Intra Landoj, Rivista di Culture N. Zero

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Intra Landoj, Rivista di Culture. Settembre 2012

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Rivista di culture

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Intra Landoj Rivista (digitale ma non troppo) di Culture 2012, Anno I, Agosto, N. ZERO Immagine di copertina: Cecilia Ferlito Direzione: Ferlito Cecilia, Lai Lucio. Contatti: www.luciolaihomegallery.com www.facebook.com/luciolaihomegallery www.facebook.com/pizia.ridens [email protected] [email protected]

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Tranci essenziali: -Intro, chiacchierata semiseria di Lucio Lai

-Manifesto di Intra Landoj

- Isolana in insula (Atto I), di Cecilia Ferlito - Filamenti, con Marco Ennis Mariani - Isole, Luce, Percezioni, Silenzio, di Lucio Lai - Escursioni ed Incursioni, ovvero per un Altro Inizio, di Lucio Lai? -C’era una volta un Cabochon…, chiacchiere intramagliate con Daniela Soria, di Lucio Lai

--Interruzione: di Cecilia Ferlito

-S’Ardia di Sedilo, di Gian Lucio Lai (non siamo parenti) - Mescla, Libertà tra le Terre, di Luca Bellucci -Sulla Maschera Neutra, offuscamenti di Lucio Lai nell’Intervista a Rita Laforgia

--Interruzione seconda : di Cecilia Ferlito

-Cosa sono I Maestri Naturali, di Giuseppe Panella

--Interruzione terza: di Cecilia Ferlito

-Conclusione, aperture… (avvisi, annuncio più o meno ufficiale della Collettiva a Lecce…)

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Intro

-di Lucio Lai- Trovare l’incipit di questa Rivista è come cercare di farlo nel mare e quindi miglior approdo in-tal-fieri è un punto qualsiasi. Era il tempo in cui Cecilia avrebbe dovuto, previa lettura del Manifesto di Intra Landoj, “cavarmi” qualche altra informazione, curiosità… senza magari farmi perdere in turbinii sinistri di incanti omerici…

Era lo stesso tempo in cui assieme a Cecilia e a me, la presenza di Daniela e Rita sarebbe stata necessaria per una chiacchierata/intervista. Gli argomenti principi sarebbero stati enunciati ed eviscerati secondo le tendenze del gusto delle maestranze presenti…

Non si sa bene come si sarebbe evoluta la ragnatela nell’incontro tra un’Elbana dell’Ovest ed uno dell’Est -entrambi di parziali origini shardane- , una Sicula e una Pugliese…

Ma non è stato possibile.

LLhOmeGallery, luogo di scambio

Non è stato possibile dare lettura del manifesto. Non è stato possibile parlare tutti assieme: o c’era una o c’era l’altra; si stava innescando un meccanismo di anelli mancanti, turni saltanti e vespri suadenti. Quello che segue è una ricostruzione quasi romanzata di cosa sarebbe potuto accadere se quel giorno Cecilia Ferlito avesse preso in mano il Manifesto… e avesse consegnato le forme alle astanti, frementi.

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Lettura Manifesto…

Intra Landoj si e vi propone di raccontare, di far vivere e di viver insieme il Mediterraneo vissuto, con i suoi odori, i suoi sapori, i suoi colori, i suoi pensieri e le sue emozioni. Gli spostamenti avvenuti entro un’area tanto variegata e potenzialmente continua quanto determinata dal limite che ne crea la caratterizzazione specifica, o i movimenti avvenuti al di fuori di essa, producono percezioni poste in essere, percezioni che prendono vita attraverso le più disparate forme di espressione, che sia la parola data ad un’ esperienza, o sia un mestiere o un’espressione cosiddetta artistica, il territorio e le persone che lo abitano diventano e sono quell’enorme laboratorio che è il Mediterraneo e che vuole essere Intra Landoj. Intra Landoj è un NOI molteplice, variegato, è la forza unica di un continuo movimento, mai ponderato, variabile, sì casuale ma non troppo, che proviene da un irradiarsi sparso di territori, di mestieri, di culture, di cibi, di arti, di disparate attività, di popoli, di razze, di genealogie che procede però verso quell’unica direzione, ove poi converge in un’unica parola che tutto esprime come totalità e come unicum, in quella parola determinante un sì piccolo spazio dall’enorme potenziale, mostrato tanto nei secoli da divenire caratterizzante quale enormità di esperienze, quale teatro ed intreccio di vite: Mediterraneo, il mare tra le terre, un crogiuolo di energie.

Che cos’è Intra Landoj?

O meglio, chi è …

Intra Landoj è il luogo bagnato tra le terre. Intra Landoj è il luogo asciutto tra i mari.

Intra Landoj è il non luogo dell’incontro dei tempi, è il tempo dello scambio dei luoghi ove si estrinseca la forza dell’unico molteplice.

Intra Landoj è il luogo della forza intrinseca del Mediterraneo.

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“Avete mai osservato la luce di un’isola? Di una piccola isola?”

Parole mai lette, ma udite più volte in variegate occasioni…Già, occasioni, sempre sbagliate probabilmente o forse non appropriate a tramutare l’udire in sentire. Facciamo un passo indietro. Cecilia è un’isolana ( e forse anche un’isola), di stirpe isolana, nata, cresciuta e vissuta in un’isola. E che isola! Un’isola irradiante culture ed energie, potrebbe quasi dirsi al centro del Mediterraneo se Pantelleria, a dire della cara Giovanna, non fosse il cuore di questo mare tra le terre... Cecilia è siciliana. Checché se ne dica, Pantelleria non è la Sicilia, Lampedusa non è la Sicilia…L’Elba non è la Toscana. Di piccole isole la Cecilia in questione ne aveva visitate, ma mai aveva vissuto il disorientamento che un’isola altra può provocare in un’isolana in insula. Isola contro isola? Scontro fra Titani? Come direbbe il mio saggio padre: “Solo chi proviene da un’isola e l’ha nel sangue può vivere e capire un’isola”.

Parrebbe quasi uno scontro ma, in realtà, trattasi dello svelamento di quella trama così vasta e di una semplicità così disarmante da rimanerne impigliati, che altro non è se non il nostro mare, il Mediterraneo, il mare tra le terre che separa ed unisce in maniera quasi impercettibile, indossando una maschera per non farsi attore, togliendo la maschera per farsi teatro.

Isolana in insula (Atto I)

-di Cecilia Ferlito-

1 Lucio Lai, cit., pp. …. Ancora nella sua mente.

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Foto di Cecilia Ferlito

Premessa intra-testo, questa, necessaria al fine di far comprendere ( o almeno immaginare) a quei pionieri lettori di Intra Landoj e a chi sarà Intra Landoj, quella luce, la luce di una piccola isola osservata, sentita, percepita ed eviscerata da una grande isola. Chi è siciliano o chi ha visitato la Sicilia, sa bene quanto sia forte la percezione dell’essere isolani ed isola in una terra circondata dal mare, ma sa altrettanto bene quanto distanze considerevoli, paradossalmente, possano offuscare e a volte indurre al totale oblio tale percezione, se non quando, giunti nei pressi di Messina si nota una terra al di là del mare: L’Italia. Anche dall’Elba la si nota.

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Quando da Messina si guarda all’Italia, però, pur essendo geograficamente più vicina, la si percepisce più lontana… e non per quella mentalità che tutti pensano essere così differente, o per quel modo di vivere che la maggior parte suppone essere così… “altro”, ma questa è un’altra storia, che forse qui o forse altrove, ma sicuramente non adesso, racconterò. Quando giunsi all’Elba, da isolana, per la prima volta capii cosa significhi essere circondati dal mare. Altre piccole isole a Sud, quali Lipari, Favignana o la piccolissima Motia, rappresentano delle esperienze uniche nella mia memoria, ma non in grado di avere un impatto così forte nella relazione tra mare e terra.

Guardare le Egadi da Trapani o le Eolie da Milazzo significa guardar a dei piccoli paradisi prepotentemente circondati dal mare . Viceversa, guardar verso la Sicilia significa guardar al continente… Quando invece ci si imbarca da Piombino per l’Isola d’Elba si ha quasi l’impressione di inoltrarsi tra le zampe di un ragno galleggiante il cui corpo sembra sempre lontano, eppure dalla nave lo si vede lì a poche decine di metri, ma quella nave continua e continua ad solcar le onde, in una traversata che sembra sempre dilatarsi e poi d’un tratto, quando tutto sembrava irraggiungibile eppure sì prossimo, si giunge alla meta, della quale i colori hanno già pervaso, o meglio, invaso i pori della nostra pelle, con toni di rosso e di magenta, di verde ed antracite. Tutto sembra tragicamente “normale” poggiato il primo piede sulla terraferma, ma oltrepassato quel confine labile tra il civilizzato ed il selvaggio, quel confine impercettibile tra Nord e Sud, l’Elba entra nelle vene e il mare e la terra si svelano quali amanti ribelli ad ogni regola di appartenenza. E allora si compenetrano e la terraferma, quale terra emergente dal mare, non è mai stata così fluttuante. Guardare Montecristo o Pianosa dall’Elba, significa volgere la mente al silenzio, viceversa guardar verso l’Elba significa scorgere la terra che abbraccia il mare. L’orientamento si perde, ogni punto di riferimento diventa superfluo, tutto diventa mare… ed il Mediterraneo si svela….

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Diventa teatro e attore e il dietro le quinte, e diventa me, diventa te, diventa tutto e non ha fine in quell’abbraccio che soffoca, culla e fluttua in una danza sfrenata, al suono di quel silenzio così melodico solo per loro quando la terra si spande, galleggia, s’aggrappa al suo mare, gli amanti nemici si compenetrano, s’aggrovigliano, si confondono e in un vortice di sensazioni ELLA t’appare:

Foto di Cecilia Ferlito

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la luce dell’isola, di una piccola isola.

Foto di Cecilia Frlito

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E qui vi lascerò forse in sospeso, ma della luce dell’isola io non narrerò… Sarà lei prossimamente a metter a confronto i Titani: il micro ed il macrocosmo, la grande isola e la piccola isola, il frastuono ed il silenzio, il colore ed il bianco e nero, fin quando forse, e par sì arduo, s’illuminerà da sé e prenderà forma quella che par essere una tela di Penelope.

Foto di Cecilia Frlito

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Filamenti “Mediterraneo. Padrone di un lembo di terra che non ti appartiene e bello, per sempre.” (Marco Ennis Mariani)

Un punto d’incontro, Marco Ennis Mariani

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“Avete notato la luce…

La luce di un’isola…

Di una piccola isola?” -Citazione, di una Citazione…

Isole, Luce, Percezioni, Silenzio.

-introduzione a Posteriori sulla Trilogia delle Isole, di Lucio Lai-

La risacca tocca sempre diversa la sponda sempre diversa ad ogni toccare...

Il Silenzio non è Assenza, il Silenzio non è una cosa sola. La luce di un’ Isola non ha pari e questa è complice con la guida del Silenzio.

Foto di Lucio Lai

Foto di Lucio Lai

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Non ci sono vedute paesaggistiche del Luogo ma l’ interpretazione di un’isola, appena sognata magari, percepita,appunto. E’ un... “Sogno di un’Isola”, non come la vorrei ma come entra: austera, silenziosa, aspra, generosa. E’ un disegno sognante del primo mattino, a pelo d’acqua, lontano dalla Penisola. La Luce, unica, dell’Isola, la Luce del Mare, suggerisce un approccio senza “Obiettivo” instaurando un rapporto diretto con la luce. L’Isola è il Corpo, l’Isola è Luce.

La Percezione delle Isole e soprattutto quella del Silenzio, non si sviluppa nel sogno ma da questo prende mosse di volatilità. Come un sogno mattutino svanisce nel momento in cui cerchiamo di afferrarlo, così il concetto di Silenzio nell’Isola di Capraia è quasi inesprimibile come lo stesso silenzio. Il lungo vagare nel silenzio capraiese ha reso possibile riconoscere un’attività reticolare nello stesso, dando sfogo di parzialità all’affermare la presenza dell’assenza nel silenzio. Il silenzio non è una cosa sola, cioè assenza… di ciò che impedirebbe l’essere silenzio. Un certo numero di particelle sottili riempiono dunque, con movimento laborioso, l’apparente assenza. La luce è l’oggetto della ricerca e mezzo stesso. “L’Isola è il Corpo, l’Isola è Luce.” E il silenzio? È opportuno fare un passo indietro come “la risacca tocca sempre diversa…” e porsi all’origine, dovendo mettere un paletto del Principio.

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Le Isole della trilogia sono 3: Sardegna, Capraia, Elba. Saltando velocemente i meccanismi propulsori del progetto, arrivo alla sintesi delle percezioni: Sardegna: Percezione dell’Isola, come Isola di parziale appartenenza, mai vissuta realmente è espressa con percezione generale, come un ricordo lontano…; Elba: nell’ordine progettuale è la terza a comparire ma nel posteriori, serve qui, quasi come antipode, isola del sangue materno, vissuta e quindi percepita con molteplicità. Capraia: è il luogo di presa di coscienza del Progetto, è l’isola che ha permesso di comprendere l’ “essere isola”. Non solo “chi proviene da un’isola e l’ha nel sangue può vivere e capire un’isola”, riprendo Cecilia che riprese le parole del padre, ma anche chi da essa si stacca e torna”. Per sapere questo è necessario un termine di paragone: l’Italia peninsulare, quella continentale se vogliamo, ma ciò è bastato solo a capire che è un vivere altro. Per arrivare al radicato pensiero dell’insularità son dovuto passare per un’altra isola, più piccola; dove i passaggi dal civilizzato al selvaggio sono ancora minori, labili. Ogni luogo, ogni terra ha una peculiarità e quella di Capraia è il Silenzio. Già nella prima tappa in Sardegna, a Castelsardo (SS), non solo erano delineate le note essenziali per terminare la Trilogia, ma ben chiara era l’evoluzione del Progetto: Intra Landoj.

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Escursioni ed Incursioni Ovvero

per un Altro Inizio

-di Lucio Lai(?)-

Un altro inizio sarebbe stato quello di sapore cinematografico… Osservando il quadro di Bake “Cagliostro”. Parafrasando, anzi, cito le parole dell’autrice: "Cagliostro fa parte di un percorso pittorico dedicato al cinema: "Frame". Bake cattura e traduce in opere pittoriche frammenti di Films per lei significativi, adoperandoli come veicolo per proporre la personale sensibilità. La passione cinematografica…

Sono incappato nel labirinto di “Cagliostri, Castelli e ritorni vari” finché ho trovato il frame in questione, giustamente accreditato all’Opera esatta “Una Strega in paradiso”. La pellicola ha un cast di tutto abbondante rispetto, peccato che non abbia anche un cappello da togliere, spassoso, ma non certo dello spessore dell’interpretazione dello stesso James Steward nella pastosa gran Pizza de “La finestra sul cortile”. Il fotografo ingessato costretto immobile nell’afa ben dipinto da Hitchcock ha ispirato molti autori come altre sue opere. E come non avrebbe potuto ispirare Dario Argento fin tanto da omaggiarlo con il film “Do you like Hitchcock? ” ? Nonostante gli ultimi films, parecchi, mi lascino l’amaro in bocca, continuo a difendere quel Dario di “Profondo Rosso”. A 37 anni dall’uscita del film, far comprendere l’importanza di quest’opera, nel proprio genere, è ancora un imperativo.

Cagliostro Bake -olio su tela cm 80x80, 2012

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Lo ammetto… sono cresciuto a Hitchcock e Argento ma a vedere realmente il cinema cominciai con l’incontro, direi più un patologico incidente, a tratti morboso, con Pasolini e, nel medesimo momento, con il Fumetto. Vedere un fumetto e leggerlo come uno Storyboard, identificarne le inquadrature, ad esempio entrare nella prima scena dall’esterno e scorrere su una skyline… dovrò ricordarmi di riprendere un pezzo di discorso da qui, affare non scontato, per approfondire un ramo della questione dei Maestri Naturali, perché con il fumetto ho un conto in sospeso. La lezione di Maestro naturale, ci penso solo adesso, avvenne nel medesimo anno, mi fu trasmessa dalla conoscenza di Giuseppe Panella, in una conferenza, ricercatore alla Normale di Pisa.

Il prof… viste le mie attenzioni alla letteratura, all’arte e alla filosofia, soprattutto, mi donò due libricini tra cui una silloge di poesie dal titolo “I maestri naturali”. Da allora, letto e riletto, il concetto espresso fin dal titolo del libro, ormai oleoso dalle ditate, non mi abbandonò più. Riflettendo negli anni ho scovato nelle esperienze molteplici maestri naturali, viventi, tra cui, per primo, Panella e Sauro Ciantini, sulle sperimentazioni fumettistiche, e trapassati, in primis Pier Paolo Pasolini, vista la… spinta nel cinema e Man Ray.

Rapporto… con Profondo Rosso, Lucio Lai

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Lo ammetto… sono cresciuto a Hitchcock e Argento ma a vedere realmente il cinema cominciai con l’incontro, direi più un patologico incidente, a tratti morboso, con Pasolini e, nel medesimo momento, con il Fumetto. Vedere un fumetto e leggerlo come uno Storyboard, identificarne le inquadrature, ad esempio entrare nella prima scena dall’esterno e scorrere su una skyline… dovrò ricordarmi di riprendere un pezzo di discorso da qui, affare non scontato, per approfondire un ramo della questione dei Maestri Naturali, perché con il fumetto ho un conto in sospeso. La lezione di Maestro naturale, ci penso solo adesso, avvenne nel medesimo anno, mi fu trasmessa dalla conoscenza di Giuseppe Panella, in una conferenza, ricercatore alla Normale di Pisa. Il prof… viste le mie attenzioni alla letteratura, all’arte e alla filosofia, soprattutto, mi donò due libricini tra cui una silloge di poesie dal titolo “I maestri naturali”. Da allora, letto e riletto, il concetto espresso fin dal titolo del libro, ormai oleoso dalle ditate, non mi abbandonò più. Riflettendo negli anni ho scovato nelle esperienze molteplici maestri naturali, viventi, tra cui, per primo, Panella e Sauro Ciantini, sulle sperimentazioni fumettistiche, e trapassati, in primis Pier Paolo Pasolini, vista la… spinta nel cinema e Man Ray. Avrei voluto qui sottolineare il secondo trapassato giacché nell’ambito strettamente visuale, Ray permea avvinghiando il mio procedere, tra maglie e pruni.

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Dalle carni il Suono

(un pensiero a Man Ray) Entrare

Sudare

Respira vene

Sulla pelle niente, asfalto a labbra

Districare suoni ai lobi, soffiare sui peli a stento, scalpitare pietre ai venti, tornire tramonti urlanti. A vena ‘sciutta

levigato pensiero

sostanza inferma risiede meridiana di confine cauta linea farinosa, ente

Sud a ire

A stento fine intriso a mente spento riso taglia linea torna in soglia

Cianivi ad uvo ruso.

Foto di Lucio Lai

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Si nota subito quanto un’introduzione critica a Man Ray sia tra le mie voglie. Pasolini rappresenta la pietra miliare non solo per il rapporto con il cinema, una squisitezza poetica, etc. ma soprattutto nello scoprire la luce della cultura popolare. Pier Paolo, di origini emiliano-friulane, ha sempre cantato l’incanto sacro, religioso della vita agreste, del mondo contadino, del rapporto rituale, quasi magico, ruvido, tra l’uomo e la terra…

Ha dato modo, in maniera naturale e graduale di assaporare l’importanza della conoscenza popolare. Non è possibile discindere ormai del tutto il gusto popolare, storico, territoriale da ciò che possa ancora ritenersi “Alto”. Accenno una nota polemica: è alto ciò che ha un valore, duraturo nel tempo, fuori dalle richieste di mercato…

Cianivi? Giusto, mi sembra di sentir domandare cosa voglia dire “cianivi ad uvo ruso”. È probabile che nemmeno io sappia “eloquire” sull’etimo ed il processo integrativo dell’espressione. È semplicemente il ricordo di sorta di lingua inventata tanti anni fa e sicuramente all’epoca avrà avuto anche un significato. Ad ogni modo ricordo che “Cianivi” corrisponde a “pensieri confusi”. Inventare una lingua, dar luce a nuovi suoni fino ad adottarne un’altra, sgrammaticata, ancora, quale l’Esperanto, per esprimere l’incontro di culture, colture… Intra Landoj, Mediterraneo. Un lungo percorso dall’intangibile alla concretezza dell’incontro, dello scambio, della crescita, dell’arricchimento.

Ho pensato dunque di intervistare Daniela Soria per vivacizzare qualche riga anziché fornire un saggio di qualche sorta, cioè sicuramente noioso.

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“C’era una volta un Cabochon…”

chiacchiere intramagliate con Daniela Soria

-di Lucio Lai-

C’era una volta un Re? Un pezzo di legno?

“C’ era una volta un Cabochon. Era quel Cabochon che cercava un’imbracatura di metallo…”

Ma partiamo dal Cabochon, immagino che esista qualcuno a questo mondo che non sappia cosa sia: “Daniela, cos’è un Cabochon?!”

Daniela risponde alla domanda divertita ma fornendo una tonda risposta ragionevole…

Fra le chiacchiere comincia a dominare l’amico Donne, John Donne per la celeberrima

“ No man is an island entire of itself; every man is a piece of the continent, a part of the main; if a clod be washed away by the sea, Europe is the less, as well as if a promontory were, as well as any manner of thy friends or of thine own were; any man's death diminishes me, because I am involved in mankind. And therefore never send to know for whom the bell tolls; it tolls for thee.”

(da “Meditation XVII”, John Donne, 1572-1631)

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Daniela è lapidaria: “Si, tutti collegati da una sottile ragnatela”

Indico il Manifesto di Intra Landoj per sottolineare il concetto da lei e non solo espresso. Cominciamo quasi a ciarlare di tradizioni, salvaguardia delle radici e compagnia, fino a che propongo il cibo come bisogno primario dell’uomo e quindi come primo specchio della cultura di un popolo. Esprimo tale riflessione con un esempio che potrebbe suonare come “Se vado in Islanda e cerco una pizzeria, che cosa ho capito?”

Lo ammetto: questa è una traduzione educata e scevra da pubblicità di marchi storici nel campo del turismo. A distanza di qualche giorno userei un’espressione diversa: mi ci ha portato Cecilia riflettendo sul turismo all’Elba… ma dico solo che nell’espressione calzante, cozze e vongole ci stanno ben profumate…

L’imbracatura del Cabochon, creazione di Daniela Soria – Foto di Lucio Lai

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Con Rita avevo già effettuato un tour sulle influenze delle elaborazioni gastronomiche, per aree geografiche e per sezioni storiche ben precise. Il tempo dà ragione sulla benevolenza delle idee e chiedo al Bellucci scrittor fotografo di interagire con lo chef ed interrogarlo per una riflessione a tono. Continuando a girovagare con Rita tra le suddette influenze per approdare ai lidi espressivi delle culture, ci s’imbatte sull’espressione musicale e “Daniela -le dico- ci appare in luce, poiché voce e ricercatrice del canto popolare elbano”. Ascoltiamo un paio di pezzi dal canale Youtube nonostante avessi il disco in casa…

Sulle ricerche sui canti tradizionali elbani, variazioni di “Montanara” vari… ci torneremo nei prossimi numeri. “Si nota attraverso tutto ciò che faccio: la ricerca (dei canti tradizionali), il Canto, la produzione di gioielli…”

Daniela parla dell’Equilibrio: “Non è assonanza tra le cose; se crei un equilibrio di dissonanze è Assonanza. Il canto, per esempio, è il risultato di una serie di equilibri contrastanti, di forze, di energie come quando crei un oggetto ti rifai a degli equilibri che sono soggetti al tuo senso estetico, ai materiali a disposizione e alla somma di tutti questi che creano il senso del Bello. Sai in fondo cosa è; non all’inizio; lo riconosci dopo. Come questi popoli del mediterraneo, tutti diversi, che sembrano “accozzati” ma ognuno con le proprie peculiarità e infine il grande popolo del Mediterraneo.

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Dopo aver sottolineato l’aspetto gastronomico di un popolo, come immediato mezzo di conoscenza e di scambio culturale, si accende la necessità di cercare e conservare memoria delle proprie radici, attraverso la musica, come fa Daniela ad esempio, per non perdere un’identità territoriale ben definita. Ci sono casi in cui, per ricordare fondamentalmente quel che fummo, e non molto tempo fa, come avviene all’Isola d’Elba, a Capoliveri in particolare, con la Festa dell’Uva. Attraverso una sorta di rievocazione storica rionale, di cui uno dall’ubicazione completamente inventato, la quasi sagra dell’uva dovrebbe ricordare al pubblico, ma in primis ai paesani, ciò che essa stessa fu. E cosa è che fu e che fa tanto spavento? Il problema non è il fu ma è l’oggi. Riprendere una festa interrotta per decine d’anni, quando la vendemmia assume un puro connotato economico legato alla commercializzazione del prodotto, con una spasmodica ricerca “à la mode”, con lo sminuire il colore sociale della vendemmia, giungendo al risultato di perdere il sapore vero della terra che lo ha generato, significa ricordare un’evocazione già vissuta, non più il reale vissuto. Per lo meno, tra i Signori che partecipavano alla Festa dell’Uva nei tempi che furono, qualcuno che zappasse… ci fu. Insomma… se spremi limoni non ottieni aranciata, anche con un’ allettante e bella etichetta!

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Interruzione

-di Cecilia Ferlito- Se siete già giunti a questo punto, riterrei fortunatissimo e straricco il Sig.Lai, che io avrei già bocciato mille volte ( e vi assicuro, l’ho fatto…. Altro che tritatutto com’Egli suole definirmi!!!! ) . Prendendo atto che chi nasce tondo non può morir quadrato, e… “il limone non può dar aranciata” (cit.), riterrei che il Lucio scrivente abbia fatto un nobile ed ammirevole sforzo e nello scrivere in maniera “pseudo-chiara” e nel tollerare tutti i miei rimbrotti, ma altrettanto si conferma la mia nobilissima propensione alla follia…. Eh sì! Bisogna esser sull’orlo di un attacco di acuta schizofrenia per cercare di montare, smontare, rimontare e chiedere spiegazioni che non avranno mai una risposta… Che dolore, che parto! Destino d’ogni madre? Voglio rinascere cane… Nota storica del tutto personale: “Qualcuno” (prometto di apporre adeguato e dovuto riferimento) disse un tempo che non occorre, anzi, non si deve cercare il senso nel mondo…chè qualora ci fosse un senso sarebbe al di fuori del mondo, nel mondo semplicemente “esiste”, non v’è un senso…Ebbene, non cercatelo in Lucio. La prima conversazione tra me ed il Sig. Lai su questo fu incentrata, o meglio, su quest’uomo: Ludwig Wittgenstein ed il suo Tractatus logico-philosophicus. Di Luca Bellucci si disse “scrittore-fotografo” e s’alludeva ad uno chef: ecco il Luca scrittore che dialoga con lo chef…sè medesimo, poiché il Sig.Bellucci è anche questo….

2 L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 1921, a cura di Amedeo G. Conte, p. 106, 6.41, Einaudi, Torino 1998.

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S’Ardia di Sedilo

-di Gian Lucio Lai-

Il 6 e 7 luglio di ogni anno, Sedilo diventa di nuovo il teatro di un avvenimento straordinario, che unisce la fede al coraggio: S'Ardia di Sedilo. Un evento folkloristico e religioso che si ripete da tempo immemorabile, affonda le sue radici nell'epoca bizantina, e rende omaggio al Santo imperatore Costantino Magno, che nel 312 d. C. riportò l'importante vittoria nella battaglia di Ponte Milvio contro il pagano Massenzio. Tra le manifestazioni equestri della provincia di Oristano, di certo S'Ardia è la corsa a cavallo più spericolata e rischiosa, e al tempo stesso quella che sembra concentrare il maggiore pathos.

S’ardia, di Gian Lucio Lai

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Il giorno 6, l'alfiere designato, detto anche “prima pandela”, riceve dal sacerdote lo stendardo di broccato, detto "Sa candela de Sant'Antina" che dovrà proteggere lungo tutto il tragitto della corsa, evitando che altri cavalieri lo superino, disonorandolo. A mantenere l'ordine vicino a lui ci pensano “sas iscortas”, in particolare la prima e la seconda pandela scelte dal capocorsa. I fucilieri scandiscono i momenti più importanti della corsa mentre ci si avvicina al santuario, ovvero la chiesa di San Costantino, che ne è il teatro. Essa risale alla fine del 1700, e fu costruita dove probabilmente sorgeva una chiesa più antica, dedicata alla Madonna di Nordai. Il percorso de S'Ardia si svolge all'interno e all'esterno della corte di mura che delimita l'area intorno alla chiesa. Si accede da due archi: il primo è in trachite e cemento, l'altro più antico, detto “su portale de ferru”, viene aperto solo per le feste. Attorno a sa muredda, un terrapieno circolare sul quale sorge una croce, i cavalieri compiono le loro spericolate esibizioni, girandovi attorno più volte e mettendo a dura prova la propria abilità e quella del proprio cavallo.

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Mescla, Libertà tra le Terre

-di Luca Bellucci- Il Mediterraneo, la stanza nella quale si lasciano cullare culture tanto diverse quanto simili nell'accomunare una radice gastronomica negli odori assaporati e nei comportamenti espressi in mille fantasiose libagioni. E' partendo da Gibilterra, la porta di questo coloratissimo salotto, che il Mediterraneo diviene la mescla di culture che si toccano, si amalgamano e si respingono lasciando una scia di sapori che si sono evoluti nel tempo e nei luoghi. Mitteleuropei, arabi, greci, spagnoli, francesi si sono mescolati come in nessun altro modo, passando per la nostra penisola creando uno mondo gastronomico immenso ed esportandolo a sua volta attraverso un mare che la circonda e la racchiude. Come i Genovesi che nel 500,approdando sullo scoglio tunisino di Tabarca, subirono ed esportarono le prime influenze gastronomiche creando la cucina tabarchina che arrivò fino ai territori sardi Carlofortini. Come i Napoletani che mescolarono le loro tradizioni di terra e di mare con gli occupanti Francesi e Spagnoli. Napoli come punto di passaggio fondamentale nell' utilizzo della pasta secca, cibo arabo nomade con il quale gli Arabi iniziarono ad influenzare ed influenzarsi della cucina siciliana. Tradizione come base di partenza della nascita nei monasteri della cultura vegetariana italiana, che deve il suo sviluppo della ricerca di nuovi sapori dovuti alle privazioni volontarie dei monaci di fronte ad una peccaminosa carne, ma che si trasformavano in abbondanti fantasie sulle tavole delle feste sante. Feste culinarie che i sovrani franco-tedesco-spagnoli apprezzavano al loro passaggio sulle nostre terre, beandosene e influenzandole.

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Che fosse per scoperta, invasione o assoggettamento, la cucina nel tempo ha confermato la sua principale peculiarità: la libertà di pensiero. Ma soprattutto l'idea che anche nelle situazioni più estreme la cucina, e il Mediterraneo ne è uno splendido esempio, resta un enorme luogo di aggregazione e convivenza senza nessun confine di sapore, colore o parola.

Foto di Lucio Lai

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Sulla Maschera Neutra

-dall’intervista a Rita Laforgia, con offuscamenti di Lucio Lai-

“Serve per annullare l’identità dell’attore. Nel momento in cui la si indossa si ha un attimo… dove manca il fiato. ti rendi conto che lo strumento che usi per avvicinarti alla comunicazione è azzerato del tutto… per diventare fuoco, acqua, scintilla…

…è l’attore a scegliere cosa diventare… non è la testa che lo decide prima. Devi abbandonarti a Lei. Chi non riesce in questo processo ha difficoltà a dialogare con il proprio essere. Permette uno scambio con gli elementi naturali. […] Si inizia sempre da questi. Il primo ad essere affrontato è l’acqua… Si passa poi agli animali, alle cose… È un flusso, Lei, che va lasciato andare. Alla fine del processo l’attore sa di essere qualcosa. Attraverso la scoperta di nuovi mondi sa qual è il suo. Sa cosa può toccare e cosa no.

Foto di Lucio Lai

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Quando con l’uso della maschera sono diventata filo spinato, togliendola, Rita come attrice non sarebbe mai potuta essere filo spinato. Io sono più un fiore…

A questo serve la maschera: esercizio della consapevolezza di sè attraverso la non consapevolezza: prima si affrontano infinite possibilità e attraverso questo è possibile affermare la propria identità teatrale.”

Interruzione seconda

-di Cecilia Ferlito- Sono quasi commossa dalla chiarezza con la quale è stata riportata l’intervista a Rita. L’intervento di Rita , chiarificatore ed illuminante per certi versi, propone una serie di riflessioni e soprattutto induce in me il ricordo di quanto scritto, inconsapevolmente, sul Mediterraneo che si svela: “ indossa la maschera per non farsi attore, toglie la maschera per farsi teatro”. Grazie Rita e… grazie Lucio, finalmente un “offuscamento” con orientamento al risultato!

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Cosa sono I Maestri Naturali -di Giuseppe Panella-

E’ difficile per me ricordare oggi esattamente il perché ho deciso di intitolare il secondo volumetto di poesie che avevo scritto proprio I maestri naturali. Uno stimolo ovviamente e un’occasione c’è stata: avevo trovato nella presentazione di un volume di racconti di Francis Scott Fitzgerald (I racconti dell’età del jazz – per me fu una lettura memorabile !) che lo scrittore americano sembrava uno scrittore “naturale” quando lo si leggeva ma che, in realtà, non lo era mai stato ma aveva faticosamente costruito, riga per riga, pagina per pagina, il corpus della sua opera letteraria. Allora se esistevano scrittori il cui talento era “naturale” (ovvero si manifestava spontaneamente, quasi senza sforzo o almeno così poteva sembrare – anche se io poi non credevo molto in questa possibilità), mi sono chiesto perché non potessero esserci personaggi i più diversi la cui opera era più o meno importante, più o meno riuscita, che io avrei potuto considerare come miei punti di riferimento essenziali, come miei “maestri. La risposta è stata affermativa. C’erano, a mio avviso, una serie di scrittori, cantanti, registi cinematografici ecc. che avevano scritto e vissuto delle esperienze che mi sembrano combaciare con le mie, da un punto di vista estetico e talvolta anche esistenziale. Mi riconoscevo cioè in certi aspetti peculiari della loro opera che sentivo miei e non lontani da me come spesso accade nei confronti di personaggi che si amano e si stimano ma che si sentono totalmente lontani e differenti dai propri “paesaggi interiori. ”. Io invece mi sono sentito vicino alle figure di cui cercavo di rendere conto con i miei versi catturandone citazioni, frasi, atteggiamenti e soprattutto atmosfere: la struggente incapacità di vivere di Francio Scott Fitzgerald, ovviamente, il viaggio senza fine della scrittura di Jack Kerouac, l’”alba del mondo” in 2001: A Space Odyssey di Stanley Kubrick, le nebbie e le lame di luce del mondo

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piccolo-borghese e umanissimo di Georges Simenon, l’alcool e la scrittura come ragione di vita in Charles “Hank” Bukowski, la moltiplicazione dell’uguale e del contrario nelle proposte pittoriche di Andy Wahrol, la lucida resistenza al male presente nelle poesie di Vittorio Sereni, la poesia del quotidiano che diventa metafisica dell’esistenza in Josif Brodskij, la politica e la vita come “oggetto d’affezione” in André Malraux, la trasgressione e la morte come progetto di vita in Jean Genet e via discorrendo. Ma non è il caso di insistere in un riassunto di un libro già così riassuntivo, già così composto e ricomposto come un puzzle inesauribile.. Piuttosto può essere utile (soprattutto per me) capire come nasce un “maestro naturale”, come avviene che uno scrittore che ami leggere si trasformi e si rovesci in una sorta di guida per la scrittura e, soprattutto, perché egli risulti “naturalmente” un modello di riferimento un modello di riferimento. Da quel che ho capito analizzando la mia esperienza, l’approdo è lento e spesso contraddittorio ma la conclusione dell’avvenimento e la sua realizzazione è molto veloce. Chi sia un “maestro naturale” è un dato culturale, certamente, ma è anche una forma di empatia umana, una sorta di “accoppiamento giudizioso”, di congiungimento di umori e di amori che rendono possibile capire in maniera più diretta la verità e il progetto ispiratore dell’autore che ci si trova a considerare congeniale. Ciò che conta, allora, non sono i punti di contatto macroscopici, ciò che sembra caratterizzare quello scrittore o quel regista in maniera esemplare ma i dettagli, le sfumature, certe nuances apparentemente poco significative ma che sono poi, alla fine, quelle che contano. Un “maestro naturale” non conta soltanto per quello che ha fatto o scritto o filmato o prodotto ma soprattutto per quello che ha sognato ovvero per il legame spesso sottile che lo congiunge ai sogni e alle aspirazioni che ci riguardano profondamente e che ci connettono al mondo e permettono alla nostra vita di continuare, nonostante gli errori, nonostante gli scacchi, nonostante il passato. Tutto quello che è passato / ora trova un posto nel presente / è il sogno che continua comunque…

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Potrei usar un eufemismo e non definirmi una “rompicoglioni” con tali interruzioni, ma il solo suono della parola induce la volgarità dell’espressione, in cotanta aulicità, a non far testo e tutto ha sempre uno scopo, o almeno un motivo. Pirandello: “uno strappo nel cielo di carta”, in questo tutto quello che racchiude il valore per me enorme di quello che il Prof.Panella e Lucio definirebbero un maestro naturale. La mia parolaccia ivi inserita, così scurrile ed inappropriata in simil contesto è giusto questo, uno strappo, quello strappo in ciò che si pensa esser Intra Landoj, plasmato piano e con vigor d’intenti da gente che ha tentato di far sortire la vena più “pura” di sé, ma ricordo con tale strappo, quanto tutti gli attivi siano gente comune, che mangia pasta asciutta, gioca a far pernacchie con la bocca, non disdegna la bevuta e l’abbuffata di campagna e neppure la battuta triviale, ma pensate un po’… questa gente VIVE, semplicemente, si MUOVE, continuamente, come onde al proprio mare.

Interruzione terza -di Cecilia Ferlito-

Foto di Cecilia Ferlito

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Sono Intervenuti direttamente, in ordine di apparizione: Lucio Lai: … Ancora Lucio?

Cecilia Ferlito: Isolana in insula dichiara: “ La chiamano follia quella sublimazione dell’Essere, soprattutto se vedi o in ISO 100 o in 3600”

Marco Ennis Mariani: sassifraga esposta alle arti… FB, www.marcoennismariani.com Daniela Soria: Ella dichiara: “Tra gli equilibri dell’impalpabile e il mettere le mani in pasta…”

Rita Laforgia: “io sono un fiore piuttosto, non filo spinato”

Gian Lucio Lai (non siamo parenti): artista sardo, ritrattista della sua terra –FB, www.gianluciolaiartista.blogspot.it Luca Bellucci: Chef and More, dichiara: “Il pensiero perduto nella riflessione, la creazione d’un mondo parallelo che viaggia nella mente e si perde nel pensiero alla ricerca di una libertà incompresa e irrazionale...”

–Non la passi liscia, questo discorso lo riprenderemo. Giuseppe Panella: Filosofo-Poeta, ricercatore presso Normale di Pisa. Autori contemporanei citati Bake: pittrice in Roma.

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Ne fin

Ehm… Lucio!!!!!!!!! Siamo alle solite!