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1 INTERVENTO DEL PROF. STEFANO ZAMAGNI* TENUTO ALL’UDITORIUM STEFANINI Giovedì 21 novembre 2013. *Non rivisto dall’autore, trascritto da registrazione audio da d. Alberto Bernardi. Buona sera a tutti sono molto lieto di essere con voi in questa circostanza esprimo dunque gratitudine, mi complimento anche con la scuola di formazione sociale e politica che ha organizzato durante quest'anno un ciclo, una serie di incontri, a carattere seminariale su varie tematiche che interessano sia la realtà locale, sia nazionale. Mi è stato chiesto di svolgere quest'intervento focalizzando l'attenzione sui cosiddetti nuovi modelli di Welfare di cui si va parlando ormai da qualche tempo a questa parte. Allora la prima questione è perché si parla (e da tutti è avvertita l'esigenza) di transitare a un nuovo modello di Welfare? Ovviamente questo significa che il vecchio non funziona più e non dà più risultati desiderati. Ora per far ordine in tutto questo è bene che ricordiamo che il primo modello di Welfare è nato storicamente nel 1919 quando, negli Stati Uniti d'America, un gruppo di grandi industriali come Rockfeller, Carnegie e Ford (quello delle automobili) eccetera siglarono tra di loro e altri un patto in base al quale le imprese si sarebbero dovute prendere cura delle esigenze di Welfare dei loro dipendenti e delle loro famiglie. Nasce così quello che in letteratura è noto come Welfare capitalism cioè il Welfare capitalistico o Welfare capitalista. L'idea di base del Welfare capitalista è il “restitution principal” (il principio di restituzione) cioè l’impresa ottiene profitti grazie al concorso di una pluralità di fattori (in primis dal fattore dei lavoratori) e dunque deve restituire almeno parte dei profitti ottenuti per fornire quei servizi di Welfare (dalla sanità, assistenza, scuola, educazione) come appunto applicazione di una sorta di sdebitamento morale e sociale. Questo è bene che si sappia perché, da allora, gli americani hanno mantenuto questo modello e c'è tuttora e chi ha cercato, anche in tempi recenti come Obama, di modificarlo avete visto in quali difficoltà è andato. Quando Obama l'altro anno e due anni fa ha approvato e ha fatto approvare dal congresso americano la legge di riforma della sanità per dare a tutti una minima copertura sanitaria apriti cielo l'accusa che gli è stata rivolta è stata questa “tu stai violando le nostre radici” e cioè il nostro modello di Welfare capitalism. Ora questo modello, in America, ha avuto un certo successo tanto che ce l'ha tuttora ed è un modello che aiuta a capire anche un altro fenomeno tipicamente americano e cioè la nascita delle fondazioni d'impresa “corporate foundations” in inglese. Se voi fate caso le fondazioni americane hanno tutti, nel titolo, il nome e il cognome del fondatore fondazione Rockfeller fondazione Ford fondazione Carnegie e più recentemente la fondazione Bill Gates e via discorrendo perché, dopo quello che ho detto si capisce, perché sono questi personaggi che avendo accumulato tanti soldi incidono volontariamente di trasferire una parte in capo la fondazione alla quale danno il compito di realizzare e di distribuire servizi di Welfare in un ambito o nell’altro. Quale però il punto di debolezza di questo modello il tallone d'Achille. Il tallone d’Achille è che non garantisce l'universalismo questo è il punto. In altre parole poiché questo patto è un patto volontario se un'impresa non vuole aderire a quanto era scritto nel patto non era obbligata e dunque accadeva ed accade tuttora che i dipendenti delle imprese che avevano sottoscritto il patto ottenevano i servizi nei diversi ambiti, gli altri invece niente. Quindi il modello di Welfare capitalism tende a dividere la società tra imprenditori, chiamiamoli buoni, che si sentono in dovere di restituire e quelli che invece a cui non interessa granché e quindi

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    INTERVENTO  DEL  PROF.  STEFANO  ZAMAGNI*  TENUTO  ALL’UDITORIUM  STEFANINI    Giovedì  21  novembre  2013.    *Non  rivisto  dall’autore,  trascritto  da  registrazione  audio  da  d.  Alberto  Bernardi.      Buona  sera  a  tutti  sono  molto  lieto  di  essere  con  voi  in  questa  circostanza  esprimo  dunque  gratitudine,  mi  complimento  anche  con  la  scuola  di  formazione  sociale  e  politica  che  ha  organizzato  durante  quest'anno  un  ciclo,  una  serie  di  incontri,  a  carattere  seminariale  su  varie  tematiche  che  interessano  sia  la  realtà  locale,  sia  nazionale.    Mi  è  stato  chiesto  di  svolgere  quest'intervento  focalizzando  l'attenzione  sui  cosiddetti  nuovi  modelli  di  Welfare  di  cui  si  va  parlando  ormai  da  qualche  tempo  a  questa  parte.    Allora  la  prima  questione  è  perché  si  parla  (e  da  tutti  è  avvertita  l'esigenza)  di  transitare  a  un  nuovo  modello  di  Welfare?    Ovviamente  questo  significa  che  il  vecchio  non  funziona  più  e  non  dà  più  risultati  desiderati.  Ora  per  far  ordine  in  tutto  questo  è  bene  che  ricordiamo  che  il  primo  modello  di  Welfare  è  nato  storicamente  nel  1919  quando,  negli  Stati  Uniti  d'America,  un  gruppo  di  grandi  industriali  come  Rockfeller,  Carnegie  e  Ford  (quello  delle  automobili)  eccetera  siglarono  tra  di  loro  e  altri  un  patto  in  base  al  quale  le  imprese  si  sarebbero  dovute  prendere  cura  delle  esigenze  di  Welfare  dei  loro  dipendenti  e  delle  loro  famiglie.  Nasce  così  quello  che  in  letteratura  è  noto  come  Welfare  capitalism  cioè  il  Welfare  capitalistico  o  Welfare  capitalista.  L'idea  di  base  del  Welfare  capitalista  è  il  “restitution  principal”  (il  principio  di  restituzione)  cioè  l’impresa  ottiene  profitti  grazie  al  concorso  di  una  pluralità  di  fattori  (in  primis  dal  fattore  dei  lavoratori)  e  dunque  deve  restituire  almeno  parte  dei  profitti  ottenuti  per  fornire  quei  servizi  di  Welfare  (dalla  sanità,  assistenza,  scuola,  educazione)  come  appunto  applicazione  di  una  sorta  di  sdebitamento  morale  e  sociale.  Questo  è  bene  che  si  sappia  perché,  da  allora,  gli  americani  hanno  mantenuto  questo  modello  e  c'è  tuttora  e  chi  ha  cercato,  anche  in  tempi  recenti  come  Obama,  di  modificarlo  avete  visto  in  quali  difficoltà  è  andato.  Quando  Obama  l'altro  anno  e  due  anni  fa  ha  approvato  e  ha  fatto  approvare  dal  congresso  americano  la  legge  di  riforma  della  sanità  per  dare  a  tutti  una  minima  copertura  sanitaria  apriti  cielo  l'accusa  che  gli  è  stata  rivolta  è  stata  questa  “tu  stai  violando  le  nostre  radici”  e  cioè  il  nostro  modello  di  Welfare  capitalism.  Ora  questo  modello,  in  America,  ha  avuto  un  certo  successo  tanto  che  ce  l'ha  tuttora  ed  è  un  modello  che  aiuta  a  capire  anche  un  altro  fenomeno  tipicamente  americano  e  cioè  la  nascita  delle  fondazioni  d'impresa  “corporate  foundations”  in  inglese.  Se  voi  fate  caso  le  fondazioni  americane  hanno  tutti,  nel  titolo,  il  nome  e  il  cognome  del  fondatore  fondazione  Rockfeller  fondazione  Ford  fondazione  Carnegie  e  più  recentemente  la  fondazione  Bill  Gates  e  via  discorrendo  perché,  dopo  quello  che  ho  detto  si  capisce,  perché  sono  questi  personaggi  che  avendo  accumulato  tanti  soldi  incidono  volontariamente  di  trasferire  una  parte  in  capo  la  fondazione  alla  quale  danno  il  compito  di  realizzare  e  di  distribuire  servizi  di  Welfare  in  un  ambito  o  nell’altro.  Quale  però  il  punto  di  debolezza  di  questo  modello  il  tallone  d'Achille.  Il  tallone  d’Achille  è  che  non  garantisce  l'universalismo  questo  è  il  punto.  In  altre  parole  poiché  questo  patto  è  un  patto  volontario  se  un'impresa  non  vuole  aderire  a  quanto  era  scritto  nel  patto  non  era  obbligata  e  dunque  accadeva  ed  accade  tuttora  che  i  dipendenti  delle  imprese  che  avevano  sottoscritto  il  patto  ottenevano  i  servizi  nei  diversi  ambiti,  gli  altri  invece  niente.    Quindi  il  modello  di  Welfare  capitalism  tende  a  dividere  la  società  tra  imprenditori,    chiamiamoli  buoni,  che  si  sentono  in  dovere  di  restituire  e  quelli  che  invece  a  cui  non  interessa  granché  e  quindi  

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    non  fanno  altrettanto.    Questa  è  la  ragione  per  cui,  esattamente  vent'anni  dopo  nel  1939,  vent'anni  dopo  in  Inghilterra  il  grande  economista  John  Maynard  Keynes  scriverà  un  articolo  poco  noto  pochissimi  lo  conoscono  perché  voi  sapete  come  funzionano  le  cose  le  cose  veramente  importanti  non  bisogna  saperle  mai,  si  imparano  le  cose  più  frivole  più  banali  non  quelle  importanti.    In  questo  articolo  intitolato  Welfare  and  democracy  cioè  welfare  e  democrazia  Keynes  sviluppa  la  seguente  idea  che  se  il  Welfare  ha  da  essere  deve  essere  universalista  altrimenti  meglio  non  farlo.  Una  tesi,  voi  direte,  radicale  ma  Kaynes  era  uno  che  se  ne  intendeva,  era  uno  che  è  intelligente,  molto  intelligente  e  quando  si  è  troppo  intelligenti  si  rischia  di  non  essere  capiti  da  chi  e  meno  intelligente  che  però  ha  la  pretesa  di  capire.  Cioè  dice  Keynes  se  noi  non  facciamo  un  welfare  universalista  (universalista  vuol  dire  che  si  rivolge  a  tutti,  a  tutti.  Tutti  i  cittadini,  per  il  fatto  stesso  di  vivere  e  di  risiedere  un  territorio,  hanno  diritto  di  accesso  ai  servizi  perché  se  non  è  universalista  il  Welfare  fa  più  male  che  bene  perché  divide  la  società  e  mette  una  categoria  contro  l'altra  alimentando  la  rabbia  sociale.  Immaginate  voi  un  lavoratore  che  lavorava  da  Ford  che  ha  tutta  una  serie  di  benefici  l'altro  che  è  magari  vicino  di  casa  lavora  in  un’altra  impresa  non  li  ha.    Capite  da  soli  le  implicazioni.  Ecco  allora  perché  Keynes  con  questo  saggio  (e  altri  suoi  contributi)  darà  vita  tre  anni  dopo  (nel  1942  facendolo  approvare  dal  Parlamento  inglese)  il  famoso  pacchetto  Beveridge.  Beverdige  era  il  nome  della  camera  dei  Lord,  amico  e  discepolo  di  Keynes  e  che  a  livello  politico  riuscì  ad  implementare  e  ne  nasce  così  il  Welfare  State.    Quindi  Keynes  è  il  teorico  e  Beverdge  l'operativo  che  ha  fatto  nascere  Welfare  State.  State  vuol  dire  di  Stato,  lo  stato  del  benessere  un  termine  che  ancor  usiamo  oggi.      E  qual  è  l'idea  di  base  del  Welfare  State?  Di  base  è  che  è  lo  Stato,  non  più  le  imprese,  che  deve  farsi  carico  delle  sorti  di  benessere  dei  cittadini  perché  solo  lo  Stato  può  garantire  l'universalismo.  Lo  Stato  non  discrimina  tratta  tutti  i  cittadini  alla  stessa  maniera  e  dunque  solo  affidando  allo  Stato  il  compito  di  provvedere  ai  vari  servizi  si  può  ottenere  il  risultato  desiderato.  Questa  è  la  ragione  per  cui  da  almeno  1942  nasce  il  servizio  sanitario  nazionale  in  Inghilterra,  in  Italia  ci  vorranno  ancora  tanti  anni.  Il  servizio  sanitario  in  Italia  nasce,  come  voi  sapete,  nel  1978  pensate  quanti  anni  dopo.  L'assicurazione  obbligatoria,  contro  le  malattie  (quella  in  effetti  c'era  già)    l’assistenza  e  soprattutto  la  scuola.  La  scuola,  almeno  fino  a  una  certa  età,  gratuita  per  tutti    Ed  ora  il  Welfare  State  è  stata  una  grande  conquista  di  civiltà  è  inutile  discutere  questo  bisogna  essere  ciechi  per  negarlo.  Però  è  un  fatto  che,  come  spesso  succede  negli  affari  di  questo  mondo,  il  successo  del  Welfare  State  ne  ha  minato  la  sostenibilità  cioè  ha  creato  una  sorta  di  anticorpi.  Questo  succede  spesso,  come  voi  si  sapete,  nelle  nostre  società.  E  cioè,  a  partire  dalla  fine  degli  anni  70  del  secolo  scorso,  dapprima  timidamente  poi  via  via  sempre  in  maniera  più  chiara,  è  diventato  evidente  che  il  Welfare  State  non  è  sostenibile.  Cosa  vuol  dire  sostenibile?  Che  non  è  in  grado  di  generare  dal  proprio  interno  le  risorse  finanziarie  di  cui  ha  necessità  per  raggiungere  gli  obiettivi  che  il  Welfare  State  si  prefigge  di  raggiungere.      Perché  non  è  sostenibile?  Non  è  sostenibile,  vedete,  per  due  ragioni  diverse  ma  entrambe  convergenti.    La  prima  regione  è  dovuta  alla  asimmetria  tra  l'andamento  delle  entrate  fiscali  dello  Stato  (è  perché  lo  Stato  come  fa  a  finanziare  i  servizi  di  Welfare?  Con  la  tassazione  generale.  Preleva  dai  cittadini  le  risorse  e  poi  le  spende  nella  sanità  nella  scuola  nell’assistenza  eccetera)  e  allora  l'andamento  asimmetrico  tra  l'aumento  delle,  diciamo,  dei  ricavi  di  ciò  che  lo  Stato  a  riesce  ottenere  e  la  curva  che  descrive  l'andamento  dei  costi.  I  termini,  se  avessimo  qui  una  lavagnetta,  immaginate  che  la  linea  che  rappresenta  l'aumento  delle  entrate  fiscali  è  una  retta  (la  cui  pendenza  misura  la  pressione  tributaria),  mentre  la  curva  che  designa  l'andamento  dei  costi  è  un'iperbole,  iperbole  fatta  così  quindi  voi  avete  una  retta  con  un'iperbole.  Più  passa  il  tempo  e  più  la  differenza  verticale  tra  le  due  curve  va  ad  aumentare.  E  cosa  vuol  dire  che  i  costi  superano  i  ricavi?  Allora  nei  primi  10  15  anni  cioè  negli  anni  80  i  primi  anni  90  questa  differenza  è  stata  coperta  con  il  debito  pubblico  (è  così  che  il  debito  pubblico  -‐  non  è  questa  l'unica  causa  ce  ne  sono  altre  però  è  una  causa  importante  -‐  si  è  accumulato  da  noi  come  in  altri  

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    paesi)  come  a  dire  che  fin  tanto  che  ha  potuto  il  nostro  Stato  si  è  indebitato.  E  voi  sapete  cosa  vuol  dire  indebitarsi!  Vuol  dire  trasferire  alle  generazioni  future  una  parte  degli  oneri  che  la  generazione  presente  non  riesce  a  far  fronte.  Ma  quando  si  è  arrivati  al  punto?  Bisogna  arrivare  al  2000  quando  è  iniziato  il  processo  di  unificazione  europea  sono  arrivati  i  guai.  Perché,  come  voi  sapete,  dal  trattato  di  Maastricht  in  avanti  la  regola  è  che  il  debito  pubblico  deve  diminuire  e  portarsi  al  60%  del  Pil.  60%!  Con,  ovviamente  eccezioni,  per  quei  paesi  fortemente  indebitati  come  l'Italia  a  cui  viene  concesso,  come  dire,  una  dilazione  di  pagamento  si  direbbe.  Voi  sapete  che  oggi  il  debito  pubblico  sul  Pil  italiano  e  del  133%  quindi  più  del  doppio  del  limite  consentito  del  60%.  E  come  riusciremo  lo  sa  solo  una  persona  cioè  il  Padreterno  il  quale  è  unico  che  sa  come  riusciremo  ad  appianare  e  ritornare,  ma  non  parliamo  di  questo.    Ecco  allora  il  primo  punto:  la  non  sostenibilità.  E  perché  non  è  sostenibile?  Ripeto  perché  le  entrate  fiscali  non  possono  che  aumentare  in  maniera  lineare,  perché  le  entrate  fiscali  dipendono  dall'aumento  del  reddito  del  Pil  e  siccome  il  Pil  aumenta  (adesso  no,  ma  fino  alla  crisi)  del  2-‐3%  all'anno  è  chiaro  che  le  entrate  fiscali  in  media  aumentavano  del  2%.  Andiamo  a  vedere  la  curva  dei  costi.  La  curva  dei  costi  ci  dice  che  i  costi,  anno  dopo  anno,  aumentavano  del  5-‐6%.  E  questo  perché?    Ma  perché  (e  in  questo  la  sanità  è  la  prima  responsabile)  i  costi  della  sanità  sono  destinati,  per  ragioni  endogene  e  endemiche,  ad  aumentare  indipendentemente  dalle  inefficienze  o  dalle  forme  di  corruzione  gli  sprechi  che  pure  ci  sono.  Indipendentemente.  Perché  chi  conosce,  e  un  po'  se  ne  intende  di  economia  sanitaria,  sa  che  la  sanità  è  un  settore  produttivo  che  agisce  in  maniera  perversa  rispetto  a  tutti  gli  altri  settori  produttivi  dell'economia.  Vi  siete  mai  chiesti  oggi  un  telefonino  costa  molto  di  meno  di  quanto  costasse  15/20  anni  fa,  perché?  La  stessa  cosa  il  televisore,  la  stessa  cosa  l'automobile  perché?  Perché  il  progresso  tecnico  scientifico  in  tutti  i  settori  dell'economia  aumenta  la  produttività.  L'aumento  della  produttività  abbassa  i  costi  e  l'abbassamento  dei  costi  riduce  i  prezzi.  In  sanità  è  vero  il  contrario.  In  sanità  l'aumento  della  produttività  dovuto  alle  innovazioni  progresso  anziché  diminuire  i  costi  li  fa    aumentare.    Questo  è  uno  dei  punti  che  si  fa  più  fatica  a  far  capire  alla  gente  io  almeno  trovo  fatica.  I  miei  studenti  lo  sanno  perché  altrimenti  sanno  cosa  succede  loro:  io  li  picchio  e  quindi  dopo  …  di  fronte  alla  testardaggine  di  qualcuno  cosa  volete  fare  …  quando  tu  una  cosa  gliela  spieghi  una  volta  due  volte  …  cioè  la  gente  normale  non  riesce  a  capire  questo  fatto.  Allora  bisogna  fare  gli  esempi:  una  Tac.  Sapete  quanto  costa  una  Tac  nucleare?  Meglio  non  dirlo!  Ma  la  Tac  nucleare  è  molto  efficace  perché  riesce  a  diagnosticare  la  presenza  di  un  cancro,  di  un  inizio  di  cancro,  quando  la  cellula  cancerogena  è  più  corta  di  1  mm  e  voi  sapete  che  se  io  riesco  a  diagnosticare  all'inizio  il  cancro  è  debellato.  Il  cancro  è  terribile  non  perché  sia  più  grave  di  altre,  anzi  è  meno  grave,  ma  perché  non  ce  ne  accorgiamo  e  quando  ce  ne  accorgiamo  troppo  tardi.  Allora  con  l'attacco  nucleare  se  tutti  facessimo  ogni  anno  un  check  up  non  ci  verrebbe  il  cancro.  Però  voi  capite  le  implicazioni  che  il  costo  di  una  Tac  nucleare  è  esorbitante.  In  altre  parole  l'innovazione  tecnico  scientifica  in  sanità,  come  anche  nell'assistenza,  aumenta  i  costi  perché  la  gente  vuole  servizi  di  qualità.  Provate  voi  a  dire  a  uno  se  gratis  vuole  i  raggi  x.  Non  li  vuole  più  nessuno,  perché  non  si  vede  più  niente  e  poi  sono  pericolosi  per  via  delle  radiazioni.  E  se  io  ti  dico  guarda  che  te  li  faccio  gratis,  no,  dice,  non  li  voglio!!  Ecco  allora  il  punto.  Non  parliamo  poi  della  scuola!    Chi,  avendo  una  certa  età  come  me,  si  ricorda  che  quando  s'andava  a  scuola  nelle  classi  non  c'era  neanche  il  riscaldamento  ognuno  doveva  portare  un  pezzo  di  legna  perché    ..  perché  è  così  che  funzionava.  Oggi  dare  dei  servizi  di  qualità  agli  studenti  comporta  dei  costi.      Ecco  allora  la  prima  causa  di  insostenibilità:  l'andamento  divaricante  tra  l'aumento  dei  costi  e  l'aumento  degli  introiti  fiscali.  Ripeto:  non  parlo  dei  problemi  che  tutti  invocano  del  tipo  evasione  fiscale,  è  chiaro  che,  se  non  ci  fosse  revisore  fiscale,  sarebbe  meglio  sotto  questo  profilo.  Però  non  è  risolutivo  perché  andremo  meglio  per  5-‐10  anni  e  poi  ritorneremo  dalla  stessa  situazione.  È  evidente  che  se  potessimo  eliminare  gli  sprechi  o  le  varie  forme  di  corruzione  si  tirerebbe  un  sospiro  di  sollievo,  ma  non  possiamo  essere  così  miopi  da  pensare  ad  un  orizzonte  temporale  di  5  -‐10  anni,  dobbiamo  pensare  anche  alle  generazioni  che  vengono  dopo.  Ecco  allora  il  punto:  che  il  Welfare  State  universalistico  non  è  sostenibile  dal  punto  di  vista  finanziario.  Sostenibile  vuol  dire  che  nel  breve  termine  si  può  cercare  di  tamponare  ma  nel  medio  lungo  termine  non  è  sostenibile.  E  che  non  lo  dice  è  purtroppo  un  mentitore.    Ci  sono  troppi  

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    mentitori,  gente  che  fa  credere  agli  altri  “ma  io  ho  la  ricetta  magica”  …  offre  …  non  credete  perché  non  è  vero.  Ripeto  sul  breve  termine  è  vero  che  se  noi  potessimo  eliminare  l'evasione  e  va  fatta  (perché  è  uno  scandalo  l'evasione  eccetera)  però  non  è  lì  la  soluzione  del  problema      La  seconda  ragione  della  insostenibilità  è  di  altra  natura  non  di  natura  finanziaria:  è  legata  ad  un  fatto  su  cui  troppo  poco  si  riflette  e  cioè  che  il  modello  di  Welfare  State,  affidando  allo  Stato  la  definizione  degli  interventi  e  la  gestione  erogazione  degli  stessi,  tende  inevitabilmente  ad  assumere  le  forme  della  impersonalità  e  della  anonimità.    Perché  lo  Stato  non  può  differenziare  a  seconda  della  condizione  di  vita  delle  persone,  ma  i  bisogni  non  sono  omogenei.  I  bisogni  non  sono  omologabili.  Perché  anche  la  stessa  malattia,  con  lo  stesso  nome  medico,  in  due  persone  diverse  è  una  malattia  diversa.  Perché  anche  se  ho  un  disturbo  al  cuore  è  chiaro  che  lo  stesso  disturbo  in  persone  diverse  (che  hanno  una  biografia  diversa  e,  soprattutto,  una  struttura  psicofisica  diversa)  ha  un  impatto  diverso.  Voi  direte  “e  allora?”  e  allora  vuol  dire  che  la  cura  deve  essere  personalizzata,  deve  tener  conto  di  quella  particolare  relazione  e  lo  Stato  non  lo  può  fare  a  meno  di  cambiare  il  modello.  Tant'è  vero  che  in  quei  casi  in  cui  certe  cose  non  avvengono  è  proprio  perché,  per  una  ragione  o  per  l'altra,  si  cerca  di  tenere  conto  di  questo.  Vi  faccio  un  esempio  (e  chi  s'intende  di  questo  capisce):  la  farmaco  genomica  ora  sappiamo  che  la  farmaco  genomica  è  il  futuro.  Farmaco  genomica  vuol  dire  che  bisogna  dare  il  farmaco  con  il  principio  attivo  che  è  adeguato  alla  struttura  genica  delle  persone.  Invece  no.  Perché  le  nostre  medicine  vengono  sprecate  e  non  servono?  Perché  sono  basate  su  una  persona  media,  allora  chi  si  colloca  al  di  sopra  della  media  quella  medicina  è  come  acqua  fresca,  chi  si  colloca  al  di  sotto  è  troppo  potente  sta  male,  ha  le  reazioni.  Con  la  farmaco  genomica  noi  invece  personalizzeremmo  l'erogazione,  la  somministrazione  del  farmaco  per  tener  conto  delle  reali  esigenze  e  del  bisogno  di  quella  persona.  Però  noi  oggi  sapremmo,  e  i  medici  ce  lo  dicono,  come  potremmo  fare,  ma  non  lo  si  fa  perché  costa  troppo  e  lo  Stato  ci  dice  “io  non  posso  fare  questo  perché  devo  trattare  tutti  alla  stessa  maniera.  Ecco  allora  qual  è  la  seconda  ragione  della  crisi  del  Welfare  State  che  nelle  fasi  critiche  (pensate  il  dopoguerra)  in  cui  ci  sono  delle  situazioni  emergenziali,  trattare  tutti  alla  stessa  maniera  va  bene.  Se  io  mi  rivolgo  ad  una  popolazione  di  affamati  basta  dare  a  tutti  la  stessa  razione  e  va  bene  perché  la  fame  è  uguale  per  tutti.  Lo  stomaco,  i  crampi  allo  stomaco,  sono  gli  stessi  per  il  bello  e  per  il  brutto,  l'intelligente  e  il  meno  intelligente  e  così  via.  Ma  quando  un  paese  evolve  è  chiaro  che  il  singolo  cittadino  chiede  un  trattamento  differenziato,  che  tenga  conto  della  sua  specificità.  E  questo  lo  Stato  non  lo  può  dare  perché  lo  Stato  si  avvale  della  modalità  di  tipo  burocratico  e  il  burocrate,  per  definizione  sua,  tratta  tutti  alla  stessa  maniera.  Volete  un  piccolo  test  di  quello  che  dico?  Quando  si  va  all'ospedale  (sarete  stati  ricoverati!!)  appena  entri  ti  danno  subito  del  tu.  Nessuno  ti  conosceva  ti  danno  del  tu  e  io  chiedo  perché?  Perché  tutti  devono  essere  sullo  stesso  piano.  E  beh  insomma  ora  dare  del  tu  ad  un  bambino  va  bene,  dare  del  tu  alla  persona  anziana  può  creare  imbarazzo.  Questo  per  dire,  a  livello  anche  di  semplice  osservazione,  il  punto  che  ho  trattato.    Ecco  allora  perché  negli  ultimi  vent'anni  circa  sulla  base,  sulla  scorta,  di  questa  duplice  difficoltà  si  è  cominciato  a  porre  il  problema  del  superamento  del  modello  di  Welfare  State.  Cioè  si  capisce  che,  per  ragioni  di  finanza  pubblica,  ma  anche  per  ragioni  di  modalità  erogative  dei  servizi,  non  è  più  possibile  continuare  a  tenere  come  modello  di  riferimento  il  Welfare  State.  Perché  i  cittadini  si  ribellano  o  sono  insoddisfatti  oppure,  come  dire,  parlano  male  di  forme  varie  di  reazione,  a  volte  anche  in  maniera  non  civile.  Ecco  allora  la  ragione  per  la  quale,  nell'ultimo  ventennio,  è  avanzato  il  terzo  modello  e  cioè  la  Welfare  society.  Welfare  society.  E  qual  è  l'idea  di  base  della  Welfare  society?  Che  è  l'intera  società  che  deve  farsi  carico  della  situazione  di  benessere  dei  cittadini,  delle  persone.  Non  solo  lo  Stato,  l'intera  società.  Quindi,  vedete,  Welfare  capitalism:  le  imprese  si  prendono;  cura  Welfare  state  lo  Stato  si  prende  cura;  Welfare  society  è  l'intera  società  che  si  prende  cura  dei  suoi  componenti,  dei  suoi  cittadini.    E  cosa  c'è  nella  società?  Nella  società  ci  sono  tre  sfere  (immaginate  un  triangolo).  Una  sfera  è  quella  degli  enti  pubblici.  Questa  resta:  cioè  Stato,  regioni,  comuni,  (province  se  volete  …  ma  questo  adesso  non  mette  conto  parlare),  quindi  una  sfera  è  occupata  dagli  enti  pubblici,  quali  che  essi  siano.  

  •   5  

    La  seconda  sfera  è  quella  della  “business  comunity”:  cioè  dalla  comunità  degli  affari,  cioè,  ancora,  degli  insiemi  di  tutte  le  imprese,  di  tutti  i  tipi  che  operano  in  un  determinato  territorio.    E  la  terza  sfera  è  quella  della  società  civile  organizzata,  cioè  la  sfera  di  quelli  che  l'articolo  2  dalla  nostra  costituzione  chiama  “i  corpi  intermedi  della  società”.  Articolo  due  della  costituzione  italiana.    Corpi  intermedi  della  società.  E  quali  sono  questi  corpi  intermedi?  Voi    ne  sapete  qualcosa:  si  va  dalle  associazioni  di  volontariato,  alle  associazioni  di  promozione  sociale,  ai  sindacati,  a  tutto.  Perché  il  sindacato  è  un'associazione:  che  sia  ben  chiaro,  non  è  un  ente  pubblico  il  sindacato,  è  un'associazione  che  evidentemente  ha  una  sua  caratteristica,  persegue  suoi  scopi  e  così  via.  Pensate  alle  fondazioni:  sono  un'altra  infrastruttura  della  società  civile  organizzata.  Allora  l'idea  della  Welfare  society,  o  della  società  del  benessere,  è  tutta  qui.  Bisogna  trovare  il  modo  di  mettere  in  relazione  continua  (non  episodica,  ma  continua)  queste  tre  sfere  sia  per  la  progettazione  o  programmazione  degli  interventi,  sia  per  la  gestione  degli  stessi.    Ho  detto:  allora  è  facile  da  capire,  facilissimo.  Da  attuare  è  una  difficoltà  enorme,  ci  vorranno  ancora  anni  però  ci  arriveremo.  Sì  arriveremo,  però,  ci  vorranno  anni  e,  in  Italia,  com'è  facile  immaginare,  ci  saranno  alcune  regioni  che  arriveranno  prima,  altre  arriveranno  dopo  per  le  solite  ragioni  che  adesso  andrò  ad  illustrare.  Però,  notate,  questa  relazionalità  non  deve  essere  episodica  una  volta  ogni  tanto,  deve  essere  sistematica.  Secondo:  questa  triangolazione  deve  riguardare  non  solo  la  gestione  dei  servizi,  ma  la  programmazione.  Che  vuol  dire:  l'identificazione  dei  servizi  che  si  vogliono  fornire,  le  priorità  e  poi,  dopo,  la  gestione  vera  e    propria  o  l’amministrazione  vera  e  propria.    Questo  modello  ha  il  nome  di  sussidiarietà  circolare.  Ora  cosa  sia  il  principio  di  sussidiarietà  lo  sappiamo  più  o  meno  (non  c'è  bisogno,  adesso,  di  entrare  nei  particolari).  L'articolo  118  della  costituzione,  modificato  nel  2001,  costituzione  italiana,  ha  introdotto  il  principio  di  sussidiarietà.  Quale  però?  Ha  introdotto  la  sussidiarietà  verticale  e  quella  orizzontale,  non  anche  quella  circolare.  Perché?  Perché  nel  2001  queste  cose  ancora  non  si  sapevano  sono  venute  fuori  dopo.  E  la  gente,  i  nostri  parlamentari,  non  avevano  testa.  Nessuno  ancora  parlava  di  queste  cose.  Il  concetto  di  sussidiarietà  circolare  è  venuto  dopo.    Allora,  voi  direte,  ma  fammi  capire  meglio  le  differenze?  La  differenza  è  questa:  che  la  sussidiarietà  orizzontale  è  quella  del  Welfare  capitalis,  americana.  Cioè  la  sussidiarietà  orizzontale  non  garantisce  l'universalismo.  Questo  scrivetevelo  bene  in  testa!  Perché  lo  so  che  ci  sono  molti  (anche  i  professori  birichini)  che  queste  cose  dovrebbero  saperlo,  le  sanno,  e  non  lo  dicono  mai.  E  questa  è  disonestà:  non  si  può  farlo  così!.  Non  si  può  tener  la  gente  nell'ignoranza.  Anche  se  dà  fastidio  la  verità  va  detta:  cioè  la  sussidiarietà  orizzontale  non  garantisce  l'universalismo.  Perché  la  sussidiarietà  orizzontale  sapete  come  funziona?  Il  comune  o  la  regione,  o  a  volte  lo  Stato,  affida  a  quell'associazione,  a  quella  fondazione  a  quell’altra,  la  gestione  dei  servizi  in  un  certo  ambito.  Però  è  quell'associazione  che  stabilisce  le  modalità  di  accesso.  E  se  uno  non  rientra  in  quelle  modalità  rimane  fuori  da  queste.    Ecco  perché  abbiamo  bisogno  della  sussidiarietà  circolare:  perché  nella  sussidiarietà  circolare  uno  dei  tre  vertici  del  triangolo  è  rappresentato  dall'ente  pubblico.  E  l’ente  pubblico  sta  lì  a  vigilare  che  non  si  creino  figli  e  figliastri,  fratelli  e  fratellastri.  Cioè  a  dire  che  non  si  creino  discriminazioni  tra  un  gruppo  sociale  e  un  altro  gruppo  sociale  eccetera:  questo  vuol  dire  universalismo.  Chiaro?  Ecco  la  differenza  profonda.  La  sussidiarietà  verticale  è  il  decentramento,  lo  chiamano  verticale  ma  in  effetti  bisognerebbe  chiamarlo  decentramento:  quando  lo  Stato  trasferisce  alle  regioni  dei  poteri,  le  regioni  li  trasferiscono  ai  comuni,  e  lì,  al  comune,  a  volte  alle  aziende  speciali  e  così  via.  Ma  quello,  direi,  è  un  problema  solo  tecnico.    Il  vero  punto  discriminante  è  tra  sussidiarietà  orizzontale  e  sussidiarietà  circolare:  la  sussidiarietà  circolare  è  quella  che  garantisce  invece  l'universalismo,  cioè  la  copertura.  E  quindi  adesso  la  domanda  diventa…  intendiamoci  la  questione  qui  è  uno  dei  problemi  dove  si  giocano  certi  valori!  Uno  può  anche  dirmi  “io  non  sono  a  favore  dell'universalismo”  (gli  americani  non  sono  a  favore  dell'universalismo.  Avete  visto  ad  Obama  quante  ne  stanno  facendo  pagare  per  aver  fatto  uno  straccio,  uno  straccio  di  riforma  sanitaria  in  chiave  universalistica?  Lo  ricattano  continuamente!  Fra  un  po’  lo  sbatteranno  via!)  Quindi  direi  che  bisogna  imparare  a  rispettare  le  posizioni  che  uno  ha.    

  •   6  

    Però  bisogna  avere  il  coraggio  di  dichiarare  da  che  parte  si  sta.  Questo  è  il  punto!  Mentre  rispettiamo  tutte  le  posizioni  dobbiamo  esigere  che  chi  prende  una  certa  linea,  soprattutto  se  un  politico,  dichiari  apertamente  se  è  a  favore  o  no  dell'universalismo.  Allora  se  uno  mi  dice  (io  personalmente  sono  favorevole  all'universalismo  perché  la  mia  formazione  e  il  mio  sistema  di  valori  mi  importa  a  dire  che  tutti  gli  esseri  umani,  rispetto  a  certi  bisogni  cosiddetti  fondamentali,  non  possano  tollerare  discriminazioni  …  tra  chi  è  ricco  o  povero,  tra  chi  è  intelligente  e  meno  intelligente  e  via  discorrendo,  tra  uomo  e  donna).  Però  io  non  ho  difficoltà  a  dire  e  rispetto  che  ci  sia  un  altro  (è  inutile  che  faccia  i  nomi,  ma  voi  li  riconoscete)  che  dica  “no  no  i  servizi  di  Welfare  vanno  solo  per  queste  categorie  o  per  questa  piccola  comunità”.  Però  esigo  che  chi  pensa  così  lo  dica  in  pubblico  perché  se  non  lo  dice  in  pubblico  allora  io  mi  sento  autorizzato  ad  offenderlo,  dargli  cioè  del  delinquente.  Perché  è  così  che  bisogna  impostare  il  discorso  politico.  Perché,  ripeto,  la  libertà  non  vuol  dire  nascondimento  della  verità.  E  voi  capite  che,  nella  realtà,  molti  si  vergognano  di  dire  “io  sono  contro  l'universalismo”  perché,  voi  capite,  le  implicazioni.  Perché  si  arriva  vicino  al  razzismo,  vicino  non  completamente.  Gli  americani  hanno  avuto  il  razzismo  fino  a  non  molto  tempo,  fa  noi  italiani  non  l'abbiamo  da  secoli.  La  prima  comunità  è  stata  Bologna.  Bologna.  Non  dimenticatelo:  1257  liber  paradisus:  quando  a  Bologna,  che  era  il  comune,  eliminò  la  servitù,  abrogò  la  servitù.  La  schiavitù  era  già  stata  eliminata.  E  poi,  dopo  Bologna,  tutto  il  resto.  1257.  Quindi  noi  italiani  ne  abbiamo  fatta  di  strada.  Alt.  Pensate  anche  alla  pena  di  morte.  Qual  è  stato  il  primo  stato  a  eliminare  la  pena  di  morte?  Il  granducato  di  Toscana  nel  1787.  1700  noi  non  abbiamo  la  pena  di  morte!  In  America  ce  l’hanno  ancora,  oggi.  Bisogna  capirle  queste  cose.  Dopodiché  bisogna  rispettare,  però  neppure  che  noi  italiani  dobbiamo    sempre  attirarsi  e  la  frusta  addosso.  Perché  sul  piano  dei  diritti  fondamentali  umani  non  abbiamo  da  imparare  niente  da  nessuno.  Gli  altri  devono  imparare  da  noi.  Perché  quando  io  racconto  questi  fatti  storici  la  gente  si  tace.  Il  fatto  è  che  molti  non  li  sanno  e  allora  pensano  che  gli  altri  siano  più  avanti.  Gli  altri  paesi  hanno  preso  ispirazione  da  noi.  Chiusa  la  parentesi.    Ecco  allora  il  punto  in  questione.  Adesso  la  domanda  diventa:  perché  allora  è  così  difficile  attuare  la  sussidiarietà  circolare?  Cioè  il  modello  di  Welfare  society?  Perché  ci  sono  dei  timidi  passi  avanti  ancora  però  non  si  riesce.    Tre  ragioni:  primo  perché  l'ente  locale  (scusate  l'ente  pubblico  …  anche  locale  ma  anche  regione)  dice  “a  me  non  piace  perché  il  potere  ce  l’ho  io,  comando  io”  perché,  dice,  “io  sono  stato  eletto”,    “i  cittadini  mi  hanno  eletto  sindaco  (oppure  presidente  della  regione  Veneto),  allora  io  ho  avuto  il  consenso,  adesso  decido  io”.  “Allora  io  non  accetto  di  sedermi  al  tavolo  con  gli  altri  due  perché,  perché  io  devo  esercitare  il  mio  potere”    “voi  mi  avete  letto,  allora  io  decido”.  Ecco  questa  è  la  prima  difficoltà,  ed  è  una  difficoltà  che  ovviamente  nasconde  un  neo  molto  grave.  Chi  ragiona  così  non  sa  cos'è  la  democrazia  e,  soprattutto,  odia  la  democrazia  anche  se  a  parole  dice  che  è  democratico.  Voi  dovete  dirglielo.  Se  volete  date  pure  la  colpa  a  me.  Dategli  anche  il  mio  telefonino  così  dopo  io  provvedo  completare.  Perché  io  sono  stufo  di  gente  ignorante  come  una  bestia  che  parlano  senza  sapere  quel  che  dicono.  È  perché  se  uno  è  ignorante  non  è  colpa  sua,  però  si  deve  far  istruire,  non  deve  andare  in  piazza  parlare  eccetera,  perché  il  principio  democratico  (di  nuovo  se  uno  mi  dice  “a  me  non  piace  la  democrazia”,  però  lo  devi  dire)  perché  il  principio  democratico  non  dice  che  il  sindaco,  il  presidente  della  regione  è  eletto  per  far  quel  che  lui  pensa,  ma  è  eletto  perché  venga  perseguito  il  bene  comune.  Questa  è  la  democrazia.  È  la  dittatura  che,  invece,  attribuisce  all’eletto  i  poteri.  Hitler  non  era  stato  eletto  forse?  è  stato  eletto!  ebbe  una  maggioranza,  il  suo  partito,  del  49%.  Lui  era  il  segretario  del  partito  nazista  e  quindi,  dice,  “voi  mi  avete  eletto  adesso  comando  io”.  Ma  quella  è  democrazia?  Come  si  fa  a  non  capire  questa  cosa?  Quindi  ad  un  sindaco  che  mi  dice  “io  sono  stato  eletto”  quindi  ho  la  fiducia”.  No,  tu  hai  la  fiducia  di  niente!!!  perché  tu,  diciamo,  “se  non  sono  contenti  non  mi  votano”  perché  in  4-‐5  anni  tu  puoi  distruggere  una  comunità  e  quando  è  distrutta  inutile  dire  che  tu  non  sarai  votato.  Cosa  mi  interessa  a  me  che  tu  non  sarai  votato  quando  nel  frattempo  in  quei  quattro  anni  hai  fatto  del  male?  Questi  sono  discorsi  da  fare.  Quindi  allora  la  prima  difficoltà  è  che  bisogna  spiegare  alla  classe  politica,  e  a  tutti  in  generale,  che  il  principio  democratico  implica  che  uno  viene  eletto  per  il  bene  comune,  non  

  •   7  

    per  fare  quello  che  il  suo  partito  gli  ha  detto  di  fare.  Tanto  è  vero  che  quando  uno  assume  una  carica  pubblica  dovrebbe  rompere  il  legame  col  proprio  partito,  perché  altrimenti  la  democrazia  non  è  più  tale.  Allora  meglio  parlare  di  oligarchia  di  un  regime  oligarchico  non  democratico.      Questa  è  una  difficoltà,  l’altra  difficoltà  riguarda  il  mondo  dell'impresa.  Gli  imprenditori  dicono  “cosa  è  sta  storia?  Io  il    Welfare?  No  no  io  ho  già  i  miei  problemi:  far  tornare  i  conti,  far  quadrare  i  conti  dell'azienda  o  questo,  adesso  poi  c’è  la  crisi  ecc.”  e  prima  che  non  c’era  la  crisi?    Uguale:  non  si  interessava!  Cioè  anche  qui  bisogna  far  maturare  gli  imprenditori  e  parlare  loro  di  responsabilità  civile  dell'impresa.  Non  basta  la  responsabilità  sociale,  ci  vuole  la  responsabilità  civile  che  vuol  dire  quello  che  sto  dicendo:  tu  imprenditore  non  devi  pensare  solo  agli  affari  di  casa  tua,  della  tua  impresa,  devi  preoccuparti  anche,  pro  quota,  assieme  ad  altri  che  il  bene  comune  della  comunità  evolva  ecc.  Troppo  comodo  trovare  un  imprenditore  che  dice  “io  penso  soltanto  a  fare  l'imprenditore”  ma  quello  che  imprenditore  è?  Quello  è  un  delinquente!  Voi  sapete  cosa  vuol  dire  delinquente?  Non  è  una  brutta  parola  delinquente  letteralmente  vuol  dire  uno  che  non  fa  quel  che  deve  fare,  quello  è  un  delinquente.  So  che  molti  in  italiano  pensano  che  delinquente  voglia  dire  assassino  no!!  Cosa  c’entra?  Delinquente  è  uno,  ad  esempio  uno  studente  che  non  studia  è  un  delinquente,  nel  senso  che  non  fa  quello  che  ci  si  aspetta  da  lui  che  faccia  questo  allora  è  il  punto:  bisogna  che  si  sensibilizzi  la  classe  degli  imprenditori  (tutti  tutti  dalle  cooperative  agli  imprenditori  for  profit  e  della  meccanica  come  dell'agricoltura  tutti)  che  e  tu  sei  imprenditore  non  per  fare  il  profitto,  anche  per  fare  il  profitto,  ma  tu  sei  imprenditore  per  aiutare  il  processo  di  sviluppo  della  tua  comunità,  o  della  tua  regione,  della  tua  città,  della  tua  area  la  tua  provincia  e  così  via.    Questa  è  un'idea  che  esisteva  una  volta  all'epoca  dell'umanesimo  civile  del  1400.  Basta  leggere  i  libri  di  storia,  però  quelli  giusti  è  …  non  quelli  che  sono  pieni  di  bugie  e  di  falsità.  I  libri  di  storia  ce  lo  raccontano.  Cosa  facevano,  cosa  fecero,  gli  imprenditori  tra  il  1300  e  il  1500  quando  nacque  il  Rinascimento  eccetera?    Allora  la  seconda  difficoltà  è  di  fare  in  modo  che  l’imprenditore,  la  classe  imprenditoriale,  capisca  che  il  compito  dell'imprenditore  non  si  ferma  ai  cancelli  della  fabbrica,  ma  va  oltre.  Nelle  forme  che  vanno  trovate,  ovviamente.  Perché  anche  qui,  vedete,  molti  quando  faccio  questo  discorso  (ma  le  cose  stanno  migliorando),  perché  qui  non  è  solo  problema  di  soldi.  Ma  allora  tu  vuoi  i  soldi?  Ma  chi  te  l’ha  detto  che  io  voglio  i  soldi?  Io  quando  mi  rivolgo  agli  imprenditori  non  chiedo  mai  i  soldi,    sapete  cosa  gli  chiedo?  Il  know-‐how  gli  dico  “dammi  la  tua  conoscenza”.  Tu  sei  un  imprenditore  che  ha  sviluppato  certi  talenti,  sai  fare  certe  cose,  metti  la  tua  conoscenza  e  la  tua  abilità  al  servizio  di  una  causa.  Poi  dopo  sì,  ci    vogliono  i  soldi  come  si  vogliono  e  se  puoi  metti  i  soldi,  però  intanto  comincia.  Io  sfido  uno  che  mi  possa  dire  che  anche  nelle  situazioni  di  crisi  un  imprenditore  non  possa  contribuire  a  dare  un  contributo  così.  Perché  mica  ti  chiedo  subito  i  soldi?  Ad  esempio  c'è  da  fare  un  progetto.  E  chi  meglio  di  un  imprenditore  sa  fare  i  progetti?  Ad  esempio  in  un  ambito,  piuttosto  che  in  un  altro  e  così  via.    Infine  ce  n'è  anche  per  la  terza  sfera:  quella  della  società  civile  organizzata.  E  qui  casca  l'asino.  Perché?  perché  il  mondo  della  società  civile  organizzata  (dal  volontariato  in  avanti,  con  tutte  le  forme  eccetera,  cooperative  sociali  eccetera)  deve  fare  oggi,  per  andare  nella  direzione  della  Welfare  society  cioè  della  sussidiarietà  circolare,  un  balzo  in  avanti  decisivo.  Voi  direte  “in  che  senso”?  Nel  senso  che  il  terzo  settore  italiano  fino  ad  ora  è  stato  cloroformizzato.  Sapete  cos'è  cloroformio?  Uno  lo  inala  e  s'addormenta.  Noi  abbiamo  soggetti  di  terzo  settore  che  sono  bravissimi,  buoni,  generosi  ma  non  sono  capaci  a  fare  niente.  In  che  senso  voi  direte?  Nel  senso  della  progettazione.  Sono  bravi  ad  eseguire,  ma  non  a  progettare.  Perché?  Perché  fino  adesso  sono  stati  tenuti  a  balia  dall'ente  pubblico,  e  l'ente  pubblico,  fintanto  che  aveva  i  soldi  diceva  “guarda  qui  c'è  quell'asilo  gestiscimelo    tu,  cooperativa  sociale,  però  queste  sono  le  regole  a  b  c  d  eccetera”.  Questi  qua  prendevano,  firmavano  la  convenzione  ed  eseguivano.  Quindi  bravissimi  ad  seguire  perché  c'era  l’ente  pubblico  che  indicava  le  modalità.  Provate  a  chiedere  di  inventarsi  loro,  fare  quella  che  si  chiama  “innovazione  sociale”.  Sapete  cos'è  l'innovazione  sociale?  La  “social  innovation”?  Come  mai  in  Europa  noi  siamo  indietro  da  matti  sull'innovazione  sociale?  E  ci  battono  

  •   8  

    gli  inglesi,  i  tedeschi  e  si  beccano  un  bracco  di  soldi  e  noi  non  c'entriamo  niente?  Perché  siamo  fessi!!  Perché  i  soldi  di  Bruxelles  a  noi  non  arrivano?  Sapete  perché?  Perché  non  sappiamo  fare  innovazione  sociale.  Innovazione  sociale  vuol  dire  che  c'è  un  problema,  Bruxelles  fa  una  specie  di  bando,  chi  presenta  il  progetto  migliore.  Poi  c’è  una  commissione  e  alla  fine  ti  danno  i  soldi.  Noi  non  cominciano  mai  niente  perché  non  sappiamo  scrivere  progetti.  Io,  se  avessi  tempo  vi  racconterei  un  sacco  di  episodi.  Poi  è  chiaro  che  c'è  qualche  eccezione,  è  ovvio!!  Io  adesso  però  parlo  in  generale  cioè  è  accaduto  che  il  mondo  del  terzo  settore  è  stato  tenuto…  (sapete  cos'è  il  paternalismo?  un  genitore  che  educa  il  figlio  in  maniera  paternalistica,  secondo  voi  quel  figlio,  quando  diventa  adulto,  è  capace  di  cavarsela?  Ma  neanche  per  sogno!!!  Che  è  il  problema  dei  nostri  giovani  di  oggi,  perché  non  sanno  fare  niente,  soprattutto  i  maschi  come  voi  sapete,  e  quindi  dopo  si  trovano  male.  Appena  devono  navigare  da  soli,  in  mare  aperto,  vanno  giù,  non  ce  la  fanno,  oppure  devono  rinunciare  e  così  via).    Ecco  la  stessa  cosa  è  del  terzo  settore.  E  soprattutto  abbiamo  fatto  in  modo  che  il  terzo  settore  (volontariato  in  particolare)  divenisse  una  sorta  di  esecutore.  Ma  non  è  questa  la  funzione.  La  funzione  del  terzo  settore  è  quella  di  essere  (dico  una  parola  forte),  di  avere  capacità  profetica.  Chi  è  il  profeta?  Il  profeta,  ricordatevelo,  non  è  chi  anticipa  il  futuro.  Quelli  sono  i  maghi.  Ci  sono  già  gli  economisti  che  fanno  i  maghi  e  non  ne  azzeccano  una  ecc..    Il  profeta  è  chi  ha  il  coraggio  di  denunciare  il  presente,  non  chi  anticipa  il  futuro.  Quelli  sono  gli  indovini,  il  vero  profeta  è  uno  che  vede  le  cose  che  non  vanno  in  un  territorio,  le  denuncia  in  maniera  civile.  Questa  è  la  grande  funzione.  Che  nel  nostro  caso  vuol  dire  che  i  soggetti  della  società  civile  devono  intercettare  i  bisogni.  Ma  come  fa  un  Comune  a  sapere  se  nel  quartiere  qua  in  fondo  di  Treviso  c'è  un  bisogno  o  l'altro?  Ditemelo  voi  come  fa?  Il  burocrate  che  sta  negli  uffici,  se  sta  negli  uffici,  come  fa  a  sapere  com'è  messa  la  gente?  Come  fa  a  sapere  se  è  arrivato  ieri  una  carovana  di  nomadi?  Per  scoprirlo  deve  mandare  i  vigili  urbani  che  devono  fare  …  nel  frattempo  i  giorni  sono  passati  e  il  problema  si  è  incancrenito.  E’  chi  sta  sul  territorio,  le  associazioni,  ecco  perché  l'associazionismo  è  importante:  perché  chi  è  sul  territorio  che  ha  continuamente  le  antenne  per  captare  i  bisogni  e  per  dire  “ah  guarda  lì  succede  questo  quell'altro  e  così  via”  ecc..  Vi  ricordate  due  anni  fa  il  caso  che  scoppiò  Bologna  la  mia  città  di  Bologna?  Io  non  sono  di  Bologna,  vivo  a  Bologna.    Due  anni  fa,  che  andò  su  tutti  i  giornali  del  mondo,  che  quel  bambino  di  otto  mesi  morto  di  freddo  d'inverno  (era  alla  fine  di  gennaio)  in  piazza  maggiore  a  Bologna.  Perché  è  morto?  I  servizi  sociali  del  comune  lo  sapevano,  ma  evidentemente  loro  hanno  chiamato  i  genitori  (li  conoscevano)  gli  avevano  chiesto  “voi  avete  uno  straccio  di  casa  per  far  dormire  il  bambino  eccetera”?  Loro  dissero  “sì  sì”  invece  non  era  vero  perché  avevano  paura  che  gli  portassero  via  il  bambino.  Allora  il  burocrate  scrive  “i  genitori  dichiarano  che  hanno  …  apposto”  e  il  bambino  dopo    è  morto.  Lì  c’era  una  società  di  volontariato  che  sollevò  il  caso.  Ma  come?  Lo  sapevamo!  E  tu  burocrate  stai  a  sentire  quello  che  dice  il  genitore?  Ma  è  ovvio  che  un  genitore,  se  sa  che  tu  gli  puoi  portar  via,  il  figlio  dice  anche  quelle  bugie!  Ovviamente  i  genitori  erano  un  po’  scassati,  lo  capite  da  soli,  un  po'  drogati  …    però,  voglio  dire,  i  servizi  …  Piazza  Maggiore  è  a  15  m  dai  servizi  sociali!!!  e  questi  han  fatto  morire  un  bambino  così  perché,  dice,  la  regola  burocratica  …  noi  li  abbiamo  interrogati  loro  ci  hanno  detto  che  erano  apposto…  Ma  sono  discorsi  da  fare?  Io  vi  cito  questo  esempio  che  è  andato  sui  giornali,  ma  ce  ne  sono  tantissimi.  Perché?  Ma  perché  gli  enti  pubblici  non  hanno  l'informazione.  Ecco  allora  il  terzo  settore:  quello  che  raccoglie  l'informazione  dei  bisogni  e  riporta  in  quel  tavolo  (triangolare)  e  lì,  dopo,  assieme  all'ente  pubblico  e  alle  imprese  si  dice  “e  qui  c'è  questa  emergenza  qua  …    mi  sono  arrivati  nomadi  oppure  sono  arrivati  gli  immigranti  da  qua  e  là    …  una  situazione  è  allora  troviamo  subito  …    c'è  il  problema  delle  carceri  e  così  via.  Ecco  allora,  in  conclusione,  voi  capite  qual'è  il  problema?  Che  il  modello  della  sussidiarietà  circolare  è  IL  modello,  non  ci  sono  alternative.  A  meno  che  uno  voglia  eliminare  l'universalismo.  Ma  in  Italia  non  si  potrà  eliminare  perché  scoppierebbe  la  rivoluzione.  Allora  il  Welfare  state  non  è  più  proponibile,  per  le  ragioni  che  ho  detto  prima.  Non  vuol  dire  che  lo  Stato  scompare,  vuol  dire  che  lo  Stato  diventa  uno  dei  tre,  con  una  funzione  ben  precisa:  quella  di  garantire  l'universalismo  delle  prestazioni.  Ora  questo  modello  ha  le  difficoltà  di  cui  ho  detto,  però  queste  difficoltà  verranno  superate  un  po'  alla  volta.  Perché?  Perché  di  fronte  alla  realtà  che  è  sotto  i  nostri  occhi  non  si  può  continuare  così.  Perché  poi,  quando  la  gente  arriva  al  dunque  e  dopo  noi  italiani  sappiamo  come  alzare  i  tacchi  e  a  darci  una  mossa.  Sarebbe  meglio  però  arrivare  e  giocare  d'anticipo  e  che  alcune  realtà  possano  fare.  

  •   9  

    In  questo  voi  capite,  adesso  io  non  ho  avuto  tutto  il  tempo,  pensate  anche  alla  funzione  della  cosiddetta  contrattazione  aziendale  che  vede  il  sindacato  …    però  un  conto  è  discutono  con  riferimento  a  quelli  che  lavorano  in  quella  impresa,  altro  conto  invece  aprirlo  al  resto  della  cittadinanza.  Ad  esempio  a  Bologna  le  imprese  sono  tante:  hanno  aperto  l'asilo,  asilo  aziendale    se  non  credete  andate  a  controllare.  L’asilo  centrale  non  ospita  solo  i  bambini  piccoli  dei  lavoratori,  ma  anche  quelli  dei  cittadini  che  vivono  nel  quartiere.  Questo  è  un  esempio  di  sussidiarietà  circolare.  Perché  altrimenti  io  cado  nel  modello  iniziale  “io  sono  l'imprenditore  illuminato,  faccio  l'asilo  per  i  miei.  Eh  no,  e  allora  quelli  che  stanno  lì  vicino  niente?    Capite  o  no?  Queste  sono  cose  che  già  avvengono,  in  certe  realtà,  bisogna  generalizzarle  e  portarle  a  conoscenza  di  tutto.    Ultimo  punto  del  discorso  è  il  seguente.  Qualcuno  potrebbe  dire  “ma  tutto  questo,  da  un  punto  di  vista  economico,  è  possibile?  O,  meglio,  è  conveniente?”  Questo  è  il  bello  di  questo  modello  che  mentre  il  Welfare  state  consuma  risorse,  la  Welfare  society  produce  risorse.  Voi  direte  “eh  miracolo!”  No  non  è  un  miracolo!  Il  punto,  vedete,  è  questo:  ci  sono  due  modi  di  vedere  il  Welfare.  Il  Welfare  come  spesa  per  consumo  o  il  Welfare  come  spesa  per  investimenti.  Fino  ad  ora  è  prevalsa  la  prima  linea.  Perché?  Perché  il  Welfare  state  tende,  mira  a  migliorare  le  condizioni  di  vita  delle  persone,  le  condizioni  di  vita.  Se  è  affamato  ti  do  il  pane,  se  è    ammalato  ti  do  la  medicina.  La  Welfare  society,  invece,  mira  a  migliorare  le  capabilities,  cioè  le  capacità  di  vita  delle  persone.  Allora  a  voi  la  scelta.  Io  preferisco  migliorare  le  capacità  di  vita  e  non  le  condizioni.  Perché  se  io  miglioro  le  condizioni  oggi,  tu  domani  sarai  nella  stessa  situazione  e  io  non  potrò  continuare  ad  aiutarti  per  sempre  e  dopo  tu  vai  a  finir  male.  Se  invece  intervengo  sulle  capacità  di  vita  (voi  sapete  cosa  vuol  dire  le  capacità?  Cioè  sul  tuo  potenziale),  è  ovvio  che  ti  rendo  autonomo  dalla  tua  situazione  di  bisogno,  ti  metto  nelle  condizioni  di  non  aver  più  bisogno.    L'esempio  più  banale:  dare  l'elemosina  appartiene  alla  prima  linea.  Miglioro  le  condizioni,  io  metto  nel  bussolotto  un  po'  di  soldi,  quello  mangia  un  panino.    E  però  voi  capite  che  non  è  un  gran  rispetto  della  dignità  umana  questo.  Perché  vuol  dire  che  quello  lì  sarà  sempre  alle  mie  dipendenze,  dipenderà  sempre  da  me,  da  quanto  gli  butterò.  E  secondo  voi  questo  è  dignitoso?  No!  Io  invece  preferisco  quello  prenderlo  e  lo  faccio  lavorare  e  gli  do  un  pugno  in  testa  se  non  vuol  lavorare.  È  sì  dove  pugno  in  testa  capite  cosa  vuol  dire:  perché,  a  volte,  bisogna  anche  forzar  con  le  dovute  capacità  psicologiche,  allora  noi  bisogna  capire,  e  su  questo  il  sindacato  da  sempre  insiste,  che  la  prima  forma  di  welfare  è  il  lavoro!  perché  se  io  ottengo  il  12,  13,  14%  disoccupato  è  ovvio  che  quello  mi  costa  l’ira  di  Dio.  Perché  gli  devo  dare  la  cassa  integrazione,  e  quello  e  quell'altro  ecc.  e  non  producono  niente.    Ma  allora,  scusa,  non  sarebbe  meglio  usare  gli  stessi  soldi  per  farli  produrre?  E  allora  qui  si  aprono  le  possibilità:  ecco  perché  il  triangolo  è  importante.  Perché  quando  si  pone  sul  tavolo  questo  problema  gli  imprenditori,  che  fanno  parte  della  seconda  sfera,  a  loro  gli  vengono  le  idee.    Ve  lo  dico  io,  “io  saprei  come  fare”.  Avete  visto  l’esempio  dell’inizio  di  quest’anno  del  carcere  di  Bologna?  Carcere  di  Bologna:  uno  di  quelli  sovraffollati.  E  lì  c'è  un  problema:  un  tasso  di  recidività  altissimo.  Questi  uscivano  poi  dopo  commettevano  un  reato  rientravano.  Adesso;  è  andato  anche  questo  sui  giornali,  imprenditori  dalla  meccanica,  assieme  ad  associazioni  e  assieme  all'ente  pubblico  (che  in  questo  caso  si  chiama  il  Ministero  di  Grazia  e  Giustizia),  hanno  creato  dentro  il  carcere  un  laboratorio  per  la  fresa  …  il  tornio  e  quelle  cose  lì.  Così  le  imprese  portano  i  semilavorati,  i  carcerati  finiscono  o  completano,  poi  le  imprese  riprendono.  I  carcerati  imparano  il  mestiere  e  guadagnano  dei  soldini  anche  lì  il  sindacato  ha  dato  una  grossa  mano  ecc.  tutto  in  regola  e  questi,  quando  usciranno,  avranno  dei  soldini,  perché  i  soldi  si  possono  dare  solo  al  momento  dell'uscita  dal  carcere,  ma  avranno  imparato  il  mestiere  e  quindi  non  torneranno  più  a  rubare  a  fare  le  cose  che  per  le  quali  sono  andati  in  carcere.  Ma  questo  il  Welfare  state  poteva  farlo?  No!  Perché  il  Ministero  di  Grazia  e  Giustizia  può  fare  il  laboratorio?  No!  Ci  sono  voluti  però  gli  imprenditori  che  si  sono  loro  tra  virgolette  tassati,  hanno  pagato  il  macchinario  da  mettere  lì  perché  lo  Stato  non  ha  un  soldo.  Però  il  carcere  ha  messo  a  disposizione  la  sala.  Quindi  questi  qua  lavorano,  imparano  e  smettono  di  fare  caos  dentro  il  carcere.  E,  capite,  questo  è  un  esempio  piccolo  piccolo,  però  è    un  esempio  che  va  nella  direzione  quello  che  vi  ho  detto.    E  questo  è  un  esempio  di  sussidiarietà  circolare  perché  in  questo  caso  tutti  e  tre  i  vertici  sono  intervenuti  perché  nessuno,  da  solo,  ce  l’avrebbe  potuto  fare.  Ma  allora  perché  noi  teniamo  la  gente  in  carcere  a  non  fare  niente?  E  costa!  

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    Poi  dici  che  non  abbiamo  le  risorse.  Per  forza!  Diamo  le  risorse  a  chi  non  produce  niente!  E  perché  allora  non  facciamo  lavorare  i  carcerati?  Con  questi  modelli  noi  avevamo  fatto  un  esperimento  simile  tre  anni  fa  col  carcere  minorile.  E  lì  c'è  ancora  adesso:  fanno  le  paste,  imparano  a  fare  i  pasticceri.    Lì  non  avevamo  previsto  un  piccolo  incidente:  che  questi  ragazzi  carcerati  si  sono  …  come  si  fa  a  un  minore  impedirgli  di  mangiare  la  crema,  la  cioccolata?  E  adesso  bisogna  fare  una  formazione  perché  sennò  questi  si  ammalano  tutti  di  diabete.  Non  è  per  il  valore  delle  cose,  però  per  dire,  vedete,  che  se  uno  imbrocca  questa  strada  della  sussidiarietà  circolare  …  ma  soprattutto  è  conveniente  perché  si  risparmiano  risorse.  Questo  è  il  punto.  Invece  noi  continuiamo  a  tenere  (non  parliamo  poi  degli  anziani  non  autosufficienti  o  degli  anziani  che  ci  costano  l’ira  di  Dio)  e  teniamo  gli  anziani  a  far  niente.  Ma  vi  sembra  una  cosa  giusta?  Dal  punto  di  vista  morale?  È  morale  tenere  uno  che  sta  non  proprio  bene  …    ma  sta  bene  e  che  potrebbe  fare  e  non  farglielo  fare?  Cioè,  secondo  voi,  è  civile  la  società  che  impedisce  a  uno  che  ha  più  di  65  anni  di  essere  produttivo?  Capite  che  negare  la  produttività  a  una  persona  è  negargli  la  libertà?  Non  ve  l’ha  spiegato  qualcuno?  È    negare  la  libertà.  Allora  con  quale  coraggio  si  può?  Allora  uno  dice  “li  mettiamo  in    fabbrica”.  È  chiaro  che  non,  ma  il  lavoro  è  solo  quello  di  fabbrica?  Allora  gli  anziani  bisogna  renderli  produttivi.  È  il  progetto  che  si  chiama  longevità  attiva.  Potete  chiamarlo  in  altra  maniera.  Anche  per  questo  ci  vuole  la  triangolazione:  perché  ci  vuole,  in  questo  caso  il  sindacato  dei  pensionati,  ci  vogliono  degli  imprenditori,  ci  vuole  l'associazionismo  che  trovino  il  modo  di  garantire  il  trasferimento  dalla  conoscenza.  Perché  ogni  pensionato  dentro  di  sé  ha  tanta  conoscenza.  Ma  perché  noi  dobbiamo  essere  così  egoisti  da  fare  in  modo  che  quella  conoscenza  scompaia  con  la  sua  morte?  Ma  perché  prima  di  morire  quella  persona  non  può  trasferire,  ad  esempio  ai  più  giovani,  quella  conoscenza?  Ad  esempio  i  pensionati  che  erano  metalmeccanici  vanno  adesso  in  carcere  a  insegnare  ai  carcerati  come  si  fa  al  tornio  ecc.  Gli  stanno  vicino…  loro  si  passano    il  tempo,  sono  contenti  come  una  Pasqua  e  così  via.  e  così  con  tanti  altri  esempi.      Non  parliamo  poi  di  quel  che  avviene  nella  sanità  che  ancora  è  più  chiaro.  Cioè,  vedete,  quello  che  noi  dobbiamo  fare  è  di  passare  da  un'ottica  di  assistenzialismo  paternalistico  in  cui  c’è  lo  stato  che  si  prende  cura  (e  non  si  prende  cura  in  questa  maniera!!!)  ad  una  situazione  in  cui  viene  restituita  la  dignità  a  ciascuna  persona.  Perché  ognuno  di  noi  è  portatore  di  carismi  e  portatore  di  talenti.  Impedire  ad  una  persona  di  sviluppare  il  talento,  solo  perché  un  po'  malato,  perché  anziana,  è  un  delitto.  E  vedrete  che,  fra  un  po'  di  tempo,  queste  cose  verranno  messe,  come  si  chiama  …    scuro  su  bianco  e  il  nero  su  bianco  in  qualche  dichiarazione.  Perché  noi  siamo  andati  avanti  con  un'idea  taylorista  perché  in  Italia,  sino  al  1950,  l'età  media  era  di  60  anni.  Ora  è  chiaro  che  uno  andava  in  pensione  e  dopo,  in  media  un  anno  –  due,  moriva.  E  allora  si  diceva  “lascia  che  goda”.    Ma  scusa,  sapete  quant'è  l'età  media  in  Italia  o  no?  L’età  media  tra  uomini  e  donne  in  Italia  è  di  83  anni,  la  media  83!  Ma  scusa,  se  uno  va  in  pensione  a  65,  cosa  fa  tra  65  e  83?  È  giusto  lasciarlo  a  marcire  a  far  niente?  Dice  “li  facciamo  giocare  a  bocce”.  Ma  vi  sembra  una  risposta  interessante?  Questo  andava  bene  ieri  quando  gli  anni  residui  di  vita  dall'età  della  pensione  erano  di  pochi  anni.  Ma  quando  gli  anni  residui  sono  di  oltre  vent'anni,  voi  capite  che  il  problema  è  serio  da  un  punto  di  vista  sociale.    Allora  io  chiudo  dicendo  che  tutto  questo  è  stato  un  altro  esempio  al  distretto  verso  cui  dobbiamo  andare:  il  distretto  del  welfare.  L'idea  del  distretto  (come  c'è  il  distretto  industriale)  nel  quale  distretto  del  Welfare  entra  il  distretto  famiglia,  ad  esempio.  Io  qui  stasera  non  ho  parlato,  ma  è  chiaro  che  il  discorso  della  famiglia  meriterebbe  un'attenzione  molto  diversa  di  quanto  non  stia  al  momento  ricevendo.  Quello  che  volevo  incentivarvi  a  fare  è  di  imboccare  questa  via  perché  voi  avete  la  possibilità.  Perché  Treviso  è  una  società,  una  città  …  è  una  comunità  molto  avanzata,  è  una  città  coesa,  è  una  città  né  troppo  grande  né  troppo  piccola.  Perché  è  chiaro  che  in  una  grande  metropoli  come  Milano  o  Roma  questo  discorso  è  un  po'  più  difficoltoso).  E,  d'altra  parte,  in  un  paese  di  15.000  abitanti  non  c'è  la  massa  critica.  Qui  voi  avete  la  massa  critica.  La  provincia  di  Treviso  ha  un  tessuto  di  imprese,  di  associazioni  di  ogni  tipo  (dal  volontariato,  le  associazioni  sociali  che  vi  invidia  il  mondo  intero)  e  allora  perché  non  lo  fate?    Voi  direte  “ma  perché  l'ente  pubblico  …?”    Convincetelo!!  Chi  occupa  le  cariche  pubbliche  lo  dovete  convincere!  Convincere  come?  Con  il  modello  di  democrazia  deliberativa:  creando  petizioni,  scrivendo,  parlando  sempre  in  

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    maniera  civile,  però  determinata!!!  Come  ultima  razza  si  può  anche  dare  un  pugno  in  testa!!!  sì  sì  funziona  funziona!!!  Perché  io  vedo  con  certi  studenti:  quando  arrivo  a  quello,  dopo  hanno  capito  tutto.  Allora  vuol  dire  che  in  certi  casi  funziona:  è  come  la  medicina!!!  No?  Che  quando  è  cattiva  a  volte  fa  più  bene  che  non  quell'altra.  Allora  vedete  di  imboccare  …    perché  questo  avrebbe  significato  per  voi  sicuramente,  ma  avrebbe  anche  un  valore  simbolico  perché  sareste  di  guida  per  altre  realtà  simili  alla  vostra  che  sono  lì  lì  e  non  trovano  il  coraggio  di  fare  un  passo  deciso  in  questa  direzione.      E  vorrei  concludere,  vediamo  se  me  lo  sono  portato,  con  un  brano  che  mi  piace  sempre  in  questi  casi  citare.  Una  frase  di  un  autore,  che  voi  conoscerete,  che  era  Giovannino  Guareschi.  Giovannino  Guareschi  all'autore  di  Don  Camillo  e  Peppone  dell’Emilia  tra  Reggio  eccetera..  sentite,  in  uno  dei  suoi  scritti,  cosa  ci  dice.  “Nelle  situazioni  di  crisi  bisogna  fare  ciò  che  fa  il  contadino  quando  il  fiume  travolge  gli  argini  e  invade  i  campi.  Bisogna  salvare  il  seme.  Quando  il  fiume  sarà  rientrato  nel  suo  alveo,  la  terra  riemergerà  e  il  sole  l’asciugherà.  Se  il  contadino  avrà  salvato  il  seme  potrà  gettarlo  sulla  terra  resa  ancor  più  fertile  dal  limo  del  fiume  e  il  seme  fruttificherà  e  le  spighe,  turgide  e  dorate,  daranno  agli  uomini  pane  vita  e  speranza”.  Ecco  questo  è  un  pensiero  che  penso  si  addica  molto  alla  vostra  realtà.  In  questa  situazione  salvate  il  vostro  seme,  recuperatelo  perché  le  vostre  radici  sono  radici  profonde,  sono  radici  solide  e  buone,  se  lo  recuperate  (adesso  la  crisi  passerà,  come  l'ondata  del  brano  passa  primo  poi,  passa)  e  se  voi  avrete  salvato  il  seme  lo  rimpianterete  e  allora  la  pianta  darà  frutti  abbondanti,  per  tutti.  Grazie.