Intervistato da Daniele...
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Mario Antolini Muson Intervistato da Daniele Costantini
D. Buonasera, oggi sono qui con l’amico Mario, amante della storia delle nostre valli,
soprattutto, chiaramente, delle Giudicarie, e lo ringrazio di rendersi disponibile a darci
alcune risposte su alcuni temi per noi. Caro Mario, esiste un senso storico della nostra
Autonomia?
M. Per quanto posso sapere e intendere, e per quel poco che so, avere e sentire un senso
storico vorrebbe dire andare molto indietro di noi, a sondare ciò che è stato vissuto, ciò
che è stato scritto, ciò che è stato documentato. Per quanto sono convinto, io penso che
senza conoscere bene il passato, ossia senza rendersene conto e convincersene che noi
veniamo da molto lontano da secoli, sarebbe insensato e pericoloso pensare che la gente
del presente si senta sicura nell’aver in mano solo un “pezzetto” di storia con il quale si
possa e si debba vivere. Invece la storia sta tutta alle spalle ed è necessario sapere che c’è
stata e c’è anche se, per pura indifferenza e superficialità, si fa finta che non ci sia stata e
si crede di poter costruire il futuro anche senza conoscerla.
Tutto quello che è avvenuto prima dell’oggi è avvenuto secoli e secoli fa ed è in quei
secoli che anche si è maturato il senso dell’Autonomia; lo troviamo, per esempio, negli
Statuti giudicariesi che iniziano ad essere scritti dal 1200 per continuare fino alla vigilia
del 1800. Però negli Statuti cosa c’è? Non si parla certo di “autonomia” nel senso
odierno, ma c’è la vita dei nostri avi, dei nostri antenati: una vita fatta di esperienza viva
delle persone che prima hanno saputo rendersi e vivere autonomamente e, soltanto dopo
aver gustato l’autonomia comunitaria, hanno ritenuto bene fissarla per iscritto scritto
negli Statuti, nei quali rendendo rintracciabili le usanze di vita che loro praticavano in
autonome comunità condividendo con convinzione doveri e diritti. Quindi erano individui
che sentivano e vivevano già la necessità di un’autonomia propria nei confronti del
padrone del tempo - il Principato vescovile di Trento - ; pertanto quello che traducevano e
trascrivevano negli statuti è unicamente la documentazione del come loro sapevano
convivere in democratica autonomia.
Naturalmente in armonia comunitaria ed in autonomia nei confronti dei loro vicini e del
potere centrale. Poiché ciascuno si sente autonomo non se è da solo, ma se è capace di
rendersi autonomo nei confronti degli altri. Si ha bisogno di autonomia se si sente il
pericolo di cadere in potere di chi vuole sovrapporsi ai propri modi di vita, ai propri modi
di organizzarsi nelle modalità di vita e di organizzarsi nell’ambito della propria comunità.
Più si intuisce e si teme l’oppressione degli altri, più ci si sente spinti a reclamare una
proprio libera e sicura autonomia da qualcuno. Quindi sono gli individui che hanno
bisogno dell’autonomia e la vogliono ricevere e, se obbligati, la reclamo e la richiedono o
addirittura la pretendono anche con la forza (ai diversi livelli).
L’autonomia non viene data o regalata a propria insaputa. Secondo me proprio negli
Statuti giudicariesi e trentini si trova lo spirito degli elementi costitutivi di una vera
autonomia comunitaria locale che, col tempo, è passata dalla autonomia locale alla
autonomia globalizzata fra aree confinanti.
D. Proprio sulla base di quello che mi stai dicendo, tu sai che oggi la nostra autonomia
viene attaccata dall’esterno. Ci sono delle radici profonde per cui continua ad avere
senso questa autonomia ?
M. L’Autonomia, in senso politico-amministrativo, prende sostanza negli ultimi secoli
quando, cioè, nascono i nazionalismi che per ingrandire la propria territorialità al
massimo possibile si accaparrano le aree autonome delle regioni, lend e altri. Ogni
Nazione, per diventare potente ed estesa il più possibile ha bisogno di aggregare i territori
già abitati da comunità preesistenti, già organizzate in maniera autonoma, con i propri usi
e costumi ed anche le proprie scelte giuridico-amministrative a se stanti, con propri
confini politici, etnografici e linguistici, entro i quali le popolazioni locali stavano, da
secoli, condividendo la propria identità localizzata. Le Nazioni vogliono aggregare ogni
tipo di area autonoma, anche a costo di conquistarla con le armi.
Ogni popolazione ha vissuto la propria autonomia a livello regionale, non certo nazionale
che, storicamente, è subentrato successivamente alla loro costituzione locale. Perciò ogni
Nazione, in un certo senso, si è accaparrato le regioni o le ha obbligate -
antropologicamente e socialmente parlando - ad aggregarsi quasi tempo per forza, però
nel contempo a rinserrarsi e a diventare ancora più regione di quanto non lo fossero state.
Un problema che - a me - è stato storicamente superato e risolto dal nuovo innovativo
concetto di “Federazione”, come risulta nella Svizzera e negli Stati Uniti. La federazione
accetta e rispetta l’autonomia delle singole regioni (Svizzera) o dei singoli Stati (Usa). Di
conseguenza - secondo il mio modestissimo parere - il vero rispetto del concetto di
autonomia si avrebbe in una aggregazioni delle Regioni.
Storicamente parlando cito un testo del Benvenuti (“Storia del Trentino”, 4 volumi,
edizioni Panorama Trento,1995. - Nel vol. I, pagg. 121-122: “L’autonomia trentina nel
suo sviluppo storico. 1848-1900”). Pag. 108: «16 marzo 1874. Il deputato trentino
Giovanni a Prato presenta alla Camera dei Deputati di Vienna una proposta tendente alla
erezione di una Dieta autonoma per i due Circoli di Trento e Rovereto. La proposta è
firmata da 28 deputati trentini, goriziani, istriani, dalmati e slavi. Nell’illustrarla dinanzi
alla Camera l’a Prato sostiene che essa corrisponde a “giusti desideri conciliabili con
l’inviolabile unità dello Stato”». Credo che sia una tappa saliente della già iniziata
“battaglia politica delle richieste di autonomia”. Non so se già prima il Tirolo avesse
iniziato iniziative del genere per l’autonomia del Tirolo da Vienna.
D. Esiste una corretta identificazione del concetto di Heimat, identità?
M. Un concetto difficile da definire, come ho già riscontrato negli studi dell’antropologo
Annibale Salsa. Per quanto ne so e sento la “identità antropologica di una popolazione”
che si riconosca unita per convinta e vissuta sensibilità praticando gli stessi usi e costumi
unitari e che consideri il proprio territorio come la propria “Patria-Heimat” viene a
costituire una identità a se stante, percepita anche emozionamente e, perciò, anche
strenuamente difesa (specie contro i nazionalismi, normalmente sempre e solo imposti
con la forza).
In concreto: io finché mi sento giudicariese perché considero che i Giudicariesi intorno a
me la pensano e vivono come me, so che ci sono le Giudicarie ed hanno bisogno di essere
riconosciute nella loro autonoma storicità; come è avvenuto con il “Comprensorio C8” e
con l’attuale “Comunità delle Giudicarie”. Se, invece, iniziamo a contrapporci uno
all’altro sfasciamo il senso di aggregazione, cioè quello che noi chiamiamo l’Heimat.
Ma l’Heimat - secondo me - è sempre ristretta a chi è convinto di voler vivere con i
propri vicini, con gli stessi usi e costumi e, soprattutto, con la stessa mentalità e la stessa
armonia e voglia di “sentirsi e di voler stare insieme”. Perché prima di vivere uno con
l’altro, prima bisogna convincersi del perché si vuole e si sceglie di vivere con l’altro e
come vive l’altro. Purtroppo nella eterogeneità, propria delle attuali situazioni storico-
antropologiche degli anni Duemila, è un qualcosa che diventerà sempre più difficile e
aleatoria.
D. Quindi è anche una condivisione di principii, di valori…
M. Più che ovvio. Ma solo se ciascuno si rende compartecipe dell’altro vi è l’unità,
l’identità: non già annullandosi in vane contrapposizioni personali o di gruppo, ma nel
diventare obbligatoriamente complementari. Bisogna voler e saper usare solo la
congiunzione “con” ed annullando l’avverbio ”contro”. È nella condivisione che ci si
passa di tutto, e passandosi di tutto, ci si passano anche i valori; ma i valori, se si hanno e
si vogliono vivere, non sono che una parola astratta: i veri valori sono al di dentro di
ciascuna e di ciascuno di noi, e se non si rendono visibili e concreti nel “fare quello che
si ha da fare giorno per giorno” non si realizzeranno mai. Solo se ciascuna e ciascuno,
oltre a coltivarli dentro di sé, sanno concretamente vivere e condividere con gli altri, i
valori condivisi e praticati saranno visibili nella società, e non si limiteranno ad essere
solo valori chiacchierarti e perciò vuoti di significato e di azioni personali e sociali.
D. Tornando invece a quello che è uno scenario possibile futuro della nostra amata
terra… Potrebbe essere la Euroregione Tirolo il futuro reale o a cui tendere per le
nostre comunità ?
R. Mi sento un po’ emarginato da ciò che si sta attuando per la “Euroregione Tirolo”, ma
è qualcosa che si rintana nei mei sogni, pensando tuttavia ad una “Europa delle Regioni”
con l’abolizione delle nazioni; ma credo che sia una pura illusione (almeno in questo
stranissimo e difficilissimo periodo storico).
Mi illudo nella speranza di una Federazione Europea in cui siano le Regioni l’ossatura
portante della “unione”: quelle Regioni storiche che hanno cominciato a formarsi dalla
caduta dell’impero romano in poi. La “Mitteleuropa” potrebbe essere un punto di
riferimento storico da sondare nella sua essenzialità. Mi turba la litigiosità delle nazioni
europee impegnate da una “Unione” che non può costituirsi nel contrapporsi e nel non
riuscire a trovare accordi duraturi su ciò che unisce.
Oggi ogni Nazione ha voluto sopprimere od osteggiare le regioni, mentre si ha la netta
sensazione che ogni regione vuole restare autonoma (pur all’interno di uno Stato), perché
è nata come se stessa, si è sviluppata perché la gente del luogo è nata così ed ha operato
congiuntamente e si è fatta regione. Perciò anche una regione che comprenda - per libera
volontà dei suoi abitanti - il Nord Tirolo, il Sud Tirolo e il Trentino potrebbe starci
Sempre che le tre popolazioni ne studiassero le ragioni storiche e riscoprissero gli usi e
costumi che le rendono convergenti sulle stesse basi e sulle stesse finalità; naturalmente
rendendosene, nel contempo, anche razionalmente convinte.
Scoprire il passato come fondamenta e, trovatele salde e sicure, riuscire a costruire il
nuovo edificio correttamente innalzato a regola d’arte. Se gli attuali abitanti riuscissero a
sentirsi insieme e a vivere il presente come si è vissuto insieme nei secoli passati nella
mitteleuropa con le stesse istanze e gli stessi valori, allora, se tutti i cittadini ne sono
convinti, ben venga riconosciuta dell’Europa delle Nazioni o delle Regioni, la ventilata
“Euroregione Tirolo”.
D. In riferimento a ciò, ritieni che sia importante diffondere alle nostre popolazioni
e ai nostri concittadini una conoscenza della nostra storia che oggi manca?
M. Giunto ai miei 98 anni dopo esperienze intese soprattutto a promuovere la conoscenza
del Trentino (e delle “mie” Giudicarie) resto avvilito per non essere riuscito a convincere
la Provincia Autonoma di Trento a produrre libri di storia e di geografia del Trentino con
l’obbligo di farli diventare testi scolastici per tutte le scuole di ordine e grado, ed
obbligando i docenti a formulare un specifico programma annuale in merito. Sulla
formazione e sull’informazione delle generazioni che si succedono a catena la scuola,
ormai da oltre un secolo, è diventata determinante anche per collegare il passato col
presente e con l’avvenire.
Se, attraverso l’impegno di docenti preparati e convinti, non si studia il Trentino nella sua
valenza storico-geografica e sociale, come si fa a creare nuove generazioni con la
mentalità trentino-tirolese? Nelle famiglie di ultima generazione è diventato ormai
impossibile tramandare a voce reali ed obbiettive conoscenze storiche del passato; di
geografia neppure se ne parla; perciò in famiglia non può avvenire la trasmissione del
passato. Secondo il mio pensiero: o, e tempestivamente perché il tempo è poco, gli Enti
pubblici prendono seri e motivati interventi e la scuola si tira su le “màneghe” o i danni
saranno irreparabili perché si creerà un incerto avvenire completamente distaccato dal
passato con irreparabili danni storici e sociali ad ogni livello. Siamo già in avanzato
ritardo, e ce se ne accorge da un certo operare facinoroso ed indomabile che sta
evidenziando in ogni tipo di società.
Solo la cultura può salvare la società umana, ma la scuola… fa acqua. Se qualche anima
buona e saggia provvedesse in tempo io oso ancora augurarmi che qualcosa si riesca a
rabberciare. Tuttavia… ho una gran paura che ciò non avvenga perché - almeno a me - mi
sembra impossibile.