Informazioni della Difesa - Rivista 1/2012

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Bim - Ed. Ministero Difesa - € 2,80 - Taxe Perçue PERIODICO DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA N. 1/2012 Difesa. Rigore equità e crescita Il post Gheddafi tra estremismo fondamentalista e minaccia terroristica La transizione in Afghanistan: quale futuro per il Paese Difesa. Rigore equità e crescita Il post Gheddafi tra estremismo fondamentalista e minaccia terroristica La transizione in Afghanistan: quale futuro per il Paese ISSN 2036-9786

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PERIODICO DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA N. 1/2012

Difesa. Rigore equità e crescita

Il post Gheddafi tra estremismo fondamentalistae minaccia terroristica

La transizione in Afghanistan:quale futuro per il Paese

Difesa. Rigore equità e crescita

Il post Gheddafi tra estremismo fondamentalistae minaccia terroristica

La transizione in Afghanistan: quale futuro per il Paese

ISSN 2036-9786

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Chiunque può inviare direttamente alla Direzione i suoi articoli.

Gli scritti, inediti ed esenti da vincoli editoriali, debbono trattare

temi attinenti alla Difesa. È gradito l’invio di foto, disegni, schizzi

e tavole esplicative a corredo degli articoli. La Direzione si riserva

il diritto di cambiare titoli e sottotitoli e di dare all’articolo

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Stato Maggiore della Difesa

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Informazioni della Difesa 1/2012

ROAD MAP

Cari lettoricome ogni settore della nostra società, anche il comparto Difesa è oggetto dellericadute dovute alla crisi economica che investe l’Italia e l’Europa.Nella gestione dei nostri finanziamenti, come un buon padre di famiglia, dobbiamofare i conti con l’esiguità dei fondi assegnati evitando gli sprechi, assegnando le giustepriorità e sacrificando anche le cose più care.“Informazioni della Difesa” è nato come strumento istituzionale per diffondere la“cultura della Difesa”. Un house organ che, attraverso i suoi articoli di analisi, diapprofondimento e di divulgazione, raggiunge gli opinion makers, il mondo culturalee il pubblico in generale, per far comprendere le ragioni per cui una parte del ProdottoInterno Lordo nazionale viene destinato alla Difesa.Ecco perché “Informazioni della Difesa” non ha mai inteso assumere un ruolo“commerciale” ma ha cercato altresì di raggiungere tutti parlando, in manieradivulgativa e mai molto tecnica, di strategia, di attività operative, di tecnologia, dibiodiversità. Nonostante ogni buona volontà, anche ad Informazioni della Difesa, così come a tuttele riviste edite dal Ministero, è stato conferito l’impegno categorico di raggiungere ilpareggio di bilancio entro il 31 dicembre dell’anno in corso. La scelta operata, dettatacome detto da comprensibili ragioni, ci impone adesso di mettere in atto alcunemisure che, speriamo, ottengano la benevola comprensione di tutti voi. Nell’anno che ci separa dal termine ultimo per il raggiungimento dell’obiettivo, siprocederà così all’eliminazione dei supplementi, cosa che ci consentirà di abbattereconsiderevolmente le spese di produzione e di spedizione della rivista. Saremo poicostretti ad aumentare il prezzo dell’abbonamento. Nondimeno, per ora, vogliamochiedere a chi riceve la rivista in forma gratuita, di sottoscrivere l’abbonamento se neha l’interesse. Ci riferiamo anche e, soprattutto, a quelle realtà che ricevono diversecopie della Rivista che distribuiscono poi al proprio interno: ad essi chiediamo disottoscrivere un numero di abbonamenti pari almeno al 50% delle copie che ricevono.A tale scopo troverete nel presente numero di “Informazioni della Difesa” la copia delbollettino prestampato per l’abbonamento annuale del 2012.Infine, allo scopo di recuperare preziose risorse economiche, ci si sta orientando adedicare alcune pagine alla pubblicazione di inserzioni pubblicitarie e a ridurreconsiderevolmente il compenso reso ai nostri articolisti.Una vera e propria “road map” che non avrà solo valenza “economica” ma anchecontenutistica. Tra i nostri obiettivi, infatti, c’è anche quello di ricercare un più profondocontatto con realtà a noi vicine che potranno contribuire a rendere più “appetibile” ericca di contenuti la nostra rivista. Ci riferiamo alle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, alle Rappresentanzemilitari, ai Corpi Bandistici delle F.A., ai Centri Sportivi di F.A., ai frequentatori deiMaster in Giornalismo che la Difesa, insieme ad altre realtà, ha organizzato e continuaa realizzare, a tutti i giovani che hanno partecipato – e a coloro che lo faranno –all’iniziativa “Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane”.A loro, che contatteremo personalmente quanto prima, chiediamo quellacollaborazione che ci consentirà di fare sempre meglio e di raggiungere, alla fine del2012, l’obiettivo prefissato, tagliando insieme il traguardo della nostra-vostra roadmap.

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2 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 1/2012

Informazioni della Difesa 1/2012

Le RubricheNomine 67Osservatorio strategico 68Finestra sul mondo 70Difesa alla Ribalta 72Difesa Notizie 73Rassegna Stampa Estera 76Indice generale 2011 77Recensioni 80

SupplementoLe missioni italianeall’estero

EditorialeRoad map 1Massimo Fogari

Forze ArmateDifesa. Rigore equità e crescita 4Ministro della Difesa, Amm. Giampaolo Di Paola

Panorama InternazionaleIl post Gheddafi tra estremismo fondamentalistae minaccia terroristica 14Arcangelo Marucci

La transizione in Afghanistan: quale futuroper il Paese 22Cristiana Era

Il Nord Africa: fattori d’instabilità e ruolodel terrorismo 30Ida Piampiani e Franco Del Favero

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PERIODICO DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA N. 1/2012

Difesa. Rigore equità e crescita

Il post Gheddafi tra estremismo fondamentalistae minaccia terroristica

La transizione in Afghanistan:quale futuro per il Paese

Difesa. Rigore equità e crescita

Il post Gheddafi tra estremismo fondamentalistae minaccia terroristica

La transizione in Afghanistan: quale futuro per il Paese

ISSN 2036-9786

CopertinaFOB Bala Morghab - Afghanistan

(foto cybernaua)

n. 1/2012Periodico dello

Stato Maggiore della Difesafondato nel 1981

Direttore responsabileGen. B. Massimo Fogari

RedazioneCol. Valter Cassar

Ten. Col. Pier Vittorio Romano1° M.llo Mario Polverino

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SedeVia XX Settembre, 11 - 00187 Roma

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Gli articoli investono la direttaresponsabilità degli autori,

di cui rispecchiano le idee personali.

© Tutti i diritti riservatiRegistrato presso il Tribunale Civile di Roma

il 19 marzo 1982 (n. 105/982)

Cooperazione InternazionaleIl contributo dell’Unione Europea allaSicurezza internazionale 40Andrea Pascali

DirittoPersecuzione politica 48Vincenzo Maria Scarano

StoriaLo statuto di Carlo Alberto e la sua influenza sul Risorgimento 58Patrizio Rapalino

SOMMARIO 3

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Forze Armate

DIFESA RIGORE, EQUITÀ E CRESCITA

Audizione del Ministro della Difesa alle Commissioni congiunte Difesa - Senato della Repubblica - 15 febbraio 2012

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FORZE ARMATE 5

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e De-putati, sono qui oggi ad illustrare gli orien-tamenti del Governo per la ristrutturazione

dello Strumento Militare; proposta alla qualeavevo fatto cenno nella seduta congiunta delloscorso primo dicembre.E’ un impegno, quello del confronto col Parla-mento, che avverto fortemente, perché progettidi ristrutturazione di rilevante portata richiedonoampia condivisione. Questo è del resto il significatodella risoluzione approvata recentemente dallaCommissione Difesa della Camera, che ho con-diviso, che impegna il governo a riferire in Par-lamento sulle linee guida di revisione dello stru-mento militare, tenendo conto del ruolo consultivodel Consiglio Supremo di Difesa. La mia audizionedi oggi, dopo la presentazione al Consiglio Su-premo di Difesa ed al Governo risponde a questaesigenza e a questo impegno.Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati.Le tre linee tracciate dal governo basate surigore, equità e crescita hanno permeato tuttoil lavoro, dando vita a previsioni di provvedimentigraduati nel tempo per far fronte alla ineludibilerealtà dell’austerità finanziaria nonché alle ne-cessarie prospettive di sviluppo e modernizzazionedella Difesa.Illustrerò di seguito gli elementi essenziali dellariforma elaborata per mettervi al corrente deicambiamenti che propongo di apportare allastruttura delle Forze Armate. Lo farò delineando,quello che è il quadro di riferimento geo-strategico nel quale ci troviamo ad operare, co-niugandolo con il momento di eccezionale dif-ficoltà finanziaria ed economica che stiamo at-traversando. La situazione complessiva imponel’adozione di un complesso di misure rilevantied incisive anche nel settore della Difesa. Il quadro geo-strategico si caratterizza per unaelevata fluidità di molti fattori chiave; unafluidità che si traduce, in sostanza, in unaelevata instabilità.Il primo di tali fattori è rappresentato dal mutaredegli equilibri politici ed economici globali, con

l’ormai ben nota ascesa sulla scena globale di“nuove potenze”. Il secondo fattore, che concorre all’instabilitàglobale, è rappresentato dall’emergere di nuovirischi per la sicurezza degli Stati e del sistemainternazionale nella sua globalità, tra i qualirammento il terrorismo internazionale, la crescenteminaccia della proliferazione delle armi di di-struzione di massa e dei loro vettori balistici, lalibertà d’accesso alle risorse ed al loro liberocommercio e la crescente rilevanza della sicurezzacibernetica. Il terzo elemento che concorre all’instabilità èrappresentato dalla velocità del cambiamento,che talvolta fa assumere ai fenomeni caratteri-stiche più simili alla rivoluzione che alla tra-sformazione. La regione Euro-Atlantica è oggi relativamentestabile, ma è circondata da una serie di instabilitàpresenti nell’area del mediterraneo e medio-orientale che in modo diretto e/o indiretto po-tranno vederci coinvolti, basti pensare che le“primavere arabe” sono iniziate a 45 minuti divolo da Roma ed hanno provocato per l’Italiaun grosso afflusso migratorio, richiamando allamemoria gli eventi della crisi albanese del 1991e successiva del 1997.Questa grande instabilità globale e regionale sista sviluppando, inoltre in un periodo di austeritàfiscale per tutti i paesi occidentali che liimpegna ad avviare processi di modifica strutturaledelle proprie organizzazioni di Sicurezza e Difesae dei propri strumenti militari.In particolare, è in corso negli Stati Uniti un ri-dimensionamento quantitativo delle Forze Armatenel momento in cui si va volgendo una maggioreattenzione gravitazionale verso quelle regionidel globo dove più a rischio sono diventati gliinteressi strategici di Washington, quindi l’areadell’Asia e del Pacifico. L’Europa rimane partnerstrategico degli Stati Uniti nel quadro dell’AlleanzaTransatlantica, ma – in estrema sintesi – gli Eu-ropei sono oggi invitati a fare di più, in particolarenell’area euro-mediterranea e medio-orientale.

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6 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 1/2012

Diviene pertanto ineludibile il rafforzamentodelle capacità militari europee e una maggiorcondivisione delle responsabilità e degli onerifra le due sponde dell’Atlantico.Le missioni internazionali di recente presentatea queste Commissioni sotto l’egida ONU, UE eNATO sono il contributo sostanziale del nostropaese alla stabilità internazionale, un contributoessenziale alla politica estera ed al ruolo inter-nazionale del nostro Paese, come autorevolmentedichiarato dal Presidente della Repubblica, dalCapo del governo e dal Ministro degli Esteri.Esse rappresentano anche uno dei modi con cuicontribuiamo ad assicurare la sicurezza e ladifesa dell’Italia e degli Italiani. Perché oggiquesta difesa la si garantisce non solo e nontanto alle frontiere, bensì fuori di esse, adistanza, là dove i rischi e le minacce si manife-stano e si alimentano.Il quadro geo-strategico che ho tracciato è pie-namente condiviso con i nostri alleati, sia inambito atlantico sia dell’Unione Europea. E’proprio da quel quadro condiviso che discendonola pluralità di impegni che la Difesa ha assunto,impegni che L’Italia è chiamata a continuare adonorare.Lo scenario di riferimento per pianificare ilfuturo dello Strumento Militare è, quindi, quellocondiviso nel contesto del sistema dell’UnioneEuropea e dell’Alleanza Atlantica delle qualil’Italia fa parte e che come ci ricorda il Presidentedella Repubblica rappresenta il nostro riferimentofondamentale. Da questo scenario discende ilrequisito di un sistema militare nazionale chesia pienamente interoperabile ed integrabilecon quello degli alleati, quindi tecnologicamenteavanzato, che sia proiettabile là dove necessario,che sia sostenibile.Questi sono i requisiti indispensabili per le nostreForze armate e questi sono gli obiettivi che siintende perseguire in coerenza con il volume dirisorse effettivamente disponibile.L’ancoraggio del nostro strumento militare al-l’evoluzione euro-atlantica deve rappresentare

la nostra Stella Polare. Se vogliamo costruireuna più forte realtà europea di difesa e sicurezzae, quindi, contribuire ad una più solida realtàeuro-atlantica, dobbiamo impostare con coraggioun’incisiva revisione del nostro strumento militareche lo renda:• coerente con l’evoluzione degli strumenti dei

nostri più significativi alleati europei edatlantici, cioè uno strumento interamenteprofessionale, operativamente efficace concapacità operative proiettabili e sostenibilianche a distanza e tecnologicamente avan-zate;

• pienamente interoperabile ed integrabile coni nostri alleati europei ed atlantici più signi-ficativi;

• sostenibile nel tempo e compatibile con lerisorse disponibili.

Solo in questo modo potremo concorrere a co-struire un percorso di una più forte ed integrataidentità europea di difesa e sicurezza ed un piùsolido rapporto transatlantico.Venerdì scorso ad Helsinki, il presidente dellaRepubblica ha detto: “ Siamo stati concentratisulla difesa dell’Euro mentre abbiamo bisognodi Europa in tutti i campi, anche in quello dellapolitica Estera e di Sicurezza Comune.”Questo bisogno d’Europa richiede iniziative eazioni concrete per crearne le condizioni.Questo è ciò che la proposta di ristrutturazionedelle Forze Armate si propone: essere in gradodi esprimere le capacità operative che sono ri-chieste ai suoi membri, in particolare a quellimaggiori dell’Unione Europea e della NATO;queste capacità operative sono di elevato livelloqualitativo e tecnologico e non possono essereschiave delle dimensioni dello strumento; alcontrario il dimensionamento dello Strumentoche è legato alle risorse disponibili, deve esserefunzionale alle capacità operative esprimibili esostenibili.In questo quadro e a fronte di queste esigenze,qual è la situazione del nostro Strumento Militareoggi ed in prospettiva?

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FORZE ARMATE 7

E’ uno Strumento composto tutto da volontari(definito così per legge all’inizio degli anni2000), come quello di tutti i nostri alleati euro-atlantici ma, sovradimensionato rispetto alle ri-sorse disponibili ieri, oggi ed in prospettiva e,quindi, se non si intervenisse, destinato a perdererapidamente l’efficacia operativa a causa delsuo sbilanciamento. Nel periodo 2004-2012 ilPIL italiano è cresciuto in termini monetari del15% (da 1.391 miliardi di Euro a 1.622 miliardidi Euro). Le risorse di bilancio destinate allaFunzione Difesa sono passate nello stesso periododall’1,01% del PIL del 2004 allo 0,84% del PILdel 2012 con una riduzione del 16%. Ciò significache in termini monetari l’incidenza dellaFunzione Difesa è diminuita in 8 anni di oltre il30%. Anche il valore della Funzione Difesa intermini reali è diminuito significativamente.Infatti al calo monetario del 4% dal 2004 al2012 (da 14,1 MLD a 13,6 MLD) va aggiunta laperdita del potere d’acquisto dovuta all’inflazione,che nel settore delle spese militari per il periodo2004-2012 può essere stimata intorno al 20/25%

quindi una diminuzione in termini reali dellafunzione difesa del 25/30%.I dati più recenti (12 gennaio 2012) elaboratidalla European Defence Agency (EDA), unaagenzia europea terza ed indipendente, relativialle spese per la difesa di tutti i paesi Europeiriferiti al bilancio 2010, ci dicono che la mediaeuropea dei bilanci per la difesa, come percentualedel PIL, è di 1,61%. Il dato italiano della FunzioneDifesa nel 2010 era 0,9% (percentuale tra le piùbasse in assoluto). La media europea della spesadel personale rispetto al totale della spesa perla difesa è del 51%; per l’Italia siamo oggi al70%. La media europea della spesa di investimentoper singolo militare è di 26.458 Euro; per l’Italia,invece, è di 16.424 Euro.Inoltre a seguito della legge di stabilità 2011, lafunzione Difesa ha subito una ulteriore riduzionenetta di 1,5 miliardi di euro nel 2012 e com-plessivamente di 3 miliardi nel triennio 2012-2014.Anche considerando il contributo del MISE (1300milioni di Euro) il dato italiano della Funzione

In apertura: il Ministro della Difesa, Amm. Giampaolo Di PaolaSopra: manovre a bordo di Nave Garibaldi (Foto SMM)

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Difesa nel 2012 non cambia significativamente,risultando pari allo 0.92% del PIL , comunquemolto al di sotto della media europea.La conclusione di tutto quanto finora detto è ditutta evidenza: siamo uno strumento “manpo-wer-intensive” e sottocapitalizzato.Qualsiasi struttura organizzata in queste condi-zioni non ha futuro e finirebbe col fare defaultfunzionale, cioè consumare risorse senza produrreoutput e l’output delle Forze Armate sono la lorocapacità operativa. Poiché nel contesto attuale di austerità fiscalenon siamo in condizioni di ricapitalizzare lostrumento, al livello degli altri Paesi europei,l’unica soluzione per salvaguardare l’efficienzae le capacità operative è ridimensionare lo stru-mento in coerenza col capitale disponibile, cioèridurre le sue dimensioni, orientando lo strumentoverso una condizione di sostenibilità e di efficaciaoperativa.Così come l’Europa si è data dei benchmarks fi-nanziari per introdurre la moneta europea, anchenel settore dei bilanci della difesa vi sono deibenchmarks largamente condivisi, sia nel

contesto europeo che atlantico: un riferimentotendenziale al 2% del PIL; un equilibrio nelbilancio difesa tra spese per il personale, speseper l’operatività e spese per l’investimento del-l’ordine del 50/25/25%. Ebbene, a fronte diquesti benchmarks, oggi la realtà italiana èdello 0,9% per il rapporto Funzione Difesa/PIL edi 70/12/18 percento per il bilanciamento tra itre settori (personale, operatività, investimento),a conferma di una ipertrofia dimensionale edipotrofia funzionale del nostro strumento mili-tare.Da questa evidenza fattuale discende l’esigenzadella ristrutturazione delle Forze Armate.Le linee di intervento coerenti col riferimentoeuropeo ed atlantico sono chiare:1) stabilizzare le risorse destinate alla Funzione

Difesa, poiché la Funzione Difesa richiedestabilità pluriennale (almeno decennale).Quindi, guardando al triennio 2012-2014,così come definito dalla legge di stabilità2011, la Funzione Difesa otterrà in mediacirca 14,1 miliardi di Euro. Ebbene, non sichiedono aumenti ma una ragionevole stabilità

Il velivolo F-35A alla cerimonia di inaugurazione il 7 luglio, 2006 - WIKIPEDIA

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programmatica per la Funzione Difesa neldecennio futuro su una base di risorse fi-nanziarie in termini reali coerenti con quellefissate nell’ultima legge di stabilità per ilbiennio 2012-2014 (circa 14,1 miliardi dieuro).

2) Assunto questo valore quale base program-matica di riferimento di medio-lungo termine,si dovrà progressivamente ridurre la spesadel settore personale (tendenzialmente versoil 50%) e riorientare le risorse così ottenutea vantaggio del settore operatività, il più sa-crificato (oggi al 12%) e dell’investimento(oggi al 18%), contando per quest’ultimosettore sul sostegno aggiuntivo del MISE aprogrammi di ricerca e di sviluppo tecnologicidel settore Difesa. Si tratta di un sostegnocoerente e funzionale al tema della crescitae dello sviluppo,uno dei tre cardini dell’azionedel Governo.Il dimensionamento attuale di riferimentodello strumento è di 190.000 militari e 30.000civili. La realtà oggi è di 183.000 militari e30.000 civili circa.Per ricondurre lo strumento ad un dimensio-namento più corretto e sostenibile con le di-sponibilità programmatiche di riferimento,dovremo progressivamente scendere a 150.000militari e 20.000 civili. Una riduzione, cioè,di 43.000 unità, pari a circa il 20%. Comprendobene come una riduzione di tali dimensionisignifichi, in termini aziendali, una ristruttu-razione profonda, che nel mondo dell’impresaverrebbe gestita attraverso gli strumenti dellamobilità e della cassa integrazione straordi-naria.È chiaro che questi sono strumenti non pie-namente disponibili nel mondo statale, perchéi militari e i civili della difesa sono dipendentipubblici, e pur tuttavia rimedi straordinaridevono essere adottati se si vuole risolverela situazione in tempi ragionevoli. Oggi due sono i parametri che nella legislazionevigente per il personale del pubblico impiego

sostanzialmente regolano la dimensione delpersonale: i flussi di ingresso (reclutamento)e i flussi di uscita (esodo naturale per pen-sionamento).Con il punto di partenza attuale (213.000),per arrivare al livello desiderato (170.000)agendo sui soli flussi di ingresso (riduzionedegli arruolamenti del 30%) ci vorranno 20anni.La realtà anagrafica del personale militare ecivile attuale è tale che nel primo decennionon si verificheranno riduzioni significative(173.000 + 27.000 = 200.000). Solo alla finedel secondo decennio si arriverà ai livelli diregime. È chiaro che un andamento di riduzionenaturale così lungo è scarsamente significativo.Bisogna quindi agire non solo sugliingressi (-30%) ma anche sui deflussi (leuscite).Gli strumenti più importanti potenzialmentedisponibili, qualora condivisi, sono la mobilitàverso altre amministrazioni centrali e localie verso la componente civile della Difesa,anche mediante riserve e preferenze, pro-grammi di assistenza al reinserimento nelmondo del lavoro esterno ma anche una piùestesa applicazione dello strumento dellaARQ (Aspettativa per Riduzione Quadri) per imilitari, non escludendo a priori, ove fattibilee conveniente l’applicazione di forme di parttime per talune funzioni e categorie di per-sonale.Le prime tre misure sono state applicate giàin passato, ma con risultati finora relativamentemodesti; quindi il loro effetto è certamenteutile e complementare, ma non decisivo perun più rapido snellimento della dimensionepersonale. L’istituto della ARQ si applica oggisolo agli Ufficiali nei gradi Colonnello/Capitanodi Vascello e Generale/Ammiraglio. Estendendotale istituto anche per gli Ufficiali nel gradodi Tenente Colonnello/Capitano di Fregataed ai Sottufficiali, questa misura consentirebbeun significativo deflusso di personale con-

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sentendo di avvicinarsi più rapidamente allivello di regime del personale militare(150.000) già in un decennio.Modulando opportunamente queste misureod altre che dovessero emergere, le riduzioniverrebbero ad agire non solo sul personale ditruppa (riduzione dei reclutamenti), ma anchesui Generali/Ammiragli, sulla dirigenza e suiquadri Sottufficiali (incremento degli esodi).In particolare per l’alta dirigenza (Generali/Am-miragli a tre stelle) si dovrà prevedere unariduzione superiore alla media dell’altro per-sonale che potrà essere di circa il -30% (da48 a 35) per rendere la dimensione di talelivello più coerente col ridimensionamentocomplessivo dello strumento.La riduzione progressiva degli effettivi dellaDifesa costituisce un percorso doloroso mainevitabile e di impatto sociale, perché perla sua dimensione (43.000 unità) e diversifi-cazione va ad influire su una ampia platea dipersonale. Peraltro è un percorso che si svi-lupperebbe nell’arco di un decennio e più equindi il suo impatto sarebbe diluito neltempo e distribuito su più categorie in misuraequa e trasparente.Il personale è una risorsa primaria per ogniistituzione, ed ancor di più per le ForzeArmate e per la Difesa e pertanto, pur nellaineludibilità e progressività temporale delprovvedimento (circa un decennio), ogni at-tenzione andrà riservata al personale per mi-tigarne per quanto possibile gli effetti. E’ in-dispensabile , quindi, che la Difesa possacontare sull’aiuto e la collaborazione di tuttele Amministrazioni.I tavoli in corso con il Ministro del Lavoroper la revisione del sistema pensionistico peri Dicasteri Difesa e Sicurezza e per la previdenzacomplementare dovranno tener conto dellaspecificità del settore e della ristrutturazionedello Strumento Militare.Dobbiamo apprestare le adeguate garanzieeconomiche, pensionistiche e di reimpiego

per tutto il personale coinvolto nella ristrut-turazione.

3) Settore operatività (esercizio)Per ricondurre il settore operatività (forma-zione/addestramento/ esercitazioni/mante-nimento/dei mezzi/infrastrutturale) a livelliaccettabili bisognerà agire in due direzioni.Poiché in questo settore il rendimento dellaspesa è fornito dal rapporto tra le risorse di-sponibili e le strutture su cui ripartire lerisorse, per aumentare l’efficacia bisogna mi-gliorare questo rapporto agendo sia sul nu-meratore che sul denominatore.Quindi è necessario accrescere il numeratoreattraverso il recupero di risorse dal settorepersonale, ma anche, nel breve-medio termine,ridurre il denominatore, cioè il dimensiona-mento delle strutture, centrali e periferiche.In particolare nel settore delle strutture si ri-durrà il numero delle basi, caserme ed enticontraendo la presenza territoriale su un nu-mero più ristretto di poli di presenza ed uni-ficando per quanto possibile le diverse funzioni(formativa, territoriale/operativa, logistica)che oggi sono molto ramificate sul territorio,questo per tutte le componenti dello strumento(terrestre, marittima e aerea) in un’otticajoint.In questo settore molto complesso, gli studidi dettaglio sono in corso ma l’obiettivominimo è quello di una progressiva macelere riduzione strutturale del settore del-l’ordine del 30% nell’arco di un quinquennioo poco più.Ciò consentirà anche un importante piano didismissioni di immobili ed infrastrutture,qualecontributo alla ristrutturazione della Difesae come concorso al più generale risanamentofinanziario del Paese.

4) Capacità operative/settore investimentoSe da un lato è necessario ricapitalizzare lerisorse destinate all’investimento avvicinandoil settore ad una percentuale più virtuosa del25% del budget, dall’altra è evidente che

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per modernizzare lo strumento operativo conle ridotte capacità finanziarie disponibili, ènecessario ridurre le ambizioni dello strumentooperativo stesso, che dovrà essere più piccoloma operativamente più efficace. Quindi menounità, meno piattaforme, meno mezzi, matecnologicamente più avanzati, realmenteproiettabili ed impiegabili e sostenuti da piùrisorse per l’operatività (esercizio). In sostanzauno strumento più piccolo ma con maggiorequalità e quindi capace di esprimere in realtàuna operatività più qualificata rispetto al-l’attuale.Per la componente terrestre, si ridurranno lebrigate di manovra da 11 a 9, la linea deimezzi pesanti (carri e blindo), la linea deglielicotteri e un numero significativo di unitàper il supporto al combattimento (unità diartiglieria) e logistiche. Per la componentemarittima si contrarranno le linee delle unitàdi altura e costiere (i pattugliatori per esempiosi ridurranno da 18 a 10), dei cacciamine edei sommergibili (da 6 a 4). Per la componenteaeronautica si contrarranno le linee degliaeromobili per la difesa aerea e dei velivoli

della linea aerotattica.Per la crescita qualitativa e tecnologica dellostrumento si procederà a migliorare la com-ponente C4I (Comando e Controllo, Comuni-cazioni, Computer, Informazioni) e le ForzeSpeciali, ad acquisire capacità cyber, a digi-talizzare le unità di manovra terrestri, a mo-dernizzare le linee navali aeree ed elicotteri,e a potenziare la capacità ISTAR (Intelligence,Surveillance, Targeting Acquisition and Re-connaissance), fondamentali per la situationalawareness terrestre, marittima ed aerea esempre più richieste dalla NATO e dall’UnioneEuropea.Detto questo, non posso non fare un riferi-mento al programma più citato, cioè il JSF(Joint Strike Fighter).La realtà è la seguente. La componente ae-rotattica è una elemento indispensabile diogni strumento militare significativo (questovale per tutti gli strumenti dei paesi europeied atlantici di rilievo).Uno strumento militare privo della componenteaerotattica è uno strumento incompiuto, equindi inefficace in qualunque contesto ope-

Carabinieri dell'MSU (Unità Specializzata Multinazionale) in pattuglia

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rativo (vedi Kosovo, Afghanistan, Libia ecc.).Una componente aerotattica operativamentee qualitativamente significativa è quindi unaesigenza operativa indispensabile ed irrinun-ciabile. Oggi la componente aerotattica dellostrumento militare comprende velivoli qualiAMX, TORNADO e AV-8B per un complessodi circa 160 velivoli distribuiti su tre lineeoperative.Questi velivoli nell’arco dei prossimi quindicianni usciranno progressivamente dalla lineaoperativa per vetustà. E’ un fatto di età ana-grafica, perché anche gli aerei vanno in pen-sione ad una certa età e devono essere sosti-tuiti.La sostituzione delle linee aeromobili non sifa in un anno e neanche in dieci, bensì in unarco di almeno un quindicennio. Dieci annifa e successivamente nel tempo, la Difesa edil Parlamento decisero di ammodernare lacomponente aerotattica oggi formata da 3linee diverse, attraverso un unico programma:il JSF, il miglior velivolo aerotattico oggi invia di sviluppo e produzione iniziale (anzi il

solo), un aereo di avanzata tecnologia che ènei programmi di altri dieci paesi europei-atlantici (Stati Uniti, Regno Unito, Danimarca,Norvegia, Olanda, Turchia, Belgio) ed extra-atlantici (Giappone, Australia, Singapore) eche ci consentirà anche una importante sem-plificazione operativa con ricadute economichepositive sulla logistica.È l’aereo che verrà costruito in migliaia diesemplari e che costituirà l’ossatura portantedell’interoperabilità aerotattica euro-atlanticanei prossimi trent’anni.Quindi è una scelta che ha senso, operativa-mente perché ci consente di applicare unconcetto JOINT a due Forze Armate, tecno-logicamente, industrialmente, operativamenteed anche sotto il profilo della comunanza lo-gistica. Grazie alla lungimiranza di chi ci hapreceduto ed agli investimenti fatti (dell’ordinedei 2,5 miliardi di Euro), l’Italia si è posizionatanel programma quale secondo partner indu-striale dopo gli Stati Uniti. E’ quindi un po-tenziale tecnologico, industriale ed occupa-zionale unico su cui l’industria italiana del

Herat - Attivita operativa condotta dalla Task Force Center, su base 66° Rgt Aeromobile "Trieste"

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FORZE ARMATE 13

settore può puntare per predisporsi ad unfuturo ancor più competitivo.Quando entrò nel programma di sviluppo,all’inizio degli anni 2000, l’Italia si pose comeobiettivo programmatico di riferimento unnumero di 131 velivoli di cui circa la metà adecollo convenzionale e la metà a decollocorto e verticale.Le risorse disponibili, ma anche la revisionein chiave riduttiva delle capacità operativesostenibili, suggeriscono di ridimensionarequesti obiettivi programmatici.L’esame fatto a livello tecnico ed operativoporta a ritenere come perseguibile da unpunto di vista operativo e di sostenibilità unobiettivo programmatico dell’ordine dei 90velivoli (circa - 40 velivoli), con una acqui-sizione per lotti, progressiva nel tempo econ una riduzione di spesa, rispetto a quellainizialmente preventivata stimabile dell’ordinedi circa 1/3 degli oneri del programma,quindi una riduzione certamente significativacoerente con l’esigenza di oculata revisionedella spesa.

In conclusione, la riorganizzazione che intendiamocondurre è finalizzata all’ottenimento di unostrumento militare di dimensioni più contenutema più sinergico ed efficiente nell’operatività epienamente integrato nel contesto dell’UnioneEuropea e della NATO, capace di esprimere e disostenere capacità operative adeguate agliscenari di instabilità del quadro geopolitico egeo-economico. La trasformazione richiederà, necessariamente,del tempo e stabilità programmatica. A tal pro-posito, il fattore determinante è rappresentatodal processo di riduzione del personale, al qualedobbiamo porre la massima attenzione e consi-derazione. E’ questa la leva strategica che con-sentirà di dare attuazione alla ristrutturazionedello strumento militare. Qualora si dovesseagire solo sul flusso dei nuovi reclutamenti esul deflusso naturale per anzianità senza metterein atto misure straordinarie di esodo del personale

oggi sovradimensionato rispetto ai livelli diregime individuati come sostenibili, sarebberonecessari, a legislazione vigente, circa ventianni, tempo che ritengo essere troppo lungo ri-spetto alla rapidità dell’evoluzione del quadrointernazionale e della crisi finanziaria per poterprodurre un reale rinnovamento.Abbiamo studiato, pertanto, alcune misure – dicui ho dato i lineamenti essenziali che, seadottate, consentirebbero di avvicinarci signifi-cativamente agli obiettivi prefissati nell’arcodel decennio.Per attuare tali misure, è indispensabile, però,l’ampio sostegno del Parlamento a questa ri-strutturazione presentata dall’Esecutivo e par-ticolare attenzione alle esigenze del personalemilitare e civile della Difesa.A tal fine l’intenzione è di proporre al Parlamentol’adozione di una Legge-delega, nella quale po-tranno essere messi a sistema tutti i necessariinterventi normativi, in un quadro unitario e ra-zionale, coerente con le esigenze di risanamentodelle finanze pubbliche, di attenzione al personalee con le necessità di tutela degli interessinazionali e con il quadro degli impegni interna-zionali.Abbiamo poco tempo davanti a noi per avviarequesta importante – e vorrei dire epocale – re-visione del Sistema Forze Armate. E’ una revisionestrutturale profonda che per ampiezza, incisivitàed impatto sul sistema non ha riscontro connessun’altra revisione finora fatta. Per attuarlaoccorre una ampia condivisione e, ripeto, unaparticolare attenzione nei confronti del personaleche ne verrà affetto.Non pregiudichiamo questa opportunità datroppo tempo attesa e al contempo diamo aquesto settore strategico già significativamentepenalizzato negli ultimi anni, una prospettiva distabilità programmatica di medio-lungo termine:se non aumenti, almeno stabilità e riformeincisive per il bene delle Forze Armate italiane edel loro futuro, in una prospettiva sempre piùeuropea ed atlantica.

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Panorama Internazionale

IL POST GHEDDAFI TRA ESTREMISMO FONDAMENTALISTA

E MINACCIA TERROSTICAARCANGELO MARUCCI

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PANORAMA INTERNAZIONALE 15

Parlare di Libia del dopo Gheddafi è unsalto nel buio suggestivo. A risolvere l’ar-cano, nemmeno potrebbero bastare ai

molti appassionati analisti, i numerosi ma va-riegati indicatori che giungono dal teatro dioperazioni a meno che non si disponga di per-sonali crystall ball. La difficoltà è infatti quella

di mettere tutto in sistema e trarre delle con-clusioni più o meno logiche. Pur con tale effi-mero quadro di situazione, tuttavia, non si puòfare a meno di ipotizzare alcuni scenari futuri.Tra questi, quello che forse preoccupa di più glioccidentali, ma non solo, è il rischio di una de-riva fondamentalista prodromica ad un incre-

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mento della minaccia terroristica di matriceislamica. Ciò può farsi scaturire dall’evidenza dialcuni parametri oggettivi e dai risultati del-l’esame di altri di tipo presunto. Sui primi, bastiinnanzitutto pensare alla bozza della nuova co-stituzione preparata dal Consiglio nazionale ditransizione che colloca la Shari’a alla base delPaese quale Stato islamico, intesa come la leggecoranica che nega i diritti fondamentali dellapersona e legittima la dittatura teocratica. Ciò,in contrapposizione al giusnaturalimo, al dirittonaturale ed al liberalismo, alla loro evoluzioneed al valore attribuito all’individuo ed alla espli-cazione della propria personalità che connotala cultura occidentale. L’accezione non propriamente positiva che sene fa della Shari’a sta nei riflessi che essa hainevitabilmente in tutte le cose. L’Islam, invero,non è solo religione, dottrina e filosofia, l’Islamè anche diritto, politica ed economia. Le leggidel Corano regolano la vita religiosa, morale esociale dei credenti; determinano la vita del sin-golo, quella della comunità, definiscono tuttociò che attiene alla professione del culto mu-sulmano ma anche tutto ciò che attiene al di-ritto e alle leggi applicabili all’uomo, al gruppo,al commercio e al suo sviluppo, ma soprattuttoinfluenzano la politica, il modo di governare egestire un paese e la sua gente. Non tutti, for-tunatamente, applicano allo stesso modo leleggi del Corano. Da un lato vi sono Stati rigi-dissimi nel rispetto della Shari’a tanto che leloro costituzioni sono integralmente ispirate aidettami di Allah, basti pensare all’Arabia Sau-dita, il paese arabo islamico per eccellenza.Dall’altro vi sono paesi, con una visione più laicadella politica e della comunità sociale, che nelleloro costituzioni garantiscono diritti fondamen-tali come la libertà di culto, l’uguaglianza deicittadini rispetto alla legge senza alcuna distin-zione di razza, di sesso e di religione e che sonostati promotori di numerose carte e dichiara-zioni arabe sul riconoscimento e sulla tutela deidiritti umani.

Certamente pur nella consapevolezza della an-zidetta accezione, sta di fatto che al di là dellespeculazioni teoriche poi cogente è riportare iltutto sul piano pragmatico. La stessa consape-volezza è da riporre nell’utilizzo impreciso chenella prassi comune si fa del termine “islamista”spesso associato a quello di “estremista isla-mico” e non come colui che studia ed è cultoredell’islamismo. Così come l’uso dell’aggettivoislamico quale sostantivo al posto di musul-mano. Tale errore semantico, in realtà, è figliodi una percezione negativa atta a indicare i mi-litanti di movimenti radicali di matrice islamicache spesso tracimano nel terrorismo. Non es-sendo quindi sicuramente né giusto né tanto-meno corretto associare tout court il concettodi “fondamentalismo” a quello di “terrorismo”,ancorché gli esempi e i modelli nel relativomondo non giocano tutti propriamente a favoree lascino riflettere, converrà parlare allora difronda jihadista intendendo quell’ala radicalemolto prossima se non già debordata nell’ideo-logia estremista quaidista. In Libia, quarant’annidi regime autoritario hanno lasciato il paeseprivo di partiti politici e ci vorranno diversi anniprima che si formino nuove forze politiche ingrado di rappresentare le varie correnti di unasocietà divisa fra molte tribù. Peraltro, non sem-brano esserci dubbi sul fatto che molti dei “ri-belli” appartengono a gruppi estremisti islamici,il cui fine principale è la creazione di uno Statoislamico non propriamente fondato sulla demo-crazia e i diritti umani. Proprio quest’ultimoaspetto può essere messo in risalto (nel sensoche la dice lunga) se si consideri l’assoluto e ca-tegorico rifiuto del CNT ad accettare la presenzadi forze internazionali sul suolo libico, compresii caschi blu dell’ONU. Malgrado i proclami a fa-vore della democrazia e le pressanti richieste difondi per ricostruire la nuova Libia, il ConsiglioNazionale di Transizione (CNT) non ha mai vo-luto l’interferenza di forze straniere per mante-nere la sicurezza e portare il Paese alle elezioni.Tutto ciò senza peraltro sottacere sulle modalità

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dell’uccisione dell’ex leader libico, circostanzaforiera di ulteriori polemiche e ambiguità pro-babilmente senza fine. Inoltre, la stessa bozzadella futura costituzione afferma all’articolo 1che “la Libia è uno Stato indipendente demo-cratico in cui il popolo è la fonte dell’autorità…L’islam è la religione dello Stato ed è la princi-pale fonte per la legge e la giurisprudenza”. Suesempio di altri Paesi islamici, il testo continuaindicando che “lo Stato garantisce per i nonmusulmani la libertà di praticare i diritti reli-giosi e garantisce il rispetto dei loro sistemi distatus personale”. Sebbene sia ancora unabozza e non avendo quindi ancora subito alcunprocesso di validazione, si può a ragion vedutacomunque notare la contraddittorietà e l’ambi-guità del testo che introduce la Shari’a, dissi-mulandola dietro termini cari alla culturaoccidentale come “libertà” e “diritti”. Non che la Libia non sia già un Paese musul-mano e che l’Islam non fosse stato alla base delsistema politico di Gheddafi, il cui modus ope-randi è tuttavia sin da subito sfociato nell’op-pressione di una dittatura che non ha lasciatospazio di crescita politica e di coinvolgimentopopolare nella guida del paese. Ciò nondimeno,

secondo alcuni osservatori quello che starebbeper avvenire sarebbe, paradossalmente, per certiaspetti un passo indietro rispetto alle aperturedi Gheddafi che con tutte le storture su richia-mate, negli anni, aveva concesso spazio alle re-ligioni non islamiche distaccandosi dai rigidiprecetti della legge coranica. Ed è proprio que-sta angolazione che sottende il rischio attualedi degenerazione nel fondamentalismo.A prescindere da questo primo aspetto di carat-tere oggettivo, come accennato in premessa, acomplicare la futura svolta democratica delPaese vi è la presenza di numerosi assunti cheopportunamente investigati conducono a sce-nari poco confortanti. In primis, la presenza sulterritorio di gruppi jihadisti fra tutti il LibyanIslamic Fighting Group (LIFG) poi sfociato nelMovimento islamico per il cambiamento (IMC).La nascita di tale gruppo si colloca nel contestoreligioso del paese che gioca un ruolo impor-tante poiché il 97% della popolazione è musul-mano sunnita. Ma è con l’avvento di Gheddafinel 1969 che i rapporti tra Stato e religionecambiano radicalmente: dopo un’iniziale “lunadi miele” con le componenti religiose, negli anni‘80 la politica di integrazione tra Islam e socia-

In apertura: il popolo libico celebra la fine del regime di Gheddafi a Piazza dei Martiri a Tripoli (Foto NATO)Sopra: murales a Tripoli (Foto NATO)

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lismo dell’ex leader libico inizia ad essere osteg-giata e considerata “eretica” dai musulmani piùconservatori. A questi ultimi appare peraltroben presto assai chiaramente che tale politicamira proprio ad indebolire gli ambienti religiosie soprattutto gli ulema, nei confronti dei qualiGheddafi non esita a adoperare metodi brutali.In tale quadro nasce il LIFG (sebbene la sua for-mazione venga proclamata ufficialmente solonel 1995) che inizia ad operare in Afghanistandove combatte contro gli invasori sovietici cre-ando campi di addestramento che saranno suc-cessivamente “rilevati” da Osama Bin Laden.Negli anni ‘90 parte dei guerriglieri torna invecein Libia dove attenta più volte ma senza suc-cesso alla vita di Gheddafi. Tra i “terroristi” c’èAbdelhakim Belhaj colui che ha guidato la presadel bunker di Gheddafi di Bab al Aziziya ed è di-venuto comandante militare di tutte le forze ri-belli militari a Tripoli nonché leader delmovimento IMC. Proprio per la presenza tra lefila dei ribelli di personaggi come Belhaj moltiosservatori hanno messo in guardia contro pos-sibili infiltrazioni di al Qaida, o quantomeno distampo fondamentalista nei nuovi assetti sta-tuali libici. Da parte di altri si sottolinea invececome in realtà i membri dell’iniziale LIFG ab-biano ripudiato il Jihad come dimostrerebbe ap-

punto anche il cambiamento della loro deno-minazione in “movimento islamico per il Cam-biamento” (IMC). Al riguardo e ad onor del vero,lo stesso Belhaj avrebbe mostrato toni e atteg-giamenti moderati dopo la vittoria a Tripoli,astenendosi da vendette efferate contro i leali-sti. Sicuramente per l’IMC/LIFG come per altrigruppi di ribelli armati, tre saranno gli scenaripossibili alla fine della guerra: la reintegrazione,sul modello dell’African National Congress inSud Africa o dell’UCK in Kosovo o qualcosa disimile al progetto tentato in Afghanistan di Re-conciliation and Reintegration; l’inclusione po-litica, sul modello dell’OLP, del gruppo islamicoin Egitto (trasformatosi nel partito islamista“Costruzione e Sviluppo”) o di Hezbollah in Li-bano; lo scontro, nel caso non si arrivi ad un ac-cordo tra i ribelli una volta finiti icombattimenti. Tale ultima ipotesi, per la qualediversi analisti paventano margini piuttosto altidi reale concretizzazione, potrebbe vedere l’in-sorgere di una vera e propria guerra civile anchein ragione del ruolo che vorranno assicurarsi levarie componenti o attori coinvolti. Gli stessiBerberi, per esempio, fortemente avranno da ri-vendicare la loro voglia di autonomia e di rico-noscimento della loro cultura, lingua nonessendo disposti a tornarsene sulle montagne e

Bambini che giocano con armi rotte in una discarica (Foto NATO)

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riprendere a vivere nelle condizioni di minoritàcivile e politica imposte da Gheddafi. Il conflitto per il patrimonio della Libia e per isuoi enormi depositi nelle banche occidentali(160 miliardi di dollari secondo le stime più mo-deste) ormai si muove in parallelo con l’altroconflitto per i vertici del potere all’interno delpaese le cui premesse hanno cominciato aemergere in superficie sin da subito, prima an-cora che venissero riconquistate le ultime roc-caforti del colonnello Muammar Gheddafi.Verosimilmente sono gli integralisti islamici,ossia coloro che mirano ad applicare “total-mente” i principi e i dogmi di riferimento nellavita politica, economica e sociale della colletti-vità, che costituiscono la maggioranza schiac-ciante dei ribelli libici. Essi – ed in particolarel’ala più intransigente al loro interno – nutronola sensazione che il CNT li abbia trattati comeinferiori e non abbia dato loro la quota di inca-richi ministeriali e governativi che essi merita-vano all’interno del Consiglio direttivo, che èuna sorta di consiglio ministeriale responsabiledella gestione degli affari del paese. Invero i li-berali laici, che per la maggior parte avevanovissuto all’estero e in Occidente o erano statiministri e alti funzionari del passato regime, sisono accaparrati i più alti incarichi ed hannotrattato con arroganza i comandi islamici sulcampo, i quali nei passati mesi di conflittohanno offerto in sacrificio centinaia, e forse mi-gliaia, di martiri negli scontri con le unità mili-tari di Gheddafi in tutta la Libia. Il CNT hacommesso gravi errori, di cui il principale sem-bra essere stato quello di comportarsi con pre-sunzione e prepotenza non solo nei confrontidella “parte non laica” che ha sopportato il pesomaggiore della rivoluzione contro il deposto re-gime dittatoriale, ma anche nei confronti deipaesi vicini – Algeria ed Egitto – accusati di ap-poggiare Gheddafi, e perfino nei confronti dellasuperpotenza cinese. Per di più, vi sono indiziaddirittura di razzismo laddove alcuni membridel Consiglio, o ad esso affiliati, si sono spinti

ad usare un linguaggio intollerante nei con-fronti di persone di colore sia libici sia africaniin generale, sfruttando l’alibi dell’utilizzo di taligenti quali mercenari da parte di Gheddafi.Un altro fattore da non sottovalutare per unacorretta ricostruzione dell’apparato statalesenza il rischio di derive o pericolose infiltra-zioni, è la mancanza di funzionari, quadri e di-rigenti preparati. Cosi, ancor più difficilmentesi potrà guidare il paese, fondare uno Stato de-mocratico con una magistratura imparziale eindipendente, o porre le basi di una riconcilia-zione nazionale che realizzi le aspirazioni di mi-lioni di libici all’interno di uno Stato fondatosulle istituzioni, sull’uguaglianza, e sui buonirapporti con i paesi vicini.In tale contesto, il Segretario Generale ha confer-mato la necessità di un ruolo centrale dell’ONUnel post-conflict quale figura più idonea al coor-dinamento degli sforzi internazionali. Tale con-cetto viene ribadito nella Ris. 2009/2011 con illancio della Missione UNSMIL e nella successiva2022/2011 che ne ha decretato il rinnovo per tremesi, sino al 16 marzo 2012, necessari al com-pletamento delle attività di valutazione post con-flitto. Il testo definisce inoltre un ampliamentodel mandato per includere il tema della non pro-liferazione e del controllo degli armamenti (MAN-PADS). Al momento è in corso l’elaborazione delLibya Coordinated Needs Assessment (LCNA), fon-damentale anche per definire equilibri e dimen-sione di UNSMIL. In un quadro più ampio, le NUsono impegnate nell’”Integrated Mission PlanningProcess” (IMPP), un processo di analisi e pianifi-cazione mirato a gettare le fondamenta per unapresenza di lungo periodo delle NU nel Paese pro-prio attraverso UNSMIL.Come si potrà notare il quadro di situazionesembra arricchirsi sempre di più man mano chesi introducono elementi di criticità oggettivi ov-vero presunti. Nel merito, e sempre nell’otticadel postulare sul rischio in titolo, non può cer-tamente sottacersi il misterioso e inquietantecaso della sparizione dei lanciarazzi a spalla di

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missili terra-aria, in grado di “agganciare” l’ob-biettivo con un sistema di puntamento a raggiinfrarossi e seguire la fonte di calore prodottadal velivolo puntato. Tale criticità è stata assorbita dalla risoluzionesu richiamata tra i compiti di UNSMIL. Il loroacronimo è MANPADS (man-portable air de-fense system) sono leggeri e letali ma soprat-tutto con il caos libico stanno salendo in cimaall’agenda dell’anti terrorismo internazionale.L’allarme terrorismo, dopo il saccheggio degliarsenali militari del regime di Gheddafi da partedegli insorti, si appunta sul rischio che questearmi finiscano sul mercato nero e da qui nellemani dei terroristi. In effetti si tratterebbe di unappetibile armamentario che potrebbe essereoggetto di mercimonio o messo in mera venditaa disposizione dei migliori acquirenti: al Qaidain primis. Non è difficile supporre chi siano i po-tenziali acquirenti: i qaedisti, l’Hezbollah liba-nese, Hamas a Gaza e chiunque sia deciso adabbattere un aereo passeggeri. La stessa AQMI(al Qaida per il Maghreb islamico) segnata-mente alle cellule sempre più saldamente im-piantate in Nord Africa e, più a sud, in tutta lafascia sahelo-sudanese, dalla Mauritania alMali, al Niger e al Ciad. Proprio questi ultimidue paesi hanno già reso noto che le armi pro-

venienti dalla Libia sono state contrabbandatenei rispettivi Paesi con destinazione al Qaida. Al riguardo, è sintomatico come tempo fa il mi-nistro algerino per gli Affari africani, AbdelQader Masahil, in un’intervista al quotidianoarabo al-Quds al-Arabì, ebbe a esprimere lapropria preoccupazione per la presenza di alQaida tra i ribelli libici e il suo rafforzamentonel paese e soprattutto sul fatto che i terroristiislamici siano riusciti a ottenere armi pesantimolto sofisticate approfittando della guerra inLibia e questo fatto mette in pericolo tutta laregione. Secondo i servizi algerini, il sud dellaLibia sarebbe ormai fuori dal controllo delloStato e l’organizzazione terroristica ne starebbeapprofittando per far arrivare le armi, rubatenelle armerie libiche, nelle sue basi in Mali.Nel processo di costruzione delle nuove istitu-zioni libiche bisogna pertanto far fronte al pro-blema delle divergenze esistenti tra tutti igruppi ribelli, animati da ostilità relative ad an-tiche questioni tribali e da nuove esigenze dipotere in contrasto tra loro (islamisti e laici,conservatori e progressisti, esponenti tribali oetnici); ognuno di essi sempre pronto a riven-dicare e dettare le proprie condizioni allo scopodi accaparrarsi una decisiva fetta di potere. Apiù di un anno dalla rivolta i fedelissimi del vec-

L'equipaggio di Nave Etna presta opera di soccorso ad un barcone con 300 emigranti effettuando evacuazioni mediche a Lampedusa. (SOLAS)

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chio regime insieme alle milizie paramilitarirappresentano ancora le minacce per il futurodel paese. Nessuno vuole perdere il potere con-quistato e nel frattempo si impone l’imperativodi promuovere lo stato di diritto in un Paese daricostruire, con un Consiglio nazionale transi-torio (Cnt) diviso, che deve fare i conti con laperdita di credibilità e le prime elezioni del dopoGheddafi in programma in primavera.Il compito, quindi, non è affatto facile a causadei diversi interessi in ballo e rappresenta la verainsidia sulla stabilità e democraticità delle futureistituzioni libiche. Non sarà inoltre semplice tenere lontano dal po-tere la fronda jihadista che, insieme ai FratelliMusulmani, coltiva ampie attese nella prospet-tiva di governo del Paese. Infatti, la più agguer-rita sfida al pluralismo e laicità della nuova Libiasarà suffragata proprio dalla necessità di evitarela nascita, al centro del Mediterraneo, di unoStato che rischi di essere investito da una derivafondamentalista. In conclusione è importante che in una talecontingenza la Comunità Internazionale agiscacome moltiplicatore della stabilità favorendoneil lento processo. In tale ottica, il Paese che piùdi tutti potrebbe ispirare e favorire un giustoequilibrio tra cultura, religione, secolarismo e

laicità dello Stato è la Turchia. Non è misteroche Erdogan sia stato accolto da sentimenti piùintensi e carichi di significato rispetto a Sar-kozy e Cameron, così come non è altrettantocelato il fatto che la Turchia abbia da tempodeciso di far ricorso al cosiddetto soft power,divenendo in tal modo una fonte d’ispirazioneper regimi politici che vogliono abbandonareregimi dittatoriali a favore della democrazia. Larecente crisi diplomatica con Israele e l’inte-resse mostrato nei confronti della rivolta si-riana contro il regime di Bashir Assad,testimonia il nuovo protagonismo turco nel-l’area mediorientale-nord-africana.Il Re è morto, viva il Re. Ma questa volta l’araldocosa annuncerà sulla nuova Libia? Continueràad essere uno Stato islamico, questo è un datocerto. Ma che tipo di struttura statuale avrà?Quale forma? Quale modello? Riuscirà a disso-ciarsi e respingere l’estremismo di per sé forierodi rischio per i parametri di democraticità? Ilfuturo è incerto per antonomasia ma gli inte-ressi, altissimi per tanti attori, è auspicabile siconvoglino affinché il solco della stabilizzazionesi faccia sempre più netto e assuma i connotatipiù democratici possibili. Come tutte le self-ful-filling prophecies, la speranza c’è per cui nonci resta che aspettare. Insciallah.

Una via dello shopping a Tripoli (Foto NATO)

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Panorama Internazionale

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PANORAMA INTERNAZIONALE 23

LA TRANSIZIONE IN

AFGHANISTAN:QUALE FUTURO PER IL PAESE

CRISTIANA ERA

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Dopo l’annuncio del Presidente Karzai loscorso 21 marzo 2011, l’Afghanistan hadato avvio alla prima fase della transizione

in alcune province e distretti1 – tra cui quello diHerat - preludio ad un prossimo ritiro delle forzeinternazionali dal Paese, previsto indicativamenteper il 2014. Il passaggio delle responsabilitànella gestione della sicurezza da ISAF all’ANSF2

sembra indicare un miglioramento sia delle stessecondizioni di sicurezza, sia del livello di appron-tamento delle forze afghane. In realtà, nonostanteil supporto e l’addestramento di ISAF, l’ANP,l’ANA, l’ANCOP, l’ABP3 e le altre forze non hannoancora raggiunto livelli di capacità operativaadeguati a garantire la protezione della popola-zione da un possibile ritorno al potere dei talebanie a contrastare i narcotrafficanti, la criminalitàcomune e la corruzione ormai diffusa in moltisettori e a vari livelli. Gli innumerevoli casi dicorruzione e di estorsione, per non parlare degliarresti arbitrari per motivi personali riportatispesso dai media afghani,4 non hanno certamentecontribuito in modo positivo allo sviluppo di unrapporto di fiducia tra la popolazione e chi do-vrebbe essere preposto a tutelarne la sicurezza.E’ pur vero che il Governo afghano ha annunciatoun maggiore impegno nella lotta alla corruzione,oltre all’avvio di programmi di alfabetizzazioneper l’ANSF e un incremento dei programmi ad-destrativi e dell’arruolamento di unità aggiuntiveda dispiegare sul territorio.5 Allo stesso tempo il

numero delle truppe afghane è salito a circa 300mila unità, con un obiettivo programmato di352 mila unità entro il 2012.6 Ma allo statoattuale non sembra abbastanza. Solo occasio-nalmente l’ANSF è riuscita – grazie all’apportodecisivo delle forze internazionali – a raggiungerelivelli accettabili di sicurezza in alcune parti delterritorio. Le capacità di controllo del territorio edi intervento rimangono deboli, come dimostral’incremento degli attacchi contro personalitàpolitiche e religiose di spicco. A luglio vi è statal’uccisione del presidente del Consiglio Provincialedi Kandahar(e fratellastro di Karzai), Ahmad WaliKarzai, e di Ghulam Haydar, sindaco di Kandahar.Per il clamore pubblico sollevato e le conseguentipolemiche a livello politico7, questi attentati nonhanno certo favorito il Governo in un momentoin cui risulta fondamentale per Karzai promuoverel’immagine di un esecutivo efficiente che ha ilcontrollo del territorio e che è in grado di man-tenere condizioni di sicurezza tali da permettereil consolidamento delle istituzioni e dello statodi diritto.Il programma di ricostruzione dell’Afghanistanprocede in modo frammentato e si appoggiaquasi totalmente sull’apporto fornito dalla co-munità internazionale che, attraverso progettimirati (che riguardano la professionalizzazionesoprattutto della parte femminile della popolazione,la costruzione di scuole ed ospedali, ponti, strade,pozzi e sistemi di irrigazione), cerca di sostenere

1 La prima fase della transizione ha toccato le province di Bamyan, Kabul (eccetto il distretto di Sarobi), Panjshir, i comuni e rispettivi distrettidi Herat, Mazar-e-Sharif, Mehtarlam and Lashkar Gah. In queste aree le azioni degli insorti sono proseguite nel tentativo di mettere in risaltola difficoltà delle forze governative di riuscire a mantenere la sicurezza. “The situation in Afghanistan and its implications for internationalpeace and security – Report of the Secretary General”, UN SG Report on Afghanistan, September 21, 2011.

2 Afghan National Security Force3 Afghan National Police, Afghan National Army, Afghan National Civil Order Police e Afghan Border Police. Sono le varie forze di sicurezza che

collettivamente vengono indicate come ANSF.4 I media afghani, laddove esistenti, riportano sovente notizie di casi di corruzione, di clientelismo, di tangenti, di violenze e di altre violazioni

dei diritti perpetrate dall’ANSF, soprattutto nei villaggi, dove un controllo sul loro operato è più difficile. Anche in assenza di casi di corruzione,non sempre le forze di polizia sono riuscite a proteggere la popolazione dagli attacchi dei talebani e dalla criminalità organizzata già moltodiffusa, sia per la mancanza di mezzi per contrastare l’illegalità, sia per la mancanza di forze sufficienti a coprire l’intero territorio, creandocosì delle aree dove la legge del più forte si impone. Alla popolazione afghana non sfugge che l’ANSF non ha a disposizione i mezzi e l’adde-stramento sufficiente per garantire la sicurezza in maniera costante ed efficace, per questo motivo molti si oppongono al ritiro delle truppeISAF, che vedono come le sole in grado di impedire il ritorno della violenza in tutto il Paese. Notizie su casi di corruzione da parte di poliziottie militari afghani sono apparsi sui media nazionali e locali, come l’emittente nazionale RTA, la principale agenzia di stampa AJC (http://ajc.af/)e sulle radio, che in Afghanistan rappresentano il mezzo di comunicazione più diffuso.

5 Si veda il discorso di Karzai sull’incremento pianificato di 200 mila unità, http://tolonews.com, 22 marzo 2011; Itefaq-e-Islam, 9 marzo 20116 C.J. Radin, “Funding the Afghan National Security Forces”, Long War Journal, 16 settembre 20117 A seguito dell’attentato al Ministero della Difesa, molti senatori hanno chiesto le dimissioni del Ministro per incapacità ed ha provocato

dibattiti accesi all’interno della Camera degli Anziani, la Meshrano Jirga.

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la stabilità del Governo in carica. Ma i progettispesso tengono conto di aree di particolare in-teresse, trascurando altre zone, per lo più quellepovere e paradossalmente più bisognose che di-ventano, pertanto, delle zone rifugio (safe havens)dove i Talebani possono più agevolmente sfruttareil malcontento locale con una propaganda voltaa sottolineare l’assenza del governo e delle isti-tuzioni. I progetti a macchia di leopardo rischianodunque di avere un impatto inferiore alle aspet-tative. A questo vanno aggiunte le accuse dicorruzione nei confronti di amministratori localiche spesso dirottano i fondi destinati a taliprogetti verso attività personali o comunquelegate alla propria famiglia, clan o cerchia diamicizie. La situazione economica del Paese,l’assenza di infrastrutture che permettano losviluppo della piccola industria e i problemi conle strutture amministrative che ostacolano l’af-fermarsi del concetto di istituzione legittima

nella cultura e nella mente degli afghani impe-discono anche che la popolazione guardi alfuturo in modo positivo. L’oppio, inoltre, continuaad essere una delle piaghe maggiori che affliggonol’Afghanistan. Nel corso del 2011, gli sforzi delleautorità per sradicare e contrastare la coltivazionee l’uso di oppio si sono intensificati. Secondo idati delle Nazioni Unite e del Ministero per laLotta al Narcotraffico, la distruzione dei campidi oppio è aumentata del 65%, interessando 18province rispetto alle 11 del 2010. Significativa-mente, però, il numero degli incidenti verificatisidurante le operazioni di eliminazione delle colti-vazioni condotte dalle forze di sicurezza afghanesupportate da ISAF è aumentato di 4 volte: lesquadre incaricate infatti sono state attaccate48 volte rispetto alle 12 dello scorso anno.8 Ladistruzione delle coltivazioni e una diminuzionedella produzione dovuta alla diffusione di unamalattia della pianta, hanno fatto sì che il prezzo

In apertura: cingolato Dardo in movimento nella provincia di FarahSopra: Hamid Karzai con il Segretario Generale dell'ONU, Ban ki Moon e il Segretario Generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen al Sumit di Lisbona di novembre 2010

8 “The situation in Afghanistan and its implications for international peace and security – Report of the Secretary General”, UN SG Report onAfghanistan, September 21, 2011.

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dell’oppio crescesse del 104% e questo ha ridatoimpulso alla coltivazione stessa. Inoltre le difficoltàincontrate dai coltivatori nel convertire i campidi oppio in coltivazioni alternative dovute aduna carenza di strutture adeguate di irrigazione,ai mancati sussidi promessi dal Governo per so-stenere i costi di riconversione, i rendimenti in-sufficienti delle nuove coltivazioni, stanno nuo-vamente indirizzando i coltivatori verso un ritornoall’oppio come fonte sicura di reddito.9

La necessità di porre fine ai decenni di conflittoe di procedere con la riunificazione del Paese haspinto il Governo afghano a mettere in piedi unprocesso di reintegrazione dei talebani (per lapolicy del politically correct ora definiti “com-battenti”) nella società afghana. L’Afghan Peaceand Reintegration Program (APRP) risponde, nelleintenzioni delle autorità, al duplice bisogno diincoraggiare le defezioni tra le fila dei combattentie di pacificare il territorio offrendo la possibilitàdi reintegrarsi nella comunità a coloro che si

sono uniti alle forze talebane per mancanza dilavoro o per l’assenza di un Governo che rispondeai bisogni della popolazione. L’intero processo direintegrazione, però, pur propagandando unaimmagine positiva di un Governo impegnatonella ricostruzione e nella stabilizzazione delPaese, presenta molti limiti. L’APRP, infatti, èuna iniziativa che prevede la presenza di unastruttura articolata di enti a livello locale incaricatidi seguire e far accogliere nuovamente gli excombattenti nelle rispettive comunità di appar-tenenza, fornendo a queste ultime l’appoggio ele risorse necessarie per reinserirli a pieno titolonella struttura sociale e – soprattutto – economica.Questi enti non sono ancora presenti in tutti idistretti e in tutte le province con un conseguenterallentamento del processo sul quale invece do-vrebbe concentrarsi un’azione governativa rapidaed incisiva. Negli ultimi sei mesi il numero dicombattenti che hanno deciso di abbandonarela lotta è cresciuto.10

In Afghanistan i soldati italiani accolgono la popolazione locale per attività sanitarie

9 Gol Ahmad Ehsan, “Helmand Farmers Threaten Return To Opium”, IWPR, 19 settembre 201110 Alla fine di luglio 2374 insorti hanno accettato l’APRP, 431 in più rispetto al mese precedente. “The situation in Afghanistan and its implications

for international peace and security – Report of the Secretary General”, UN SG Report on Afghanistan, September 21, 2011.

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Ma alla prima fase, quella dell’ufficializzazionedella resa, non hanno fatto seguito (nella stra-grande maggioranza dei casi) la seconda e laterza fase: la registrazione di coloro che ab-bandonano la lotta armata e l’avvio di trainingformativi e professionali per reinserirli nelmondo del lavoro; e la realizzazione di progettia favore della comunità che li accoglie (costru-zione di ponti, strade, pozzi, scuole, ospedali ealtri progetti di cooperazione allo sviluppo).La buona riuscita dell’APRP è comunque unelemento fondamentale per la transizione eper uno sviluppo costante e sostenibile dell’Af-ghanistan. Su questo punto e sulle capacità diguidare il processo di transizione verso un con-solidamento si giocherà anche l’immagine delgoverno di Karzai . Ma l’uccisione del Presidentedell’High Peace Council, Burhanuddin Rabbani,avvenuta lo scorso 20 settembre, rischia di rin-fiammare gli animi e di annullare i piccoli pro-gressi faticosamente raggiunti fino ad ora.11

L’High Peace Council è il principale organo pre-posto alla supervisione e al coordinamento delprocesso di pace e di reintegrazione dei Talebani,ma sin dall’inizio della sua attività ha speri-mentato numerose divisioni interne, non riu-scendo a parlare con un’unica voce.12 Su questopunto si possono fare due considerazioni. Laprima: Rabbani è solo uno delle ultime personalitàdi rilievo di etnia tagika e appartenente all’Al-leanza del Nord che ha combattuto contro iTalebani ad essere ucciso durante il 2011, a di-mostrazione che il conflitto etnico non è ancoradel tutto sedato e può riesplodere facilmentein condizioni di indebolimento della legittimitàdel GIRoA.13 Nel solo mese di settembre gli at-tacchi alle forze governative e alla comunitàinternazionale si sono intensificati, basti ricordareil camion bomba esploso nella provincia diMaidan Wardak, i razzi lanciati contro la base

americana di Bagram e l’attentato contro ilVice Presidente del Senato afghano, RafiullahAfghan.14 Sembrerebbe quindi che fino a questomomento il governo non sia stato in grado digarantire un livello di sicurezza tale da consentireun consolidamento della transizione e dellagovernance. La seconda considerazione è quelladel fallimento della politica di negoziazionecon i Talebani, tanto cara agli Stati Uniti, chenel corso dell’anno hanno fatto pressioni ed in-trapreso varie iniziative per cercare di portareavanti i negoziati di pace.15 L’idea dei negoziatie del reinserimento dei talebani nella vitasociale e politica dell’Afghanistan non ha ricevutoconsenso unanime all’interno delle forze go-vernative e dall’opposizione (soprattutto daparte dei gruppi non appartenenti all’etnia pa-shtun). D’altra parte, non vi è chi non veda che il coin-volgimento di alcuni esponenti talebani nelletrattative rappresenta più un tentativo diprendere tempo e di sfruttare le risorse e gliaiuti messi a disposizione dal governo e dallacomunità internazionale che non una effettivavolontà di partecipare alla pacificazione del-l’Afghanistan. Inoltre, l’intensificarsi degliattentati contro personalità di rilievo, le violenzeperpetrate contro le comunità locali che cercanodi affrancarsi dall’influenza talebana sostenendoil progresso e l’emancipazione, gli attacchicontro le imprese e le persone che collaboranoa vario titolo con le forze ISAF e i rapimenti –spesso seguiti dalle uccisioni - degli elder deivillaggi o delle figure religiose che appoggianole politiche governative o che accettano gliaiuti degli stranieri, sembrano avvalorare latesi che la transizione sia un processo ancoraestremamente fragile e che le forze talebanestanno cercando di riorganizzarsi aspettandol’annunciato ritiro di ISAF, sapendo che Karzai

11 “Afghanistan to probe Rabbani killing”, AFP, 25 settembre 2011.12 8 AM, 11 maggio 2011.13 Government of the Islamic Republic of Afghanistan.14 http://www.rai.it/dl/grr/notizie/ContentItem-610b77bf-bc6c-4f5b-a044-7d5b0b5a03d8.html15 In maggio gli Stati Uniti hanno avviato unilateralmente dei negoziati con alcuni esponenti talebani in Qatar, escludendo però dagli incontri

sia il governo pakistano che quello afghano.

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e le forze di sicurezza nazionali non riuscirannoa mantenere il controllo sul territorio e sullapopolazione.La stabilizzazione e un possibile consolidamentodelle istituzioni e dello stato di diritto sono in-fluenzati anche dalle dinamiche e dagli interessiinternazionali che coinvolgono gli Stati confinanti,in particolare il Pakistan e l’Iran. Pur ricevendopressioni dal Governo statunitense e dalla co-munità internazionale, fino a questo momentoil Pakistan non ha collaborato attivamente nelsostenere la pacificazione dell’Afghanistan. E’noto da tempo che la regione settentrionalepakistana al confine con l’Afghanistan dà asiloa gruppi di talebani che da lì riescono a riorga-nizzarsi sia per infiltrarsi in Afghanistan sia pereffettuare incursioni, forti dell’appoggio dellapopolazione locale, anch’essa di etnia pashtun.La questione dei confini della linea Durand cheha diviso in due l’area geografica abitata daipashtun16 continua ad essere fonte di instabilitàper l’Afghanistan e certamente non giova airapporti bilaterali tra i due Paesi. L’Afghanistanha spesso accusato il Pakistan di fomentare leproteste contro il Governo legittimo di Kabulall’interno dei propri confini e di non fare ab-bastanza per combattere i terroristi che hannole basi sul suo territorio. Le modalità con cui siè svolta l’operazione, che lo scorso maggio haportato all’uccisione di Bin Laden da parte delleforze statunitensi (e di cui il Pakistan era statotenuto all’oscuro), sono state un’ulteriore con-ferma – semmai ve ne fosse stato bisogno -che effettivamente l’attività dei talebani trovaun forte punto di appoggio in questo Paese eche le stesse fonti di intelligence pakistanehanno al loro interno collaboratori di al-Qaidae dei talebani,17 rendendo improbabile che vipossa essere una decisa volontà politica di

estirpare le roccaforti dei terroristi dal proprioterritorio. Ma anche l’Iran ha forti interessi inAfghanistan. Il confine tra i due Paesi è innan-zitutto un punto di passaggio per l’oppio e peril flusso di profughi afghani che si recano inIran con la speranza di trovare condizioni divita migliori. Sono, questi, fattori potenzialmentedestabilizzanti che Teheran cerca di teneresotto controllo. Inoltre l’Iran non vede di buonocchio l’influenza degli Stati Uniti nell’area. Lapresenza delle truppe statunitensi e l’ipotesiventilata negli ultimi mesi di poter lasciaredelle basi permanenti in Afghanistan ha sollevatol’opposizione e le proteste di Teheran che spera,invece, nel disimpegno a breve termine degliamericani e quindi di tutta la NATO. L’aumentodella presenza americana nell’area occidentale,quella sotto il controllo di RC-West, è sicuramenteelemento di disturbo per gli interessi e l’influenzairaniani che sono concentrati proprio nella zonaoccidentale con la quale confina e che comprendeanche una città come Herat, sviluppata e rela-tivamente stabile dal punto di vista dellasicurezza e della governance. Nel quadro generale non vanno dimenticatialtri attori come l’India, la Russia e la Cina. Purin un’ottica di minore visibilità, tutti questiPaesi sono anch’essi parte del “Grande Gioco”in versione moderna. L’India e la Cina, potenzeemergenti dell’area, con una economia in con-tinua espansione hanno crescenti necessitàenergetiche. La costruzione di gasdotti nell’areaper l’importazione di gas dall’Iran, dalla Russiao dal Turkmenistan diventa una questione dirilevanza geopolitica oltre che economica. GliStati Uniti, anch’essi interessati allo sfruttamentodelle risorse energetiche dell’area, premono na-turalmente per soluzioni che possano favorirela propria presenza nell’area e contempora-

16 Si fa spesso riferimento al “Pashtunistan”, un’ampia zona che comprende il sud dell’Afghanistan e il nord del Pakistan abitata quasi esclusi-vamente dai pashtun e che venne divisa nel 1893 in seguito agli accordi presi da Sir Mortimer Durand, Segretario degli Esteri del Raj Britannicoe dall’Emiro afghano Abdur Rahman Kahn. Tali accordi definirono i confini tra l’attuale Afghanistan e il Pakistan.

17 Gli Stati Uniti hanno accusato l’intelligence pakistana di aver appoggiato gli attacchi da parte del gruppo terroristico Haqqani nel settembrescorso a Kabul, accuse rigettate dal Direttore Generale dell’ISI Shuja Pasha. Qaiser Yousafzai, “Pakistan to expand ties with Afghanistan”, Pa-jhwok, 30 settembre 2011; “The Afghan Taliban says it supports Haqqani, not Pakistan”, CNN, 29 settembre 2011. Secondo il Presidente Karzaie il governo di Nuova Dehli, il Pakistan avrebbe responsabilità anche per quanto riguarda l’assassinio di Rabbani.

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neamente il contenimento dell’Iran. E questesoluzioni passano per il territorio afghano.18

Ancora una volta l’Afghanistan si ritrova alcentro degli interessi di delle potenze regionali.La presenza di grandi giacimenti di minerali edi risorse energetiche in Asia centrale e il po-tenziale derivante dagli sbocchi commercialifanno dell’Afghanistan (anch’esso ricco di gia-cimenti ancora da sfruttare per la mancanza difinanziamenti e tecnologie adeguate) lo scac-chiere su cui si giocano gli interessi dei Paesidell’area e degli Stati Uniti. La stabilizzazionedell’Afghanistan non può non risentire di questeinfluenze, tanto più in presenza di un Governoancora fragile che, come abbiamo visto, fafatica ad acquisire legittimità nei confrontidella popolazione. Per avere successo la transizione ha bisogno ditempo e di condizioni minime di sicurezza chegarantiscano la ripresa e lo sviluppo di unaeconomia ancora prevalentemente agricola, laquale possa garantire ad una popolazione conun alto tasso di povertà di poter soddisfare i

bisogni primari e accedere ai servizi di base. Leforze di sicurezza hanno bisogno di essere ad-destrate, equipaggiate, istruite e riorganizzate.Tutto questo avrà un costo elevato, che Kabulda sola non è in grado di coprire e richiedetempi lunghi. Infine, Karzai riesce con moltadifficoltà a tenere insieme una coalizione conposizioni divise in merito alla pacificazione ealla politica della reintegrazione così comedella presenza delle forze internazionali sulterritorio. I gruppi talebani sembrano aver capitoche il processo di consolidamento del potereistituzionale non ha portato a risultati irreversibilie la scelta di una data del ritiro delle truppe in-ternazionali se da un lato rafforza la posizionedi Karzai di fronte a coloro che chiedono a granvoce il ritiro degli stranieri, dall’altro favoriscela strategia dei gruppi terroristici che si riorga-nizzano in attesa dell’avvicinarsi di tale scadenza.Alla luce di queste considerazioni, appare evi-dente che la fragilità della fase della transizionee le persistenti divisioni interne rendono loStato afghano ancora una volta facile predadei più svariati interessi a livello internazionalecostringendolo ad assumere posizioni con-traddittorie come quella di chiedere il ritirodella presenza militare internazionale pur do-vendo ancora dipendere pesantemente daquesta per impedire una nuova escalation diviolenza. I giocatori in campo sono cambiati(con l’eccezione della Russia), ma il GrandeGioco continua.

Il Presidente del Consiglio Mario Monti con il Presidente afganoHamid Karzai (Foto governo.it)

Bakwa,Task Force South East, alpino del 7¯ Reggimento

18 Per altri dettagli si veda Francesco Brunello Zanitti, “Il gasdotto Iran-Pakistan e i diversi interessi in gioco”.

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Panorama Internazionale

IL NORD AFRICA: FATTORID’INSTABILITÀ

E RUOLO DEL TERRORISMOIDA PIAMPIANI E FRANCO DEL FAVERO

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Il Nord Africa fra tentativi di riforme e problemi strutturali

Gli eventi della cosiddetta “Primavera Araba”hanno riportato l’attenzione della ComunitàInternazionale sul bacino del Mediterraneo

in generale e sull’Africa Settentrionale in particolare.Nello specifico, l’attenzione degli analisti è con-centrata principalmente sulle possibili relazioniesistenti fra i tre principali fattori “storici” d’instabilitàdella regione: l’integralismo religioso, il terrorismo1

e, non ultima, la crescente esigenza di riformestrutturali in campo politico, sociale ed economico.Prima di analizzare l’aspetto relativo alle aspettativedi riforme democratiche che, in quanto disattese,sono state considerate come il motivo principalealla base delle “rivoluzioni” che hanno letteralmente“spazzato via” regimi ultradecennali, che sembravanodestinati a perdurare seguendo una successionedinastica, è necessario soffermare l’attenzione sualcuni dei problemi strutturali – incidenti sullecondizioni elementari di vita della popolazione –che affliggono i Paesi della Regione e che, difronte all’inazione della maggioranza dei governi,rendono le richieste di riforme in campo politicoed economico ancora più pressanti.La popolazione con le sue dinamiche, comevedremo, rappresenta, o meglio dovrebbe rappre-sentare, il fulcro attorno al quale ruota l’intero si-stema economico e sociale regionale. Sotto l’aspettodelle condizioni fondamentali di vita dei cittadini,ovvero della human security2, la Regione presentaperò numerosi fattori di rischio legati prevalente-mente, anche se non esclusivamente, ai fortisquilibri di natura ambientale. La human security,nella formulazione adottata dalle Nazioni Unite, èconsiderata la “retroguardia”, ovvero la condizionedi base, dello sviluppo. In altri termini, quindi, non

1 Il riferimento diretto è al ruolo della leadership egiziana all’internodi Al Qaeda ed alla successione di Osama Bin Laden, anche se nonpuò essere trascurato il ruolo del network jihadista operante in NordAfrica negli attacchi terroristici di Madrid del 2004 e di Londra del-l’anno successivo.

2 Le Nazioni Unite definiscono la human security come la situazionein cui “gli esseri umani sono liberi da minacce intense, estensive,prolungate e generalizzate alla loro vita ed alla loro libertà”.

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ci può essere sviluppo senza che vengano soddisfattele condizioni minimali di human security. D’altrocanto, una “sicurezza” senza prospettive di sviluppoè una situazione fragile, transitoria, destinata,prima o poi, ad entrare in crisi.Nel 2009 lo United Nation Development Programme(UNDP), attraverso l’Ufficio Regionale per i PaesiArabi, ha pubblicato la quinta edizione dello ArabHuman Development Report. Nella sua prima edi-zione, del 2002, il Report aveva individuato tredeficit strutturali dei Paesi del mondo arabo (tra iquali l’Algeria, l’Egitto, la Libia, la Mauritania, ilMarocco e la Tunisia) in termini di partecipazionepolitica e libertà civili, emancipazione femminilee ruolo della donna nella società, ricerca scientificae sviluppo tecnologico. In base all’analisi degli in-dicatori utilizzati dagli autori del Report tre deficitrisultavano presenti, seppure con modalità diverse,in tutti i Paesi presi in esame.Il Report del 2009, confermando sostanzialmentela situazione del 2002 per quanto attiene ai tredeficit, ha inoltre individuato ben sette “dimensioni”della minaccia alla human security. In estremasintesi si tratta di problemi associati alla crescenteed incontrollata pressione demografica, al sovra-sfruttamento delle terre coltivabili, all’impoverimentodelle risorse idriche ed alla progressiva desertifi-cazione. Pur non volendo sottovalutare nessunodei problemi messi in evidenza dal Report, l’aspettoche si ritiene opportuno approfondire per le con-seguenze che, già a partire dal breve periodo, po-trebbe avere sulla sicurezza regionale ed interna-zionale è quello relativo alla pressione demografica.Il 60% della popolazione dei Paesi oggetto distudio, infatti, è composta da giovani di etàinferiore ai 25 anni. La maggioranza di questagiovane popolazione vive attualmente nelle città(il 55%), a differenza di quanto avveniva neglianni ’70 quando soltanto il 38% viveva in areeurbane. Le proiezioni riferite al 2020 stimano lapercentuale della popolazione concentrata nellecittà superiore al 60%. Il Report evidenzia inoltrecome la situazione igienico-sanitaria dei principali

centri urbani della Regione – attualmente già benoltre il livello di attenzione – sia destinata adiventare critica nel breve-medio periodo, con leinevitabili e prevedibili conseguenze sotto il profilodella sicurezza e della stabilità regionale. Un pro-blema direttamente connesso a quello dell’incre-mento demografico e della concentrazione pro-gressiva della popolazione nei centri urbani èquello della scarsità di risorse idriche. Soltanto il43% degli oltre 270 miliardi di metri cubi d’acquaconsumati annualmente nella Regione provieneinfatti da sorgenti localizzate all’interno della Re-gione stessa. Il restante 57% proviene da sorgentiche si trovano in Paesi vicini o confinanti (quali,ad esempio, il Sudan per l’Egitto) con i qualivengono più o meno regolarmente stipulati degliaccordi internazionali per lo sfruttamento incomune delle risorse idriche.Di fronte a questi problemi ed alle minacce adessi associate i governi non sembrano essere statiin grado sinora di adottare efficaci strategie. IlReport 2009 evidenzia come esista infatti unmarcato gap tra le esigenze/aspettative della po-polazione e le misure effettivamente poste inessere dai governi, anche se la distanza tra attesee realtà non è poi la stessa in tutti i Paesi oggettodi studio3. Pertanto, di fronte all’inerzia dei governinel cercare soluzioni efficaci per i numerosiproblemi della Regione, il rischio principale che ilReport individua è quello rappresentato dalla “po-larizzazione”/“estremizzazione” delle posizioni esi-stenti tra le diverse componenti del tessuto politicoe sociale dei Paesi arabi. Questa polarizzazione, in un contesto sinora ca-ratterizzato da una certa assenza di risposte daparte dei governi nei confronti delle richieste diriforme da parte della popolazione, è, sempre se-condo il Report, la condizione “ottimale” da cuipotrebbero prendere avvio ed alimentarsi tensioniinterne, disordini e conflitti armati anche su vastascala. Per quanto attiene all’aspetto delle riformeistituzionali cui si accennava in precedenza,l’Algeria e il Marocco sono stati i Paesi nei quali

3 Arab Human Development Report 2009, pag.76

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prima degli altri4 hanno preso avvio dei tentatividi riforme in senso democratico e, forse proprioper questo motivo, sono stati toccati marginalmentedagli avvenimenti della “Primavera Araba”. In par-ticolare, per quanto riguarda l’Algeria5, un recentestudio elaborato da Ann Wyman e Icaro Rebolledoper la rivista Astenia ha posto in evidenza comeuna forma seppur embrionale di pluralismo de-mocratico, anche se nel quadro di una situazioneeconomica niente affatto favorevole, sia statasufficiente ad evitare il verificarsi di situazioni as-similabili a quelle di Tunisia ed Egitto. I tentatividi riforme democratiche – siano stati portati omeno a termine – se, come si è visto nel caso del-l’Algeria, sembrano essere stati sufficienti a tenerea fuori dai confini nazionali i movimenti di protestadella “Primavera Araba”, hanno invece rappresentatoin passato l’occasione per la nascita e l’affermazionedi gruppi fondamentalisti di ispirazione religiosa.In Egitto, ad esempio, il movimento della “FratellanzaMusulmana”, mai integrato nel sistema politiconazionale, si è affermato negli anni ‘70 durante ilperiodo delle riforme in campo politico ed economico(la cosiddetta infitah) del presidente Sadat. InAlgeria, analogamente, il “Fronte Islamico di Sal-vezza” (FIS), prima ammesso a partecipare allecompetizioni elettorali e successivamente dichiaratofuori legge, si è consolidato durante la fase dellaliberalizzazione in campo politico ed economicopromossa dal governo agli inizi degli anni ‘906. Gliesempi di Egitto ed Algeria, Paesi nei quali igruppo radicali di ispirazione religiosa si sono af-fermati proprio in fasi di apertura democratica,impongono quindi un approfondimento su quellache è la vera natura dei movimenti politici di ispi-razione religiosa presenti nei maggiori Paesi dallasponda Sud del Mediterraneo. Cercando limitarel’analisi ai caratteri principali, è possibile affermareche, mentre nel recente passato, la maggior partedei movimenti d’opposizione ai regimi al potere

tendeva a confondere obiettivi religiosi e scopi dinatura politica, attualmente esiste una marcatadistinzione, almeno dal punto di vista formale, intermini di programmi7. Di conseguenza il nessomovimento di opposizione-radicalismo religioso-terrorismo che aveva giustificato azioni ancheestremamente repressive da parte dei governi incarica nei confronti di tali movimenti, al momentoattuale, sembra essere molto meno forte che inpassato.L’evoluzione in senso meno radicale – almeno dalpunto di vista formale – di alcuni tra i principalimovimenti politici d’ispirazione religiosa consentequindi di spostare l’attenzione su quello che po-trebbe, ammesso che già non lo sia, principalefattore d’instabilità regionale. Nel citato studioWyman-Rebolledo per Aspenia, tra le “questioni-chiave” da valutare nei Paesi MENA (Middle East– North Africa)8 emerge nettamente quello legatoall’elevata disoccupazione giovanile, in alcuniPaesi addirittura superiore al 40%.Il dato del PIL pro-capite, che spesso in passato èstato utilizzato come un dato inconfutabile percomprendere i motivi di certi squilibri regionali,non è chiaramente in grado di spiegare, adesempio, la ragione per cui siano sorti dei movimentiinsurrezionali sia in Tunisia dove il PIL è di 3.500dollari, sia in Libia dove il PIL è triplo rispetto aldato tunisino. Un dato di gran lunga più utilequindi, anche alla luce dei fatti, per cercare dileggere gli avvenimenti della “Primavera Araba”è, come si è già detto in precedenza, quello delladisoccupazione giovanile, dato legato direttamenteall’aspetto anagrafico di cui si è già diffusamenteparlato. L’età media nei Paesi oggetto d’analisi è,infatti, di circa 26 anni, con punte di 22,6 anni inGiordania e di 27 in Iran. Il dato riferito alla di-soccupazione giovanile è pari a circa il 30%, conuna percentuale superiore al 45% in Algeria. Lacrisi che, dal 2008, ha investito tutte i principali

4 International Crisis Group (ICG), Islamism in North Africa I: the Legacies of History, “Middle East and North Africa Briefing”, Bruxelles, 2004, pag. 1.5 L’alta disoccupazione giovanile (oltre il 45%), ad esempio, colloca l’Algeria (con il Marocco) agli ultimi posti della relativa classifica dei Paesi del

Nord Africa e del Medio Oriente.6 CG, op. cit., pag. 1.7 ICG, op. cit., pag. 2.8 Nello specifico: Algeria, Bahrein, Arabia Saudita, Giordania, Libia, Marocco, Iran e Yemen.

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mercati mondiali non ha chiaramente risparmiatoanche le economie emergenti dei Paesi dell’Africasettentrionale, le quali risultano però molto piùvulnerabili di altre alle oscillazioni dei prezzi ali-mentari9. In questa situazione, la crescente offertadi lavoro, soprattutto giovanile e non qualificata,ha avuto come unica ed inevitabile conseguenzail crollo dei salari, questi ultimi già colpiti dallacrescente inflazione. Questi dati da soli appaionoquindi più che sufficienti a spiegare l’inerzia daparte dei governi dei principali Paesi nordafricaninell’azione di contrasto all’immigrazione clandestinaverso l’Italia e gli altri Paesi dell’Unione Europea.

Le origini della jihad in Nord Africa e i legami tra i gruppi terroristici

Il terrorismo di stampo jihadista non nasce nelNord Africa, ma qui trova linfa vitale ormai dadiversi anni. La “Primavera Araba” potrebbe, anostro giudizio, rappresentare una sorta di velotale da confondere quelle che, da tempo, sono ledinamiche socio-economiche che contraddistin-guono quest’area e che rappresentando una sortadi humus grazie al quale lo scontento potrebbe

alimentarsi, andando ad accrescere le fila di coloroche si riconoscono nel fondamentalismo e nel ra-dicalismo. Sono stati proprio questi ultimi dueelementi ad essersi fortemente sviluppati, in questavasta Regione vicinissima all’Europa, già partiredegli inizi degli anni Ottanta. All’epoca il focus deicombattenti per la jihad, per i “veri credenti”,seppure posto a centinaia di chilometri di distanza,era l’Afghanistan. Risale, infatti, a quel decenniol’occupazione del Paese da parte dell’Unione So-vietica. Tale evento risvegliava non solo il giustoorgoglio delle popolazioni locali che volevano sol-levarsi contro le forze d’occupazione, ma ancheun sentimento profondamente distorto che, ancoraoggi, si nutre di odio nei confronti degli Stati nonsolo a nord del Mediterraneo, ma occidentali ingenere, dove la qualità della vita era ed è migliore.Questa “situazione-simbolo” dell’Afghanistan oc-cupato (com’è, di fatto, anche quella del conflit-toisraelo-palestinese), aveva permesso la comparsae l’affermazione di alcuni leader religiosi che cer-cavano nell’Islam delle origini la giustificazionedelle forme di lotta più cruda e senza regole, qualiil terrorismo, interpretata dai propri fautori comeautentica e lecita forma di jihad contro i “non

In apertura: l'acqua è una risorsa importante per i paesi del nord Africa - UN Photo - A RozbergSopra: l'accesso alle risorse idriche rappresenta un grosso problema per le popolazioni africane. UN Photo - Kibae Park

9 In Algeria, ad esempio, i generi alimentari rappresentano il 43% del paniere dei prezzi.

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credenti”10. Il contesto trasformava quindi gli oc-cidentali in “infedeli”, i governi arabi vicini aquesti ultimi come “deboli” o “non musulmani”, iterroristi in mujaheddin (guerrieri santi), i “verimusulmani” come coloro in grado di battersi per-sonalmente oppure, nel caso in cui non potesserofarlo direttamente, attraverso la zakat (l’offertaper la “causa”) devoluta alla jihad. Lontano dalpunto di vista geografico, ma ideologicamenteprossimo all’Afghanistan che lottava contro l’oc-cupazione sovietica, il Nord Africa diventa, apartire dai primissimi anni ‘80, un bacino recluta-mento per giovani che non avevano timore dimettere a repentaglio la propria vita per la jihad.Terminata quindi nel 1989 l’occupazione dell’Af-ghanistan da parte dell’Armata Rossa, i mujaheddinprovenienti dal Nord Africa devono cercare altriluoghi dove, a colpi di Kalashnikov, difenderel’Islam autentico da minacce vere o presunte.La jihad diventa quindi globale ben prima dell’11settembre 200111. La mappa dei conflitti a cuiprendono parte i combattenti originari del NordAfrica diventati veterani in Afghanistan si allargacomprendendo la Cecenia, i Balcani, i Territoripalestinesi, gli Stati Uniti e l’Europa occidentale.Questo accade mentre, negli stessi anni, il Nord,ma anche molti Stati del’Africa centrale e meri-dionale sono retti da regimi dittatoriali legati “adoppio filo” con industrie occidentali secondomodalità pseudo-coloniali, retaggio di un passato“che non passa” e che raramente ha portatoqualche vantaggio al continente in cerca disviluppo. In questo contesto, molti maghrebini,ma anche coloro che vivevano nel Mashreq, deci-dono di mettere le loro povere cose in una borsa,in un sacco e, nei casi più fortunati, in una valigiaper emigrare in Europa, soprattutto in Francia,Gran Bretagna e Belgio. In questi Paesi, infatti, lecomunità islamiche sono oggi particolarmentenumerose e ben strutturate. Le migrazioni prove-

nienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente – di cuisi era parlato in precedenza, mettendole in relazionecon il problema della crescente disoccupazionegiovanile – quindi esistono da anni, ma si sonoparticolarmente intensificate a partire dall’iniziodel 2011, in concomitanza dei forti sconvolgimentituttora in atto nella Regione. Tale situazione staportando migliaia di persone a riversarsi sullecoste italiane, ma molte di esse, come già inpassato, utilizzano l’Italia come luogo di transitoverso gli Stati del centro e nord Europa12.Tra gli innumerevoli disperati in cerca di una vitamigliore, esistono, inevitabilmente, anche colorolegati, o quanto meno, “sensibili” al richiamo di AlQaeda e a quello della shari’a (Legge di Dio),intesa però secondo interpretazioni soggettive edestremiste di stampo radicale che nulla hanno ache vedere con il Corano e la Sunna (di quest’ultimaraccolta degli hadith di Maometto ne esistonovarie versioni, come quella sunnita, o sciita). Dalpunto di vista della militanza religiosa con obiettivipolitici, ciò che si verifica nel Nord Africa, apartire dagli anni Ottanta, è una progressiva radi-calizzazione − in Tunisia e in Marocco con un an-damento più altalenante − alimentata, tra glialtri fattori endogeni, dai conflitti in corso nei dueepicentri per antonomasia, vale a dire l’Afghanistane la Palestina.Per quanto attiene alla radicalizzazione dei movi-menti d’ispirazione religiosa, due nazioni partico-larmente importanti e cruciali sono l’Egitto el’Algeria. La Libia, invece, prima che il regime diGheddafi entrasse in crisi, si presentava all’Europae al mondo come una sorta di “diga” (la cuiefficacia era ed è difficilmente valutabile) controla jihad e l’incontrollato flusso migratorio. Ciò cheè comunque certo è che Gheddafi ha per decennidovuto fronteggiare, come oppositore al propriopotere, il Libyan Islamic Fighting Group (LIFG),formato, come quasi tutti i movimenti terroristici

10 Guolo, Renzo, Il Partito di Dio. L’Islam radicale contro l’Occidente, Guerini e Associati, Milano, 2004, pag. 28.11 Per una descrizione del fenomeno nel periodo antecedente all’attacco al World Trade Center vedasi: Tosini, Domenico, Terrorismo e antiterrorismo

nel XXI secolo, Laterza, Roma-Bari, 2007.12 Cfr. Centro Militare di Studi Strategici, Ricerca 2010, “Flussi migratori nel Mediterraneo: per una strategia internazionale di integrazione e difesa,

con particolare riguardo per la situazione italiana”, CASD, Roma, 2010.

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della Regione, da ex combattenti per la causa af-ghana e rientrati in patria nei primi anni Novanta.Il LIFG, legato alla ben più articolata organizzazioneterroristica di Al Qaeda nel Maghreb Islamico(AQMI), in questi ultimi mesi, secondo alcunefonti, si sarebbe unito ai ribelli per contribuire arovesciare il potere del rais.È l’Egitto, però, a rivestire il ruolo di maggiore ri-levanza, dal punto di vista del radicalismo religioso,rispetto alle nazioni limitrofe. Qui, nel 1928,nasceva la Fratellanza Musulmana che avevacome obiettivi l’opposizione all’occidentalizzazione,il recupero dei principi dell’Islam e lo sfruttamentoda parte del popolo arabo del Canale di Suez13.Pur non avendo un’origine fondamentalista, conil trascorrere dei decenni, la Fratellanza ha vistoalcune proprie frange avvicinarsi al gruppo AlJihad (attivo dai tardi anni ‘70 e, attualmente,elencato dalle Nazioni Unite tra le entità appar-tenenti o associate ad Al Qaeda).Sembrerebbe, inoltre, che alle elezioni politiche inEgitto, previste il prossimo autunno, la Fratellanzaentri in una coalizione guidata da Amr Moussa,ex ministro degli Esteri sotto il governo di Mubarake potente Segretario della Lega Araba. Mentrealcuni media locali vedono in lui il possibilevincitore, il Parlamento Europeo solleva le proprieperplessità in quanto l’autorità governativa egizianaprovvisoria, il Supreme Council of Armed Forces(SCAF), rifiuta la presenza di osservatori occidentali,per verificare la correttezza delle operazioni divoto, durante la sessione elettorale. Secondoalcuni analisti, questo sarebbe un chiaro segnaleper agevolare la Fratellanza nell’ascesa al potere.Intanto, dopo gli avvenimenti di Piazza Tahrir, iconfini tra Egitto e Israele non sono più controllaticome prima, permettendo il movimento quasi in-disturbato di armi verso Hamas (costola dellaFratellanza) nella Striscia di Gaza e di centinaia dimigranti clandestini egiziani. In tempi recenti si èrilevato inoltre che, proprio nelle zone del Sinai ea ridosso dei confini con Israele, Al Qaeda sta at-tuando una nuova azione di disturbo mirata a far

incrinare i rapporti, finora ottimi, tra i due Stati.L’Egitto, perciò, risulta quindi essere il vero agodella bilancia in grado di modificare gli equilibrinon solo del Nord Africa, ma dell’intero MedioOriente, avendo la possibilità di scatenare una re-crudescenza del terrorismo nell’area, oppure diostacolarla.In questo scenario non si può non considerarel’Algeria che, in passato come oggi, è uno deiluoghi dove il terrorismo di matrice salafita è piùradicato. Ricordiamo che quest’ultimo è, attual-mente, il più potente ed organizzato non solo nelNord Africa, ma anche in tutto il Medio Oriente(in particolare a Gaza). Il terrorismo di radicesalafita è diventato parte integrante di Al Qaedaattraverso l’organizzazione denominata Al Qaedanel Maghreb Islamico (AQMI), nota anche comeGruppo Salafita per la predicazione e il combatti-mento (GSPC). L’AQMI è attualmente guidata dalgiovane ingegnere algerino Abdelmalek Droukdelche avrebbe come mentore il medico egiziano Al-Zawahiri, nuovo “Numero Uno” di Al Qaeda. Nonmeno rilevante è stato il rapporto tra Droukdel eAl-Zarquawi di cui, probabilmente, è il successore.L’AQMI sembrerebbe nato per volontà dello stessoBin Laden quando, a causa del forte indebolimentodel GIA (Gruppo Islamico Armato), la jihad nelNord Africa sembrava perdere vigore. A sua volta,il GIA, come il Libyan Islamic Fighting Group, eranato dal rientro dei guerriglieri algerini nel loroPaese, dopo aver combattuto in Afghanistancontro le truppe sovietiche. Alcuni dei reduci sa-rebbero poi passati dal GIA, che non ha comunquecessato di esistere, all’ AQMI.Legato all’AQMI, tramite la rete di Al Qaeda, èanche il Gruppo Combattente Islamico Marocchino(GCIM). Si tratta una cellula costantemente attiva,nata, sempre come gli altri gruppi, dall’esperienzaafghana degli anni Ottanta. Al GCIM sono statifatti risalire gli attentati di Madrid dell’11 marzodel 2004, mentre quelli di Casablanca sarebberostati effettuati da gruppi salatiti minori ad essocollegati. Si tratta degli attacchi avvenuti nel

13 Guolo, op. cit., pag.18.

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2003 e nel 2007 (anno in cui esiste una concomi-tanza con gli attentati in Algeria ad operadell’AQMI). In Marocco, inoltre, esistono radicatie complessi rapporti con l’Arabia Saudita da doveè stata “esportata” la cultura wahabita, partico-larmente ortodossa e rigida riguardo i precettidell’Islam. Tale tendenza verso l’ortodossia si rivelaimportante soprattutto nella gestione del poterefinanziario di istituti di credito che seguono le di-sposizioni della zakat, contribuendo nella sostanza,insieme ad altri sistemi, a rimpinguare le cassedel terrore. Sempre legato all’AQMI, ma con scarsecapacità organizzative, è il Jama’a CombattanteTunisienne (JCT) che si trova, appunto, in Tunisia.Il JCT, secondo autorevoli fonti d’intelligence sem-brerebbe in grado di agire solo a supporto di ope-razioni organizzate da cellule più grandi.Per quanto riguarda la capacità di portare atermine azioni terroristiche fuori dai confininazionali, Il il JCT (ma anche il GCIM) sembrerebbeavere una buona conoscenza della realtà belga edi quella italiana in particolare, conoscenza chepotrebbe essere “messa a disposizione” di gruppimilitarmente più organizzati appartenenti allo

stesso network jihadista. La rete dei gruppi com-battente per la jihad in Nord Africa sembra esserestata particolarmente scossa non solo dagli avve-nimenti dalla “Primavera Araba”, ma anche del-l’uccisione di Osama Bin Laden, avvenuta a maggiodi quest’anno nel proprio rifugio nella North WestFrontier Province in Pakistan.Analisti di tutto il mondo hanno tentato di dareun’interpretazione plausibile a quelle che possonoessere le ricadute su tutta l’organizzazione di AlQaeda dell’uccisione dello “Sceicco del Terrore”.Una tendenza diffusa, soprattutto nei paesi an-glosassoni, è quella di evidenziare una sorta di di-sgregazione del potere che non deve intendersicome un suo annullamento, bensì come una di-stribuzione dello stesso in senso più orizzontaleche verticale.Da una serie di documenti rinvenuti durantediverse indagini in Europa durante i primi anni2000, la struttura di Al Qaeda che si potevaricavare era di tipo fortemente gerarchico, prati-camente piramidale e regolata da norme ferreeche prevedevano anche l’addestramento militare.Lo sviluppo “orizzontale” darebbe una nuova

Il ristorante Argana sulla piazza Jamaâ El Fna di Marrakech - 2004

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forma al fenomeno Al Qaeda. Qui si prospettal’ipotesi del franchising, inteso da alcuni studiosiproprio come un allargamento delle maglie dellarete, i cui nodi (ovvero le cellule) si trovano adavere maggiore libertà d’azione.Altri ancora sostengono invece che il franchisingsia solo legato al web, dove “schegge impazzite”si riconoscono nell’assurdità del terrorismo jihadista,emulandone le modalità d’azione e condividendonegli obiettivi, senza però un coordinamento unitario.Negli Stati Uniti, dopo la scomparsa di Bin Laden,sta prendendo piede anche un’altra teoria chevedeAl Qaeda scomposta secondo cinque livelli di im-portanza a cui corrisponderebbero altrettante ca-pacità decisionali: quello di vertice a cui appar-terrebbero i nomi di spicco, come quello di Al-Za-wahiri, e presente soprattutto in Pakistan e Af-ghanistan; a seguire il livello occupato dai gruppiaffiliati che ricevono armi, denaro e formazioneda Al Qaeda, come l’AQMI; in sott’ordine il livellodei gruppi alleati che non sono membri formali diAl Qaeda, ma che ci collaborano quando gliinteressi di entrambe le parti convergono (comeAl Shabaab che opera in Somalia); c’è poi il livellodelle piccole reti dove solo alcuni elementi sonodirettamente collegati ad Al Qaeda e che solitamenteinglobano combattenti che hanno avuto esperienzanei Balcani, in Cecenia, in Afghanistan e in Iraq;infine, il livello più lontano da quello di vertice,dove troviamo persone che condividono l’odio diAl Qaeda per l’occidente. Tale ipotesi, se confermata,

dovrebbe indurre il Vecchio Continente a prendereatto che, in un probabile e non remoto futuro, AlQaeda potrebbe annidarsi ed emergere a pochichilometri dalle proprie coste. L’Europa, perciò,dovrebbe dimostrare una maggiore attenzione epartecipare più attivamente al lungo processo ditransizione a cui si sta avviando il Nord Africa,mettendo le basi effettive per un nuovo sistemasicurezza nell’intera area mediterranea.L’AQMI, con il suo giovane capo AbdelmalekDrukdel, risulterebbe essere, per il momento, lamaggiore organizzazione jihadista di stamposalafita in grado di poter reperire fondi, pianificaree organizzare attentati non solo in Africa, maanche in Occidente ed in Europa in particolare.Ottimi e trasversali sono, infatti, i legami familiarie d’interessi che l’AQMI possiede sulla spondaSud del Mediterraneo; anche se non possonoessere trascurate le relazioni esistenti con lecellule “in sonno” presenti anche nel centro-nordEuropa.

Possibili sviluppi futuri dello jihadismo nel Nord Africa e il ruolo dell’Europa

Per comprendere lo jihadismo in Nord Africa nonsi può prescindere da una valutazione socioculturalee storica dell’area. Come si è visto precedentemente,quest’area è da sempre profondamente condizionatadagli eventi del conflitto israelo-palestinese, maanche da quanto accadde in Afghanistan durantel’occupazione sovietica, e da quanto sta avvenendoin quel Paese. Queste due “situazioni simbolo”, per i terroristi,costituiscono l’alibi per giustificare i loro attacchinei confronti dell’Occidente, visto da loro comeinvadente e ingerente nei confronti del mondoarabo. Europa e Stati Uniti sono, sempre secondoi nuovi mujaheddin, l’origine dei soprusi a cui essistessi cercano di contrapporsi in nome di unalibera e, in alcuni casi, capovolta interpretazionedell’Islam. A tale proposito, esempi sono: gliattacchi suicidi meritevoli di gioie eterne nell’aldilà;le continue fatwa o incitamenti al disprezzo del-

Addestramento di Unita malesi per attivita antiterroristiche

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l’Occidente corrotto, contrapponendolo ai principie alla condotta di Maometto; l’orgoglio diffuso daparte delle famiglie dei martiri di averli nel loroalbero genealogico e il rispetto nei loro riguardida parte della comunità che ne avvalorano i gestinell’ottica dei “martiri contro gli infedeli”; il denarodevoluto dalle organizzazioni terroristiche aiparenti degli attentatori perché si sono sacrificatiper un bene più alto; infine l’opposizione al diversocome un recupero dei valori originari dell’Islamche possono condurre a migliori condizioni di vitanon solo sotto l’aspetto religioso, ma anche eco-nomico e sociale. Queste sono solo alcune delleirragionevoli motivazioni che aiutano lo jihadismosopravvivere. Quali sono i motivi per cui quest’ultimo riesce adattecchire e a trovare continuamente linfa vitalein Nord Africa? Le cause principali sono la povertà,che rischia di acuirsi a causa della costantecrescita demografica e dell’aumento del costodelle derrate alimentari, l’analfabetismo e l’ignoranza,il vuoto di controllo istituzionale e delle forze diPolizia locali, soprattutto nelle numerose areeimpervie ed isolate dove, spesso, trovano rifugio iterroristi. In questo contesto si collocano gli av-venimenti della “Primavera Araba” che, di fatto,portano il Nord Africa a un bivio: la scelta tra so-luzioni governative più democratiche (anche segli eventi in Afghanistan e Palestina possono mo-dificarne gli esisti), compatibilmente con i luoghie le tradizioni, oppure tra quelle radicali. Assolu-tamente determinanti saranno le elezioni in Egittoi cui esiti potrebbero fare da traino a sceltepolitiche similari nei Paesi limitrofi. La Libia, infine,avrà un ruolo importante, ricordando che tra iribelli si sarebbe mossa anche l’organizzazioneterroristica autoctona legata ad Al Qaeda, nonescludendo l’ipotesi di un futuro governo post-Gheddafi, tra cui potrebbero esserci anche rap-presentanti di tale organizzazione. Ciò che staemergendo, come si è visto all’inizio di questabreve analisi, è una ferma volontà delle popolazioni

locali di autodeterminarsi, di rimpossessarsi delloro destino costruendo governi che più si attaglinoalle reali necessità dei rispettivi Paesi. Tali operazioni,però, non avvengono repentinamente, ma sonofrutto di lunghi processi che portano a nuoviequilibri attraverso varie stagioni. Queste fasidelicate che contraddistingueranno il Nord Africanei prossimi anni richiederanno da parte dell’Europauna presenza effettiva “di sostegno” a un’evoluzioneche deve trovare il proprio sviluppo naturale, ten-tando di non interferire direttamente. Qui sono ingioco la stabilità e la sicurezza del Mediterraneo,la fiducia ed il consenso del Nord Africa verso ilVecchio Continente e l’Occidente in generale.Niente sarebbe più efficace contro gli alibi dellojihadismodi un’Europa che sappia essere presentesenza condizionare, aiutare senza prevaricare −prediligendo strumenti di soft power e di sostegnosociale − collaborando altresì al mantenimentodella sicurezza, di un’Europa più attenta rispettoal passato alle dinamiche oltreconfine. Il softpower richiede l’applicazione di nuove soluzioniche si adattino alle circostanze in cambiamentoproprio come l’acqua, secondo un famoso aforismadi Sun Tzu: “La natura dell’acqua è abbandonarel’alto e raccogliersi in basso […]. La terra determinail corso dell’acqua, il nemico determina la vittoria”e, quindi, l’importanza di adattarsi ad esso e diconoscerlo. Se il terrorismo, perciò, è stato definito come un“camaleonte”, l’Occidente non può pensare dicontrastarlo attraverso soluzioni rigide oppureomologabili ai vari Stati. Aiutare la transizione inNord Africa per scongiurare il rischio di derive ra-dicali, potrebbe implicare l’uso, anche se in manieradiversa e “a geometria variabile”, di tutti glistrumenti del potere nazionale14, irrobustendo adesempio l’intelligence e diminuendo il peso dellearmi, perchè il gioco della sicurezza in questearee sarà sempre più una partita che l’Occidentedovrà giocare con la mente e il cuore, per lementi ed i cuori.

14 L’acronimo anglosassone DIME-FIL indica il complesso degli strumenti del potere nazionale: diplomatici, informativi, militari, economici, finanziari,etc.

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Cooperazione Internazionale

IL CONTRIBUTO DELL’UNIONEEUROPEA ALLA SICUREZZA

INTERNAZIONALEANDREA PASCALI

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Affrontare l’argomento della sicurezza in re-lazione all’Unione Europea può sembrareun paradosso: di tutte le prerogative degli

Stati, la politica in materia di sicurezza e difesacostituisce indubbiamente quella che più difficil-mente si presta ad un approccio collettivo e,tuttavia, dopo la moneta unica, è in questo settoreche l’Unione ha realizzato nell’ultimo decennio i

progressi più rapidi e spettacolari. Indubbiamentesi tratta di un processo ancora ampiamente in di-venire e che presenta alcune criticità che progres-sivamente gli Stati Membri e le istituzioni europeedevono necessariamente affrontare. Nessunoavrebbe osato scommettere che l’Unione avrebbepresto avuto responsabilità dirette in materia digestione delle crisi e una serie di organi politico-militari permanenti. Tuttavia, queste, costituisconoormai realtà tangibili in seno all’Unione. Durantela guerra fredda la difesa dal pericolo sovietico èstata ricercata nell’unica organizzazione che potesseeffettivamente dare agli europei la sicurezza dicui avevano bisogno: la NATO. Dopo il fallimentodell’ambiziosa CED1 e la scarsa incisività della CPE,i cambiamenti internazionali aprirono delle riflessioniin Europa. Fu così che si arrivò alla firma dell’AttoUnico Europeo il quale, tra le altre cose, istituzio-nalizzava la CPE e comprendeva per la prima voltain assoluto il termine “sicurezza” nei Trattati. E’ apartire da questo momento che inizia il movimentodella vecchia CPE dall’area prettamente confederaleverso l’area di cooperazione comunitaria (sovra-nazionale), tipica della teoria neofunzionalista. Inrealtà, come si può comprendere analizzando glisviluppi istituzionali della PESC, tale movimentoavrà un andamento pendolare, avvicinandosi o al-lontanandosi dall’area comunitaria/sovranazionalea seconda della volontà degli Stati Membri diaderire o meno alle decisioni prese in ambitoPESC, il cui carattere rimane in buona parte vo-lontaristico e legalmente non vincolante. Questoera l’assetto istituzionale con il quale l’Europa sitrovò ad affrontare cambiamenti epocali come ilcrollo del Muro di Berlino e la riunificazionetedesca. Su questa situazione di notevole incertezzadegli orizzonti politici si innestarono eventi comela Guerra del Golfo e l’instabilità della ex-Jugoslavia,i quali contribuirono a mettere in luce le difficoltàdi azione europea. In questo quadro si giunse il 7Febbraio 1992 alla firma del Trattato di Maastricht.Il nuovo assetto prevedeva una regolamentazionediversa per i tre macrosettori denominati “pilastri”.

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1 Per conoscere il significato degli acronimi utilizzati nell’articolo, vedi http://www.biblioteche.unical.it/SIGLARIO%20%20A-Z.pdf

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La differenza sostanziale riguardava il metodo:nel pilastro PESC il metodo comunitario lasciava ilposto a quello intergovernativo, in cui le decisionivenivano prese all’unanimità in sede di Consiglio.Il motivo principale, tralasciando le pressioniesterne, era che gli Stati volevano mantenere ilcontrollo delle politiche maggiormente caratterizzantila sovranità nazionale. Gli strumenti introdottiformalmente erano del tutto potenziali tanto chealcuni definirono il TUE in materia di sicurezzacome “un contenitore vuoto”. La vera novità era,semmai, rappresentata dalla completa istituzio-nalizzazione della PESC nel Titolo V del TUE.Un’altra novità era costituita dalla possibilità didefinire una difesa comune affiancando così l’ele-mento militare a quello politico-istituzionale. At-traverso questo schema si voleva passare da un“circolo vizioso” ad un “circolo virtuoso dellaPESC” attraverso procedure istituzionalizzate recantimaggiore efficacia, efficienza e credibilità dell’UE.E’ questa un’illusione che durerà qualche mese,poco dopo si metterà in moto, infatti, il processoper rivedere il TUE e comincerà la redazione delsuccessivo Trattato di Amsterdam (1997). Nonostanteciò, è d’obbligo apprezzare la nuova dimensionepolitica dell’Unione. Se nel passato la CPE si era,infatti, concentrata, seppur raramente, nell’impiegodi strumenti di diplomazia negativa certamentenon aveva fornito strumenti di pressione/dissuasionemilitare, che invece risultavano presenti nel TUE,seppur allo stato ancora embrionale, ovvero dasviluppare. La UEO tenne il 19 Giugno 1992, vicinoBonn, un Consiglio dei Ministri i cui lavori si con-clusero con la firma della Dichiarazione di Petersberg.Il punto fondamentale, all’interno della Dichiarazione,riguarda gli obiettivi che gli stati membri si pro-ponevano di raggiungere: i cd. “Obiettivi di Peter-sberg”. A tal fine gli stati s’impegnarono a renderedisponibili, al comando UEO, unità militarmentecomplete in grado di svolgere le specifiche missioniindividuate. Al Consiglio sarebbe spettata l’autoritàdi deciderne l’impiego, ferma restando la possibilitàper gli stati di decidere se partecipare o meno allesingole missioni. L’eventuale dispiegamento delle

missioni UEO, si affermava poi, avrebbero dovutorispettare i cd. Obiettivi di Petersberg per poteresser attivate: missioni umanitarie, peace-keepingoperations e missioni tese al ristabilimento dellapace. Così facendo, gli obiettivi definivano esplici-tamente le missioni a cui la UEO avrebbe potutopartecipare e, di conseguenza, si definivano gliambiti per l’azione dell’Unione in attuazione delpilastro PESC. Il futuro era però legato e vincolatodal passato sia dal punto di vista culturale chestrutturale, sul quale si innestavano problemi diinteroperabilità NATO-UE. Proprio la consapevolezza dell’imprescindibile ruolodell’Alleanza Atlantica, sia per pressioni politicheesercitate degli Stati Uniti sia per ragioni politico-operative europee, spinse i Ministri della Difesaeuropei a ricercare una propria identità comunegià all’interno della stessa e a Berlino nel Giugnodel 1996, veniva concordata la costruzione di unaIdentità Europea di Sicurezza e Difesa (IESD). Atale scopo si riprendeva il concetto di CombinedJoint Task Force che consisteva nella collaborazionepolitico-militare di due o più paesi nell’organizzazionedi forze provenienti da diverse Forze Armate percompiti specifici o per il raggiungimento di obiettiviparticolari. In questo modo la UEO poteva, se ne-cessario, ricevere l’autorizzazione ad utilizzareparte delle potenzialità tecnologiche, operative elogistiche della ben più rodata NATO. Si rendevanecessario creare personale “dal doppio cappello”all’interno della NATO rendendo più rapido ed ef-ficiente il coordinamento tra le due istituzioni. Nel1997 si giunse alla firma del Trattato di Amsterdamche, tra le altre innovazioni, codificava nuoviprogressi in ambito PESC; dotava l’Unione di piùampi strumenti normativi d’azione (le cd. StrategieComuni); si chiariva che la UEO avrebbe assistitol’Unione attraverso l’accesso ad una capacità ope-rativa di difesa. Nonostante questi approfondimentirispetto al TUE, si prevedeva comunque che glistrumenti a disposizione fossero ancora sostan-zialmente potenziali e la loro adozione era ancorasubordinata alla volontà statale di approfondire omeno le collaborazioni previste dal Trattato. E’ co-

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munque indubbio che l’Unione si stava formalmentedotando di una dimensione di sicurezza piùprofonda. L’istituzione dell’Alto Rappresentante,poi, era l’aspetto più evidente delle nuove ambizionieuropee di costruire una politica estera comune, eil simbolo di risoluzione di quarant’anni di ambiguitàistituzionale davanti la comunità internazionale, aprescindere dagli effettivi poteri di cui sarebbestato investito. In linea generale si può dire che laPESC è stata sempre interpretata diversamentedai vari membri: alcuni hanno ritenuto di agireper rafforzarla, altri per mantenere la condizionedel momento, entrambi comunque in relazione alloro specifico interesse nazionale. Tuttavia, il su-peramento parziale di queste divisioni era giàprevisto nei Trattati i quali auspicavano cooperazionirafforzate, sul modello Schengen, nelle materieconcernenti la sicurezza e la difesa. L’esempio piùsignificativo è senz’altro costituito dalla collabo-razione in materia di armamenti ove si verificaronoalcune fondamentali convergenze. La LOI e laConvenzione OCCAR si proponevano di definireuna cooperazione industriale in ambito di difesaallo scopo di procedere ad una ristrutturazionedelle industrie della difesa dei paesi a livelloeuropeo (la prima) e di fornire una più efficace edefficiente gestione di programmi comuni in materiadi armamenti nonché di concludere accordi constati terzi (la seconda). Lo scopo della cooperazionerealizzata era di indurre gli stati a creare unacomplementarietà industriale e tecnologica andandoad incidere profondamente nell’ambito del MercatoEuropeo della Difesa. Questa disponibilità venneresa ancor più evidente a Saint-Malo, dove sitenne un vertice franco-britannico che portò aduna Dichiarazione congiunta sulla difesa europeanella quale si stabiliva il rafforzamento della soli-darietà reciproca in termini di PESC per far sentiremaggiormente la propria forza negli affari inter-nazionali, attraverso uno strumento militare dicoercizione/dissuasione più credibile. Conditio sinequa non era ovviamente il miglioramento costantedell’interoperabilità dei partners attraverso armo-nizzazione e miglioramento delle capacità delle

Forze Armate integrate e di uno slancio dell’industriaeuropea della difesa. E’ evidente a questo punto ilmotivo per cui si stabilisce questa come la data dinascita della Politica Estera di Sicurezza e Difesaeuropea (PESD). La Dichiarazione di Saint-Malosegnò l’apertura di un nuovo quadro d’azione finoad allora rimasto solo al livello potenziale fornendola prima base di volontà politica ad attuare unapolitica di difesa senz’altro più complessa e connotevoli margini di sviluppo. Lo scenario che vadalla Dichiarazione di Saint-Malo al Consiglio Eu-ropeo di Colonia del Giugno 1999 fu alquantocomplesso in seguito allo scoppio delle tensioni inKosovo. A Colonia, ufficialmente, veniva lanciatala PESD e il Consiglio stabiliva la necessità didotare l’Unione di strumenti adeguati nelle capacitàe si esaminò anche la questione dei processi deci-sionali per gli obiettivi di Petersberg, indicandoche il loro raggiungimento avrebbe potuto richiedere:l’istituzione di un organo permanente (COPS); unComitato Militare (EUMC); uno Stato Maggioredell’UE (EUMS) e altre risorse. Tutti questi strumentisia operativi che istituzionali furono avviati eciascuno riveste ad oggi una sua peculiare funzionenel processo decisionale per l’adozione di un’azionecomune o decisione comune. Con il successivoConsiglio di Helsinki venivano apportate ulteriorinovità alla PESD. Venne elaborato il HelsinkiHeadline Goal 2003 che si occupava di stabilireobiettivi di sviluppo delle capacità militari e civili(con strumenti anche appartenenti al primo pilastro).In quest’ottica all’epoca non solo era fuorvianteparlare di Esercito Europeo e di Difesa Europea (lacui soluzione seppur solo formale avverrà solo aLisbona), bensì anche di costituire un’organizzazionedi difesa che sostituisse la NATO. Lo scopo erasemplicemente di creare uno strumento militare(PESD), nel più ampio complesso della PESC, idoneoa sostenere un’autonoma capacità di gestionedelle crisi internazionali. Il seguente Trattato diNizza pur non apportando sostanziali novità enun-ciava, per la prima volta, le cooperazioni rafforzateche venivano così finalmente introdotte nel IIPilastro. Il nuovo Trattato sanzionava effettivamente

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lo sviluppo della PESD, attivandone le strutturepermanenti della catena politico-militare. Tuttavia,ancora si dovevano sviluppare le adeguate capacitàoperative e ancora mancava un sistema decisionalecoerente, necessario per creare credibilità comesecurity provider completo internazionale. Fu unevento assolutamente straordinario a cambiare lasituazione internazionale e quantunque europea.Gli attacchi terroristici del 2001 segnarono, infatti,un punto cruciale della storia paragonabile, forse,alla caduta del Muro di Berlino. Se il 1989 portòcon sé un cambiamento politico, la fine dellaguerra fredda, e un cambiamento nella strutturadel sistema internazionale; il 2001 portò anch’essoun cambiamento tuttora in evoluzione ovvero laconvinzione della fine di una non-war communitybasata sull’egemone americano. Ad esso si ac-compagnò e si accompagna anche un cambiamentodella struttura del sistema verso una sua multipo-larizzazione che, come Waltz sosteneva, avrebbeportato maggior incertezza e instabilità. Questicambiamenti hanno portato a ridefinire le relazionitra gli Stati, i quali hanno visto una rivalutazionedel loro ruolo in senso neo-realista, essendo gliunici a poter fornire garanzie di sicurezza. Inquesto contesto l’Unione deve trovare la stradaper assumere un rilievo internazionale nelle decisioni

politiche. Infatti, per costituirsi come un attore dalpeso politico considerevole, necessita di una politicaestera forte e coerente. L’Unione ha trovato nel2003, con la Strategia Europea di Sicurezza (ESS)e nel 2009, con il Trattato di Lisbona, la suarisposta a questi interrogativi, essendo divenutiinterrogativi non più eludibili. Tuttavia, l’Unioneha mostrato una certa ambiguità nel definire ilsuo profilo generale, mostrando la tendenza a ef-fettuare evoluzioni dal punto di vista tecnico incontemporanea a brusche frenate dal lato dellasoluzione politica dei problemi internazionali chela investono. Dal punto di vista tecnico l’evoluzionesi presentò subito con gli accordi “Berlin-plus” del2002. Tali accordi miravano alla risoluzione delconflitto UE-NATO in materia di gestione dellecrisi, garantendo un mutuo rafforzamento dellacapacità di gestione delle crisi. Con l’accordonessun conflitto formale poteva più negare all’Unionel’accesso ad alcune rilevanti capacità NATO e glieuropei vedevano aperto l’accesso alle proprieforze, potendole impiegare anche in ambiti esternialla NATO. Significava avere accesso a risorse che,seppur messe a disposizione prioritaria di un’alleanzacon membri extra-europei, volevano e potevanoessere eventualmente impiegate anche per interessidiversi, esclusivamente europei. Inoltre, vi era pa-

In apertura: cerimonia del passaggio dei poteri dalla missione NATO SFOR all'operazione Althea dell'Unione Europea in Bosnia nel 2004. (Foto Nato)Sopra: missione antipirateria EU NAVFOR - Somalia

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rimenti la disponibilità di accesso alle capacitàcomuni della NATO, cioè proprie dell’Alleanza enon degli Stati. L’accesso a tali capacità garantiva,e questo è il dato più significativo, il controllopolitico e la direzione strategica sotto il comandodelle autorità UE. Si trattò a questo punto di dover riconcettualizzareil principio della sicurezza anche alla luce delle di-vergenze in merito alla guerra in Iraq. Sono questii presupposti che, nel giugno 2003, portarono al-l’istituzione del documento noto come StrategiaEuropea di Sicurezza (ESS), nel quale l’Unioneidentificava precisamente le minacce da cui erainvestita riconoscendo altresì gli obiettivi comunie le strategie da adottare. Il documento avevaprofonde implicazioni politiche prevedendo unamaggiore attività (che dal 2003 inizia a divenireeffettivamente consistente), un maggiore sviluppodi capacità (si veda l’Helsinki Headline Goal 2010,e l’approfondimento del concetto di Battle Groupscome forza di reazione rapida) e soprattutto il ri-conoscimento della necessità di avere una posizionepiù coerente nella gestione della PESC. Quantoera stato finora stabilito ha visto nella ESS il do-cumento fondamentale dell’UE nel dare un’organicitàe definizione di elementi che altrimenti sarebberostati semplicemente enunciati ma mai effettivi.Tuttavia, ciò che rimase, e resta, ancora insoluto esoggetto alla prova della realtà è la coerenza del-l’azione esterna dell’UE rispetto ai suoi documentiufficiali. Il tentativo immediato di soluzione venneinaugurato con l’ambizioso, e fallito, progetto co-stituzionale per l’Europa. Le grandi divisioni sonorimaste e ciò a cui abbiamo assistito è la codificazionedel Trattato di Lisbona che recepisce gli strumentiprincipali, previsti dalla Costituzione, in ambitoPESC non creando però quell’evoluzione politica,naufragata insieme al progetto costituzionale. IlTrattato di Lisbona rappresenta, dunque, un ulterioreavanzamento dal punto di vista strettamentetecnico (in questo senso in linea con l’istituzionedell’ EDA del 2004) ma anche un freno alleambizioni politiche, più generali, europee. Gli stru-menti più significativi, in materia PESC, introdotti

a Lisbona possono essere schematizzati comesegue: la possibilità di istituire, con decisione delConsiglio a maggioranza qualificata, CooperazioniStrutturate Permanenti (basate su certificazioni distandard proprio come nella NATO, intendendocosì creare, in modo permanente cooperazioni travirtuosi o quantomeno omogenei); la possibilità diintraprendere nuove tipologie di missioni oltre aicompiti di Petersberg (disarmo, stabilizzazionepost-conflict, consulenza militare, prevenzione deiconflitti); la creazione di una clausola di reciprocadifesa, una clausola di solidarietà e una basegiuridica specifica per l’aiuto umanitario; l’istituzionedel SEAE, per una maggiore coerenza nell’azionediplomatica. Il Trattato di Lisbona è riuscito aportare significativi e decisivi progressi istituzionalidal lato dell’operatività in materia di Sicurezza eDifesa aprendo anche nuove prospettive per unrafforzamento del ruolo esterno dell’UE, spetteràperò ai singoli stati cogliere appieno tali potenzialità,traducendole in iniziative e politiche concrete. Talipotenzialità si esprimono nella possibilità dell’Unionedi attivare una pluralità di missioni in un quadrodi finanziamento piuttosto chiaro. Come fattonotare il genus delle missioni ora attivabili dall’Unioneconsta dei compiti di Petersberg più gli ambiti in-trodotti a Lisbona. Ciò ci porta a definire lemodalità d’intervento dell’Unione in caso di crisiinternazionale. Dal combinato dei documenti edei Trattati, nonché dagli accordi Berlin-Plus, l’UEha ora due possibilità. La prima possibilità è quelladi Operazioni militari condotte in autonomia dal-l’Unione Europea. Sono due le opzioni possibili: inun primo caso, si ricorre al sistema di attribuzionedi compiti e funzioni noto come “nazione-quadro;in un secondo caso, si ricorre all’attivazione del EUOperations Centre, si tratta di una possibilità ag-giuntiva e più rapida rispetto ai Comandi Nazionali,che restano comunque l’opzione principale. La se-conda possibilità è quella di Operazioni militaricon attivazione degli accordi Berlin Plus. Ad oggigli accordi sono stati attivati in due occasioni, do-vendosi ottenere l’unanimità in sede NATO e UE:l’Operazione Concordia nella FYROM e l’Operazione

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Althea in Bosnia. Il quadro di finanziamento di talioperazioni, siano civili o militari, è piuttosto chiaroe soprattutto politicamente rilevante. Le operazionicivili di gestione delle crisi (cd. PESD civile), maanche altre attività dell’Unione non implicanti ilsettore militare, sono finanziate con il bilanciodella PESC che costituisce parte del bilancio co-munitario gestito dalla Commissione e il cui utilizzoè deciso dal Consiglio. Il finanziamento avvienedunque con precise linee di budget dell’Unione,con risorse proprie, rientranti nel capitolato dispesa “Relazioni Esterne”. Possiamo dunque con-cludere che la PESC viene finanziata dall’Unionedirettamente ove essa non implichi spese di naturamilitare e di difesa cioè la cd. PESD militare. Com-pletamente diverso è il discorso in merito al fi-nanziamento delle operazioni aventi implicazioninei settori militari e di difesa. Qui le modalità sono due ed entrambe consistononel finanziamento da parte degli Stati Membri:costs lie where they fall”, ovvero ogni Stato pagale spese del suo contingente e meccanismo ATHENA.Il meccanismo ATHENA ha carattere residuale ri-spetto alla regola base riportata al punto primo eprevede la condivisione dei costi comuni, specifi-catamente individuati ad hoc, tra i partecipantialla missione. Entrambe le opzioni sono comunquea carico delle risorse statali da cui deriva che leoperazioni militari PESD sono finanziate esclusi-vamente dai budget nazionali. La conseguenzapolitica più importante circa la questione del fi-nanziamento è che l’Unione è disposta ad assumersiil costo per l’attività civile mentre gli stati nazionalinon vogliono delegare, all’Unione, il finanziamentodelle operazioni militari testimoniando la volontàdi non ammettere ingerenze esterne sulla vitaeconomica di una missione militare. La questioneprincipale è, dunque, di nuovo essenzialmente po-litica. In definitiva, all’interno dell’Unione persisteuna divergenza istituzionale e politica, che minaseriamente la sua credibilità internazionale, creandoun’Europa a due anime. Questa duplice naturadell’UE ha aperto una riflessione obbligatoria sullamisura delle ambizioni dell’Unione negli affari in-

ternazionali. La collocazione dell’attore europeo,in buona misura, dipenderà da scelte future di po-sizionamento sullo scacchiere mondiale. Si possonocosì delineare tre possibili prospettive: quella del-l’evoluzione europea come security provider inEuropa e nell’immediato vicinato, attraverso politichedi sicurezza con strumenti militari e civili; quelladi security provider a livello globale per le nuoveminacce, con strumenti, al massimo livello d’inte-grazione, sia militari che civili; e quella di undebole militare focalizzato principalmente sul suoruolo di potenza civile. Nel primo caso si avrebbeun approfondimento della cooperazione rafforzatasovranazionale. In questa ipotesi l’Unione assu-merebbe caratteristiche di grande potenza regionalecompleta ma ancora pesantemente subordinata apressioni esterne. Nel secondo si vedrebbero rea-lizzate le speranze di coloro i quali immaginanol’UE costituirsi in un super stato con i propriinteressi, sintesi e soluzione delle attuali divisioninazionali, procedendo ad una maggiore integrazionenel settore della sicurezza parallelamente a quantoavvenuto in campo monetario. Tale situazioneporterebbe a ripensare perfino l’esistenza stessadella NATO e la struttura del mercato europeodella difesa. In questa ipotesi l’UE si manifesterebbeal mondo come superpotenza ma solo se riusciràad essere in grado di rivestire un ruolo di securityprovider credibile a livello globale. In entrambi icasi il carattere di potenza dell’UE sarebbe comunqueampiamente in fieri; in primo luogo perché do-vrebbero attuarsi riforme evolutive di una certaimportanza, in secondo luogo poiché dovrebbenecessariamente essere riconosciuta come potenza,non solo economica, dagli altri attori mondiali. Ilterzo profilo, invece, non è un’ipotesi in quantoattualmente l’UE si situa in questa traiettoria.L’Europa, infatti, costituisce attualmente la com-binazione tra istituzione di attori nazionali etendenze a porsi come uno stato federale, di qui ledue anime. Se nel campo da noi esaminato vige lacooperazione intergovernativa e sono ancora gliStati nazionali a detenere il potere decisionale inbase a calcoli di propri interessi specifici e di

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variabili storico-congiunturali; in altri campi, purcon tutti i problemi, si può rilevare che si èaffermato progressivamente anche uno stato qua-si-federale in alcuni settori dell’economia, delcommercio e della moneta. In definitiva, si trattadi due anime che convivono all’interno dello stessocorpo. Tale stato di cose porta inevitabilmente l’UE amostrarsi al mondo talvolta come un’alleanza ingrado di produrre sicurezza, con tutti i suoi limiti,talvolta come una “Potenza Civile”. Per capirequale percorso l’Unione perseguirà nel futuro saràimportante guardare agli sviluppi istituzionalieuropei e allo sviluppo del contesto internazionale.Il grande sviluppo dell’azione civile europea dal1992 al 2001 è dovuto, infatti, in gran parte a duemotivi: uno interno, la demilitarizzazione dellesocietà europee avviata già dopo la II GuerraMondiale, e uno esterno, la creazione, dal 1989, diuna non-war community. In questo contestol’Unione si è mossa verso un’avversione kantianaal conflitto sposando in pieno il progetto di “paceperpetua”: invece di minacciare l’uso della forza,l’Unione minacciava di non usarla, cioè di precluderela propria amicizia o la prospettiva d’ingresso inEuropa. A tal fine gli strumenti militari sono rimastisempre più subordinati talvolta al necessario per-

seguimento di maggiore integrazione economico-monetaria, talvolta alla convergenza delle volontàdegli stati nazionali di procedere ad un maggiorcoordinamento in virtù di destabilizzazioni prodottedagli eventi internazionali (di cui i Balcani hannofortemente rappresentato la maggior preoccupa-zione). Pertanto, in questa fase storica, è stato ne-cessario sposare un approccio minimale (creandoperò le basi per un futuro dialogo) puntando sustrumenti di “soft power” tipici di una potenzacivile. Il 2001, però, con la sua ondata di terrorecontinuata sino ai giorni nostri, ha imposto unanuova riflessione ed ha portato l’Unione a interrogarsisul suo futuro producendo una più effettiva dota-zione di capacità militare da affiancare alla capacitàcivile consolidata negli anni. L’emblema di questeambizioni è pienamente rappresentato dalla ESSdel 2003. Nel contempo, l’Unione ha poi provato adotarsi di una base costituzionale per attuare unsalto di qualità. Il processo politico è pero fallito,anche se buona parte delle previsioni, perlopiùstrumentali, in materia PESC sono state ribaditenel Trattato di Lisbona. Se da un lato si è procedutoad un miglioramento delle capacità e dell’azionemilitare dell’UE, dall’altro, manca ancora una pienacoerenza politica che dipenderà, in ultima analisi,dal destino stesso delle anime dell’Europa.

Batti cinque - la maggior parte delle ultime iniziative della PESD si focalizzano sulla fase successiva alla stabilizzazione. (C SHAPE)

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Diritto

PERSECUZIONE POLITICAVINCENZO MARIA SCARANO

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È persecuzione politica anche il ricorso agli strumenti legali di repressione penale delle opinioni politiche dissenzienti

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Il concetto di persecuzione politica, valutato re-quisito necessario per la concessione, da partedello Stato, dell’asilo, ha subito un amplia-

mento nell’esame della sua casistica in quanto laCorte di Cassazione, con l’ordinanza del 2 luglio2010 n. 17576, ha esteso la definizione di perse-cuzione anche ai casi in cui lo Stato del richie-dente asilo utilizzi strumenti legali per reprimereopinioni politiche dissenzienti. Ed invero, l’ordi-nanza in esame amplia l’ambito di applicazionedella disciplina nazionale relativa alla richiesta, daparte dello straniero, della protezione internazio-nale in caso di persecuzione nel proprio Paesed’origine. In particolare, la pronuncia della Su-prema Corte pone l’attenzione sul modus operandiche le Corti di merito devono seguire per accertarela rispondenza della predetta domanda di prote-zione internazionale ai requisiti richiesti dalla le-gislazione nazionale, sull’ampiezza delladefinizione di persecuzione politica, includendo alsuo interno anche le azioni legittime perpetratedallo Stato del richiedente, ma finalizzate a repri-mere la libera espressione di opinioni politiche. Alriguardo, la Suprema Corte evidenzia la necessitàdi esaminare la domanda di protezione non solosotto l’ottica della credibilità soggettiva del richie-dente, ma anche e soprattutto adempiendo i do-veri di ampia indagine, di completa acquisizionedocumentale e di complessiva valutazione dellasituazione reale del Paese di provenienza, inclu-dendo nel concetto di persecuzione politica, a talscopo, anche l’adozione di sanzioni penali ritual-mente poste a carico di chi ha espresso opinionipolitiche non gradite al potere costituito.In altri termini, ad avviso della Corte di Cassazionesussiste la persecuzione politica anche nel caso incui vengano adottate sanzioni penali comminatea seguito di un regolare processo penale a caricodi chi ha solamente espresso mere opinioni poli-tiche. L’ordinanza della Corte di Cassazione n.17576/2010, pertanto, si pone come punto di par-tenza per un’indagine circa l’evoluzione della di-sciplina del diritto di asilo nell’ordinamento

italiano, che parte dall’analisi della disposizionecostituzionale di cui all’art. 10, co. 3, Cost. pergiungere ad una panoramica della legislazione or-dinaria in materia di asilo e protezione internazio-nale, con particolare riferimento ai recentiinterventi legislativi operati con i decreti legislativin. 251/2007 e n. 25/2008.

La pronuncia della Corte di Cassazione

La pronuncia della Suprema Corte muove i suoipassi dal caso concreto riguardante un cittadinoturco che ha adito l’autorità giudiziaria italianaper vedersi accettata la propria domanda, rigettatadalla competente Commissione Territoriale, con laquale chiedeva il riconoscimento dello status di ri-fugiato e la conseguente protezione internazio-nale, lamentando, al riguardo, una persecuzionepolitica da parte del Governo turco in quanto ap-partenente ad un movimento politico di etniacurda (il D.T.P., Demokratik Toplum Partisi).I giudici di merito, invero, hanno rigettato il sud-detto ricorso, ritenendo il cittadino turco non ido-neo alla protezione internazionale e rilevando, daun lato, che lo stesso richiedente era soggetto adun ordine di arresto in contumacia perché accu-sato di propaganda in favore di un’organizzazioneterroristica, e, dall’altro lato, che le motivazioni ad-dotte dal cittadino turco a favore della sua situa-zione di persecuzione in Turchia non eranocredibili, poiché, a loro avviso, non vi era né laprova della persecuzione, né tantomeno la situa-zione politica in Turchia lasciava intendere la sus-sistenza di una politica persecutoria nei confrontidell’etnia curda.Tuttavia, la Corte di Cassazione, interpellata dalcittadino soccombente nei giudizi di merito ha ri-levato l’errore interpretativo dei giudici di merito,in particolare la Corte di Appello di Milano, asse-rendo che la suddetta domanda era stata esami-nata «sotto l’ottica prevalente della credibilitàsoggettiva del richiedente, totalmente dimenti-cando di adempiere ai doveri di ampia indagine, dicompleta acquisizione documentale anche uffi-

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ciosa e di complessiva valutazione anche della si-tuazione reale del Paese di provenienza».Ed invero, ad avviso della Suprema Corte, la valu-tazione della condizione di persecuzione di opi-nioni, abitudini e pratiche avrebbero dovutoavvenire «sulla base di informazioni esterne ed og-gettive afferenti il Paese di origine e solo la riferi-bilità specifica al richiedente poteva essere fondataanche su elementi di valutazione personale» e nongià solo tenendo conto della credibilità soggettivadel richiedente asilo e dell’incombenza sul mede-simo dell’onere della prova circa la sussistenza delc.d. fumus persecutionis a suo danno nel Paesed’origine. Inoltre, la Suprema Corte, precisa, conriferimento al criterio di valutazione della perse-cuzione politica, che quest’ultima «sussiste anchequando vengano legalmente adottate sanzioni pe-nali all’esito di un regolare processo di chi haespresso mere opinioni politiche» e che, quindi, ilsuddetto fumus persecutionis va riscontrato «allaluce del fatto addebitato e del suo nomen iuris».A tal riguardo, infatti, si evidenzia come la vicendain oggetto ponga in essere una violazione dell’art.

10 della Convenzione Europea sui Diritti Umani,laddove si sostiene che una sanzione penale com-minata per la diffusione di dichiarazioni di naturapolitica incida indebitamente sulla libertà diespressione garantita dal predetto articolo, esclusonel caso in cui tali dichiarazioni siano pronunciatecon il fine di incitare all’odio o alla violenza.

L’asilo nel diritto internazionale

La vicenda offre lo spunto per analizzare nel det-taglio la disciplina dell’asilo, sotto la duplice otticainternazionale ed interna. In particolare, è oppor-tuno evidenziare che nell’ambito del diritto inter-nazionale, con il termine “asilo” deve intendersi laprotezione offerta da uno Stato nei confronti diindividui che sono oggetto di persecuzione nel loroPaese di origine. Ciononostante ancora non esisteun vero e proprio diritto soggettivo dell’individuoad ottenere asilo dalle persecuzioni.Pertanto, gli Stati, ed eccezionalmente gli organi-smi internazionali, accordano protezione perma-nente o temporanea nel proprio territorio (o in altri

In apertura: un posto di ristoro per extracomunitari sbarcati a LinosaSopra: clandestini trasferiti a Livorno dai carabinieri

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ambiti di esercizio delle loro potestà) a individui obeni ad essi estranei che vi hanno trovato rifugioper sottrarsi a persecuzione, effettiva o potenziale,di carattere politico, ovvero per sfuggire alla giu-stizia per reati comuni, alle vicende belliche o diconflitti armati del proprio Paese di origine.L’inesistenza dell’asilo quale istituto specifico didiritto internazionale generale, pertanto, deriva dalfatto che tale istituto trova applicazione non giàsulla base di una disciplina internazionale unitariae generale, bensì caso per caso in forza di normedi diritto convenzionale o consuetudinario a ciòdestinate, ovvero tutt’al più in base al principiogenerale per cui lo Stato, entro certi limiti, è la-sciato libero di comportarsi come crede nei ri-guardi delle persone bisognose di assistenza eprotezione giuridica che vengono a trovarsi sulproprio territorio o chiedono di entrarvi accordanoo no a questi l’asilo, secondo le proprie valutazionidi convenienza afferenti soprattutto l’ordine poli-tico od economico.Si riscontra, inoltre, una stretta correlazione tra ilconcetto di “asilo” e quello di “rifugio” che vanno,comunque, tenuti distinti e non confusi. Il rifugio

è atto individuale del singolo e costituisce il pre-supposto dell’asilo che implica attività normativaed eventualmente materiale da parte dello Stato.Non esiste asilo senza rifugio, mentre può esservirifugio, più o meno temporaneo, senza esserviasilo.

L’asilo nel diritto interno

L’esiguità della normativa di carattere internazio-nale in materia di asilo trova un contraltare nellarelativa disciplina dei singoli ordinamenti nazio-nali, laddove il diritto di asilo viene contemplatogià al livello costituzionale.In merito, con riferimento all’ordinamento giuri-dico italiano, si evidenzia come la materia dell’asiloè regolata a livello costituzionale addirittura nellaparte dedicata ai principi fondamentali inderoga-bili ai sensi dell’art. 139 Cost.

Il precetto costituzionaleIn particolare, l’art. 10, co. 3, Costituzione stabili-sce che «lo straniero al quale sia impedito nel suoPaese l’effettivo esercizio delle libertà democrati-

Un barcone di clandestini

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che garantire dalla Cost. italiana, ha diritto di asilonel territorio della Repubblica, secondo le condi-zioni stabilite dalla legge».Si evince chiaramente dalla lettera del dispositivosopra riportato che l’asilo costituisce un vero eproprio diritto soggettivo, oggetto comunque diuna discussione circa la sua natura programmaticao precettiva.Dottrina e giurisprudenza1 oggi prevalenti accor-dano alla predetta normativa natura precettiva,facendone così discendere la sussistenza di un di-ritto soggettivo perfetto avente ad oggetto il di-ritto d’asilo ed individuano come destinatari tutticoloro che, nel proprio paese, non godono dellefondamentali garanzie assicurate dalla Costitu-zione italiana. Eppure persistono ancora oggi ricostruzioni più ri-duttive, che individuano nella disposizione costi-tuzionale soltanto un principio o una meraaspirazione a tal risultato, concretamente realiz-zabile solo con l’intervento della legislazione or-dinaria.Ed invero, la Costituzione, pur prevedendo il ne-cessario intervento attuativo delle disposizioni le-gislative, definisce la fattispecie che fa sorgere incapo allo straniero il diritto di asilo comunque inmodo chiaro e preciso in tutti i suoi elementi, lad-dove individua nell’impedimento dell’eserciziodelle libertà democratiche la causa che giustifical’ottenimento della protezione e nell’effettività ditale situazione in relativo criterio di accertamento.L’impedimento dell’esercizio delle libertà fonda-mentali, poi, deve essere valutato tenendo contosia del sistema di libertà garantito e tutelato dal-l’ordinamento costituzionale italiano, sia della si-tuazione effettiva esistente nello Stato estero.Ciò conduce a ritenere che sussista un presuppo-sto sufficiente per invocare l’asilo anche nell’even-tualità in cui il richiedente provenga da uno Statoil cui ordinamento, seppure formalmente demo-

cratico, al suo interno non permetta concreta-mente il pieno godimento delle libertà democra-tiche.Con riferimento ai soggetti destinatari del dirittodi asilo, la portata estensiva di tale diritto contem-pla tutti gli individui anche non cittadini, compresigli apolidi, che non possano esercitare le libertàdemocratiche rispettivamente nello Stato di pro-venienza ovvero nello Stato di residenza abituale.Tanto premesso, da un punto di vista generale, èopportuno evidenziare che il rapporto tra l’inter-vento della legislazione ordinaria e l’istituto del-l’asilo non può condurre a condizionare l’eserciziodi tale diritto al rispetto dei requisiti formali, deglioneri e delle condizioni, cui la legge sottopone l’in-gresso degli stranieri.Ciò perché il contenuto essenziale della situazionegiuridica soggettiva da cui matura il diritto di asilodeve rinvenirsi nella pretesa di essere ammessi sulterritorio italiano, da cui ne deriva la netta diffe-renza tra il richiedente asilo e lo straniero al qualeviene riconosciuto soltanto un mero interesse le-gittimo ad entrare nel territorio della Repubblica2.A tal riguardo, poi, occorre precisare che la pre-senza del richiedente asilo nel territorio italianonon va considerata come una condizione neces-saria per il conseguimento del diritto stesso; poi-ché, invero, essa non viene richiesta dalla normacostituzionale3.La natura precettiva della norma costituzionale inesame e la sua relativa effettività hanno come di-retta conseguenza l’impossibilità di condizionaresospensivamente l’ammissione ad accertamentipreventivi da parte dell’autorità pubblica.Tale impossibilità è finalizzata ad evitare qualsiasicompromissione dei benefici tutelati dalla Cost.che, al contrario, sono messi in pericolo dallo Statodi origine e che, quindi, la richiesta di protezione,stante la sua natura di necessità ed urgenza, miraa preservare.

1 Cfr. Cass., Ss. Uu., 26 maggio 1997, n. 4674; Cass., Ss.Uu., 17 dicembre 1999, n. 907; Cass., Sez. I, 23 agosto 2006, n. 18353 e Cass., Sez. I, 1settembre 2006, n. 18940.

2 Così si è espressa la Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 503/1987 sostenendo che «lo straniero non ha di regola un diritto acquisito di ingressoe di soggiorno nello Stato e pertanto le relative libertà ben possono essere limitate a tutela di particolari interessi pubblici, quale quello attinentealla sicurezza intesa come ordinato vivere civile».

3 Cfr. Trib. Roma, 1 ottobre 1999, Oçalan, in Riv. Dir. Internaz., 1991, 241 ss.

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Ciononostante, l’obbligo di ammissione può esserelimitato solo nel caso in cui le autorità di poliziadi frontiera, con provvedimento eccezionale eprovvisorio sul quale si esercita la giurisdizione or-dinaria secondo lo schema dell’art. 13, co. 2, Cost.4

a tutela della libertà personale, stabiliscano untemporaneo obbligo di soggiorno, o altra minorelimitazione, nell’attesa di identificare il richiedenteasilo.In merito ai diritti minimi riconosciuti ai richie-denti asilo, invece, la Corte Costituzionale si èespressa nel senso che «i soggetti ai quali […] laCostituzione ha voluto offrire asilo politico […] de-vono poter godere, almeno in Italia, di quei fon-damentali diritti democratici che non sianostrettamente inerenti allo status activae civitatis»,a prescindere da qualsivoglia condizione di reci-procità prevista dalla legge5.Tali diritti sono senza dubbio il diritto di riunione,i diritti sindacali, il diritto al lavoro, la libertà dicircolazione, senza precludere la legittima istitu-zione di centri di raccolta, la libertà di pensieroanche a mezzo stampa.

L’evoluzione legislativa in materia di asiloAccertato quanto espresso dalla Cost. in materiadi asilo e constatata altresì l’interpretazione chedottrina e giurisprudenza danno della norma co-stituzionale ex art. 10, co. 3 Cost., l’attenzione deverivolgersi ora alla disciplina prevista dalla legisla-zione ordinaria che, proprio sulla base del portatocostituzionale, è competente alla definizione neldettaglio delle forme, modalità e dei requisiti perla richiesta e la successiva concessione dell’asilo.In tale quadro, si rinviene un primo intervento delLegislatore ordinario solo nel 1990, quando, conla c.d. Legge Martelli (L. 28/02/1990, n. 39, di con-versione del D.L. 30/12/1989, n. 416), si provve-deva – in attesa che il Parlamento varasse unadisciplina organica dell’asilo – a dotare l’ordina-mento interno di norme ad hoc in materia di trat-

tamento degli stranieri, seppur scarna ed essen-ziale, che comunque provvedeva ad introdurre unanuova procedura amministrativa per il riconosci-mento dello status di rifugiato.Poi, con la L. n. 40/1998 (c.d. Turco-Napolitano) ela L. n. 189/2002 (c.d. Bossi-Fini) – con cui si mi-rava sopratutto ad aggiornare la procedura diesame delle domande in un’ottica di eccessiva ce-lerità e discutibile decentramento dell’esame delledomande – il legislatore ha provveduto a dare at-tuazione all’art. 10, co. 3, Cost.Ed invero, la procedura introdotta dalla leggeBossi-Fini e dal correlato regolamento attuativosull’asilo attribuisce la competenza relativa al-l’esame delle domande alle cosidette Commissioniterritoriali la cui composizione, tuttavia, non ga-rantisce un livello di competenza adeguato alruolo affidato.In particolare, si prevede sia la distinzione tra unaprocedura ordinaria ed una semplificata, laddovequest’ultima stabilisce la possibilità di trattenereil richiedente in appositi centri di identificazioneche la possibilità di riesaminare l’eventuale diniegodella domanda previa richiesta entro cinque giornidal rigetto.Inoltre, è opportuno sottolineare che il ricorso algiudice, da proporre nel termine di decadenza diquindici giorni, non sospende l’efficacia del prov-vedimento di allontanamento.La disciplina di cui alla L. n. 189/2002 è stata ul-teriormente modificata ed integrata, raggiun-gendo un buon livello di completezza, attraversoil recepimento delle Direttive 2004/83/CE e2005/85/CE mediante i decreti legislativi n.251/2007 e n. 25/2008 (modificato dal D.Lgs. n.159/2008).Tuttavia, l’analisi dei due testi normativi evidenziacomunque la sussistenza di alcune lacune relativealla tutela del precetto costituzionale ed oltretuttoappare difficile individuare la volontà del legisla-tore sul punto poiché quest’ultimo continua a

4 Art. 13, co. 2, Cost. «Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertàpersonale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge».

5 Così Corte Cost., 31 marzo 1968, n. 11.

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mantenere il tradizionale riserbo nei confrontidell’art. 10, co. 3, Cost.Ne deriva, perciò, che persiste in capo al richie-dente asilo la possibilità di invocare dinanzi al giu-dice ordinario autonomamente e liberamentel’azione di riconoscimento della situazione sog-gettiva da cui scaturisce il diritto di asilo, non tro-vando applicazione, in tale ambito, le modalità edi termini di decadenza previsti dall’art. 35, D.lgs. n.25/2008 per l’impugnazione del diniego della pro-tezione internazionale.Pertanto, per quanto finora esposto, emerge cheil diritto di asilo di cui all’art. 10, co. 3, Cost. muoveda presupposti e condizioni diverse da quelli checaratterizzano e disciplinano lo status di rifugiato,cosicché sussiste anche una diversità con riguardoalle prerogative riconosciute al richiedente l’asilo,sintetizzabili nel diritto al soggiorno, nella sua ac-cezione di divieto di allontanamento dal territorionazionale6. Ciononostante, la Suprema Corte7 haritenuto comunque doverosa la richiesta del per-messo di soggiorno al fine di evitare l’espulsione,in considerazione del fatto che la proposizionedella domanda di asilo non può ritenersi suffi-ciente a legittimare la permanenza dello stranieronel territorio italiano. Quanto finora analizzato trova comunque una suacristallizzazione di contenuti e principi con l’en-trata in vigore del d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251attuativo della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio

del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’at-tribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, dellaqualifica di rifugiato o di persona altrimenti biso-gnosa di protezione internazionale, nonché normeminime sul contenuto della protezione ricono-sciuta.Tale disciplina definisce finalmente ed in modo or-ganico tutto ciò che riguarda l’asilo. Tuttavia, per-mangono elementi di criticità dovuti, da un lato,alla tecnica di formazione dei testi normativi adot-tata dall’Unione Europea consistente nell’indivi-duazione di standard minimi di tutela, e, dall’altro,alla naturale differenza tra il precetto costituzio-nale e la disciplina legislativa in materia di prote-zione internazionale.In tale quadro, si sottolinea che la Direttiva intro-dotta con il decreto legislativo in esame mira «adassicurare il pieno rispetto della dignità umana, ildiritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiarial loro seguito», nonché limita la discrezionalitànell’accertamento dei presupposti per il riconosci-mento dello status di rifugiato, precisando la de-finizione degli elementi essenziali.Essa, inoltre, prevede circostanze distinte dallapersecuzione, a cui riconduce il riconoscimento diuno status ulteriore e complementare di prote-zione “sussidiaria” (art. 2, lett. g), qualora sussi-stano fondati motivi per ritenere che in caso diritorno nel Paese di origine il richiedente corre-rebbe un rischio effettivo di subire un grave dannoe che, a causa di tale rischio, questi non possa onon voglia avvalersi della protezione di tale Paese.A tal scopo, per Paese d’origine si deve intenderequello di cui lo straniero richiedente protezione ècittadino o, se si tratta di apolide, il Paese di pre-cedente dimora abituale.Ai fini del riconoscimento della protezione sussi-diaria, sono considerati danni gravi: a) la condannaa morte o all’esecuzione della pena capitale; b) latortura o altra forma di pena o trattamento inu-mano o degradante; c) la minaccia grave ed indi-viduale alla vita o alla persona di un civile

Un barcone di clandestini viene intercettato dalle autorità costiere

6 In questo senso, T.A.R. Friuli Venezia Giulia, n. 410/1992.7 Cfr. Cass., n. 8423/2004.

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derivante dalla violenza indiscriminata in situa-zione di conflitto interno o internazionale.Con particolare riferimento alla minaccia grave sievidenzia che l’apparente contraddizione tra l’in-dividualità della stessa e la natura indiscriminatadella violenza deve condurre l’interprete a consi-derare la minaccia come un dato concreto, anzi-ché potenziale.A tal proposito, si reputa condivisibile la sceltaoperata dal legislatore nazionale consistente nelnon avvalersi delle facoltà accordate dalla citataDirettiva relativa all’introduzione e/o al manteni-mento di norme derogatorie o più sfavorevoli, maal contrario nell’accordare ai richiedenti asilo, aisensi dell’art. 3 della Direttiva, la misura più favo-revole secondo cui il rigetto o alla cessazione dellostatus di rifugiato e/o della protezione sussidiariasono limitati dall’eventuale sussistenza di «gravimotivi umanitari che impediscono il ritorno nelPaese di origine»8.Tale accorgimento consente, perciò, di mantenerepiena validità alle norme nazionali che prevedonoil rilascio di un permesso di soggiorno per motiviumanitari, pur riducendone il campo di applica-zione ai casi diversi da quelli oggi ricompresi nellaprotezione sussidiaria.Ed invero, la domanda di protezione internazio-nale così come disciplinata dal D.lgs. n. 251/2007risulta avere un carattere unitario, in quanto ven-gono contemplate al suo interno sia la richiestadi riconoscimento dello status di rifugiato, sia laprotezione sussidiaria. Ciò perché la predetta do-manda si struttura come un atto declaratorioemesso dalle competenti commissioni attraversouna procedura tendenzialmente unitaria e quindinon più distinta, come in passato, tra ordinaria esemplificata.In tale quadro, il D.lgs. n. 251/2007 risolve in sensopositivo alcuni dubbi interpretativi – compresoquello relativo all’attribuzione della protezione in-ternazionale anche nelle ipotesi in cui il rischio dipersecuzione ovvero di danno grave sia sorto suc-

cessivamente alla partenza dal Paese di origine9 –mediante l’uso di definizioni comuni quali “fontidel danno e della protezione”, “protezione interna”,“persecuzione”, “appartenenza ad un determinatogruppo sociale”, “bisogno di protezione interna-zionale sorto fuori dal Paese di origine” (c.d. sur-place). Infine, con riguardo alla definizione dirifugiato ed al riconoscimento del relativo status,si evidenzia che l’art. 2 lett. e), D.lgs. n. 251/2007attribuisce la qualifica di rifugiato sia al cittadinostraniero che, per timore fondato di essere perse-guitato per motivi di razza, religione, nazionalità,appartenenza ad un determinato gruppo socialeod opinione politica, si trova fuori del territorio delPaese di cui ha la cittadinanza e non può o, acausa di tale timore, non vuole avvalersi della pro-tezione di tale Paese, sia all’apolide che si trovafuori dal territorio nel quale aveva precedente-mente la dimora abituale e per le stesse predetteragioni non può o non vuole farvi ritorno, fermele cause di esclusione ex art. 10 del medesimotesto normativo.Tale definizione, quindi, conduce ad analizzare ilconcetto di atti di persecuzione che l’art. 7 deltesto in esame, rinviando la definizione di rifugiatoalla Conv. di Ginevra, individua in una grave vio-lazione dei diritti fondamentali. Ed invero, il suc-cessivo comma 2 considera atti di persecuzioneanche la violenza sessuale e le sanzioni giudiziariesproporzionate, nonché le azioni giudiziarie con-seguenti al rifiuto di prestare servizio militare inun conflitto, qualora questo possa comportare ilfatto di commettere crimini di guerra o control’umanità.Ciò posto, si deve altresì specificare che l’elencodi cui all’art. 7, co. 2, non è esaustivo di tutti i pos-sibili atti di persecuzione, e pertanto deve ritenersipersecutoria anche l’esistenza di una legge cheimpedisce a chiunque di esercitare un determinatodiritto fondamentale.L’art. 8, poi, precisa che, ai fini del riconoscimentodello status di rifugiato, i motivi di persecuzione

8 Rispettivamente ai sensi del combinato disposto degli artt. 9, co. 2, e 15, co. 2, d.lgs. n. 251/2007.9 Art. 5, co. 2, d.lgs. n. 251/2007.

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DIRITTO 57

devono essere riconducibili alla razza, alla reli-gione, alla nazionalità, all’appartenenza di un de-terminato gruppo sociale, alle opinioni politiche.Quanto definito e disciplinato dall’esaminato D.lgs.n. 251/2007 viene integrato e migliorato dal D.lgs.n. 25/2008 di attuazione della Direttiva2004/83/CE. Il fine del suddetto decreto legislativoè quello di stabilire le procedure dell’esame delledomande di protezione internazionale (art. 1, d.lgs.n. 25/2008), nel rispetto delle norme della Con-venzione di Ginevra del 1951 ed in applicazionedelle norme sulla protezione sussidiaria di cui al-l’art. 1, d.lgs. n. 251/2007. La domanda di prote-zione internazionale è unica, con l’effettoimportante di prevenire il pericolo di allontana-mento che diversamente si sarebbe avuto nellemore tra il diniego dello status di rifugiato el’esame della domanda di protezione sussidiaria.A fronte di un’unica domanda, però, persiste unadifficoltà di coordinamento delle norme di attua-zione della Direttiva con le differenti forme di pro-tezione previste dall’ordinamento italiano, le qualivanno ben oltre il riconoscimento dello status dirifugiato ai sensi della Conv. di Ginevra e dellanuova protezione sussidiaria dovendo ricompren-dere: a) il generale divieto di refoulement10; b) laprotezione umanitaria derivante da altre disposi-zioni poste come limite al potere del Questore dirifiutare il permesso di soggiorno, nel caso che ri-corrano seri motivi umanitari o derivanti da ob-blighi costituzionali od internazionali dello Statoitaliano11; c) la protezione temporanea da garan-tirsi con d.p.c.m. in caso di conflitti, disastri natu-rali od altri eventi di particolare gravità12; d) ildiritto di asilo ex art. 10, co. 3, Cost., e sancito dallaCorte di Cassazione come diritto soggettivo diret-tamente azionabile di fronte all’Autorità Giudizia-ria Ordinaria13.In particolare il D.lgs. n. 25/2008 disciplina in ma-niera più accurata e dettagliata la procedura per

la domanda di protezione internazionale. In me-rito, si evidenzia che ai sensi della Direttiva attuatacon il testo legislativo tale procedura si applicasolo a condizione che lo straniero non abbia chie-sto palesemente un altro tipo di protezione nonespressamente contemplato da detta Direttiva erichiedibile con domanda separata (i.e.: la richiestadi asilo ex art. 10, co. 3, Cost.).In tale quadro, poi, ai fini dell’ottenimento dellaprotezione, il fatto di aver già subito persecuzione,danni gravi o minacce costituisce un serio indiziodella fondatezza del timore di subire nuovamentetali persecuzioni o danni gravi, salvo che vi sianoelementi per ritenere che questi ultimi non si ri-peteranno e purché non sussistano gravi motiviumanitari che impediscano il ritorno nel Paese diorigine. È possibile affermare, in conclusione, che conl’introduzione dei decreti legislativi n. 251/2007e n. 25/2008 il legislatore ha cambiato volto alladisciplina della procedura per il riconoscimentodello status di rifugiato introducendo finalmenteuna normativa organica, unitaria e soprattuttocompleta capace di garantire allo straniero per-seguitato la tutela dei suoi diritti e, dal punto divista normativo, l’esatta applicazione del pre-cetto costituzionale di cui all’art. 10, co. 3. Co-stitizione.Ed invero, la Corte di Cassazione, nell’ordinanza inesame, non fa altro che avallare la voluntas legi-slatoris finalizzata a fornire al cittadino stranieroperseguitato il più ampio spettro di tutela, giun-gendo, nel caso di specie, ad ampliare ai limiti ilconcetto di persecuzione politica attraverso l’in-troduzione al suo interno finanche della circo-stanza caratterizzata dall’impiego di mezzi legalidi repressione delle opinioni politiche, come puòessere il ricorso al processo penale per sanzionarela divulgazione di espressioni di carattere politiconon gradite all’autorità costituita.

10 Cfr. art. 19, co. 1, d.lgs. n. 286/1998.11 v. art. 5, co. 6, d.lgs. n. 286/1998.12 Cfr. art. 20, co. 1, d.lgs. n. 286/1998.13 Oltre alle già citate Cass., SS.UU., n. 4674/1997 e Cass., SS.UU., n. 907/1999, si vedano anche Cass., n. 8323/2004; Cass., n. 25020/2005 e Cass.,

n. 18941/2006.

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Storia

LO STATUTO DICARLO ALBERTO

E LA SUA INFLUENZA SUL RISORGIMENTOPATRIZIO RAPALINO

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STORIA 59

Introduzione

“CARLO ALBERTO per la grazia di DIO RE diSardegna , di Cipro e di Gerusalemme…conlealtà di Re e con affetto di padre… pren-

dendo unicamente consiglio dagli impulsi delNostro cuore, ...avuto il parere del Nostro Con-siglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forzadi Statuto e legge fondamentale, perpetua edirrevocabile della Monarchia, quanto segue…”Con queste parole che fanno da preamboloagli 84 articoli dello Statuto del regno di Sar-degna, il re, il 4 marzo 1848, a Torino, voltòpagina, lasciandosi dietro l’ancien regime ecompiendo il primo grande passo verso l’unifi-cazione nazionale. Pur abbandonando defini-tivamente l’assolutismo, la Monarchia sabauda,con queste prime parole, chiarì che lo Statutoera una mera concessione: la Costituzione nonfu imposta dal popolo, non fu espressione dellavolontà popolare, ma bensì il frutto di una de-cisione unilaterale del re, il quale pur regnandoper grazia divina, sentì la necessità di adeguarsiai tempi.Fu proprio così? Per quali effettive ragioniCarlo Alberto fu indotto a concedere lo Statuto?Temeva forse una rivoluzione? Aveva già l’in-tenzione di mettersi a capo della lotta per l’in-dipendenza? Che influenza ebbe lo Statuto nelRisorgimento italiano? A queste domande cer-cheremo di dare delle risposte sufficientementeobiettive, consultando la raccolta dei processiverbali del Consiglio di Conferenza per loStatuto, copiata a suo tempo dagli archividella biblioteca reale di Torino da DomenicoZanichelli e da questi pubblicata nel lontano1898. Tale preziosa pubblicazione è attualmenteconservata presso la Biblioteca dell’AccademiaNavale di Livorno.Dai suddetti documenti che verbalizzano lesedute del Consiglio di Conferenza, risulta chesi giunse a decidere l’opportunità di concederelo Statuto, quindi a elaborare un primo progettodi legge fondamentale, perfezionarlo e pro-

mulgarlo in poco più di un mese, ed esattamentedal 3 febbraio al 4 marzo 1848.Come mai tanta fretta? Come fu possibile cheun sovrano, definito da molti storici ambiguoe tentennante, debole e indeciso, potesse pren-dere una decisione tanto importante in cosìbreve tempo? Chi o che cosa lo incalzava?

Gli antefatti

Il ramo della famiglia di Carlo Alberto, i Cari-gnano, non aveva seguito la Corte in Sardegna,durante il periodo napoleonico; il principe erastato quindi testimone dello spirito rivoluzionarioe innovatore importato dalla Francia. Per questomotivo era visto con sospetto dalla Corte edagli aristocratici più reazionari, così comegodeva delle simpatie dagli aristocratici di ten-denze liberali.Era sicuramente a conoscenza di essere consi-derato un principe liberale; probabilmente siera compiaciuto di ciò ed aveva in qualchemodo dato l’illusione di volere appoggiare imoti del 1821. Avrebbe potuto, se non mettersialla testa dei giovani ufficiali che si erano ri-bellati, per lo meno intercedere presso il Sovranoper convincerlo a concedere la Costituzione.Ma Vittorio Emanuele I abdicò il 13 marzo1821 e Carlo Alberto, durante la sua brevereggenza, in attesa del rientro da Modena diCarlo Felice, erede al trono, non se la sentì diforzare gli eventi promulgando la Costituzione;soltanto il sovrano legittimo poteva compiereun atto così importante. Nell’attesa del rientrodi quest’ultimo assunse un comportamentoambiguo senza prendere una posizione netta afavore di una delle due fazioni in lotta, i costi-tuzionalisti e i realisti. Quando poi Carlo Felicelo richiamò all’ordine abbandonò definitivamentei costituzionalisti e fuggì a Novara.Dopo la sua salita al trono (1831), sembròcompletamente dimenticarsi del suo passatodi principe liberale, assumendo un comporta-mento marcatamente reazionario, schiacciando

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con la forza ogni più piccolo tentativo di ribel-lione. Si circondò di gesuiti e scelse i suoiministri tra gli aristocratici più retrivi del Regno.A Francesco IV di Modena scrisse che piuttostodi concedere delle riforme sarebbe morto.Nonostante il suo comportamento fosse perfet-tamente in linea con i principi della SantaAlleanza, Carlo Alberto era considerato dallecancellerie europee un sovrano sospetto e peri-coloso per lo status quo, quasi un rivoluzionario.Forse uno degli aspetti che rende la figura diCarlo Alberto particolarmente contraddittoriaè proprio questa: essere considerato al contempoun rivoluzionario in politica estera e un campionedella restaurazione all’interno del proprio Stato. Che cosa fece cambiare idea a Carlo Alberto?Forse il successo che ebbero le idee neoguelfedi Gioberti, presentate nel libro “Del primatomorale e civile degli italiani”, ossia il programmapolitico proposto da Gioberti che vedeva unaconfederazione di Stati italiani libera dall’in-fluenza straniera sotto l’autorità del Papa e laprotezione militare del Piemonte.Carlo Alberto, religiosissimo, fu sicuramenteinfluenzato dal programma giobertiano tant’èche nel 1845 cominciò gradualmente ad avvi-cinarsi ai moderati come Massimo D’Azeglio, alasciare intendere di voler abbracciare la causaitaliana; la sua politica estera si fece semprepiù antiaustriaca, sia con interventi di tipo do-ganale, che a carattere diplomatico, come adesempio la formale protesta avanzata in occa-sione dell’occupazione austriaca di Ferrara nel1847.Carlo Alberto era ben conscio che da una revi-sione dei trattati del Congresso di Vienna avevamolto da guadagnare e poco da perdere. Anchein caso di sconfitta contro l’Austria, l’importanzastrategica del Piemonte, come stato cuscinettotra la Francia e l’Impero, ne avrebbe garantitocomunque l’integrità, così come effettivamentesi verificò dopo la sconfitta di Novara del1849. Specialmente la Gran Bretagna, interessataal mantenimento dello status quo nella penisola

italiana, non avrebbe acconsentito a modificheterritoriali che danneggiassero il regno di Sar-degna.Carlo Alberto rifiutò le riforme fino all’autunnodel 1847; furono i rapidi cambiamenti che sisusseguirono in tutta Italia a fargli cambiareidea; le prime riforme, relative all’istituzionedi consigli comunali e provinciali elettivi, l’al-largamento del Consiglio di Stato, limitazioniai poteri della polizia e della censura furonoconcesse il 30 ottobre del 47 a causa degliintensi disordini scoppiati nel Regno di Napoli.A gennaio del 1848 si ebbero violenti tumultia Palermo; ma l’evento di maggiore importanzache fece esplodere le rivoluzioni in tutta Europa,dalla Francia alla Polonia, fu la rivolta di Parigi(22-24 febbraio). Quindi in una data di pochigiorni antecedente alla promulgazione delloStatuto (4 marzo). Occorre però precisare cheil Consiglio di Conferenza aveva già iniziato isuoi lavori da alcuni giorni.Pertanto la decisione di concedere lo Statutonon fu determinata dalla rivoluzione parigina,ma dagli avvenimenti italiani della fine del1847 e del gennaio del 1848, in particolare:• i tumulti di Milano del 3 gennaio;• vari tumulti a Genova nel mese di gennaio;• Rivolta a Palermo il 12-27 gennaio;• Tumulti nel Cilento il 17 gennaio;• La concessione della Costituzione nel Regno

delle due Sicilie il 29 gennaio.

I processi verbali del Consiglio di conferenza per lo Statuto

I processi verbali che documentano la nascitadello Statuto sono sette, in particolare consistononei verbali delle sedute del 3, 7, 10, 17, 24 feb-braio e del 2 e 4 marzo 1848. La lingua utilizzataè il francese; la struttura di ogni processoverbale e la procedura con cui si tenevano leriunioni è molto simile a quella tuttora utilizzatanegli ambienti militari: il Segretario del Consiglio,così come il membro e segretario delle attuali

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STORIA 61

Commissioni, aveva il compito di riassumere gliinterventi di ogni membro e di compilare iverbali. Ogni verbale porta la data della sedutae l’elenco dei partecipanti. Il Consiglio di Con-ferenza era presieduto dal re, il quale invitavaciascun membro a esporre il suo pensiero.Fecero parte del Consiglio di conferenza per loStatuto i ministri, i collari della santissima an-nunziata e i più alti funzionari dello Stato, tuttiappartenenti alla più antica aristocrazia pie-montese. Già dal primo verbale del 3 febbraiorisulta evidente che il re avesse già deciso diconcedere la Costituzione, prima di riunire ilConsiglio. Infatti, quando prese la parola ilConte Borelli, Ministro dell’Interno disse: “ SiS.M. juge inévitable une constitution, il faudraittout préparer pour la donner, avec le plus dedignité possible pour la Couronne, avec le moinsde mal possible pour le pays”.1 Non ci sonotracce di imposizione, nessun tono forte, anzituttaltro. Tutti si rivolsero al re con il massimorispetto e la maggior parte degli intervenutisembrava decisamente favorevole all’assolutismo.La costituzione è considerata dai più come unmale, purtroppo necessario, per non andare in-contro a mali peggiori. Furono gli avvenimentidi Napoli a spaventare la classe dirigente pie-montese. Tutti furono concordi nell’assicurareil re sulla fedeltà delle Forze Armate e sullatotale indifferenza se non ostilità della popola-zione per innovazioni di tale portata.Il Conte di Revel disse che purtroppo era unaristretta minoranza a volere la costituzione,ma questa minoranza era quella “qui parle,écrit et s’agit le plus“.2 Si tratta in sostanza diquelle poche migliaia di intellettuali, appartenentisia alla aristocrazia che ai ceti medi, che di-vennero i protagonisti del Risorgimento italiano.Giovani di tendenze politiche non ancora bendefinite, si va dai liberali moderati, ai democratici,ai repubblicani mazziniani fino ai primi teorici

del socialismo. Una cosa sola li accomunava:l’entusiasmo giovanile di voler cambiare lecose, l’odio per l’assolutismo e per ogni tipo diautorità che si poggiasse su tale forma di go-verno, fosse l’Imperatore d’Austria, il Papaoppure un qualsiasi sovrano.Nei verbali si nomina di tanto in tanto Mazzini,alla stessa stregua di un demonio, preoccupala sua “setta“ clandestina e soprattutto idisordini di Genova, ormai cronici, anche setenuti sotto controllo dalla polizia. Si temevache a causa della capillare rete mazziniana, idisordini di Genova si potessero estendere atutto il Piemonte. Il Conte Avet, Ministro digrazia e Giustizia, disse che una costituzionemoderata, come quella francese, poteva renderepiù forte la corona sia all’interno che all’esterno.Il re concedendo la costituzione avrebbe datoun’ulteriore prova della sua saggezza. CarloAlberto, sentito il parere di tutti i presenti,dopo avere espresso piena fiducia nei suoi mi-nistri, ordinò di approntare un progetto di co-stituzione che non doveva essere una “servileimitazione di quelle straniere“, riservandosi diprendere in seguito le determinazioni cheavrebbe giudicato convenienti.Prima di levare la seduta si discusse lungamentesull’opportunità di rendere pubblica la decisionedi concedere la costituzione, di dichiarare lastampa libera, come primo provvedimento co-stituzionale e di tutti i rischi connessi con lapossibilità di compromettersi con le potenzevicine a causa degli eventuali abusi dellastampa stessa. Tutto ciò è interessante perchémette in luce che ancora prima che nascessela Costituzione, il primo pensiero del re furivolto alla stampa e all’opinione pubblica.Alla seduta del 7 febbraio presero parte alcuniinfluenti personaggi, che risultano assenti ilgiorno 3, come il Conte De la Tour, il Conte diPralormo, il Conte Sclopis, il Marchese Raggi,

1 Se S.M. giudica inevitabile una costituzione, occorrerà preparare il tutto per promulgarla, con la maggior dignità possibile per la coronae con il minor male possibile per il Paese.

2 Che parla e scrive e si agita di più.

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il Conte Gallina ed altri. La prima parte dellaseduta fu dedicata all’esame della situazionepolitica interna ed estera. Presero la parola perprimi i personaggi su elencati che espresserole stesse preoccupazioni e considerazioni giàviste nel verbale del giorno 3 febbraio. L’unica novità significativa viene riportata dalConte De la Tour, il quale affermò che lo statodi eccitazione antiaustriaco avrebbe potutotrascinare il Piemonte in una guerra offensivao difensiva. Tutti sono dell’avviso di attribuirele cause della situazione di pericolo creatasigiorno per giorno agli abusi della stampa. Siparlò di obbedienza del popolo a ordini impartitida un “governo occulto”, sia a Genova che aTorino. Il Conte Gallina fece un punto della si-tuazione molto realistico, asserì che le nuoveidee erano il frutto della rivoluzione francese

del 1789, dell’occupazione napoleonica, di cuila maggior parte di loro furono testimoni.”Depuis1821 toute une nouvelle generation est venueau monde“3. Una generazione imbevuta deinuovi ideali, colta e influente, capace di agireanche se aritmeticamente poco numerosa, adifferenza della maggior parte della popolazione,fedele e devota al suo Re, ma senza alcunaopinione politica. Continuò dicendo che oc-correva studiare l’opinione dei ceti medi, perchéa questi ceti appartenevano i giovani intellettualiche volevano partecipare alla vita politica.Disse che addirittura una buona parte dell’ari-stocrazia, se non della corte, era ormai favorevolead una monarchia rappresentativa.Quindi con maggiore o minore entusiasmo,perché i tempi erano ormai ritenuti maturi, operché la costituzione era da preferirsi a mali

In apertura: Horace Vernet, Ritratto equestre di Carlo Alberto, 1834. Galleria Sabauda. Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etno-antropologici del PiemonteSopra: Carlo Alberto che abdica al trono 23 marzo 1849

3 Dal 1821 tutta una nuova generazione è venuta al mondo

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peggiori, il 7 febbraio tutti i presenti, compresoil re, furono favorevoli a compiere il grandepasso, prendendo come esempio la costituzionefrancese con i necessari adattamenti. Quasi perincanto, durante la stessa seduta, dopo che la“question ayant été jugée suffisamment développée tous le membres du Conseil se trouvant d’unepensée unanime sur les déterminations à prendre“4,il Ministro dell’Interno passò a leggere gli articolidella bozza dello Statuto.5 Dall’ordine del re dipreparare un primo progetto di legge, all’esecu-zione, passarono solo quattro giorni! Si discusserogli articoli più importanti dello Statuto e le mo-dalità per rendere noto alla popolazione ledecisioni del re con un apposito proclama.Sempre in questa seduta vennero esaminati ipro ed i contro della libertà di stampa. La stampacompletamente libera era considerata un gravepericolo, al contrario, se qualche articolo com-promettente avesse accidentalmente superatoil controllo della censura, l’implicita autorizzazionealla pubblicazione avrebbe messo ancora di piùin imbarazzo l’autorità dello Stato.Nei restanti cinque verbali vennero messi apunto i vari articoli dello Statuto; ad esempionel processo verbale del 24 febbraio fu speci-ficato l’elenco di chi poteva accedere al Senato.Tra questi troviamo gli ufficiali generali diterra e di mare, i maggiori generali ed i con-trammiragli con almeno cinque anni di per-manenza nel grado. Vennero definite modalitàdi dettaglio, come l’età minima per esseremembri del Senato, (quarant’anni tranne i prin-cipi del sangue i quali erano membri a ventunoanni con possibilità di votare a venticinque) el’imposta minima annuale da pagare per avere

diritto a votare per la Camera dei Deputati.Infine, si trattarono questioni relative allalibertà di culto e in particolare all’emancipazionedei Valdesi (seduta del 17 febbraio). A tal pro-posito nell’art. 1 si precisò che la sola religionedi stato era la Cattolica, Apostolica e Romanae gli altri culti erano tollerati.

Influenza dello Statuto sul Risorgimento Italiano

Nei processi verbali non c’è nessuna tracciache possa fare pensare a progetti futuri di uni-ficazione con il resto d’Italia. Il regno diSardegna era indipendente e i Savoia andavanofieri di essere una delle dinastie più antiched’Europa che regnavano senza l’aiuto di esercitistranieri. Che il Piemonte avesse sempre ambitoad espandersi in Lombardia era noto da tempo;anche perché era l’unica direttrice di espansionepossibile. Ma tutto ciò non aveva nulla a chefare con la volontà di unificazione nazionale.Si trattava semplicemente di ambizioni di con-quista di tipo tradizionali, le stesse che ebberotutte le principali dinastie europee: gli Asburgoe i Borbone; ambizioni per cui ogni re, peressere considerato dai posteri un buon sovrano,doveva lasciare a suo figlio, per lo meno glistessi territori ereditati a suo tempo dal padre,se non gli era possibile espandersi ulterior-mente.La politica estera piemontese era antiaustriaca,da almeno tre anni, ma se Carlo Alberto giàpensasse di attaccare l’Austria per annettersi laLombardia, ciò non fu certamente verbalizzato.Anzi è importante ricordare che quando i lombardi

4 Essendo stata la questione sufficientemente sviluppata e trovandosi tutti i membri del consilio di unanime pensiero sulle determinazionida prendere.

5 Gli articoli più importanti sono l’art. 3: “Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e dalle due Camere: il Senato e quelladei Deputati.“ Tuttavia Carlo Alberto cercò di concedere il meno possibile, visto che l’art. 5 stabiliva:” Al re solo appartiene il Potereesecutivo. Egli è il capo supremo dello Stato; comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra, fa i trattati di pace, d’alleanza,di commercio”. Pertanto la decisione che prenderà Vittorio Emanuele II di partecipare alla guerra di Crimea (1854-56), senza informarele Camere, trova giustificazione nell’art.5. Stessa cosa si può dire per gli accordi segreti presi con gli alleati nel 1915 che portarono ilpaese ad entrare in guerra contro l’Austria. Un altro articolo importante che in qualche modo impediva un ritorno all’assolutismo èl’art.9 “Il Re convoca in ogni anno le due Camere; può prorogarne le sessioni e disciogliere quella dei Deputati, ma in questo ultimo casone convoca un’altra nel termine di 4 mesi.” Un articolo moderno che limita il potere regio a favore delle Camere è l’art. 10: ”Laproposizione delle leggi apparterrà al re ed a ciascuna delle due Camere. Però ogni legge d’imposizione di tributi o di approvazione deibilanci e dei conti dello Stato sarà presentata prima all Camera dei Deputati.”

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Carlo Alberto, Re di Sardegna, firma lo Statuto, 4 marzo 1848. Arazzo. Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino

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chiesero aiuto a Carlo Alberto (23 marzo),l’esercito piemontese, a causa della rivoluzionedi Parigi di fine febbraio, era stato schieratosulla frontiera francese, per eccesso di prudenza.L’”Itala Nostra Corona“ che troviamo nel pre-ambolo non ha nulla a che fare con la futuraItalia. La dinastia sabauda si sentiva italianada più di due secoli; da quando Emanuele Fili-berto (1553-80) spostò la capitale da Chamberya Torino il Piemonte ebbe mire espansionistichesoltanto verso la penisola italiana. L’art. 62stabilì che l’italiano fosse la lingua ufficialedelle Camere. Ciò era necessario non tanto perle future conquiste, ma perché il Regno di Sar-degna, era tutt’altro che un piccolo Stato. (Na-turalmente per quei tempi!). Dimensioni aparte, il Regno di Sardegna era uno Stato ete-rogeneo che si estendeva dalle Alpi al centrodel Mediterraneo occidentale. Sicuramente iSavoiardi non avevano nulla in comune con iLiguri, né tanto meno con i Sardi. La Liguriaera poi stata annessa al regno di recente, inseguito ai trattati del Congresso di Vienna;infatti Genova era l’unica città che presentavaseri problemi di ordine pubblico. Lo Statuto, quindi, così come risulta dai verbali,fu promulgato per decisione de re nonostanteche la possibilità di entrare in guerra control’Austria rendesse consigliabile di soprassederealla concessione di una costituzione fino alcessare delle ostilità, proprio per non indebolirel’autorità regia nel momento in cui la situazionerichiedeva maggiori poteri. Ma Carlo Alberto comprese che a fronte di li-mitate riforme delle istituzioni del Regno con-cesse, grazie allo Statuto, avrebbe potuto cam-biare le sorti della penisola a favore del suocasato. Non ci riuscì in prima persona, ma co-munque offrì tale opportunità a suo figlio.Grazie all’intuizione di Carlo Alberto, i Savoia

riuscirono ad accattivarsi le simpatie di tuttiquei moderati, che sentivano l’esigenza di ab-bandonare il superato e asfittico regime asso-lutistico, ma che al tempo stesso paventavanoi movimenti democratici, pericolosi per l’ordinepubblico e soprattutto per le loro proprietàprivate.I Lombardi non si sarebbero mai liberati di unImperatore assoluto per mettersi nelle mani diun altro Sovrano assoluto. Lo Statuto avrebbegarantito di esprimere le proprie idee e di par-tecipare all’attività politica soltanto a coloroche allora erano ritenuti degni di rappresentarela Nazione: i possidenti e i professionisti, ari-stocratici o borghesi che fossero.6

Ma lo Statuto, se Carlo Alberto non avesseposseduto un esercito, sarebbe rimasto unpezzo di carta. Un esercito regolare era infatticonsiderato necessario, non soltanto per con-trastare gli austriaci, visto che i milanesi c’eranoriusciti benissimo da soli, ma soprattutto permantenere l’ordine, evitare l’anarchia e pro-teggere la proprietà.Nel 1859 i Savoia riuscirono a trascinare dallaloro parte anche molti democratici e mazziniani,come Crispi, i quali combatterono numerosicome garibaldini per l’Unità d’Italia. I tempiper la repubblica e per la sovranità popolarenon erano ancora maturi: la Costituzione dellaRepubblica Romana del 1849 rimase sullacarta, mentre lo Statuto durò per quasi unsecolo. Del resto, anche i democratici e i maz-ziniani provenivano dagli stessi ambienti culturalidei moderati; se non erano aristocratici o ricchipossidenti, comunque appartenevano al cetomedio ed avevano lo stesso interesse a tutelarel’ordine pubblico e la proprietà.Lo Statuto lasciava, quindi, la massima libertàd’azione a una nuova classe sociale: la BOR-GHESIA, che ben presto dominerà la vita politica

6 Si discusse molto sul censo minimo che dava diritto al voto per la Camera dei Deputati in occasione della seduta del 7 febbraio. Infattiun censo troppo elevato avrebbe favorito unicamente i proprietari terrieri, tagliando fuori dalla vita politica l’industria, il commercio edi professionisti, ossia proprio quei ceti medi che stavano emergendo. Con l’Unità di Italia, vennero precisate quali erano quelle categoriedi cittadini che pur non pagando la tassa minima di 40 lire l’anno, avevano diritto al voto, in quanto possessori non di beni economici,ma di culture e capacità professionali. medici, avvocati, ufficiali, insegnanti e impiegati dello Stato. Si calcola che non più del 2% dellapopolazione avesse diritto di voto.

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italiana. Al contempo, non can-cellava gli antichi privilegi diuna classe sociale ancoradominante, l’aristocrazia.Infatti l’art. 79 sanciva:”Ititoli di nobiltà sono man-tenuti a coloro che vihanno diritto. Il Re puòconferirne dei nuovi.“ Que-sto articolo permise agliaristocratici di non sentirsitraditi dalla monarchia: untitolo nobiliare garantiva nei con-fronti dei borghesi, per quanto ricchi fos-sero, qualcosa di più della semplice cortesia,una forma di rispetto che trovava le sue origininell’ancien regime e che tarderà molto a mori-re.Per molti borghesi la nobilitazione rimase unaromantica ambizione, un traguardo emozionanteda raggiungere fino al 1946, anno in cui loStatuto e i Savoia cessarono di regnare. La figura di Carlo Alberto dovrebbe essererivista: fu aspramente criticato sia dai con-temporanei sia dai posteri, come Sovranoinetto, ambiguo e tentennante. Se ebbe vera-mente mai simpatia per i liberali ciò risale aitempi della sua giovinezza quando non erachiamato ad assumere responsabilità da re.Una volta al trono fu un sovrano assoluto; sol-tanto verso il ‘47 si sarebbe potuto definire unriformatore ma sempre assoluto.Anche il modo con cui concesse lo Statuto fuda sovrano assoluto. Non gli fu imposto; nonfu il frutto di un compromesso tra un re chevoleva concedere il meno possibile e una con-troparte che, con la forza, cercava di otteneredi più. Il re aveva deciso di promulgare loStatuto prima di sentire l’opinione del Consiglio.Lo dimostra anche il fatto che vennero lasciatifuori ex ministri come Villamarina e SolaroDella Margherita che erano sicuramente contrariai regimi costituzionali. Tutto il consiglio era favorevole, ma senza

molti entusiasmi, ad abbandonarel’assolutismo; qualcuno si sen-

tiva maggiormente inco-raggiato a manifestare leproprie idee liberali, altrivi aderirono più tiepi-damente per necessità.Ma se il re ci avesse ri-pensato, probabilmente

nessuno avrebbe osatocontrastarlo: a corte la de-

vozione per Casa Savoia eratradizionalmente totale.

Si può senz’altro dire che Carlo Albertofu un pessimo condottiero visto che tra i suoiantenati ci furono ottimi generali; fu spessoindeciso, ma vista la situazione aveva più diun motivo di esserlo. Tra l’altro non ebbe la fortuna di suo figlio.Cosa avrebbe mai potuto fare Vittorio EmanueleII senza Cavour? Come politico invece fu ec-cellente! Seppe comprendere e stare al passocon i tempi e, quando fu necessario, la decisionedi concedere lo Statuto la seppe prendere. Ap-profittò della crisi austriaca e intervenne inLombardia. Regnò per pochi giorni sull’alta Italia, ma poivenne sconfitto a Custoza, l’anno dopo a Novarae quindi fu costretto ad abdicare. Lasciò co-munque a suo figlio gli stessi territori cheaveva ereditato e soprattutto gli lascio loStatuto e le speranze di un popolo che prestosi sarebbe unito sotto l’unica monarchia costi-tuzionale presente in Italia.

BIBLIOGRAFIA

DOMENICO ZANICHELLI: LO STATUTO DI CARLO ALBERTO, se-condo i processi verbali del Consiglio di Conferenza.Società editrice Dante Alighieri ROMA 1898. (Bibliotecadell’Accademia Navale).GIANGIULIO AMBROSINI: Costituzione Italiana Piccola BibliotecaEinaudi. Torino 1975.STUART J. WOOLF: Il Risorgimento Italiano. Piccola BibliotecaEinaudi. Torino 1981.

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Il Generale di Corpo d’Armata MarcoBertolini è nato a Parma il 21 giugno1953.Ha frequentato dal 1972 al 1976 il154° Corso presso l’Accademia Militaredi Modena prima e poi presso laScuola di Applicazione d’Arma diTorino. Promosso Tenente nel 1976, è statoassegnato al 9° Battaglione d’AssaltoParacadutisti “Col. Moschin” dellaBrigata Paracadutisti “Folgore”. Pres-so il Reparto ha conseguito il brevettodi incursore paracadutista ed ha ri-coperto l’incarico di Comandante diDistaccamento Operativo e di Com-pagnia Incursori. Trasferito al 2° Bat-taglione Paracadutisti “Tarquinia” dal1983 al 1985 ha comandato la 4^compagnia paracadutisti. Dopo aver frequentato il 111° Corsodi Stato Maggiore presso la Scuoladi Guerra di Civitavecchia, è statotrasferito al III Reparto - Ufficio Ope-razioni dello Stato Maggiore Esercito

dove ha prestato serviziofino al 1990.Dal 1991 al 1993 e dal1997 al 1998 ha co-mandato rispettivamenteil 9° Battaglione e il 9°Reggimento d’AssaltoParacadutisti “Col. Mo-schin”, mentre tra il1993 ed il 1997 è statoimpiegato quale CapoSezione presso il III Re-parto - Ufficio Addestra-mento dello Stato Mag-giore Esercito e succes-sivamente quale Capodi Stato Maggiore dellaBrigata Paracadutisti“Folgore”.Dal luglio 1999 al set-tembre 2001 è stato Co-mandante del Centro Ad-destramento di Paraca-dutismo in Pisa per es-sere, successivamente,

impiegato quale Vice Comandantedella Brigata “Folgore” fino al set-tembre 2002. Dal settembre 2002 al luglio 2004 èstato Comandante della Brigata Pa-racadutisti “Folgore”.Trasferito a Roma, dal 29 luglio 2004al settembre 2008 ha ricoperto l’in-carico di 1° Comandante del ComandoInterforze per le Operazioni delle ForzeSpeciali. Dalla fine del 2008 ha assunto l’in-carico di Capo di Stato Maggiore delComando ISAF in Afghanistan.Rientrato in Italia, il 16 dicembre2009 ha assunto l’incarico di Co-mandante del Comando Militare Eser-cito Toscana con sede in Firenze finoalla nomina all’attuale incarico di Co-mandante del Comando Operativo divertice Interforze il giorno 6 febbraio2012.Il Generale Bertolini ha partecipatoalle seguenti Operazioni fuori area:• con il grado di Capitano, dal set-

tembre 1982 al giugno 1983 in LI-BANO, quale Comandante dellaCompagnia Incursori per il controllodell’area di responsabilità del Con-tingente italiano;

• con il grado di Tenente Colonnello,dal dicembre 1992 al giugno 1993in Somalia, quale Comandante dellaBase Operativa Incursori per lacondotta di operazioni speciali intutto il settore italiano;

• con il grado di Tenente Colonnello,dal giugno 1996 all’aprile 1997 inBosnia Erzegovina, quale Capo diStato Maggiore della Brigata Mul-tinazionale Nord in Sarajevo;

• con il grado di Colonnello, dal di-cembre 1998 all’aprile 1999 in FY-ROM, quale Capo di Stato Maggioredella ”Extraction Force” della NATOper l’eventuale recupero dei veri-ficatori dell’OSCE in Kosovo, primadell’inizio della guerra contro laFederazione Yugoslava.

• con il grado di Generale di Brigata,dal giugno 2003 al 18 settembre2003 in Afghanistan, quale Co-mandante del Contingente italianonell’ambito dell’Operazione Nibbio;

• con il grado di Generale di Divisione,dal dicembre 2008 ad ottobre 2009,quale Capo di Stato Maggiore diISAF in Afghanistan.

Il Generale di Corpo d’Armata MarcoBertolini è insignito di varie onorifi-cenze, fra cui:• Croce di Ufficiale dell’Ordine Militare

d’Italia;• Croce al Valor Militare;• Croce d’Oro al Merito dell’Eserci-

to;• Croce d’Argento al Merito dell’Eser-

cito;• Croce di Commendatore dell’Ordine

al Merito della Repubblica.Il Generale Bertolini è istruttore diparacadutismo con 1400 lanci TCLall’attivo. È sposato con la signora Caterina edha tre figli.

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omineNCOMANDANTE DEL COIGen. C.A. Marco Bertolini

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sservatorio StrategicoO

Poco più di cento anni fa i fratelli Wright riuscirono afar decollare, seppure per pochi metri, l’archetipodegli odierni aeroplani. La prima “macchina volante” costituì, di fatto, nel1903, la nascita dell’aviazione. Pochi anni dopo l’aereo era già strumento utilizzatosia a fini civili che militari. L’evoluzione che ha subito l’aeronautica dagli inizi adoggi è stata impressionante, ma per lungo tempo nonha potuto prescindere dalla componente umana, ne-cessariamente imbarcata su qualsiasi aereo. Così, mentre velocità, letalità, raggio d’azione, caricotrasportato, sistemi di comando, comunicazione econtrollo si evolvevano a ritmo crescente, il pilota ri-maneva sostanzialmente soggetto ai limiti naturalidella fisiologia umana. Inoltre, il costante incrementodella complessità tecnologica e delle funzioni svilup-

pate ha imposto addestramenti sempre più lunghi earticolati, rendendo particolarmente onerosa la forma-zione dei piloti. Ciò rende evidente, quindi, come “l’eliminazione”dell’essere umano dal velivolo rappresentati unasvolta decisiva, svincolando le prestazioni dei velivolidai limiti propri del corpo umano come, ad esempio,stress, fatica, stanchezza, necessità di riposo, con-centrazione o limitata resistenza alle sollecitazionimeccaniche. Gli esperimenti per la realizzazione diaerei senza pilota (noti con le sigle Unmanned AerialVehicle - UAV, o Unmanned Aircraft System - UAS) co-minciarono già verso la fine degli anni ’50, ma sonoormai archeologia rispetto agli sviluppi degli ultimianni. Dato il rumore che emettono, gli UAV sono spessochiamati droni (singolare “drone”), mutuando il nome

RUOLO E FUTURO DEGLI UAVFRANCESCO LOMBARDI

a cura del

Centro Militare Studi Strategici

Velivolo MQ-9A "Predator B" a pilotaggio remoto

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dal sostantivo e verbo inglese drone, ovvero “ron-zio” o “ronzare”.Gli UAV sono pilotati in modo remoto, talvolta ancheda migliaia di chilometri dal luogo in cui essi sonoutilizzati. I conflitti in Afghanistan ed in Iraq hannoevidenziato (anche al grande pubblico) la definitivautilità degli UAV. Le ragioni del loro successo, aparte il fatto di non avere i limiti dovuti alla fisiolo-gia umana, sono molteplici. Per prima cosa gli UAVsono versatili, impiegabili in una molteplicità di fun-zioni, a cominciare da quelle più eminentementemilitari quali quelle d’attacco. E’ ormai ben noto alla pubblica opinione cosa sianoi targeted killings, ovvero gli “omicidi mirati”, chei droni possono compiere in diversi teatri di opera-zione; gli UAV, in questi casi, sono stati utilizzati percolpire obiettivi costituiti da terroristi in modo so-stanzialmente analogo a quanto avrebbe fatto unaereo militare tradizionale. Oltre però a queste capacità combat, gli UAV pos-sono svolgere altrettante funzioni militarmente ri-levanti, in primis quelle di intelligence. La raccolta di informazioni, ottenuta tramite sen-sori, videocamere e fotocamere installate sul droneè una funzione fondamentale al pari di altre comela elint (Electronic Signals Intelligence), la sigint(Signals Intelligence), la ricognizione o il monito-raggio di aree determinate. Molte di queste capa-cità sono poi sfruttate anche dalle forze dell’ordinee da enti pubblici e privati, per attività come il mo-nitoraggio ambientale, la protezione civile, il teleri-levamento, il controllo del traffico o la acquisizionedi dati scientifici. In secondo luogo gli UAV sono “politicamente spen-dibili”, in quanto possono compiere azioni in areead altissima pericolosità senza il rischio di perdereun pilota; per questo si prestano bene ad operazioniche richiedono una notevole segretezza o che sonoparticolarmente delicate. La terza caratteristica, però, è forse l’elemento piùinteressante, soprattutto in relazione ai futuri svi-luppi degli UAV: la dimensione dei mezzi. Il fatto di non dover imbarcare un essere umanosemplifica molto l’architettura di un UAV, permet-tendo di “recuperare” spazio prezioso e carico utileper sensori, armamento o sistemi di comando econtrollo, sollecitando poi tecnici ed aziende ad unacontinua miniaturizzazione della componentistica. Ed ecco così che a fianco degli UAV di dimensionisimili ad un aereo normale, come i famosi GeneralAtomics RQ-1 Predator o l’MQ-9 Reaper, esiste unaserie di droni di dimensioni ben più piccole, che

giungono sino ai mini e micro UAV, dal peso talvoltadi pochi chili. Naturalmente, in proporzione all’au-mento della misura del drone è possibile aumen-tarne il carico operativo, anche se già quelli didimensioni contenute sono ormai capaci di assol-vere con efficacia funzioni elementari quali la rico-gnizione e la sorveglianza. Così, sistemi come il RQ-11 Raven, con i suoi pochichili di peso ed un’apertura alare di meno di duemetri sono l’ideale per ricognizioni tattiche in fa-vore di unità minori. Questo modello, grazie alle di-mensioni contenute, può facilmente esseretrasportato e lanciato senza bisogno di particolarisuperfici. L’utilizzo di un UAV come questo, grazie alle video-camere che monta, può permettere anche ad uncomandante di compagnia di acquisire informazionisu qualsiasi area a portata del velivolo, senza ri-schiare i propri uomini e con una discrezione benmaggiore di un qualsiasi aereo tradizionale. Il Raven, poi, è spinto da un motore elettrico, cosache permette di ricaricarlo quando non viene utiliz-zato. All’opposto, esistono poi UAV da utilizzo strategico,come il Global Hawk della Northrop Grumman, conoltre 30 metri di apertura alare, capaci di volare perquasi 30 ore. Le dimensioni di quest’ultimo permettono l’instal-lazione di una vasta gamma di sistemi di Intelli-gence, Surveillance e Reconaissance (ISR),consentendo a questo drone capacità di sorve-glianza di estrema ampiezza e versatilità. Il note-vole uso dei velivoli senza pilota in teatro – sia perfunzioni combat che informative – ed il loro cre-scente sfruttamento nel settore civile hanno datoun notevole impulso alla ricerca ed allo sviluppo ditecnologie applicabili in tale campo. È quindi probabile che in futuro si assisterà ad unutilizzo sempre più pervasivo di queste tecnologie,in campo civile come in quello militare. Nuovi svi-luppi, come il rifornimento in volo, magari effettuatoda UAV a UAV, potrebbero ampliare ulteriormente lepotenzialità dei velivoli senza pilota. La miniaturizzazione e la specializzazione dellacomponentistica, della sensoristica e dei sistemi disorveglianza, già oggi molto avanzate, avrà una de-cisa influenza dal piano strategico sino a quello tat-tico, come ben hanno dimostrato gli UAV più piccolinei teatri di operazione. In definitiva, quindi, i velivoli senza pilota sono giàin parte dei protagonisti della conflittualità del XXIsecolo.

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inestra sul mondoF

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato aiprimi di febbraio, con 137 voti a favore e 12 contrari, unarisoluzione di condanna contro la Siria. Il provvedimento, scaturito dalla constatazione del per-durare delle violenze ad opera delle forze governative,chiede formalmente al presidente Bashar al-Asad di ces-sare con immediatezza gli attacchi contro i civili e leforze dell’opposizione civile, ordinando al contempo diimporre alle forze armate di cessare ogni attività repres-siva, e di collaborare con la Lega Araba per l’individua-zione di un processo di transizione democratica.La risoluzione, per quanto lungamente attesa, ha tuttaviaun valore puramente simbolico, non avendo l’Assembleail potere coercitivo del Consiglio di Sicurezza, e si inse-risce in un contesto particolarmente critico sia della po-sizione internazionale della Siria sia della gestione dellacrisi a livello nazionale, dove le forze di sicurezza nonsembrano aver diminuito l’intensità della repressione, edove il bilancio delle vittime civili sembra ormai superatola soglia delle 6000 unità.Al tempo stesso, gli Stati Uniti hanno apertamente accu-sato l’Iran di collaborare con il presidente al-Asad nellagestione della repressione, sostenendo di aver indivi-duato uno specifico ruolo delle cellule appartenenti alMinistero dell’Intelligence di Tehran nell’appoggiarel’azione violenta delle cellule qaediste individuate quali

autrici di alcuni dei più recenti attentati in Siria. In modoparticolare, secondo gli Stati Uniti, soprattutto l’attentatodel 10 febbraio è riconducibile ad una cellula irachenadi Al Qaeda, che avrebbe goduto del sostegno logisticodell’Iran per far esplodere due auto-bomba.

Chi si oppone alla risoluzione?Hanno votato contro la risoluzione dell’Assemblea Gene-rale dell’ONU dodici paesi, ed in particolar modo la Rus-sia, la Cina e l’Iran. Il testo approvato a metà febbraio ricalca quasi integral-mente quello bocciato al Consiglio di Sicurezza il 4 feb-braio a causa del veto di Cina e Russia, e chiede lacessazione immediata della repressione e l’avvio di unprocesso di transizione democratica attraverso il ruolodi un governo di unità nazionale.La risoluzione è stata voluta soprattutto dagli Stati Uniti,per dimostrare alla comunità internazionale che la con-danna verso al-Asad è netta e compatta, e che solo ilveto di Russia e Cina blocca una più importante e signi-ficativa condanna da parte del Consiglio di Sicurezza.Una mossa politica, dunque, volta a denunciare il com-plesso groviglio di interessi che ruota, ad ampio raggio,dietro alla Siria ed al suo sempre più discusso leader po-litico, Bashar al-Asad.Nell’ambito di questi interessi risultano particolarmente

NICOLA PEDDEEvoluzione della crisi in Siria

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evidenti quelli della Russia, della Cina e dell’Iran, seb-bene molto diversi tra loro e con diverse prospettive disopravvivenza al regime di al-Asad.La Russia considera la Siria non solo un importante par-tner economico nel settore degli armamenti, con un vo-lume d’affari per le industrie ex sovietiche che si aggiratra i 2 e i 3 miliardi dollari, ma anche una pedina strate-gica per la gestione della propria politica di influenza inMedio Oriente. Soprattutto quale contraltare al ruolo di Israele e comeelemento di bilanciamento nella complessa ed assai de-licata relazione tra Stati Uniti ed Iran.La Siria costituisce per la Russia anche una importanteleva di potere in seno alle Nazioni Unite, soprattutto conriferimento alla particolare relazione con gli Stati Uniti epiù in generale con la comunità internazionale.L’Iran ha un approccio alquanto pragmatico nei confrontidella Siria. Storicamente un regime alleato – e religio-samente affine, sebbene non maggioritario in terminidemografici – quello di al-Asad ha sempre rappresen-tato uno dei tre baluardi di stabilità regionale per Tehran,insieme alla componente sciita libanese e quella ira-chena. Per l’Iran non è di fondamentale importanza latenuta di Bashar al-Asad, quanto la continuità del rap-porto di alleanza tra i due paesi, che rischia tuttavia diessere fortemente compromesso dal solido legame conil vertice politico di Damasco. A questo proposito, l’Iran ha adottato una posizione al-quanto pragmatica. Ben sapendo che un crollo del regime comporterebberischi gravi per la continuità della relazione con l’Iran,da un lato lo sostiene attraverso anche un apporto ditipo operativo alle forze di sicurezza, dall’altro esprimeposizioni di critica sulle violenze ed inviti al dialogo edalla pacificazione. Cercando di massimizzare il risultato della propria ri-cerca di consenso.La Cina vede invece nelle sanzioni alla Siria un perico-loso precedente politico, che potrebbe in un futuro pros-simo trasformarsi in una aperta ingerenza anche negliaffari interni di Pechino, con riferimento alla gestionedelle minoranze e delle crisi politiche regionali, come adesempio quella mai sopita del Tibet.Appoggiare una risoluzione contro la Siria, cui possa po-tenzialmente far seguito anche una richiesta di inter-vento, costituisce un precedente di estrema pericolositàper Pechino, che preferisce quindi schermarsi dietro laconsueta maschera della politica di basso profilo e dellanon ingerenza. In realtà strumento operativo di tutela della propria po-litica interna e regionale.La restante parte dei paesi che si sono opposti alla ri-soluzione, come la Corea del Nord, il Venezuela e Cuba,hanno espresso il loro dissenso essenzialmente per ra-

gioni ideologiche e di diretta opposizione alla politicadegli Stati Uniti, senza alcun riguardo per la situazioneinterna e senza alcun diretto interesse di natura econo-mica o strategica.

Cosa provocherà la risoluzione?Poco o nulla, in termini pratici. Il risultato è solo di naturapolitica e diplomatica, ed è stato cercato allo scopo didimostrare alla comunità internazionale l’ambigua po-sizione dei paesi che si sono opposti, dimostrando altempo stesso la compattezza e l’estensione quantitativadella maggioranza che ha votato a favore.Non avendo la risoluzione dell’Assemblea la forza di unprovvedimento del Consiglio di Sicurezza, non ci sarannoampi margini di manovra per la comunità internazionale,e non potrà essere accolta la richiesta della Lega Arabarelativa all’invio di un contingente militare sotto l’egidadell’ONU.La Francia vorrebbe proporre una risoluzione finalizzataall’apertura di un corridoio umanitario, che tuttavia peressere efficace dovrebbe essere presidiato militar-mente, provocando quasi certamente il veto della Rus-sia e della Cina. Il Consiglio di Cooperazione del Golfoed alcuni attori locali della regione, come il Qatar el’Arabia Saudita, sono impegnati nella ricerca di posi-zioni di conciliazione economica con la Russia, senzatuttavia comprendere come la Siria abbia un peso pa-rimenti strategico per Mosca sotto il profilo degli equi-libri di forza regionali. Una miopia ricorrente in Medio Oriente, soprattutto inseno ai paesi del GCC, impegnati nella difficile soluzionedi una intricata crisi che rischia di sfociare in conflittoaperto, di estendersi all’Iran e potenzialmente all’Iraq edi coinvolgere – probabilmente travolgendoli – gli inte-ressi economici di tutte le monarchie del Golfo.Non sarà quindi il provvedimento di metà febbraio a mu-tare le sorti della crisi siriana, sebbene lo stesso rappre-senti un importante tassello dello sforzo diplomaticointernazionale per accelerare la caduta del regime di al-Asad ed avviare una transizione politica nelle intenzionipluralista e democratica. Non è tuttavia possibile dimenticare come la crisi sirianasia anche un prodotto – parzialmente artificiale – di unastrategia complessiva e largamente condivisa, per eli-minare uno dei pilastri della sicurezza strategica del-l’Iran. Nell’ambito di una crisi sempre più intensa che vedecontrapporsi la Repubblica Islamica ad Israele, in unquadro dove gli Stati Uniti, pur sostenendo ogni sforzocontro gli interessi di Tehran, non sembrano tuttaviavoler essere coinvolti in un vero conflitto, appoggiandoal contrario con maggiore convinzione la linea dellapressione politica ed economica che è ritenuta l’unicacapace di produrre risultati concreti contro l’Iran.

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ifesa alla RibaltaDMonumento a Domenico Corazzi: emblema delle ScuoleMilitari

Fu l’ispiratore della fondazione della Scuola Militare diRoma. Nel 1883, infatti, nel suo ruolo di membro del Parla-mento italiano aveva fortemente sostenuto l’importanzadella formazione ed educazione dei giovani per la crescitadei valori della nuova società civile, quali principi fondamen-tali di uno “StatoModerno”.Al Maggiore di arti-glieria e Medagliad’Argento al ValorMilitare DomenicoCorazzi, è stato inti-tolato un monu-mento nel cimiterodel Verano, sco-perto il 16 febbraio2012, nel corso diuna cerimonia allaquale ha presoparte anche il Mini-stro della DifesaGiampaolo Di Paola.La cerimonia di benedizione del monumento, alla quale

hanno partecipato, tra gli altri, il Comandante della CapitaleGen. C.A. Mauro Moscatelli ed il Consigliere dell’Associa-zione Nazionale “Ex Allievi Nunziatella” e promotore dell’ini-ziativa, Annunziato Seminara, è stata celebrata da Mons.Vincenzo Pelvi, Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia.

Storia e memoria camminano insieme

Sono lieto di rivolgervi una parola di saluto e di apprezza-mento per l’iniziativa di dedicare una targa monumento inricordo del Mag. Art. Domenico Corazzi, Medaglia d'Argentoa Custoza, ispiratore della fondazione della Scuola militaredi Roma, Palazzo Salviati, in via della Lungara.Oggi, ancor più che in passato, fare cultura militare significaoffrire modelli di riferimento per trasmettere la memoria sto-rica, aprendo un dialogo sull’esperienza umana, affrontandocertezze e incertezze di un’epoca che sempre più necessitadi testimoni. Storia e memoria camminano insieme. Non hafuturo una società senza memoria.In un mondo plasmato dal positivismo e dal materialismo,ideologie che hanno condotto a uno sfrenato entusiasmoper il progresso tecnico e scientifico, sembra che non ci siapiù spazio per la storia. II passato appare solo come unosfondo buio, sul quale il presente e il futuro risplendono conammiccanti promesse. Tipico di questa mentalità è il disin-teresse per la storia, che viene trascurata. Ciò produce unasocietà che, dimentica del proprio passato e quindi sprov-vista di criteri acquisiti attraverso l'esperienza, non è più ingrado di progettare un'armonica convivenza e un comuneimpegno nella realizzazione di obiettivi futuri. Vengono igno-

rati, cosi, importanti personalità e dimenticate intere epo-che.Desidero, dunque, incoraggiarvi di tutto cuore a tenere vivala memoria di militari che si sono distinti per gli ideali dellaPatria e per una costante azione a favore della pace nelmondo. La nostra famiglia militare è custode di un patrimo-nio prezioso per l'umanità intera. Dal suo cuore si levi unincessante messaggio di progresso sociale, di speranza, di

riconciliazione e disolidarietà. Di quil'impegno formativodelle Accademie eScuole militari cheassumono una parti-colare e insostituibilerilevanza nel prepa-rare alla professionemilitare. Ogni profes-sione, infatti, diventaoccasione per testi-moniare e tradurre inpratica i valori inte-riorizzati personal-mente durante ilperiodo accademico.

La profonda crisi economica, diffusa in tutto il mondo, conle cause che ne sono all’origine, ha evidenziato l'esigenzadi un investimento più deciso e coraggioso nel campo delsapere e dell’educazione, quale via per rispondere alle nu-merose sfide aperte e per preparare le giovani generazionia costruire un futuro migliore (cfr. Caritas in veritate, 30-31;61). Ed ecco allora che si avverte la necessità di creare nel-l'ambito educativo legami di pensiero, insegnare a collabo-rare tra discipline diverse e ad imparare gli uni dagli altri. Dinanzi ai profondi mutamenti in atto, sempre più urgenteè poi la necessità di appellarsi ai valori fondamentali da tra-smettere, come indispensabile patrimonio, alle giovani ge-nerazioni e, pertanto, di interrogarsi su quali siano tali valori.Alle istituzioni accademiche militari si pongono, quindi, inmodo pressante, questioni di carattere etico. Carissimi, immersi in una società frammentata e relativista,mantenete sempre aperti la mente e il cuore alla verità. De-dicatevi ad acquisire, in modo profondo, le conoscenze checoncorrono alla formazione integrale della vostra persona-lità, ad affinare la capacità di ricerca del vero e del bene du-rante tutta la vita, a prepararvi professionalmente perdiventare costruttori di una società più giusta e solidale. Resti viva, nel secolo e nel millennio appena avviati, la me-moria di questo fratello, amico e maestro. Anzi, cresca! Siatrasmessa di generazione in generazione, perché germiniun profondo rinnovamento culturale nell’amato mondo mi-litare.

+ Vincenzo PelviArcivescovo Ordinario militare per l'Italia

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RUBRICHE 73

ifesa NotizieD A CURA DI VALTER CASSAR

AFGHANISTAN: OPERAZIONE “UPPER HAND”

Herat, 2 gennaio 2012 - Numerosi arresti e un deposito clan-destino di armi sequestrato. È il bilancio dell’operazione “UpperHand” che ha portato oltre alla cattura e all’arresto da partedelle forze di sicurezza afgane di 17 sospetti “insurgents”,anche al rinvenimento di un “cache” contenente una consistentequantità di granate, bombe a mano, proiettili per armi portatili,radio e apparati trasmittenti vari. L’operazione è stata condottadal Combined Team West, composto dalla 1 Brigata dell’Esercitoafgano (Afghan National Army - ANA), dalle Forze di polizialocali e da Unità del Regional Command West (RC- West) aguida Brigata “Sassari”. Il luogo di conduzione delle attività èsituato nel settore Nord dell’area di responsabilità italiana, aiconfini con il Turkmenistan nel distretto di Tora Ghundey. Irisultati sono stati conseguiti nelle prime quattro giornate del-l’operazione, svolta con il contributo dell’Operational MentorLiason Team (OMLT), delle Forze per operazioni speciali, dialcuni elicotteri e di assetti per l’osservazione e l’acquisizionedegli obiettivi. L’OMLT italiano è un’iniziativa NATO – ISAF (In-ternational Security Assistance Force) che ha il compito di pre-parare, istruire e indirizzare le unità afgane, ai vari livelli, consi-gliando e supportando i Comandanti durante le fasi dipianificazione e di condotta delle operazioni.

UNIFIL: l’Italia torna al comando

Beirut, 28 gennaio 2012 - Dopo due anni esatti, l’Italia tornaalla guida della missione UNIFIL, aderendo ad una specificarichiesta da parte dell’ONU. Alla presenza del Ministro dellaDifesa Giampaolo Di Paola, in visita in Libano, si è svolta lacerimonia di cambio tra i Force Commanders spagnolo e italiano.A suggellare il passaggio di competenze tra il Gen. Alberto AsaraCuevas e il Gen. Paolo Serra, la consegna della Bandiera delleNazioni Unite avvenuta nel Quartier Generale di Naqoura. Inpassato, l’Italia aveva già tenuto il Comando di UNIFIL (dal 2febbraio 2007 al 28 gennaio 2010) con il Gen. C.A. ClaudioGraziano, attuale Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Durantela sua permanenza in Libano, il Ministro Di Paola ha avuto una

serie di incontri con i Presidenti della Repubblica libanese MichelSuleiman, del Parlamento Nabih Berri e del Consiglio dei MinistriNagib Mikati. A Beirut, il Ministro ha incontrato anche il suoomologo libanese Fayez Ghosn, il Patriarca Maronita BecharaBoutros El Rai e l’ex Primo Ministro Fuad Siniora.

Nave Costa Concordia: lotta contro il tempo

Isola del Giglio, gennaio 2012 - A seguito dell’incidenteoccorso alla nave da crociera Costa Concordia in prossimitàdel porto dell’Isola del Giglio, le Forze Armate italiane sonoprontamente intervenute per concorrere nelle operazioni diricerca dei dispersi e di soccorso e assistenza ai naufraghi. Inparticolare, insieme con 3 elicotteri AB 412 della GuardiaCostiera, sono stati impiegati 2 elicotteri EH 101 della Stazioneelicotteri di Luni della Marina Militare e 1 elicottero HH 3F del15° Stormo dell’Aeronautica Militare, che hanno svolto operazionidi recupero con verricello. Per fronteggiare l’emergenza laMarina Militare ha messo in campo anche due team delGruppo Operativo Subacquei (GOS) del COMSUBIN e NavePedretti, dotata di camera iperbarica. Fin dalle prime ore, sulposto è intervenuta anche l’Arma dei Carabinieri.

Inaugurato il nuovo Centro Operativo della Marina Militare

Roma, 19 gennaio 2012 - “Siamo una realtà significativa nelMediterraneo e in Europa e gli ultimi avvenimenti hannodimostrato che il nostro Paese sa rispondere nei momenti didifficoltà”. Nel suo discorso per l’inaugurazione del nuovoCentro Operativo della Marina Militare, il Ministro della DifesaGiampaolo Di Paola ha voluto ricordare l’importanza del ruolo

svolto dalle Forze Armate per la sicurezza nazionale einternazionale riferendosi, nel dettaglio, all’impegno nei soccorsidella Nave Costa Concordia, alla lotta alla pirateria con gliimportanti risultati messi a segno nell’Oceano Indiano da NaveGrecale e alle operazioni in Libia. Madrina della cerimonia, la

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Signora Irene Birindelli, figlia dell’Ammiraglio Gino Birindelli,incursore della Marina Medaglia d’Oro al Valor Militare, alquale è stata intitolata una sala del nuovo Centro Operativo. Alei l’onore di tagliare il nastro del nuovo Centro che ha ricevuto,inoltre, la benedizione da parte di Mons. Vincenzo Pelvi,Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia.

Visita del Comandante delle Forze ISAF

Roma, 31 gennaio 2012 - Il Capo di Stato Maggiore dellaDifesa, Generale Biagio Abrate, ha ricevuto a Palazzo “Caprara”(sede dello Stato Maggiore della Difesa) il Comandante delleForze ISAF (International Security Assistance Force), GeneraleJohn R. Allen. Nel corso dell’incontro, il Generale Allen haespresso apprezzamento e gratitudine per il prezioso contributodelle Forze Armate italiane alla missione in Afghanistan. Durantei colloqui, sono stati trattati argomenti relativi all’operazione incorso in Afghanistan, senza tralasciare gli impegni e le lineeguida per il prossimo futuro.

Spazio: una sfida duale

Roma, 1 febbraio 2012 - Puntare sul settore aerospazialequale elemento di crescita del Paese, anche in termini occu-pazionali, è basilare. Questo, in sintesi, il messaggio che ilMinistro della Difesa Giampaolo Di Paola ha lanciato questamattina intervenendo all’inaugurazione del workshop APDUSSdell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), che si è svolta al CentroAlti Studi della Difesa (CASD) di Roma. Un appuntamento, alquale erano presenti, tra gli altri, i Sottosegretari alla DifesaGianluigi Magri e Filippo Milone, il Capo di Stato Maggiore dellaDifesa Gen. Biagio Abrate ed i Vertici delle Forze Armate, cheha consentito di fare il punto della situazione su programmi einiziative legati all’utilizzo dello spazio. Attività che vedonol’impegno della Difesa e dell’imprenditoria civile, con in primopiano l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) e l’ESA. Il workshop, alquale hanno preso parte il Presidente dell’Agenzia SpazialeItaliana Enrico Saggese ed il Consigliere per le Attività Aerospaziali

del Ministro della Difesa Marco Airaghi, è stata l’occasione perparlare anche di telemedicina nelle missioni di peacekeeping.Ad illustrarne l’importanza, il Consigliere per la Sanità Militaredel Ministro della Difesa Michele Anaclerio. La telemedicina,infatti, soprattutto nell’ambito delle missioni internazionali allequali le Forze Armate partecipano, consente di risparmiarerisorse umane e finanziarie.

Cerimonia di cambio del Comandante del ComandoOperativo Interforze

Roma, 6 febbraio 2012 - Si è svolta, presso l’aeroporto “F. Ba-racca” – Centocelle, sede del Comando Operativo di vertice In-terforze (COI), la cerimonia di passaggio delle consegne tra ilComandante cedente, Generale di Corpo d’Armata Giorgio Cor-nacchione, ed il Comandante subentrante, Generale di Corpod’Armata Marco Bertolini. Alla cerimonia, presieduta dal Capodi Stato Maggiore della Difesa, Generale Biagio Abrate, hannopreso parte le più alte cariche militari. Il Generale Abrate haricordato come “quanto è stato fatto e i risultati conseguitisono nuovamente il frutto di un sistema difesa che, soprattuttonel momento dell’emergenza, è in grado di intervenire conefficacia, professionalità e valore, ovunque sia richiesta la suapresenza. I risultati espressi dai contingenti italiani sono semprestati all’altezza delle aspettative e degni di ogni più ampio rico-noscimento da parte di Autorità militari e politiche anche di altriPaesi. E questi risultati sono stati possibili anche grazie all’operadel Comando Operativo di vertice Interforze, di tutto il suopersonale e del suo Comandante”. Il Comando Operativo divertice Interforze, retto da un Generale di Corpo d’Armata, èstato costituito nel 1997 ed è la struttura di cui si avvale il Capodi Stato Maggiore della Difesa, responsabile dell’impiego delleF.A. nel loro complesso, per pianificare, predisporre e dirigere leoperazioni nonché le esercitazioni interforze e multinazionali.

Il Generale Abrate in visita in Francia

Parigi, 13 febbraio 2012 - Il Capo di Stato Maggiore dellaDifesa, Generale Biagio Abrate, nei giorni 9 e 10 febbraio, si èrecato a Parigi per i colloqui bilaterali con il suo omologo , Am-

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RUBRICHE 75

miraglio Eduard Guillaud. Il Generale Abrate è stato accompagnatodal Gen. D. Salvatore Farina, Capo del III Reparto di SMD, dalGen. B.A. Giampaolo Miniscalco, Capo del IV Reparto diSGD/DGA e dal Gen. B. Carlo Fortino, Addetto della Difesa inFrancia. Le delegazioni italiane e francesi hanno trattato leprincipali tematiche di comune interesse, con particolareriguardo alla partecipazione alle operazioni internazionali, al-l’addestramento/preparazione delle Forze Armate, alle tematicheNATO e UE, nonché alla cooperazione industriale bilaterale.Durante la visita, il Gen. Abrate si è recato al Senato perincontrare il Senatore Jaques Gautier – Vice Presidente dellaCommissione Affari Esteri, Difesa e Forze Armate, per poi pro-seguire alla volta dell’Eliseo, dove ha incontrato il GeneralePuga, Capo di Stato Maggiore Militare del Presidente della Re-pubblica Francese. Tutti gli incontri si sono svolti in un’atmosferadi cordiale amicizia e fattiva collaborazione al fine di rendere,in questo delicato periodo, le Forze Armate di entrambi i Paesisempre più efficienti e sviluppare nuove sinergie industriali inambito Difesa.

Emergenza neve: verso la normalizzazione

Roma, 14 febbraio 2012 - Dopo le forti nevicate delle ultimesettimane, il maltempo che ha investito tutto lo stivale si avviaad un miglioramento. Gli interventi delle Forze Armate proseguonocomunque senza sosta, al fine di ripristinare la viabilità nellezone colpite dalla eccezionale nevicata. Per l'emergenza neve,il Ministero della Difesa ha reso disponibili, con specificoriferimento alle Regioni del Centro Sud, oltre 1000 militari ecirca 300 mezzi e macchine speciali (autogru, gru, ACTL,Defender, VM 90, autobotti, terne ruotate, BV206, gruppielettrogeni ecc..). Le attività, finalizzate a rendere gli interventitempestivi in risposta alle esigenze della popolazione, sonosvolte sotto il coordinamento delle varie Prefetture, in strettacollaborazione con la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco e leForze dell’Ordine. L'Esercito, in particolare, dopo le primegiornate in cui le operazioni sono state focalizzate sull’assistenzae trasporto di persone rimaste bloccate nelle loro autovetture, ètutt’ora impiegato per il soccorso a persone malate, il ripristinodella viabilità e per la distribuzione di viveri, generi di conforto,medicinali e gruppi elettrogeni nei Comuni ancora isolati.

Antartide: conclusa la XXVII spedizione

Baia Terra Nova, 21 febbraio 2012 - La campagna estivadella XXVII spedizione italiana in Antartide, che aveva preso ilvia lo scorso 4 novembre, si è conclusa. Completate le ultimeoperazioni logistiche necessarie alla messa in sicurezza dellastazione, tutto il personale della base, sia militare che civile, hasalutato la Bandiera italiana per l’ultima volta prima dell’arrivo

dell’inverno australe, durante il quale la base “Mario Zucchelli”rimarrà chiusa “in conservazione”. Tutto il personale è statoimbarcato a bordo di Nave Italica, la quale, accompagnata datre lunghi fischi, ha lasciato la Baia di Terra Nova diretta versoil porto di Lyttelton, in Nuova Zelanda. Durante il periodo di per-manenza in Antartide, i militari (20 tra Ufficiali e Sottufficiali)hanno fornito un fondamentale supporto al Programma Nazionaledi Ricerche in Antartide (PNRA). Programma che comprendevadiversi progetti relativi alle scienze della vita (biodiversità,evoluzione ed adattamento degli organismi antartici), della

terra (glaciologia, contaminazioni ambientali, esplorazioni), del-l’atmosfera e dello spazio (cambiamenti climatici, monitoraggiodella atmosfera e della ionosfera, misure astronomiche).

Difesa e Regione Lazio insieme per la sanità pubblica

Roma, 28 febbraio 2012 - Un’intesa tra lo Stato Maggioredella Difesa e la Regione Lazio che punti a consentire ilcomune utilizzo di strutture, professionalità e mezzi della sanitàcivile e militare. Questo, in sintesi, l’obiettivo dell’accordoquadro per la cooperazione in tema di sanità pubblica tra laRegione Lazio e la Difesa, siglato dalla Presidente della RegioneRenata Polverini ed il Tenente Generale Federico Marmo, CapoUfficio Generale della Sanità Militare dello Stato MaggioreDifesa. L’intesa è finalizzata al raggiungimento di una sinergiatra la sanità civile e quella militare, unendo le esperienzecliniche, universitarie e scientifiche maturate in Italia con quelleproprie delle missioni militari, anche con compiti sanitari svoltiin contesti internazionali. Il Generale Biagio Abrate, Capo diStato Maggiore della Difesa, ha evidenziato “come il reciprocoscambio di esperienze sarà sicuramente un arricchimento e digrande utilità sia alla Difesa che alla Sanità pubblica regionalee nazionale”. L’accordo quadro, che permetterà il coordinamentodi convenzioni già avviate e l’implementazione di nuove attivitàdi cooperazione tra le strutture sanitarie civili e militari, avràuna durata iniziale di cinque anni e prevede la costituzione diun Comitato Direttivo per la definizione di programmi e iniziative.

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76 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 1/2012

assegna stampa esteraR

BRIEFING: ATTIVITÀ SUGLI ESPLOSIVIL’attività di eliminazione degli ordigni esplosivi (EOD) è diventata la più vasta ed ufficiale funzione militare nel corso del 20°secolo, tanto che ai militari è richiesta la necessaria competenza per maneggiare le munizioni, talvolta difettose, che eranoprodotte in massa durante la Prima Guerra Mondiale. La maggiore attenzione agli esplosivi sul campo di battaglia si è focalizzatasugli ordigni esplosivi improvvisati (IED) che, sebbene esistano da anni, sono emersi nell'ultimo decennio come strumentoprincipale per la guerra asimmetrica, impiegati dagli insorti che combattono in Iraq contro le forze americane e della coalizione.Gli IED hanno causato la maggior parte degli incidenti in Iraq, dove le operazioni degli Stati Uniti sono cessate alla fine del2011, e continuano ad essere la principale causa di vittime in Afghanistan. Questi dispositivi sono usati tatticamente per limitarela circolazione dei convogli di rifornimenti e delle forze di manovra, ma sono anche utilizzati strategicamente per attaccareobiettivi simbolici e demoralizzare le truppe di uno Stato e la popolazione civile nonché per dimostrare la forza degli insorti.L'utilizzo di IED non è solo localizzato in Iraq e Afghanistan, ha rilevato Frank Larkin, vice direttore dell’Pentagon’s Joint IEDDefeat Organization (JIEDDO). “Quando si prendono in considerazione gli oltre 500 eventi causati da IED, segnalati ogni mesefuori dell'Afghanistan, emergono cose interessanti”, ha riferito durante un briefing tenuto lo scorso 24 gennaio. (PVR)

STRUTTURA FUTURA DELL’ESERCITO BRITANNICOIl Capo del servizio del personale generale (CGS) britannico, dopo un periodo di "riflessione strategica”, ha riferito che l'Eser-cito, tra qualche mese, si troverà a dare una nuova impronta alla struttura futura delle forze. Nel corso di un meeting ad unIstituto internazionale di studi strategici, tenutosi a Londra il 31 gennaio scorso, il generale Sir Peter Wall ha dichiarato:“presto sarò in grado di suggerire al Segretario di Stato [della difesa] il più efficace, la più adeguata struttura del futuroesercito con le risorse che abbiamo ricevuto. Ci aspettiamo una decisione entro la primavera, dopo di che saremo in gradodi presentare il progetto dettagliato, e spero che in quel momento il periodo di riflessione strategica avrà la sua conclusione”.Dopo un decennio di attività estenuante in Iraq e in Afghanistan, l'Esercito britannico ha di recente dovuto affrontare la ne-cessità di porre in essere una quota di tagli al bilancio assegnato a causa della crisi economica globale. L'esercito staavendo una propria trasformazione e si sta orientando verso una forza in grado di affrontare, in emergenza, operazionifuture finora sconosciute, mentre il ridimensionamento della forza, entro il 2018, passerà dagli attuali poco più di 100.000soldati regolari, oltre 40.000 riservisti, agli 82.000 regolari e 30.000 riservisti. Il CGS ha detto che la sfida principale del-l'esercito è la gestione serial interconnected change, suddividendola in cinque attività principali. (PVR)

IL 300° EUROFIGHTER È DELLA SPAGNAHallbergmoos. Il trecentesimo velivolo Eurofighter Typhoon, realizzato dai quattro partner del consorzio europeo, è statoconsegnato da Cassidian all’Aeronautica spagnola, Ejército del Aire. Con questa pietra miliare il Typhoon, che è l'unico aereoda combattimento multi-ruolo di ultima generazione, ha raggiunto il ragguardevole il traguardo delle 300 unità. L'EurofighterTyphoon è attualmente in servizio nelle forze aeree di sei nazioni ed ha sostituito undici differenti tipi di aeromobili. Ad oggi,l’intera flotta con oltre 130.000 ore di volo, è ben sopra della media di usabilità operativa e potenza aerea rispetto al passato.L'Eurofighter Typhoon è il velivolo scelto dalle forze aeree di Gran Bretagna, Germania, Italia, Spagna, il Regno di ArabiaSaudita e Austria. (M.Po.)

ILAVORI PER LA PRIMA FREGATA CLASSE 125Amburgo. Alla presenza di numerosi ospiti, hanno avuto inizio i lavori per la realizzazione, nel cantiere navale di Amburgo,della prima fregata della classe 125 (F125). Progettata ed equipaggiata per la distribuzione come parte di missioni di difesaalleate e prevenzione delle crisi, nonché a sostenere le missioni umanitarie di soccorso, lotta al terrorismo e la lotta controle minacce asimmetriche, la fregata di classe 125 è una delle fregate più avanzate del mondo. In aggiunta a questa flessibilitàmissione eccezionale, la classe 125 è caratterizzata da un nuovo concetto di occupazione e la conseguente attuazionetecnica del principio della fruibilità intensiva. Il contratto di costruzione firmato nel giugno 2007 prevede la produzione di untotale di quattro fregate classe 125, che dovranno essere consegnate dal consorzio F125 tra la primavera del 2016 e il2018. (M.Po.)

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RUBRICHE 77

ndice generale 2011ICONTRIBUTO DI PENSIERO• Quando i carri respiravano (Anselmo Donnari), n. 3

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE• Paveant Turbinem Piratae (Giorgio Esposito), n. 2• Prove di dialogo tra NATO e Russia (Ge-

rardo Cervone), n. 2• 60° anniversario del NATO Defence Col-

lege (Mario Masdea), n. 2• The comprensive approach (Giovanni Vul-

taggio), n. 5• Aspetti teorico-pratici della cooperazione

(Mario Rino Me), n. 6

DIRITTO• La legislazione antiterrorismo: quali prospet-

tive? (Paolo Maria Ortolani e Francesco Zam-poni), n. 1

• La delega come strumento di amministrazionee di leadership (Enzo Fanelli), n. 1

• Il diritto internazionale umanitario nell’epocadella globalizzazione: l’accezione islamica (Arcangelo Ma-rucci), n. 4

• Le nuove frontiere al contrasto dell’immigrazione clandestina(Enzo Fanelli), n. 5

• I relitti e le navi da guerra, status e tutela giuridica (GiuseppeMasetti e Fulvia Orsini), n. 5

• Il trasporto aereo di “dangerous goods” a supporto dei teatrioperativi (Sebastiano Franco e Vincenzo Simonetti), n. 5

• “Il rapporto fra accesso agli Atti Amministrativi e dirittoalla privacy (Francesco Zamponi), n.6

EDITORIALE• Uniti. Adesso come allora (Gen. Biagio

Abrate), n. 1• Giovanni Paolo II tra i militari (Massimo

Fogari), n. 2• Cittadini con le stellette (Massimo Fo-

gari), n. 3• Friendship thruogh sport (Massimo Fo-

gari), n. 4• Vivi le Forze Armate. Militare per tre setti-

mane (Massimo Fogari), n. 5• Saluto del Capo di Stato Maggiore della Di-

fesa (Gen. Biagio Abrate), n. 6

EVENTI• Cerimonia di avvicendamento del Capo di Stato Maggiore

della Difesa, n. 1

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PERIODICO DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA N. 1/2011

Le Forze Armate nelle missioni del XXI secolo

La legislazione antiterrorismo:

quali prospettive?

La delega come strumento di

amministrazione e di leadership

Le Forze Armate nelle missioni del XXI secolo

La legislazione antiterrorismo:

quali prospettive?

La delega come strumento di

amministrazione e di leadership

ISSN 2036-9786

“Per l’onor del batajon”

I Campionati Sciistici delle Truppe Alpine

Supplemento al n. 1/2011 di Informazioni Difesa

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PERIODICO DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA N. 2/2011

Linee programmatiche dei nuovi vertici

delle Forze Armate

Paveant Turbinem Piratae

60° anniversario del NATO Defence College

Linee programmatiche dei nuovi vertici

delle Forze Armate

Paveant Turbinem Piratae

60° anniversario del NATO Defence CollegeISSN 2036-9786

Giov

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Supplemento al n. 2/2011 di Informazioni DifesaGiovanni Paolo II

tra i militari

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FORZE ARMATE• Le Forze Armate nelle missioni del XXI secolo (Giorgio Battisti

e Gianfranco Oggiano), n. 1• Un servizio linguistico per la Difesa (Paolo Cappelli), n. 1• Linee programmatiche dei nuovi vertici delle Forze Armate

(Gen. Biagio Abrate), n. 2• La formazione e la comunicazione - due fattori di successo

nell’organizzazione militare (Gen. Biagio Abrate),n. 3

• A Lourdes i militari di tutto il mondo, n. 3• Un moderno strumento per il futuro. L’analisi

approfondita del modello organizzativo (Cri-stiano Bettini), n. 5

• L’attuazione della dottrina militare nazionale(Cristiano Bettini), n. 6

• La formula del giuramento (Luigi FrancescoDe Leverano), n. 6

FORZE ARMATE E SOCIETÀ• La comunicazione non verbale (Giovanna Ra-

naldo e Carlo Di Somma), n. 1• Aziende e Forze Armate (Paolo De Maria), n. 4• Donne, Pace e Sicurezza (Enzo Fanelli), n. 6

LOGISTICA• Evoluzione dell’organizzazione logistica (Gaspare Schiavone),

n. 2

PANORAMA INTERNAZIONALE• Nuovi scenari nuovi conflitti (Antonio Cucurachi), n. 1• Le tre nuove milestones della strategia della Difesa USA nel-

l’era Obama (Antonio Galiuto), n. 1• La sicurezza delle informazioni al tempo di Wikileaks (Stefano

Ramacciotti), n. 3• La transizione in Afghanistan. Quali

prospettive? (Francesco Pagnotta), n.3

• Se la Blu Line si allunga di ... 200 mi-glia (Elia Cuoco), n. 3

• Le sfide e le prospettive di pace nelcorno d’Africa (Ottaviano Sillitti), n. 3

• Lesson Learned dall’Afghanistan (Gen.Biagio Abrate), n. 4

• Limiti e rischi del nucleare (Mario RinoMe), n. 4

• L’evoluzione della geostrategia della Ger-mania nel XXI secolo (Gianluca Sardellone),n. 4

• Il servizio militare in Israele tra refusnik,obiettori e pacifisti (Antonella Vicini), n. 4

• La questione delle “Curili” (Rodolfo Bastia-nelli), n. 6

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PERIODICO DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA N. 3/2011

La formazione e la comunicazione

due fattori di successo nell’organizzazione militare

La specificità della condizione militare

La sicurezza delle informazioni

al tempo di Wikileaks

La formazione e la comunicazione

due fattori di successo nell’organizzazione militare

La specificità della condizione militare

La sicurezza delle informazioni

al tempo di Wikileaks

ISSN 2036-9786

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Supplemento al n. 3/2011 di Informazioni Difesa

Festa della Repubblica Italiana

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PERIODICO DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA N. 4/2011

Lesson Learned dall’Afghanistan

Il diritto internazionale umanitario

l’accezione islamica

Limiti e rischi del nucleare

Lesson Learned dall’Afghanistan

Il diritto internazionale umanitario

l’accezione islamica

Limiti e rischi del nucleare

ISSN 2036-9786

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Supplemento al n. 4/2011 di Informazioni della Difesa

I Giochi Mondiali Militari

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RELIGIONI• Il trattamento del corpo morto nel-

l’islam (Chiara Galli), n. 5SANITÀ MILITARE• NATO Maintenance and Supply

Agency (NAMSA): una opportunitàper il supporto sanitario (Enzo Liguorie Claudio Zanotto), n. 4

SPECIALE - FORZE ARMATE• La specificità della condizione militare

(Luigi Francesco De Leverano), n. 3

STORIA• Passato e presente della ricerca in Antar-

tide (Francesco Palmas), n. 5• La pubblicistica della Difesa tra storia ed

attualità (Ada Fichera), n. 6

STORIA E MITO

• Dedalus dal mito alla realtà (Gianlorenzo Capano), n. 5STORIA MILITARE• Come il SIM sottrasse il cifrario americano - La beffa del

“Black Code” (Carlo De Risio), n. 1• 1° Aviere Salvatore Rubini: un eroe italiano a Rodi (Clara Sal-

pietro), n. 2• Sommergibilisti italiani prigionieri di

guerra in Giappone (GiovanniZannini), n. 2

• Attacco a Malta (Carlo DeRisio), n. 6

TECNOLOGIA• Le comunicazioni satellitari della

Difesa. Sistema Sicral (TommasoFracasso), n. 2

• Applicazioni militari e vantaggi deimateriali ceramici (Luigi Castellani),n. 2

SUPPLEMENTI• “Per l’onor del batajon” I Campionati

sciistici delle Truppe Alpine, n.1• Giovanni Paolo II tra i militari, n.2• Festa della Repubblica Italiana, 2 giugno 2011, n.3• I Giochi Mondiali Militari, n.4• Ragazzo in marcia! Vivi le Forze Armate, Militare per tre set-

timane, n.5• Panorama 2012 su scenari internazionali e di crisi, n.1

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PERIODICO DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA N. 5/2011

Un moderno strumento per il futuro

Il permesso di soggiorno per

motivi di protezione sociale

Il trasporto aereo di “dangerous goods”

Un moderno strumento per il futuro

Il permesso di soggiorno per

motivi di protezione sociale

Il trasporto aereo di “dangerous goods”ISSN 2036-9786

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Supplemento al n. 5/2011 di Informazioni della Difesa

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PERIODICO DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA N. 6/2010

L’evoluzione delle Forze Armate: scenari futuri

La NATO si trasforma

Un nuovo Concetto Stategico per

un’alleanza che si rinnova

L’evoluzione delle Forze Armate: scenari futuri

La NATO si trasforma

Un nuovo Concetto Stategico per

un’alleanza che si rinnova

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SUPPLEMENTO AL numero 6/2011 di INFORMAZIONI difesa

SUPPLEMENTO AL numero 6/2011 di INFORMAZIONI difesa

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80 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 1/2012

ecensioniRGINO FALLERIL’ADDETTO STAMPA Professionista della comunicazioneCentro di Documentazione Giornalistica, Roma, 2011, pp. 110, € 15,00

Non a caso il primo capitolo del libro “L’addetto stampa – professionistadella comunicazione” titola “L’informazione un bene fondamentale”. Lo è.L’informazione è veramente un bene cui non si può rinunciare, ma opera esi sviluppa in un campo minato, perché quella del giornalista non è una pro-fessione facile e non mancano i problemi di carattere professionale, quellioccupazionali, quelli deontologici, quelli della stessa incolumità personale.In questo campo minato deve muoversi anche tutto ciò che ruota intorno almondo dell’informazione e il miglior descrittore, analista e studioso della ma-teria è il nostro Autore che non solo ha lavorato per una intera vita in questocampo minato ma, dopo tante battaglie, ha raggiunto la definizione del profiloprofessionale di un personaggio che è entrato a pieno titolo nel settore gior-nalistico: l’Addetto stampa. Gino Falleri, Presidente del Gruppo Giornalisti Uf-fici Stampa (GUS) attraverso una profonda analisi non solo della normativa,ma anche della giurisprudenza, descrive molto bene il mondo giornalisticosoffermandosi sulle attribuzioni, sugli ambiti di azione, sulle proiezioni dellafigura che oggi ancora si muove in punta di piedi in questo campo minato.Con questa terza edizione, completamente aggiornata e, direi, attualizzata,de “L’addetto stampa – professionista della comunicazione” spiega in ma-niera esaustiva i dieci anni della legge 150/2000 … “inseguita e sollecitataper trent’anni”… descrivendo anche le battaglie delle associazioni di cate-goria e concludendo – anche questo non a caso – con il racconto della suastoria. (VC)

MILLA PRANDELLISGUARDI DI PACE. GUARDIANI DI PACE. Viaggio in Afghanistan al seguito delle Forze Armate ItalianeEdizioni Kissing The Sky, Brescia, 2010, 120 pagine, € 10,00Vincitore del Premio giornalistico “Sodalitas” nella categoria Fotografia.

Con un’immagine dopo l’altra e alcune pagine di testo, il libro fotografico dellagiornalista Milla Prandelli racconta l’impegno quotidiano in Afghanistan deicirca 4mila soldati appartenenti alle quattro Forze Armate italiane. Sono molti,per scelta dell’autore e dei curatori del volume, i ritratti di soldati, resi nellaquotidianità del loro lavoro al servizio del popolo italiano e dei fratelli afghani.Non mancano anche scene della vita quotidiana degli afghani, che il lavoro disupporto fornito dai militari italiani rende meno difficile. Nel testo si scorgonovari aspetti che caratterizzano la presenza italiana in teatro operativo, anchese la fotoreporter ha volutamente lasciare in secondo piano l’aspetto combatper concentrarsi sulle attività cimic. Il tomo, come suggerisce la prefazione delgenerale Massimo Fogari, è anche occasione per analizzare il rapporto tra gior-nalismo e Forze Armate in teatro operativo. La Prandelli, difatti, ha lavoratocome “embedded”, ovvero come giornalista “incastonata” tra le truppe, cui èconsentito di seguire i militari persino sulle linee di combattimento, a menoche il comandante in teatro non giudichi la presenza del giornalista dannosaper l’esito della missione o pericolosa per la vita dei suoi uomini e donne.“Sguardi di Pace. Guardiani di Pace. Viaggio in Afghanistan al seguito delleForze Armate Italiane” è anche un omaggio ai caduti di tutte le guerre reso conil ricordo dei sei caduti del settembre 2009, che dell’autrice sono stati la scortaa Kabul. Il testo, quasi un abbraccio che tramite la Prandelli il mondo civile ri-volge verso le Forze Armate Italiane, è dedicato a loro, definiti, per l’appunto“Guardiani di pace”. (PVR)

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