8. Promuovere un’organizzazione interna dei centri che innalzi gli standard qualitativi dei servizi offerti con l’obbligo di un numero minimo di operato-ri nell’area psicologica, socio-assistenziale, legale, nonché un numero mi-nimo di mediatori culturali, per favorire la comunicazione tra gli operatori dei CAS e gli ospiti ed il loro processo d’integrazione.

9. Garantire che le procedure per il ricollocamento vengano accelerate e in-

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cludano comunque un colloquio tra il richiedente e operatori indipendenti sui legami e le preferenze della persona rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea.

10. Promuovere una normativa univoca e coerente con il sistema legislativo nazionale degli hotspot e delle procedure di foto-segnalamento e identifi-cazione, che escludano mezzi coercitivi e garantiscano il rispetto dei diritti fondamentali.

Tuttavia, è tornato utile illustrare nelle pagine seguenti le raccomandazioni delle diverse organizzazioni, così come sono descritte nei rapporti, per due ragioni: - la prima è che l’allineamento di questi documenti, l’uno dopo l’altro, mo-

stra quanto siano comuni i punti di vista di organizzazioni pur diverse tra loro, che hanno storie e programmi differenziati, ma indicano punti di con-vergenza su cui lavorare insieme;

- la seconda è che già esistono alcune forme di piattaforme condivise (se non da tutte, da gran parte delle associazioni): le posizioni del Tavolo Asilo, il Non paper di Open Society Foundations, che riportiamo di seguito e che rendono inutile elaborare un’ ulteriore sintesi.

raccomandazioni di medici per i diritti umani (medu)136

MEDU ritiene assolutamente prioritario, da un lato superare la logica di un sistema d’accoglienza “capovolto”, in cui l’emergenziale diventa ordinario, dall’altro promuovere l’ampliamento strategico del sistema SPRAR, l’unico che si è dimostrato effettivamente in grado di garantire condizioni di vita dignitose e servizi di qualità, come anche di facilitare l’integrazione con il territorio. Una gestione efficiente e sostenibile degli attuali flussi di migranti non può prescin-dere da interventi di accoglienza integrata, che prevedano misure d’informazio-ne, accompagnamento, assistenza ed orientamento, come anche dalla costru-zione di percorsi individuali d’inserimento sociale e lavorativo. Si suggerisce inoltre di:

- incrementare il numero di progetti che rispondono alle esigenze dei più vulnerabili, incluse le vittime di tortura e le persone con disagio psichico post-traumatico, che costituiscono una percentuale conside-revole del totale dei migranti ospiti dei centri di accoglienza sul terri-torio italiano;

- garantire un’accoglienza il più possibile diffusa sul territorio, che eviti 136 Medu, Asilo precario. I Centri di Accoglienza Straordinaria e l’esperienza di Ragusa, aprile 2016, pp. 35-37.

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eccessive concentrazioni e non riproduca logiche di segregazione so-ciale;

- nel caso in cui i posti SPRAR non siano immediatamente disponibili, garantire una permanenza in strutture temporanee come i CAS per non più di un mese e la tempestiva segnalazione al servizio SPRAR.

- Per quanto riguarda il sistema CAS attualmente in funzione, MEDU propone di:

1) Struttura e collocazione: - Garantire in ogni CAS spazi comuni al fine di favorire la socializzazio-

ne e spazi dedicati per le attività culturali e religiose. - Nei casi in cui i CAS si trovino in zone isolate, è importante definire le

modalità di trasporto esistenti verso i centri abitati ed eventualmente garantirne delle nuove.

2) Numero e formazione degli operatori: - Definire un numero minimo di operatori nell’area psicologica (come

previsto nel nuovo bando), socio-assistenziale, legale, nonché un nu-mero minimo di mediatori culturali, al fine di favorire la comunica-zione tra gli operatori dei CAS e gli ospiti ed il loro processo d’in-tegrazione, stabilendo le basi per un maggiore equilibrio sociale e psicologico dell’ospite.

- Garantire corsi di formazione e spazi di confronto per gli operatori che lavorano all’interno dei CAS, per ottimizzare l’intervento a bene-ficio degli ospiti.

3) Regolamento interno e pocket money: - Garantire ai richiedenti asilo una corretta informazione sui loro diritti

e doveri. - Monitorare e garantire che il pocket money possa essere regolarmente

riscosso dai richiedenti asilo al fine di garantire una minima autono-mia economica.

4) Assistenza sanitaria: - La documentazione medica dei richiedenti asilo elaborata dalle struttu-

re di prima accoglienza deve essere regolarmente trasmessa ai CAS per garantire la continuità terapeutica.

- Necessario rendere più snello e rapido l’iter per l’iscrizione al SSN per i richiedenti asilo.

- Garantire il diritto alle cure anche durante il periodo finestra tramite li-nee guida elaborate degli organi preposti (Prefettura, Questura e ASP).

- Garantire l’accesso al medico di base assicurando possibilità di tra-sporto anche dai CAS più isolati.

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5) Assistenza psicologica: - I migranti risiedenti nei CAS sono soggetti particolarmente vulnerabili

per lo sviluppo di psicopatologie post-traumatiche; è necessario quin-di individuare precocemente i migranti più a rischio al fine di preveni-re o curare eventuali disturbi psichici legati ai molteplici traumi subiti ed evitare così la cronicizzazione del disagio mentale.

- La presenza di uno psicologo in ciascun centro può rappresentare un elemento di stabilità e di fiducia per affrontare sia l’iter della richiesta d’asilo sia il percorso d’integrazione oltreché essere un punto di rife-rimento specialistico nell’individuazione delle vulnerabilità.

- La presenza dello psicologo può aiutare a leggere le dinamiche grup-pali, talora molto importanti nei contesti comunitari come i CAS, in cui il disagio psichico è complesso, notevole e fortemente caratterizzato dall’appartenenza ad uno specifico gruppo culturale.

- Promuovere la formazione del personale dei servizi territoriali di sa-lute mentale sulle tematiche relative al disagio mentale nei migranti.

6) Servizi di consulenza ed orientamento legale: - Garantire al richiedente asilo un’adeguata preparazione per sostenere

al meglio l’audizione di fronte alla Commissione Territoriale. - Garantire un numero sufficiente di colloqui con un legale supportato

da un mediatore culturale prima dell’audizione presso la Commissio-ne Territoriale.

- Comunicare agli ospiti eventuali spostamenti in altri CAS/altre strut-ture in tempi adeguati, al fine di dare loro tempo sufficiente per prepa-rarsi al cambiamento.

7) Mediazione linguistico culturale: - Includere un mediatore culturale in ogni struttura e garantire la sua

partecipazione ai momenti di orientamento, alle visite mediche, agli incontri con lo psicologo, alla preparazione all’audizione con la Com-missione Territoriale e alla raccolta delle informazioni necessarie per il ricorso in caso di diniego.

- Garantire adeguati momenti di formazione ai mediatori impiegati nelle strutture, da condividere anche con gli altri operatori, al fine di valorizzare il loro ruolo nell’erogazione dei servizi e nei rapporti con istituzioni e servizi locali.

8) Insegnamento della lingua italiana ed inserimento socio-lavorativo: - Fondamentale garantire l’insegnamento della lingua italiana con cri-

teri di continuità e di qualità per favorire il processo d’integrazione. - Sviluppare progetti e iniziative di inclusione sociale, lavorativa, cultu-

rale e sportiva.

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Si raccomanda infine di predisporre al più presto organismi di controllo e monitoraggio indipendenti, incaricati di effettuare ispezioni periodiche al fine di supportare le Prefetture e la Commissione Parlamentare d’Inchiesta nella verifica regolare non solo dell’effettiva erogazione del servizio, ma anche il ri-spetto degli standard qualitativi minimi, soprattutto in riferimento agli aspetti di seguito elencati: - Rispetto degli standard strutturali e operativi; - Presenza nei centri del numero minimo di operatori previsto e loro compe-

tenze; - Tempistiche per l’ottenimento della tessera sanitaria e dell’effettiva eroga-

zione del servizio di assistenza sanitario e socio-psicologico; - Tempistiche per segnalazione di singoli casi (specialmente i più vulnerabi-

li) ai fini dell’accoglienza nel sistema SPRAR.

le richieste da parte di naga137

Per quanto riguarda invece il sistema attuale, emerso nel corso del report, due raccomandazioni sono auspicabili nell’ottica di un superamento per lo meno delle criticità macroscopiche.

1. Una delega che mantenga una governance forteSe la delega al terzo settore di alcuni compiti in passato assunti diretta-

mente dallo Stato è – lo si condivida o no – un processo culturale e normativo avviato su larga scala, questo non significa una delega totale, senza sistemi di controllo e di governance. La mancanza di un indirizzo univoco e chiaro sta a monte del maggior numero di criticità del sistema. Il mantenimento di una regia forte da parte del servizio pubblico consentirebbe di eliminare molte delle di-sfunzioni del sistema e di garantire standard comuni e adeguati di accoglienza riducendo largamente le conseguenze dell’eterogeneità dell’offerta dei servizi.

Questa governance potrebbe essere portata avanti attraverso: - nessun rinnovo di convenzioni a enti che non erogano i servizi previsti

dalle convenzioni firmate con le prefetture (ciò quindi presupporrebbe l’esistenza di un sistema di controllo della qualità del servizio appaltato);

- nessun rinnovo e approfondimento automatico delle indagini sugli enti che hanno comportamenti ai margini della legalità o che sono coinvolti in inchieste giudiziarie;

- introduzione di standard di assegnazione dell’appalto legati alla quali-

137 Naga, (Ben)venuti. Indagine sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo a Milano e provincia, aprile 2016, pp. 39-41.

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tà del servizio e non basati sulla logica del “ribasso”; - meccanismi economici che garantiscano la sostenibilità agli enti “vir-

tuosi”, predisponendo un sistema di controllo e verifica dei servizi of-ferti, non soltanto da un punto di vista economico (di verifica e rendi-contazione delle spese effettuate), ma anche qualitativo;

- meccanismi di premialità per gli enti che mettono in atto azioni volte alla prosecuzione del progetto dopo il periodo di accoglienza e alla sostenibilità economica;

- semplificazione e standardizzazione del rapporto con gli enti locali at-traverso indicazioni da parte del Ministero dell’Interno sull’operativi-tà che gli enti locali (su base per lo meno Regionale) devono seguire per rispondere sia agli enti gestori che accompagnano e orientano gli ospiti, sia al singolo ospite che si rivolge loro per avere informazioni su residenza, tessera sanitaria, esenzione ticket, accesso a formazione e lavoro ecc... Laddove indicazioni siano già fornite, formazione per i dipendenti e i funzionari degli enti locali;

- attuazione da parte delle prefetture di meccanismi di monitoraggio e re-visione delle convenzioni, anche attraverso la considerazione del punto di vista degli accolti e degli operatori, visite a sorpresa agli enti con-venzionati, controllo dei bilanci delle strutture.

2. Superamento della logica emergenziale - Programmazione e organizzazione di un sistema di accoglienza non

basato su un approccio emergenziale, ma che consideri i richiedenti asilo – e più in generale le migrazioni – come un fenomeno strutturale della società contemporanea, fenomeno che non è di per sé foriero di conseguenze negative, ma le cui conseguenze variano a seconda del modo in cui viene letto e affrontato;

- eliminazione del “doppio sistema” – accoglienza prefettizia e SPRAR – e uniformazione dell’accoglienza a un unico sistema conforme alme-no agli standard SPRAR;

- progressivo inserimento strutturale nel sistema di accoglienza di “uno sguardo al futuro” attraverso elementi volti a realizzare l’inclusione sociale delle persone e la coesione delle comunità di appartenenza;

- quote, proporzionate alla popolazione, per tutti i Comuni italiani, di richiedenti asilo e rifugiati, puntando a un modello di accoglienza dif-fuso su tutto il territorio nazionale, abolendo i grandi centri collettivi (creazione di centri di massimo 4-5 persone), attivando una relazione proficua con il terzo settore e il territorio, per un reale inserimento nelle comunità locali;

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- prolungamento dei tempi di durata dei progetti SPRAR per garantire autonomia a una persona che si trova a vivere in un territorio comple-tamente nuovo.

le richieste di oxfam138 Nell’immediato:

- Quanto avviene negli hotspot sia precisato dalla normativa comunita-ria e nazionale.

- Tutti i migranti, come stabilito dalla legge, ricevano informazioni circa i loro diritti, compreso quello di poter richiedere protezione interna-zionale, in forma e lingua a loro effettivamente comprensibile.

- Le procedure di identificazione e registrazione si svolgano nel pieno rispetto dei diritti umani. In particolare, in entrambi i momenti deve essere presente un organo di garanzia indipendente dal Ministero dell’Interno.

- Nessun migrante sia respinto senza che il suo caso sia stato valutato singolarmente, anche stante il fatto che nessuna norma attribuisce alle forze dell’ordine la facoltà di distinguere un richiedente protezione in-ternazionale da un migrante irregolare.

- Nessun migrante sia trattenuto nei centri di accoglienza al solo fine di essere identificato.

- Nessun migrante sia costretto con misure coercitive (violenza, intimi-dazione, trattenimento a tempo indeterminato) a sottostare alle proce-dure di identificazione e foto-segnalamento.

- Sulle navi, presso i punti di sbarco e i centri dove avvengono le prime operazioni di identificazione siano presenti in numero proporzionato all’entità degli arrivi operatori e mediatori qualificati appartenenti a organizzazioni della società civile, con funzioni di supporto, facilita-zione e monitoraggio del rispetto dei diritti dei migranti.

- Nei centri sia garantito l’accesso a parlamentari nazionali e europei, giornalisti, esponenti della società civile che ne abbiano fatto richie-sta.

- Specifici percorsi protetti siano garantiti a categorie vulnerabili quali minori non accompagnati, donne che viaggiano sole o in stato di gra-vidanza, persone che hanno subito traumi fisici o psichici, malati o portatori di handicap.

- Nel medio periodo: - La capacità ricettiva del sistema di accoglienza nazionale sia amplia-

138 Oxfam, Hotspot, il diritto negato, Oxfam Briefing Paper , maggio 2016, pp. 44-45.

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ta, al fine di evitare la continua congestione dei centri di prima acco-glienza, in particolare attraverso l’apertura di nuovi posti Sprar.

- I flussi di migranti siano riconosciuti come una componente struttu-rale, da gestire attraverso la partecipazione attiva ai programmi di resettlement e l’apertura di canali umanitari e un’effettiva riapertura di canali di migrazione legale per lavoro, oggi sostanzialmente chiusi.

- Sia a livello nazionale che a livello comunitario, le politiche di conte-nimento dei flussi che prevedono accordi con i paesi di origine e/o di transito dove i migranti siano trattenuti con misure coercitive o possa-no essere respinti collettivamente siano abbandonate.

- A livello comunitario, si proceda a una riforma radicale del Sistema Comune Europeo di Asilo, che preveda il mutuo riconoscimento delle decisioni positive sull’asilo.

le richieste del tavolo nazionale asilo139

Noi sottoscritte organizzazioni140, aderenti al Tavolo Nazionale Asilo, espri-miamo la nostra preoccupazione per la deriva fortemente negativa che rischia di determinare da qui in avanti la politica di asilo in Italia a seguito delle deci-sioni assunte a livello europeo per contenere il numero dei richiedenti asilo in arrivo nei paesi di prima frontiera, Italia e Grecia in primo luogo.

Negli hotspot istituiti in questi ultimi mesi a Lampedusa, Trapani e Pozzallo stiamo osservando gravissime prassi e violazioni di diritti fondamentali: respin-gimenti arbitrari; trattenimento coatto, senza alcun controllo giudiziario, per periodi più lunghi delle 48 ore previste dalla legge; negazione dell’accesso alla procedura d’asilo e uso della forza per l’identificazione delle persone in arrivo. L’apertura di hotspot a Porto Empedocle, Augusta e Taranto, prevista per le prossime settimane, non potrà che aggravare la situazione.

Gli hotspot sono centri chiusi istituiti in strutture già esistenti e preceden-temente utilizzate come centri di primo soccorso e accoglienza o come centri di identificazione e espulsione. Invece di aumentarne la capienza e migliorarne le condizioni per garantire una vera prima accoglienza, i fondi dell’Unione Euro-pea vengono spesi per creare muri e recinti. In questi luoghi - dove attualmente si trovano 1.200 persone e nel futuro prossimo potranno esserne trattenute fino a 2.100 - operano le forze di polizia, supportate da funzionari delle agenzie euro-

139 http://www.vita.it/it/article/2016/03/02/tavolo-asilo-gli-hotspot-sono-luoghi-di-illegalita/138495/140 Organizzazioni del Tavolo nazionale Asilo: Acli, Arci, Asgi, Caritas italiana, Casa dei diritti sociali, Centro Astalli, Consiglio Italiano per i Rifugiati, Comunità di S. Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Senza Confine).

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pee, innanzitutto di Frontex. Il loro obiettivo è il fotosegnalamento e completare una distinzione arbitraria tra richiedenti asilo e migranti economici, senza che venga in alcun modo applicata la procedura prevista dalla normativa.

Sappiamo di centinaia di persone che, nonostante la loro manifestazione di voler richiedere protezione, hanno ricevuto decreti di “respingimento dif-ferito” con l’obbligo di lasciare l’Italia entro 7 giorni attraverso l’aeroporto di Fiumicino. Sono stati lasciati letteralmente sulla strada, privi di assistenza, esponendoli al forte rischio di finire nelle maglie della criminalità organizzata, sia in qualità di vittime, che di complici e alimentando il senso di insicurezza degli stessi territori. Senza considerare il fatto che queste prassi determinano un ulteriore aggravio sulle realtà di terzo settore impegnate nell’accoglienza e che attualmente sono le uniche a farsi carico di queste.

Questa prassi peraltro continua, nonostante l’intervento della magistratura che, in numerosi casi, ha sospeso i provvedimenti della polizia.

Si segnalano inoltre alcuni casi di minori non accompagnati che, errone-amente identificati come maggiorenni, hanno ricevuto un decreto di respingi-mento. Alla luce di tali episodi preoccupa il rischio all’interno degli hotspot di ulteriori erronee identificazioni di migranti minorenni, in considerazione della celerità con cui si devono svolgere le procedure di identificazione e con l’aggra-vante dell’attuale mancanza di una procedura nazionale uniforme per l’accer-tamento dell’età dichiarata.

Osserviamo la tendenza a distinguere, tra le persone soccorse in mare e sbarcate nei porti siciliani, i migranti dalle persone bisognose di protezione esclusivamente in base alla loro nazionalità. Cittadini provenienti da alcuni pa-esi africani come Gambia, Senegal, Nigeria o Ghana sono automaticamente considerati “non rifugiati” e pertanto non ammessi alla procedura d’asilo.

Questa tendenza è anche presente nella politica europea per il ricolloca-mento di richiedenti asilo dalla Grecia e dall’Italia verso altri paesi dell’U-nione: solo le nazionalità che nell’insieme degli Stati membri hanno un tasso medio di minimo il 75% di riconoscimento della protezione si qualificano per il trasferimento in altri paesi. Questi provvedimenti negano un principio basilare, previsto dalla Convenzione di Ginevra sui Rifugiati del 1951, che stabilisce che per il riconoscimento della protezione conta solo la situazione individuale, la personale esposizione a persecuzioni e violenze, non l’appartenenza a questa o quella nazionalità. È da ricordare che il legislatore italiano, giustamente, non ha mai voluto prevedere una “lista di paesi sicuri di provenienza”, lasciando la valutazione delle singole domande di protezione esclusivamente nelle mani delle Commissioni territoriali.

Abbiamo rilevato, attraverso la raccolta di dati e testimonianze dirette, che

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la gran parte dei migranti ha dichiarato di essere stata costretta a fuggire dal paese di origine a causa di persecuzioni politiche, religiose e sessuali, dittature, guerre civili, situazioni violente all’interno di comunità e gruppi familiari ed è considerevole il numero di vittime di torture e trattamenti crudeli, inumani e degradanti durante le rotte. I migranti forzati vittime di torture e maltratta-menti sono persone che, a prescindere della procedura per ottenere lo status di rifugiato, hanno diritto a una forma di protezione internazionale e non possono essere rimandate indietro nelle mani dei loro torturatori.

Noi sottoscritte organizzazioni – pur riconoscendo il tentativo delle isti-tuzioni europee e degli Stati membri di perseguire una maggiore condivisione delle responsabilità, non lasciando soli i paesi di primo arrivo e proponendo misure di solidarietà europea volte a superare le rigidità del “Sistema Dublino” – riteniamo che il meccanismo del ricollocamento a tal fine introdotto si basi su modalità di funzionamento tali da decretarne fin da principio il sostanziale fallimento. La limitazione a pochissime nazionalità, in concreto nel caso italia-no quasi esclusivamente in favore di eritrei, il fatto che i legami dei richiedenti asilo con un determinato paese europeo non vengano presi sufficientemente in esame, il diritto riconosciuto agli altri Stati di rifiutare l’accoglienza: tutto ciò si traduce in una logica in cui il richiedente asilo è considerato un “pacco” da spostare, non una persona da proteggere, da accogliere, da assistere nel percorso di integrazione. Questi fattori concorrono a far sì che il risultato del ricollocamento sia al momento estremamente povero, soprattutto rispetto al nu-mero di richiedenti effettivamente ricollocati, e segnato da una grave sfiducia che, ancora una volta, favorisce il ruolo dei trafficanti per consentire l’arrivo, irregolarmente, alla destinazione auspicata.

Noi chiediamo: - che negli hotspot l’attuale legge italiana venga scrupolosamente attuata e

che i centri ritornino ad essere luoghi di prima accoglienza e di soccorso; - che le persone arrivate in Italia abbiano accesso ad un’accurata informa-

tiva fornita subito dopo lo sbarco dall’UNHCR e dagli enti non governativi di tutela;

- che quanti manifestano l’intenzione di chiedere protezione vengano am-messi alla procedura d’asilo senza distinzione alcuna rispetto alla loro na-zionalità e che vengano subito trasferiti nei centri di accoglienza sistema Sprar, adeguatamente potenziato;

- che le procedure per il ricollocamento vengano accelerate e includano co-munque un colloquio tra il richiedente e operatori indipendenti sui legami e le preferenze della persona rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea, legami che debbono essere presi in seria considerazione;

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- che l’Italia, assieme alla Grecia, promuova rapidamente, in sede comuni-taria, un approccio diverso della misura di ricollocamento che prescinda dalle restrizioni attualmente imposte, che rinunci alle discriminazioni in base alla nazionalità e che dia il giusto peso ai legami delle persone con un determinato paese.

richieste di mSf alle autorità nazionali e locali in merito agli insedia-menti informali141

Questo rapporto, pur riferendosi agli insediamenti informali, che eviden-temente non fanno parte del sistema nazionale e istituzionale di accoglienza, evidenzia come alcune delle criticità e problematiche emerse dalle visite pres-so questi insediamenti siano comuni anche ad altri contesti, ad esempio alle condizioni di vita in cui versano molti lavoratori stranieri stagionali impiegati in agricoltura che pure, per lavorare nei campi, vivono spesso in insediamenti informali. A conferma, Medici Senza Frontiere riporta quanto riferito da Medu nel Rapporto Terra ingiusta relativamente ad almeno tre aree: la Piana di Gio-ia Tauro, che ospita 2.000 migranti nel periodo da novembre a marzo; l’area del Vulture-Alto Bradano, con più di 1.000 braccianti da agosto a ottobre; la provincia di Foggia, dove si contano circa 6.000 braccianti da luglio a settem-bre (Medici Senza Frontiere, op. cit., p. 26). Ma, soprattutto, evidenzia che in diversi insediamenti informali visitati ha riscontrato la presenza di richieden-ti asilo e rifugiati che, invece, per condizione giuridica, dovrebbero trovarsi all’interno del sistema di accoglienza ufficiale. A titolo esemplificativo, riporta alcuni casi individuati a mappatura conclusa: un insediamento a Sesto Fioren-tino con una popolazione di 100-150 rifugiati somali; insediamenti spontanei di richiedenti asilo all’esterno di centri di prima accoglienza governativi (un esempio è Pian del Lago a Caltanissetta); il trasferimento a novembre del 2015 dei richiedenti asilo presenti nell’area di Porta Palatina in moduli abitativi pre-disposti dal Comune di Torino all’interno del piano per l’emergenza freddo.

In considerazione di queste evidenze, MSF chiede alle autorità nazionali e locali di: 1. Garantire a migranti, richiedenti asilo e rifugiati presenti negli insedia-

menti informali condizioni di vita dignitose e i diritti basilari della persona, in particolare il diritto alla salute: presso gli stessi siti, avviando i lavori necessari di recupero e riqualificazione delle strutture, anche attraverso il coinvolgimento diretto degli stessi migranti; oppure in altri siti, evitando azioni di sgombero non concordato con la popolazione presente e senza

141 http://fuoricampo.medicisenzafrontiere.it/Fuoricampo.pdf

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aver individuato soluzioni abitative alternative. 2. Prevedere per richiedenti asilo e rifugiati modalità di iscrizione al Servi-

zio Sanitario Nazionale con assegnazione del medico di medicina generale svincolate dalla residenza anagrafica o dal domicilio indicato sul permesso di soggiorno, e che siano legate esclusivamente al luogo di effettiva dimo-ra, dichiarato ad esempio tramite autocertificazione. L’iscrizione dovrebbe essere garantita a prescindere dalla natura e dalla temporaneità di tale luogo.

3. Favorire per i richiedenti asilo l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale con l’assegnazione del medico di medicina generale immediatamente dopo l’accesso alla procedura, come previsto dalle normative attuali, evitando un uso improprio del codice STP, col regime di assistenza sanitaria previsto invece per gli stranieri non in regola con le norme sul soggiorno in Italia.

4. Promuovere, laddove necessario, misure di rafforzamento del servizio sa-nitario pubblico, prevedendo ad esempio la presenza stabile di mediatori linguistico-culturali, una formazione specifica per gli operatori, l’offerta di servizi di prossimità soprattutto in contesti caratterizzati da marginalità sociale, come gli insediamenti informali.

5. Ampliare la capienza del sistema di accoglienza governativo per i richie-denti asilo, con strutture che non abbiano carattere straordinario ed emer-genziale e attraverso il coinvolgimento diretto degli Enti locali, in modo da consentire l’accesso immediato al sistema di accoglienza ai migranti che manifestino l’intenzione di chiedere protezione in Italia, senza costringerli ad attese prolungate in assenza di misure di assistenza e in condizioni uma-nitarie spesso inaccettabili.

6. Attivare un’azione di monitoraggio costante degli insediamenti informali con popolazione prevalente costituita da richiedenti asilo e rifugiati, con l’obiettivo minimo di individuare e indirizzare ai servizi sociosanitari spe-cializzati, territoriali o nazionali, i soggetti vulnerabili, in particolare mi-nori non accompagnati, vittime di tratta, persone affette da gravi malattie e disturbi mentali, vittime di tortura e gravi violenze.

non paper (open Society foundations). oltre l’emergenza: racco-mandazioni per la riforma del sistema d’asilo in Italia (luglio 2016)

1. Canali legali d’ingresso in Italia - Potenziare la partecipazione dell’Italia ai programmi di ridistribuzione

(resettlement) (un obiettivo possibile è raggiungere un livello numerico si-gnificativo di almeno 20.000 persone in 2 anni).

- Sostenere altri sistemi di entrata protetta (protected entry) per persone bi-

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sognose di protezione (con particolare attenzione a quelle in condizione di vulnerabilità), tra cui i programmi di ammissione umanitaria, le operazioni di trasferimento umanitario, la sponsorizzazione, l’uso flessibile dei visti (applicando la normativa su visti per motivi umanitari attraverso l’emis-sione delle linee guida per consolati) e le procedure di ingresso protetto (PEP), che consentono ad un cittadino di uno Stato terzo di entrare in con-tatto con un paese di accoglienza presentando la richiesta di protezione internazionale presso le rappresentanze consolari e con la possibilità di ottenere un permesso di ingresso in caso di risposta positiva a tale istanza. L’introduzione di modalità di ingresso regolare non deve tuttavia compor-tare in alcun modo deroghe all’obbligo di accogliere quanti arrivano spon-taneamente.

- Dare seguito all’impegno (Schema di decreto legislativo recante disposi-zioni in materia di depenalizzazione, 17 novembre 2015) per l’abolizione del reato di immigrazione irregolare.

2. Hotspot, identificazione e accesso alla procedura d’asiloI centri che svolgono il ruolo di “hotspot” devono essere soggetti a tutte le

disposizioni previste dall’ordinamento nazionale e dal diritto dell’Unione Euro-pea per quanto concerne l’ingresso, l’identificazione, la prima accoglienza ed il soccorso di coloro che fanno ingresso nel territorio dello Stato dopo essere stati salvati in mare da mezzi civili o militari. In applicazione di tale normativa, e con riferimento alle Procedure Operative Standard applicabili agli “hotspot” ita-liani, definite dal Ministero dell’Interno a giugno 2016, si rileva la necessità di: - Garantire che il periodo di permanenza sia “il più breve possibile”, evitan-

do in ogni caso di superare le 48-72 ore. - Evitare prassi discrezionali nelle procedure di identificazione, stabilendo

regole di svolgimento di tali procedure che in nessun caso confliggano con il divieto vigente in Italia di utilizzare la forza per vincere la resistenza pas-siva dei cittadini stranieri che si rifiutano di farsi identificare.

- Assicurare che agli stranieri soccorsi e sbarcati negli “hotspot” sia fornita immediata e completa informazione circa il diritto di chiedere la protezione internazionale, che non avvenga nei loro confronti alcuna forma di selezio-ne discriminatoria su base nazionale, che sia sempre garantita la presenza dell’Unhcr, delle associazioni umanitarie e degli enti di tutela, che in nes-sun caso siano messe in atto nei confronti degli stranieri prassi illegittime in violazione dei loro diritti fondamentali.

- Assicurare che le procedure di relocation vengano accelerate e che inclu-dano un colloquio con il richiedente sui legami e le preferenze rispetto ai

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paesi dell’Unione Europea a cui essere destinati. È necessario assicurare che tali legami vengano considerati per la determinazione del paese di de-stinazione.

- Assicurare l’identificazione, da parte di personale specializzato e adegua-tamente formato in materia, delle situazioni di vulnerabilità, e garantire gli interventi di immediata assistenza necessaria per problematiche di caratte-re psicologico e sanitario.

- Escludere, in ogni caso, il trattenimento dei minori, che devono essere im-mediatamente trasferiti in centri di accoglienza e protezione.

- Fare chiarezza sui percorsi destinati a coloro cui – nell’ambito delle proce-dure di identificazione attuate negli “hotspot” – viene destinato un provve-dimento di espulsione, e a coloro che presentano ricorso contro tale prov-vedimento.

- Definire le responsabilità per il monitoraggio degli “hotspot” e assicurare l’accessibilità agli osservatori politici, istituzionali, non-governativi e alla stampa.

- Assicurare l’identificazione agli sbarchi delle situazioni di donne a rischio di tratta mediante l’uso di indicatori e l’intervento di personale adeguata-mente formato, il rafforzamento della capacità di accoglienza delle vittime di tratta che vengono individuate come tali al momento dello sbarco, la pro-tezione ex art. 18 del T.U. sull’immigrazione e l’assistenza nell’eventuale presentazione della domanda d’asilo.

3. Trattenimento amministrativo e rimpatri Proseguire con il superamento del sistema dei Centri di Identificazione ed

Espulsione. Il mantenimento del sistema di detenzione amministrativa svolge una funzione del tutto residuale ai fini del contrasto dell’immigrazione irrego-lare, mentre espone i migranti a gravi violazioni dei diritti umani fondamentali che non sono accettabili in uno Stato di diritto. La chiusura dei Cie è dunque urgente, è possibile, ed è auspicabile anche nella prospettiva di ridurre la spesa pubblica inefficiente. In attesa di una riforma che porti alla chiusura definitiva di queste strutture, è indispensabile, tuttavia, apportare le seguenti modifiche: - Procedere verso l’uso residuale dello strumento del trattenimento ammini-

strativo (in quanto strumento di ultima istanza, come stabilito dalla Diretti-va Rimpatri 2008/115/CE) e introdurre misure alternative al trattenimento ai fini di espulsione, limitando l’uso di quest’ultimo ai soli casi di violazio-ne delle prime.

- Rispetto alle ipotesi di trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espul-sione previste per i richiedenti asilo dal D.Lgs. n. 142/2015, art. 6 (attuazio-

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ne della Direttiva 2013/33/UE), abolire l’attuale trattamento differenziato nel termine massimo di trattenimento (12 mesi) rispetto al trattenimento ordinario degli altri stranieri espulsi o trattenuti ad altro titolo (massimo 90 giorni). Questo infatti rappresenta una violazione ingiustificata del prin-cipio di eguaglianza, oltre che un disincentivo all’accesso alla protezione e al diritto di difesa in caso di rigetto della domanda.

- Valutare caso per caso la “strumentalità” della domanda d’asilo dello stra-niero trattenuto nel Cie in seguito a un provvedimento di espulsione, al fine di comprovare che la persona in questione abbia già avuto l’opportunità di accedere alla procedura di asilo, e che vi siano fondati motivi per ritenere che la persona abbia manifestato la volontà di presentare la domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzio-ne della decisione di rimpatrio (sentenza Aslan della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 30 maggio 2013, causa C-534/11).

- Incentivare i rimpatri volontari e informare adeguatamente i migranti tro-vati in condizione di irregolarità, anche a seguito di diniego della domanda di protezione, sull’esistenza di progetti di rimpatrio assistito.

- Assicurare l’introduzione di criteri di rispetto dei diritti fondamentali di mi-granti e richiedenti asilo in accordi e partenariati di cooperazione con i pa-esi terzi per la gestione delle migrazioni e la riammissione degli irregolari.

4. Redistribuzione territoriale di richiedenti asilo e titolari di protezione Puntare, nel lungo periodo, a superare l’attuale sistema di volontarietà per la

partecipazione dei Comuni al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugia-ti (Sprar). I Comuni dovrebbero essere chiamati, conformemente all’art. 118 della Costituzione, a provvedere alla gestione ordinaria degli interventi di accoglienza, con oneri a carico dello Stato, nell’ambito delle loro funzioni fondamentali in ma-teria di programmazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali.

Nel breve periodo, studiare incentivi per favorire la partecipazione degli Enti locali al sistema Sprar, accompagnati da un supporto informativo dall’am-ministrazione centrale a quelle locali.

5. Quantità, qualità e organizzazione dei posti disponibili per l’accoglienza Superare definitivamente l’approccio emergenziale all’accoglienza, portan-

do progressivamente a residualità l’utilizzo di bandi per Centri di accoglienza straordinaria (Cas) e ampliando corrispettivamente la capacità del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.

Riformare le procedure per l’assegnazione dei finanziamenti ai Cas, da uti-lizzare esclusivamente (in forma residuale e solo in situazione di afflusso stra-

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ordinario) a integrazione del sistema ordinario. Al fine di garantire trasparenza nella rendicontazione e rispetto degli standard per la provvisione di servizi di qualità, sarebbero inoltre da assicurare: - trasparenza dell’amministrazione, mediante la pubblicazione di: avvisi

pubblici emessi per l’affidamento della gestione delle strutture di acco-glienza straordinaria e delle altre tipologie di centri; nome dell’assegna-tario dell’appalto; offerta economica da questo avanzata e periodo di va-lidità della convenzione stipulata; testi delle convenzioni stipulate tra le Prefetture e gli enti gestori dei Cda, Cpsa, Cara e Cie;

- esclusione dalla partecipazione ai bandi pubblici di tutti i soggetti che ri-sultino coinvolti in indagini relative all’utilizzo improprio delle risorse pub-bliche;

- introduzione dell’obbligo di rendicontazione dettagliata dei servizi di ac-coglienza erogati anche nel caso di affidamento diretto da parte delle Pre-fetture. Incrementare il numero di posti di accoglienza che rispondono alle esigenze

dei più vulnerabili, incluse le vittime di tortura e le persone con disagio psichico post-traumatico.

Promuovere un approccio di genere in tutte le politiche rivolte all’acco-glienza e alla protezione di richiedenti asilo e rifugiati. È indispensabile il ri-conoscimento da parte delle istituzioni dell’esistenza di molteplici forme di vio-lenza e discriminazioni di genere subite da donne e ragazze sia nel paese di origine, sia lungo il viaggio verso l’Europa e nel paese d’accoglienza. Troppo spesso le donne richiedenti asilo si trovano private della necessaria protezione e dell’accesso alla giustizia contro le violenze subite, così come di un’assistenza sanitaria, psicologica e sociale specializzata. Si raccomanda dunque di: assicu-rare una formazione specifica in tema di genere e migrazioni forzate per tutti gli operatori e le operatrici che a vari livelli si occupano dell’assistenza, dell’ac-coglienza e della protezione di donne e ragazze richiedenti asilo, titolari di pro-tezione internazionale e di permessi per ragioni umanitarie; garantire spazi e procedure favorevoli all’emersione dei vissuti di violenza sessuale e basata sul genere; potenziare la collaborazione del sistema d’accoglienza con i servizi ter-ritoriali specializzati e le organizzazioni della società civile che lavorano a so-stegno delle donne vittime di violenza.

Istituire un sistema nazionale di accoglienza per i minori stranieri non ac-compagnati, responsabile dell’intera gestione della fase di accoglienza, in modo da sostenere l’attività attualmente svolta dai servizi sociali dei Comuni assicu-rando una distribuzione razionale e omogenea dei fondi e degli oneri.

Definire protocolli operativi per l’accoglienza “in famiglia”, già sperimen-

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tata da alcune realtà territoriali nell’ambito dello Sprar, definendo modalità e approcci che consentano di operare in piena sicurezza, garantendo la soli-dità dei processi che riguardano: la selezione delle famiglie; la selezione dei beneficiari; l’accompagnamento delle convivenze; il sostegno economico delle convivenze; la creazione di reti sui territori; il monitoraggio e la valutazione dei percorsi; la valutazione di impatto sociale per le comunità coinvolte.

6. Qualità e velocità del processo di valutazione delle domande d’asilo Consolidare la riforma delle Commissioni territoriali al fine di garantirne

la professionalizzazione mediante composizione da parte di membri permanenti e qualificati sulla base delle migliori esperienze e pratiche di altri Paesi europei.

Nel quadro della necessaria abbreviazione dei tempi di attesa per le de-cisioni in materia d’asilo, garantire la qualità delle decisioni sulle domande d’asilo e assicurare il pieno rispetto delle tutele giurisdizionali previste per i ricorrenti contro la decisione delle Commissioni.

Istituire una o più sezioni specializzate presso il Tribunale ordinario per i ricorsi contro il diniego in sede amministrativa dello status di protezione, con un tempo massimo di valutazione da rispettarsi obbligatoriamente.

Garantire all’interno dei percorsi di formazione per i membri delle Com-missioni la necessaria attenzione al tema della persecuzione di genere e basata sull’orientamento sessuale, nonché della tratta a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo.

Istituire un sistema di referral costante tra le Commissioni territoriali e il sistema nazionale antitratta, al fine di promuovere l’emersione di casi di tratta e garantire la protezione delle vittime.

Anche al fine di favorire la migliore cooperazione tra il sistema d’asilo e il sistema antitratta, assicurare la partecipazione della società civile alla Cabina di regia del Piano nazionale antitratta.

7. Servizi per l’integrazione Adeguare la spesa pubblica per l’integrazione alla necessità di garantire a

tutti i beneficiari di protezione, inclusi i titolari di permessi per motivi umanitari, adeguati percorsi di uscita dalla marginalità, stimolando senso di appartenenza.

Approvare in tempi rapidi il Piano biennale di integrazione, prendendo in dovuta considerazione le proposte del Tavolo nazionale asilo e dotare il piano di finanziamenti adeguati, facendo uso anche di fondi strutturali della UE. Il piano deve comprendere: - garanzia di almeno 1 anno di accoglienza finalizzata all’integrazione dopo

il riconoscimento dello status di protezione; - insegnamento della lingua italiana;

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- riconoscimento dei titoli di studio e bilancio delle competenze; - percorsi di formazione professionale; - attivazione di tirocini professionali; - sostegno all’autonomia abitativa.

Fin qui abbiamo riportato le raccomandazioni e le richieste contenute nei rapporti curati da numerose organizzazioni, che abbiamo letto con attenzione e riportato fedelmente.

Il capitolo successivo, invece, è dedicato alle conclusioni che Idos, andando oltre l’atteggiamento di terzietà finora mantenuto, si è fatto carico di tirare in proprio, cercando di comporre in un quadro unitario gli elementi emersi in que-sta complessa, ma interessante analisi dei vari rapporti.

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4. concluSIonI deI curatorI

Una situazione difficile dal punto di vista numerico e operativoNon è un compito semplice provare a trarre le conclusioni di questo lavoro

di analisi dei diversi report curati da differenti organizzazioni sociali indipen-denti per pervenire a una visione complessiva che consenta una valutazione del sistema di accoglienza per richiedenti asilo italiano. Gli elementi di cui tener conto sono, infatti, numerosi e per di più si tratta di considerazioni la cui base è costituita da monitoraggi non sempre perfettamente comparabili, per il fatto che cambiano da un report all’altro la tipologia dei centri presi in considerazione, le zone d’Italia in cui questi si trovano, i soggetti privati coinvolti come gestori dei centri stessi, gli aspetti del sistema di accoglienza sui quali è stata maggiormente focalizzata l’attenzione.

Un primo livello di valutazione riguarda sicuramente gli elementi strutturali di questo sistema di accoglienza.

Sulla carta il sistema si presenta come adeguato e in grado di rispondere a tutte le esigenze che emergono nelle varie fasi dell’accoglienza dei richiedenti asilo: l’arrivo, la prima assistenza, la prima accoglienza, i percorsi di seconda accoglienza, l’integrazione. Tuttavia, quasi tutti i report analizzati evidenziano che, a seguito dell’introduzione della Roadmap nel mese di settembre 2015 in attuazione a quanto richiesto dall’“Agenda europea sulla migrazione”, la situa-zione è diventata più critica. Si è avuta, infatti, una graduale sostituzione dei cen-tri di prima accoglienza con gli hotspot, allo scopo di effettuare in questi luoghi “tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri”. Ed è proprio questo passaggio che molte organizzazioni indipendenti individuano come critico, per diverse ragioni.

Innanzitutto, perché l’approccio hotspot, introdotto dall’Agenda europea sulla migrazione, avrebbe dovuto essere strettamente connesso all’attuazione di un innovativo programma di riallocazione e re-insediamento dei richiedenti asi-lo, di cui invece nei report analizzati viene lamentato il troppo debole funziona-mento. La ricollocazione prevista era infatti di 40.000 migranti (24.000 dall’Ita-lia e 16.000 dalla Grecia) e, successivamente, di ulteriori 120.000 persone (di cui 15.600 dall’Italia e 50.400 dalla Grecia), mentre la stessa Commissione europea ha riconosciuto che, alla data del 14 giugno 2016, si è trattato soltanto di 2.280 rifugiati (1.503 dalla Grecia e 777 dall’Italia).

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In secondo luogo, secondo il tenore delle critiche mosse, prima di introdur-re gli hotspot, avrebbe dovuto essere adottato un adeguamento della legislazione nazionale per prevedere queste strutture. Invece è stato lamentato che l’istituzione degli hotspot, che pure comportano una privazione della libertà delle persone in essi trattenute, è avvenuta senza previsioni specifiche all’interno del sistema giu-ridico italiano.

In terzo luogo, sono stati eccepiti anche gli effetti perversi del nuovo siste-ma, principalmente perché rischiano di incrementare l’irregolarità per il fatto che i migranti economici ai quali non viene riconosciuto l’accesso al circuito di ac-coglienza previsto per i richiedenti asilo, ricevono un respingimento differito e, di fatto, restano sul territorio nazionale in condizione di irregolarità giuridica e di invisibilità sociale.

A tale proposito la Commissione di inchiesta parlamentare scrive: La Com-missione, nel corso della sua istruttoria svolta nel periodo di riferimento della presente relazione (marzo 2015/gennaio 2016) ha preso atto che nella pratica, considerata la assai limitata disponibilità di posti nei Cie e l’oggettiva impossibi-lità di procedere al rimpatrio effettivo dei cittadini di Paesi con i quali non sono stati sottoscritti accordi di riammissione, la casistica più ricorrente è quella di adottare il provvedimento con intimazione a lasciare il territorio entro sette giorni.

È evidente che la prassi appena descritta determina l’aberrante conseguenza di creare una massa enorme di irregolari, privi di qualunque forma di assistenza, che si trovano, in molti casi, nella effettiva impossibilità di ottemperare al provvedimento e che lo Stato non è in grado di espellere materialmente.

Emblematico, in tal senso, il caso di Agrigento, dove secondo quanto riferito dalla competente questura, a partire dal 28 settembre 2015 – data di apertura dell’hotspot – e sino al 29 gennaio 2016 sono stati adottati 1.426 provvedimenti di respingimento, di cui solo 311 con trattenimento presso i Cie e ben 1.115 con intimazione.

Dall’analisi di alcuni decreti di respingimento in possesso della Commissione sembrerebbe emergere l’adozione di provvedimenti standardizzati, privi, in alcuni casi (cfr. atti della Questura di Taranto acquisiti a margine della missione al Cie di Bari) della necessaria traduzione in una lingua conosciuta allo straniero, e quindi, inevitabilmente dichiarati illegittimi.142

142 Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione ed espul-sione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, Relazione ai sensi dell’articolo 2, comma 5, ultimo periodo della delibera istitutiva della commis-sione di inchiesta 17 novembre 2014, come modificato dalla delibera della camera dei deputati 23 marzo 2016, sull’attività svolta fino al 31 gennaio 2016, Relatore on. Federico Gelli, Approvata dalla commissione nella seduta del 3 maggio 2016, Comunicata alla Presidenza il 3 maggio 2016, p. 104, in http://www.camera.it.

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Nei report che sono stati consultati, viene anche fatta una disamina del si-stema di prima accoglienza, composto da Cara, Cpsa, Cda e, in parte, Cas (oggi in via di sostituzione con gli hub regionali). Anche in questo caso non vengono riconosciuti elevati livelli di efficienza, né riguardo ai grandi centri come Mineo, né ai piccoli centri periferici.

Ad essere, invece, riconosciuto come valido e da implementare è il sistema della seconda accoglienza, costituito dallo Sprar e, in alcuni casi e in via tempo-ranea, dai Cas. Secondo le organizzazioni che hanno realizzato i monitoraggi, lo Sprar ha dato ottima prova di sé, con best practice di sicuro interesse nazionale e internazionale, ma appare finora insufficiente dal punto di vista quantitativo (raccogliendo meno del 15% dei migranti complessivamente accolti). La conse-guenza è che la gran parte della seconda accoglienza è affidata ai Cas, che, anche a causa della insufficiente competenza di alcuni enti gestori, spesso appaiono nei rapporti citati del tutto inadeguati e rischiano di non riuscire a dare risposte all’altezza delle aspettative dei migranti e della popolazione locale, sia in termini di servizi che di opportunità di integrazione.

Oltre a questi tre livelli, alcuni dei rapporti citati hanno analizzato anche lo stato degli insediamenti informali e dei Cie, due realtà che, per motivi diversi, hanno a loro volta suscitato numerose critiche, sia da parte della popolazione locale che degli operatori giuridici e delle associazioni di tutela.

criticità dell’accoglienza e differenze a livello territoriale: un’analisi Swot Un’analisi di tipo Swot (punti di forza e di debolezza a fronte di opportunità

e minacce) che venisse applicata al sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati in Italia, così come proposto nei rapporti esaminati, mette in luce i seguenti possibili esiti.

Il sistema di accoglienza nel suo complesso risulta caratterizzato da punti di forza quali la crescita di un sistema articolato, la governance multilivello, l’e-mersione di buone pratiche, e la diffusione su tutto il territorio nazionale, spesso con livelli di eccellenza. Vengono però individuati anche diversi punti deboli, per la gran parte dovuti a un ricorso eccessivo al sistema “straordinario” di acco-glienza, con conseguenze quali: inadeguate condizioni strutturali, scarsa profes-sionalità dei gestori e degli operatori, insufficienti controlli, inadeguato rapporto con il mercato del lavoro locale e con i territori in cui i migranti sono accolti.

Considerato che tutte le analisi convergono nel definire lo Sprar come l’ec-cellenza del modello italiano di accoglienza, esso dovrebbe rappresentare la re-gola su cui fondare il sistema nazionale di accoglienza. Tuttavia, il semplice confronto tra le presenze registrate nelle strutture temporanee o straordinarie e quelle registrate all’interno del circuito Sprar, dimostra che, nella realtà, lo Sprar

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riveste ancora un ruolo minoritario dal punto di vista quantitativo e, al contrario, la gran parte dell’accoglienza avviene nei Cas e nei centri definiti come tempo-ranei.

In media, in Italia, ad essere ospitato nei centri Sprar è appena il 13,4% dei migranti accolti (dato al 31 ottobre 2016) e solo in 3 regioni (Calabria, Sicilia e Lazio) si arriva ad ospitare all’interno del circuito Sprar almeno 1 rifugiato o richiedente asilo su 3. Tutti gli altri sono invece accolti nelle strutture di primis-simo arrivo (hotspot e Cpsa) e, soprattutto, nei centri di accoglienza temporanea o straordinaria (Cas).

Il caso più soddisfacente è costituito dalla Calabria, dove la percentuale di richiedenti asilo e rifugiati ospitati nei centri Sprar rispetto al totale degli accolti raggiunge il 34,1%, cui seguono la Sicilia, con una percentuale del 30,8%, e il Lazio, con una quota del 29,6%. Se questi sono i territori in cui l’incidenza dello Sprar sul sistema complessivo di accoglienza è in assoluto più elevata, a regi-strare valori comunque superiori alla media sono anche la Puglia (19,2%) e la Basilicata (18,9%). A questo gruppo di regioni se ne aggiunge poi un altro che, seppure con valori più contenuti, può considerarsi all’interno di una fascia media tra le regioni italiane per capacità di accoglienza del circuito Sprar: si tratta di Marche (14,0%), Molise (13,9%) e Umbria (12,1%).

Tutte le altre regioni si collocano su valori dal 10% in giù, quanto all’inci-denza degli Sprar (quindi molto bassa) e, di fatto, riescono a farsi carico dell’ac-coglienza quasi esclusivamente grazie alla presenza di strutture straordinarie.

Al contempo, le regioni italiane possono esser divide in due fasce per nume-ro di richiedenti asilo e rifugiati accolti: una fascia alta, in cui rientrano tutte le regioni in cui la presenza di immigrati accolti supera le 10mila unità, e una fascia bassa in cui rientrano le regioni con presenze inferiori alle 10mila unità.

Tenendo conto di questi raggruppamenti e dei dati del Ministero dell’Inter-no aggiornati a fine ottobre 2016, emerge un quadro fortemente differenziato, riassumibile secondo il seguente schema: - regioni a bassa presenza di rifugiati e richiedenti asilo complessivamente

accolti (meno di 10mila) e a percentuale alta (tra il 34,1% e il 12,1%) di accolti nei centri Sprar: Calabria, Basilicata, Marche, Molise, Umbria;

- regioni a bassa presenza di rifugiati e richiedenti asilo sul territorio (meno di 10mila), ma anche a bassa percentuale di presenza nei centri Sprar (dal 10% in giù): Sardegna, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, P.A. di Bolzano, P.A. di Trento, Valle d’Aosta;

- regioni ad alta presenza di rifugiati e richiedenti asilo (oltre 10mila) e con alte percentuali di accoglienza dello Sprar (tra il 34,1% e il 12,1%): Lazio, Sicilia, Puglia;

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- regioni ad alta presenza di rifugiati e richiedenti asilo (oltre 10.000) e basse percentuali di presenze nei centri Sprar (tra il 10,3% e il 3,3%): Lombardia, Veneto, Campania, Piemonte, Toscana ed Emilia Romagna.

ItalIa. rifugiati e richiedenti asilo accolti per regione: numero assoluto, incidenza per mille residenti e quota di accolti nei centri Sprar (31.10.2016)

TerritorioTotale

immigrati accolti in regione

Immigrati accolti

per 1.000 residenti

Territorio% di accolti negli

Sprar su totale immigrati accolti

FASCIA ALTA FASCIA ALTALombardia 22.333 2,2 Calabria 34,1Veneto 14.754 3,0 Sicilia 30,8Lazio 14.231 2,4 Lazio 29,6Sicilia 14.167 2,8 Puglia 19,2Campania 13.198 2,6 Basilicata 18,9Piemonte 13.068 3,0 Marche 14,0Toscana 12.170 3,3 Molise 13,9Emilia Romagna 11.842 2,7 Umbria 12,1Puglia 11.565 2,8

FASCIA ALTA FASCIA ALTATrento P.A. 10,3

Calabria 6.560 3,3 Emilia Romagna 9,9Sardegna 5.908 3,6 Campania 9,7Liguria 5.858 3,7 Piemonte 9,2Friuli V.G. 5.568 4,6 Abruzzo 7,9Marche 4.957 3,2 Liguria 7,7Molise 3.407 10,9 Toscana 6,9Umbria 3.385 3,8 Lombardia 6,6Abruzzo 3.329 2,5 Friuli V.G. 6,4Basilicata 2.423 4,2 Veneto 3,4Bolzano P.A. 1.494 2,9 Sardegna 3,3Trento P.A. 1.431 2,7 Bolzano P.A. -Valle d’Aosta 290 2,3 Valle d’Aosta -totale 171.938 2,8 totale 13,4

FONTE: Centro Studi e Ricerche IDOS. Elaborazioni su dati Ministero dell’Interno - Cruscotto statistico

Il paese risulta così diviso in 4 aree: una in grado di affrontare meglio le criticità, in quanto caratterizzata da una bassa presenza di rifugiati e richiedenti asilo e un’alta percentuale di accoglienza nei centri Sprar; una seconda area che presenta delle criticità ma in misura limitata, in quanto la scarsa capacità di acco-

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glienza nei centri Sprar si accompagna a una bassa presenza di richiedenti asilo e rifugiati; una terza area che comprende regioni in cui, al contrario, ad un’alta presenza di rifugiati e richiedenti asilo si accompagna una buona capacità di accoglienza nei centri Sprar; una quarta area in cui si registrano un’alta presenza di rifugiati e richiedenti asilo e, al contempo, una bassa capacità di accoglienza nei centri Sprar.

Il quadro descritto riflette, da una parte, quelle che sono le caratteristiche strutturali dei diversi territori, ma al contempo ne esprime, in senso più ampio, il “potenziale di accoglienza e integrazione” nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, un potenziale che, a partire dalle strutture presenti sul territorio e dalla qualità dell’accoglienza da essi erogata, può tradursi nell’offerta di oppor-tunità positive per i migranti e per il territorio o, al contrario, in una situazione di criticità.

A seconda delle differenti infrastrutture e opportunità presenti sui singoli territori, infatti, si possono immaginare quattro possibili scenari: - le infrastrutture sono in grado di favorire un buon livello di integrazione

laddove si abbiano presenze basse - o comunque limitate - di richiedenti asilo e rifugiati e un sistema di accoglienza forte (alta presenza di centri Sprar, best practice diffuse, mercato del lavoro capace di integrare i richie-denti asilo);

- le infrastrutture hanno una scarsa efficacia nel contribuire a una buona inte-grazione nel caso in cui, pur essendo le presenze limitate, il sistema di ac-coglienza risulti debole e improntato a soluzioni emergenziali (prevalenza di accoglienza informale e straordinaria, scarsa capacità di offrire percorsi reali di integrazione);

- le infrastrutture concorrono positivamente a una buona integrazione quan-do dimostrano un’ottima capacità di affrontare anche flussi imprevisti di richiedenti asilo e migranti, grazie a un sistema di accoglienza forte, come le esperienze migliori dimostrano;

- le infrastrutture sono inadeguate e rischiano di pregiudicare la tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo quando i flussi di richiedenti asilo trovano sul territorio un sistema di accoglienza con molti punti di debolezza (come emerso, dai rapporti esaminati in questo studio, in alcuni contesti osservati da organizzazioni sociali indipendenti). Un simile scenario è ulteriormente analizzabile su dimensione regionale. Se

prendiamo in considerazione i 4 cluster in cui abbiamo suddiviso le regioni, si può concludere che le regioni ad alta presenza di rifugiati e richiedenti asilo e bassa disponibilità di posti nei centri Sprar (Lombardia, Veneto, Campania, Pie-monte, Toscana ed Emilia Romagna) presentano le situazioni a più alto rischio di

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bassa o inadeguata integrazione e sviluppo di conflitti sociali e potenziali derive xenofobe. Per di più, tale rischio non può essere attributo a un’eccessiva presen-za di rifugiati e richiedenti asilo, perché nella media nazionale questi sono meno di tre ogni mille residenti (2,8‰) e nelle suddette regioni oscillano tra il 3,3‰ della Toscana e il 2,2‰ della Lombardia.

ItalIa. opportunità e minacce legati ai punti di forza e debolezza del sistema italiano di accoglienza

SWOT ANALYSIS

ANALISI INTERNA

PUNTI DI FORZA

Crescita di un sistema articolato di governance multilivello

Buone pratiche Sprar

Diffusione sul territorio nazionale

PUNTI DI DEBOLEZZA

Eccessivo sistema “straordinario” (80%)

Insufficiente controllo.

Scarsa professionalità degli operatori

Criticità strutturali

Mancato inserimento lavorativo

ANALISI ESTERNA

OPPORTUNITÁ

Flussi migratori limitati rispondenti a esigenze nazionali

Capacità di realizzare le infrastrutture per favorire una buona integrazione

Scarsa efficacia nel garantire buona integrazione

MINACCE

Flussi umanitari numerosi

Capacità di affrontare compiutamente e rapidamente emergenze umanitarie

Creazione di un sistema di prima accoglienza incapace di offrire adeguata garanzia dei diritti dei richiedenti asilo

FONTE: Centro Studi e Ricerche IDOS.

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In considerazione di questi elementi e, soprattutto, sulla base dei rapporti indipendenti qui presi in considerazione, oltre che della vasta pubblicistica de-dicata alla materia (inclusa una riflessione a monte sui push factors riscontrabili nei paesi di origine), riteniamo che nel complesso emergano due forti problema-ticità: - la mancata adesione di molti Comuni italiani al sistema Sprar, paventato

da diverse amministrazioni locali come un fattore di attrazione di rifugiati e richiedenti asilo, piuttosto che come una opportunità per pervenire a una gestione efficace dei flussi migratori e umanitari (che comunque continue-ranno a essere presenti);

- la mancanza di una cultura dell’accoglienza (persino nei confronti delle migrazioni forzate, anche quando provenienti da contesti afflitti da gravi e duraturi conflitti), mentre i nuovi arrivati, inseriti in una strategia lun-gimirante, in prospettiva potrebbero rappresentare un’opportunità positiva non solo per dare risposte improntate alla solidarietà civile, ma anche per rispondere alle esigene demografiche e occupazionali della società italiana.

Un compito difficile per tutti Il compito assunto dal Centro Studi e Ricerche Idos è consistito nel rac-

cogliere ed esaminare i principali rapporti indipendenti dedicati al sistema di accoglienza italiano, non tanto al fine di riferirne meramente i contenuti, quanto per ricavarne una visione il più possibile esaustiva di tutto il sistema e dei suoi elementi di forza e criticità, evidenziandone i problemi ma anche, all’occorren-za, le possibili soluzioni.

In questa fase storica per molti aspetti drammatica, in cui a una transizio-ne demografica senza precedenti si accompagna la recrudescenza di fattori di espulsione e la persistente crisi economica-occupazionale dei paesi dell’Unione europea, e in particolare dell’Italia, sarebbe semplicistico limitarsi a stigmatiz-zare le cose che non vanno, ritenendone responsabile l’Amministrazione italiana e ipotizzando facili via d’uscita. Tuttavia, alcune criticità non possono essere trascurate.

Innanzitutto, va evidenziato un deficit di mentalità. Come ha dichiarato au-torevolmente il Portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore, Pietro Bar-bieri: “Da più parti si reclama un piano nazionale per l’accoglienza dei migranti poiché il flusso delle persone provenienti dalle zone di conflitto, sotto dittatura, dalla guerra o per fame prosegue da diversi anni e nessuno è in grado di fermar-lo, se non si interviene per interrompere le cause più profonde. Ci siamo adagiati sull’idea che il nostro Paese fosse una zona di transito ed abbiamo persino co-niato per i migranti un nuovo neologismo, i transitanti. Abbiamo così nascosto la

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polvere sotto il tappeto evitando di assumerci le nostre responsabilità al punto di sottofinanziare l’accoglienza, di farla finire persino in un sottobosco di rapporti casuali o peggio criminali, ed ora addirittura non vengono pagati coloro che in questo clima hanno cercato di fare ciò che era possibile143”.

Non va poi sottaciuto il problema del finanziamento dell’accoglienza. Sep-pure, nel confronto con altri Stati membri, si possa sostenere che l’Italia spende proporzionalmente meno, è pur vero che, in un paese con accresciute difficoltà nel venire a capo di un equilibrato bilancio sociale, non è semplice trovare le risorse necessarie non solo a mantenere, ma anche e soprattutto a potenziare, il sistema infrastrutturale dell’accoglienza. Queste difficoltà si stanno ripercuo-tendo negativamente sugli stessi operatori dell’accoglienza. Basti pensare che molte strutture di accoglienza, per poter assicurare che l’accoglienza continui e per affrontare le diverse spese, hanno cumulato crediti importanti con l’Ammi-nistrazione centrale (600 milioni di euro), con conseguenti difficoltà nel pagare persino i propri dipendenti, che in molti casi non ricevono lo stipendio per mesi. Il rischio maggiore è che a non farcela siano i progetti Sprar, quelli che, come abbiamo più volte evidenziato in questo studio, offrono invece ad oggi le best practice più consolidate.

In una siffatta situazione sarebbe comodo, ma insufficiente, riservarsi un mero ruolo critico senza sentirsi coinvolti nella ricerca di soluzioni efficaci in-sieme all’Amministrazione. Le stesse organizzazioni della società civile, che hanno sollevato le criticità del sistema di accoglienza, non si sono rinchiuse in una posizione sterile di mera denuncia e opposizione, ma hanno anche espresso in più forme - richieste, suggerimenti, proposte per migliorare il sistema di ac-coglienza nel suo complesso - l’interesse a facilitare i percorsi di integrazione e a superarne le criticità. L’esperienza di tutti coloro che, in un modo o nell’altro, hanno partecipato al monitoraggio della situazione non va quindi, a nostro av-viso, considerata come pregiudizialmente finalizzata alla mera opposizione. Dal nostro punto di vista, al contrario, diventa molto più proficuo leggerla come un impegno a farsi volano di un nuovo sforzo progettuale imperniato sulla valoriz-zazione delle best practice e sul loro rafforzamento.

Da ultimo, senza farne un pretesto per disimpegnarsi, riteniamo necessario spendere anche qualche parola sui fattori strutturali che pesano sullo scenario attuale degli spostamenti di persone, sia dei migranti bisognosi di protezione umanitaria che di quelli economici. Di fronte a un’epoca segnata da così profon-de diseguaglianze e ingiustizie a livello globale, si può e si deve fare di più per

143 http://www.forumterzosettore.it/2016/09/28/migranti-e-accoglienza-lappello-del-forum-al-premier-cambiare-rotta-subito/

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prevenire le cause dell’esodo e per farsi carico degli effetti quando questi si sono già determinati.

Certamente si tratta di un ruolo che spetta principalmente alla politica, ma non va trascurato il ruolo che possono svolgere i cittadini e la società civile. Gli orientamenti dei politici, infatti, sono influenzati da quello che pensano i cittadini. Diventa quindi altrettanto importante diffondere una differente cultura dell’accoglienza e dell’altro. Ciascuno può infatti, in forma individuale o col-lettiva, alimentare semi di speranza. A nostro parere, allora, laddove possibi-le, è compito anche del terzo settore e delle strutture che gestiscono i centri di accoglienza favorire il più possibile un dialogo con i territori in cui sorgono le suddette strutture, dando ai cittadini dei quartieri e delle città in cui i centri hanno sede l’opportunità di entrare in contatto con gli immigrati accolti, di co-noscerne le storie e i vissuti, le speranze, i contesti di origine. Indirettamente, ne conseguirebbe anche la possibilità di conoscere più da vicino le Ong che si occupano di progetti di sviluppo locale nei paesi di origine dei flussi migratori e di prendere consapevolezza che le diaspore, se ben inserite e accompagnate, possono rappresentare un fattore di promozione, oltre che per l’Italia, anche per i rispettivi paesi.

Qualora le riflessioni qui raccolte sui rapporti di monitoraggio indipenden-te siano lette in quest’ottica più ampia, riteniamo di poter concludere che la presente ricerca, promossa dall’Open Society Foundation, possa ricoprire una funzione costruttiva. Il Centro Studi e Ricerche Idos auspica di aver contribuito a tale scopo.

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