Intervista a Paolo Giordano

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Elvira Grassi ha intervistato Paolo Giordano

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Elvira Grassi | Oblique Studio 2009

L’invenzione della solitudineIntervista a Paolo Giordano

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L’invenzione della solitudineIntervista a Paolo Giordano di Elvira Grassi

Impaginazione e illustrazioni di Sara Basilotta© Oblique Studio 2009

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Come va Paolo? Direi abbastanza bene, sto ritornando a una vita concreta, lentamente.

Cosa stai facendo in questo periodo?Mi sto concentrando molto sulla Fisica. Devo finire il dottorato. L’avevo messo da parte, più che altro per via dellecontinue trasferte per la promozione del libro e per eventi vari. Adesso che si sono un po’ diradate riesco a farequalcos’altro. Nel frattempo, però, continuo a scrivere, su Gioia ogni settimana, sul Corriere della Sera, e poi stoancora lavoricchiando alla sceneggiatura del film tratto dal romanzo. Per quanto riguarda i progetti di più ampiorespiro, invece, ho buttato giù degli appunti ma voglio cominciare veramente quando sarò un po’ più libero.

Parliamo dei tuoi racconti: quelli pubblicati su Nuovi Argomenti, sul Magazine del Corriere della Sera, suGioia eccetera. Aiutami a dargli una collocazione temporale rispetto alla Solitudine dei numeri primi. Il primo racconto uscito su Nuovi Argomenti era un esercizio che ho fatto quando seguivo un corso serale allaHolden: ci avevano fatto scrivere un piccolo racconto ambientato nel proprio posto di lavoro. Io l’avevoambientato dove lavoro io, all’università, ma era un racconto veramente breve. Poi c’è stata La pinna caudaleche ho scritto dopo la Solitudine ma in realtà è uscito un paio di mesi prima, un po’ come anticipazione. SuNuovi argomenti è uscito anche Vitto in the box che avevo scritto per il festival di Massenzio del 2008.

A proposito del racconto La pinna caudale, il tema mi ha ricordato il David Foster Wallace di “Piccoli ani-mali senza espressione”, contenuto nella raccolta La ragazza con i capelli strani. Sapendo che è un autore cheleggi e apprezzi ho pensato che potesse averti influenzato. È così in qualche modo?Ho un vago ricordo di quel racconto che ho letto tantissimi anni fa. Avendolo in testa, sicuramente ne avevoqualche reminiscenza mentre lo scrivevo, però il racconto di Wallace era un ricordo talmente lontano che non

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saprei dire se ho preso degli elementi. Se qualcosa èpassato nel mio racconto, è passato in maniera moltoinconscia in realtà.

E invece Mar de coco, uscito sul Magazine del Corrieredella Sera lo scorso agosto, quando l’hai scritto? Dallostile mi è sembrato il più acerbo, diverso dagli altri, eraqualcosa che avevi scritto molto tempo fa? No, Mar de coco l’ho scritto molto di recente; è unracconto scritto per un incontro che ho fatto insiemea Ammaniti a Lavagna, in Liguria, quindi era pensa-to per essere letto ad alta voce. Per questo lo stile èun po’ differente, e anche perché aveva una vocazio-ne più leggera. Poi ho pensato che poteva essere unracconto estivo ed è stato pubblicato sul Magazinedel Corriere.

Con quale forma ti trovi più a tuo agio, come scritto-re e come lettore?Leggo sia romanzi che racconti. In generale è piùfacile che io arrivi in fondo a un romanzo piuttostoche in fondo a un libro di racconti, però amo

entrambi. Come scrittore, forse diròuna cosa un po’ impopolare, trovo iracconti più facili da scrivere. Moltiscrittori negano questa cosa dicendoche bisogna avere una sintesi, chebisogna riuscire a concentrare l’atti-mo eccetera, io invece credo che ilracconto sia una forma più semplice.

In che senso il racconto è più facileda scrivere?Il racconto è più compatto, necessitadi molte meno idee da armonizzaretra loro, un racconto buono puònascere anche da una sola idea. A mesono molto utili e li tratto un po’come dei bozzetti. Quello pubblicatosul Magazine aveva, come hai dettotu, uno stile diverso. Quest’anno poine ho scritto un altro per il Festivaldella matematica, un racconto suGalois, con uno stile completamentediverso da tutti gli altri. I racconti liuso come palestra, come esercizi, emi ci diverto anche molto, devo dire,

perché puoi scriverli in un tempo circoscritto, men-tre il romanzo è veramente una distesa sconfinata incui devi capire da solo le geometrie, le proporzioni.

C’è qualche autore di racconti che ti piace in modoparticolare?Carver, sono un grande appassionato delle sueopere, e poi Cheever, lo stesso Wallace, anche se inrealtà l’ho cominciato a leggere tramite Infinite Jest,ma ho letto anche i suoi racconti. Una raccolta diracconti che mi era piaciuta molto un tempo era Lasicurezza degli oggetti della Homes. In realtà holetto e apprezzato la maggior parte delle raccolte diracconti che pubblica minimum fax.

A parte il numero di battute, i racconti che scrivi perGioia hanno dei vincoli?No, ho totale libertà. Di solito scelgo una notizia, laprendo come spunto e la rendo diciamo narrativa, laaffronto in modo più obliquo possibile in quello spa-zio ristretto. A volte invece non parto da una notizia,ma parto da qualcosa che è successo a me, da una

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impressione. Ma sono estremamente libero, quindiloro non sanno cosa scrivo finché non glielo spedisco,il martedì mattina.

Oltre alla narrativa scrivi anche recensioni di libri opezzi di più ampio respiro per giornali come ilCorriere della Sera. Ho notato che nella scelta deilibri, al di là delle dinamiche della stampa ovviamen-te, prediligi quei romanzi che indagano il mondodella famiglia, i rapporti di coppia, e di solito si trat-ta di rapporti disfunzionali, minati da qualcosa, dicoppie apparentemente affiatate ma con un grandesilenzio al centro. Tra gli altri hai recensito La storiadi un matrimonio di Andrew Sean Greer oppureRevolutionary Road di Yates eccetera. Sono temati-che che ti affascinano, che senti vicine?Non so se era proprio Yeats a dire che non avrebbescritto nient’altro se non di famiglia. Io quanto menoparto dalla famiglia, sia come scrittore che come letto-re, mi appassiono più facilmente a storie che trattanodella contemporaneità in ambienti medio-borghesi eall’interno della famiglia. A questo va aggiunto chesono molto affezionato al modo di scrivere americano,

e questo è ovvio dai libri che scelgo di recensire. Percui sì, sicuramente quello è il mio fulcro, ma devoammettere che lentamente sto cercando di aprirmialtri canali. In generale, comunque, non credo aglistrappi netti, al decidere che voglio scrivere o leggeretutt’altro e di punto in bianco mi metto e lo faccio.Credo che ci debba essere un percorso continuo inqueste cose, dei piccoli spazi, dei piccoli sforzi diampliamento ma senza tradire quella che è poi la pas-sione originale. Per cui lentamente sto cercando diaprirmi altri varchi, ma per ora penso che si avvertauna certa unità nelle scelte di come scrivo.

Come è nata la Solitudine? Avevi in mente già tutti ipersonaggi oppure, non so, è nato come racconto?L’ho costruito a segmenti, e infatti la struttura di capi-toli e sezioni è rimasta. Ho concepito per esempiotutta la parte dei bambini come delle microstorie, deimicroracconti, ma in realtà, anche se sono in molti adire che potrebbero essere due racconti a sé stanti, perme non è vero, nel senso che io non avrei mai conclu-so quei racconti in quel modo. Sono invece delle pre-parazioni per qualcos’altro e sono costruite con la

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propria unità narrativa. Dopo laparte dell’infanzia, ho fatto il saltonella mia testa e sono passato alsegmento adolescenza e all’internodi questo segmento ho costruitolentamente un miniplot che fossepiù o meno compiuto, ma in realtànon mi interessava molto che la sto-ria si sviluppasse negli anni, l’hofatto per dare un senso di compiu-tezza a ogni parte, all’interno diognuna cercavo una qualche coe-renza narrativa, e per il resto anda-vo molto libero, a mano a mano chemi venivano in mente scene, situa-zioni, le aggiungevo, e a mano a mano che mi serviva-no personaggi li aggiungevo. All’inizio seguivo solo idue protagonisti, poi via via si sono aggiunti altri per-sonaggi collaterali. C’è stato un punto in cui addirit-tura avevo pensato di far ruotare la storia intorno aquattro personaggi, volevo includere anche Viola eDenis, volevo portare avanti anche loro, penso chequesta cosa si senta ancora un po’, loro due vengonoportati molto avanti e poi praticamente spariscono, aun certo punto era stata un po’ la mia tentazione, mapoi mi sono reso conto che a me in realtà interessavasolo di Mattia e Alice e basta.

Trovo che nella Solitudine ci sia un’evoluzione nonsolo dei personaggi – fisica e quindi psicologia –ma anche della tua scrittura. La mia impressione è

che all’inizio eri un po’ frenato, anche un po’ pre-vedibile negli schemi, mentre poi la scrittura silibera e si evolve nel corso degli eventi. Ho sentitoin una tua intervista che in qualche modo questaevoluzione dello stile è voluta. Mi puoi spiegaremeglio?In parte la cosa è stata accidentale, in parte è stata ela-borata. È partita come una cosa accidentale. Quandoho cominciato a scrivere non ero per nulla stabilenella forma, mentre scrivevo cambiavo, ovviamente,

poi per fortuna sono andato di pari passo con la miacrescita, e quando me ne sono accorto l’ho un po’piallato, ho limato questa corazza che c’era nello stile.Ora so che in questa situazione non ci finirei più per-ché ho raggiunto, se non proprio una maturità, unastabilità, o almeno un controllo, per cui posso sceglie-re prima il tipo di forma da dare e poi riesco a man-tenerla alla distanza.

Come l’hai vissuto questo percorso?A dir la verità all’inizio ero preoccupato di questacosa. Poi comunque non era neanche chiaro se avreimai pubblicato il libro, se sarebbe rimasto in un cas-setto, per cui sicuramente sono stato anche un po’ piùspregiudicato nel proporlo così anziché limarlo perdue anni e portarlo a una forma più omogenea. Ma va

bene così, secondo me, un libro d’esordio va beneche abbia questo tipo di imperfezioni, di ruvidità.

Come si è svolto l’editing del libro?L’editing è stato un po’ bizzarro. Ho lavorato conuna ragazza che ha cominciato proprio lavorandocon me, per cui lei imparava a fare l’editing mentreio imparavo a scrivere e abbiamo vissuto moltointimamente la Solitudine. Era una cosa che faceva-mo insieme, io scrivevo e lei rileggeva subito, ne

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«Alice sorrise al pensiero che quella potesse essere la loro prima mezza verità di sposi, la primadelle minuscole crepe che si formano in un rapporto, dove presto o tardi la vita riesce a infilare ungrimaldello e fare leva».

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parlavamo, ma tutto da un punto di vista teorico,non si sapeva cosa ne sarebbe stato. Quindi il veroediting l’ha fatto lei su questo libro, in corsa insie-me a me, poi ovviamente è arrivato alla Mondadorie ovviamente alla Mondadori hanno rifatto un lavo-ro di revisione, molto approfondito ma che non hacambiato nulla di sostanziale, certo, frasi, ripetizio-ni, incongruenze, tutto questo è stato messo a postoma in maniera molto rilassata, sciolta, e anchemolto veloce. Mi hanno rimandato tutte le bozzecorrette e io nell’arco di una settimana ho fatto tuttii cambiamenti. In realtà sono stato poi io, una voltache il romanzo era già nelle mani di Mondadori,che ho voluto cambiare il finale rispetto a come loavevano letto loro, ne ho scritto un’altra versioneche a Franchini però non ha convinto, e in effettiaveva ragione, e così ne ho scritta un’altra ancora.Ecco, con la Mondadori abbiamo lavorato moltosul finale.

La scena del riso è secondo me la più bella e signifi-cativa. Come è nata?Quella scena è una specie di ricordo indiretto, percui in realtà è una vicenda abbastanza mia. Quandol’ho scritta sapevo che avevo bisogno di qualcosa diviolento ma che fosse violento in un modo un po’sottile, come cerca sempre di essere il libro, e mi ètornata in mente questa cosa del riso e in effetti ciho pensato dopo, devo dire, però lì il riso era pro-prio l’elemento perfetto da rovesciare addosso, l’ele-mento che suggella il matrimonio, era proprio ilgesto di infangare quello che avevano costruito. Seila prima persona a dirmi questa cosa. È una scena acui sono particolarmente affezionato anch’io pro-prio perché è molto più privata di altre.

Dal libro al film. A che punto è la sceneggiatura?La sceneggiatura è finita in realtà, ogni volta aggiu-stiamo piccole cose, dettagli, tra poco comincerannole riprese.

Chi sono gli attori?Alba Rohrwacher sarà Alice, mentre per Mattia èstato scelto un esordiente. A lei io pensavo dall’inizio.

È quasi una moda in questo periodo tradurre i roman-zi in film. Recentemente ho letto questa affermazione

di Bret Easton Ellis: “I film hanno sicuramentecondizionato, specie dagli anni Ottanta, un certostile visuale di parecchi scrittori. Ma lavorando, unautore non deve pensare: ‘Potrebbe diventare unfilm’. La vera scrittura deriva dall’inconscio, è bendiversa dal mestiere dello sceneggiatore”. Che nepensi?Secondo me non è vera nei termini in cui lo dice lui,cioè non è vero che la maggior parte degli scrittoriscrivono pensando che poi il libro possa diventareautomaticamente un film. Non credo. Perché nonsarebbe proprio conciliabile con la forma dellascrittura, beh sicuramente anche per me il condi-zionamento del cinema è forse, in modo superficia-le, più forte di quello della letteratura perché è piùimmediatamente fruibile, perché è un tipo di formacompleta, totalizzante, che coinvolge l’immagine, ilvisivo. Però è molto diverso scrivere pensando dilavorare per un film e scrivere pensando di scrive-re. E io trovo abbastanza pericoloso che adesso sisia instaurato questo automatismo tra scrittura ecinema, anche perché molti fraintendono. Peresempio moltissimi, dopo la lettura del mio libro,hanno detto che era già pronto per il film. È una

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cosa che si può pensare superficialmente perché èun libro scritto molto per immagini, ma in realtàfare un buon film da un libro come il mio è diffici-lissimo perché le immagini che ci sono non sonocostruite per il cinema ma per la scrittura, e quindicon una grammatica completamente diversa e que-sto mi ha dato molto da pensare, credo che siaun’associazione molto becera. Il lavoro alla sceneg-giatura del film della Solitudine è durato più di unanno e non è stato facile trovare una nuova formaper dire le cose che bisognava dire.

Hai portato la Solitudine un po’ ovunque, sia inItalia che all’estero, riscuotendo sempre successo.Hai un ricordo di queste presentazioni che conservipiù degli altri?In realtà mi sento ancora troppo nel flusso e nonriesco a far sedimentare niente. Non ho avuto anco-ra tempo di soffermarmi e analizzare le cose che hovissuto. È stato un periodo abbastanza topico,molto emozionante. Quello che è successo all’este-ro mi ha colpito molto, ho riempito una sala aMonaco di Baviera per esempio. È stato molto bellopartire da zero e avere un riconoscimento così gran-de. Comunque, il momento più forte, la presenta-zione che più mi ha stravolto come pubblico, comeintensità di pubblico, è stato a Pordenonelegge del-l’anno scorso, perché era in piazza e la piazza erapiena. Ero quasi spaventato, a dir la verità, maanche molto emozionato, c’era un pubblico estre-mamente amichevole nei miei confronti, moltogeneroso.

Come ti sembra il mondo dell’editoria? Tu che vienida tutt’altro ambito come è stato l’impatto?È più sommesso di quanto immaginavo, tutto menoluccicante, ma ha anche i suoi lati ottimi ovviamente.Però non penso di essere entrato nel mondo lettera-rio. Certo, ho conosciuto una miriade di persone checi lavora dentro, ho fatto amicizie, ma ho riportatotutto a una dimensione abbastanza privata, nontanto salottiera.

Quanto incide Torino sulla tua vita culturale?Torino non incide tanto sulla mia vita culturale, qui aTorino faccio una vita abbastanza normale, vado alcinema, vedo mostre, ma tutto ha una dimensionepiuttosto domestica. Faccio più vita culturale quandovengo a Roma. Però Torino è la città in cui lavoromeglio, mi dà molta concentrazione, quel giusto ecostante livello di stress che serve.

C’è qualche casa editrice, tra le medio-piccole, cheammiri particolarmente?Iperborea, perché pubblica tutta una parte di Europaun po’ invisibile e perché lo fa con una passione e unaprecisione straordinaria. Sono bravissimi. Anchemarcos y marcos riesce a tirar fuori delle perle. Ingenerale leggo molti libri di Neri Pozza, anche se nonè proprio medio-piccola…

Mi dici cinque libri che consideri imprescindibili?Pastorale americana di Philip Roth; Infinite Jest diWallace; Il processo di Kafka; Le benevole di Littele i racconti di Buzzati.

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«Lui prese la confezione in cartone del riso. Era già aperta. La agitò. Poi sorrise, con un sorriso cheAlice trovò sinistro. Inclinò il pachetto e il riso cominciò a rovesciarsi a terra, come una pioggerellinabianca e sottile.«Che fai?» disse Alice.Fabio rise.«Eccoti il riso» rispose.Agitò la scatola più forte e i chicchi si sparsero per tutta la cucina. Alice si avvicinò.«Smettila» gli disse, ma lui la ignorò. Alice lo ripeté più forte.«Come al nostro matrimonio, te lo ricordi? Il nostro stramaledetto matrimonio» gridò Fabio».

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