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INTERVENTO DEL PROF. STEFANO ZAMAGNI* TENUTO ALL’UDITORIUM STEFANINI Giovedì 21 novembre 2013. *Non rivisto dall’autore, trascritto da registrazione audio da d. Alberto Bernardi. Buona sera a tutti sono molto lieto di essere con voi in questa circostanza esprimo dunque gratitudine, mi complimento anche con la scuola di formazione sociale e politica che ha organizzato durante quest'anno un ciclo, una serie di incontri, a carattere seminariale su varie tematiche che interessano sia la realtà locale, sia nazionale. Mi è stato chiesto di svolgere quest'intervento focalizzando l'attenzione sui cosiddetti nuovi modelli di Welfare di cui si va parlando ormai da qualche tempo a questa parte. Allora la prima questione è perché si parla (e da tutti è avvertita l'esigenza) di transitare a un nuovo modello di Welfare? Ovviamente questo significa che il vecchio non funziona più e non dà più risultati desiderati. Ora per far ordine in tutto questo è bene che ricordiamo che il primo modello di Welfare è nato storicamente nel 1919 quando, negli Stati Uniti d'America, un gruppo di grandi industriali come Rockfeller, Carnegie e Ford (quello delle automobili) eccetera siglarono tra di loro e altri un patto in base al quale le imprese si sarebbero dovute prendere cura delle esigenze di Welfare dei loro dipendenti e delle loro famiglie. Nasce così quello che in letteratura è noto come Welfare capitalism cioè il Welfare capitalistico o Welfare capitalista. L'idea di base del Welfare capitalista è il “restitution principal” (il principio di restituzione) cioè l’impresa ottiene profitti grazie al concorso di una pluralità di fattori (in primis dal fattore dei lavoratori) e dunque deve restituire almeno parte dei profitti ottenuti per fornire quei servizi di Welfare (dalla sanità, assistenza, scuola, educazione) come appunto applicazione di una sorta di sdebitamento morale e sociale. Questo è bene che si sappia perché, da allora, gli americani hanno mantenuto questo modello e c'è tuttora e chi ha cercato, anche in tempi recenti come Obama, di modificarlo avete visto in quali difficoltà è andato. Quando Obama l'altro anno e due anni fa ha approvato e ha fatto approvare dal congresso americano la legge di riforma della sanità per dare a tutti una minima copertura sanitaria apriti cielo l'accusa che gli è stata rivolta è stata questa “tu stai violando le nostre radici” e cioè il nostro modello di Welfare capitalism. Ora questo modello, in America, ha avuto un certo successo tanto che ce l'ha tuttora ed è un modello che aiuta a capire anche un altro fenomeno tipicamente americano e cioè la nascita delle fondazioni d'impresa “corporate foundations” in inglese. Se voi fate caso le fondazioni americane hanno tutti, nel titolo, il nome e il cognome del fondatore fondazione Rockfeller fondazione Ford fondazione Carnegie e più recentemente la fondazione Bill Gates e via discorrendo perché, dopo quello che ho detto si capisce, perché sono questi personaggi che avendo accumulato tanti soldi incidono volontariamente di trasferire una parte in capo la fondazione alla quale danno il compito di realizzare e di distribuire servizi di Welfare in un ambito o nell’altro. Quale però il punto di debolezza di questo modello il tallone d'Achille. Il tallone d’Achille è che non garantisce l'universalismo questo è il punto. In altre parole poiché questo patto è un patto volontario se un'impresa non vuole aderire a quanto era scritto nel patto non era obbligata e dunque accadeva ed accade tuttora che i dipendenti delle imprese che avevano sottoscritto il patto ottenevano i servizi nei diversi ambiti, gli altri invece niente. Quindi il modello di Welfare capitalism tende a dividere la società tra imprenditori, chiamiamoli buoni, che si sentono in dovere di restituire e quelli che invece a cui non interessa granché e quindi
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non fanno altrettanto. Questa è la ragione per cui, esattamente vent'anni dopo nel 1939, vent'anni dopo in Inghilterra il grande economista John Maynard Keynes scriverà un articolo poco noto pochissimi lo conoscono perché voi sapete come funzionano le cose le cose veramente importanti non bisogna saperle mai, si imparano le cose più frivole più banali non quelle importanti. In questo articolo intitolato Welfare and democracy cioè welfare e democrazia Keynes sviluppa la seguente idea che se il Welfare ha da essere deve essere universalista altrimenti meglio non farlo. Una tesi, voi direte, radicale ma Kaynes era uno che se ne intendeva, era uno che è intelligente, molto intelligente e quando si è troppo intelligenti si rischia di non essere capiti da chi e meno intelligente che però ha la pretesa di capire. Cioè dice Keynes se noi non facciamo un welfare universalista (universalista vuol dire che si rivolge a tutti, a tutti. Tutti i cittadini, per il fatto stesso di vivere e di risiedere un territorio, hanno diritto di accesso ai servizi perché se non è universalista il Welfare fa più male che bene perché divide la società e mette una categoria contro l'altra alimentando la rabbia sociale. Immaginate voi un lavoratore che lavorava da Ford che ha tutta una serie di benefici l'altro che è magari vicino di casa lavora in un’altra impresa non li ha. Capite da soli le implicazioni. Ecco allora perché Keynes con questo saggio (e altri suoi contributi) darà vita tre anni dopo (nel 1942 facendolo approvare dal Parlamento inglese) il famoso pacchetto Beveridge. Beverdige era il nome della camera dei Lord, amico e discepolo di Keynes e che a livello politico riuscì ad implementare e ne nasce così il Welfare State. Quindi Keynes è il teorico e Beverdge l'operativo che ha fatto nascere Welfare State. State vuol dire di Stato, lo stato del benessere un termine che ancor usiamo oggi. E qual è l'idea di base del Welfare State? Di base è che è lo Stato, non più le imprese, che deve farsi carico delle sorti di benessere dei cittadini perché solo lo Stato può garantire l'universalismo. Lo Stato non discrimina tratta tutti i cittadini alla stessa maniera e dunque solo affidando allo Stato il compito di provvedere ai vari servizi si può ottenere il risultato desiderato. Questa è la ragione per cui da almeno 1942 nasce il servizio sanitario nazionale in Inghilterra, in Italia ci vorranno ancora tanti anni. Il servizio sanitario in Italia nasce, come voi sapete, nel 1978 pensate quanti anni dopo. L'assicurazione obbligatoria, contro le malattie (quella in effetti c'era già) l’assistenza e soprattutto la scuola. La scuola, almeno fino a una certa età, gratuita per tutti Ed ora il Welfare State è stata una grande conquista di civiltà è inutile discutere questo bisogna essere ciechi per negarlo. Però è un fatto che, come spesso succede negli affari di questo mondo, il successo del Welfare State ne ha minato la sostenibilità cioè ha creato una sorta di anticorpi. Questo succede spesso, come voi si sapete, nelle nostre società. E cioè, a partire dalla fine degli anni 70 del secolo scorso, dapprima timidamente poi via via sempre in maniera più chiara, è diventato evidente che il Welfare State non è sostenibile. Cosa vuol dire sostenibile? Che non è in grado di generare dal proprio interno le risorse finanziarie di cui ha necessità per raggiungere gli obiettivi che il Welfare State si prefigge di raggiungere. Perché non è sostenibile? Non è sostenibile, vedete, per due ragioni diverse ma entrambe convergenti. La prima regione è dovuta alla asimmetria tra l'andamento delle entrate fiscali dello Stato (è perché lo Stato come fa a finanziare i servizi di Welfare? Con la tassazione generale. Preleva dai cittadini le risorse e poi le spende nella sanità nella scuola nell’assistenza eccetera) e allora l'andamento asimmetrico tra l'aumento delle, diciamo, dei ricavi di ciò che lo Stato a riesce ottenere e la curva che descrive l'andamento dei costi. I termini, se avessimo qui una lavagnetta, immaginate che la linea che rappresenta l'aumento delle entrate fiscali è una retta (la cui pendenza misura la pressione tributaria), mentre la curva che designa l'andamento dei costi è un'iperbole, iperbole fatta così quindi voi avete una retta con un'iperbole. Più passa il tempo e più la differenza verticale tra le due curve va ad aumentare. E cosa vuol dire che i costi superano i ricavi? Allora nei primi 10 15 anni cioè negli anni 80 i primi anni 90 questa differenza è stata coperta con il debito pubblico (è così che il debito pubblico -‐ non è questa l'unica causa ce ne sono altre però è una causa importante -‐ si è accumulato da noi come in altri
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paesi) come a dire che fin tanto che ha potuto il nostro Stato si è indebitato. E voi sapete cosa vuol dire indebitarsi! Vuol dire trasferire alle generazioni future una parte degli oneri che la generazione presente non riesce a far fronte. Ma quando si è arrivati al punto? Bisogna arrivare al 2000 quando è iniziato il processo di unificazione europea sono arrivati i guai. Perché, come voi sapete, dal trattato di Maastricht in avanti la regola è che il debito pubblico deve diminuire e portarsi al 60% del Pil. 60%! Con, ovviamente eccezioni, per quei paesi fortemente indebitati come l'Italia a cui viene concesso, come dire, una dilazione di pagamento si direbbe. Voi sapete che oggi il debito pubblico sul Pil italiano e del 133% quindi più del doppio del limite consentito del 60%. E come riusciremo lo sa solo una persona cioè il Padreterno il quale è unico che sa come riusciremo ad appianare e ritornare, ma non parliamo di questo. Ecco allora il primo punto: la non sostenibilità. E perché non è sostenibile? Ripeto perché le entrate fiscali non possono che aumentare in maniera lineare, perché le entrate fiscali dipendono dall'aumento del reddito del Pil e siccome il Pil aumenta (adesso no, ma fino alla crisi) del 2-‐3% all'anno è chiaro che le entrate fiscali in media aumentavano del 2%. Andiamo a vedere la curva dei costi. La curva dei costi ci dice che i costi, anno dopo anno, aumentavano del 5-‐6%. E questo perché? Ma perché (e in questo la sanità è la prima responsabile) i costi della sanità sono destinati, per ragioni endogene e endemiche, ad aumentare indipendentemente dalle inefficienze o dalle forme di corruzione gli sprechi che pure ci sono. Indipendentemente. Perché chi conosce, e un po' se ne intende di economia sanitaria, sa che la sanità è un settore produttivo che agisce in maniera perversa rispetto a tutti gli altri settori produttivi dell'economia. Vi siete mai chiesti oggi un telefonino costa molto di meno di quanto costasse 15/20 anni fa, perché? La stessa cosa il televisore, la stessa cosa l'automobile perché? Perché il progresso tecnico scientifico in tutti i settori dell'economia aumenta la produttività. L'aumento della produttività abbassa i costi e l'abbassamento dei costi riduce i prezzi. In sanità è vero il contrario. In sanità l'aumento della produttività dovuto alle innovazioni progresso anziché diminuire i costi li fa aumentare. Questo è uno dei punti che si fa più fatica a far capire alla gente io almeno trovo fatica. I miei studenti lo sanno perché altrimenti sanno cosa succede loro: io li picchio e quindi dopo … di fronte alla testardaggine di qualcuno cosa volete fare … quando tu una cosa gliela spieghi una volta due volte … cioè la gente normale non riesce a capire questo fatto. Allora bisogna fare gli esempi: una Tac. Sapete quanto costa una Tac nucleare? Meglio non dirlo! Ma la Tac nucleare è molto efficace perché riesce a diagnosticare la presenza di un cancro, di un inizio di cancro, quando la cellula cancerogena è più corta di 1 mm e voi sapete che se io riesco a diagnosticare all'inizio il cancro è debellato. Il cancro è terribile non perché sia più grave di altre, anzi è meno grave, ma perché non ce ne accorgiamo e quando ce ne accorgiamo troppo tardi. Allora con l'attacco nucleare se tutti facessimo ogni anno un check up non ci verrebbe il cancro. Però voi capite le implicazioni che il costo di una Tac nucleare è esorbitante. In altre parole l'innovazione tecnico scientifica in sanità, come anche nell'assistenza, aumenta i costi perché la gente vuole servizi di qualità. Provate voi a dire a uno se gratis vuole i raggi x. Non li vuole più nessuno, perché non si vede più niente e poi sono pericolosi per via delle radiazioni. E se io ti dico guarda che te li faccio gratis, no, dice, non li voglio!! Ecco allora il punto. Non parliamo poi della scuola! Chi, avendo una certa età come me, si ricorda che quando s'andava a scuola nelle classi non c'era neanche il riscaldamento ognuno doveva portare un pezzo di legna perché .. perché è così che funzionava. Oggi dare dei servizi di qualità agli studenti comporta dei costi. Ecco allora la prima causa di insostenibilità: l'andamento divaricante tra l'aumento dei costi e l'aumento degli introiti fiscali. Ripeto: non parlo dei problemi che tutti invocano del tipo evasione fiscale, è chiaro che, se non ci fosse revisore fiscale, sarebbe meglio sotto questo profilo. Però non è risolutivo perché andremo meglio per 5-‐10 anni e poi ritorneremo dalla stessa situazione. È evidente che se potessimo eliminare gli sprechi o le varie forme di corruzione si tirerebbe un sospiro di sollievo, ma non possiamo essere così miopi da pensare ad un orizzonte temporale di 5 -‐10 anni, dobbiamo pensare anche alle generazioni che vengono dopo. Ecco allora il punto: che il Welfare State universalistico non è sostenibile dal punto di vista finanziario. Sostenibile vuol dire che nel breve termine si può cercare di tamponare ma nel medio lungo termine non è sostenibile. E che non lo dice è purtroppo un mentitore. Ci sono troppi
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mentitori, gente che fa credere agli altri “ma io ho la ricetta magica” … offre … non credete perché non è vero. Ripeto sul breve termine è vero che se noi potessimo eliminare l'evasione e va fatta (perché è uno scandalo l'evasione eccetera) però non è lì la soluzione del problema La seconda ragione della insostenibilità è di altra natura non di natura finanziaria: è legata ad un fatto su cui troppo poco si riflette e cioè che il modello di Welfare State, affidando allo Stato la definizione degli interventi e la gestione erogazione degli stessi, tende inevitabilmente ad assumere le forme della impersonalità e della anonimità. Perché lo Stato non può differenziare a seconda della condizione di vita delle persone, ma i bisogni non sono omogenei. I bisogni non sono omologabili. Perché anche la stessa malattia, con lo stesso nome medico, in due persone diverse è una malattia diversa. Perché anche se ho un disturbo al cuore è chiaro che lo stesso disturbo in persone diverse (che hanno una biografia diversa e, soprattutto, una struttura psicofisica diversa) ha un impatto diverso. Voi direte “e allora?” e allora vuol dire che la cura deve essere personalizzata, deve tener conto di quella particolare relazione e lo Stato non lo può fare a meno di cambiare il modello. Tant'è vero che in quei casi in cui certe cose non avvengono è proprio perché, per una ragione o per l'altra, si cerca di tenere conto di questo. Vi faccio un esempio (e chi s'intende di questo capisce): la farmaco genomica ora sappiamo che la farmaco genomica è il futuro. Farmaco genomica vuol dire che bisogna dare il farmaco con il principio attivo che è adeguato alla struttura genica delle persone. Invece no. Perché le nostre medicine vengono sprecate e non servono? Perché sono basate su una persona media, allora chi si colloca al di sopra della media quella medicina è come acqua fresca, chi si colloca al di sotto è troppo potente sta male, ha le reazioni. Con la farmaco genomica noi invece personalizzeremmo l'erogazione, la somministrazione del farmaco per tener conto delle reali esigenze e del bisogno di quella persona. Però noi oggi sapremmo, e i medici ce lo dicono, come potremmo fare, ma non lo si fa perché costa troppo e lo Stato ci dice “io non posso fare questo perché devo trattare tutti alla stessa maniera. Ecco allora qual è la seconda ragione della crisi del Welfare State che nelle fasi critiche (pensate il dopoguerra) in cui ci sono delle situazioni emergenziali, trattare tutti alla stessa maniera va bene. Se io mi rivolgo ad una popolazione di affamati basta dare a tutti la stessa razione e va bene perché la fame è uguale per tutti. Lo stomaco, i crampi allo stomaco, sono gli stessi per il bello e per il brutto, l'intelligente e il meno intelligente e così via. Ma quando un paese evolve è chiaro che il singolo cittadino chiede un trattamento differenziato, che tenga conto della sua specificità. E questo lo Stato non lo può dare perché lo Stato si avvale della modalità di tipo burocratico e il burocrate, per definizione sua, tratta tutti alla stessa maniera. Volete un piccolo test di quello che dico? Quando si va all'ospedale (sarete stati ricoverati!!) appena entri ti danno subito del tu. Nessuno ti conosceva ti danno del tu e io chiedo perché? Perché tutti devono essere sullo stesso piano. E beh insomma ora dare del tu ad un bambino va bene, dare del tu alla persona anziana può creare imbarazzo. Questo per dire, a livello anche di semplice osservazione, il punto che ho trattato. Ecco allora perché negli ultimi vent'anni circa sulla base, sulla scorta, di questa duplice difficoltà si è cominciato a porre il problema del superamento del modello di Welfare State. Cioè si capisce che, per ragioni di finanza pubblica, ma anche per ragioni di modalità erogative dei servizi, non è più possibile continuare a tenere come modello di riferimento il Welfare State. Perché i cittadini si ribellano o sono insoddisfatti oppure, come dire, parlano male di forme varie di reazione, a volte anche in maniera non civile. Ecco allora la ragione per la quale, nell'ultimo ventennio, è avanzato il terzo modello e cioè la Welfare society. Welfare society. E qual è l'idea di base della Welfare society? Che è l'intera società che deve farsi carico della situazione di benessere dei cittadini, delle persone. Non solo lo Stato, l'intera società. Quindi, vedete, Welfare capitalism: le imprese si prendono; cura Welfare state lo Stato si prende cura; Welfare society è l'intera società che si prende cura dei suoi componenti, dei suoi cittadini. E cosa c'è nella società? Nella società ci sono tre sfere (immaginate un triangolo). Una sfera è quella degli enti pubblici. Questa resta: cioè Stato, regioni, comuni, (province se volete … ma questo adesso non mette conto parlare), quindi una sfera è occupata dagli enti pubblici, quali che essi siano.
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La seconda sfera è quella della “business comunity”: cioè dalla comunità degli affari, cioè, ancora, degli insiemi di tutte le imprese, di tutti i tipi che operano in un determinato territorio. E la terza sfera è quella della società civile organizzata, cioè la sfera di quelli che l'articolo 2 dalla nostra costituzione chiama “i corpi intermedi della società”. Articolo due della costituzione italiana. Corpi intermedi della società. E quali sono questi corpi intermedi? Voi ne sapete qualcosa: si va dalle associazioni di volontariato, alle associazioni di promozione sociale, ai sindacati, a tutto. Perché il sindacato è un'associazione: che sia ben chiaro, non è un ente pubblico il sindacato, è un'associazione che evidentemente ha una sua caratteristica, persegue suoi scopi e così via. Pensate alle fondazioni: sono un'altra infrastruttura della società civile organizzata. Allora l'idea della Welfare society, o della società del benessere, è tutta qui. Bisogna trovare il modo di mettere in relazione continua (non episodica, ma continua) queste tre sfere sia per la progettazione o programmazione degli interventi, sia per la gestione degli stessi. Ho detto: allora è facile da capire, facilissimo. Da attuare è una difficoltà enorme, ci vorranno ancora anni però ci arriveremo. Sì arriveremo, però, ci vorranno anni e, in Italia, com'è facile immaginare, ci saranno alcune regioni che arriveranno prima, altre arriveranno dopo per le solite ragioni che adesso andrò ad illustrare. Però, notate, questa relazionalità non deve essere episodica una volta ogni tanto, deve essere sistematica. Secondo: questa triangolazione deve riguardare non solo la gestione dei servizi, ma la programmazione. Che vuol dire: l'identificazione dei servizi che si vogliono fornire, le priorità e poi, dopo, la gestione vera e propria o l’amministrazione vera e propria. Questo modello ha il nome di sussidiarietà circolare. Ora cosa sia il principio di sussidiarietà lo sappiamo più o meno (non c'è bisogno, adesso, di entrare nei particolari). L'articolo 118 della costituzione, modificato nel 2001, costituzione italiana, ha introdotto il principio di sussidiarietà. Quale però? Ha introdotto la sussidiarietà verticale e quella orizzontale, non anche quella circolare. Perché? Perché nel 2001 queste cose ancora non si sapevano sono venute fuori dopo. E la gente, i nostri parlamentari, non avevano testa. Nessuno ancora parlava di queste cose. Il concetto di sussidiarietà circolare è venuto dopo. Allora, voi direte, ma fammi capire meglio le differenze? La differenza è questa: che la sussidiarietà orizzontale è quella del Welfare capitalis, americana. Cioè la sussidiarietà orizzontale non garantisce l'universalismo. Questo scrivetevelo bene in testa! Perché lo so che ci sono molti (anche i professori birichini) che queste cose dovrebbero saperlo, le sanno, e non lo dicono mai. E questa è disonestà: non si può farlo così!. Non si può tener la gente nell'ignoranza. Anche se dà fastidio la verità va detta: cioè la sussidiarietà orizzontale non garantisce l'universalismo. Perché la sussidiarietà orizzontale sapete come funziona? Il comune o la regione, o a volte lo Stato, affida a quell'associazione, a quella fondazione a quell’altra, la gestione dei servizi in un certo ambito. Però è quell'associazione che stabilisce le modalità di accesso. E se uno non rientra in quelle modalità rimane fuori da queste. Ecco perché abbiamo bisogno della sussidiarietà circolare: perché nella sussidiarietà circolare uno dei tre vertici del triangolo è rappresentato dall'ente pubblico. E l’ente pubblico sta lì a vigilare che non si creino figli e figliastri, fratelli e fratellastri. Cioè a dire che non si creino discriminazioni tra un gruppo sociale e un altro gruppo sociale eccetera: questo vuol dire universalismo. Chiaro? Ecco la differenza profonda. La sussidiarietà verticale è il decentramento, lo chiamano verticale ma in effetti bisognerebbe chiamarlo decentramento: quando lo Stato trasferisce alle regioni dei poteri, le regioni li trasferiscono ai comuni, e lì, al comune, a volte alle aziende speciali e così via. Ma quello, direi, è un problema solo tecnico. Il vero punto discriminante è tra sussidiarietà orizzontale e sussidiarietà circolare: la sussidiarietà circolare è quella che garantisce invece l'universalismo, cioè la copertura. E quindi adesso la domanda diventa… intendiamoci la questione qui è uno dei problemi dove si giocano certi valori! Uno può anche dirmi “io non sono a favore dell'universalismo” (gli americani non sono a favore dell'universalismo. Avete visto ad Obama quante ne stanno facendo pagare per aver fatto uno straccio, uno straccio di riforma sanitaria in chiave universalistica? Lo ricattano continuamente! Fra un po’ lo sbatteranno via!) Quindi direi che bisogna imparare a rispettare le posizioni che uno ha.
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Però bisogna avere il coraggio di dichiarare da che parte si sta. Questo è il punto! Mentre rispettiamo tutte le posizioni dobbiamo esigere che chi prende una certa linea, soprattutto se un politico, dichiari apertamente se è a favore o no dell'universalismo. Allora se uno mi dice (io personalmente sono favorevole all'universalismo perché la mia formazione e il mio sistema di valori mi importa a dire che tutti gli esseri umani, rispetto a certi bisogni cosiddetti fondamentali, non possano tollerare discriminazioni … tra chi è ricco o povero, tra chi è intelligente e meno intelligente e via discorrendo, tra uomo e donna). Però io non ho difficoltà a dire e rispetto che ci sia un altro (è inutile che faccia i nomi, ma voi li riconoscete) che dica “no no i servizi di Welfare vanno solo per queste categorie o per questa piccola comunità”. Però esigo che chi pensa così lo dica in pubblico perché se non lo dice in pubblico allora io mi sento autorizzato ad offenderlo, dargli cioè del delinquente. Perché è così che bisogna impostare il discorso politico. Perché, ripeto, la libertà non vuol dire nascondimento della verità. E voi capite che, nella realtà, molti si vergognano di dire “io sono contro l'universalismo” perché, voi capite, le implicazioni. Perché si arriva vicino al razzismo, vicino non completamente. Gli americani hanno avuto il razzismo fino a non molto tempo, fa noi italiani non l'abbiamo da secoli. La prima comunità è stata Bologna. Bologna. Non dimenticatelo: 1257 liber paradisus: quando a Bologna, che era il comune, eliminò la servitù, abrogò la servitù. La schiavitù era già stata eliminata. E poi, dopo Bologna, tutto il resto. 1257. Quindi noi italiani ne abbiamo fatta di strada. Alt. Pensate anche alla pena di morte. Qual è stato il primo stato a eliminare la pena di morte? Il granducato di Toscana nel 1787. 1700 noi non abbiamo la pena di morte! In America ce l’hanno ancora, oggi. Bisogna capirle queste cose. Dopodiché bisogna rispettare, però neppure che noi italiani dobbiamo sempre attirarsi e la frusta addosso. Perché sul piano dei diritti fondamentali umani non abbiamo da imparare niente da nessuno. Gli altri devono imparare da noi. Perché quando io racconto questi fatti storici la gente si tace. Il fatto è che molti non li sanno e allora pensano che gli altri siano più avanti. Gli altri paesi hanno preso ispirazione da noi. Chiusa la parentesi. Ecco allora il punto in questione. Adesso la domanda diventa: perché allora è così difficile attuare la sussidiarietà circolare? Cioè il modello di Welfare society? Perché ci sono dei timidi passi avanti ancora però non si riesce. Tre ragioni: primo perché l'ente locale (scusate l'ente pubblico … anche locale ma anche regione) dice “a me non piace perché il potere ce l’ho io, comando io” perché, dice, “io sono stato eletto”, “i cittadini mi hanno eletto sindaco (oppure presidente della regione Veneto), allora io ho avuto il consenso, adesso decido io”. “Allora io non accetto di sedermi al tavolo con gli altri due perché, perché io devo esercitare il mio potere” “voi mi avete letto, allora io decido”. Ecco questa è la prima difficoltà, ed è una difficoltà che ovviamente nasconde un neo molto grave. Chi ragiona così non sa cos'è la democrazia e, soprattutto, odia la democrazia anche se a parole dice che è democratico. Voi dovete dirglielo. Se volete date pure la colpa a me. Dategli anche il mio telefonino così dopo io provvedo completare. Perché io sono stufo di gente ignorante come una bestia che parlano senza sapere quel che dicono. È perché se uno è ignorante non è colpa sua, però si deve far istruire, non deve andare in piazza parlare eccetera, perché il principio democratico (di nuovo se uno mi dice “a me non piace la democrazia”, però lo devi dire) perché il principio democratico non dice che il sindaco, il presidente della regione è eletto per far quel che lui pensa, ma è eletto perché venga perseguito il bene comune. Questa è la democrazia. È la dittatura che, invece, attribuisce all’eletto i poteri. Hitler non era stato eletto forse? è stato eletto! ebbe una maggioranza, il suo partito, del 49%. Lui era il segretario del partito nazista e quindi, dice, “voi mi avete eletto adesso comando io”. Ma quella è democrazia? Come si fa a non capire questa cosa? Quindi ad un sindaco che mi dice “io sono stato eletto” quindi ho la fiducia”. No, tu hai la fiducia di niente!!! perché tu, diciamo, “se non sono contenti non mi votano” perché in 4-‐5 anni tu puoi distruggere una comunità e quando è distrutta inutile dire che tu non sarai votato. Cosa mi interessa a me che tu non sarai votato quando nel frattempo in quei quattro anni hai fatto del male? Questi sono discorsi da fare. Quindi allora la prima difficoltà è che bisogna spiegare alla classe politica, e a tutti in generale, che il principio democratico implica che uno viene eletto per il bene comune, non
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per fare quello che il suo partito gli ha detto di fare. Tanto è vero che quando uno assume una carica pubblica dovrebbe rompere il legame col proprio partito, perché altrimenti la democrazia non è più tale. Allora meglio parlare di oligarchia di un regime oligarchico non democratico. Questa è una difficoltà, l’altra difficoltà riguarda il mondo dell'impresa. Gli imprenditori dicono “cosa è sta storia? Io il Welfare? No no io ho già i miei problemi: far tornare i conti, far quadrare i conti dell'azienda o questo, adesso poi c’è la crisi ecc.” e prima che non c’era la crisi? Uguale: non si interessava! Cioè anche qui bisogna far maturare gli imprenditori e parlare loro di responsabilità civile dell'impresa. Non basta la responsabilità sociale, ci vuole la responsabilità civile che vuol dire quello che sto dicendo: tu imprenditore non devi pensare solo agli affari di casa tua, della tua impresa, devi preoccuparti anche, pro quota, assieme ad altri che il bene comune della comunità evolva ecc. Troppo comodo trovare un imprenditore che dice “io penso soltanto a fare l'imprenditore” ma quello che imprenditore è? Quello è un delinquente! Voi sapete cosa vuol dire delinquente? Non è una brutta parola delinquente letteralmente vuol dire uno che non fa quel che deve fare, quello è un delinquente. So che molti in italiano pensano che delinquente voglia dire assassino no!! Cosa c’entra? Delinquente è uno, ad esempio uno studente che non studia è un delinquente, nel senso che non fa quello che ci si aspetta da lui che faccia questo allora è il punto: bisogna che si sensibilizzi la classe degli imprenditori (tutti tutti dalle cooperative agli imprenditori for profit e della meccanica come dell'agricoltura tutti) che e tu sei imprenditore non per fare il profitto, anche per fare il profitto, ma tu sei imprenditore per aiutare il processo di sviluppo della tua comunità, o della tua regione, della tua città, della tua area la tua provincia e così via. Questa è un'idea che esisteva una volta all'epoca dell'umanesimo civile del 1400. Basta leggere i libri di storia, però quelli giusti è … non quelli che sono pieni di bugie e di falsità. I libri di storia ce lo raccontano. Cosa facevano, cosa fecero, gli imprenditori tra il 1300 e il 1500 quando nacque il Rinascimento eccetera? Allora la seconda difficoltà è di fare in modo che l’imprenditore, la classe imprenditoriale, capisca che il compito dell'imprenditore non si ferma ai cancelli della fabbrica, ma va oltre. Nelle forme che vanno trovate, ovviamente. Perché anche qui, vedete, molti quando faccio questo discorso (ma le cose stanno migliorando), perché qui non è solo problema di soldi. Ma allora tu vuoi i soldi? Ma chi te l’ha detto che io voglio i soldi? Io quando mi rivolgo agli imprenditori non chiedo mai i soldi, sapete cosa gli chiedo? Il know-‐how gli dico “dammi la tua conoscenza”. Tu sei un imprenditore che ha sviluppato certi talenti, sai fare certe cose, metti la tua conoscenza e la tua abilità al servizio di una causa. Poi dopo sì, ci vogliono i soldi come si vogliono e se puoi metti i soldi, però intanto comincia. Io sfido uno che mi possa dire che anche nelle situazioni di crisi un imprenditore non possa contribuire a dare un contributo così. Perché mica ti chiedo subito i soldi? Ad esempio c'è da fare un progetto. E chi meglio di un imprenditore sa fare i progetti? Ad esempio in un ambito, piuttosto che in un altro e così via. Infine ce n'è anche per la terza sfera: quella della società civile organizzata. E qui casca l'asino. Perché? perché il mondo della società civile organizzata (dal volontariato in avanti, con tutte le forme eccetera, cooperative sociali eccetera) deve fare oggi, per andare nella direzione della Welfare society cioè della sussidiarietà circolare, un balzo in avanti decisivo. Voi direte “in che senso”? Nel senso che il terzo settore italiano fino ad ora è stato cloroformizzato. Sapete cos'è cloroformio? Uno lo inala e s'addormenta. Noi abbiamo soggetti di terzo settore che sono bravissimi, buoni, generosi ma non sono capaci a fare niente. In che senso voi direte? Nel senso della progettazione. Sono bravi ad eseguire, ma non a progettare. Perché? Perché fino adesso sono stati tenuti a balia dall'ente pubblico, e l'ente pubblico, fintanto che aveva i soldi diceva “guarda qui c'è quell'asilo gestiscimelo tu, cooperativa sociale, però queste sono le regole a b c d eccetera”. Questi qua prendevano, firmavano la convenzione ed eseguivano. Quindi bravissimi ad seguire perché c'era l’ente pubblico che indicava le modalità. Provate a chiedere di inventarsi loro, fare quella che si chiama “innovazione sociale”. Sapete cos'è l'innovazione sociale? La “social innovation”? Come mai in Europa noi siamo indietro da matti sull'innovazione sociale? E ci battono
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gli inglesi, i tedeschi e si beccano un bracco di soldi e noi non c'entriamo niente? Perché siamo fessi!! Perché i soldi di Bruxelles a noi non arrivano? Sapete perché? Perché non sappiamo fare innovazione sociale. Innovazione sociale vuol dire che c'è un problema, Bruxelles fa una specie di bando, chi presenta il progetto migliore. Poi c’è una commissione e alla fine ti danno i soldi. Noi non cominciano mai niente perché non sappiamo scrivere progetti. Io, se avessi tempo vi racconterei un sacco di episodi. Poi è chiaro che c'è qualche eccezione, è ovvio!! Io adesso però parlo in generale cioè è accaduto che il mondo del terzo settore è stato tenuto… (sapete cos'è il paternalismo? un genitore che educa il figlio in maniera paternalistica, secondo voi quel figlio, quando diventa adulto, è capace di cavarsela? Ma neanche per sogno!!! Che è il problema dei nostri giovani di oggi, perché non sanno fare niente, soprattutto i maschi come voi sapete, e quindi dopo si trovano male. Appena devono navigare da soli, in mare aperto, vanno giù, non ce la fanno, oppure devono rinunciare e così via). Ecco la stessa cosa è del terzo settore. E soprattutto abbiamo fatto in modo che il terzo settore (volontariato in particolare) divenisse una sorta di esecutore. Ma non è questa la funzione. La funzione del terzo settore è quella di essere (dico una parola forte), di avere capacità profetica. Chi è il profeta? Il profeta, ricordatevelo, non è chi anticipa il futuro. Quelli sono i maghi. Ci sono già gli economisti che fanno i maghi e non ne azzeccano una ecc.. Il profeta è chi ha il coraggio di denunciare il presente, non chi anticipa il futuro. Quelli sono gli indovini, il vero profeta è uno che vede le cose che non vanno in un territorio, le denuncia in maniera civile. Questa è la grande funzione. Che nel nostro caso vuol dire che i soggetti della società civile devono intercettare i bisogni. Ma come fa un Comune a sapere se nel quartiere qua in fondo di Treviso c'è un bisogno o l'altro? Ditemelo voi come fa? Il burocrate che sta negli uffici, se sta negli uffici, come fa a sapere com'è messa la gente? Come fa a sapere se è arrivato ieri una carovana di nomadi? Per scoprirlo deve mandare i vigili urbani che devono fare … nel frattempo i giorni sono passati e il problema si è incancrenito. E’ chi sta sul territorio, le associazioni, ecco perché l'associazionismo è importante: perché chi è sul territorio che ha continuamente le antenne per captare i bisogni e per dire “ah guarda lì succede questo quell'altro e così via” ecc.. Vi ricordate due anni fa il caso che scoppiò Bologna la mia città di Bologna? Io non sono di Bologna, vivo a Bologna. Due anni fa, che andò su tutti i giornali del mondo, che quel bambino di otto mesi morto di freddo d'inverno (era alla fine di gennaio) in piazza maggiore a Bologna. Perché è morto? I servizi sociali del comune lo sapevano, ma evidentemente loro hanno chiamato i genitori (li conoscevano) gli avevano chiesto “voi avete uno straccio di casa per far dormire il bambino eccetera”? Loro dissero “sì sì” invece non era vero perché avevano paura che gli portassero via il bambino. Allora il burocrate scrive “i genitori dichiarano che hanno … apposto” e il bambino dopo è morto. Lì c’era una società di volontariato che sollevò il caso. Ma come? Lo sapevamo! E tu burocrate stai a sentire quello che dice il genitore? Ma è ovvio che un genitore, se sa che tu gli puoi portar via, il figlio dice anche quelle bugie! Ovviamente i genitori erano un po’ scassati, lo capite da soli, un po' drogati … però, voglio dire, i servizi … Piazza Maggiore è a 15 m dai servizi sociali!!! e questi han fatto morire un bambino così perché, dice, la regola burocratica … noi li abbiamo interrogati loro ci hanno detto che erano apposto… Ma sono discorsi da fare? Io vi cito questo esempio che è andato sui giornali, ma ce ne sono tantissimi. Perché? Ma perché gli enti pubblici non hanno l'informazione. Ecco allora il terzo settore: quello che raccoglie l'informazione dei bisogni e riporta in quel tavolo (triangolare) e lì, dopo, assieme all'ente pubblico e alle imprese si dice “e qui c'è questa emergenza qua … mi sono arrivati nomadi oppure sono arrivati gli immigranti da qua e là … una situazione è allora troviamo subito … c'è il problema delle carceri e così via. Ecco allora, in conclusione, voi capite qual'è il problema? Che il modello della sussidiarietà circolare è IL modello, non ci sono alternative. A meno che uno voglia eliminare l'universalismo. Ma in Italia non si potrà eliminare perché scoppierebbe la rivoluzione. Allora il Welfare state non è più proponibile, per le ragioni che ho detto prima. Non vuol dire che lo Stato scompare, vuol dire che lo Stato diventa uno dei tre, con una funzione ben precisa: quella di garantire l'universalismo delle prestazioni. Ora questo modello ha le difficoltà di cui ho detto, però queste difficoltà verranno superate un po' alla volta. Perché? Perché di fronte alla realtà che è sotto i nostri occhi non si può continuare così. Perché poi, quando la gente arriva al dunque e dopo noi italiani sappiamo come alzare i tacchi e a darci una mossa. Sarebbe meglio però arrivare e giocare d'anticipo e che alcune realtà possano fare.
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In questo voi capite, adesso io non ho avuto tutto il tempo, pensate anche alla funzione della cosiddetta contrattazione aziendale che vede il sindacato … però un conto è discutono con riferimento a quelli che lavorano in quella impresa, altro conto invece aprirlo al resto della cittadinanza. Ad esempio a Bologna le imprese sono tante: hanno aperto l'asilo, asilo aziendale se non credete andate a controllare. L’asilo centrale non ospita solo i bambini piccoli dei lavoratori, ma anche quelli dei cittadini che vivono nel quartiere. Questo è un esempio di sussidiarietà circolare. Perché altrimenti io cado nel modello iniziale “io sono l'imprenditore illuminato, faccio l'asilo per i miei. Eh no, e allora quelli che stanno lì vicino niente? Capite o no? Queste sono cose che già avvengono, in certe realtà, bisogna generalizzarle e portarle a conoscenza di tutto. Ultimo punto del discorso è il seguente. Qualcuno potrebbe dire “ma tutto questo, da un punto di vista economico, è possibile? O, meglio, è conveniente?” Questo è il bello di questo modello che mentre il Welfare state consuma risorse, la Welfare society produce risorse. Voi direte “eh miracolo!” No non è un miracolo! Il punto, vedete, è questo: ci sono due modi di vedere il Welfare. Il Welfare come spesa per consumo o il Welfare come spesa per investimenti. Fino ad ora è prevalsa la prima linea. Perché? Perché il Welfare state tende, mira a migliorare le condizioni di vita delle persone, le condizioni di vita. Se è affamato ti do il pane, se è ammalato ti do la medicina. La Welfare society, invece, mira a migliorare le capabilities, cioè le capacità di vita delle persone. Allora a voi la scelta. Io preferisco migliorare le capacità di vita e non le condizioni. Perché se io miglioro le condizioni oggi, tu domani sarai nella stessa situazione e io non potrò continuare ad aiutarti per sempre e dopo tu vai a finir male. Se invece intervengo sulle capacità di vita (voi sapete cosa vuol dire le capacità? Cioè sul tuo potenziale), è ovvio che ti rendo autonomo dalla tua situazione di bisogno, ti metto nelle condizioni di non aver più bisogno. L'esempio più banale: dare l'elemosina appartiene alla prima linea. Miglioro le condizioni, io metto nel bussolotto un po' di soldi, quello mangia un panino. E però voi capite che non è un gran rispetto della dignità umana questo. Perché vuol dire che quello lì sarà sempre alle mie dipendenze, dipenderà sempre da me, da quanto gli butterò. E secondo voi questo è dignitoso? No! Io invece preferisco quello prenderlo e lo faccio lavorare e gli do un pugno in testa se non vuol lavorare. È sì dove pugno in testa capite cosa vuol dire: perché, a volte, bisogna anche forzar con le dovute capacità psicologiche, allora noi bisogna capire, e su questo il sindacato da sempre insiste, che la prima forma di welfare è il lavoro! perché se io ottengo il 12, 13, 14% disoccupato è ovvio che quello mi costa l’ira di Dio. Perché gli devo dare la cassa integrazione, e quello e quell'altro ecc. e non producono niente. Ma allora, scusa, non sarebbe meglio usare gli stessi soldi per farli produrre? E allora qui si aprono le possibilità: ecco perché il triangolo è importante. Perché quando si pone sul tavolo questo problema gli imprenditori, che fanno parte della seconda sfera, a loro gli vengono le idee. Ve lo dico io, “io saprei come fare”. Avete visto l’esempio dell’inizio di quest’anno del carcere di Bologna? Carcere di Bologna: uno di quelli sovraffollati. E lì c'è un problema: un tasso di recidività altissimo. Questi uscivano poi dopo commettevano un reato rientravano. Adesso; è andato anche questo sui giornali, imprenditori dalla meccanica, assieme ad associazioni e assieme all'ente pubblico (che in questo caso si chiama il Ministero di Grazia e Giustizia), hanno creato dentro il carcere un laboratorio per la fresa … il tornio e quelle cose lì. Così le imprese portano i semilavorati, i carcerati finiscono o completano, poi le imprese riprendono. I carcerati imparano il mestiere e guadagnano dei soldini anche lì il sindacato ha dato una grossa mano ecc. tutto in regola e questi, quando usciranno, avranno dei soldini, perché i soldi si possono dare solo al momento dell'uscita dal carcere, ma avranno imparato il mestiere e quindi non torneranno più a rubare a fare le cose che per le quali sono andati in carcere. Ma questo il Welfare state poteva farlo? No! Perché il Ministero di Grazia e Giustizia può fare il laboratorio? No! Ci sono voluti però gli imprenditori che si sono loro tra virgolette tassati, hanno pagato il macchinario da mettere lì perché lo Stato non ha un soldo. Però il carcere ha messo a disposizione la sala. Quindi questi qua lavorano, imparano e smettono di fare caos dentro il carcere. E, capite, questo è un esempio piccolo piccolo, però è un esempio che va nella direzione quello che vi ho detto. E questo è un esempio di sussidiarietà circolare perché in questo caso tutti e tre i vertici sono intervenuti perché nessuno, da solo, ce l’avrebbe potuto fare. Ma allora perché noi teniamo la gente in carcere a non fare niente? E costa!
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Poi dici che non abbiamo le risorse. Per forza! Diamo le risorse a chi non produce niente! E perché allora non facciamo lavorare i carcerati? Con questi modelli noi avevamo fatto un esperimento simile tre anni fa col carcere minorile. E lì c'è ancora adesso: fanno le paste, imparano a fare i pasticceri. Lì non avevamo previsto un piccolo incidente: che questi ragazzi carcerati si sono … come si fa a un minore impedirgli di mangiare la crema, la cioccolata? E adesso bisogna fare una formazione perché sennò questi si ammalano tutti di diabete. Non è per il valore delle cose, però per dire, vedete, che se uno imbrocca questa strada della sussidiarietà circolare … ma soprattutto è conveniente perché si risparmiano risorse. Questo è il punto. Invece noi continuiamo a tenere (non parliamo poi degli anziani non autosufficienti o degli anziani che ci costano l’ira di Dio) e teniamo gli anziani a far niente. Ma vi sembra una cosa giusta? Dal punto di vista morale? È morale tenere uno che sta non proprio bene … ma sta bene e che potrebbe fare e non farglielo fare? Cioè, secondo voi, è civile la società che impedisce a uno che ha più di 65 anni di essere produttivo? Capite che negare la produttività a una persona è negargli la libertà? Non ve l’ha spiegato qualcuno? È negare la libertà. Allora con quale coraggio si può? Allora uno dice “li mettiamo in fabbrica”. È chiaro che non, ma il lavoro è solo quello di fabbrica? Allora gli anziani bisogna renderli produttivi. È il progetto che si chiama longevità attiva. Potete chiamarlo in altra maniera. Anche per questo ci vuole la triangolazione: perché ci vuole, in questo caso il sindacato dei pensionati, ci vogliono degli imprenditori, ci vuole l'associazionismo che trovino il modo di garantire il trasferimento dalla conoscenza. Perché ogni pensionato dentro di sé ha tanta conoscenza. Ma perché noi dobbiamo essere così egoisti da fare in modo che quella conoscenza scompaia con la sua morte? Ma perché prima di morire quella persona non può trasferire, ad esempio ai più giovani, quella conoscenza? Ad esempio i pensionati che erano metalmeccanici vanno adesso in carcere a insegnare ai carcerati come si fa al tornio ecc. Gli stanno vicino… loro si passano il tempo, sono contenti come una Pasqua e così via. e così con tanti altri esempi. Non parliamo poi di quel che avviene nella sanità che ancora è più chiaro. Cioè, vedete, quello che noi dobbiamo fare è di passare da un'ottica di assistenzialismo paternalistico in cui c’è lo stato che si prende cura (e non si prende cura in questa maniera!!!) ad una situazione in cui viene restituita la dignità a ciascuna persona. Perché ognuno di noi è portatore di carismi e portatore di talenti. Impedire ad una persona di sviluppare il talento, solo perché un po' malato, perché anziana, è un delitto. E vedrete che, fra un po' di tempo, queste cose verranno messe, come si chiama … scuro su bianco e il nero su bianco in qualche dichiarazione. Perché noi siamo andati avanti con un'idea taylorista perché in Italia, sino al 1950, l'età media era di 60 anni. Ora è chiaro che uno andava in pensione e dopo, in media un anno – due, moriva. E allora si diceva “lascia che goda”. Ma scusa, sapete quant'è l'età media in Italia o no? L’età media tra uomini e donne in Italia è di 83 anni, la media 83! Ma scusa, se uno va in pensione a 65, cosa fa tra 65 e 83? È giusto lasciarlo a marcire a far niente? Dice “li facciamo giocare a bocce”. Ma vi sembra una risposta interessante? Questo andava bene ieri quando gli anni residui di vita dall'età della pensione erano di pochi anni. Ma quando gli anni residui sono di oltre vent'anni, voi capite che il problema è serio da un punto di vista sociale. Allora io chiudo dicendo che tutto questo è stato un altro esempio al distretto verso cui dobbiamo andare: il distretto del welfare. L'idea del distretto (come c'è il distretto industriale) nel quale distretto del Welfare entra il distretto famiglia, ad esempio. Io qui stasera non ho parlato, ma è chiaro che il discorso della famiglia meriterebbe un'attenzione molto diversa di quanto non stia al momento ricevendo. Quello che volevo incentivarvi a fare è di imboccare questa via perché voi avete la possibilità. Perché Treviso è una società, una città … è una comunità molto avanzata, è una città coesa, è una città né troppo grande né troppo piccola. Perché è chiaro che in una grande metropoli come Milano o Roma questo discorso è un po' più difficoltoso). E, d'altra parte, in un paese di 15.000 abitanti non c'è la massa critica. Qui voi avete la massa critica. La provincia di Treviso ha un tessuto di imprese, di associazioni di ogni tipo (dal volontariato, le associazioni sociali che vi invidia il mondo intero) e allora perché non lo fate? Voi direte “ma perché l'ente pubblico …?” Convincetelo!! Chi occupa le cariche pubbliche lo dovete convincere! Convincere come? Con il modello di democrazia deliberativa: creando petizioni, scrivendo, parlando sempre in
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maniera civile, però determinata!!! Come ultima razza si può anche dare un pugno in testa!!! sì sì funziona funziona!!! Perché io vedo con certi studenti: quando arrivo a quello, dopo hanno capito tutto. Allora vuol dire che in certi casi funziona: è come la medicina!!! No? Che quando è cattiva a volte fa più bene che non quell'altra. Allora vedete di imboccare … perché questo avrebbe significato per voi sicuramente, ma avrebbe anche un valore simbolico perché sareste di guida per altre realtà simili alla vostra che sono lì lì e non trovano il coraggio di fare un passo deciso in questa direzione. E vorrei concludere, vediamo se me lo sono portato, con un brano che mi piace sempre in questi casi citare. Una frase di un autore, che voi conoscerete, che era Giovannino Guareschi. Giovannino Guareschi all'autore di Don Camillo e Peppone dell’Emilia tra Reggio eccetera.. sentite, in uno dei suoi scritti, cosa ci dice. “Nelle situazioni di crisi bisogna fare ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi. Bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume e il seme fruttificherà e le spighe, turgide e dorate, daranno agli uomini pane vita e speranza”. Ecco questo è un pensiero che penso si addica molto alla vostra realtà. In questa situazione salvate il vostro seme, recuperatelo perché le vostre radici sono radici profonde, sono radici solide e buone, se lo recuperate (adesso la crisi passerà, come l'ondata del brano passa primo poi, passa) e se voi avrete salvato il seme lo rimpianterete e allora la pianta darà frutti abbondanti, per tutti. Grazie.