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    PotenzAttiva

    Incontro al Museo provinciale di Archeologia, 28 settembre 2009

    a conclusione della scuola della decrescita a Nuova Siri

    Comunicazione di Paolo Cacciari

    Mi rendo conto che in un momento di crisi economica cos grave pensare ad una societ che scelgaconsapevolmente e volontariamente di imboccare un percorso di decrescita dei consumi e delle

    produzioni di massa delle merci possa apparire una provocazione di cattivo gusto. Qualcuno ha

    detto che i promulgatori della decrescita sono intellettuali che hanno in odio lumanit. Altri, pi

    generosi, hanno detto che siamo piccoli borghesi schiacciati dal rimorso delle conseguenze che il

    nostro stile di vita provoca nel mondo.

    Al contrario, testardamente, penso che non sia immaginare una via di uscita reale e duratura dalla

    crisi sistemica in corso, multifattoriale e multidimensionale, senza riorientare i nostri sistemi

    sociali ed economici ai criteri della decrescita.

    Vediamo, quindi, quali sono questi criteri.

    Innanzitutto possibile pensare alla decrescita in un modo molto semplice che parte dalla presa

    datto elementare che non ce n per tutti. Lo sappiamo e lo sentiamo: la nostra razionalitsolidale e la nostra ragione cordiale ci dicono che non possiamo andare avanti cos. In natura i

    processi che hanno una curva di crescita esponenziale (come quella disegnata dai cultori dello

    sviluppo) sono solo le metastasi cancerogene. Tutti i sistemi vitali seguono andamenti ciclici.

    Il 23 settembre (con qualche giorno di anticipo sullanno precedente) abbiamo festeggiato la fine

    dellanno biologico (lEarth Over Shoot). Abbiamo cio consumato tutto quanto gli ecosistemi

    terrestri sono in grado di rigenerale in un anno. Dal 24 settembre prendiamo a credito dal 2010

    acqua, legno, suoli fertili e cos via. Altri indicatori (limpronta ecologica) del fabbisogno teorico di

    terra biologicamente produttiva necessaria a sostenere i nostri consumi, sono in rosso. Cos per il

    petrolio (siamo in attesa dellannuncio del superamento del picco di Hubbert), per il litio (senza il

    quale niente batterie elettriche e addio alla green-tech), del rame (che, a giudicare dai furti, sembra

    il patrimonio pi di valore delle ferrovie), del coltan e dei diamanti (che insanguinano il Congo),

    delloro blu, dei fosfati, del tantalio Ma non c nemmeno pi spazio per contenere i rifiuti, le

    scorie, gli scarti dei metabolismi della tecnosfera. A dicembre a Copenaghen si giocher una partita

    importante: laggiornamento del protocollo di Kyoto per contenere le emissioni di gas climalteranti.

    Abbiamo imparato che latmosfera non pu superare le 350 parti per milione di anidride carbonica

    se volgiamo contenere laumento della temperatura media sotto i due gradi centigradi.

    Fermiamoci qui, non vale pi la pena nemmeno di parlarne, tante sono le evidenze empiriche e le

    ricerche scientifiche che ci dicono che il nostro sistema economico provoca impatti ambientali

    insostenibili. Dopo luscita del rapporto Stern (2007) che ha parlato il linguaggio degli economisti,

    persino i capi di stato hanno capito che cos non si pu pi andare avanti: desertificazione dei suoli,

    perdita di biodiversit, catastrofi climatiche richiedono continui interventi di adattamento e dimitigazione volti a mantenere condizioni utili allo svolgimento delle attivit umane. In altri termini

    gli economisti hanno calcolato che per ogni punto di Pil in pi, presto se ne dovranno spendere due

    per rattoppare i disastri ambientali creati. Ne vale la pena?

    La decrescita, quindi, pu essere intesa come una strategia del tutto razionale di presa datto dei

    limiti delle risorse disponibili e di acquisizione del concetto di limite. Dobbiamo pensare a

    minimizzare i flussi di energia e di materia impiegati nei cicli produttivi. Dobbiamo

    smaterializzare i cicli economici. Dobbiamo mettere in atto una riconversione ecologica

    delleconomia, cos come dice anche e finalmente lamministrazione Obama: green-economy, soft-

    economy, clean-tech, new deal verde, ecc.

    Ma ci sono due problemi correlati: uno grande come una casa: lequit (che non pu pi essere

    cercata verso lalto: il mondo scoppierebbe!), laltro, pi insidioso, costituito dalla trappolatecnologica, dalleffetto rimbalzo o moltiplicatore che annulla i benefici ambientali quando aumenta

    la massa delle merci prodotte.

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    In altri termini lo stile di vita dell1% della popolazione mondiale (i cosmocrati che detengono il

    50% della ricchezza), ma nemmeno del 20% pi ricco che regge la sua posizione sullo sfruttamento

    dell80% delle risorse, non pu essere preso a modello da nessuno. Anzi, la causa della crisi. (Ci

    ricordiamo di Bush che afferm che gli stili di vita degli americani non sono negoziabili?). Cos

    come il sistema di produzione delle 500 multinazionali che controllano il 52% del Pil mondiale e il

    90% degli scambi internazionali non pu essere preso a modello delleconomia mondiale. Anzi ladeglobalizzazione la condizione per uscire dalla crisi.

    La green economy, allora, non pu essere intesa come lultima trovata per fare business con

    lambiente (aggiungere beni di consumo ecologicamente certificati, concentrare ancora di pi il

    monopolio delle tecnologie, aumentare la dipendenza e la colonizzazione del sud del mondo). Al

    contrario dobbiamo spendere soldi per fare economia ecologica. Cio, considerare il capitale

    naturale non pi come un fattore produttivo da sfruttare, ma come bene in s, patrimonio da

    preservare e incrementare. Una vero rovesciamento dei presupposti delleconomia capitalistica.

    Dobbiamo tornare a pensare l economia dei soldi (come direbbe Giorgio Nebbia) un sottosistema

    delleconomia terrestre. Rimettere in ordine le gerarchie e i valori. Del resto Marx stesso (per molti

    versi il teorico dello sviluppo e delle illimitate potenzialit trasformatrici del lavoro) scrisse che Il

    lavoro non la fonte di ogni ricchezza. La natura la fonte dei valori duso.Rispondere a queste due questioni: equit sociale e sostenibilit ambientale (cio garantire uguale

    accesso ai beni comuni acqua, terra, saperi per le generazioni presenti e per quelle future equit

    orizzontale e intergenerazionale) la sfida di civilt che siamo chiamati a compiere. Una sfida che

    possiamo vincere solo se riusciamo a riconcettualizzare lidea di ricchezza, di benessere, di

    democrazia a livello planetario.

    Il mondo interdipendente, il benessere di una persona inscindibile da quello di altre persone. C

    un passo molto bello della Caritas in Veritate (ultima enciclica di Ratzinger): La societ

    globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. Anzi! Ci mette in crudele competizione. La

    globalizzazione neolibersita fallita non solo sul versante ambientale, ma anche su quello umano.

    Una apocalisse secolarizzata per mano umana, la definisce Raniero la Valle, un genocidio

    silenzioso Jean Ziegler. Un miliardo di affamati, cinquemila morti di fame al giorno, met della

    popolazione del globo addensati attorno a qualche decina di megalopoli che si chiamano Mumbai,

    Rio de Janeiro, Giacarta, Khartoum, Lima, Durba I nuovi inferni dellumanit

    Serve allora una nuova economia che supporti sia una rivoluzione verde sia una rivoluzione sociale.

    Serve un mutamento delle relazioni sociali che reggono i modi di produzione e di consumo.

    E necessario trovare le vie per transitare da una concezione economica che mira alla

    massimizzazione dellefficienza produttiva (produrre sempre maggiori volumi di merci a minori

    costi per unit di prodotto), ad una che miri alla ottimizzazione del mantenimento dei fattori

    produttivi (lavoro e risorse naturali) in buona salute e il pi a lungo possibile, cio: cura e

    manutenzione. In questa nuova concezione delleconomia, forza lavoro e risorse naturali non sono

    pi viste e usate come fattori produttivi da immolare nei cicli produttivi, ma comenatura e personeumane, usufruttuari e beneficiari della cooperazione e dello sforzo produttivo sociale.Una societ della decrescita, quindi, implica trasformazioni profonde del modello di economia: da

    una economia del consumo e dei prelievi ad una della sufficienza e della restituzione (riuso, riciclo,

    condivisione); da una economia del debito e della competitivit ad una del dono e della reciprocit;

    da una economia del rendimento ad una del risparmio.

    Quindi non basta de-meaterializzare, occorre anche de-mercificare e de-finaziarizzare leconomia,

    sottrarla al dominio del profitto e dellaccumulazione. Lo sviluppo un termine bastardo che

    occulta il nocciolo duro della crescita che a sua volta occulta il concetto di accumulazione. La via di

    uscita passare dalle merci ai beni, direbbe Maurizio Pallante.

    Ma la domanda che a questo punto viene rivolta ai sostenitori della decrescita questa: chi sono i

    soggetti sociali, gli attori politici del progetto della societ della decrescita? E quali potrebberoessere le pratiche costituenti, performanti la nuova societ? Insomma c qualcuno (che non sia

    un freekkettone, un asceta o un inguaribile anticapitalista) che crede che sia possibile vivere meglio

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    con meno e disposto a scegliere coscientemente e volontariamente, solidariamente la strada della

    decrescita?

    Penso di s. Penso che la rivoluzione sia gi in movimento. Basta saperla riconoscere. Prendo ad

    esempio due diverse novit.

    Le nuove e costituzioni dellAmerica latina, in particolare quella dellEcuador di Rafael Correa. Nel

    paragrafo tre del preambolo, subito dopo il riconoscimento della sovranit del popolo, c scritto:Celebriamo la natura, la Pacha Mama (noi potremmo dire la madre terra o lanima mundi) di cui

    siamo parte e che vitale per la nostra esistenza. La costituzionalizzazione della natura, il

    riconoscimento di un diritto allargato allecosfera, un passaggio epocale che la cultura occidentale

    non riuscita ancora a compiere e contro cui inspiegabilmente il cattolicesimo ancora si batte (vedi

    la Caritas in Veritas). Siamo figli di un antropocentrismo, maschilista, nazionalista e statalista che

    non smette di perseguire un disegno di dominio sulla natura, sugli animali, sulla donna.

    Aldo Leopold (Almanacco di un mondo migliore, gi nel 1949), naturalista padre del pensiero

    ecologista profondo, sperava in un allargamento delletica a tutti gli esseri viventi, come ad un certo

    punto della storia dellumanit pure avvenuto per gli schiavi e per laltro genere umano. Una

    etica della terra riflette lesistenza di una coscienza ecologica che, a sua volta, riflette il

    convincimento della necessit di una responsabilit individuale per la salute della terra. Dovremmorecuperare lobbligo morale a custodire e coltivare la terra, oltre che a vivere in pace.

    La seconda segnalazione che voglio fare il libro di Paul Hawken (Moltitudine inarrestabile,

    Edizioni Ambiente, ma in realt il titolo originale Blassed Unrest, tratto da una frase

    pronunciata della coreografa Marta Grahm: Una strana benedetta inquietudine che ci fa andareavanti e ci rende pi vitali): Lautore, un vecchia conoscenza dellambientalismo, ha organizzato

    una banca dati con centomila organizzazioni di base della societ civile che si battono per i diritti

    umani e la salvaguardia della natura. Un movimento senza nome che sfugge a qualsiasi

    definizione. Due decine di milioni di persone che non si limitano ad andare a votare. Il pi

    grande movimento sociale di tutta la storia dellumanit. Persone normali e fuori dal comune.

    Senza leader, senza guide e controlli centrali che agisce tramite testimonianze, informazione,

    azioni di massa. Una biodiversit culturale che come la biodiversit biogenetica ha il potere di

    limitare il flusso di entropia, aumentare la resilienza, cio la possibilit di evoluzione, la capacit di

    adattamento e di cambiamento. Contro la riduzione di complessit, la omologazione e

    leliminazione delle differenze. Una corrente di umanit mossa da forza interiore e da una energia

    dal basso. Lo stesso Hawken, comunque, chiude il suo lavoro con un interrogativo aperto: sapr

    questa galassia mettersi in rete e riuscire a sgretolare linaudita concentrazione di poteri che governa

    la globalizzazione?

    Paolo Cacciari, Equit/sostenibilit , in Aa Vv, Il dolce avvenire, Diabasis, 2009.Paolo Cacciari, Uneconomia della sufficienza per superare la crescita infinita, in:Carta/Almanacco, luglio/agosto 2009.

    Paolo Cacciari, Di cosa discuteranno gli ex otto grandi?, in: Babel, giugno 2009.Paolo Cacciari, Decrescita o barbarie, Carta, 2008.

    Paolo Cacciari, Pensare la decrescita, Intra Moenia Carta, 2006.

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