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Interprofessionalità il coraggio come educazione In questo numero Sorella Africa Intervista al Nobel africano Soyinka Mensile CePASA di Spoleto - Spedizione in abbonamento postale - Pub. inf. 70% - Filiale di Perugia Anno XIII - n. 84 Gennaio 2003

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Interprofessionalitàil coraggio come educazione

In questo numero

Sorella AfricaIntervista al Nobel africano Soyinka

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Anno XIII - n. 84Gennaio 2003

INTERPROFESSIONALITÀ

Periodico mensile dell’associazione scientifico-culturale CePASA di Spoleto

Ce.P.A.S.A. di Spoleto

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Il periodico è inviato gratuitamenteai Soci e a tutti coloro che «sostengono» le iniziative del CePASA e del Piccolo CarroQuesto fascicolo è stato chiuso nel mese di Dicembre 2002 ed è stato stampato in 3.000 copie

Direttore responsabile: Antonino Minio

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Baby school - L’erba voglioVia Mecatti, 19 - S. Maria degli Angeli - Assisi (PG)

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Sommario

Editoriale (Pietro Salerno) Pag. 2

Wole SoyinkaLe divinità laiche dell’Africa(intervista a cura di A. Minio) ” 5

Martin Nkafu MkemnkiaI miti della creazione del mondo come strumenti ed espressioni della conoscenza di Dio ” 10

Geneviève MakapingMiti fondativi africani ” 24

Memoria - cm. 33x50 - 1985 Litografia colorata con pastelli

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L’UOMO OCCIDENTALE HA LA BOCCA GRANDE MA LE ORECCHIE PICCOLE

Venerdì 20 settembre 2002 aPalazzo Zorzi, presso la sededell’UNESCO in Venezia alnostro presidente e direttore,prof. Antonino Minio, è statoconcesso l ’onore di fareun’intervista al primo premioNobel africano, prof. WoleSoyinka, all’interno della ma-nifestazione delle conversa-zioni culturali (Ricostruzionee archeologia del sapere at-traverso le cosmogonie africa-ne) della Biennale diVenezia, coordinate da JeanLeonard Touadi.

Wole Soyinka è nato in Nigeria ed è vinci-tore del premio Nobel per la letteratura1986. Ha pubblicato più di trenta lavori edè impegnato in numerose organizzazioniinternazionali, tra le quali la Commissionedell’ONU sui Diritti Umani e l’InternationalParliament of Writers. È professore allaEmory University di Atlanta e direttoredella Literary Arts alla Nevada University.Più che per la letteratura e la saggistica,Soyinka si è imposto in Africa e inOccidente anche attraverso il teatro e lapoesia, scrivendo oltre venti drammi ecommedie e numerose raccolte poetiche.Nel contesto africano ha adottato le operedi Euripide, di Brecht e di Genet.Attualmente vive negli Stati Uniti perchéperseguitato e condannato a morte dal dit-tatore nigeriano Sani Abachi. Inoltre è par-ticolarmente impegnato soprattutto nel far

conoscere la cultura delle divinità laiche Orisha della popolazione Yoruba per il profon-do umanitarismo che egli raccomanda ad un mondo che ha bisogno di eliminare i con-flitti tra le nazioni e tra i popoli a causa della lotta per le risorse economiche e per la

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tendenza a imporre le proprie idee laiche e teologiche. Secondo lo studioso, è probabi-le che le divisioni religiose possano diventare il tema portante del terzo millennio, vistoil fanatismo con cui esse mirano ad avere il sopravvento sulla terra. Non è un problemadel Cristianesimo o dell’Islamismo o dell’Ebraismo o dell’Induismo, ma è un problemadell’intera umanità per la tragedia voluta dalle attuali correnti di fanatismo che affliggo-no tutte le religioni. Ciò non accade solo nel contesto delle divinità africane Orisha che,in tutti questi secoli, hanno impedito che il culto si trasformasse in fanatismo. Non c’èun’esaltazione del passato. Al passato non si torna con furore, ma il passato serba unagrande saggezza e per quanto debolmente ci venga trasmesso dal filtro della storia, ilsuo valore è nel cuore di ogni civiltà. Soyinka vale soprattutto per ciò.

L’intervista è stata arricchita dalla presenza e dal contributo del prof. Martin NkafuMkemnkia sui miti della creazione del mondo come strumenti ed espressioni della cono-scenza di Dio. Tramite i miti, l’africano dà risposta agli interrogativi dei giovani che desi-derano sapere qual è stata l’origine del mondo. Non trattandosi di un avvenimento stori-co, la logica del racconto è quella vitalogica. Dunque, i miti africani vanno consideraticome una forma dell’ideologia della società universale in cui tutto è compreso, anche ildisordine e il caos. In verità, si tratta di una vera e propria letteratura sacra africana.Anche se ogni racconto o mito africano si riferisce innanzitutto a una singola tribù, in es-si traspaiono il potere e il valore universale del pensiero umano che trascende limiti lo-cali, tribali, razziali e culturali facendone una proprietà letteraria del patrimonio dell’inte-ra umanità.

Nkafu Nkemnkia Martin è nato in Camerun il11/11/1950. Laureato in Filosofia (PhD);Licenza in S. Teologia (P.U.L.). Professorepresso la facoltà di Filosofia della PontificiaUniversità Lateranense (Introduzione alla cul-tura africana; Il Pensiero Africano); Professorenel Centro Interdisciplinare sulleComunicazione Sociale (Comunicazione inter-culturale) e nella Facoltà di Missiologia(Religioni e cultura in Africa) presso laPontificia Università Gregoriana; ProfessoreInvitato presso la Facoltà di Missiologia,(Introduzione alle Religioni e ai valori univer-sali del Pensiero Africano) e nella facoltà diFilosofia (Il concetto di Dio nella religione tra-dizionale africana) presso la Pontificia

Università Urbaniana. E’ l’ideatore del neologismo “Vitalogia” che disegna l’approccioafricano al pensiero umano e alla realtà stessa, un approccio che si pone come analogoal concetto occidentale di “Filosofia”, da cui però si distingue. Membro del Comitato diredazione della Rivista bimestrale di cultura “Nuova Umanità”. Membro del ComitatoEcclesiale Italiano per la “Riduzione del debito estero dei paesi poveri” (nomina dellaPresidenza della Conferenza Episcopale Italiana). Membro (cattolico) della consulta perlo studio di “Antropologia Theologica”. Commissione Fede e ordine della ConferenzaMondiale delle Chiese WCC. (Nomina Pontificium Concilium ad Christianorum

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Unitatem Fovendam ref. 437/2000/C del 28/1/2000). Membro della Commissione di stu-dio per l’approfondimento delle tematiche relative all’educazione interculturale nellascuola italiana del Ministero della Pubblica Istruzione istituita con D.M. 25.6.97. Il 30settembre, è stato ospite di Bruno Vespa nella rubrica “Porta a porta” per una discussio-ne sul “caso” Milingo.

Inoltre, è riportato il breve intervento diGeneviève Makaping sui miti fondativiafricani e in particolare su come le giova-ni donne africane hanno cominciato achiedersi “chi siamo e perché siamo nelmondo”. È una giovane studiosa interes-sata alla rilettura dei miti antichi e soprat-tutto predilige riflettere sul significato delmito per i giovani africani per collegarloal loro concetto di identità. Laureata conlode in Lingue e Letterature StraniereModerne, Makaping è cultrice diAntropologia Culturale, Sociologia delleComunicazione di Massa, Sociolo-giadell’Educazione presso l’Uni-versità degliStudi di Calabria. I risultati della sua atti-vità scientifica e didattica sono conosciutinel mondo accademico e sono presenti inmolte pubblicazioni specializzate.

Infine, con questo numero, l’associazione culturale CePASA di Spoleto intende apportare il suotributo alla rivalorizzazione dell’antica cultura africana da tanto tempo trascurata e non ascolta-ta dal sapere moderno e soprattutto da noi occidentali, che con la “colonizzazione” e la “evan-gelizzazione” abbiamo cercato di soffocare le radici culturali e religiose di una civiltà degna dirispetto. Abbiamo troppo imposto il nostro modo di immaginare il mondo senza ascoltare mi-nimamente quello degli altri. Il poeta latino Ovidio, tardo ammiratore ed esploratore dei miti,diceva che esisteva un tempo in cui gli dei e gli uomini si incontravano; il cielo toccava la ter-ra e la terra era scavata fino nelle sue profondità incandescenti; gli uomini erano terribili ma ilsacro lasciava su di essi il segno di una inevitabile trasformazione (metamorfosi); il passaggiotra il mondo vegetale, animale, umano e divino era immediato, meraviglioso e definitivo; iconfini tra i mondi non erano ancora netti ed erano marcati dalla presenza enigmatica deglidei che con le loro ambigue ed estreme presenze popolavano i luoghi. E lo scrittore EdoardoAlbinati, oggi, aggiunge che dobbiamo considerarci instabilità e simmetria in quanto la condi-zione umana non è data per sempre: si è uomini, animali o dei senza alcuna garanzia di con-servare il proprio stato. In verità, i miti di tutte le culture raccontano gli scivolamenti di identitàattraverso passaggi bruschi o sapientemente dilazionati. Perciò, vivere è continuare a stupirsiman mano che si conosce l’altro.

Pietro Salerno(psicologo - Assisi)

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ANTONINO MINIO INTERVISTA IL PREMIO NOBELWOLE SOYINKA

È il 14 settembre 2002. Ammiro il cielo di Sabaudia al tramonto mentre improvvisa pennellatedi colori che nessun pittore è in grado di imitare. Ma l’impietosa natura s’affretta subito adoscurare lentamente tanta bellezza con le ombre della sera. M’incammino verso la sede delpalazzo comunale per l’inaugurazione della personale della pittrice Filomena Milos. Mentreviene servito il rinfresco, tra una presentazione e l’altra, il mio conterraneo cardiologo NicolaLa Fauci mi fa conoscere il prof. Martin Nkafu. Dopo le inevitabili reciproche presentazioni,questo illustre cattedratico africano mi lancia l’idea di intervistare un noto premio Nobel, of-frendomi la sua mediazione. Ci diamo appuntamento il 20 Settembre a Venezia. Attendoall’interno del cortile della sede dell’UNESCO, che in quell’occasione ospita la Biennale diVenezia per la manifestazione “circolo di conversazioni pubbliche” (Settori Danza, Musica eTeatro - Conversazioni sui miti cosmogonici africani). Davanti a me passano distinti e selezio-nati invitati a presenziare la conferenza del premio Nobel, il prof. Wole Soyinka. Conoscevo ilnome e non avevo mai visto una sua fotografia. Sapevo riconoscere solo l’altro Nobel africano,Sengor. Stranamente, però, tra i tanti che sfilano davanti ai miei occhi, uno mi colpisce e de-duco che sia il Nobel atteso. Ha un’andatura elegante, un corpo asciutto, un’abbondantechioma gonfiata di capelli ricci e grigi che gli attorniano la testa, un viso con degli occhi scuriabituati a leggere dentro l’interiorità delle persone… Nella mia mente s’affollano una massa dipensieri da formulare in domande e non so a quale dare la precedenza, mentre i presenti siraccolgono in un cerchio sempre più fitto nel tentativo di ottenere l’autografo del Nobel sul li-bro appena acquistato. In mezzo al gruppo, cerco di tenere a freno l’emozione per restareall’altezza della mia posizione. Lascio che Soyinka completi una personale esternazione con-tro l’amministrazione USA poiché essa non può entrare ed uscire dall’UNESCO quando vuole.A suo parere, gli Stati Uniti devono pagare una multa per essere usciti dall’organizzazione edaltresì devono saldare le quote per gli anni di assenza. Al momento giusto, Martin Nkafu mipresenta a Wole Soyinka. Una calda stretta di mano e un affettuoso sguardo sostituiscono ogniparola. Accendo il piccolo registratore e resto a guardarlo mentre comincia a parlare delle abi-tudini religiose della popolazione africana Yoruba. Ecco la sintesi della sua lunga e piacevoleconversazione:

“Mi dispiace che le cose che dirò su alcune divinità africane non siano dimostrabili, manon è dimostrabile neanche il contrario. Parlo della comunità Yoruba che professa ilculto Orisha. È un culto poco conosciuto ma che ha due importanti particolarità: la tol-leranza e l’intrinseca umanità. Se tutte le religioni mondiali avessero un po’ di questedue virtù, l’umanità avrebbe un carico alto di comprensione e il mondo andrebbe me-glio. Ovunque, vado facendo l’elogio di queste divinità laiche a monito per quelle reli-gioni che ancora avanzano pretese di universalità e di autorità globale. Molte religionisono piene di realtà “contraddittorie” che bisogna riconoscere. Oggi c’è un enorme bi-sogno di dibattito spirituale affinché si possa mettere armonia nell’umanità piuttostoche metterla in allarme e dividerla…

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Vorrei fare un excursus in questo vasto universo delle religioni invisibili, secolari. Comepure, vorrei fare una specie di viaggio all’interno della religiosità dell’uomo africano peravviare un primo esercizio di critica su precetti che hanno dominato per troppo tempole coscienze. Dunque, visiterò questa religione, che ha accantonato da sempre il fetici-smo, l’ateismo, il paganesimo… perché in essi c’è una valenza di aggressività e proprioper questo la popolazione li ha messo da parte. Nel mondo degli Yoruba il campo dellemanifestazioni spirituali è libero ed è aperto a tutti. La tolleranza è intrinseca e pertinen-te alla loro religione per cui non c’è apostasia né eresia. E per ciò è una popolazionereligiosa che non si è macchiata di sangue come avviene spesso in altre religioni anoi note. Nella storia Yoruba non c’è traccia di fanatismo. Gli Yoruba non fanno guerraper imporre la religione… Nella religione degli Yoruba non esiste il fondamentalismo. Iproblemi provocati dalle religioni, quindi, in Africa derivano solo dall’intolleranza dellealtre religioni (Islamismo, Cristianesimo…).

La religione Orisha merita di essere conosciuta sia per la sua capacità di comprendere lespiegazioni dei fenomeni naturali e dell’esperienza umana e sia perché non rivaleggianocon i popoli. Dentro ha due buoni principi etici per la vita che potrebbero insegnarciuna condotta di base in modo che ognuno si possa avvicinare all’altro senza alzare mu-ri: rispetto dell’ambiente e credenza nella santità della vita. Sono codici etici nontrascurabili…Gli Yoruba, come nella maggior parte delle religioni che conosciamo, credono all’esi-stenza dell’oltretomba con la differenza che l’esperienza di questa condizione ultraterre-na è vissuta come una realtà palpabile e vitale, intessuta in ogni suo aspetto con il pre-sente. Il mondo dell’antenato (vita dopo la morte) rimane come una consapevolezzaperpetua sulla vita e di conseguenza gli antenati vengono integrati nel presentenon solo attraverso le cerimonie stagionali, ma anche attraverso rituali, mascherate an-cestrali, incantesimi… con il trasferimento simbolico nel neonato anche tramite un attodeliberato cioè dando il nome. Il mondo dei vivi e dei morti è intessuto insieme in mo-do da formare una coscienza comune ed una consapevolezza domestica. È un concettodiverso dalla venerazione degli antenati. Non c’è un’automatica elevazione a status didivinità. Tra vivi, non nati e antenati c’è una linea di continuità…

Il rito fondamentale dell’esistenza comincia con l’ingresso di una nuova vita nel mondo.Pertanto, il neonato viene assegnato ad una custodia spirituale e gestito da forzeinvisibili. Un bambino entrato nel mondo, ancora piccolissimo, appena i genitori ricono-scono in lui le vaghe tracce di una personalità, quelle rudimentali che formeranno il ca-rattere, viene portato da un indovino, il quale unirà alle osservazioni di chi è intorno albambino i propri segni che egli sarà in grado di riconoscere più tardi. Anche se i geni-tori o i parenti non sono vicini a queste divinità, esse vengono accettate. Non importase i familiari non sono seguaci. Il bambino viene accolto da tutti e potrà fare il propriocammino nel mondo. Cercare di cambiare questo è un tentativo inutile. Al bambino vie-ne assegnata questa aura spirituale, però essa non è una attribuzione definitiva néesclusiva dato che gli avvenimenti successivi della vita (ad esempio, un fallimento…)possono mutarla. Se avvengono delle manifestazioni, si dovrà concludere che forse ladivinità guardiana del bambino è un’altra, oppure a quella assegnata se n’è aggiunta

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un’altra. In questo modo, nella casa si accoglie una nuova divinità senza avversione esenza ostilità perché tutti gli dei sono canali attraverso i quali il mondo della conoscen-za, compresa la conoscenza di ciò che è nascosto, può manifestarsi all’umanità...

Dico qualcosa del nostro Pantheon. Tutti gli dei sono considerati manifestazioni difenomeni tra i quali la loro umanità è solo uno dei tanti fenomeni. La loro storia è pie-na di versi, di racconti morali, di vignette storiche e di ammonimenti etici che hanno ilcompito di narrare esperienze mortali e immortali, i cui insegnamenti possono essere se-guiti o ignorati. Gli scettici o quelli che non credono in queste divinità non vengono népenalizzati né perseguiti da forze soprannaturali. Si tratta di racconti che indicano sem-plicemente il compendio di cosa significa lo spirito di ricerca del bene, cosa significa loscetticismo, cosa significa la tolleranza…

Guardo da vicino alcune divinità. Nel mondo degli Orisha tutte le divinità coesistono econvivono in un clima di complementarietà e in un regime democratico. In cima alpantheon c’è la divinità suprema che può avere vari nomi nei vari contesti. C’è chi in-carna tutte le virtù più sante: la sofferenza, la compassione, il perdono… C’è il dio dellacreazione perché impasta la forma umana prima di consegnarla alla divinità supremache gli dà l’alito vitale… Gli dei sono concepiti come entità palpabili che hannodifetti come i mortali. Non sono esseri remoti né lontani. Questo aspetto della loronatura è importante per capire la base etica della condotta umana. È una struttura di se-colarizzazione degli dei che serve per assicurare che essi non se ne volino in cielo, al dilà, dove gli esseri gli umani non li possono raggiungere...

In Occidente esistono i mediatori tra il cielo e la terra: i sacerdoti a cui è stato dato que-sto potere; solo essi possono entrare in contatto con loro; solo i sacerdoti li possonoraggiungere. Tutto ciò può diventare una questione di dominio, di potere e di ambizio-ne che fanno il loro gioco attraverso l’intolleranza. Il potere non può essere tutto nel-le mani di uno che ha la gerarchia. La gerarchia religiosa è una forma di distribuzio-ne di poteri. I meditaori religiosi, vantando di essere in linea diretta con la divinità, fan-no emergere l’intolleranza dovuta al loro dominio assoluto. Questo spiega il perché ipreti prediligono il “monoteismo”…

Tra gli Yoruba, l’esistenza stessa degli dei è animata da un principio che li porta vicini al-la terra e questo comporta il fatto che sono fallibili e che possono commettere degli erro-ri. Solo che, commessi degli errori, essi sono costretti a pagare una penitenza, contraria-mente agli dei greci. Solo in questo modo si può garantire un’armonia all’interno di unasocietà. Orisha è la manifestazione di una religione che chiede persino ai propri deidi pagare per i propri errori. Un esempio. Il dio della creazione, un giorno, intento amodellare gli umani, beve troppo vino di palma e questo lo porta a distrarsi nel suo lavo-ro e a fare degli handicappati. Ma, quando torna in sé, è troppo tardi per rimediare per-ché gli umani erano già andati nel mondo. A questo punto, è interessante vedere qualepenitenza viene assegnata al Dio. Ne approfitto per illustrare il concetto di compensazio-ne morale. La punizione data al dio della creazione è quella di viaggiare nel regno del diodel tuono. Intraprende questo viaggio. Ad un certo punto, vede il cavallo del re del tuono

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e lo prende per restituirglielo, pensando di compiere una buona azione e di essere ricom-pensato o elogiato. I servitori del dio del tuono, vedendolo con il cavallo del loro padro-ne, pensano che lo abbia rubato e quindi lo mettono in prigione. Così il dio della creazio-ne rimane in catene per molto tempo e questa è la sua punizione. Ma così avviene un’in-giustizia perché il dio della creazione era innocente quando ha preso il cavallo. Allorascatta un’altra punizione per l’altro dio. E la punizione del dio del tuono si scarica sul suopopolo perché egli aveva punito ingiustamente un vecchio dio innocente. Ma il dio deltuono si chiede che cosa ha fatto per essere condannato con il suo popolo: non capisce,non è consapevole di nessuna ingiustizia, non si rende conto della punizione dal momen-to che ignora i fatti precedenti. Allora, consulta il testo divinatorio che gli rivela che il diodella creazione è punito per la sua ingiustizia precedente ma non per il cavallo. Così, sireca dal dio che aveva messo in carcere, gli chiede scusa e lo libera. Con tale gesto, si ri-pristina una nuova armonia, un nuovo ordine ma questo nuovo equilibrio è possibile soloquando il principio di giustizia iniziale è rispettato...

Mi ha chiesto qual è lo strumento attraverso cui si manifestano queste infrazioni. Qui vienefuori la figura di un’altra entità che va considerata come il fattore sconosciuto, l’imprevi-sto, che in maniera abbastanza materiale interviene nel creare questo scompiglio. Pur nonessendo una figura principale, è una realtà molto temuta: è sempre tra i piedi, s’impicciadei fatti degli umani e delle faccende deigoverni, procura lo strumento dei guai,delle tentazioni, del cambiamento di per-corso, la dimenticanza, l’ignoranza per-chè non c’è mai una conoscenza grandeabbastanza per sapere tutto. Per questimotivi c’è la ragione di temerlo perchénon si sa quello che farà. I suoi affarinon sono all’interno delle case ma fuoriperché quando si sveglia è pronto acombinare un altro guaio. Nella vita c’èsempre un fattore imprevedibile che puòcambiare le carte in tavola. Questo fatto-re è il carattere di imprevedibilità deglidei. È difficile inquadrarli in un sistemateologico preciso né in un sistema filoso-fico chiuso, in quanto tutti gli dei hannola capacità di adattarsi a situazioni com-pletamente diverse. Sono dei che non sipossono imprigionare in schemi. Adesempio, quando gli Yoruba hanno vistoper la prima volta l’elettricità per loronon è stato uno choc in quanto questanovità è stata semplicemente vista comela manifestazione di un’essenza sempreesistita: il fulmine. Presenze assenze - cm. 100x90 - 1987 - olio su tela di lino

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Gli Yoruba creano nuovi nomi appena conoscono le divinità di altre culture. Le battezza-no con nomi a loro più familiari. Addirittura inventano delle divinità combinate… Sul ter-ritorio africano la mescolanza di elementi cristiani ed islamici ha dato vita ad un sincreti-smo religioso originale e interessante, che rivela lo spirito di adattamento di questa reli-gione che accetta qualunque interpretazione del mondo rimescolandola con lapropria tradizione. All’umanità, questa popolazione africana può offrire il grande contri-buto della capacità di ascoltare e di accettare gli altri…”

Vorrei capire meglio il pluralismo delle divinità africane?

“Gli africani non sono politeisti così come lo intendete voi occidentali, ma monoteisti comelo intendiamo noi africani. Gli africani credono che ci sono tanti modi con cui Dio si ma-nifesta. La potenza di Dio si esprime una volta in un modo, un’altra volte in tanti altri mo-di… Per questo il dio degli altri è anche il loro dio. Le divinità possono avere nomi diversi,ma questo non è politeismo ma soltanto manifestazioni multiple. Ci tengo a precisare checredere ad un solo dio non è uno stadio superiore… se è così, preferisco essere politeista…

Lei, a quale divinità si affida per vivere?“Nel gruppo di tutti gli dei africani, io neho uno preferito: il dio della creatività,della poesia, della solitudine, della con-templazione…”

Oggi, la politica scolastica africana, iluoghi dei saperi, l’educazione cosa fan-no per conservare questi valori che hadescritto e come fanno a mantenere leradici religiose della cultura africana?

“C’è sempre stata una intolleranza di ba-se. Quindi, per i giovani non c’è l’inse-gnamento della religione nelle scuole,C’è, però, una nuova tendenza che co-mincia a cambiare la situazione educati-va. Arriverà il momento in cui ciò cheho raccontato farà il suo ingresso nellascuola. Lentamente, si può giungerealla tolleranza totale. Nella mia fami-glia, io ho una figlia che prega ognigiorno per me ed è cristiana; ma ho an-che un figlio che non è cristiano. Nondico loro perché e come hanno fatto leloro scelte. Li ascolto e apprendo cosebuone. La tolleranza dovrebbe staredentro il sangue di ogni persona.Rose senza spine - cm. 50x70 - 1998 - Pastello su cartoncino

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I MITI DELLA CREAZIONE DEL MONDO COME STRUMENTI ED ESPRESSIONI DELLA CONOSCENZA DI DIO

di Martin Nkafu Mkemnkia (Pontificia Università Lateranense – Roma)

L’attivata del pensiero umano riguarda il modo di intendere le cose esistenti che tra l’al-tro la alimentano. La sapienza accumulata nella tradizione orale africana costituita da mi-ti, proverbi, racconti, riti, nomi, proibizioni e da tutte le manifestazioni della parola e delpensiero è la fonte teologico principale da cui ha origine la dottrina sulle cause prime el’origine del mondo e della vita umana stessa. Inoltre, tutte le forme letterarie africaneusano dei simboli per rappresentare tradizioni arcaiche. In genere, ogni storia si strutturaattorno ad un tema generale dal quale e verso cui tutto il racconto si svolge. Ogni mitoha un senso profondamente religioso anche quando tratta di argomenti cosmologicied antropologici. Da ciò consegue che tutti i miti di fondazione in Africa hanno valoremorale e religioso. Oltre la loro derivazione dall’esperienza e dalla tradizione, i miti pos-sono essere già considerati delle vere e proprie creazioni del pensiero aventi fondamen-to immaginativo e speculativo. In questo senso, potremo già dire che essi stimolano ilpensiero e sono oggetto di speculazione. Allo stesso modo come i miti, segnaliamo i pro-verbi e i racconti. Questi, prevalentemente di tipo eziologico o popolare, seguono un’al-tra logica. Essi mirano a giustificare lo stato attuale di ogni cosa. Se un bambino doman-da come mai la capra cammina con quattro zampe e mangia sempre erba, il vecchio de-ve trovare una spiegazione convincente per non lasciare il bambino nel dubbio. Ci deveessere una risposta per ogni domanda. Quanto al racconto, esso viene considerato di ti-po eziologico quando risponde alla domanda “perché” e, dato che l’età dei fanciulli variae con essa la comprensione, il narratore alle volte usa un tono di voce variamente dram-matizzante e un atteggiamento corrispondente alla verità del racconto. L’esempio e la te-stimonianza di vita che l’anziano conduce giocano un ruolo importante per la trasmissio-ne del contenuto. Un racconto è detto popolare quando rientra nella tradizione. La storianon cambia a secondo dell’età e della maturità del bambino. Spesso, i personaggi sonogli animali che giocano il ruolo dell’uomo. Il bambino, infatti, deve svolgere un suo lavo-ro mentale, un’astrazione intellettuale perché non ci sono risultati o conclusioni. Alla fi-ne del racconto, il bambino deve tirare le proprie conclusioni. In questo senso, iproverbi contenuti nel racconto o fuori sono carichi di insegnamenti morali e determina-no spesso la modalità dell’inserimento dell’individuo nella società. Un’altra categoria let-teraria africana è rappresentata dalle leggende e dalle favole. Queste fanno parte dell’atti-vità e della creatività del pensiero che ha lo scopo dell’insegnamento morale e servonoper coltivare la vita intellettuale favorendo la riflessione. Spesso sono storie vere del pas-sato, degli antenati, che vengono tramandate di generazione in generazione. Il maestroche racconta è già un modello di certezza tradizionale e per questo insegna comporta-menti buoni. L’allievo da parte sua dovrebbe capire quali possano essere i comporta-menti negativi da evitare. Spesso, le leggende sono ricche di figure eroiche che hannofatto propri i valori della vita del popolo, del quale ognuno è chiamato a fare parte inte-grante e ad essere pronto anche a dare la vita per difenderlo, se necessario.

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1 - I miti della creazione quali strumenti ed espressioni della conoscenza di Dio

Dalla breve introduzione (miti e realtà) che abbiamo appena fatto, si evince che i mitiraccontano innanzitutto le faccende della creazione del mondo e dell’uomo. Tramite imiti si danno delle risposte agli interrogativi dei giovani che desiderano saperele origini del mondo. Non trattandosi di un avvenimento storico, la logica del raccon-to è quella “vitalogica”. Infatti, i miti africani si mostrano come una forma di ideologiadella società, come un linguaggio e discorso universale in cui tutto è compreso, anche ildisordine o il caos. Perciò si tratterebbe di una forma di letteratura sacra all’africana.Benché ogni racconto o ogni mito africano si riferiscono innanzitutto all’origine dellapropria tribù, tuttavia in essi traspare il potere e il valore universale dello stesso pensie-ro umano che trascende i limiti locali, tribali, razziali e culturali, facendo di essi unaproprietà letteraria dell’intera umanità. I vari miti africani, comunque, possono esserecosì categorizzati:

Miti naturalistici – vitalogici:Con questi miti, l’africano tenta di giustificare ogni accadimento anche quello immagina-rio. Alcuni di questi miti sono detti “naturalistici” in quanto i personaggi sono trattidalla natura stessa. Non c’è nessuna invenzione, caso mai, c’è una costruzione intelli-gente e logica del racconto. Questi rientrerebbero nella categoria di “miti vitalogici”.

Miti filosofici – teologici:Altri miti sono detti “filosofici-teologici” in quanto in essi ci si impegna a offrire un con-tenuto spirituale ed universale allo stesso tempo al racconto, analizzando le caratteristi-che di ogni personaggio, dando un significato preciso ai simboli usati nel mito.

Miti metamorfici:Quanto ai “miti metamorfici”, questi sono quelli più importanti in quanto caratterizza-no lo stesso approccio filosofico-teologico. Nello sforzo di determinare il “senso”, il“contenuto” e il “ruolo” di ciascun personaggio nel mito, si arriva a determinare con-temporaneamente una scala di valori, una gerarchia nella creazione stessa. Da questimiti si può operare una classificazione dei viventi che vanno da Dio (massimo valore inquanto creatore) all’essere umano (valore inferiore, in quanto creatura) e a tutto il restodel creato in quanto subordinato all’uomo. Comunque, nei miti cosmogonici africani, sistabilisce una distinzione tra Dio e gli esseri umani, tra questi e gli animali e tra questiultimi e il resto del creato. Ognuno deve la sua protezione all’altro superiore fino ad ar-rivare a Dio Creatore.

2 - Come Ndem ha creato il mondo (racconto del popolo Bangwa -Camerun)

“Ndem” (Dio) era solo e camminava sul suo mondo, ma non era contento. Pensando almondo a cui aveva lui stesso dato origine, volle popolarlo di ogni forma di vita. Così, lecose, le piante, gli animali e gli uomini tutti hanno avuto la vita. Ma “Ndem”, non vo-lendo confondersi col frutto della sua volontà, si è ritirato nei cieli. Gli uomini, che san-no che “Ndem” li ha voluti, lo cercano nei nascondigli. Ma “Ndem” è così grande che av-

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volge gli uomini che lo cercano. Essendo avvolti da “Ndem”, come i bambini vengono av-volti dal lenzuolo nei loro lettini, gli uomini cercheranno eternamente “Ndem” senzamai stancarsi e senza mai liberarsi dal mantello che li avvolge, poiché ciò che li avvolgeè principio di vita e senza vita non si vive, non si esiste”.

2.1 Analisi e commento

A prima vista, tale mito può essere facilmente ed erroneamente qualificato come mito dipanteismo. Infatti, il Dio degli africani è dappertutto perciò, è immanente nella creazio-ne ma, è anche trascendente, per questo si deve dialogare con Lui, si può invocarlo neicieli, si può sperare di raggiungerlo per entrare in amicizia con lui e così ottenere l’im-mortalità. L’elemento dominante di questo racconto è il volere di “Ndem”. La volontà di“Ndem” e la Sua azione significano «creazione». Pur molto breve, il racconto è diviso insei parti. In primo luogo, si dà per scontato che “Ndem” esista da sempre e che abbiagià posto in essere il suo mondo e si conclude con l’inconcludenza dell’esperienza im-manente di “Ndem”. Dio vuole qualcos’altro. Il mondo risulta essere la prima cosa crea-ta da “Ndem”, ma che non interagisce con la Sua realtà: “Ndem” non può dialogare connessuno e con nulla. In secondo luogo, si fa vedere che Dio pensa e il suo pensiero dàvia alla creazione degli esseri viventi. “Ndem” pensa al mondo a cui aveva dato origine.Nella terza parte, si riprende il tema della volontà di “Ndem” che va di pari passo con ilsuo pensare. Quando Egli pensa crea forme di vita. Vuole che ogni cosa sia espressionedel suo volere e del suo pensare. Il quarto aspetto riguarda la conseguenza del volere edel pensare di Dio: le piante, gli animali e gli uomini che ricevono la loro esistenza daDio. In quinto luogo, si suppone che “Ndem” abbia realizzato la sua volontà, ma che lasua creazione non sia esattamente uguale a Lui pur avendo ricevuto tutto da Lui.“Ndem” non vuole confondersi con ciò che ha creato per lasciare a ciascuna cosa e agliuomini la libertà e la possibilità di stabilire un dialogo con Lui. Questo avviene perché ilsuo seme di vita lascia in tutto ed in tutti il desiderio dell’eternità. “Ndem” si ritira neicieli, la sua vera dimora poiché, pur comportandosi come gli uomini non ha colpo, èun puro spirito. Infatti, il popolo Bangwa parla con “Ndem” guardando il cielo, il sole ela luna. Ed è in questa quinta parte che si trova l’idea di una pluralità di mondi, inquanto “Ndem” non può dimorare in un mondo visibile ma deve vivere in un mondodiverso dal nostro, ma tuttavia reale. L’ultimo parte, la sesta, pone gli uomini quali arte-fici della creazione: essi soli, tra i viventi, hanno coscienza che “Ndem” li ha voluti.Infine, la conclusione del racconto stabilisce la differenza tra “Ndem” ed il resto dellacreazione. Egli, essendo così grande e avvolgendo tutto e tutti con il suo mantello, risul-ta l’essere per eccellenza. Viene anche chiamato “Grande anziano ed infine GrandeSpirito”. Essendo tutti avvolti da questo mantello di vita, la vera libertà di cercarlo èquella di vivere della sua stessa vita per partecipare alla sua eternità. Ne consegue che ilmondo è il luogo dove si svolge l’intero arco della vita di ogni vivente. Sia il mondoche gli uomini e le piante vivono per l’operare ed il volere di “Ndem”. Tutte le cose na-scono dal mondo: sotto, sulla terra è il mistero della vita; sopra, nei cieli, le meravigliedi “Ndem”. In questa dialettica tra il “sotto” ed il “sopra” in cui tutto resta comunqueopera di “Ndem”, si situa la concezione Bangwa del mondo, che non è generato macreato. Il mondo per i Bangwa si identifica con la natura, che si presenta come una ri-

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sposta ai loro interrogativi. Tale mondo contiene tutta la realtà sia materiale che spiri-tuale ed invita a godere di tutto ciò che in esso è contenuto.

3 - Il mito Fang della creazione dell’uomo e delle donna (Gabon)

“Nzame” (Dio) creò un suo unico figlio che morì prima dell’età di 15 anni. “Nzame”creò, in seguito, una figlia e l’amava così bene che avrebbe voluto almeno quindici dotiper il suo matrimonio. Ma, la figlia morì senza fidanzato con dispiacere da parte di“Nzame”. Per seppellire la figlia “Nzame” spezzò in pezzettini il corpo della ragazza me-scolandloo con il sangue di ogni sorte di animale della foresta per meglio prepararla alfunerale. In seguito “Nzame” decise di creare sei figli maschi insieme, in sostituzioneall’amata figlia. Dopo qualche giorno dai funerali, i sei figli creati desideravano pagaresei doti a “Nzame” per colmare il desiderio che aveva per la figlia morta. Allora,“Nzame” ritornò sulla tomba della figlia e uscirono dalla tomba sei ragazze vive. Così“Nzame” diede a ciascun ragazzo una ragazza per moglie. In questo modo, i ragazzihanno potuto pagare sei doti per il loro matrimonio. Diedero i soldi a “Nzame” comesimbolo della dote. Poi “Nzame” si ritirò da loro per un po’ di tempo. Qualche tempo do-po, decide di visitare i suoi figli e nipotini. Partì verso il nord e arrivò al primo villaggio.Gli fu subito detto dal genero: “La tua figlia non è tranquilla, si comporta sempre comeun montone.” E la figlia esclamò: “È il tuo figlio che non è tranquillo, è lui che si com-porta come un montone.” Nell’altro villaggio, gli fu detto di nuovo: “La tua figlia non ètranquilla, si comporta sempre come una capra, non cambierà mai.” E la figlia replicò:“Le cose non stanno così. È il tuo figlio che non sta bene, è lui che si comporta come uncaprone, non vedo l’ora di andarmene!” “Nzame” fece il viaggio per visitare cinque deifigli e sempre la stessa storia. Infine, andò a visitare gli ultimi figli. Al suo arrivo, fu ac-colto in modo degno e con massimo rispetto. I nipoti chiesero a “Nzame” di raccontare lefavole e i miti delle loro origini ed egli così fece. “Nzame” disse fra sé: “Questi si che sonomiei figli, su di loro e tutte le loro generazioni impartirò la mia benedizione e tra loro re-gnerà sempre la pace eterna ed io vivrò sempre accanto a loro per tutta la vita”. Da quelmomento, tutte le tribù seguono l’esempio di questi figli e capirono tutti che coloro cheagiscono in modo bestiale hanno in loro il sangue degli animali e quelli che si comporta-no bene hanno in loro il sangue della prima figlia tanto amata da “Nzame”: il sangueprincipio di vita, così come ha voluto Nzame.(1)

3.1 Analisi e commento

La donna è madre delle generazioni. Il nome di Dio è “Nzame” che significa colui checrea, ovvero il Creatore. Nel racconto “Nzame” crea l’uomo e la donna lui stesso. Il tito-lo “figlio o figlia di Dio”, riferito alle creature rivela la paternità e maternità di Dio stes-so. Chi ha un figlio o una figlia può essere o padre o madre della propria figlia o delproprio figlio. Infatti, questa è l’esperienza del quotidiano. Un figlio o una figlia sonosempre generati dall’unione tra un padre e una madre. Nel caso di Dio, non avendo némoglie né marito, Dio per i Fang è padre e madre nello stesso tempo. Si può parlare diDio in ambedue i sensi senza sbagliare.

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Il tema della morte, esperienza quotidiana di tutte le creature, è importante nel raccontomitico. Il giovane deve sapere che nessun essere umano può vivere in eterno. La mortefa parte della vita. Il giovane deve interiorizzare questa esperienza fin da piccolo, parte-cipando ai dolori degli ammalati e accettando la morte come uno delle tappe della vita.Ma, non si deve mai perdere la speranza nella vita di fronte alla morte. “Nzame” è capa-ce di creare nuova vita. Il matrimonio è visto come prima cellula della società. Nel vil-laggio, tutti sanno di doversi sposare dopo l’iniziazione. Il matrimonio è il modo comu-ne per generare nuova vita. È il modo naturale per contribuire all’opera della creazioneda parte degli uomini. Ma non sempre tutti o tutte arrivano al matrimonio prima che lamorte bussa alla propria porta. Sembra che anche a “Nzame” la morte dispiace. Qui,l’idea che “Nzame” si dispiace della morte del figlio e poi di quella della figlia, è impor-tante nel racconto mitico. Ciò dimostra la presenza e il coinvolgimento di “Nzame”(Dio) nella vita delle creature. Dio si occupa personalmente di ciascuna creatura. Qui sidimostra l’amore personale di Dio per tutti.

In Africa, la dote (2) è importante. Per sposarsi si deve garantire la famiglia di lui o di leidella propria scelta responsabile. “Nzame” ha bisogno di questa garanzia per dare la suafiglia in matrimonio. Coloro che desiderano sposare la figlia di “Nzame” devono portareuna dote rilevante. Il sangue degli uomini è lo stesso che quello degli animali ma, conuna sola differenza. Quello degli uomini è carico del principio del bene e porta ad unbuon comportamento mentre quello degli animali può essere veicolo del male in quan-to essi agiscono senza responsabilità e senza rispetto per gli altri. Non portano la doteal loro matrimonio come fanno gli esseri umani. Bisogna imparare a comportarsi comepersone di sangue umano.

Il funerale è vissuto da tutti come un momento indimenticabile. I riti e la tradizione in-torno ad esso, sono tali da coinvolgere tutti a questo atto ultimo della vita di una perso-na, membro della comunità. In questo occasione tutti sono presenti e non conviene as-sentarsi, pena di essere accusati di stregoneria e responsabile di quella morte. L’assenzapuò essere anche causa di sospetto e addirittura di esclusione dalla comunità.

Il numero di 6 figli non ha nessuna importanza. “Nzame” può aver creato 10, 50 o 100persone nello stesso tempo. C’è da segnalare qui un principio di uguaglianza tra i figlie le figlie e un inizio del superamento della concorrenza matrimoniale. Ognuno avrà lapropria moglie e il proprio marito. In principio ci sarebbe la pratica di monogamia ma,solo in seguito la tradizione ha portato il popolo a praticare la poligamia.

Il ritiro di “Nzame” dai figli è un insegnamento del distacco che i genitori devono averedai figli quando si sposano. Il giovane che ascolta questo racconto sa che, quando sisposerà un giorno dovrà andare via dalla casa dei genitori per formare insieme alla con-sorte la propria famiglia distinta da quella iniziare.

I viaggi di “Nzame” hanno un grande valore. Molto spesso, in Africa, la figura del suo-cero e della suocera cosi come quella del nonno e della nonna, sono di capitale impor-tanza per la vita dell’intera famiglia e tribù. Questi devono assicurare il loro sostegno

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morale ai giovani sposi e uno dei modi è quello di rendergli visita. La permanenza variada famiglia a famiglia. Comunque, tutto dipende dall’accoglienza che gli viene riservata.Non sempre questa visita è gradita dagli sposi perché spesso, questa è l’occasione per si-stemare le faccende tipo: disputi, malintesi tra i due, tra questi e il resto della famiglia.Il racconto subisce sostanzialmente un cambiamento. I figli maschi di “Nzame” diventanotutti “generi” e le loro mogli conservano la figliolanza paterna in quanto sono accusate dicattivo comportamento. Questo incidente va collegato al fatto che “Nzame” aveva ricevu-to lui la dote sulle sue figlie e quindi deve garantire un loro comportamento degno. Lamancanza della figura materna in questa fase del racconto è dovuto al fatto che si trattadella paternità divina di “Nzame” e non di un uomo ordinario. “Nzame” è Dio e non hané madre né padre, né moglie né suocera. Il racconto della creazione esclude qualsiasilegame sessuale e qualsiasi forma di unione matrimoniale nell’azione di “Nzame”. Diocrea con il suo desiderio, con la sua bontà e volontà, con la sua parola. Diventa nonnosolo con l’ultima famiglia che visita perché deve raccontare i misteri della vita ai nipoti.Ma anche qui, non si tratta di un nonno paterno o materno perché la creazione dei figlinon avvenne mediante un atto matrimoniale. “Nzame” creò sei figli e le sei figlie furonocreate mentre lui stesso consultava la defunta figlia sulla propria tomba.

La figura del montone è usata spesso dai Fang (molti dei quali sono allevatori di bestiame)come sinolo di non intelligenza in quanto obbediscono o non obbediscono al comandosenza responsabilità. La società Fang è fortemente patriarcale e per questo il marito è il ca-po della famiglia. Pertanto, dovendo parlare per primo denuncia a “Nzame” la moglie pri-ma di lei. Quando la figlia o la moglie prende parola, non esita di accusarlo dello stessocomportamento cattivo nel suo confronto. Anche lei lo tratta come “tuo figlio” che si com-porta come un caprone... In breve, si insegna che in una famiglia tutti sono responsabili enon c’è uno più grande o più importante dell’altro. Tutti sono responsabili dei propri atti edel proprio comportamento di fronte ai figli e di fronte alla comunità. Non ci si comportanella comunità come moglie o come marito di un tale o di una tale ma come membro del-la comunità. In questo consiste la propria identità e dignità.La buona accoglienza di “Nzame” da parte degli ultimi figli con rispetto, dimostra chenon tutte le persone o le famiglia si comportano guidati dal sangue degli animali mamolti conservano il principio del bene dovuto al sangue umano della figlia amata. I ni-poti potranno grazia all’incontro con “Nzame” conoscere i misteri della vita. Questo rap-porto tra “Nzame”, i figli e i nipoti è l’esempio di come si deve comportarsi nella fami-glia, nel villaggio e nella tribù. Infine, la conclusione è di tipo glorioso. “Nzame” (Dio)benedice tutti coloro che lo accolgono, regna tra loro la pace eterna. In segno di ringra-ziamento a “Nzame” per la vita che ha dato loro, dell’abbondanza dei figli, si offronosacrifici di lode per il loro Creatore e figura mitica delle generazioni. In questo consisteil culto religioso dei Fang di Gabon e, in senso largo, degli africani.

4 - Alcuni proverbi significativi

Prendiamo in considerazione solo quei proverbi che consentono l’avvicinarsi all’idea eal concetto di Dio, stabilendo così un rapporto con Ndem-Ngai e crescere nella Sua sag-gezza e conoscenza.

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4.1. “Dio passa la giornata altrove, ma la sera ritorna in Ruanda” (Ruanda)Dio è costantemente presente nella comunità, nel villaggio. Questo va ricordato semprea tutti. Dio è sempre concepito come “il Vivente in mezzo al popolo”. Questo tema diDio in mezzo al popolo è costante in tutte le società africane. Altrove si sentirà dire: Diodegli antenati, Dio dei nostri padri, colui che ci ascolta.4.2. “In Dio non c’è la notte. Non fa mai notte dove ci si ama” (Burundi).In Africa, chi conosce Dio vive sempre nella luce e non conosce il buio. Il non cono-scere il buio equivale anche a trattare qualcuno da stupido. E il vero stupido è colui chenon conosce Dio e le sue meraviglie.4.3. “Dio non discute con l’uomo quando parla. Ha sempre ragione” (Baluba). La trascendenza di Dio che va di pari passo con la Sua stessa immanenza, non consenteche gli esseri umani discutano con lui per vedere chi ha ragione. Così come il giovanenon si confronta con il vecchio se non per verificare il grado della propria conoscenza,nello stesso modo l’essere umano di fronte al suo Creatore non potrà opporsi ma sem-plicemente dovrà dialogare con Dio per acquisire la sua saggezza.4.4 “Dio è come il fiume; non gli si porta rancore” (Ekonda – Congo). Chiunque si sia lavato in un fiume, non riesce a lamentarsi della velocità con cui scorrel’acqua. Non riesce nemmeno a rendersi conto di quanto era sporco poiché l’acqua lospazza via e si ha sempre una nuova sorgente messa a disposizione degli uomini daDio per la loro purificazione. Dobbiamo glorificare Dio davanti alla sua creazione.Lamentarsi con Dio non aggiunge né modifica la sua volontà sulle creature.4.5. “Dio non fa portare pesi più grandi ad una persona di quanto è possibileportare” (Ambara – Etiopia).Questo proverbio dimostra l’assoluta vicinanza di Dio nella vita di ciascun individuo. Ingenere, molte persone tendono ad esagerare sulla propria situazione rispetto a quelladegli altri. Non sono mai soddisfatti della propria vita. Secondo alcuni, Dio ama qualcunaltro più di altri. Il proverbio ricorda che Dio, in quanto Padre di tutti, concede a ciascu-no il necessario per giornata. Lamentarsi non aiuta a migliorare la situazione. 4.6. “Se Dio non ti prende la vita, nessuno può togliertela” (Mossi – Burkina Faso).In Burkina Faso, la vita è molto cara. Le calamità naturali, l’avanzamento del deserto, lasituazione stessa della sopravvivenza del quotidiano rendono gli abitanti sempre piùsensibili alla realtà della vita che è un dono di Dio. E solo Lui deve poterla riprendere.Perciò voler uccidere qualcuno è il crimine più grande che un essere umano possacommettere sulla terra. Si deve, dunque, rispettare la vita propria e così anche quelladegli altri.4.7. “In Cielo ci sono le stelle, in terra c’è di tutto, ma tu, come fai a rifiutareDio! Dove andrai dopo la morte”? (Costa D’Avorio). Senza la credenza nell’esistenza di Dio, nessuna creatura può trovare soluzioni ai pro-blemi della vita e tanto meno dare senso alla sua propria vita.4.8. “La vendetta di Dio avviene in silenzio” (Burundi – Ruanda)Molte società africane credono che Dio si arrabbi quando viene offeso dagli uomini. Adifferenza degli uomini che manifestano subito ed in modo visibile la loro collera, perDio tutto avviene in modo silenzioso. A Dio il chiasso non piace. Il proverbio aiuta gliuomini a non promettere agli altri che rivendicheranno quello che hanno fatto. Talepromessa è già considerata dalla comunità come cosa avvenuta e si passa così al prossi-

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mo caso da risolvere nella comunità. Quando c’è qualche malore in famiglia, qualchedisgrazia accaduta a qualcuno, spesso, prima di scoprire la vera causa, si attribuisce aDio la causa. Questo è perché solo Dio conosce l’anima di ciascuno e quindi, sa delmale che ciascuno ha fatto agli altri e prevede una punizione per ciascun male. Perciò,tutti sono invitati a riconoscere le proprie mancanze davanti agli altri. Ciò è cosa graditaa Dio perché potrebbe perdonare tutto in quanto è misericordioso.4.9. “L’albero sacro voluto da Dio, il vento non lo sradica mai” (Ruanda)”. Mentre da una parte si dà tanta potenza al vento come veicolo del nostro messaggio aDio, dall’altra parte il vento non è Dio perché, in questo proverbio, Dio viene contrap-posto al vento. L’albero sacro in questione, in genere, è il luogo di sacrificio e di culto aDio. Perciò Dio non può permettere che il vento distrugga il luogo del suo incontro li-turgico con il popolo.4.10 “Poiché Dio è il Giusto, ha chiamato ciascuna cosa e ciascuna creaturaper nome” (Ghana). In fondo, non sono gli uomini che hanno dato i nomi alle cose, alle creature, ma è Diostesso che, per la sua giustizia retributiva, rende possibile che ogni sua creatura ricevada Lui stesso un nome perché, solo Lui sa perché ha creato tutto ciò. La sola differenzaè che, mentre è Dio che dà i nomi alle creature e a tutte le cose (anche per la mediazio-ne degli uomini), i nomi che si riferiscono alla Sua realtà sono inventati dagli uoministessi a seconda del modo in cui si è fatto conoscere da ciascun popolo. Dio, infatti,non rivela mai il Suo vero nome a nessuno. Si può concludere dicendo che Dio cono-sce le creature e le creature cercano di conoscere Dio.4.11 “Quando Dio permette una malattia, manda anche il rimedio” (Akan – Ghana).Dio è provvidente e misericordioso. Tutti quelli che sono malati, devono considerarsivicino a Dio, avere fiducia nella sua misericordia e soprattutto sapere che la vera guari-gione viene da Lui. Sia quando si è malati, sia quando si è sani, sia sempre lodato Dio.Dio è la fonte di ogni cosa.

5 . Dieci Punti da tenere conto nell’interpretazione dei miti cosmogonici africani

1. Il racconto è una risposta agli interrogativi dei giovani che desiderano sapere comesono stati gli inizi ovvero le origini del mondo. Non trattandosi di un avvenimentostorico, la logica del racconto è quella vitalogica. I miti africani possono essere consi-derati come l’ideologia della società, come un linguaggio e discorso universale in cuitutto è compreso, anche il disordine. Perciò si tratta di una forma di letteratura sa-cra all’africana.

2. Il racconto non segue un ritmo preciso perché, durante la conversazione, possono in-tervenire diversi fattori che modificano l’ordine che il “vecchio” si è prefissato. Nonha degli appunti da seguire. Basta che una persone chiama fuori per un attimo ilgiovane o chiede qualcosa al vecchio e tutto si interrompe. Al suo ritorno, alcune co-se vengono ripetute perché il vecchio non vorrebbe che il giovane perdesse qualchepassaggio. Alcune cose così vengono ripetute e rimangono a fare parte integrante delracconto. In breve, si tratta di una conoscenza esistenziale da parte del popolo.

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Possono esistere più di una versione dello stesso mito raccontato dalla stessa personacon una sola differenza: quella dell’età degli ascoltatori, il sesso, il grado socialed’appartenenza, i giovani alla conclusione dell’iniziazione… Non tutti comprendo-no il mito o il racconto allo stesso modo.

3. Chi prende gli appunti per una stesura del racconto riordina le idee senza alteraregli argomenti e dovrà rendere il contenuti più comprensibili. Il senso del mito deveessere trasparente e onnicomprensivo. Proprio come un documentario cinematogra-fico, senza montaggi ulteriori. Deve tener conto che ogni racconto finisce necessaria-mente per diventare imperativo e criterio di comportamento.

4. Attraverso il mito si deve portare il giovane alla comprensione dei misteri della vita.Deve risultare che è Dio che ha fatto tutto e che Lui solo è il reggitore dell’universo. Inaltre parole, va cercato nel mito africano il senso e la finalità del racconto e non al-tro. Il mito è un valore, un bene comune trasmissibile, perciò più che interpretarlp vatrasmesso e condiviso.

5. L’astronomia, l’anatomia e le altre scienze risultano nei miti come opera di Dio. Inbreve, tutti i fenomeni della natura: gli spiriti, le forze protettrici e fecondatrici dellavita… Ebbene, a capo del pantheon delle potenze si trova un eroe mitico e civilizza-tore che è Dio stesso.

6. Anche l’esistenza di ogni cosa (gli animali, i fiumi, i mari, le foreste sacre, i riti, i co-stumi e i sacrifici) sono voluti da Dio per il bene dell’umanità e come tali vanno ac-cettati dal giovane.

. Occorre far emergere il colpevole dei disastri che succedono nella vita del mondo,stabilendo così l’origine del male contrapponendolo con le forze del bene. C’è un mo-tivo perché ogni cosa stia dove è e non altrove. Gli spiriti vivono ovunque e si sposta-no da una parte all’altra: alcuni sono sedentari, alcuni benefici ed altri cattivi.

8. Si deve stabilire mediante il racconto mitico il futuro della vita. Perciò, la realtàdell’antenato diventa un tema costante nei diversi miti africani della creazione. Inquesto caso, i miti insegnano come procurarsi la vita eterna ossia, l’immortalità.

9. In ogni mito, c’è la centralità dell’essere umano nella creazione del mondo tanto dapensare di essere di fronte ad un principio antropico. L’uomo è centro della creazio-ne e ne è anche l’artefice. In molti casi è lui che darà nome alle cose e così renderegloria al creatore Dio.

10. Occorre contestualizzare il racconto, i luoghi, le immagini secondarie, i personaggichiave del racconto. Il messaggio, la stessa speranza e la vita stessa sono desideratiper sé in quanto sono alimenti primordiali per la vita di ogni vivente.

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Conclusione

Il mondo creato cui si riferisce il mito è la propria tribù. Ciascun popolo ritiene che lapropria tribù fu la prima ad esistere sulla terra per opera di Dio. I racconti sono condot-ti in modo tale che tutte le altre tribù discendono dalla propria. I proverbi confermano icontenuti dei miti ponendo all’origine di tutto Dio e non lasciano la possibilità di indif-ferenza e non credenza nei riguardi di Dio. Per l’africano, basterebbe conoscere leorigini della propria tribù e, per analogia, riconoscere quello dell’intero creato.Ad ogni modo, il mondo è visto come una grande tribù con tanti villaggi. I racconti sul-la creazione dell’uomo, degli animali e di tutto il resto sono caratterizzati da simboli etrasmettono le verità ontologiche-vitalogiche che nutrono il desiderio e la speranza chetutti hanno di fondare il proprio passato, le proprie origine su radici solide.

Note:

1 - La prima raccolta di questo mito fu pubblicato da Luis Vincent Thomas, Réné Leneau e Jean L. Doneau.“Les religions d’Afrique noire, Fayard 1969. Il sottoscritto ha recuperato l’originale e l’attuale versione gli ap-partiene).

2 - La dote è un complesso di bene in qualità naturale o in valuta - quantità di denaro, che il fidanzato (nelcaso siamo in un sistema patriarcale) o la fidanzata (nel caso siamo in un sistema matriarcale) apportaall’economia della famiglia del proprio partner al momento del matrimonio, in segno di garanzia alle famigliee all’intera comunità della propria scelta come responsabile ed effettiva per il bene dell’umanità. E’ difficilequantificare la dote in Africa. E’ un processo continuo che pone i coniugi in continua scelta dell’altro di frontealla comunità. E’ anche un sistema per evitare divorzi e ripudi del proprio partner dalla vita coniugale.

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Composizione con immagine sacra - cm. 172x72 - 1998 - olio su tela di lino

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Appendice - Storia della Vitalogia.

La “Vitalogia” che abbiamo teorizzato, nella sua articolazione risulterebbe essere una visione unitariadella realtà dove non vi sono spazi per dicotomie irriducibili tra materia e spirito, tra tensione religiosae vita quotidiana, tra anima e corpo, tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti (mondo degli antena-ti). Nella Vitalogia africana, ogni concetto e valore si trova all’interno di un “Tutto” mai completamenteidentificabile. Il “Tutto” è ciò che comprende tutte le parti ed in nessun modo esclude qualcosa da sé.Tutto il resto ha senso nell’ambito degli attributi e, quindi, non essenziali nella costituzione dell’insie-me. Tutte le parti si realizzano nell’insieme, in un tutto possibile. Ed è tutto questo che si presenta co-me il meglio della realtà. Qui risulta chiaro che, ciò che permane identica in ogni momento del pro-cesso del reale nelle sue molteplici manifestazioni e che si presenta come il meglio del tutto possibile,è ancora la Vita. Questa volta la Vita viene concepita come forza permanente e vitale, quindi, motivodella speculazione.

La novità è che si individuano solo due possibili tipi di “filosofi” o di pensatori nel processo della fon-dazione accademica del pensiero africano. I primi sono detti “naturali” perchè esprimono il loro pen-siero in forma di sapienza popolare tramandato oralmente dagli anziani attraverso le generazioni. I lo-ro insegnamenti avvengono mediante i proverbi, i miti, i racconti e i costumi (tutti considerati come levoci del dizionario). L’anziano in Africa, oltre ad essere considerato come un dizionario, è visto comeun libro aperto delle norme del vivere quotidiano. Gli anziani (soggetto impersonale del pensiero tra-dizionale) costituiscono la voce del popolo. I secondi sono detti “accademici” e sono coloro che inten-dono formulare i contenuti della propria cultura in termini concettuali ai fini di comunicare la stessaverità e gli stessi valori insiti nella tradizione e nella cultura agli altri popoli di culture diverse. Questiultimi tramandano il pensiero africano mediante la scrittura. Sono considerati dall’autore come la co-scienza riflessa del popolo. Tra l’uno e l’altro non c’è contraddizione né opposizione ma complemen-tarità.

Nato nell’ambito accademico della Pontificia Università Lateranense, il 17 dicembre 1993, il PensieroAfricano fu battezzato con il neologismo “Vitalogia Africana”. La notizia circola da prima a Roma ne-gli atenei Pontifici, per poi raggiungere l’università della Sorbona in Francia grazie all’incontro di que-st’ultima con la corrente fenomenologica nell’ambito della filosofia occidentale. Fu allora che l’autorealla propria relazione presentata al 35.ème colloque internationale de phénomènologie di Parigi allaSorbona (7 - 8 - 9 ottobre 1994) diede il titolo di “Vitalogia come espressione del Pensiero africano”.Nel Dicembre 1995, Città Nuova editrice pubblica il libro di Martin Nkafu Nkemnkia con un titolo chefarà parlare dell’Africa in modo del tutto insolito. “Il Pensare Africano come Vitalogia”. Il libro fu pre-sentato il 12 gennaio 1993 nella libreria AVE di Roma. Nel giro di qualche mese, il libro è subito esau-rito nella sua prima edizione. La seconda edizione fu pubblicata nel luglio 1997. Fu la volta del BelgioLouvain-la Neuve il 23 marzo quando l’autore, nell’ambito d’un “cours métis” espose per la prima vol-ta la versione breve del termine vitalogia come approccio africano al pensare umano. Gli studenti pre-senti alla conferenza (oltre 600) si domandavano come mai solo ora l’Africa si rivela e in questo modooriginale! La risposta a questa domanda si trova proprio nel libro che, non solo traccia il fondamentodello stesso pensare africano ma delinea in modo completamente originale e libero da ogni pregiudi-zio razziale, la modalità della scienza africana della realtà stessa. Il 12 giugno 1997, la cattedra di storiadella filosofia moderna dell’Università degli studi di Roma Tre organizza un seminario di studio intor-no al Pensiero Africano. In quell’occasione l’autore della vitalogia pronunciò un discorso sulla fonda-zione della vitalogia africana estendendo tale neologismo all’intera scienza africana della realtà. Il pro-cedimento va dall’essenza alla vita espressa nel pensiero. L’iniziativa del seminario è degli studentidella stessa università come una delle loro attività del progetto “Africa-Europa: incontro tra culture”.Tutto ebbe luogo a Palazzo Capizucchi - Piazza Campitelli, 3 - Roma. Il 30 aprile 1999 la stessaCattedra di Storia della filosofia organizzò un secondo incontro nella propria sede di Via Magenta aRoma, i cui esiti furono pubblicati dall’edizione Associate Editrici Internazionale con il titolo di“Prospettive di Filosofie Africane” a cura di Lidia Procesi e Martin Nkafu Nkemnkia., Roma 2001.Numerose conferenze, seminari e dibattiti intorno alla cultura africana espressa con la vitalogia, oggi si

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succedono in Italia e all’estero aprendo le menti ad un nuovo modo di considerare il mondo africanonel suo insieme. La stampa, la televisione (in particolare la Rai, Telepace), Sat 2000, la radio (in parti-colare quella Vaticana) hanno dato ampio spazio a questo neologismo che esprime indubbiamentel’approccio africano alla realtà e lascia credere che prima o poi diventerà il criterio generale dellascienza africana di tutta la realtà. Infatti, per il sottoscritto, l’Africa deve raccontarsi. Quindi, nessuna ri-vendicazione, ma produzione, comunicazione e dialogo con le altre culture del mondo. Tutto ciò co-me un contributo alla civiltà umana di tutti i tempi. Per questo, la cultura africana (religione, arte, let-teratura, storia, pensiero) ha oggi un nome: “Vitalogia”. Questo è quanto annunciamo a tutti. Alla lucedi questo neologismo, gli africani di diverse discipline tenteranno di leggere tutta la realtà dall’antro-pologia alla cosmologia, dal diritto alla psicologia, dalla politica all’economia. Pertanto, si ritiene che,nel contesto africano tutto vada rivisto secondo i sostenitori della vitalogia che ritengono fondamenta-le porre la “vita” come punto di partenza di ogni scienza. Infatti, tutti desiderano la vita e con essa ilraggiungimento dell’eternità, ossia l’immortalità in virtù dell’eternità dell’Autore-Creatore della stessavita che è Dio. Il procedimento vitalogico sarebbe: l’uomo, il mondo, Dio-Vita eterna. La “Vitalogia”disegna, perciò, l’approccio africano al pensare umano, un approccio che si pone come analogo alconcetto occidentale di “Filosofia” da cui però si distingue. L’essenza, la vita, la spiritualità e il pensie-ro coincidono nel mondo africano. Sono pensati distinti solo per motivi logici e non perché di per sésarebbero separati fra loro. Sono modalità dell’apparenza della realtà nella nostra mente. Noi ogni vol-ta che usiamo tale neologismo ci riferiamo alla “cultura” africana in generale. Questo approccio vuoleessere un contributo agli accademici nonché alla comprensione maggiore del mondo africano, così co-me ci appare in questo momento. In conclusione. la “Vitalogia” può essere considerata comel’espressione del pensare africano proprio come la filosofia è l’espressione del pensare occi-dentale.

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MITI FONDATIVI AFRICANI

di Geneviève Makaping (Università della Calabria)

Quando si parla di altri popoli e si studiano i loro miti occorre conoscere e capire glistrumenti conoscitivi che fanno differente una cultura dall’altra, altrimenti si ha un ap-proccio egocentrico e non una comparazione antropologica. Il ricercatore moderno, og-gi, mette in parallelo le varie culture per cercare di costruire il sapere dell’intera umanitàsenza escludere nessuno. Non c’è un più e un meno. Purtroppo, in merito dobbiamoconstatare che non sempre è così. Il sapere africano non è stato mai considerato civiltàdall’occidente. Il nero, si direbbe, non attrae. Studi accertai di archeologia e di antropo-logia ci informano che molti referti trovati indicano l’origine dell’umanità nell’Africa.Non c’è da meravigliarsi né di aver paura, quando cito questi studi. Non si tratta di nes-suna rivendicazione. Non è una provocazione né politica nell’accezione partitica. Èsemplicemente lo svolgimento di un’attività intellettuale positiva e critica. Del resto, chiconosce sa che nei miti africani c’è il primordiale luogo della nostra origine. I miti afri-cani concorrono a fondare l’identità profonda dell’umanità. Non è storicamente valido,pensare che gli uomini africani e le donne africane non abbiano dato il loro contributonella costruzione della storia dell’umanità. L’Africa non è il continente oscuro e misterio-so per eccellenza. L’ottica della conoscenza, oggi, è tutta orientata sul rispetto dell’altro,sul valore dell’incontro delle diversità.

Quando parliamo dell’Africa si tende a pensare ad una mappa di costellazioni amorfe,dato che è un continente immenso dal punto di vista geografico. Allora suddividiamointere società in etnie, tribù… anche se non sempre alcune popolazioni si riconosconoin queste classificazioni. In realtà, l’Africa non è molto distante dall’Europa: appena 14Km di mare la separano dallo stretto di Gibilterra. Non è distante neanche dal resto delmondo: appena 38 Km la distanziano dalla penisola arabica. Tuttavia, sembra aver per-so il treno se pensiamo all’odierna globalizzazione.

Oggi noi africani stiamo cercando di ricostruire una parte del nostro sapere. È poco, maè si è già cominciato in vari Stati. Attualmente nessun studio ha la presunzione di essereesaustivo e ciò è vero quando si parla di cultura e di civiltà di un popolo. In passato,qualcuno si chiedeva perché la conoscenza africana non sia stata mai assunta a civiltà.Le risposte, a mio parere, sono impressionanti in quanto sono il quadro distorto di co-me per secoli la cultura africana è stata considerata. Buona parte delle credenze africanevenivano viste dagli altri popoli come superstizione. Ora, con la ricerca scientifica, lecose stanno cambiando. Uno studioso ha indagato sugli anziani. Chiedeva loro se sape-vano qualcosa del loro passato. Gli anziani, allora, hanno cominciato a raccontare lastoria del loro popolo e del loro re. Risalivano persino a personaggi morti nel 475. Moltivecchi ricordavano benissimo addirittura cinque secoli di organizzazione sociale. Oggi,occorre continuare la riflessione ma in modo più profondo per rivisitare il luogo dei no-stri miti e per metterci a passo con il resto del mondo.

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Mi interessa riflettere un po’ sul significato del mito, oggi, per i giovani africani e per ledonne africane. Cosa è e a che cosa serve? Il mito è legato al concetto di identità.Perché parlare dei miti fondativi africani? Vi rispondo con una storiella: “C’era una voltaun continente chiamato Africa. Un giorno, la popolazione cominciò a chiedersi chi era eperché era lì. In verità, furono le giovani donne a chiederselo con più impeto. Le giova-ni, gli uomini ma ancor di più gli anziani si guardarono attorno per intendersi.Convocarono una riunione da tenersi nella piazza del villaggio, al calare del sole quan-do tutti ritornavano dal lavoro dei campi. Prese la parola il più anziano di tutti. Parlavauna lingua comprensibile per manifestare meglio la sua saggezza. Tra i convenuti, chinon capiva poteva interrompere per chiedere spiegazioni migliori e delucidazioni preci-se. La gente non mostrava segni di impazienza, anche quando l’anziano doveva ripeteregli stessi concetti in vari altri modi. L’anziano parlava di Dio che aveva creato la terra. ÈLui che ci ha modellato cioè ci ha costruito come si fa con l’argilla. Dio non si staccadalla terra perché ne ha bisogno. A questo punto, una donna in età da marito chieseperché il vecchio legava il concetto di Dio con la terra. L’anziano rispose così: “Ma,guarda che si dice anche Dio della persona… non solo della terra”. Tutti convenneroche il vecchio aveva detto giusto e con saggezza. Ho voluto inventare questa storia peraffermare che in Africa esiste l’oralità e la cultura è affidata all’orecchio più che agli oc-chi. Nelle culture rurali, tutto l’essenziale si trasmette attraverso proverbi, massime, for-mule, storielle… con la precisa finalità di fare ricordare quello che è utile alla comunità.Ogni cultura orale si affida alla memoria. L’orecchio diventa il senso più importante perascoltare i racconti degli anziani, le loro raccomandazioni perché essi hanno a loro voltaascoltato i loro antenati.

Un mito del Ghana parla che Dio era vicino agli uomini, ma c’era un vecchio che aveval’abitudine di fare previsioni sul futuro. Dio gli disse: “Perché fai così? Per colpa tua mene salirò in cielo”. E se ne andò veramente… Un altro mito del Camerun racconta cheuna donna, nell’ansia di coltivare la terra, colpì Dio con la zappa. Allora Dio si ritirò incielo e mandò un uccellino azzurro a recidere la corda che permetteva agli uomini diavere accesso al cielo… In molti miti africani, il cielo è il recipiente da cui cade la piog-gia, ma che è modellato da Dio che ha il compito fondamentale di annaffiare la terraper mantenere il benessere dell’umanità… In altri miti, Dio è più vicino all’uomo che al-la donna. Ma la donna è come la terra perché è feconda… Il ulteriori miti, la donna èvista come elemento di rottura proprio come nella bibbia dove Eva spinge Adamo amangiare la mela…

Come è facile dedurre, i miti fondativi africani sono vari e tanti quante sono le culture ei popoli che abitano il continente. Sono il luogo della nascita e della formazionedell’identità di un popolo. Soprattutto i miti cosmogonici sono importanti perché vannovisti come le linee guida delle costruzioni sociali, politiche ed economiche della società.In fondo, i temi dominanti dei miti sono sempre gli stessi: acqua, terra, uomini lavorato-ri… proprio per garantire la sopravvivenza dell’umanità.

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Oggi, se gli occhi dei giovani africani sono puntati sull’occidente, lo sono non per fug-gire dall’Africa ma per sfuggire da se stessi. Mi domando: “Allora, perché parlaredell’Africa quando neanche gli africani sono interessati ad ascoltare la loro storia?”Rispondo: “Gli africani non ascoltano la loro antica storia non per incapacità ma per im-possibilità!” Guerre e analfabetismo programmato impediscono di parlare il linguaggiotribale o le lingue africane locali, dove ha dimora il mito antico. Parlare anche la proprialingua d’origine è uno strumento insostituibile di conoscenza. Per ricordare, gli anzianinon ci sono più o vanno scomparendo.

Cosa hanno fatto gli africani dei loro miti, di se stessi, della loro storia e della loro vita?Noi africani intellettuali siamo impegnati a fare sì che vengano concesso gli strumentiper accedere alla alfabetizzazione di sé in modo tale che ognuno sappia come si chia-ma, chi è, da dove viene, dove va…

Montagne azzurre - cm. 172x72 - 1999 - olio su tela di lino

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Anno I – n.1 - gennaio 1991 – La solitudine dei dirigenti scolasticiMinio A. – Professionalità trasparente in una scuola dove tutto può es-

sere reso facileMazzetti L. – Psicologo: un colloquio sempre possibilePanfili O. – L’insegnamento a distanza

Anno I – n.2/3 – febbraio/marzo 1991 – L’altra faccia del sessoMinio A. – Trovare sesso è facile, ma…Peluso A. – Depressione e sessualitàPeluso A., Pozza D., Forleo R. – La disfunzione erettileForleo R. – Leggere l’amore

Anno I – n.4 – Aprile 1991 – Le “ragioni degli altri”Martino C. – Origini storiche dello sviluppo e del sottosviluppoSerrano E. – Sviluppo e debito: forze divergentiCamarazza G. – Come il Nord vede il SudTriulzi U. – Sviluppo e sottosviluppo: due aspetti dell’economia mondialeBarbera B. – Le ONG: stato e prospettive di un volontariato efficaceNegretto P. – Cooperazione italiana: impegno e progettiMariotti M. – Esperienza e pratica di una propedeutica della solida-

rietà nella scuolaMissoni E. – Educare per cambiareLoiacono A. – Proposte operative per una prassi della cooperazione

sul territorio e nella scuola

Anno I – n.5 – maggio 1991 – La “cosa” che spegne piano piano ciòche tocca

Minio A. – Morire sì ma non cosìRaggetti N. – Contro la droga per un’affermazione di civiltàCasoli G. – Saper gestire le idee che regolano la leggeMarcellino P.G. – La funzione del prefettoRaggetti N. – La prevenzione nel percorso formativo scolasticoSmacchia E. – Il recupero dei minoriTardioli E. – Il comportamento degli utenti del SAT

Anno I – n.6 – giugno/agosto 1991 – L’handicappato non è unascimmia vestita

Minio A. – Le difficoltà dell’handicappato restano nel sommersoMarano P. – In un bambino Down c’è molto di piùFanelli G. – Bruner al festival dei due mondi a Spoleto

Anno I – n.7 – settembre 1991 – Una scuola di cultura pertinente Minio A. – Verba volantIannaccone A. – La psicologia sociale del cambiamento e dell’innovazioneCavallaio D. – Il senso della collegialità

Anno I – n.8 – ottobre 1991 – L’incontenibile voglia di andareavanti: l’adolescenza

A. Minio - Diventare adulti con l’aiuto dei grandi non è una cosa piacevoleG. Lutte – Operazione GuatemalaE. Tardioli – Inchiesta sui bisogni dei nuovi adolescenti

Anno I – n.9 – novembre 1991 – Il comportamento sociale come incuboMinio A. – Recuperare l’esistenze che si sfascianoDicuonzo F. – Diagnosi riabilitativaMariani U. – Psicosi e riabilitazione psichiatricaTonnicchi A., Morucci P. – L’esperienza di Orte

Anno I – n.10 – dicembre 1991 – Una famiglia tutta da scoprireCampanili G. – Famiglia, autorità, partecipazione

INDICI degli autori e TITOLI dei contributi della rivista “INTERPROFESSIONALITÀ”:

Guareschi Cazzullo A. – Lo spazio educativo della famigliaValle L. – Integrazione psicofisica e etica nella persona e nella famigliaBoiardi G. – La famiglia aperta sul territorio Commissione studio Famiglia Aperta - Interrogativi e suggerimenti

per i lavori di gruppo

Anno II – n.11 – gennaio 1992 - La sacralità del sessoMinio A. – Il corpo come verità e come menzognaFailla R. – La donna nella società del duemilaLe Breton F. – Peluso A. – La sacralità della sessualitàPeluso A. – I giochi relazionali della coppia con problemi di intimitàCapodieci S.- Molin N. – Educazione sessuale con la quarta etàAngela M.G. – Educazione alla sessualità in soggetti disabili

Anno II – n. 12 – febbraio 1992 - Teorie del management e dellaleadership

Campanelli M., Puri B. – Storia delle teorie del management e dellaleadership

Minio A. – L’esperienza chiamata formazione: appunti per dirigentiChristoffersen R. – Riorganizzazione e qualità totale nei servizi

Anno II – n. 13 – marzo 1992 – Educazione e management a con-fronto

Puri B., Campanelli M., Minio A. – La formazione come variabile cri-tica della formazione

Minio A. – L’affascinante mondo della cultura dell’organizzazioneGrisanti F. – Funzione e ruolo del marketing nel sistema aziendaPonziano A. – Collegialità e condivisione nell’organizzazione scuola Ratini C. – Il mercato unico delle professioni: università e mondo del lavoro

Anno II – n. 14 – aprile 1992 – La formazione dei formatoriMazzetti L. – Per un’ecologia delle professioniPuri B., Campanelli A., Minio A. – Favorire operazioni psicologiche

nei processi d’apprendimentoDomadini L. – Il “si fa” e il “si dice” tra coraggio e paura

Anno II – n. 15 – maggio 1992 – Guidare una squadra d’apprendimentoCampanelli M., Mino A., Puri B. – I gruppi di apprendimentoPeluso A. – Le relazioni umane: inventare l’intimità e la creativitàPigliacampo L. – Entrare nella comunicazione difficile: capire il sordo

e parlare col sordo

Anno II – n. 16 – giugno-settembre 1992 – Progettazione educativaed esiti formativi

Fruttini M., Panfili O., Minio A. – Una risposta dalla vecchia arte diinsegnare

Mino A., Puri B., Campanelli M. – Programmare: sfida razionale o ri-to burocratico?

Cardarelli G. – Essere insegnanti oggi e domaniNapodano M. – Davanti all’educazione interculturaleParolisi P. – Dietro il racconto verticale e oltre

Anno II – n. 17 – ottobre 1992 – Il sesso entra a scuolaMinio A. – Le frecce d’oro e di piombo scoccate da Eros sui banchi di

scuolaPeluso A. – Educazione alla sessualità e salute sessualeGuidi A. – La sessualità come discorso

Anno II – n.18 ottobre-dicembre – Il bambino e la cicognaConte D. – L’andrologia nell’adolescenza

28 interprofessionalità

Peluso A. – Un questionario per l’adolescenzaPigliacampo R. – Sessualità e handicappatiTomadini L. – Sessualità e istruzioni per l’usoSerafini S. – Sessualità e alleanza d’amoreVozza E. – Sessualità e difficoltà di prestazione

Anno III – n.19 – gennaio 1993 – La depressione infantileCampanelli M., Minio A., Troiano M. T. – Analisi storica dei modelli

etiopatogeneticiTroiano M. T. – Evoluzione della modellistica comportamentaleCampanelli M. – All’origine della depressione infantile c’è l’apprendi-

mentoMinio A. – l’anello di congiunzione tra pensiero psicoanalitico e meto-

di cognitivo-comportamentaliTroiano M. T., Minio A., Campanelli M. – Capire il bambino senza di-

storsioni adultomorfe

Anno III – n.20 – febbraio 1993 – Il mercato della comunicazioneMinio A. – Un crocevia di atteggiamenti e comportamentiTordelli P. – La comunicazione nelle pubbliche relazioniMinio A. – L’esposizione e la difesa della propria immaginePiatti A. – La partecipazione a discussioni, riunioni, colloquiGuidi A. – La parola come molteplicità

Anno III – n.21 – Marzo 1993 – L’operatore di contestoMazzetti L., Minio A. – L’operatore come soggetto di relazioniMazzetti L. – Comunicazione educanteMinio A. – Analisi del contesto organizzativo

Anno III - n.22 – aprile 1993 - La personalità di contattoMazzetti L. – Il grande problema: istruire, educare, aggiornar, formareMinio A. – Come banalizzare la razionalità dei problemi formativi Campanelli M., Di Berardino C., Minio A. – Tutto con amore e niente

con la forza nelle decisioni

Anno III – n.23 – maggio 1993 - La comunicazione con i sordiFederici F. – Quale cultura e civiltà nell’handicap?Pigliacampo R. – La comunicazione segnico-visivaCarmine M. – Riflessioni ai margini di un congressoFolchi A. – Lis: aspetti sociolinguisticiTagliavento A. – Saper essere presenti nel mondo del silenzio

Anno III – n.24 – giugno-settembre 1993 – Le possibili utopie con-crete

Balducci E. – Realismo e… l’umanità sopravvivràForasassi M.C. – La formazione del “noi” secondo BalducciOrioli R. – Dolcino da NovaraNari M. – Storie e soluzioni di ordinario disagio

Anno III – n.25 – ottobre 1993 – Anoressia, bulimia, obesitàMinio A. – Un piacere diviso o moltiplicato per milleBulletti M. – Il complesso di CibeleCampanelli M., Bove M.T., D’Annunzio A. – Gli effetti della fluoxetina

nella terapia dell’obesitàCampanelli M., Bove M.T., D’Annunzio A. – Gli effetti della fluoxetina

nella bulimiaPoerio V., Minio A., Campanelli M. – Questionario sui disturbi alimen-

tari e immagine corporea

Anno III – n.26 – novembre 1993 – Salvare lo psicologo come psi-coterapeuta

Campanelli M. – Minio A. – Bove M.T. – Lo psicoterapeuta come basesicura

Campanelli M. – Minio A. – Di Berardino C. – Lo stile attributivo co-me fattore di problem solving

Campanelli M. – Pellegrini R. – Suicidio e strategia errata di problemsolving

Minio A. – Apprendere a ragionare per modelliTordelli P. – Adesso, rilassati

Anno III – n.27 – dicembre 1993 – Le scuole di sessuologia a con-fronto sull’educazione sessuale

Guidi A. – Frammenti per una sessualità come discorsoRossi R. – Cosa chiedono gli adolescenti, come rispondono gli adultiRavaglioli R. – Matura la prima mela: come raccoglierla nel modo

giustoFailla R. – Dicerie sessuali: i nuovi pericoli di Cappuccetto RossoPalma A. – Considerazioni su un’esperienza di educazione sessualeCampanelli M. – Minio A. – Strutture cognitive nelle disfunzioni sessuali

Anno IV n. 28 – gennaio 1994 - Le scuole di pensiero sessuologico aconfronto

Minio A. – Educazione come malattiaFronza Crepaz L. – Le nuove frontiere dell’educazione sessualeMazzetti L. – Pedagogia dell’amoreBaldaro Verde I. – Sessualità e tipi di ragionamento sui problemi morali

Anno IV – n. 29 – febbraio 1994 – La violenza sessuale intrafamiliareBarbanera G. – Il Dio che non perdona non possiede un paradisoPetruccelli F. – Alcune considerazioni tra sessuologia e diritto penaleCasula G. – Forasassi M.G. – Pasco P. – La problematica realtà della

violenza sessuale intrafamiliareEletto R. – Quando in una famiglia c’è di tuttoMinio A. – Dove l’amore diventa più luminoso

Anno IV – n.30 – marzo 1994 – La non comunicazioneMinio A. – L’individualità da variabile libera a parametro conduttoreDinardo M. – L’apprendimento difficile è un rompicapoDemichelis L., Russo R., Orlarei P. – Docenti più preparati per essere

più protagonistiOrlarei P. – Conduzione d’aula e metodo dei casiTomadini L. – Stili di gestione del conflitto

Anno IV – n.31 – aprile 1994 – L’abitudine come educazioneBarbanera G. – Scuola-famiglia tra scolastichese e educazionePalma A., Pistilli L. – Il vento cessò di soffiare tra Scilla e Cariddi

(metafora e realtà)Minio A. – Eros regge il suo regno senza coltelloCasula G., Forasassi M., Pasco P. – la famiglia nelle società complesseCociglio G. – I pezzi del paesaggio della consulenza sessuologia

Anno IV – n.32 – Dolore e tumoreMinio A. – Pensare negativo allontana dalla vitaFusco C. – Rapporti tra aspetti psicologici e tumorePoerio V. – Importanza dell’autodiagnosi e aspetti cognitivi nella pre-

venzione del cancroGiusti A., Campanelli M., minio A. – Terapia cognitivo comportamen-

tale del dolore cronico

Anno IV – n.33 – giugno 1994 - La verità sul vestito di ArlecchinoMinio A. – Un film come proposta aggregante dei saperi scolasticiPalumbo Vargas A. – Il laboratorio teatrale come matrice culturaleTraiola R. – Antichi condizionatori e persuasori della pubblicità

Anno IV – n.34 – luglio 1994 – Progetto giovani: star bene senzadroga

29CePASA di Spoleto

Minio A. – Psicologia e droga: quando non sappiamo usare la testa, ilcorpo si ammala

AA.VV. – Stage sulla droga a scuola: frammenti di un impegno deglistudenti del biennio del Magistrale di Spoleto

Anno IV – n.35 – agosto 1994 – Il fanciullo filosofo moraleBernardini M. – Definizione di moralità e sviluppo morale secondo

KohlbergBernardini M. – Educazione morale, filosofia morale e pedagogia morale

Anno IV – n. 36 – settembre 1994 – L’educazione alla creativitàManzelli P. – Il tempo e lo spazio della creativitàPezzato G. – Un esempio di creatività professionale

Anno IV – n. 37 – ottobre 1994 – Il rilassamentoMinio A. – La superstizione dei saggiNari M. – La sapienza dei piccoliMoro V. – Il training autogenoMinio A. – Le tecniche di rilassamentoTordelli F., Tordelli P. – Le tecniche ipnotiche

Anno IV – n.38 – novembre 1994 – Doping e violenza nello sportMinio A. – Metti un pomeriggio tanti gatti dentro un saccoTordelli R. – Lo sport traditoGrifi G. – Sport come solidarietà tra i popoliTordelli P. – La preparazione psicologica degli atleti

Anno IV – n.39 – Dicembre 1994 – L’ascoltoBartoletti G. – L’ascolto nelle professioni psicopedagogicheGuidi A. – Abilità semantiche per una didattica sperimentale

dell’ascoltoMinio A. – L’incontro e l’educarsi all’ascolto

Anno V – n.40 – gennaio 1995 – Lo spazzino sociale Minio A. – Saper stare in gruppo: la nostalgia dell’amiciziaDinardo M. – Ascoltando Luciano Mazzetti ritrovo Carl RogersTordelli P. – Il livello di maturità dei collaboratoriCampanelli M. – Il potenziale inespresso di chi ci sta accanto

Anno V – n. 41 – febbraio 1995 – L’impossibilità ad essere sempresani e belli (sindrome Lambertucci)

Minio A. – I tanti perchè di una guarigione senza indagini a tesiMinio L. – La psicoterapia integrazionale: dal fideismo di scuola al

sincretismo della prassiNari M. – Sopravvivere nella poesia

Anno V – n. 42 – marzo 1995 – Il disagio comunicazionaleLacerenza A. – Comunicazione: metafore e devianzeDinardo M. – Esperienze di comunicazione: circe time, messaggio io-tuMinio A. – Espressione e comunicazione tra persuasione e informazione

Anno V – n.43 – aprile 1995 – Benessere fisico e cure termaliMinio A. – Alla ricerca del benessere possibileTordelli P., Barbanera G. – Rilassarsi e continuare a vivereBarbanera G. – Io e le cure termaliProietti A. – Si può crescere anche con una favola

Anno V – n.44 – maggio 1995 – L’influenza pedagogica dei massmedia

Minio A. – Non farmi vedere cose nuoveBarbanera G. – Dio creò l’uomo, l’uomo creò DioManzelli P. – Formare oltre l’informazione

Anno V – n. 45 – giugno-agosto 1995 – Il popolo della notte nellediscoteche

Minio A. – Emozioni strane che cominciano nella folliaBarbanera G. – Il sole nella ciotolaTordelli P. – Sorseggiare latte acido

Anno V – n. 46 – settembre 1995 – L’onnipotenza del campione(sindrome del Titano)

AA.VV. – Cambiando le leggi non cambiano le testeMinio A. – Ognuno gioca con l’immagine dell’uomo che si porta dentroMinio A. – La parola degli “esperti” dei difetti dei campioniForasassi M.G. – Il sorriso della televisione fa bene

Anno V – n. 47 – ottobre 1995 – Comunicazione e metacomunicazioneMinio A. – Non parlano le frasi che diciamoFalasca B. – Il dire esplicitoBigotta S. – Il dire implicito

Anno V – n.48 – novembre 1995 – Ping pong comunicazionaleTomadini L. – L’umorismo è la migliore soluzioneDinardo M. – Egogramma, sociodramma, genogrammaMinio A. – Imparare l’ottimismo che prende decisioni

Anno V – n.49 – dicembre 1995 – La vecchiaiaTordelli P. – Vecchi sempre giovaniGiacomelli E. – Anziani in movimentoCiccarelli A. – Anziani in attivitàTordelli P. – Problematiche e iniziativeZampoloni V. – Terapia senza farmaciBarbanera G. – Quelli che non possono chiedere

Anno VI – n.50 – gennaio 1996 –Cronaca mal trattata di amori vio-lati (sindrome della maga Circe)

Minio A. – Ai nostri figli abbiamo tolto alcune preoccupazioni sessuali, ma...Dinardo M. – Le relazioni affettive possono saltare all’improvvisoBosco A. – A proposito di sessualitàAcanfora L. – Palma A. – Pistilli L. – Ora parliamo di sessoTordelli P. – Se qualcosa non funziona...

Anno VI – n.51 – febbraio 1996 – A Spoleto il 1° congresso interna-zionale su anoressia e bulimia (sindrome del corpo in-fame)

Minio A. – Cultura e coraggioFalasca B. – Catastrofe e confusioneBigotta S. – Complicità e sospetto

Anno VI – n.52 – marzo 1996 – Le carceri Metelli L. – Criminalità e situazione carceraria a Foligno nel XVI secoloDi Giglio V. – Per sfuggire all’inseguitoreZani F. – Carceri senza speranzaDe Pascalis M. – Intervista al direttore del supercarcere di SpoletoDesiati F. – Persona in perditaGiannelli P. – Cognomi con articoli e accenti

Anno VI – n.53 – aprile 1996 – Il medioevo visto in un film creatoda scolari delle elementari

Minio A. – C’era una volta un piccolo uccellino che sognava di arriva-re alle stelle

Carciofi L.; Marroni T.; Olmini M.P.; Roscini R. – I bambini sannospegnere la televisione per accendere la creatività

AA.VV. – Insieme abbiamo scritto il nostro secondo filmPattumelli D. – Essere scuola anche telematicamenteBarbanera G. – Maxima debetur puero reverentia

30 interprofessionalità

Anno VI –n.54/60 – dicembre 1996 – L’educazione sessualeMinio A. – Ai nostri figli abbiamo tolto alcune preoccupazioniDinardo M. – Le relazioni affettive possono saltare all’improvvisoBosco A. – A proposito di sessualitàAcanfora L. ; Palma A.; Pistilli L. – Ora parliamo di sessoTordelli P. – Se qualcosa non funziona

Anno VII – n.61 – gennaio 1997 – L’apprendimento mancatoCasula G. ; Forasassi M.G.; Pasco P. – Gli strumenti multimediali ne-

gli apprendimenti lacunariCasula G. – Perché per mio figlio è difficile imparare a leggere?Pasco P. – L’allievo è come un fruttoCasula G. –La colpa deve morire fanciullaPanfili O. – Gioco: terapia o spazio naturale per crescere?

Anno VII – n.62 – febbraio 1997 – Un racconto per un bambinoAA.VV. Racconti di studenti delle scuole superiori premiati

Anno VI I – n.63 – marzo 1997 – L’operatore sociosanitario di co-munità

Minio A. – Le tante anime dell’animazioneAristei C. – L’isola che non c’èSalerno P. – Il Piccolo CarroTraiola R. – Tra sfida e progettualitàRitorto M. – La pet therapy

Anno VII –n.64 – aprile 1997 – L’operatore sociosanitario di fronteai malati terminali

Minio A. – La relazione d’aiuto nel processo di nursingMoroni P. –Llettera apertaMetelli L. – La morte negata: educare alla verità e alla conoscenzaDell’Orso R. – L’uso terapeutico delle immagini fotografiche

Anno VII – n.65 – maggio-agosto 1997 – L’affidamento congiuntoCrescere insieme – La proposta di riforma sull’affidamento dei figliCasula G. – I costi psicopedagogici dell’affidamento

Anno VII – n.66 – settembre-dicembre 1997 – L’infanzia in pericoloCasula G. ; Pasco P. – Coniugi oggi, genitori domaniMaglietta M. – Le responsabilità non evidentiCasula G.; Pasco P. – L’incubo della violenzaFalchiero S. – La doppia maschera della pedofilia

Anno VIII – n.67-74 – gennaio-agosto 1998 – L’associazione CePASACePASA – Statuto, regolamento, storiaTordelli F. – La meditazioneTordelli P. – La visualizzazione creativaLiceo classico Properzio – Le artiterapie

Anno VIII – n.75 – settembre-dicembre 1998 – L’adolescente violentoDi martino G. – Aspetti psicologici dell’adolescenzaDi Martino G. – Atti psicopatologici dell’adolescenzaDi Martino G. ; Pascarella M.G. – Modelli e strategie della prevenzio-

ne primaria delle tossicodipendenzeLolli B. – Processi cognitivi dell’età evolutiva

Anno IX – n. 76 – gennaio-dicembre 1999 – La sessualità completaFiore K. – Sessualità e biologiaFiore K. – Sessualità e scienze antropologicheFiore K. – Sessualità e scienze della formazioneFiore K. – Sessualità e sociologiaFiore K. – Sessualità e psicologiaFiore K. – Sessualità e sessuologia medica

Anno X – n. 77 – gennaio-giugno 2000 – Il cooperative learningMinio A. – La costruzione delle conoscenzeFiore K.; Reali C.; Tedeschi G. – Il cooperative learningParadisi E.; Roscini G. – 12 schede educative

Anno X – n- 78 – luglio-dicembre 2000 – Il disagio minorileNucchi M. – La formazione dei formatoriAristei C.; Salerno P. – Per chi s’avvicina alla vitaMinio A. – Spigolando nell’animo e nel cuoreAristei C.; Salerno P.; Minio A.; Minio N. – Strumenti per l’educazione

Anno XI – n.79 – gennaio-febbraio 2001 – La comunità per minori“L’isola che non c’è”

Aristei C.; Salerno P. – Imparare un volo oltre le ali

Anno XI – n.80 – marzo-settembre 2001 – La baby school “L’erba voglio”Aristei C.; Salerno P. – Un nido per volare

Anno XI – n.81 – ottobre-dicembre 2001 – La formazione dei genitoriTordelli P – I servizi privati ricchi di più opportunitàAristei C.; Salerno P. – Torniamo alle favole per capire noi e i nostri

figliMinio A.; Salerno P. – Diventare genitori educanti

Anno XII – n.82 – gennaio-maggio 2002 – La stima di sèMinio A. – L’amore buono di sè ha origini lontaneSalerno P. – Amarsi vuol dire imparare ad estrarre la bellezza anche

dalla bruttezzaTordelliF.; Tordelli P.; Tordelli P. – L’autostima

Anno XII – n.83 – giugno-dicembre 2002 – La comunicazione riuscitaMinio A. – Il laboratorio della scuola di comunicazione di AcqualoretoDi Nicola C. – Un nuovo metodo comunicazionale centrato sulle emo-

zioni più che sulla razionalità

Anno XIII – n.84 – gennaio 2003 – Sorella AfricaSalerno P. – L’uomo occidentale ha la bocca grande e le orecchie piccoleSoyinka W. – Le divinità laiche dell’AfricaNkafu Mkemnka M. – I miti della creazione del mondo come strumenti

della conoscenza di DioMakaping G. – I miti fondativi africani

31CePASA di Spoleto

L’UNIVERSITÀ INTERNAZIONALE DELLA NUOVA MEDICINA di Milano

organizza i seguenti corsi

PSICOLOGIA DELLA SCRITTURA Quadriennale per laureati.La prima edizione di questo corso è stata avviata nel 1953.Vengono esposti i fondamenti fisiopsicologici e le leggi di proiezione della scrittura per l’utilizzo del test grafico in campoaziendale, dellorientamento scolastico e professionale, della conoscenza personale e della coppia…

PERIZIE GRAFICHE A BASE PSICOLOGICAQuadruennale per laureati.La prima edizione del corso risale al 1956.I primi tre anni sono in comune col corso di specializzazione in Psicologia della Scrittura, mentre il quarto anno è dedicatoesclusivamente alle perizie grafiche. Le lezioni introduttive sono tenute da un ispettore generale del Ministero di Giustizia.

IPNOSI MEDICA E PSICOLOGICASette fine settimana non consecutivi.Tecnica di psicoterapia breve, particolarmente efficace per la cura dei disturbi psiconervosi e delle malattie psicosomatiche,oltre che per l’anestesia, la preparazione al parto, il miglioramento dell’apprendimento, il buon esito negli esami…

INFORMAZIONI: tel. 02 70126489 02 7388427 fax 02 7491051 e-mail: [email protected]

CORSO DI PSICOTERAPIA IPNOTICA BREVE

Alla base della formazione ci sono le ricerche dei Marchesan, di Milton Erickson, di Castello, di Loriedo, di Granone, di

Guantieri...

CONTENUTI:

Comunicazione terapeurica, ipnosi e scuole di psicosomatica

Neurofisiologia degli stati ipnotici

Induzioni ipnotiche e relax psicosomatico

Ipnosuggestioni e neuroimaging

Protocollo di intervento con casistica dei disturbi

Uso della metafora in psicoterapia

DURATA:

5 giornate per un totale di 50 ore (calendario degli incontri da concordare con i partecipanti: massimo 15 persone)

INFORMAZIONI E ISCRIZIONI: Tel. 075/8043898 (Coop. Il Piccolo Carro di Assisi)

32 interprofessionalità

CORSO SULLA COMUNICAZIONE RIUSCITAÈ un’esperienza cognitivo-esperienziale centrata sulla comunicazione e consente di conseguire la consapevo-lezza che la comunicazione non è la logica razionale del dialogo ma è il metabolismo di tante importanticomponenti emozionali. Nella vita di relazione, permette di migliorare la qualità della comunicazione tra per-sone in famiglia, a scuola, in azienda e nelle altre situazioni sociali..

I livello di base La modalità razionale della comunicazione interpersonale

L’esplorazione dei vissuti psicologici personaliSensazioni, emozioni, sentimenti... fantasia, immaginazione, desiderio, sogno, intuizione...

II livello di approfondimentoLa problematicità della relazione esistenzialeLa fenomenologia del gruppo di lavoro e dell’incontro di gruppoL’interazione autentica tra persone

III livello di specializzazioneLa presa di coscienza dell’aggressività distruttiva e costruttiva

L’elaborazione e il superamento della conflittualitàLa gestione e il controllo delle situazioni problematiche

Durata di ogni livello: 10 incontri Numero dei partecipanti: 15-20 (Sarà attivato nelle città dove si raggiunge tale numero)Certificazione: alla fine dei tre livelli, previo esame, verrà rilasciato un attestato con la qualifica di “master del me-todo” e di “tutor del metodo” dalla “Scuola di Comunicazione di Acqualoreto”.

ISCRIZIONI e INFORMAZIONI cell. 338 8364421 (prof. Minio) tel. 0744 958187 (dott. Di Nicola)

CORSO SULLA STIMA DI SÈI livello

Perchè continuare a vivere senza contatto e privi di ascolto perdendo ogni giorno valore? Da tale condizione scaturisco-no la maggior parte dei disordini psicosomatici, le continue insoddisfazioni relazionali e le mancate affermazioni socia-li. Chi s’immergerà in questo laboratorio di esperienza umana ne uscirà con innegabili effetti psicoterapeutici senza ri-correre all’appuntamento con lo psicologo. In maniera piacevole e giocosa ogni partecipante potrà “revisionare”

II livello

La vita contemporanea sta facendo aumentare sempre più gli italiani che vivono senza stima di sè. L’autostima è la va-lutazione delle informazioni contenute nel concetto di sé che il soggetto tende a mantenere con l’atteggiamento di ap-provazione o disapprovazione e con la convinzione di essere capace o incapace. Ogni giorno la vulnerabilità della stimadi sè la vediamo manifestarsi nel senso di inadeguatezza, nel rapporto difficile con i colleghi, nell’incapacità a reagiredi fronte a situazioni problematiche, nella paura di affrontare gli altri... Che senso ha nutrirsi di “se, forse, ma...“. Il cor-so proposto mira a risolvere questi e altri problemi.

1 - Metodologia della gestione del mondo emozionale

Durata: 5 incontri con esperienze che insegnano a sconfiggere la psicologia del fallimento.I corsi saranno attivati nelle città dove si iscriveranno almeno 10 partecipanti.

Informazioni e iscrizioni: 0743/252063 cell. 338/8364421

5. il concetto di colpa e di errore1. il concetto di conoscenza di sè2. il concetto di amore di sè

3. il concetto di accettazione di sè4. il concetto di fiducia in sè

2 - Pratica dell’autostima

Una rivista aperta a tutto e per tutti che pubblica le idee di chi vuol essere presente con

Se ti tolgono la parola INTERPROFESSIONALITÀ ti presta la sua vocePer informazioni e richieste telefonare:

0743/252063 338/8364421

Antonino Minio

Mediocrità

Percorsi formativi per educatori

Pag. 482 - 20 Pag. 336 - 20

NELL’ISOLA CHE NON C’É

la curiosità

diventa

terapia

C. Aristei, A. Minio, P. Salerno

strumenti psicologici per il mondo degli affetti

Antonino Minio

Superficialità

Pag. 370 - 20

minimalia per la formazione

Fragilità

Antonino Minio

zainetto psicologico per un minimo vitale

Cristina Aristei - Pietro Salerno

Plenitude

Un’esperienza di Comunità per minori

Pag. 220 - 20

Cristina Aristei - Pietro Salerno

Itinere

Conversazioni con gli educatori

Pag. 280 - 20Pag. 550 - 20

esperienze di Comunità:

saggi:

romanzi:

Mario Serra

Luigino

e i segreti della natura

La nuova sede del CePASA

Una delle nuove sedi del Piccolo Carro