L’ACCOGLIENZA STRAORDINARIA DEI RICHIEDENTI … · l’accoglienza straordinaria dei richiedenti...

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L’ACCOGLIENZA STRAORDINARIA DEI RICHIEDENTI PROTEZIONE INTERNAZIONALE IN PROVINCIA DI VERONA 2014-2017 maggio 2018

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L’ACCOGLIENZA STRAORDINARIADEI RICHIEDENTI

PROTEZIONE INTERNAZIONALEIN PROVINCIA DI VERONA 2014-2017

maggio 2018

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Il Rapporto è stato curato da Maurizio Carbognin.

I dati presentati nella prima parte del Rapporto sono stati forniti dalla Prefettura di Verona, che si ringrazia per la collaborazione.

Maurizio Carbognin (1947), sociologo, è un volontario del Cestim. Dal 2015 al 2017 ha svolto attività di volontariato in vari Centri di accoglienza straordinaria di Richiedenti protezione internazionale. È stato consulente di direzione, analista e progettista di politiche pubbliche e direttore generale del Comune di Verona. Ha scritto numerosi saggi sulle politiche del lavoro e sull’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, degli uffici giudiziari e delle organiz-zazioni non profit. Fin dagli anni ’80 l’interesse per la sua terra si è condensato in una serie di contributi sulla storia, i caratteri e i problemi della società veneta e veronese. In anni più lontani ha fatto ricerche di storia orale sul sindacato del secondo dopoguerra.

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SOMMARIO1. Parole e definizioni ............................................................................................................ 32. Obiettivi e metodo dell’indagine ....................................................................................... 3

PARTE PRIMA: I DATI QUANTITATIVI3. I numeri e le tendenze ...................................................................................................... 54. La distribuzione territoriale .............................................................................................. 65. I soggetti gestori: aspetti generali .................................................................................. 106. L’attività della Commissione territoriale ........................................................................ 11

PARTE SECONDA: UN APPROFONDIMENTO7. Le tipologie di soggetti gestori ....................................................................................... 128. Le tipologie di rapporto contrattuale con la Prefettura ................................................. 139. L’idea del servizio: ........................................................................................................... 14 a. Le componenti del servizio .................................................................................... 15 b. La partecipazione degli utenti all’erogazione del servizio .................................... 19 c. Una sintesi sull’idea di servizio ............................................................................. 1910. Dimensioni e natura del soggetto erogatore del servizio ............................................ 20 a. Cooperativa, impresa profit, associazione ........................................................... 20 b. Soggetto di piccole/grandi dimensioni e n. complessivo degli ospiti ................... 21 c. CAS di piccole/grandi dimensioni ......................................................................... 2211. Sistema professionale e servizio .................................................................................. 2212. Uno schema di sintesi ................................................................................................... 2413. Il contesto che manca ................................................................................................... 24 a. Le interazioni con l’ambito locale ......................................................................... 24 b. Le interazioni con le amministrazioni ................................................................... 25 c. Le interazioni tra soggetti gestori ......................................................................... 2614. Considerazioni finali ..................................................................................................... 26

APPENDICI

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1. Parole e definizioniPrima di procedere nell’analisi è opportuno ricordare limiti e termini del nostro discorso, in particolare per chi non ha consuetudine con l’argomento.Diciamo subito che in questo Report ci occupiamo esclusivamente dell’accoglienza nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) in Provincia di Verona dal 2014 al 2017. Dove per CAS si intendono tutte le strutture, grandi o piccole, dall’ex-caserma all’albergo e al singolo appar-tamento, promosse e monitorate dalla Prefettura - con fondi del Ministero dell’Interno - per l’accoglienza “straordinaria” di quanti si configurano come “richiedenti protezione interna-zionale” (d’ora in poi RPI) e - nell’emergenza attuale (che dura da alcuni anni) - non trovano posto nelle strutture assolutamente insufficienti dell’accoglienza “ordinaria” prevista dallo SPRAR , il Sistema di protezione e accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati (che sappiamo a gestione prevalentemente comunale).In questo Report non useremo termini come “profughi”, “rifugiati”. “richiedenti asilo” o al-tro, ma soltanto RPI, perché allo stesso tempo il meno equivocabile e il più appropriato per definire gli ospiti dei CAS da noi presi in considerazione. Ossia quanti, con cittadinanza di Paesi extra-Ue, sono in stragrande maggioranza entrati in Italia “da profughi” seguendo per lo più le rotte che conosciamo (quella “mediterranea” o quella “balcanica”) e si trovano legittimamente accolti nei CAS in attesa di risposta alla loro richiesta di protezione interna-zionale o, in ultima istanza, almeno di permesso di soggiorno per motivi umanitari, risposta che può venire, positiva o negativa , anche dopo diversi mesi e in qualche caso anni (cfr De-creto legislativo n. 142 del 18 agosto 2015).

2. Obiettivi e metodo dell’indagineL’incremento significativo dei CAS in Provincia di Verona, la crescita del numero delle per-sone accolte, le risorse impiegate nel sistema di accoglienza e da ultimo l’inversione di ten-denza degli arrivi di nuovi richiedenti a partire dall’agosto 2017, rendono di sicuro interesse una ricognizione sul sistema di accoglienza a Verona.La ricognizione è stata focalizzata sui CAS, dal momento che, a fine 2017, gli SPRAR attivi in Provincia riguardano solo due comuni, con un numero di accolti inferiore al centinaio. Gli obiettivi della ricognizione sono:

› Verificare l’entità effettiva del fenomeno, la sua distribuzione territoriale, anche effet-tuando confronti con i principali trend demografici e con i dati generali sulla presenza di cittadini immigrati

› Raccogliere informazioni qualitative sulle attività dei CAS, le modalità concrete nelle quali si concretizza l’accoglienza, il personale e gli operatori impiegati

› Sondare il contributo dei CAS all’avvio del processo di integrazione dei RPI nella realtà nella quale sono inseriti.

In sostanza, nessun intento “ispettivo”, che sarebbe assolutamente improprio da parte del Cestim, ma anche perché non serve una ricognizione sui CAS per concludere che la po-licy italiana ed europea sull’accoglienza dei RPI produce effetti controintuitivi, rispetto agli obiettivi ufficialmente dichiarati1. Più modestamente l’indagine intende verificare se, all’in-terno dei vincoli dati di tipo politico e normativo, esistono spazi di azione per raggiungere risultati di qualità per i RPI accolti.

1. Si veda ad esempio il documento del Cestim http://www.cestim.it/argomenti/15politiche/italia/2016-05-13-Nota-Cestim-CMel.doc, oppure http://www.lunaria.org/2017/03/23/dossier-lunaria-accoglienza-la-propaganda-e-le-proteste-del-rifiuto/

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La ricognizione è stata effettuata in una prima fase elaborando e integrando i dati quantita-tivi su accolti e CAS nel periodo 2014-2017 forniti dalla Prefettura di Verona.

In una seconda fase sono state effettuate delle interviste semi-strutturate a operatori/re-sponsabili di CAS della Provincia di Verona. Si è cercato di intervistare tutti gli enti gestori con più di 90 accolti e un campione degli enti con un numero di accolti tra 10 e 77, oltre ad un gestore con meno di 10 ospiti: in totale 13 (quasi la metà degli enti gestori, corrispondenti ad oltre tre quarti dei RPI accolti). Non in tutti i casi è stato possibile effettuare le interviste, che sono state 9, ma riguardano tutti gli enti che hanno un numero elevato di ospiti ed un campione dei CAS medi e piccoli.Le interviste a responsabili di CAS sono state integrate ed arricchite da informazioni raccol-te, in numerosi incontri, da operatori e volontari operanti negli stessi CAS.Lo strumento di indagine è stato l’intervista semi-strutturata, basata su una traccia, ma ge-stita anche in modo non direttivo: uno strumento classico nell’analisi organizzativa e nell’a-nalisi delle politiche pubbliche2. L’impegno con gli intervistati è stato di non citare le singole interviste rendendole identificabili e attribuendo ad uno specifico ente gestore informazioni e valutazioni.

Elenco dei soggetti intervistatiA.CROSS Onlus Non hanno dato esito i tentativi

di intervistare:Aquiloni Onlus

Il Samaritano – Caritas Albanuova Cooperativa sociale

Milonga Cooperativa sociale Associazione Betania onlus

San Francesco Cooperativa sociale Versoprobo Cooperativa sociale

Spazio Aperto Cooperativa sociale Medihospes Cooperativa sociale

Tinlè Cooperativa sociale

Virtus Vecomp Verona SSD a RL

Vita Virtus Onlus

2. Si veda, tra i molti riferimenti, M.Catino, Capire le organizzazioni, Bologna Il Mulino, 2012, e B. Dente, Le decisioni di policy, Bologna, Il Mulino, 2011.

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PARTE PRIMA: I DATI QUANTITATIVI

3. I numeri e le tendenzeIl numero di RPI presenti in Provincia di Verona appare sostanzialmente trascurabile fino al 2014. I flussi di arrivo incominciano ad essere consistenti a partire dall’estate del 2015 e mostrano una crescita consistente fino all’estate del 2017.

Come è noto, gli invii a Verona sono governati centralmente dal Ministero dell’Interno e i numeri sono definiti sostanzialmente in base alla consistenza della popolazione: la po-polazione delle provincia rappresenta circa l’1,5% della popolazione italiana e questa è la percentuale (anzi leggermente inferiore: 1,3-1,4%) di RPI arrivati a Verona rispetto al totale degli arrivi in Italia.Da notare che l’accoglienza nei CAS governata dalla Prefettura rappresenta, a Verona, la quasi totalità dell’accoglienza dei RPI, dal momento che l’accoglienza governata dagli enti locali con lo SPRAR riguarda due comuni su 98, con numeri di accolti molto limitato (83).La crescita del fenomeno è stata certamente significativa, tuttavia i valori indicano un vo-lume di presenze del tutto gestibile. I RPI, anche nel momento di massima presenza, non hanno mai superato il valore di 3 ogni 1000 abitanti (stesso valore per il Veneto, per l’Italia si è arrivati a 3,4 per mille). Né si può dire che l’arrivo dei RPI (per la quasi totalità africani e asiatici) abbia rappresentato una clamorosa novità nel paesaggio sociale veronese: già nel 2014 la percentuale di stranieri rappresentava l’11,88% della popolazione residente (il 10,38 nel Veneto e l’8,25 in Italia) e tale presenza è addirittura leggermente diminuita nel 2016 (11,38 a Verona e 9,89 nel Veneto). All’incirca la metà di tali residenti stranieri proviene dai Paesi dell’Est europeo, ma il rimanente sono africani e asiatici, come i RPI.Le risorse impiegate in tale sistema di accoglienza sono state certamente significative e sono stimabili, nell’anno di maggior impegno, in 35 milioni di euro nel 2017, distribuiti ai diversi enti gestori dei quali parleremo in un successivo paragrafo.

RPI presenti nei Centri di Accoglienza in Provincia di Verona31/12/2014 338

30/06/2015 754

31/12/2015 1135

30/06/2016 1730

31/12/2016 2663

30/06/2017 2742

30/11/2017 2705

RICHIEDENTI PROTEZIONE INTERNAZIONALE E CAS IN PROVINCIA DI VERONA

ComunePopolazioneResidenti al 1/01/2017

Numerodei CAS

Presenzeal 30/11/2017

Residentistranieri al 1/01/2017

% Residentistranieri su

tot. residenti

% RPIsu tot

residentiVERONA 257.353 75 631 35245 13,70 0,25

Grezzana 10.802 2 300 974 9,02 2,78

Zevio 15.018 2 120 1539 10,25 0,80

Caprino Veronese 8.394 6 109 937 11,16 1,30

Isola della Scala 11.572 4 104 1376 11,89 0,90

Bovolone 15.874 4 94 1756 11,06 0,59

Bussolengo 20.027 1 87 2445 12,21 0,43

Legnago 25.265 4 82 2114 8,37 0,32

Sanguinetto 4.067 1 78 420 10,33 1,92

San Zeno di Montagna 1.362 1 75 144 10,57 5,51

Nogara 8.493 2 57 1336 15,73 0,67

San Bonifacio 21.258 9 55 3910 18,39 0,26

Pastrengo 3.112 3 54 246 7,90 1,74

Ferrara di Monte B. 228 1 47 16 7,02 20,61

Trevenzuolo 2.754 2 46 388 14,09 1,67

San Martino Buon A. 15.148 3 45 1852 12,23 0,30

Affi 2.341 1 44 172 7,35 1,88

Salizzole 3.772 2 41 270 7,16 1,09

Villafranca di Verona 33.185 3 41 3515 10,59 0,12

San Giovanni Lupatoto 25.205 4 40 2740 10,87 0,16

Erbezzo 720 1 37 38 5,28 5,14

Sona 17.630 2 37 1538 8,72 0,21

Tregnago 4.966 2 29 322 6,48 0,58

Dolcè 2.587 3 28 326 12,60 1,08

Castagnaro 3.779 2 27 278 7,36 0,71

Sommacampagna 14.746 6 25 1433 9,72 0,17

Vigasio 9.976 1 24 986 9,88 0,24

Pescantina 17.133 1 23 1147 6,69 0,13

Oppeano 9.972 3 22 1372 13,76 0,22

Valeggio sul Mincio 15.308 2 22 2032 13,27 0,14

Cerea 16.601 1 20 1362 8,20 0,12

Erbè 1.888 1 20 244 12,92 1,06

Selva di Progno 911 2 20 40 4,39 2,20

4. La distribuzione territorialeLe polemiche sull’insediamento dei CAS hanno riguardato specifiche realtà territoriali e quin-di appare di particolare interesse analizzare la distribuzione territoriale dei CAS e dei RPI.

RICHIEDENTI PROTEZIONE INTERNAZIONALE E CAS IN PROVINCIA DI VERONA

ComunePopolazioneResidenti al 1/01/2017

Numerodei CAS

Presenzeal 30/11/2017

Residentistranieri al 1/01/2017

% Residentistranieri su

tot. residenti

% RPIsu tot

residentiSan Pietro di Morubio 3.008 1 18 236 7,85 0,60

Soave 7.146 2 16 553 7,74 0,22

Gazzo Veronese 5.359 2 15 461 8,60 0,28

Albaredo d’Adige 5.239 2 12 542 10,35 0,23

Monteforte d’Alpone 8.939 2 12 1255 14,04 0,13

Zimella 4.896 3 12 542 11,07 0,25

Bosco Chiesanuova 3.599 1 11 302 8,39 0,31

Negrar 17.105 1 11 1392 8,14 0,06

San Pietro in Cariano 12.851 1 11 705 5,49 0,09

Sorgà 3.000 1 10 436 14,53 0,33

Arcole 6.255 1 9 678 10,84 0,14

Belfiore 3.147 1 9 362 11,50 0,29

Casaleone 5.766 1 9 513 8,90 0,16

Illasi 5.253 1 8 385 7,33 0,15

Mozzecane 7.546 1 8 1041 13,80 0,11

Ronco all’Adige 6.008 1 8 678 11,28 0,13

Castelnuovo del Garda 13.284 1 6 1522 11,46 0,05

Cazzano di Tramigna 1.513 1 6 99 6,54 0,40

Pressana 2.528 1 6 305 12,06 0,24

Isola Rizza 3.262 1 5 319 9,78 0,15

Cerro Veronese 2.461 1 4 216 8,78 0,16

Colognola ai Colli 8.631 1 4 1085 12,57 0,05

Bevilacqua 1.713 1 3 142 8,29 0,18

Povegliano Veronese 7.180 1 3 598 8,33 0,04

Marano di Valpolicella 3.145 1 2 134 4,26 0,06

Badia Calavena 2.654 1 1 179 6,74 0,04

Fumane 4.092 1 1 256 6,26 0,02

Lazise 6.916 1 1 676 9,77 0,01

Angiari 2.274 92 4,05

Bardolino 7.086 807 11,39

Bonavigo 2.040 238 11,67

Boschi Sant’Anna 1.400 70 5,00

Brentino Belluno 1.388 151 10,88

RICHIEDENTI PROTEZIONE INTERNAZIONALE E CAS IN PROVINCIA DI VERONA

ComunePopolazioneResidenti al 1/01/2017

Numerodei CAS

Presenzeal 30/11/2017

Residentistranieri al 1/01/2017

% Residentistranieri su

tot. residenti

% RPIsu tot

residentiBrenzone sul Garda 2.452 296 12,07

Buttapietra 7.035 692 9,84

Caldiero 7.826 1167 14,91

Castel d’Azzano 11.804 1248 10,57

Cavaion Veronese 5.910 520 8,80

Cologna Veneta 8.605 1041 12,10

Concamarise 1.085 116 10,69

Costermano 3.733 246 6,59

Garda 4.105 554 13,50

Lavagno 8.425 683 8,11

Malcesine 3.704 417 11,26

Mezzane di Sotto 2.483 115 4,63

Minerbe 4.626 438 9,47

Montecchia di Crosara 4.347 457 10,51

Nogarole Rocca 3.637 797 21,91

Palù 1.251 225 17,99

Peschiera del Garda 10.465 1340 12,80

Rivoli Veronese 2.182 138 6,32

Roncà 3.834 370 9,65

Roverchiara 2.750 471 17,13

Roveredo di Guà 1.575 161 10,22

Roverè Veronese 2.115 161 7,61

San Giovanni Ilarione 5.115 443 8,66

San Mauro di Saline 563 23 4,09

Sant’Ambrogio di V. 11.758 1139 9,69

Sant’Anna d’Alfaedo 2.538 162 6,38

Terrazzo 2.219 201 9,06

Torri del Benaco 3.025 415 13,72

Velo Veronese 759 15 1,98

Veronella 5.077 641 12,63

Vestenanova 2.586 189 7,31

Villa Bartolomea 5.837 475 8,14

TOTALE PROVINCIA 921.557 191 2.075 104839 11,38 0,29

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Dalla tabella precedente emerge che

› I comuni che vedono la presenza di CAS e di RPI sono 61 su un totale di 98.› Ma solo 13 hanno la presenza di strutture residenziali di una certa dimensione e un nu-

mero di RPI superiore a 50.› Il rapporto RPI/residenti è sempre inferiore al 3 per mille, esclusi tre casi, rappresentati

da comuni della Lessinia nei quali erano presenti strutture residenziali inutilizzate e ra-pidamente riconvertibili come CAS.

› In gran parte dei comuni interessati dalla presenza di CAS la presenza di cittadini im-migrati è già significativa prima dell’arrivo dei CAS, con valori superiori al 7-8 %, ma in molti anche al 10% e in alcuni comuni della Bassa al 15%, senza che questo dato abbia manifestato reazioni di “rigetto”. Per altro l’arrivo dei RPI non ha modificato il bilancio de-mografico dei comuni (escluso forse Ferrara di Monte Baldo), visto che stiamo parlando di numeri relativamente esigui.

› Il 13% dei comuni ospita il 68% dei RPI: nella maggior parte dei comuni quindi gli insedia-menti sono diffusi e di piccole dimensioni.

› Tutte le aree della provincia sono state coinvolte nell’accoglienza, fatta eccezione per i comuni della fascia costiera del Lago di Garda (per non far correre rischi al turismo?), con una forte presenza in particolare nella fascia urbana (capoluogo e comuni immedia-tamente limitrofi, escluso Castel d’Azzano).

10

5. I soggetti gestori: aspetti generaliI soggetti gestori dei CAS sono complessivamente 30 (in realtà sono di più, poiché in alcuni CAS la gestione “alberghiera” – cioè quella relativa a vitto e alloggio – è in carico a soggetti diversi da quelli che hanno in carico la mediazione linguistica e sociale).

SOGGETTO GESTORE MEDIATORE CULTURALE

NUMERO DEI CAS TIPOLOGIA DEI CAS LOCALIZZAZIONENUMERO DEI RICHIEDENTI ACCOLTI

AL 30 NOVEMBRE 2017TIPOLOGIA DEI RICHIEDENTI ACCOLTI

0 0SPAZIO APERTO Società

Cooperativa Sociale 25Unità abitative di proprietà ed

in affitto + dieci strutture ricettive

A Verona ed in provincia 497 Single (uomini e donne) e nuclei

familiari

VIRTUS VECOMP VERONA S.S.D. A R.L. 38 Unità abitative in affitto + una

struttura ricettivaA Verona ed in

provincia 333 Single (uomini e donne) e nuclei familiari

COSTAGRANDE s.r.l. con Cooperativa TINLE'

1 Struttura di proprietà della s.r.l.In provincia di

Verona 291 Solo uomini

A.CROSS Onlus 5 Unità abitative di proprietà + strutture ricettive

In provincia di Verona 250 Solo uomini

ALBANUOVA Società Cooperativa Sociale Onlus

13 Unità abitative in affitto + una struttura ricettiva

In provincia di Verona 222 Single (uomini e donne) e nuclei

familiari

SAN FRANCESCO Cooperativa Sociale Onlus 12 Unità abitative in affitto + due

immobili demanialiA Verona ed in

provincia 140 Single (uomini e donne) e nuclei familiari

Associazione BETANIA Onlus 3 Unità abitative di proprietà ed

in affittoIn provincia di

Verona 101 Single (uomini e donne) e nuclei familiari

CARITAS - IL SAMARITANO 38 Unità abitative di proprietà ed in affitto

A Verona ed in provincia 99 Solo uomini

Cooperativa Sociale MILONGA Onlus 4 Unità abitative di proprietà +

due immobili demanialiA Verona ed in

provincia 90 Solo uomini

VERSOPROBO Società Cooperativa Sociale 2 Unità abitativa di proprietà +

un immobile demanialeIn provincia di

Verona 77 Solo uomini

SENIS HOSPES in A.T.I. con DOMUS CARITATIS 1 Ex struttura ricettiva

In provincia di Verona 74 Solo uomini

Cooperativa Sociale OLINDA Onlus 5

Unità abitative di proprietà ed in affitto + una struttura

ricettiva

In provincia di Verona 73 Single (uomini e donne) e nuclei

familiari

GESTOUR s.a.s. con Cooperativa TINLE'

1 Ex struttura ricettivaIn provincia di

Verona 73 Solo uomini

XENIA OSPITALITA' 1 Unità abitativa di proprietàIn provincia di

Verona 59 Solo uomini

CENTRO COOPERAZIONE GIOVANILE

INTERNAZIONALE2 Due strutture in affitto

Solo nel comune di Verona 56 Solo uomini

Cooperativa Sociale FAMIGLIA FELICE Onlus 9 Unità abitative di proprietà ed

in affittoA Verona ed in

provincia 50 Single (uomini e donne) e nuclei familiari

Cooperativa Sociale JOY a.r.l. Onlus

5 Unità abitative in affittoSolo nel comune di

Verona 50 Solo uomini

Associazione IL CORALLO 3 Unità abitative in affittoIn provincia di

Verona 40 Solo uomini

AQUILONI Onlus 5 Unità abitative di proprietà ed in affitto

A Verona ed in provincia 28 Single (uomini e donne) e nuclei

familiari

Cooperativa AZALEA in r.t.i. con Cooperativa

VALPOLICELLA SERVIZI2 Unità abitative in affitto + una

struttura ricettivaA Verona ed in

provincia 14 Solo donne

COMUNITA' DEI GIOVANI Onlus 2 Unità abitative di proprietà ed

in affittoSolo nel comune di

Verona 13 Solo uomini

VITA VIRTUS Onlus 4 Unità abitative in affittoSolo nel comune di

Verona 13 Uomini e nuclei familiari

VALPOLICELLA Cooperativa Servizi 2 Unità abitative in affitto

In provincia di Verona 12 Solo uomini

UN MONDO DI GIOIA Onlus 2 Unità abitative in affitto

In provincia di Verona 10 Solo uomini

Società Cooperativa Sociale CODESS 1 Unità abitativa in affitto

In provincia di Verona 9 Solo uomini

Associazione VILLA BURI Onlus 1 Struttura in affitto

Solo nel comune di Verona 8 Solo donne

Società Cooperativa Sociale GAIA 3 Onlus 1 Unità abitativa in affitto

In provincia di Verona 8 Solo donne

Associazione IRIDE Onlus 1 Struttura di proprietà dell'Associazione

In provincia di Verona 7 Solo donne

Associazione DIAKONIA 1 Unità abitativa in affittoIn provincia di

Verona 4 Solo uomini

CENTRO DIOCESANO AIUTA VITA 1 Unità abitativa di proprietà

Solo nel comune di Verona 4 Due madri con altrettanti bambini

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I primi sette gestori3 (in termini di numero di RPI accolti), cioè il 23% dell’insieme degli enti coinvolti, ospitano il 68% dei RPI, spesso in strutture di dimensioni consistenti, e comun-que hanno in carico più di 100 stranieri ciascuno. Si può ipotizzare che tali enti abbiano nel tempo maturato una professionalità e specializzazione nella materia, potendo disporre di risorse consistenti. Altri 13 enti hanno in carico numeri più contenuti, da 20 a 99 RPI: alcuni di essi affiancano l’accoglienza dei RPI ad altre attività assistenziali consolidate da tempo e presumibilmente possono disporre al proprio interno di professionisti del sociale, mentre i rimanenti 10 soggetti, con numeri di accolti inferiori a 20, lasciano il dubbio (da verificare sul campo con altri strumenti) sulla possibilità di impiegare nel processo di accoglienza operatori esperti.

6. L’attività della Commissione territorialeLa Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Vero-na ha intervistato al 28.11.2017 2.603 richiedenti protezione internazionale e a tale data ha adottato 2471 provvedimenti. Sono in attesa di essere sentiti dalla Commissione 1822 RPI. Nei provvedimenti adottati, nel 29,4% dei casi era previsto di riconoscere i requisiti per una qualche forma di protezione (il 4% lo status di rifugiato, il 6% la sussidiaria, il 19,5 l’umani-taria), mentre il 70,6% delle domande è stato respinto. Si tenga presente che a livello nazio-nale tra il 2015 e il primo semestre del 2017 la percentuale di riconoscimento della prote-zione si aggira tra il 40 e il 43%. La maggiore “severità” della Commissione di Verona solo in parte può essere addebitata alla diversa composizione della provenienza dei RPI: infatti, rimanendo ai gruppi più numerosi, abbiamo a Verona 10 punti percentuali in più di nigeriani (che anche a livello nazionale vanno incontro ad una maggior percentuale di esiti negativi). Ma la presenza di RPI provenienti dalla Costa d’Avorio, Senegal, Mali, Guinea e Gambia (cioè gli altri gruppi più numerosi) tra le persone esaminate dalla Commissione di Verona è per-centualmente simile al dato nazionale.

Le attività della Commissione territoriale peril riconoscimento della protezione internazionaleRPI in attesa di intervista 1822

RPI intervistati 2603

provvedimenti adottati 2471

status di rifugiato politico 99

protezione sussidiaria 146

protezione umanitaria 482

rigetto 1471

irreperibili 271

inammissibili 2

ricorsi pendenti 870

3. I numeri forniti dalla Prefettura non sempre coincidono con quelli dichiarati dai soggetti gestori nel momen-to delle interviste, e a volte le discrepanze sono consistenti e non dipendono dalla data di riferimento. Nelle tabelle abbiamo lasciato i numeri forniti dalla Prefettura.

Un confronto Verona-Italia

Verona Italia 2016

Italia 1 sem. 2017

Domande accolte

29,4% 40,0% 43,3%

Domande rigettate

70,6% 60,0% 56,7%

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PARTE SECONDA: UN APPROFONDIMENTO

In questa seconda parte proporremo un approfondimento sul sistema di accoglienza, ba-sato sulle interviste ai responsabili o rappresentanti degli enti gestori dei CAS, oltre che su informazioni raccolte da operatori e da volontari operanti nei CAS. Si è scelto di non effet-tuare verifiche dirette con gli ospiti, sia per la oggettiva difficoltà di selezionare un campione rappresentativo, sia per il rischio di non riuscire a distinguere nel corso dell’intervista la valutazione dei RPI sulla loro situazione in termini generali (anche tenuto conto delle alte aspettative con le quali affrontano il viaggio), da quella sul servizio reso dagli enti gestori dei CAS.

7. Le tipologie di soggetti gestoriI soggetti gestori denotano una certa varietà di tipologie. Anzitutto occorre distinguere i CAS nei quali il servizio è garantito da un unico soggetto gestore in tutte le sue componenti, da quelli nei quali l’accoglienza “alberghiera” è garantita da un soggetto e la “mediazione cul-turale” da un altro.Il gestore unico è presente prevalentemente nelle realtà medie e piccole. Si tratta in alcuni casi di associazioni, con esperienza nei progetti di cooperazione internazionale, orientate a gestire CAS di piccole dimensioni. Ma anche di cooperative di piccola dimensione, con un forte retroterra di esperienza nel lavoro sociale (attività educative, disabilità, tossicodipen-denze e in generale persone vulnerabili).In tempi più recenti abbiamo anche la presenza di cooperative di grandi dimensioni, con sede principale in qualche città del Nord Italia o del Sud, abituate a partecipare ad appalti nei servizi sociali locali (e quindi con buoni uffici di progettazione), perché la loro strategia di business è muoversi sul mercato dei servizi sociali locali4.La gestione a due è presente prevalentemente nelle strutture recettive medie e grandi, nelle quali l’albergatore/ proprietario della location gestisce la parte logistico-alberghiera dell’accoglienza e una cooperativa sociale gestisce la parte definita inizialmente in modo riduttivo di “mediazione linguistica” (ma che in realtà riguarda tutti gli aspetti di mediazione sociale e culturale).A parte la gestione unica, la parte alberghiera è offerta da strutture recettive alberghiere di diversa dimensione. In alcuni casi sono state riattivate location chiuse per mancanza di attività; in altre, caratterizzate da una stagionalità marcata e comunque da un tasso di occu-

Anticipiamo subito una considerazione che riprenderemo nella conclusione del Report. La situazione che abbiamo trovato nei vari CAS è assolutamente variegata, a macchia di leopardo, per tipologia di servizi prestati (al di là di quelli contrattualmente obbliga-tori), per modalità di interpretazione del ruolo, per attenzione agli esiti del processo di integrazione dei RPI. Non è riscontrabile alcuna “regolarità” (in senso statistico, non normativo) legata alla dimensione dell’ente gestore, alla dimensione del CAS, alla ti-pologia di soggetto gestore, all’ambiente di collocazione del CAS. Riprenderemo queste considerazioni in conclusione, ma ci pare utile anticiparle, come “guida alla lettura” e comprensione della struttura e dei contenuti del Report.

4. L’evoluzione del welfare locale verso un sistema semi-pubblico di erogazione di servizi alla persona nel caso veronese è analizzata in M. Carbognin, Il Comune rimosso. Origini, espansione e declino di un sistema di wel-fare locale. Verona tra 1920 e 2011, Verona, Cierre edizioni, 2015, capitolo 3.

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pazione dei posti letto limitato, l’ospitalità dei RPI ha garantito un flusso di attività costante nell’anno, talvolta senza far venir meno il lavoro con clientela privata.Le attività di “mediazione culturale” sono svolte da cooperative sociali e in certi casi da as-sociazioni onlus. Le tipologie sono molto diverse, sia per dimensioni che per tipologia di bu-siness precedente l’ingresso in questo tipo di attività. Ci sono in primo luogo le cooperative sociali “locali”, radicate nel territorio, con esperienze consolidate nel campo dei servizi alla persona in partnership con gli enti locali o le ASL. Alcune di queste hanno maturato compe-tenze nel campo della marginalità, delle fragilità sociali e dei processi educativi e riabilitativi connessi; altre si sono interessate esclusivamente di anziani o asili nido. Poi ci sono le asso-ciazioni onlus, spesso promosse da volontari e operatori con esperienze pluriennali di pro-getti di cooperazione internazionale in Africa e/o America Latina, oppure nell’Est europeo: queste associazioni hanno maturato un interesse e in certi casi anche alcune competenze sia nell’accoglienza nel nostro paese di cittadini provenienti da altri “mondi”, sia nello svi-luppo di relazioni con persone cresciute in culture assai diverse dalla nostra. Alcune hanno anche un’esperienza di aiuto agli immigrati (specie donne) nel nostro Paese.

8. Le tipologie di rapporto contrattuale con la PrefetturaRispetto alle tipologie di rapporto contrattuale con la Prefettura, occorre distinguere due fasi diverse nell’evoluzione del fenomeno: le diversità, come vedremo, non riguardano solo la tipologia di contratto, ma anche i contenuti delle attività. La prima copre il periodo di forte crescita degli arrivi di RPI, a seguito dell’ondata di sbarchi iniziata nel 2015 e della ripartizione decisa dal Viminale e, a cascata, dalla Prefettura di Venezia. In questa fase l’ur-genza di reperire posti letto induce la Prefettura, anche in base alle circolari ministeriali del gennaio-aprile 2014, ad individuare direttamente le location e a negoziarne l’utilizzo con gli enti gestori, con una Convenzione diretta. Alcune di queste convenzioni vedono due parti: la Prefettura e il “soggetto gestore albergatore”, con un successivo sub-appalto alla coopera-tiva della parte di mediazione linguistico-culturale. Altre sono firmate direttamente da tre soggetti: la Prefettura, il “soggetto gestore albergatore” e il “soggetto gestore mediatore culturale”.Nella seconda fase, grosso modo a partire dal 2017, i nuovi contratti sono stipulati come esi-to di una gara d’appalto, espletata secondo le procedure di rito e sulla base di un capitolato abbastanza articolato e dettagliato. In questa fase i vecchi contratti proseguono in proroga e “convivono” con i nuovi contratti stipulati sulla base del capitolato d’oneri. La Prefettura aveva provato anche negli anni precedenti ad indire delle gare d’appalto, ma nella maggior parte dei casi erano andate deserte, facendo diventare in qualche modo l’affidamento diretto la strada obbligata. In tempi più recenti si presentano sulla piazza veronese grandi coope-rative con sede in altre province o regioni, abituate a gestire servizi affidati tramite bando e inducono/obbligano anche i soggetti locali a prendere in considerazione la partecipazione alle gare.

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9. L’idea di servizio

a) Le componenti del servizio

Nel caso del servizio di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale le componenti core sono definite dal contratto con la Prefettura. Nel triennio al quale si riferisce la presen-te indagine, i contratti con la Prefettura hanno avuto una certa “evoluzione”, probabilmente da un lato per un processo di “apprendimento” dall’esperienza, avvenuto all’interno stesso degli uffici della Prefettura, dall’altro perché si è constatato che gli ospiti dei CAS, pensati in teoria per un’accoglienza straordinaria di sei mesi al massimo, in realtà rimangono in moltissimi casi anche due o tre anni.Nella prima fase, a partire dall’estate del 2015, il servizio richiesto e garantito dagli enti gestori prevedeva fondamentalmente6

› vitto e alloggio ed elementi di supporto all’accoglienza “fisica” (lavanderia, vestiario, kit igienico ecc.)

› accompagnamento di mediazione linguistica negli adempimenti amministrativi› screening sanitario e assistenza sanitaria.

Il concetto di servizioPerché utilizziamo il concetto di servizio, invece che quello di attività, prestazioni o altro di simile5? Il servizio è un insieme ingegnerizzato di prestazioni, caratterizzato da diver-se componenti (alcune core, altre accessorie), finalizzato a rispondere ad un bisogno di un destinatario (utente/cliente). Il servizio richiede un sistema di erogazione, nel quale sono compresi diversi processi di lavoro, eventuali tecnologie applicate, un’organizza-zione che orienta ed integra i vari processi di lavoro, un sistema professionale (che nei servizi alla persona rappresenta il punto chiave del sistema di erogazione).Analizzare un’attività o un’organizzazione a partire dai servizi che eroga consente di mettere a fuoco la mission dell’organizzazione in modo concreto e non ideologico, di mettere al centro i bisogni del destinatario del servizio, di proporre una chiave di lettura dell’organizzazione e del sistema professionale effettivamente operante.Riteniamo preferibile “raccontare” i CAS in termini di servizi erogati, piuttosto che di “diritti” rispettati o negati, perché analizzare il processo di erogazione del servizio con-sente di comprendere meglio il funzionamento del sistema. Per altro il concetto di ser-vizio non è in contraddizione con quello di diritto: il servizio è il modo di rendere concre-to ed effettivo un diritto.

Un servizio può essere analizzato in termini di componenti core e di componenti acces-sorie: le componenti core rappresentano gli aspetti centrali del servizio, quelle che giu-stificano la sua erogazione e che istituzionalmente definiscono la finalità dell’organiz-zazione erogatrice. Le componenti accessorie non sono componenti marginali, spesso contribuiscono in modo determinante a definire la qualità del servizio stesso (si pensi, per fare due esempi, alla componente “alberghiera” in un ricovero ospedaliero o alla facilità di accesso alla modulistica per una certificazione fatta da un ente pubblico).

5. Si veda F. Butera, Processi di servizio e nuove forme di organizzazione nella Pubblica Amministrazione, in “Amministrare”, n.3, 1994.6. In Appendice riportiamo uno stralcio da un Contratto tipo della prima fase (2015) e uno stralcio da un Capi-tolato di appalto di alcune gare pubblicate nel 2017.

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Vediamo le diverse modalità di erogazione.La preparazione del cibo vede diverse situazioni. Nelle strutture medie e grandi inevitabil-mente il cibo viene preparato da personale dedicato e formato all’uopo, in alcuni casi lavo-rato sul posto, in altri con un servizio catering appaltato ad una ditta esterna che lo porta preparato e da scaldare. In alcuni casi è previsto un supporto locale di qualche ospite pagato per l’aiuto al cuoco e/o per la distribuzione.Nelle piccole strutture (sostanzialmente nell’accoglienza in appartamenti) la preparazione avviene da parte degli ospiti, in alcuni casi con una iniziale collaborazione o indirizzo da parte degli operatori. In queste situazioni la spesa può essere effettuata direttamente dagli ospiti, ai quali viene consegnato un lunch money, magari dopo un primo “addestramento” a fare la spesa con gli operatori stessi. Oppure la spesa è effettuata centralmente per tutti i CAS in appartamento gestiti da un unico soggetto, che provvede alla consegna nelle singole location. In un paio di casi la spesa e la preparazione dei pasti sono programmaticamente gestite come occasioni e strumenti per far crescere la conoscenza dell’ambiente nel quale è inserito il CAS.Le difficoltà sulle abitudini culinarie italiane e degli ospiti sono comuni a tutti i CAS, mag-giori laddove il gestore non ha nessuna conoscenza sui paesi di provenienza degli ospiti. Quando il cuoco è italiano, il rifiuto della dieta mediterranea e della pasta viene inizialmente visto quasi come un affronto; poi nel tempo, anche per evitare conflitti quotidiani, i gestori in genere imparano ad adattarsi alle abitudini alimentari degli ospiti. Un soggetto gestore ha coinvolto il medico interno nella predisposizione del menù settimanale, con una tipologia di cibi che tengano conto delle diverse provenienze. L’assunzione del cibo, come si sa, ha un profondo significato simbolico ed è anche una grande occasione identitaria. La separazione, se non il conflitto, tra i paesi di provenienza in alcuni casi si riverbera anche nella prepara-zione del cibo: i nigeriani per e con i nigeriani, i maliani per e con i maliani ecc.Circa le location, la situazione è molto diversificata. Dove i CAS sono collocati in alberghi in attività, la situazione dipende dallo “stile” di gestione dell’albergatore, sia rispetto all’af-follamento delle stanze, alla qualità dei servizi (bagni, lavanderia ecc.), alla disponibilità di spazi comuni nei quali fare scuola o da dedicare alla preghiera (in certi casi, tutti gli spazi sono stati trasformati in camere da letto). Anche negli alberghi o nelle residenze collettive dismesse (come le ex caserme) la situazione è molto diversificata, a causa dell’impegno nel ripristino dei locali (si tratta di investimenti come è noto consistenti, che non tutti i gestori hanno effettuato nello stesso modo). Comunque su questi aspetti la Prefettura effettua ispe-zioni periodiche, che, per quel che se ne sa, solo in pochi casi hanno riscontrato anomalie significative rispetto agli impegni contrattuali e agli standard attesi, e quindi non ci soffer-meremo oltre.Qualche soggetto gestore vorrebbe riconvertirsi almeno in parte all’accoglienza diffusa, ma non è facile per la difficoltà nel reperire alloggi.

All’accompagnamento di mediazione linguistica negli adempimenti amministrativi (do-manda di protezione, permessi di soggiorno e relativi rinnovi, colloquio con la Commissione prefettizia) viene dedicato molto tempo da parte di tutti i soggetti gestori e non sembra pre-sentare particolari criticità. Gli arzigogoli barocchi della nostra burocrazia sono difficilmen-te comprensibili ai migranti e talvolta gli operatori debbono fare i conti con le difficoltà di comprensione degli adempimenti da svolgere. Inoltre la lunghezza delle procedure è tale da far perdere comprensibilmente la pazienza. Tutti gli enti gestori dedicano tempo e risorse alla spiegazione agli ospiti dei loro diritti e dell’iter procedurale dalla domanda alla Com-missione, all’eventuale ricorso. Negli insediamenti in appartamento non sempre i rapporti poco frequenti con gli operatori consentono interventi e informazioni tempestive ai RPI.La maggioranza (ma non tutti, in particolare tra quelli che ospitano il maggior numero di

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RPI) degli enti gestori assistono gli ospiti nella preparazione per l’audizione presso la Com-missione territoriale, affinchè la storia che raccontano e le risposte alle domande abbiano un senso logico (almeno secondo il “nostro” modo di ragionare), una cronologia coerente e un senso comprensibile. In tre casi questo lavoro viene effettuato da operatori dotati di una preparazione specifica (uno studio professionale esterno o laurea in giurisprudenza o master dell’emergenza). Per quanto riguarda il ricorso al Tribunale di Venezia a seguito del diniego della Commissione, tutti i soggetti gestori quanto meno mettono in contatto i RPI con studi professionali disponibili (in primo luogo dal punto di vista tariffario), in alcuni casi proseguono l’assistenza a proprie spese fino alla presentazione del ricorso, all’udienza e all’assistenza dell’interprete e dell’avvocato.

L’assistenza sanitaria appare forse come la componente del servizio che ha maggiormente influito sulla condizione dei RPI in modo positivo, rispetto alla condizione di partenza e all’in-tegrazione nel sistema dei servizi garantiti ai cittadini residenti in Italia; questo è avvenuto in primo luogo per merito del Servizio Sanitario Nazionale, delle sue articolazioni e delle strutture del volontariato operanti in questo ambito.Lo screening della condizione sanitaria di coloro che arrivano viene effettuato in tutti i casi come previsto nelle prime settimane dall’arrivo con i Dipartimenti di prevenzione (oggi un unico Dipartimento con le sue articolazioni). Le eventuali terapie profilattiche sono prescrit-te e assunte in relazione con tali strutture.Nel caso di patologie gravi o di incidenti si accede al Pronto soccorso e all’eventuale ricove-ro ospedaliero. Spesso la non conoscenza da parte dei RPI dell’articolazione del SSN e dei diversi ruoli delle varie strutture (oltre alla non esistenza nei paesi di origine di un servizio sanitario) può generare un sovraccarico di richieste di accesso al pronto soccorso: uno dei compiti che si danno gli operatori è di “educare” i RPI ad un uso appropriato di tale servizio. Molti CAS sottolineano il ruolo rilevante e positivo svolto nell’assistenza specialistica da parte dell’Ospedale di Negrar.Per quanto riguarda la medicina di base, la situazione è abbastanza differenziata, sia per i comportamenti degli enti gestori, sia per quelli dei Distretti sanitari. Trascorsi i primi due mesi, nei quali i RPI hanno diritto alla tessera sanitaria provvisoria, nelle more della con-segna del permesso di soggiorno da parte della Questura, alcuni Distretti fanno difficoltà a rilasciare la tessera sanitaria. Nella maggior parte dei casi, comunque, con la tessera sani-taria i RPI scelgono il medico di base (in genere unico, su indicazione degli enti gestori) ed usufruiscono dell’assistenza sanitaria di base. Solo alcuni dei CAS di dimensioni maggiori hanno il medico interno (uno o più giorni alla settimana): del resto nelle prime convenzioni non era sempre previsto. Alcuni hanno invece un infermiere.Alcuni enti gestori si fanno carico del ticket su ricette e prescrizioni, altri no. La questione del ticket è legata al problema della residenza anagrafica. Nella fase iniziale la residenza veniva richiesta solo nei casi di disponibilità da parte dell’ente gestore (albergatore) a ri-lasciare la dichiarazione di ospitalità (anche in questi casi alcuni Comuni opponevano una certa resistenza, malgrado le norme vigenti siano chiare sui diritti dei RPI ad avere la re-sidenza). I gestori dei CAS più grandi erano piuttosto restii a rilasciare tale dichiarazione e alla fine cooperative ed associazioni (di gestione della mediazione culturale) vi rinunciavano, tranne situazioni particolari di singoli RPI, per non entrare in conflitto con comuni e alberga-tori. Gli approfondimenti intercorsi nella fase più recente hanno chiarito che i CAS rientra-no nella fattispecie della “convivenza anagrafica” ai sensi dell’art.5 del DPR.223/89. Alcuni enti gestori hanno registrato all’anagrafe comunale il CAS come convivenza anagrafica (o lo stanno facendo). Due comuni hanno rifiutato l’iscrizione. Alcuni enti gestori non sapevano di questa opportunità.Solo con la residenza e la carta d’identità è possibile avere l’ISEE e quindi l’esenzione dal

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ticket per mancanza di reddito (in realtà alcuni CAAF fanno un ISEE particolare per i RPI e i rifugiati, anche in assenza della carta d’identità, solo con il permesso di soggiorno).Nelle pieghe delle diverse burocrazie sanitarie, la presenza e l’attività del Cesaim (Centro Salute Immigrati) risulta per tutti preziosa, così come le cure dentarie gratuite organizzate e offerte fino ad un certo punto dalla Caritas.In quattro casi abbiamo registrato esperienze di educazione alla salute, in particolare per le donne.

Le componenti “accessorie”, come abbiamo detto, non rappresentano attività marginali, ma essenziali per la qualità dell’intero servizio.La più rilevante riguarda l’apprendimento dell’italiano, che collochiamo qui perché nelle prime convenzioni nel 2015 non era presente l’obbligo dei corsi di italiano, e quindi i sog-getti gestori si sono regolati in modo diverso. Quasi tutti i soggetti gestori hanno realizzato una delega quasi totale dell’insegnamento della lingua italiana ai CPIA (Centri Permanenti Istruzione Adulti). Quasi tutti effettuano attività di formazione linguistica per i soggetti ap-pena arrivati, nelle more dell’iscrizione ai CPIA, quando non ci sono posti disponibili oppure quando la location del CAS si trova in un luogo dal quale i RPI non possono raggiungere autonomamente i CPIA stessi. Per altro i CPIA non prevedono di organizzare in futuro corsi di alfabetizzazione (appunto per RPI analfabeti), come hanno fatto in passato, e alcuni CAS stanno organizzandosi per rispondere a questo bisogno.Alcuni soggetti gestori, pur senza escludere l’iscrizione ai CPIA, puntano ad una forte ge-stione in proprio dell’insegnamento della lingua, con operatori specializzati e dedicati, nella consapevolezza che l’italiano è il primo, indispensabile passo per l’inserimento sociale e lavorativo. In alcuni di questi CAS gli ospiti non sono obbligati alla partecipazione ai corsi di italiano (come è noto, l’apprendimento dell’italiano è una questione molto problematica nel caso degli immigrati e in particolare dei RPI): si punta ad una adesione personale convinta. In altri (2) la partecipazione ai corsi fa parte del “patto” che viene stipulato con i RPI nel mo-mento dell’arrivo al CAS ed è nella sostanza obbligatoria.

Se si tiene conto del lungo periodo di permanenza nei Centri di accoglienza, la formazione professionale e l’avviamento al lavoro rappresentano il grande “buco nero” dell’esperienza dei CAS. Sono poche le attività pianificate per tutti, risulta abbastanza limitata l’informazio-ne sul mercato del lavoro italiano e locale e sulle procedure di ricerca e avviamento al lavoro (due soggetti le hanno fatte per tutti). I progetti di lavori socialmente utili solo in un caso risultano abbastanza generalizzati (vengono negoziati con il comune nel quale è collocato il CAS nel momento di presentazione iniziale del CAS).Quasi ogni soggetto gestore ha qualche buona pratica in tema di inserimento lavorativo. In (3) casi si utilizza la cooperativa o una sua emanazione (ad esempio una B collegata), per fare attività connesse al processo di accoglienza dei RPI o esterne (artigianali, manutenzio-ne), assumendo RPI o rifugiati ai quali è stata accordata la protezione. Vari soggetti hanno promosso e realizzato corsi e stage, ad esempio di preparazione degli alimenti, in collabora-zione con un artigiano locale; laboratori di sartoria, in collaborazione con artigiani e aziende del settore. In un caso il soggetto gestore realizza, tramite un operatore specializzato in materia, un bilancio di competenze semplificato per tutti gli ospiti, da utilizzare sia per il curriculum, che per indirizzarlo nella ricerca del lavoro o di qualche iniziativa formativa che possa arricchire lo stesso curriculum.Ma i numeri dei RPI che partecipano a tali attività e ottengono tramite questa partecipazione alla fine un lavoro regolare sono molto piccoli (non superano l’1% dei RPI, escluso un caso nel quale arrivano al 4%). È noto, anche agli operatori, che molti lavorano con impieghi tem-poranei in agricoltura (spesso in nero). Ed alcuni d’altra parte trovano lavoro per conto loro,

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nei lavori di pulizia, facchinaggio e simili. L’impressione generale che emerge è che “ce la fanno” coloro che hanno maggiori “risorse”, mentre gli altri, una volta usciti dal programma di accoglienza, in assenza di reti amicali o parentali, alle quali rivolgersi sul territorio, si ritrovano in situazione di estrema vulnerabilità.

In alcuni CAS vi è una specifica attenzione a comunicare agli ospiti le regole e le modalità del vivere in Italia, anche con incontri specifici e con iniziative che li aiutino a muoversi nel territorio. In altri questo aspetto “educativo” è lasciato all’informalità e alle relazioni quoti-diane con gli operatori.

Le attività sportive sono sostanzialmente autoorganizzate dai RPI (partitelle di calcio e si-mili), negli spazi del CAS (se ci sono), oppure negli spazi pubblici disponibili (se vengono concessi). Vi è stato un tentativo di contatto, senza risultati effettivi malgrado la disponibilità espressa, con Scienze motorie, per programmare e realizzare un programma appropriato di attività fisiche, guidato da operatori specializzati. In vari comuni si è realizzato qualche incontro di calcio “esemplare”, con scuole o squadre di calcio locali.

Attività nel tempo “libero” e di integrazione/conoscenza del territorio sono affidate alla di-sponibilità e “creatività” dei volontari, quando ci sono: visite alla città e al contesto territo-riale, partecipazione a feste locali, anche con un contributo all’allestimento.

Può essere considerata una componente “accessoria” del servizio anche l’eventuale attività di assistenza alla fine della fase di accoglienza istituzionale. Alcuni soggetti gestori non fanno sostanzialmente nulla dopo la consegna del permesso conseguente alla protezione o della sentenza avversa del Tribunale. In questi casi, si tratta di un ambito nel quale lavorano un po’ i volontari, utilizzando la rete di relazioni propria, ma inevitabilmente con i RPI che hanno più risorse. Alcuni (pochi) enti gestori riferiscono di “progetti individualizzati” costru-iti per questa fase: ma si tratta di pochi e selezionati soggetti, che sembrano avere le risorse per “farcela”.Per i soggetti particolarmente vulnerabili la Prefettura consente deroghe all’obbligo di in-terrompere l’accoglienza nel momento della consegna del permesso o della notifica della sentenza avversa del Tribunale di Venezia: molti enti gestori intavolano quindi “trattative” finalizzate a proseguire l’assistenza.Da tre mesi, secondo alcuni (2) lo SPRAR “ha allargato le maglie” e chi ha ottenuto la pro-tezione e non è in grado di mantenersi può essere inserito nel sistema; per altri, la maggio-ranza, lo SPRAR è invece sparito.Fino ad oggi, alcuni soggetti gestori (3) continuano la presa in carico a loro spese per un certo periodo (circa 6 mesi) anche dopo la concessione della protezione o la conclusione in senso negativo della pratica di ricorso.Anche chi intende aiutare i RPI nella fase successiva all’accoglienza nei CAS si trova spesso bloccato dalla difficoltà nel trovare casa (“servirebbe un servizio che li aiuti, magari con un coordinamento con gli enti gestori”).Circa i limiti che l’azione di alcuni soggetti gestori evidenzia in tema di progetti di integrazio-ne dei RPI, occorre dire che in verità nelle prime convenzioni, che riducevano all’essenziale il core service del gestore, la Prefettura garantiva il proprio interessamento per l’accesso ai servizi di inclusione.

L’idea del servizio, nella seconda fase, nei CAS costituiti in base alle ultime gare d’appalto, si basa per la parte core su una definizione contrattuale del servizio da erogare che si arti-cola e si arricchisce, includendo – oltre a quanto già previsto - anche componenti che nella

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prima fase abbiamo definito “accessorie” (si veda un Capitolato in Appendice).Vi è in primo luogo la formalizzazione del servizio di informazione su normativa, procedure, diritti e doveri dei RPI ed in specifico “l’assistenza nella predisposizione della documenta-zione necessaria per l’esame della domanda da parte della Commissione territoriale…. E sui modi dell’impugnazione”, che alcuni soggetti gestori ritenevano non fosse compatibile con il proprio ruolo e del tutto esclusa dalla Prefettura.Il servizio di assistenza sociale e psicologica, che nella prima fase era lasciato alla discre-zionalità dei singoli gestori, che lo garantivano in modo sporadico, è compreso ora negli obblighi contrattuali.La Prefettura affida inoltre agli enti gestori il servizio di supporto all’integrazione, chiarendo che si tratta di aiutare i RPI ad orientarsi nel territorio e nel sistema dei servizi locali da un lato, e formalizzando l’obbligo dei corsi di lingua italiana.Vi è poi una migliore e definita strutturazione del servizio di assistenza sanitaria, con per-sonale medico e infermieristico dedicato, e la fornitura di farmaci di prima necessità.Per tutti i servizi vi è una definizione di precisi standard quantitativi sulle dotazioni tecniche e di personale, sia per i servizi previsti da sempre, sia per quelli inseriti nei nuovi capitolati.

b) La partecipazione degli utenti all’erogazione del servizioIn generale, la partecipazione degli utenti al processo di servizio è indispensabile per l’effet-tiva erogazione e la qualità della partecipazione condiziona moltissimo la qualità del servizio stesso. Nel caso di servizi di assistenza la partecipazione dei destinatari dei servizi genera problemi complessi e delicati, che hanno a che vedere con la domanda espressa dagli utenti stessi e con la loro capacità/legittimità di definire i propri bisogni. Non entreremo nel merito di questa discussione, alla quale accenniamo solo per sottolineare che si tratta di una que-stione delicata e controversa.In termini generali, nei casi esaminati, la partecipazione degli utenti appare molto limitata nelle strutture più grandi ed un po’ più sviluppata nei CAS medi e piccoli. Dove è prevista la preparazione del cibo da parte degli ospiti, la partecipazione genera ovviamente maggior soddisfazione sulla qualità del vitto. Un CAS utilizza l’acquisto del cibo come strumento per “educare” gli ospiti alla necessità di programmare le proprie attività e di non attendere l’”esplosione” del bisogno (in questo caso la fame) per vedere come soddisfarlo.Per le pulizie, gli albergatori preferiscono affidarsi a ditte esterne specializzate ed attrez-zate, magari con una partecipazione marginale di qualche RPI: in un CAS l’affidamento agli ospiti di una quota delle pulizie è prevista come parte del processo “educativo” di socializza-zione alle regole del CAS e allo stile di vita europeo.Le regole interne non sono frequentemente oggetto di discussione, ma prevalentemente di comunicazione “ad una via”, in quanto “date” e legittimate dall’autorità della Prefettura. Nell’accoglienza in piccoli gruppi o in appartamento, la discussione sulle micro-regole in-terne è talvolta utilizzata per abituare gli ospiti alla convivenza.In quasi tutti i CAS ci sono stati degli allontanamenti (trasferimento in altri CAS o esclusione dal programma di accoglienza). L’atteggiamento degli enti gestori nei confronti di questo provvedimento “estremo” è in parte diverso, tra chi lo vede come estrema ratio se possibile da non utilizzare e chi tende a scaricare sulla Prefettura la responsabilità delle decisioni (che in realtà si basano ovviamente sulle segnalazioni dei gestori).

c) Una sintesi sull’idea di servizioIn generale, l’idea di servizio che emerge nei soggetti gestori è abbastanza diversificata e, come riprenderemo nelle conclusioni, influisce sul sistema, le attività, la qualità comples-siva del CAS.Per un gruppo di soggetti erogatori, in particolare tra quelli coinvolti nella fase iniziale, il

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servizio da erogare è rappresentato dagli adempimenti previsti dal contratto con la Prefet-tura: si tratta di alcuni dei soggetti con il maggior numero di ospiti, collocati nelle vicinanze del comune capoluogo, che rappresentano realtà con fatturati consistenti, abituati a gestire commesse e appalti da enti pubblici e a portare a buon fine la commessa con l’obiettivo di soddisfare il committente. Il destinatario del servizio/cliente in questo caso è la Prefettura e l’obiettivo del sistema di servizi è ottenere il gradimento da parte del cliente, facendo at-tenzione alla ottimizzazione delle risorse impiegate e alle ricadute sul conto economico del soggetto gestore stesso. Le componenti del servizio e le risorse investite in ciascuna di esse sono la conseguenza diretta di tale visione.Per un secondo gruppo di soggetti gestori il servizio consiste nell’accogliere nel modo mi-gliore possibile i RPI, cercando per quanto possibile di rispondere non solo ai bisogni im-mediati (mangiare, dormire e fare i documenti), ma anche alle necessità relazionali, di ap-prendimento, per tutto il periodo nel quale sono in carico al CAS. Aumenta in questo caso il peso della componente educativa/formativa, sia rispetto alla lingua italiana, sia rispetto alla conoscenza del contesto territoriale, sia rispetto al metodo di lavoro interno al CAS e al si-stema di relazioni interno (con gli operatori e tra gli ospiti). In questo gruppo sono compresi soggetti gestori prevalentemente medi e piccoli, sia cooperative che associazioni, in modo distribuito nel territorio provinciale.Infine, per un terzo gruppo il servizio consiste nell’accogliere nel modo migliore possibile i RPI, come primo passo per avviare un processo di “integrazione” degli ospiti nella società italiana. Di questo gruppo, quantitativamente più limitato, fanno parte soggetti gestori di diverse dimensioni e tipologie, caratterizzati da una forte visione ideale, e da un sistema di relazioni con il territorio molto strutturato. Le componenti core del servizio previste dal contratto con la Prefettura sono solo il punto di partenza di un percorso in più tappe, che, dopo l’inserimento in un CAS di dimensioni medio-grandi, punta sull’”accoglienza diffusa”. La partecipazione ai corsi di italiano diventa condizione per ogni sviluppo successivo e quindi semi-obbligatoria; l’aiuto nelle fasi successive al colloquio con la Commissione continua, sia per l’eventuale ricorso, che per la ricerca del lavoro (resa meno impossibile dalle relazioni che l’accoglienza diffusa consente), che per l’assistenza successiva all’uscita dal program-ma di accoglienza.Per questi enti è fondamentale costruire progetti individuali, stipulare con i RPI un “patto personale”, che in certi casi può prevedere anche il rimpatrio. Per uno dei soggetti gestori che ha questa visione del servizio e che non può giovarsi di una rete di relazioni estesa e capillare, la focalizzazione è molto sulla relazione operatore/ospite (in questo caso gli ope-ratori hanno una consolidata esperienza nella gestione delle relazioni di aiuto con persone vulnerabili).La visione del servizio che emerge dalle interviste è quindi significativamente diversa, con profonde ripercussioni sulle attività svolte nei CAS e sulla qualità complessiva del servizio svolto. Qualcuno dei gestori, che ha iniziato con forti motivazioni ideali, pensa di chiudere l’esperienza “perché è diventato un business”.

10. Dimensioni e natura del soggetto erogatore del servizioSoffermiamoci ora sulle caratteristiche dei soggetti gestori.

a) Cooperativa, impresa profit, associazioneIl servizio alberghiero, quando è separato dalla mediazione linguistica e culturale, è erogato da imprese profit, che hanno o acquisiscono la location dove vengono ospitati i RPI ed hanno una concezione del servizio che individua la Prefettura come cliente (del resto è quella che decide e paga!). Il servizio erogato è di diversa qualità (per altro la Prefettura invia periodi-

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camente ispezioni, molto attente alla componente “alberghiera” del servizio). Non ci si può aspettare da loro nulla di più di quanto previsto dalle convenzioni. Le strutture profit che ini-zialmente gestivano anche la componente di mediazione del servizio, hanno fatto in modo di coinvolgere associazioni o cooperative, poiché tali attività sono difficilmente gestibili in una logica esclusivamente profit.Le cooperative sociali/imprese sociali gestiscono la maggior parte dei servizi di mediazione linguistica e culturale. Come in altri ambiti di intervento della cooperazione sociale, anche nel caso dei CAS appare abbastanza complicato trovare il punto di equilibrio tra finalità so-ciali da un lato ed esigenze del business e del conto economico dell’impresa dall’altro.In alcuni casi le cooperative/associazioni gestiscono anche l’intero servizio. In questo caso il servizio appare più integrato (tra accoglienza “alberghiera” e mediazione) e la massa di ri-sorse disponibili, più consistente, consente maggiormente una gestione strategica del ser-vizio ed un equilibrio più favorevole ai RPI tra le diverse componenti.Quanto alle associazioni, per quelle di maggiori dimensioni valgono le considerazioni fatte sulle cooperative sociali (in realtà alcune sono “associazioni” perché hanno utilizzato un contenitore esistente che ritenevano, più semplice da gestire dal punto di vista burocratico: ma, con la riforma del Terzo settore, stanno pensando al da farsi). Quelle di minori dimen-sioni sono entrate in questo ambito di azione per la loro storia pregressa (interventi con gli immigrati, in Africa, nei Balcani ecc.), sono caratterizzate da una forte tensione ideale, non sempre da una elevata professionalità specifica.

b) Soggetto di piccole/grandi dimensioni e n. complessivo degli ospitiCirca la dimensione del soggetto gestore, si ripropone anche nel campo dell’accoglienza ai RPI il dilemma e la contraddizione che ha attraversato la storia della cooperazione sociale fin dalle sue origini negli anni ’80 del secolo scorso7. La piccola dimensione ha in genere garantito maggior aderenza ai bisogni del territorio e una maggiore qualità delle relazioni con i destinatari del servizio. La dimensione maggiore ha favorito la crescita di competenze “manageriali” e di specializzazione, spesso a prezzo di un appannamento della dimensione sociale dell’impresa.In modo non meccanico, possiamo riscontrare questi trend anche nella nostra ricognizione sui CAS. I soggetti di minori dimensioni sono maggiormente inseriti e attenti al territorio e ai bisogni degli ospiti, ma sono caratterizzati, per ovvie ragioni, da una minore presenza di figure professionali specializzate in specifiche componenti del servizio (assistenza psicolo-gica, insegnamento della lingua, assistenza giuridica). La motivazione all’ingresso in questa attività ha meno a che vedere con il business e molto di più con l’emozione suscitata dalla crescita degli sbarchi di profughi nelle isole italiane. Al contrario, i soggetti più grandi hanno compiuto una scelta strategica, basata su una precisa valutazione dei margini economici che l’attività consente. Magari l’input iniziale è arrivato da una sollecitazione della Prefettura (o dei propri massimi referenti), ma gli sviluppi successivi sono frutto di una precisa scelta strategica. In tale strategia rientra la progettazione più articolata e specializzata del servizio.In altri ambiti di attività sociale e in altre province è stato possibile coniugare i vantaggi della piccola dimensione (vicinanza all’utente e al territorio) con quelli della grande (economie di scala e specializzazione), tramite i Consorzi, che consentono alle imprese sociali di “ri-manere piccole all’interno di una rete più grande possibile”8: ma da sempre a Verona far

7. Si veda C. Borzaga, A. Ianes, L’economia della solidarietà. Storia e prospettive della cooperazione sociale, Roma, Donzelli, 2006.8. Ho esaminato alcune esperienze di consorzi di cooperative sociali in una ricerca di qualche anno fa: M. Car-bognin, Il campo di fragole. Reti di imprese e reti di persone nelle imprese sociali italiane, Milano, Angeli, 1999.

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crescere reti di imprese è stata una fatica con pochi risultati e in ogni caso in questo ambito, come diremo più avanti, non c’è traccia di rapporti di rete tra le imprese.

c) CAS di piccole/grandi dimensioniL’“accoglienza diffusa” e i CAS di piccole dimensioni favoriscono l’integrazione nel territorio dei RPI e diminuiscono (ma non sempre) le reazioni avverse da parte degli abitanti (soprat-tutto se la loro apertura viene adeguatamente preparata), ma vedono inevitabilmente una presenza un po’ sporadica degli operatori. I CAS di grande dimensione offrono il vantaggio di consentire la specializzazione degli operatori e quindi di ampliare i servizi offerti; inoltre la presenza degli operatori è più costante e ciò può facilitare lo sviluppo del rapporto opera-tore-RPI. Alcuni soggetti gestori si stanno orientando ad accogliere in luoghi medio-grandi i RPI per una prima fase (orientativamente sei mesi), per poi trasferirli, se ne hanno la pos-sibilità, nell’accoglienza diffusa. Nella prima fase si garantisce una prima “infarinatura” di italiano, si fanno tutti i controlli sanitari e gli adempimenti burocratici, si cerca di formulare un profilo dell’ospite; nella seconda fase si lavora di più su progetti individualizzati di svilup-po e integrazione.

11. Sistema professionale e servizioIn una organizzazione di erogazione di servizi alla persona il sistema professionale è l’aspet-to chiave, in un certo senso l’architrave del sistema di erogazione, e dai caratteri del sistema professionale dipende in larghissima misura la qualità del servizio erogato. Nel nostro caso, occorre capire le competenze e l’esperienza degli operatori impiegati nei CAS, le modalità di selezione, le iniziative di formazione attivate.

In termini generali, possiamo dire che le figure professionali necessarie ad un buon funzio-namento dei CAS, nella fase iniziale di espansione dei Centri non erano presenti sul mercato del lavoro locale, fatte alcune poche eccezioni.Abbiamo registrato la presenza di alcuni (pochi) operatori (talvolta di volontari) con espe-rienza di lavoro e di progetti con rifugiati, immigrati africani e utenti simili, ma potremmo contarli sulle dita di due mani e non sono presenti in tutti i soggetti gestori.Una alternativa valida alla mancanza di esperienza di lavoro con i RPI si è dimostrato il possesso di significative, prolungate e diversificate esperienze precedenti nel lavoro sociale e assistenziale: alcuni (pochi) operatori (spesso con ruoli di responsabilità) provengono da percorsi professionali anche articolati e lunghi in strutture di aiuto a utenti fragili (di diversa natura). Queste esperienze hanno consentito di far crescere le competenze di gestione della relazione di aiuto, ma anche quelle di organizzazione del lavoro sociale (e quindi di gestione dei collaboratori in tale ambito).Molti operatori sono in possesso di un iter formativo universitario e del relativo titolo di studio (laurea breve, spesso anche laurea specialistica, perlopiù in materie educative, o in scienze politiche), ma la maggior parte è caratterizzata da una scarsa esperienza nella ge-stione della relazione di servizio, in particolare con questa utenza specifica. Questo è un punto chiave, poiché le conoscenze specifiche in materia di protezione internazionale e dei relativi percorsi, diritti ecc. si possono acquisire anche abbastanza rapidamente, e per altro tutti gli enti gestori di una certa dimensione ne hanno fatto oggetto di formazione specifi-ca per gli operatori. Le competenze relazionali, e con questa utenza specifica, necessitano invece di altri strumenti di acquisizione (seminari o sessioni di riflessione sull’esperienza, supervisioni individuali o di gruppo ecc.).Occorre anche dire che per molti operatori, con titolo di studio debole sul mercato del lavo-ro, quello nei CAS è il primo lavoro stabile, a tempo pieno. L’unico requisito assolutamente

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discriminante è la buona padronanza delle lingue (inglese, ma anche francese, per lavorare con i RPI provenienti da paesi francofoni). Questa condizione ha reso molti operatori (a volte più dei responsabili) particolarmente attenti alle indicazioni (non solo contrattuali, ma an-che informali) della Prefettura, per il timore più o meno consapevole di creare situazioni di attrito (con la Prefettura, con il comune, con l’albergatore) che potessero compromettere il proseguimento o il rinnovo del contratto di gestione.Non esisteva, in particolare nella prima fase di espansione, una descrizione delle figure professionali da impiegare nei CAS e delle loro competenze. La selezione degli operatori, quindi, è avvenuta utilizzando in larga misura il “naso” dei responsabili dell’ente gestore, con colloqui e modalità informali, attivando canali e reti informali per reperire possibili can-didati. Solo in un secondo momento alcuni (pochi) soggetti gestori hanno utilizzato modalità di selezione più strutturate, con avvisi pubblici e colloqui strutturati.Gran parte dei soggetti gestori ha attivato iniziative di formazione per gli operatori, in par-ticolare sulla normativa riguardante la protezione internazionale. Poche le iniziative di for-mazione su temi più ampi. In un caso alcuni operatori sono stati sollecitati a frequentare il Master in gestione delle emergenze, presso l’Università di Verona. In altri è stata accettata e favorita l’iniziativa dei singoli di iscriversi a corsi post-universitari o ad una seconda laurea attinente temi affini a quelli trattati sul lavoro. Non risultano invece presenti modalità di supervisione (la modalità formativa più consolidata per sviluppare competenze di gestione della relazione con l’utente fragile) o seminari sulle tematiche di gestione dei gruppi, di conoscenza delle diverse tradizioni culturali e delle relative ricadute sulle modalità di com-portamento delle persone.

Qualche considerazione specifica merita il ruolo e la presenza dei volontari. Alcuni enti gestori (cooperative) escludono la presenza di volontari: il lavoro deve essere svolto dagli operatori e i volontari possono avere eventualmente una presenza marginale (supporto di doposcuola per l’italiano o altre materie). Al contrario, in altri (pochi) casi i volontari diven-tano il veicolo per costruire relazioni con la comunità locale: dalle attività di tempo libero, alla partecipazione a incontri, da feste “etniche” a progetti musicali, ad attività sportive o escursionistiche. Nella maggior parte dei casi tuttavia i volontari rimangono estranei alla “gestione strategica del servizio”9 e nel corso del tempo il loro ruolo viene sempre di più marginalizzato. Le associazioni invece realizzano un ampio coinvolgimento di volontari e alcune riconoscono anche rimborsi spese per le loro attività.In alcuni pochi casi (3) i volontari assicurano agli enti gestori collaborazioni professionali di alto profilo con professionisti specifici (psicologi, avvocati, etnopsicologi).

9. Richard Normann parla di “gestione strategica dei servizi”, con riferimento alla costruzione di un “pacchet-to di servizi” in grado ad un tempo di soddisfare i clienti e di far realizzare all’impresa i suoi obiettivi e la sua mission: si veda R. Normann, La gestione strategica dei servizi, Milano, Etas Libri, 1992.

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12. Uno schema di sintesi

13. Il contesto che mancaLa constatazione comune che emerge dalle interviste riguarda la sostanziale assenza del contesto rispetto alle attività e alla strategia di gestione del CAS.

a) Le interazioni con l’ambito localeLe interazioni con l’ambito locale, con la “comunità” nella quale è collocato il CAS, non sono molto “sostantive”. E già questa constatazione appare significativa. “In questi tre anni ho trovato più accoglienza che rifiuto”, dice un responsabile, ma prevale l’indifferenza e il fare come se i CAS e i RPI non esistessero. Ma, a parte le reazioni iniziali nel momento dell’inse-diamento di un nuovo CAS e le proteste guidate dai politici locali, le reazioni negative per lo

Si può intravedere un inizio di evoluzione del modello, da 1 a 2, a partire dalla fine della primavera 2017 e dalla diminuzione del numero degli sbarchi, in concomitanza con la minor urgenza per la Prefettura di reperire nuovi posti per RPI: l’attenzione all’intero ciclo della richiesta di asilo (dalla domanda alla risposta definitiva dei diversi gradi di giudizio) si fa un po’ strada anche nei soggetti gestori del tipo 1 e si inizia a porsi il problema della post-accoglienza (cioè di che cosa succede quando i RPI escono dal programma di accoglienza). A questa evoluzione nel modello di servizio corrisponde, almeno in parte, uno sviluppo del sistema professionale verso una maggiore specia-lizzazione degli operatori. Questa evoluzione è in parte obbligata, dal momento che il modello di business che puntava sui grandi numeri degli arrivi è andato in crisi e gli enti gestori debbono puntare su altre componenti del servizio per garantirsi un futuro (pro-getti europei, finanziamenti di Fondazioni e altri soggetti privati).

IDEA DI SERVIZIODIMENSIONI

Servizio CAS come adempimento di un contratto (1)

Servizio CAS come attività a favore dei RPI (2)

Servizio CAS come tappa di un percorso di integrazione (3)

Chi è il cliente Prefettura Richiedenti protezio-ne internazionale

Richiedenti protezio-ne internazionale e comunità locale

Componenti chiave del servizio

Adempimenti ammi-nistrativi e controlli sanitari

Adempimenti + in-segnamento lingua e informazioni sul contesto

Insegnamento lingua e informazioni sul contesto + attività di integrazione + post-accoglienza

Sistema professionale

Responsabili profes-sionalizzati – opera-tori inizialmente con esperienza limitata

Operatori/volontari con forti esperienze pregresse nel socia-le

Responsabili con chiarezza di visione strategica + Operato-ri/volontari con forti esperienze pregres-se nel sociale

Dimensioni CAS/Ente gestore

Grande Medio - piccolo Medio – piccolo

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più si fermano lì: fanno eccezione, per i CAS in appartamenti, le “classiche” liti condominiali, in particolare nei quartieri di case popolari, nelle quali i RPI diventano i capri espiatori dei conflitti tra residenti e colpevoli di ogni fatto negativo succeda nel condominio (compresa la saturazione della fossa biologica!).Il veicolo non unico, ma più rilevante di interazione con l’ambito locale sono i (pochi) volon-tari. Loro promuovono iniziative per far conoscere i RPI e i loro problemi alla comunità, con feste, passeggiate, pulizie di strade e piazze, preparazione e distribuzione di cibo etnico. Prevalentemente dai rapporti informali dei volontari, focalizzati inevitabilmente su casi sin-goli (magari quelli che avevano avuto in classe per l’insegnamento dell’italiano) passano i percorsi per la formazione e l’avvio al lavoro. In tutto questo non vi è nessuna sistematicità e pianificazione, e quindi nessuna gestione strategica finalizzata ad ottenere risultati esten-dibili e replicabili.Le relazioni di vicinato vedono reazioni molto diverse, a seconda sia dei comportamenti og-gettivi degli ospiti, sia degli stereotipi correnti nei loro confronti, sia per il contesto micro di condominio o di quartiere nel quale il CAS è inserito.Le location alberghiere o comunque le convivenze ad elevata numerosità, in maggioranza isolate, possono essere tranquillamente ignorate e in effetti hanno limitatissimi rapporti con la comunità locale. È significativa l’esperienza di un paesino di montagna, dove il numero dei RPI è quasi simile ai residenti permanenti effettivi, che, dopo la reazione negativa iniziale, vede una tranquilla convivenza di anziani abitanti con giovani RPI, che anzi spesso li aiutano in piccoli lavoretti o nel portare la spesa a casa.

b) Le interazioni con le amministrazioniPer quanto riguarda le Amministrazioni comunali, nella maggioranza dei casi vengono di-chiarati rapporti negativi nella fase di insediamento; tali rapporti negativi sono una delle cause che ha portato ad una collocazione dei CAS il più lontano possibile dalle zone residen-ziali. Dopo la fase iniziale, i rapporti sono pressochè inesistenti e quasi tutte le Amministra-zioni fanno come se i CAS non ci fossero. Fanno eccezione i CAS con sedi in edifici concessi dal Comune, non a caso concessi in una fase di gestione commissariale del Comune. Tal-volta gli ospiti dei CAS vengono coinvolti in iniziative locali (la festa per la tale ricorrenza o simili), ma sono eventi episodici, senza alcuna finalizzazione e continuità.Rispetto alla questione della residenza anagrafica dei RPI, i rapporti con i comuni sono ab-bastanza differenziati. In alcune amministrazioni sono i funzionari a creare difficoltà, in altri i politici. Adesso, a tre anni dalla crescita degli arrivi, un po’ alla volta tutti gli enti si stanno conformando alla normativa sul diritto di residenza, accettando la registrazione dei CAS come convivenze anagrafiche.Non si è sviluppato sostanzialmente alcun rapporto con enti locali, provincia, regione, asso-ciazioni imprenditoriali e sindacali per realizzare progetti finalizzati all’avviamento al lavoro (tranne alcuni pochi casi singoli). Gli stessi “lavori socialmente utili”, previsti come espe-rienza semi-generalizzata dalle indicazioni ministeriali, sono molto difficili da far partire (la maggior parte degli enti locali non è disponibile a concordare con gli enti gestori ambiti di lavoro, coprogettazione e risorse strumentali necessarie). In questa situazione diventa poi anche difficile, quando iniziano, riuscire a portare a termine il progetto, garantendo la parte-cipazione continua dei RPI: l’assenza totale di incentivi (non necessariamente monetari, ma anche simbolici o curriculari) non favorisce certo la continuità.Nella sostanza i Comuni hanno rinunciato totalmente al ruolo di regia che la storia e la legge assegnano loro sui temi assistenziali10, lasciando all’iniziativa degli enti gestori la responsa-

10. Si veda M. Carbognin, Il Comune rimosso. Origini, espansione e declino di un sistema di welfare locale. Verona tra 1920 e 2011, Verona, Cierre edizioni, 2015, capitoli 1 e 2.

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bilità e l’onere di gestire i rapporti con la comunità locale.Per le ASL e per gli Uffici delle Entrate valgono discorsi in parte analoghi. Fermo restando quanto detto sul ruolo positivo del Servizio sanitario, la gestione della parte burocratica (tessera sanitaria) e l’assegnazione del codice fiscale richiedono acrobazie burocratiche de-fatiganti, spesso diverse da ufficio a ufficio a seconda del funzionario preposto al provvedi-mento amministrativo.

c) Le interazioni tra soggetti gestoriCome già accennato in precedenza, le interazioni tra soggetti gestori sono praticamente inesistenti. Nella fase iniziale, quando tutti dovevano costruirsi il know-how sulle pratiche operative da adottare, nessuno poteva ammettere di saperne poco. Dopo la fase iniziale, con l’affacciarsi delle gare, la cooperazione è vissuta come un rischio rispetto alla concor-renza per gli affidamenti. Le buone pratiche, sviluppate da vari soggetti, non sono fonte di imitazione positiva, ma sono quasi viste con sospetto. Gli ambiti di azione sui quali ci sono maggiori difficoltà, non danno luogo a collaborazioni finalizzate alla ricerca di una soluzione comune (per esempio la gestione di alcune procedure burocratiche). E il problema chiave dell’inserimento lavorativo non ha prodotto alcun tentativo (fino ai tempi recenti, oggi forse è in ballo un progetto comune tra più cooperative) di mettere insieme una massa critica di pressione per trovare qualche soluzione anche molto parziale.Nessuno soggetto gestore vuole farsi rappresentare da nessun altro, e d’altra parte i sog-getti della rappresentanza (le centrali cooperative) sembrano aver rinunciato a giocare un qualche ruolo in questa partita.Anche i soggetti che dovrebbero favorire la cooperazione tra singole imprese sociali (con-sorzi delle cooperative, centrali cooperative) sembrano totalmente assenti.Poi, dal punto di vista pratico-operativo, vi sono alcuni casi sporadici di cooperazione, in par-ticolare sui corsi di italiano e sui trasferimenti di ospiti da una struttura ad un altra.

14. Considerazioni finaliVediamo ora di proporre una visione d’insieme della ricognizione effettuata e alcune rifles-sioni conclusive, partendo dalla valutazione complessiva dell’esperienza che viene fatta, con accenti profondamente diversi, da parte degli enti gestori.Alcuni intervistati, non solo per dovere d’ufficio, tracciano un bilancio positivo dell’espe-rienza, sia per la struttura e che per le persone: si è trattato di una importante occasione di arricchimento professionale per tutti. D’altra parte alcuni dicono anche che con i CAS in un certo senso “si riduce il danno, per i ragazzi accolti e per la comunità”, perché le persone sono raggruppate, non sono lasciate allo sbando. Tra chi fornisce una valutazione positiva c’è anche chi sceglie di non aumentare i numeri, malgrado le sollecitazioni della Prefettura, per lavorare bene.Altri intervistati propendono per una valutazione negativa: “Si va avanti perché le persone non possono essere lasciate sulla strada, ma manca tutto il contesto, non esiste nulla che aiuti l’integrazione... non puoi risolvere niente”, per usare una frase finale di uno degli inter-vistati. Coloro che esprimono una valutazione non positiva sottolineano le contraddizione tra livelli di governo (Ministero-Prefettura da un lato, comune dall’altro) che rischiano di schiac-ciare il soggetto debole cooperativa ed impediscono di arricchire attività ed esperienze. La natura del fenomeno ed il modo con il quale viene gestito fa si che si lavora solo sul breve periodo, in mancanza di qualsiasi prospettiva, per i RPI e per la cooperativa.

La presentazione dei risultati della ricognizione conferma una situazione “a macchia di leo-pardo”, nella quale la qualità dei servizi erogati e i risultati per i destinatari del servizio e per

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gli stessi enti erogatori sono molto diversi. Un ente gestore ha fatto certificare il processo di accoglienza da una società di certificazione della qualità.Certamente pesa su tutta la vicenda la gestione dell’accoglienza come un problema di “pro-tezione civile” da affrontare. Del resto la Prefettura, che è l’ente preposto, ha quelle compe-tenze appunto (di protezione civile); non più, almeno nel dopoguerra, quelle di coordinare i servizi di assistenza11.Ma all’interno di questi limiti, i singoli enti gestori si sono mossi con strategie e modalità diverse. Qualcuno ha puntato a diventare uno degli interlocutori privilegiati della Prefettu-ra, rispondendo alle urgenze che essa manifestava e preoccupandosi solo successivamente della qualità dei servizi erogati.I soggetti che avevano una tradizione consolidata di gestione di relazioni di aiuto a persone fragili hanno invece valorizzato le competenze possedute per impiegarle in modo estensivo anche a questo ambito di azione.I pochi enti gestori che sono inseriti in ampie reti nazionali, che garantiscono risorse di vario tipo (finanziarie, di know-how, di progetti) sono anche riusciti a costruire e realizzare pro-getti significativi.Gli altri, mi si passi la banalità dell’affermazione, cercano di fare “del loro meglio”, per gli ospiti e per il proprio ente, ma in assenza di una gestione strategica del servizio, con un oriz-zonte temporale limitato (anche se alcuni CAS sono insediati da quasi tre anni e molti RPI sono arrivati a Verona da due o tre anni).

Anche le politiche migratorie, e segnatamente dell’asilo, sono il risultato, in particolare nella fase di implementazione, dell’azione di una pluralità di soggetti e al processo pren-dono parte diversi attori. “I processi migratori non sono governati soltanto dalle autorità politiche e dalle norme legislative, ma sono influenzati da relazioni di potere a cui anche altri attori concorrono: anzitutto i migranti stessi, e in secondo luogo vari soggetti delle società civili”12. Gli attori pro-immigrati possono sfidare attivamente le politiche di esclusione, e gli attori che partecipano al processo di accoglienza hanno margini di azione per attivare po-litiche di inclusione.È certamente difficile operare in un settore così delicato a prescindere dalla situazione isti-tuzionale e politica, e quindi a quel livello dovrebbero essere operate scelte più adeguate ad affrontare il problema, non solo in un’ottica da protezione civile, visto che l’”emergenza” si prolunga ormai da molti mesi e presumibilmente, pur con numeri forse ridotti, proseguirà nel tempo13.Ma anche in una situazione istituzionale difficile, i margini di azione e di autonomia ci sono e la ricognizione effettuata lo mette sufficientemente in evidenza. L’idea di servizio e la defini-zione della mission del soggetto gestore danno luogo a differenze anche abbastanza signifi-

11. Nel periodo tra le due guerre, in una fase di forte centralizzazione, almeno a parole, delle politiche pubbli-che, il ruolo della Prefettura era cruciale nel coordinamento e controllo delle politiche locali. Tale ruolo viene rapidamente superato nel Secondo Dopoguerra: si veda M. Carbognin, Il comune rimosso, cit. capitolo 1 e 2.12. Maurizio Ambrosini, C’è anche chi aiuta immigrati e rifugiati, https://welforum.it/ce-anche-chi-aiuta-im-migrati-e-rifugiati/13. Non molto diverse sono le evidenze sottolineate da un Rapporto elaborato da NaGa sull’accoglienza in Pro-vincia di Milano (Stra)Ordinaria accoglienza http://www.naga.it/tl_files/naga/comunicati/(Stra)ordinaria%20accoglienza.pdf . Certamente i numeri degli arrivi a Milano rendono più difficile la situazione, ma l’evoluzione del servizio reso e del Capitolato della Prefettura, le difficili relazioni con gli enti locali, i limiti nei servizi orien-tati all’integrazione, le contraddizioni dell’accoglienza diffusa (più efficace per l’integrazione, ma che rischia di lasciare gli ospiti nell’isolamento), la presenza di ottime best-practice (in particolare di costruzione di reti tra gestori, cosa che non esiste a Verona) che non riescono tuttavia a trasferire valore e know-how all’insieme del sistema locale di accoglienza assomigliano molto a quanto riscontrato a Verona.

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cative nelle attività svolte, nella qualità complessiva e quindi, abbiamo modo di ritenere, nei benefici per i ragazzi ospitati14.Certamente a monte di tutte queste considerazioni stanno le policy nazionali ed europee su immigrazione, asilo e accoglienza, e le modalità con le quali questi fenomeni entrano nella discussione pubblica nel nostro paese: ma questa è un’altra storia. Certamente una mi-gliore gestione dei CAS, pur con i vincoli dati, potrebbe contribuire (l’abbiamo visto anche in alcuni dei casi esaminati) a diminuire, se non disinnescare totalmente, paure e intolleranze che finiscono per rendere difficilissimo un rapporto positivo tra RPI e comunità locale.

14. Le conclusioni alle quali stiamo arrivando non sono dissimili dalle valutazioni della recente letteratura sul tema. “Di fatto, i CAS, in teoria straordinari, accolgono ordinariamente la gran parte degli oltre 205.000 migranti presenti nelle strutture di accoglienza a luglio 2017… E hanno finito per diventare, anche quando sog-gettivamente funzionano bene, l’emblema del malfunzionamento complessivo del sistema: con l’affidamento diretto da parte delle Prefettura, subissate dall’urgenza degli arrivi determinati dal susseguirsi degli sbarchi, di modalità di accoglienza emergenziale, a cooperative e associazioni sguinzagliate sul territorio alla ricerca di posti letto… Quando è andata bene si è trattato di accoglienza diffusa sul territorio; quando è andata peggio, si è trattato di grandi concentrazioni in luoghi messi a disposizione dal demanio… Dove si sono ammassate centinaia e centinaia di persone… Senza nessuna speranza di una integrazione possibile… Il bilancio dei CAS è ambivalente. Da un lato, nei casi migliori (spesso di associazioni che, proprio perché serie, si rifiutavano di partecipare ai bandi per la gestione di luoghi ddi accoglienza oltre una dimensione gestibile), si è trattato di un preziosissimo lavoro di intermediazione sociale, capace i svolgere un ruolo… non solo con la società circostan-te, ma di effettiva costruzione di progettualità anche mirate e personalizzate (dai corsi di lingua all’inserimento lavorativo), inventando pure forme di convivenza e di sperimentazione sociale di straordinario interesse e cre-ando anche sbocchi occupazionali… in mancanza di linee guida e progettualità provenienti dall’alto, aprendosi anche ad altre forme di marginalità sociale (di autoctoni), dalla cui gestione spesso provenivano. Dall’altro, nei casi peggiori, e in special modo quando si tratta di gestire i grandi numeri, si è creata una perversa forma di bulimia acquisitoria, di intento esclusivamente speculativo, da parte di imprese interessate ad un business accaparratorio, senza alcuna autentica progettualità mirata all’utenza… In mezzo, tra gli uni e gli altri, un’am-pia zona grigia in cui si giocavano buona volontà locale, energie positive del volontariato, interessi localistici contrastanti, strumentalizzazioni politiche che creavano ulteriori problemi invece che aiutare a risolverne, disinteresse delle istituzioni” (S. Allievi, Immigrazione. Cambiare tutto, Bari, Laterza, 2018, pp. 75-76).

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APPENDICI

Stralcio da un contratto-tipo stipulato a convenzione diretta con un soggetto gestore alber-ghiero e una cooperativa.

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Stralcio dal Capitolato di appalto degli ultimi Bandi di Gara della Prefettura di Verona per la gestione di CAS

Prefettura Verona - Contratti - Prot. Uscita N.0041331 del 31/08/2017

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