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Editoriale Formazione tecnico-professionale ed aziende elettromedicali Le aziende produttrici di dispositivi medicali, oltre a contribuire all’innovazione tecnologica, partecipano da sempre all’avanzamento delle competenze tecniche dei professionisti sanitari. Tali aziende non hanno vita facile nel mercato italiano, spesso incoerente e garantista nell’offrire reali possibilità solo alle aziende più grandi e già affermate, a discapito di quelle piccole ed emergenti, come vogliono le regole di un’economia guidata da lobbies votate ad autoperpetuarsi. Ciò premesso, in occasione di ExpoSanità ci tengo ad esprimere un sincero ringraziamento a tutte quelle aziende che producono dispositivi medici e che quotidianamente contribuiscono allo sviluppo della cultura professionale tra i fisioterapisti. Tuttavia, è importante che i professionisti sanitari non leggano nelle iniziative formative tecniche di queste aziende (come workshops, conferenze o corsi) un mero significato di natura commerciale. Infatti, la disponibilità di aziende orientate allo sviluppo di conoscenze tecnico-scientifiche, oltre che per l’ideazione e alla sperimentazione di prodotti sempre più rispondenti alle concrete esigenze del mercato, è basilare per rafforzare la crescita e lo sviluppo della nostra stessa professione. Per quanto mi è possibile, cercherò di dare spazio alla comunicazione di quelle iniziative formative anche non-ECM, di qualità sempre più alta, che tali aziende offrono sul territorio nazionale, per una collaborazione sinergica ed efficace tra proposte del mercato e professione fisioterapica, sempre nel pieno rispetto delle norme che disciplinano il conflitto di interessi. SIMONE PATUZZO DIRETTORE RESPONSABILE DI RIABILITAZIONE OGGI mcontinua a pag. 8 La riabilitazione: dalla gestione delle malattie croniche al rein- serimento occupazionale dei soggetti con disabilità motoria. Torna l’appuntamento con Expo- sanità, l’unica manifestazione dedicata ai temi della salute e dell’assistenza, che si terrà a Bologna Fiere da mercoledì 18 maggio sino a sabato 21 mag- gio 2016. Prodotti e servizi per ospedali, diagnostica e ICT, terza età, disabilità, dipartimento ma- terno-infantile, pronto soccorso e prevenzione, ortopedia e riabi- litazione, ma anche innovazione in sala operatoria e stampa 3D applicata al medicale. Saranno questi alcuni dei temi che carat- terizzeranno la 20esima edizione della manifestazione. All’interno del Salone Horus che ospita servizi e iniziative che ri- guardano i settori della disabili- tà, ortopedia e riabilitazione, due importanti eventi: il Meeting In- ternazionale ISO 2016 che vedrà la partecipazione di 80 esperti provenienti da diversi Paesi (co- me UK, Francia, Germania, USA, Giappone) che forniranno il pro- prio contributo sulla normazione degli ausili per disabili, mentre saranno oltre 300 gli esperti del settore ortopedico-sanitario che parteciperanno al 2° Convegno del Forum Comparto Ortopro- Simone Patuzzo e Jochen Schomacher invitano alla lettura della nuova rubrica “L’esercizio terapeutico nel dolore cervicale” a pag. 2 tesico Italiano. La diagnostica per immagini sarà protagonista del salone Diagnostica 2000 che, accanto all’esposizione, offrirà con il Convegno Medicina Va- scolare una due giorni di appro- fondimento sulla diagnosi e cura delle ulcere degli arti inferiori e al piede diabetico in collaborazione con SIDV GIUV, Società italiana di Diagnostica Vascolare. Si affronterà anche il tema della terza età con un ricco programma di iniziative formative e il pro- getto Call for Ideas, un concorso di idee realizzato in collabora- zione con lo IED di Roma, per la ricerca di soluzioni adiuvanti gli operatori che si occupano di an- ziani affetti da malattie croniche degenerative. Con l’obiettivo di promuovere l’incontro tra i diver- si attori della filiera, il salone di Me.De.Tech, dedicato alle tecno- logie mediche monouso, ospiterà tavole rotonde e incontri com- merciali per quelle realtà che nella filiera trattano dalla materia prima al prodotto finito. Non mancheranno anche i pro- dotti e i servizi per gli ospedali che si potranno toccare con mano nel Salone Hospital che quest’an- no offrirà agli operatori del setto- re la possibilità di partecipare a tre eventi speciali. Il primo, Focus Sala Operatoria, proporrà un’area dimostrativa con una sala operatoria di ulti- ma generazione in fatto di car- diochirurgia e neurochirurgia; il secondo, Focus Involucro Ospe- dale, si concentrerà sugli aspetti riguardanti la progettazione, la realizzazione e la manutenzione degli ospedali nei suoi rivolti più strutturali. Infine, il Focus Ma- terno Infantile sarà l’occasione per vedere i nuovi prodotti e ap- parecchiature destinate alle aree ospedaliere dedicate alle cure materne e infantili (sale parto, re- parti di ostetricia, neonatologia), nonché partecipare a momenti formativi accreditati per perso- nale sanitario. Con le ultime novità in tema di prodotti e attrezzature nell’am- bito dell’emergenza sanitaria, il salone Primo Soccorso attiverà all’interno dell’area dedicata di- versi cicli di formazione, esercita- zioni e simulazioni pratiche Il programma di Exposanità prevede inoltre la presentazione dei vantaggi e delle innovazioni dell’ICT a sostegno del settore ospedaliero, dell’autodiagnostica e delle nuove strumentazioni per i laboratori. Confermata anche la seconda edizione di 3D Print Hub in cui saranno protagonisti la stampa 3D ed i suoi moltepli- ci impieghi in campo medicale, con lo scopo di fornire al sistema ospedaliero un aiuto concreto e all’avanguardia per lo sviluppo di impianti e nuove protesi. m RiabilitazioneOggi Comunicato stampa A Exposanità 2016 prodotti, incontri accreditati e soluzioni per gli operatori del settore RiabilitazioneOggi Ausili Come misurare l’outcome degli ausili: esperienze sul campo RENZO ANDRICH CLAUDIA SALATINO STEFANO PICCIONI IRCCS Fondazione Don Carlo Gnocchi, Milano [email protected] INTRODUZIONE Il modello ICF dell’Organizzazio- ne Mondiale della Sanità sottoli- nea l’importanza dei facilitatori ambientali per il “funzionamen- to” della persona nel proprio am- biente di vita. Alla luce del modello ICF, gli in- terventi di facilitazione ambienta- le, in primo luogo l’adozione di ausili, sono parte integrante del progetto riabilitativo. Ma come misurare l’efficacia de- gli ausili forniti? RiabilitazioneOggi è presente a EXPOSANITÀ 2016 Padiglione 22, Stand C20 a pag. 25 il programma di Exposanità 2016 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI Anno XXXIII - Gennaio/Febbraio 2016 1 www.riabilitazioneoggi.com La rivista è distribuita in abbonamento, per informazioni vai su Riabilitazione Oggi PARTECIPIAMO A 18-21 Maggio 2016 9 a mostra EXPOSANITAʼ

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EditorialeFormazione tecnico-professionale ed aziende elettromedicaliLe aziende produttrici di dispositivi medicali, oltre a contribuire all’innovazione tecnologica, partecipano da sempre all’avanzamento delle competenze tecniche dei professionisti sanitari. Tali aziende non hanno vita facile nel mercato italiano, spesso incoerente e garantista nell’offrire reali possibilitàsolo alle aziende più grandie già affermate, a discapitodi quelle piccole ed emergenti, come vogliono le regoledi un’economia guidata da lobbies votate ad autoperpetuarsi. Ciò premesso, in occasionedi ExpoSanità ci tengo ad esprimere un sincero ringraziamento a tutte quelle aziende che producono dispositivi medici e che quotidianamente contribuiscono allo sviluppo della cultura professionale tra i fisioterapisti. Tuttavia, è importante che i professionisti sanitari non leggano nelle iniziative formative tecniche di queste aziende(come workshops, conferenzeo corsi) un mero significatodi natura commerciale.Infatti, la disponibilità di aziende orientate allo sviluppo di conoscenze tecnico-scientifiche, oltre che per l’ideazionee alla sperimentazione di prodotti sempre più rispondenti alle concrete esigenze del mercato,è basilare per rafforzarela crescita e lo sviluppodella nostra stessa professione. Per quanto mi è possibile, cercherò di dare spazioalla comunicazione di quelle iniziative formative anchenon-ECM, di qualità semprepiù alta, che tali aziende offrono sul territorio nazionale,per una collaborazione sinergica ed efficace tra proposte del mercato e professione fisioterapica, semprenel pieno rispetto delle norme che disciplinano il conflittodi interessi.

Simone PatuzzoDirettore reSPonSabile Di riabilitazione oggi

mcontinua a pag. 8

La riabilitazione: dalla gestione delle malattie croniche al rein-serimento occupazionale dei soggetti con disabilità motoria.

Torna l’appuntamento con Expo-sanità, l’unica manifestazione dedicata ai temi della salute e dell’assistenza, che si terrà a Bologna Fiere da mercoledì 18 maggio sino a sabato 21 mag-gio 2016. Prodotti e servizi per ospedali, diagnostica e ICT, terza età, disabilità, dipartimento ma-terno-infantile, pronto soccorso e prevenzione, ortopedia e riabi-litazione, ma anche innovazione in sala operatoria e stampa 3D applicata al medicale. Saranno questi alcuni dei temi che carat-terizzeranno la 20esima edizione della manifestazione.All’interno del Salone Horus che ospita servizi e iniziative che ri-guardano i settori della disabili-tà, ortopedia e riabilitazione, due importanti eventi: il Meeting In-ternazionale ISO 2016 che vedrà la partecipazione di 80 esperti provenienti da diversi Paesi (co-me UK, Francia, Germania, USA, Giappone) che forniranno il pro-prio contributo sulla normazione degli ausili per disabili, mentre saranno oltre 300 gli esperti del settore ortopedico-sanitario che parteciperanno al 2° Convegno del Forum Comparto Ortopro-

Simone Patuzzo e Jochen Schomacherinvitano alla lettura della nuova rubrica “L’esercizio terapeutico nel dolore cervicale”a pag. 2

tesico Italiano. La diagnostica per immagini sarà protagonista del salone Diagnostica 2000 che, accanto all’esposizione, offrirà con il Convegno Medicina Va-scolare una due giorni di appro-fondimento sulla diagnosi e cura delle ulcere degli arti inferiori e al piede diabetico in collaborazione con SIDV GIUV, Società italiana di Diagnostica Vascolare.Si affronterà anche il tema della terza età con un ricco programma di iniziative formative e il pro-getto Call for Ideas, un concorso di idee realizzato in collabora-zione con lo IED di Roma, per la ricerca di soluzioni adiuvanti gli operatori che si occupano di an-ziani affetti da malattie croniche degenerative. Con l’obiettivo di promuovere l’incontro tra i diver-si attori della filiera, il salone di Me.De.Tech, dedicato alle tecno-logie mediche monouso, ospiterà tavole rotonde e incontri com-merciali per quelle realtà che nella filiera trattano dalla materia prima al prodotto finito. Non mancheranno anche i pro-dotti e i servizi per gli ospedali che si potranno toccare con mano nel Salone Hospital che quest’an-no offrirà agli operatori del setto-re la possibilità di partecipare a tre eventi speciali.Il primo, Focus Sala Operatoria, proporrà un’area dimostrativa

con una sala operatoria di ulti-ma generazione in fatto di car-diochirurgia e neurochirurgia; il secondo, Focus Involucro Ospe-dale, si concentrerà sugli aspetti riguardanti la progettazione, la realizzazione e la manutenzione degli ospedali nei suoi rivolti più strutturali. Infine, il Focus Ma-terno Infantile sarà l’occasione per vedere i nuovi prodotti e ap-parecchiature destinate alle aree ospedaliere dedicate alle cure materne e infantili (sale parto, re-parti di ostetricia, neonatologia), nonché partecipare a momenti formativi accreditati per perso-nale sanitario.Con le ultime novità in tema di prodotti e attrezzature nell’am-

bito dell’emergenza sanitaria, il salone Primo Soccorso attiverà all’interno dell’area dedicata di-versi cicli di formazione, esercita-zioni e simulazioni praticheIl programma di Exposanità prevede inoltre la presentazione dei vantaggi e delle innovazioni dell’ICT a sostegno del settore ospedaliero, dell’autodiagnostica e delle nuove strumentazioni per i laboratori. Confermata anche la seconda edizione di 3D Print Hub in cui saranno protagonisti la stampa 3D ed i suoi moltepli-ci impieghi in campo medicale, con lo scopo di fornire al sistema ospedaliero un aiuto concreto e all’avanguardia per lo sviluppo di impianti e nuove protesi. m

RiabilitazioneOggi Comunicato stampa

A Exposanità 2016 prodotti,incontri accreditati e soluzioniper gli operatori del settore

RiabilitazioneOggi Ausili

Come misurare l’outcome degli ausili: esperienze sul campo

RENZO ANDRICH CLAUDIA SALATINO STEFANO PICCIONIIRCCS Fondazione Don Carlo Gnocchi, [email protected]

INTRODUZIONEIl modello ICF dell’Organizzazio-ne Mondiale della Sanità sottoli-nea l’importanza dei facilitatori ambientali per il “funzionamen-

to” della persona nel proprio am-biente di vita.Alla luce del modello ICF, gli in-terventi di facilitazione ambienta-le, in primo luogo l’adozione di ausili, sono parte integrante del progetto riabilitativo.Ma come misurare l’efficacia de-gli ausili forniti?

RiabilitazioneOggi è presente a EXPOSANITÀ 2016 Padiglione 22, Stand C20

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2 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

competenza del fisioterapista: il dolore, l’alterazione tessutale e la disfunzione del movimento [13].

DoloreIl dolore può essere acuto o cronico; quando è a metà tra l’acuto e il cronico si definisce subacuto.Il dolore acuto è un dolore fisiologico che favorisce la guarigione dei tessuti a seguito di una lesione oppu-re aiuta a prevenire danni [14]. Il fisioterapista può rispettare la guarigione fisiologica dei tessuti e favo-rirla con l‘inibizione del dolore.Nel dolore cronico, invece, è avvenuta una sensibiliz-zazione del “sistema del dolore” nel sistema nervoso periferico e in quello centrale, che in senso lato può essere denominata “memoria del dolore”. Compli-cate procedure di adattamento dei processi neuro-fisiologici inducono modificazioni persistenti della struttura del sistema neurale (= plasticità), mentre i processi neuropsicologici fanno sì che il paziente “impari” la sensazione del dolore (= apprendimen-to) creando tra l’altro una memoria del dolore e un condizionamento (del genere “Ogni volta che guardo verso l’alto mi fa male il collo”) [15]. Il fisioterapi-sta può provare ad inibire il dolore, desensibilizzare il sistema del dolore ed estinguere la memoria del dolore.

Qual è il miglior trattamento analgesico?Sembra che non esista un trattamento fisioterapico analgesico migliore degli altri e che diverse tecniche allevino il dolore. Seguono alcuni esempi.

• Pazienti con cervicalgia cronica trattati 4 volte in 2 settimane con:• manipolazione (19) in inclinazione o rotazione al

massimo 2 volte (supino);• mobilizzazione (21) postero-anteriore a 2 Hz 3 × 2

min con 1 min di riposo (prono);• SNAGS (Sustained Natural Apophyseal Glides)

(21) con pressione sul processo trasverso gui-dandolo durante il movimento doloroso e contro resistenza al ritorno 3 volte × 10 ripetizioni (se-duto).

I risultati mostrarono che tutti i pazienti migliorava-no in rapporto al trattamento senza differenze tra i diversi gruppi fino a 1, 2 e 3 mesi dopo il trattamento [16].

• 60 pazienti con dolori cervicali meccanici presenti da < 3 mesi e ROM limitato divisi in modo rando-mizzato in tre gruppi di trattamento:• mobilizzazione secondo Maitland con esercizi

(20);• mobilizzazione secondo Mulligan con esercizi

(20);• solo esercizi (20).

Ogni gruppo aveva effettuato 5 sedute per settimana per un periodo di 2 settimane. I risultati mostraro-no un miglioramento in rapporto al trattamento (con un piccolo “effect size” tra i gruppi: 0,2) in merito al dolore, al ROM e alla disabilità associata, senza nes-suna differenza tra i gruppi [17].

Una revisione sistematica della letteratura ha indivi-duato cinque studi clinici randomizzati (RCT) di alta qualità che paragonavano il trattamento McKenzie (Mechanical Diagnosis and Therapy = MDT) ad “at-tendi senza fare niente” (“wait and see”) e ad altri vari interventi.I risultati mostrarono nessuna differenza significativa rispetto all‘“attendi senza fare niente” (2 studi) e ad altri interventi (5 studi). Limitazione di tale revisione sistematica: non tutti i pazienti avevano il fenome-no della centralizzazione che facilita l‘applicazione della MDT e non tutti terapisti avevano conseguito il diploma MDT (il livello più alto nella formazione di McKenzie) [18].Simili risultati furono ottenuti per la lombalgia attra-verso la comparazione tra McKenzie e Maitland [19] e McKenzie e Kaltenborn-Evjenth [20].L’aggiunta della terapia secondo McKenzie al tradi-zionale trattamento medico (consigli, rassicurazioni e paracetamolo - applicazione “time-contingent”) in

pazienti affetti da lombalgia acuta non risultò ap-portare una rilevante riduzione del dolore (solo 0,4 punti dopo 1 settimana; 0,7 punti dopo 3 settimane; 0,3 punti durante i primi 7 giorni sulla scala NRS di 11 punti). Anche l’effetto generale percepito dai pa-zienti, la disabilità, la funzione e il rischio di mani-festare sintomi persistenti non migliorarono consi-derevolmente. I 70 pazienti trattati con il metodo di McKenzie cercavano meno un aiuto supplementare dal sistema sanitario rispetto ai 68 pazienti trattati “normalmente” [21].

• Pazienti con dolori cervicali dopo il colpo di frusta, per sintomi WAD acuti (Whiplash-associated disor-ders) [22]:• step 1: al pronto soccorso non c’è alcuna dif-

ferenza tra il trattamento medico tradizionale (1598 pazienti) e una consulenza aggiunta al trattamento medico tradizionale rivolta alla ge-stione attiva dei sintomi (2253 pazienti). Dopo 12 mesi ancora il 70% (2704 pazienti) rispondeva al “follow-up”;

• step 2: per sintomi persistenti, 6 sedute di fisio-terapia nel corso di 8 settimane (300 pazienti) hanno prodotto un beneficio a breve termine (a 4 mesi il NDI (Neck Disability Index) era –3,7 punti meno (SD –6,1 fino a –1,3), ma non a lungo termi-ne (dopo 8 e 12 mesi) rispetto ad una sola seduta fisioterapica di consulenza con rafforzamento verso la gestione attiva (reinforcement of advice) (299 pazienti). Il beneficio delle 6 sedute fisiote-rapiche non ha mostrato un favorevole rapporto costo-utilità nel sistema sanitario inglese.

Conclusioni: si consiglia una consulenza medica tra-dizionale al pronto soccorso e una singola consulen-za di fisioterapia per sintomi persistenti.

Nota: il NDI è stato raddoppiato in questa ricerca a un massimo di 100 punti. Nella scala originale fino a 50 punti la differenza minima clinicamente rilevante (minimum clinically important change) è compresa tra 3 e 5 punti per l’uso clinico e tra 5 e 10 punti per l’uso in ricerca [23]. In una revisione sistematica della let-teratura questo valore è indicato con 5/50 e la minima differenza dimostrabile (minimal detectable change) è compresa tra 2 e 10 punti [24]. Nell’articolo di Lamb et al. [22], la differenza minima clinicamente rilevante è stata indicata come compresa tra 3 e 5 punti su 100 (SD 8%), mentre per il calcolo del campione (sample size) è stata fissata una differenza di 3 punti su 100.

• Pazienti con dolori cervicali dopo il colpo di frusta, per sintomi WAD cronici [25]: pazienti con WAD di grado da 1 a 2 (> 3 mesi e < 5 anni) sono stati al-locati in modo randomizzato a una singola seduta fisioterapica (n = 86) oppure ad un programma fi-sioterapico complessivo costituito da esercizi (mo-bilizzazione solo nelle prime 2 sedute) composto di 20 sedute di un’ora per 12 settimane (n = 86). Il programma comprendeva esercizi specifici di ri-apprendimento motorio e attività graduata con le regole del trattamento cognitivo-comportamen-tale (specific motor relearning exercises and graded activity, with cognitive behavioural treatment rules).

Risultati: non c’era alcuna differenza significativa tra i due gruppi in merito all’intensità del dolore (VAS) a 14 settimane, 6 mesi e 12 mesi dopo la randomiz-zazione.

Questi ultimi due studi impongono una riflessione su come e quando fare gli esercizi attivi nei pazienti a seguito di colpo di frusta [26].Diversi trattamenti hanno dimostrato la loro effica-cia sulla riduzione del dolore cervicale, come il la-ser a bassa intensità (low-level laser therapy) [27], un'autogestione del dolore e dello stress all'interno di un approccio di gruppo basato su multiple compo-nenti [28], il massaggio [29], la mobilizzazione delle articolazioni zigapofisarie cervicali [30-33], la mani-polazione e mobilizzaziione del rachide dorsale alto [34-37] e del rachide cervicale [38] e naturalmente gli esercizi attivi [39]. Revisioni sistematiche del-la letteratura però mettono in dubbio per esempio l’efficacia del massaggio cervicale [40].

L’esercizio terapeutico nel dolore cervicaleIniziamo da questo numero una serie di articoli sulla terapia del dolore cervicale, scritti da Jochen Schoma-cher, uno dei massimi esperti su questo argomento. Autore di varie pubblicazioni su riviste scientifiche e di libri (per es. Terapia manuale: imparare a muovere e percepire. Edra, 2015), Schomacher presenterà qui alcuni concetti teorici che serviranno al Lettore per meglio comprendere la parte pratica che pubbliche-remo nei prossimi numeri. Gli esercizi verranno poi raccolti in una Appendice, che sarà disponibile in ver-sione elettronica per consentire al fisioterapista un più facile utilizzo (per gentile concessione della rivi-sta “Zeitschrift für Physiotherapeuten”).

Gli esercizi attivi sono indicati per il trattamento di pazienti con dolore cervicale [1-2]. L’indicazione agli esercizi, la loro selezione e dosaggio richiedono una prima classificazione del paziente. Occorre stabilire se il paziente soffre [3-4]: • di una patologia seria; • di una grave ed acuta compressione del sistema

nervoso;• di una disfunzione meccanica semplice con o sen-

za partecipazione del sistema nervoso.

La prima classificazione del paziente Facendo attenzione alle “bandiere rosse” (red flags) [5] si può rilevare l’eventuale presenza di una grave patologia, come per esempio un tumore o problemi vascolari [6]. La loro individuazione richiede un ap-profondito esame e, in caso positivo, un rinvio del paziente al medico per l’ottenimento di una diagnosi precisa e un idoneo trattamento.Le “bandiere rosse” per una grave e acuta compres-sione del sistema nervoso che mette a rischio la so-pravvivenza del paziente riguardano soprattutto la stabilità del rachide cervicale alto [7-8], oltre a segni neurologici centrali associati a quelli periferici. Que-sti segni richiedono un esame clinico neurologico i cui risultati permettono al fisioterapista di stabilire la necessità di rinviare il paziente al medico oppure di iniziare, previo l’ottenimento del consenso informato, un trattamento conservativo che avrà come obiettivo l’immediata decompressione del sistema nervoso.

Trattamento conservativo di una grave e acuta compressione del sistema nervoso [9]Decompressione: posizione in flessione del rachide; la trazione comporta un rischio inferiore di compri-mere il sistema nervoso rispetto ai movimenti rota-tori [10], per questo motivo è consigliata come primo movimento da fare.Riposo: eventualmente un collarino per ridurre la quantità di movimento. Analgesia: informazioni e istruzioni da fornire al pa-ziente.

Gli esercizi attivi non hanno una grande rilevanza in questa fase così acuta, come pure la mobilizzazione e le manipolazioni. Quando la fase sarà meno acuta cominceranno ad essere utili gli esercizi. Ecco due esempi a riguardo:• 20 retrazioni attive della testa sono già sufficienti a

produrre un effetto decompressivo in pazienti con sintomi radicolari a C7; al contrario, 20 minuti di lettura peggiorano sia il dolore che la compressio-ne del sistema nervoso misurata attraverso l’am-piezza del riflesso H [11].

• Gli esercizi attivi per correggere la tipica postura con la testa in avanti (head forward posture) hanno ridotto il dolore e migliorato la funzione neurolo-gica in 48 pazienti con radicolopatia del rachide cervicale inferiore rispetto ad un altro gruppo di 48 pazienti che non hanno eseguito gli esercizi. I due gruppi avevano ricevuto un trattamento con ultra-suoni e luce infrarossa [12].

Disfunzione meccanica sempliceLa maggior parte dei pazienti che cercano l’aiuto di un fisioterapista per problemi cervicali soffre della cosiddetta disfunzione meccanica semplice. Questa disfunzione comprende tre principali problemi di

a cura di Jochen Schomacher, Phd, PtPT-OMT, MCMK (F), DPT (USA), B.Sc. e M.Sc. (D), CH-8700 Küsnacht ZH, Svizzera

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3Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggi

Fig. 1 – Equilibrio tra carico e resistenza dei tessuti.

In conclusione, sembra che tante tecniche allevino il dolore cervicale senza che una sia meglio dell’altra. Solo gli esercizi sembrano avere un (piccolo) vantag-gio rispetto ad altre tecniche [39]. «When you have pain you can do everything …» (Kal-tenborn, Spine Congress, Roma, 09.10.2005 [41]

Alterazioni tessutaliTali alterazioni riguardono soprattutto la compo-sizione delle fibre muscolari, l’area della sezione trasversale dei muscoli (cross-sectional area, CSA) e l’infiltrazione di tessuto adiposo e connettivale nei muscoli. Numerose cause di queste alterazioni pos-sono essere trattate con gli esercizi attivi.

Composizione delle fibreSembra che i muscoli cervicali comprendano tante fibre lente (slow twitch fibers = fibre muscolari lente, rosse) che li rendono in grado di svolgere un lavoro di lunga durata (resistenza). Il muscolo longus colli comprende in media il 53% di fibre di tipo I e il 47% di tipo II, mentre il multifido il 77% di fibre tipo I e il 23% di tipo II [42]. Il musco-lo trapezius comprende il 66-67% di fibre di tipo I in persone sane e in pazienti che soffrono di mialgia del muscolo trapezio causata dal lavoro (tipico delle donne addette alle pulizie) [43].Nella maggior parte degli estensori cervicali la com-posizione delle fibre muscolari è sconosciuta [44]. I pazienti con cervicalgia mostrano una trasformazio-ne delle fibre dal tipo I al tipo II nei muscoli trape-zio, splenius capitis e nei muscoli suboccipitali che si ferma dopo 2-3 anni [45]. Le cause di questa tra-sformazione non sono chiare: alterazione dell‘attivi-tà posturale, tensione muscolare indotta dal dolore, oppure altro?

Significato: il muscolo ha meno resistenza (durata) (con meno fibre di tipo I).

Cambiamenti biochimici: sono stati individuati un au-mento di glutammato, serotonina ecc. nel trapezio superiore in pazienti con cervicalgia [43, 46-47] e nu-mero ridotto di capillari per area di fibre [43].

Significato: i mediatori del dolore, che mantengono/facilitano il dolore, persistono e aumentano.

Cross-sectional area (CSA), area di sezione trasversaLa CSA mostra reperti incostanti nei pazienti rispetto alle persone sane:• studi sul Multifidus hanno rilevato una diminuzio-

ne [48] o un aumento [49-50] della CSA. Uno studio sul Multifidus e il semispinalis cervicis ha dimo-strato una leggera diminuzione della CSA [49];

• estensori suboccipitali: nessuna differenza [49]. Altri estensori: simile o diminuita [51-53].

Significato: la CSA è variabile e senza risultato ri-spetto all’importanza per la cervicalgia.

Infiltrazione di tessuto adiposo e connettivaleQuesta infiltrazione è stata individuata nei muscoli cervicali ventrali ai livelli di C2-C3 e C5-C6 in pazienti che avevano subito un trauma da colpo di frusta ri-spetto alle persone sane, e questo fenomeno avveni-va di più nei muscoli profondi lungo del capo e lungo del collo rispetto al muscolo più superficiale sterno-cleidomastoideo [54]. Anche gli estensori cervicali mostrano questa infiltrazione, specialmente quelli profondi, ma soltanto in pazienti con cervicalgia in seguito ad un trauma e non nella cervicalgia idio-patica [55]. Nel modello animale (pecora), dopo 40 settimane di inattività in seguito a una sezione chi-rurgica del tendine del muscolo infraspinoso seguito da 35 settimane di attività libera dopo cucitura chi-rurgica del tendine, il tessuto adiposo e connettivale nel muscolo erano aumentati di 11 volte rispetto al muscolo del lato opposto che era rimasto attivo [56]. L’associazione tra alta intensità del dolore, disabili-tà e sintomi di stress post-traumatico indicano uno scarso recupero funzionale [57-58]. La risonanza magnetica ha dimostrato un’infiltra-zione di tessuto adiposo a livello degli estensori nei pazienti che avevano subito un colpo di frusta (WAD) rispetto alle persone sane, soprattutto negli esten-sori profondi [55]. Le relazioni causa-effetto relative alle alterazioni strutturali nei muscoli cervicali e nella cervicalgia sono poco comprese [59]. In conclusione, le fibre di tipo I, presenti soprattut-to nei muscoli estensori cervicali, si trasformano

parzialmente in tipo II nei pazienti affetti da dolore cervicale (= meno resistenza). Il significato di altri cambiamenti biochimici e la variabilità della CSA non sono ancora chiari. L’infiltrazione dei muscoli cervicali, soprattutto quelli profondi con tessuto adi-poso e connettivale, aumenta significativamente nei pazienti rispetto alle persone sane.Le possibili cause delle alterazioni strutturali sono:• inattività generale [55]; • denervazione cronica [60]; • adattamento funzionale in risposta ad un’attività

alterata in altri muscoli [61]; • trauma delle articolazioni zigapofisarie [55, 61] op-

pure• coinvoglimento del sistema nervoso simpatico [62,

63].

Esistono dei cambiamenti strutturali che non sono ancora ben compresi e di cui la rilevanza clinica è incerta.Molte di queste cause possono essere trattate con esercizi attivi!

Disfunzione di movimentoOvviamente anch’ essa può essere trattata con eser-cizi attivi.Prima di rispondere alla domanda su quale tecnica sia la migliore per trattare la disfunzione meccanica semplice bisogna chiedersi quali sono le sue possi-bili cause: un’alterazione delle strutture oppure del-la funzione?La risposta aiuterà a chiarire se nell‘esame bisogna identificare la struttura che causa il dolore/proble-ma per trattarla specificamente oppure se occorra individuare la funzione (o la disfunzione) che sono in correlazione con i sintomi.

Struttura – Il modello SAB verso la funzioneIl modello SAB sostiene che ci sia un’alterazione Strutturale, Anatomica oppure Biomeccanica (= SAB) come causa del dolore, per esempio del dolore lom-bare [64]. Non esistono test clinici affidabili e validi che consen-tirebbero di fare una diagnosi della causa struttura-le, e la differenziazione tra dolore cervicale causato dall’articolazione zigapofisaria e dolore proveniente dal disco intervertebrale richiede esami invasivi [4]. Supposto che una diagnosi strutturale sia possibile in fisioterapia, non avremmo comunque a disposizio-ne tecniche tanto specifiche con le quali poter modi-ficare tali alterazioni.

«A non-specific pain problem is not SAB-based» Zusman [64]

Però una postura e/o movimento “anomali” potreb-bero creare concentrazioni di stress e aggravare i sintomi [64]. Una riduzione di questa concentrazione di stress potrebbe avere due effetti:

• sottrazione dei stimoli meccanici che si aggiungo-no al dolore mediato da sostanze chimiche;

• alterazione dello schema del dolore e delle affe-renze sensoriali associate al dolore che vanno ver-so i centri sovraspinali.

Di conseguenza, bisogna ripristinare la postura e il movimento fisiologico per riavere uno stress fisiolo-gico.Così come si può vedere sulle lastre, la tipica po-sizione anteriore della testa (forward head posture) produce un'alterazione del carico per il rachide cer-vicale [65].

Ridurre la concentrazione di stressEquilibrio tra carico e resistenza dei tessuti (Fig. 1): un disequilibrio tra carico su un lato della bilancia e la resistenza dei tessuti sull’altro lato può creare dolore e lesioni strutturali.Il carico è suddiviso in “carico esterno” (stress) e “carico interno” = sollecitazione (strain).

Alterare lo schema del dolore e delle afferenze sensoriali causati dal dolore che vanno verso i centri sovraspinali La terapia deve tentare di ripristinare la funzione corticale (re-training cortical function) [66]. Terapie come il massaggio, la mobilizzazione, l’esercizio e l’educazione funzionano probabilmente perché in-fluenzano la funzione corticale (come proposto per la lombalgia cronica) [66]. «Our preference ... is for therapists to identify po-tentially relevant impairments and then hypothesize about potential sources of those impairments» Jo-nes and Rivett [67].

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mcontinua a pag. 4

Iperestensione a livello ca. C5 influenzata da ipercifosi rigida nella cerniera cervico-dorsale

Leva lunga per ca. C5 Leva più breve per ca. C5

Postura Movimento

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4 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

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stabilito, allora il riconoscimento avverrà automati-camente e si potrà creare un certificato della EPC.

Qual è la procedura per richiedere la EPC?Per poter richiedere la EPC occorre connettersi al servizio di autenticazione della Commissione Euro-pea (ECAS), nel quale sarà necessario autenticarsi creando un profilo con un nome utente e una pas-sword; successivamente occorrerà completare il proprio profilo con i dati personali e i recapitiA questo punto sarà possibile creare una domanda, caricare le scansioni dei documenti necessari, cre-are il fascicolo IMI (Internal Market Information) e trasmettere il tutto all’autorità del paese ospitante.La procedura elettronica di accoglimento, analisi ed esito della richiesta è differente per chi ha intenzio-ne di trasferirsi in condizione di stabilimento o mo-bilità temporanea, ma si svolge essenzialmente in quattro fasi:1. invio della domanda on-line, con produzione delle

informazioni e documenti necessari;2. entro una settimana dalla ricezione della domanda

le autorità competenti confermano il ricevimento o richiedono eventuali documenti mancanti;

3. analisi del fascicolo: avviene entro tre settimane se la richiesta è per l’esercizio temporaneo dell’at-tività, circa tre mesi se invece la domanda è per stabilimento;

4. se lo stato membro ospitante non adotta alcuna decisione nei termini previsti, senza interruzione per richiesta di ulteriore documentazione, la tes-sera verrà rilasciata tacitamente. In caso di rifiuto le autorità sono tenute a indicarne le motivazioni.

Qual è il vantaggio di avere la EPC?Crediamo che l’introduzione della EPC possa avere effetti positivi per la nostra professione, per vari mo-tivi:• contribuisce a far conoscere la nostra realtà lavo-

rativa all’estero; • facilita l’ingresso e le opportunità lavorative nei

paesi dell’Unione Europea dove la richiesta di fi-sioterapisti è più alta;

• può stimolare la formazione di équipe professiona-li in cui le eventuali differenze formative diventano un valore aggiunto e un’occasione per il futuro. m

• guida alpina;• agente immobiliare.

I diversi professionisti potranno usufruire della EPC in relazione a due condizioni, cioè l’intenzione di esercitare la propria professione in un altro Stato dell’Unione Europea su base “temporanea” od occa-sionalmente (mobilità temporanea) oppure l’inten-zione di stabilirsi in un altro paese dell’Unione Eu-ropea per esercitare la propria professione in modo permanente (stabilimento).Nel secondo caso potrebbe essere necessario che il professionista debba iscriversi a un ordine profes-sionale o sottoporsi ad eventuali controlli supple-mentari prima di poter svolgere la propria attività .

Quali sono i vantaggi derivanti dall’introduzione della EPC?In primo luogo Il professionista sarà seguito dalle autorità del proprio paese di origine, le quali aiute-ranno a presentare la domanda e a controllare che sia corretta e completa, certificando l’autenticità e la validità dei documenti.Nel caso in cui il professionista avesse intenzione di intraprendere una nuova esperienza in un altro paese dell’Unione Europea e quindi presentare una domanda di trasferimento, a lungo termine oppure a titolo temporaneo, il fascicolo di riferimento sarà già inserito nel sistema e non sarà necessario cari-care nuovamente tutti i documenti utili, ottimizzando i tempi.Qualora le autorità del paese ospitante incaricate di esaminare la domanda del professionista non adotti-no una decisione definitiva entro l’eventuale termine

Dopo aver affrontato diverse tematiche di interesse per il fisioterapista neolaureato, in questo numero illustreremo una novità importante per l’intera real-tà fisioterapica, cioè la European Professional Card (EPC), attiva da gennaio 2016. In cosa consiste la European Professiona Card?La nuova Tessera Professionale Europea introduce delle procedure semplificate per esercitare la pro-pria professione all’interno dell’Unione Europea; quella del fisioterapista è stata individuata come professione pilota per iniziare la prima fase di spe-rimentazione.L’EPC è stata introdotta dalla direttiva 2013/55/UE che modifica la precedente direttiva 36 del 2005. Si trat-ta di una procedura elettronica per il riconoscimento delle proprie qualifiche, che agevolerà la mobilità dei professionisti e la fornitura di servizi nei paesi dell’U-nione Europea diversi da quello di residenza.In realtà non si tratta di una tessera fisica, ma di dati professionali che potranno essere visionati dal paese destinatario per conoscere qualifiche, profilo professionale ed esperienze lavorative. La tessera dimostrerà che il professionista ha supe-rato il controllo amministrativo e che le sue qualifi-che professionali sono state riconosciute dal paese membro ospitante. Quali figure professionali ne possono usufruire?Le figure professionali che ad oggi possono ottenere la EPC sono 5:• infermiere responsabile dell’assistenza generale;• farmacista;• fisioterapista;

European Professional Card: come ottenerla

ANDREA BUSSANDRI1, MARCO MISANI2, DANIELE MORETTI31 Fisioterapista, assistente docente c/o IITM (Istituto Italiano di Terapia Manuale), Milano2 Fisioterapista, Centro di Fisioterapia Carioni, Cassano d’adda (MI) e Centro diagnostico “Martesana”, Gessate (MI)3 Fisioterapista e Osteopata, libero professionista presso studio privato Masate (MI) e presso Centro Diagnostico, Gessate (MI)

Fisioterapisti Junior

(WAD) - A microdialysis study. European Journal of Pain 2008;12:82-93.48. Kristjansson E. Reliability of ultrasonography for the cervical multifi-dus muscle in asymp¬tomatic and symptomatic subjects. Manual Therapy 2004;9:83-8.49. Elliott JM, Jull G, Noteboom JT, Galloway G. MRI study of the cross-sectional area for the cervical extensor musculature in patien-ts with persistent whiplash associated disorders (WAD). Manual Therapy 2008b;13:258-265.50. De Loose V, Van den Oord M, Keser I et al. MRI study of the morphome-try of the cervical musculature in F-16 pilots. Aviation, space, and environ-mental medicine 2009;80(8):727-31.51. Jull G, Amiri M, Bullock-Saxton J, Darnell R, Lander C. Cervical muscu-loskeletal impairment in frequent intermittent headache. Part 1: Subjects with single headaches. Cephalgia 2007a;27:793-802.52. Oksanen A, Erkintalo M, Metsähonkala L, et al. Neck muscles cross-sectional area in adolescents with and without headache - MRI study. European Journal of Pain 2008;12:952-9.53. Rezasoltani A, Ali-Reza A, Khosro K-K, Abbass R. Preliminary study of neck muscle size and strength measurements in females with chro-nic non-specific neck pain and healthy control subjects. Manual Therapy 2010;15:400-3.54. Elliott JM, O’Leary S, Sterling M et al. Magnetic resonance imaging findings of fatty infiltrate in the cervical flexors in chronic whiplash. Spine 2010a;35(9):948-54.55. Elliott JM, Jull G, Noteboom JT et al. Fatty infiltration in the cervical extensor muscles in persistent whiplash-associated disorders: a magnetic resonance imaging analysis. Spine 2006;31:E847-55.56. Meyer DC, Hoppeler H, von Rechenberg B, Gerber C. A pathome-chanical concept explains muscle loss and fatty muscular changes following surgical tendon release. Journal of Orthopaedic Research 2004;22:1004-7.57. Elliott J, Sterling M, Noteboom JT et al. The clinical presentation of chronic whiplash and the relationship to findings of MRI fatty infiltrates in the cervical extensor musculature: a preliminary investigation. European Spine Journal 2009;18:1371-8.58. Elliott JM. Are there implications for morphological changes in neck muscles after whiplash injury? Spine 2011;36(25 Suppl):S205-S210.59. Falla D, Farina D. Neural and muscular factors associated with motor impairment in neck pain. Current Rheumatology Reports 2007a;9:497-502.60. Andary MT, Hallgren RC, Greenman PE, Rechtien JJ. Neurogenic atrophy of suboccipital muscles after a cervical injury: a case study. Ameri-can Journal of Physical Medicine & Rehabilitation 1998;77(6):545-9.61. Elliott J, Sterling M, Noteboom JT et al. Fatty infiltrate in the cervical extensor muscles is not a feature of chronic, insidious-onset neck pain. Clinical Radiology 2008a;63(6):681-7.62. Passatore M, Roatta S. Înfluence of sympathetic nervous system on sensorimotor function: whiplash associated disorders (WAD) as a model. European Journal of Applied Physiology 2006;98:423-49.63. Roatta S, Arendt-Nielsen L, Farina D. Sympathetic-induced changes in discharge rate and spike-triggered average twitch torque of low-threshold motor units in humans. The Journal of Physiology 2008;586(22):5561-74.64. Zusman M. Belief reinforcement: one reason why costs for low back pain have not decreased. Journal of mMultidisciplinary Healthcare 2013; 6: 197-204. Zusmanhttp://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3663473/pdf/jmdh-6-197.pdf65. Ordway NR, Seymour RJ, Donelson RG, Hojnowski LS, Edwards WT. Cervical flexion, extension, protrusion, and retraction: A radiographic seg-mental analysis. Spine 1999;24(3):240-7.66. Wand BM, O’Connell NE. Chronic non-specific low back pain - sub-groups or a single mechanism? BMC Musculoskeletal Disorders 2008;9(11):1-15.67. Jones MA, Rivett DA. Clinical reasoning for manual therapists. Edinburgh: Butterworth Heinemann; 2004. m

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5Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggi

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6 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

Le differenti caratteristiche nella vita personale negli adolescenti che vanno a scuola nello Zimbabwe con e senza mal di schiena non specifico ricorrente: uno studio condotto in due partiChiwaridzo M, Naidoo N. Differences in personal and lifestyle characteristics among Zimbabwean high school adolescents with and without recurrent non-specific low back pain: a two part cross-sectio-nal study. Archives of Physiotherapy 2015;5:13.

Background: il mal di schiena ricorrente e non spe-cifico (NSLBP) è in aumento tra gli adolescenti nel mondo. Uno studio recente in Zimbabwe mostra una percentuale relativamente alta (28,8%) di studenti della scuola superiore affetti da mal di schiena. L’a-dolescenza è un periodo abbastanza critico per lo sviluppo della colonna, caratterizzato da una rapida crescita. Lo scopo di questo studio è quello di deter-minare i fattori personali o lo stile di vita associati al NSLBP negli adolescenti della scuola superiore.Metodi: questo studio è stato diviso in due parti. L’o-biettivo della prima parte è stato quello di determina-re fattori personali o correlati allo stile di vita associa-ti con il NSLBP di 532 adolescenti tra i 13 e i 19 anni selezionati e randomizzati attraverso un questionario validato e affidabile. I partecipanti con NSLBP ricor-rente dovevano aver avuto dolore almeno due volte nell’ultimo anno e ciascun episodio doveva avere avu-to una durata di almeno 24 ore, con un dolore dall’in-tensità di più di 2 punti sulla scala analogica visiva (VAS). Sono stati quindi selezionati 32 adolescenti. La seconda parte dello studio si è focalizzata sui fattori obiettivamente misurabili come BMI, l’elasticità degli ischio-crurali attraverso il Chair Sit and Reach test (CSR) e il peso dello zaino di scuola.Risultati: il NSLBP ricorrente è significativamen-te correlato al peso e al tempo in cui viene portato lo zaino; infatti una buona percentuale degli adole-scenti porta zaini pesanti, con un peso medio intorno ai 5 kg, per almeno 30 minuti nell'andare e 30 minuti nel tornare da scuola. Il NSLBP è anche associato al tempo in cui gli studenti stanno seduti, alla mancan-za di attività fisica e di sport e alla scarsa elasticità dei muscoli.Conclusioni: il NSLBP ricorrente è un problema di salute comune tra gli adolescenti. È associato al peso e al tempo in cui viene portato lo zaino; si è vi-sto che, superati i 20 minuti, il rischio che si mani-festi un mal di schiena aumenta dal 10 al 35%. Altri fattori contribuenti sono costituiti dalla quantità di tempo in cui gli studenti stanno seduti, dalla scarsa partecipazione agli sport e dalla insufficiente ela-sticità degli ischio-crurali. Negli ultimi anni lo Zim-babwe ha avuto uno sviluppo economico importante e questo ha portato a una maggiore sedentarietà di tutta la popolazione. È dunque importante promuo-vere l’attività fisica e ricreativa sia all’interno della scuola che a casa, con lo scopo principale di miglio-rare l’elasticità dei muscoli. Gli studenti dovrebbero essere educati sul possibile danno che potrebbero avere portando zaini pesanti e, se possibile, dovreb-bero adottare appropriate misure di prevenzione come l’utilizzo di armadietti all’interno delle scuole.

Action Observation Training per migliorare il recupero motorio: una revisione sistematicaSarasso E, Gemma M, Agosta F, Filippi M, Gatti R. Action observation training to improve motor fun-ction recovery: a systematic review. Archives of Physiotherapy 2015;5:14.

In seguito alla scoperta del sistema dei neuroni a specchio (SNS), l’Action Observation Training (AOT)

A cura di STEFANO CASATI, SABRINA BASILICO, SARA SANVITO, LAURA COLOMBO, ANDREA CHIAVENNA, VALENTINA BALLABIOFisioterapisti, Istituto di Riabilitazione Villa Beretta, Costa Masnaga (CO)

l’Aggiornamento RIASSUNTI COMMENTATI DI ARTICOLI PUBBLICATI SU

ARCHIVES OF PHYSIOTHERAPYRoberto GattiPresidente SIF

è diventato uno strumento riabilitativo emergente per migliorare la funzione motoria sia in seguito a patologie neurologiche che ortopediche. Durante le sedute di AOT al paziente è richiesto di osserva-re attentamente un’azione presentata attraverso un video, oppure eseguita da un operatore, e quindi di ripeterla dopo la visione. Diversi studi confermano l’ipotesi che l’osservazio-ne di un gesto porta ad una riorganizzazione della corteccia motoria primaria, contribuendo alla for-mazione della memoria motoria per il gesto osser-vato. La rilevanza clinica è facile da capire: quando un paziente, a causa di un danno neurologico o di dolore, è impossibilitato all’esecuzione di un’azione, l’AOT permette che attivi comunque specifiche aree della corteccia cerebrale, rinforzando le reti corticali conservate e facilitando l’attivazione di quelle dan-neggiate, prevenendo così le modificazioni corticali che si verificano con l’inattività e il disuso.L’obiettivo di questo studio è di presentare una re-visione sistematica della letteratura sull’utilizzo dell’AOT in studi sperimentali per migliorare il recu-pero della funzione motoria in pazienti affetti da di-verse patologie. Gli autori hanno deciso di analizzare le modalità di applicazione, la posologia, la patologia per la quale è stata applicata, gli obiettivi e le misure di outcome usate per valutarne l’efficacia.La ricerca è stata effettuata con PubMed, PEDro, Embase, CINAHL e Cochrane Central Registrer of Controlled Trials (fino a luglio 2015). Sono stati inclusi tutti i trial clinici randomizzati (RCT) incentrati sull’a-nalisi dell’efficacia dell’AOT per il recupero della fun-zione motoria indipendentemente dalla patologia. Il Cochrane Collaboration Tool che permette di valu-tare il rischio di bias è stato utilizzato per valutare la validità degli studi inclusi.Sono stati selezionati venti studi. Sette studi inclu-devano soggetti colpiti da stroke con deficit dell’arto superiore: 97 pazienti in fase cronica in quattro studi, 169 in fase sub-acuta in due studi e 29 in fase acu-ta in due studi. Sei articoli utilizzavano una popola-zione di 171 soggetti colpiti da stroke in fase cronica con deficit del cammino e tre di questi analizzavano la validità dell’AOT per riabilitare i deficit dell’equi-librio. L’efficacia dell’AOT è stata inoltre studiata in tre campioni di 15, 18 e 38 pazienti affetti da morbo di Parkinson, in 48 bambini affetti da paralisi cere-brale infantile con deficit dell’arto superiore e in 78 pazienti ortopedici nel post-operatorio in due studi.In tutti gli studi l’AOT veniva somministrata mediante l’utilizzo di video, ad accezione di uno in cui i soggetti dovevano imitare il gesto effettuato dal fisioterapista.La maggior parte degli studi affermava l’efficacia dell’AOT in associazione alla terapia tradizionale per migliorare la funzione motoria sia in pazienti neuro-logici che ortopedici. Tuttavia i campioni di pazienti reclutati erano relativamente ridotti e la qualità degli studi media. Inoltre la mancanza di uniformità della durata e della frequenza del trattamento negli studi inclusi rende difficile stabilire quale sia la posologia ottimale dell’AOT. Gli autori, riassumendo i risultati degli studi e in base alla loro esperienza, affermano che i video dovrebbero durare circa 5-6 minuti. Un mese sembrerebbe la durata del training maggior-mente utilizzata.In conclusione i dati presentati negli articoli ana-lizzati suggeriscono come l’AOT sia più efficace nel favorire il recupero motorio rispetto alla sola som-ministrazione della terapia tradizionale.Tuttavia sarebbe utile in futuro eseguire RCT che prevedano il confronto tra dato clinico, imaging e va-lutazione neurofisiologica con lo scopo di compren-dere come l’AOT possa facilitare il motor learning. Ulteriori studi che prevedano campioni più nume-rosi, follow-up a distanze temporali maggiori e cor-relazione con dati strumentali sarebbero necessari per definire il miglior modo per applicare l’AOT nella pratica clinica.

Somministrazione di aerosol nei centri italiani specializzati in fibrosi cistica: un sondaggio nazionaleGambazza S, Carta F, Brivio A, Colombo C. Aero-sol delivery practice in Italian Cystic Fibrosis cen-tres: a national survey. Archives of Physiotherapy 2016;6:1.

Nonostante siano attualmente disponibili vari dispo-sitivi per la somministrazione di aerosol finalizzati al trattamento della fibrosi cistica, nessuno di essi è stato in grado di dimostrare una netta superiorità rispetto agli altri.Spetta pertanto al fisioterapista il compito di comu-nicare ed educare il paziente e le ripettive famiglie sulle modalità d’uso più adatte di tali strumenti. Lo scopo di questo lavoro è proprio quello di analizzare le modalità standard di somministrazione di aerosol da parte dei fisioterapisti in modo da confrontarle con le linee guida europee.A 29 coordinatori di fisioterapisti operanti in altret-tanti centri di cura di fibrosi cistica è stato sottoposto un questionario appositamente redatto, strutturato in modo da valutare con 37 items gli strumenti utiliz-zati, i farmaci, il personale e le tempistiche di som-ministrazione. Su 27 centri contattati, 20 hanno com-pletato il sondaggio: tutti i centri hanno dimostrato una buona conoscenza degli strumenti attualmente in commercio, tra i quali la categoria più usata è rap-presentata dagli inalatori a polvere secca (60% negli adulti e 25% nei bambini sopra i 4 anni). I fisioterapisti dimostravano come usare gli aero-sol e come educare all'uso appropriato nel 70% dei centri; nel 10% dei casi erano coinvolti anche medi-ci e infermieri ma sempre assieme ai fisioterapisti. Soltanto in un centro, il medico era l'unica figura preposta all'addestramento al dispositivo. Nei cen-tri italiani non è risultata pratica comune la misce-la di più farmaci per l’aerosol: solo 6 centri su 20, mentre nei restanti è previsto l’utilizzo di un unico farmaco per somministrazione, come la Tobramici-na (20%), il Dornase alfa (15%), l’Aztreonam lisina con soluzione salina (35%), il Proximin con acqua o soluzione salina sterili (90%), il Colfinar con ac-qua o soluzione salina sterili (50%). La tollerabilità all’inalazione è testata con la spirometria nel 90% dei centri ed è più frequentemente valutata dal fi-sioterapista. Per quanto riguarda le strategie di addestramento, nel 55% dei casi ci si avvale di dimostrazioni pratiche senza rilasciare alcuna indicazione scritta.Dal sondaggio emerge che in Italia il fisioterapista è la figura primaria nella presa in carico del paziente con fibrosi cistica, così come suggerito dalla Società Europea per la Fibrosi Cistica (ECFS). Tuttavia alcu-ni aspetti devono essere urgentemente rivisti, come la corretta miscelazione o diluizione dei farmaci da inalare, da concordare con le istruzioni fornite dalle compagnie farmaceutiche. Inoltre le prescrizioni do-vrebbero essere comunicate al paziente sia in forma orale che scritta, mentre più della metà del campio-ne ricorre soltanto a dimostrazioni pratiche.L’identificazione di un “coordinatore della terapia inalatoria” garantirebbe un’omogeneità di applica-zione delle terapie nella struttura e una regolarità nelle valutazioni.Sicuramente un limite del lavoro presentato consi-ste nell’esigua numerosità del campione seleziona-to, così come la scelta di sottoporre il questionario esclusivamente ai coordinatori dei fisioterapisti, i quali non necessariamente rappresentano il perso-nale operante nella struttura.Ciononostante è certamente importante investiga-re il coinvolgimento dei fisioterapisti nella pratica dell’aerosolterapia, in modo da avere un quadro ge-nerale della situazione nazionale e adottare accorgi-menti volti a migliorare la qualità delle terapie pre-scritte. m

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7Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggiMedicina quantistica ed epigenetica:le nuove frontiere dell’osteopatia

A cura della redazione Nuova Scuola di Osteopatia (NSO)www.scuolaosteopatia.eu

[email protected] - Tel. 0422 888485

«Sono profondamente convinto che un osteopata, in determinate circostanze, pos-sa cambiare positivamente il destino di un individuo». Lo afferma Serge Paoletti, osteopata di fama internazionale, docente del corso “Decodaggio fasciale – La tera-pia attraverso le fasce, dall’embriologia alla medicina quantistica e dell’intenzio-ne”, dal 13 al 15 maggio 2016 e dal 23 al 25 settembre 2016 presso Nuova Scuola di Osteopatia a Spresiano (TV).

Medicina quantisticaInformazione, energia, vibrazione, rapporto mente-materia, coe-renza: sono le parole chiave che aprono le porte alla comprensio-ne della medicina quantistica.Unità di corpo, mente, spirito ed emozioni sono gli elementi costi-tuenti l’uomo secondo la visione della medicina quantistica.Avvalorata dalle recenti scoperte della fisica quantistica e della biofisica sui campi elettromagnetici emessi dalla materia vivente, la medicina quantistica è una nuova branca della medicina, che lavora per integrare la spiegazione dei fenomeni biologici con le scoperte inerenti i campi biofisici informazionali, elettrici e ma-gnetici. Queste nuove conoscenze spingono a vedere i sistemi di comunicazione e regolazione del corpo, come per esempio le fa-sce, in maniera molto meno meccanicistica e semplicistica.Ogni cellula del nostro organismo, tramite il suo DNA (che fun-ziona come un trasmettitore/ricevitore), emette e riceve segna-li frequenziali. Tutte le cellule dell’organismo sono in continua e istantanea comunicazione fra loro e si scambiano messaggi elet-tromagnetici con precisi effetti biologici.Quando insorge un disturbo nella rete elettromagnetica di con-trollo, e quindi nel sistema di autoregolazione, può insorgere una patologia. La medicina quantistica studia l’aspetto energetico-elet-tromagnetico della fisiologia e interviene su questo piano. È chiaro che anche le terapie devono lavorare con la trasmissione a livello cellulare delle informazioni mancanti, sotto forma di frequenze di energia idonee a ristabilire l’equilibrio; è una modalità operativa che caratterizza anche l’approccio osteopatico.

Epigenetica«Per molti anni – spiega l’osteopata Paoletti – si sono considerati soltanto i fenomeni genetici, nonostante l’evidenza e nonostante le opere di Lamarck, che già alla fine del XIX secolo stabilivano che l’individuo subisce l’influenza dell’ambiente interno ed ester-no, trasmettendola direttamente ai suoi discendenti».«Secondo questa teoria – spiega ancora Paoletti – la natura tra-manda tutte le modifiche intervenute nel corso del tempo e memo-rizzate nel DNA, così che il codice dei caratteri acquisiti o persi da un individuo viene trasmesso ai discendenti».

Con quale meccanismo avviene questa trasmissione? «Gli eventi fondamentali della nostra vita vengono registrati negli istoni – risponde l’osteopata francese – Ogni stress importante causa un cambiamento nella etilazione, metilazione, fosforilazio-ne degli istoni, che viene inviato e memorizzato nel sistema del DNA, che avvolge gli istoni, e quindi può essere trasmesso alle generazioni future. Questa registrazione di stress è particolar-mente rilevante a livello somatico, e poi viene trasmessa al siste-ma centrale o memorizzata nell’amigdala e nell’ippocampo».

Quali sono le fasi più critiche coinvolte nella registrazione delle memorie? «La maggior parte degli stati di stress impressi nei sistemi epi-genetici si verifica tra il momento del concepimento e i 2 anni. Questo periodo è molto critico, perché il feto o il neonato registra senza essere in grado di analizzare la situazione, ed è per questo

motivo che tali “stress” restano incisi a volte per tutta la vita. Tut-tavia nulla è definitivo, perché l’epigenetica prevede la reversibi-lità di questi meccanismi, e questo apre una grande speranza!».

Può farci qualche esempio?«Michael Meanay, esperto di epigenetica, spiega come una ma-dre possa modificare il sistema epigenetico del suo bambino con le carezze, che attivano i geni situati all’interno dell’ippocampo, destinati a captare alcuni ormoni dello stress, i glucocorticoidi, che permettono ai recettori dell’ippocampo di neutralizzare il loro effetto sull’organismo e di impedire una reazione di stress. Più i recettori sono numerosi, più la reazione allo stress è debole. Le carezze aumentano l’attività di questi geni, quindi la produzione dei recettori, riducendo gli effetti dello stress sul bambino.Questo accade per una modificazione epigenetica al livello degli istoni attraverso fenomeni di etilazione, metilazione, acetilazione, ecc. Tutti questi cambiamenti epigenetici sono reversibili.Questo è un cofattore positivo, che permette di eliminare gli effetti dannosi dello stress, contrariamente ai cofattori negativi, che lo rinforzano».

In che modo può intervenire l’osteopata?«Un osteopata non può sostituire una mamma premurosa, ma nel trattare i bambini può alleviare lo stress che hanno subito o anche eliminarlo, soprattutto se intervengono altri cofattori positivi. Con le nostre mani e il nostro tocco possiamo trasmettere messaggi agendo attraverso la fascia sulla cellula. Questi messaggi sono di origine biochimica, ma anche vibratoria, visto che le cellule sono ricettive alle vibrazioni».

In che modo le terapie sulle fasce lavorano sui fattori epigenetici?«È soprattutto sulle fasce che troviamo l’impronta periferica dell’epigenetica, e quindi le tecniche fasciali sono più adatte a ri-solvere situazioni di stress, non solo nei bambini ma anche negli adulti. La difficoltà di decifrare questi traumi risiede nel fatto che la persona non ne è sempre consapevole; per questo l’osteopata deve produrre un’anamnesi molto precisa del paziente o dei ge-nitori, in modo da poter integrare nel trattamento questi “traumi” epigenetici, rendendolo più efficace».

«Ritengo che ogni osteopata debba essere pienamente consape-vole di queste nuove informazioni, perché, grazie alla reversibilità di questi fenomeni, l’Osteopatia costituisce un cofattore ad alta positività».

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8 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

La ricerca sta ancora muovendo i primi passi su questo tema; tut-tavia la letteratura scientifica già ha prodotto strumenti di misura che possono essere efficacemente inseriti nei percorsi di assistenza protesica. Quest’articolo presenta i risultati di alcuni studi svolti in materia presso l’IRCCS Fonda-zione Don Gnocchi di Milano.In uno studio condotto nel 2014 [1-2], selezionammo 79 utenti che nel periodo 2008-2013 avevano ricevuto la prescrizione di una carrozzina elettronica presso il nostro Servizio DAT (acronimo che significa “Domotica, Ausili, Terapia Occupazionale”). Ogni prescrizione, autorizzata dall’A-SL di competenza, era stata rila-sciata a seguito di un’accurata valutazione attraverso un per-corso riabilitativo articolato in nove sedute, con un protocollo strutturato. Ricontattammo que-sti utenti per chiedere la disponi-bilità a un’intervista di follow-up a domicilio. L’intervista fu svolta dai terapisti occupazionali che li visitavano regolarmente per le terapie domiciliari. Gli strumen-ti utilizzati comprendevano un questionario introduttivo appo-sitamente sviluppato e quattro questionari tratti dalla letteratura scientifica internazionale.I principali risultati di questo stu-dio furono i seguenti:• sul piano del metodo: questa

modalità di follow-up è pra-ticabile e i questionari usati riescono a rilevare dati signi-ficativi ai fini della misura dell’outcome;

• sul piano dei dati: le carrozzine elettroniche fornite hanno dato luogo a un outcome complessi-vamente positivo. Gli utenti del campione intervistato hanno espresso alta soddisfazione; l’ausilio ha inciso moderata-mente, ma comunque in senso positivo, sulla percezione del-la propria abilità, adattabilità e autostima;

• l’ausilio ha generato un note-vole risparmio di costo sociale (rispetto ai costi che si sarebbe-ro dovuti sostenere se l’ausilio non fosse stato fornito), rive-landosi per il SSN un investi-mento appropriato.

Lo studio ha messo in luce anche alcune barriere ambientali che ostacolano in modo ricorrente l’uso della carrozzina elettronica (intemperie, situazioni affollate, l’inaccessibilità di vari mezzi di trasporto, ecc.), e che quindi de-vono essere tenute in considera-

zione in fase di valutazione. I risultati incoraggianti di que-sto nostro primo studio ci hanno spinto a proseguire nelle speri-mentazioni, in vista di un obietti-vo ambizioso ma presumibilmen-te realizzabile: quello di mettere a punto una metodologia generale per gli interventi protesici e di facilitazione ambientale, che go-verni l’intero percorso che va dal riconoscimento del bisogno fino alla realizzazione dell’intervento e alla misura del suo outcome. Il primo passo è consistito nell’in-dagare sull’estensibilità della me-todologia utilizzata ad altri ausili per la mobilità e ad altri contesti organizzativi di valutazione e prescrizione.

METODOIl nuovo studio, condotto nel 2015, ha esaminato un campio-ne di 65 persone (35 uomini e 30 donne, età media 59 anni) che avevano ottenuto vari ausili per la mobilità di alta complessità e di alto costo dal SSN nel corso del 2014, a seguito di valutazioni effettuate presso vari Centri della Fondazione Don Gnocchi (Tab. 1). Le tre condizioni cliniche più ricorrenti erano amputazioni di arto inferiore (17 soggetti), pato-logie demielinizzanti (14) ed esiti di paralisi cerebrale infantile (7). Ciascuna persona è stata contat-tata telefonicamente, ove pos-sibile dagli stessi operatori che avevano effettuato la valutazione dell’ausilio, per informarla dello scopo della ricerca, verificare che l’ausilio fosse stato effettivamen-te acquisito e in uso da almeno 6 mesi, e chiedere la disponibi-lità a essere visitati a domicilio da un intervistatore. Tutte le in-terviste sono state condotte da un unico intervistatore (di for-mazione psicologo) nel periodo giugno-ottobre 2014. Prima di procedere all’intervista, questi chiedeva nuovamente conferma della loro disponibilità e acqui-siva per iscritto il loro consenso informato. Come per il precedente studio sulle carrozzine elettroniche, l’intervista prevedeva la sommi-nistrazione di cinque questionari:• l’intervista iniziale, apposita-

mente creata per raccogliere al-cuni dati relativi alla storia cli-nica (stato di salute, limitazioni funzionali, restrizioni di parte-cipazione) e all’uso dell’ausilio (data di consegna, principali luoghi di utilizzo, frequenza di utilizzo, malfunzionamenti

o altre criticità riscontrate, per-cezione complessiva di soddi-sfazione e di efficacia) [3];

• Il questionario QUEST (Que-bec User Evaluation of Sati-sfaction with Assistive Techno-logy), per la misura della sod-disfazione dell’utente rispetto all’ausilio [4];

• Il questionario PIADS (Psycho-social Impact of Assistive Devi-ce Scale), per la misura dell’im-patto psico-sociale dell’ausilio [5-6];

• Il questionario FABS/M (Fa-cilitators and Barriers to Par-ticipation Survey for People with Mobility Limitations) per l’identificazione dei facilitatori e delle barriere ambientali in cui l’utente s’imbatte nell’uso quotidiano dell’ausilio [7-8];

• Il questionario SCAI (Siva Cost Analysis Instrument), per la sti-ma del costo sociale dell’inter-vento [9].

RISULTATILa grande maggioranza degli intervistati si è detta soddisfat-ta dell’ausilio fornito, sia per quanto riguarda la funzionalità e le caratteristiche tecniche che per i servizi connessi alla forni-tura (manutenzione, riparazione, ecc.). Il questionario di misura della soddisfazione (QUEST) ha rilevato punteggi che vanno da “piuttosto soddisfatto” a “molto soddisfatto” per la maggior parte degli item (Fig. 1). Per gli ausi-li che richiedono di essere ma-novrati da parte di caregivers è stato chiesto anche il parere di questi ultimi, che sostanzialmen-te concordava con quello dell’u-tente. Solo un utente aveva abbando-nato l’ausilio, fortunatamente a causa di un miglioramento della condizione clinica. L’unico caso rilevato di scarsa soddisfazione riguardava una carrozzina elet-tronica ricevuta in condizioni difettose dal magazzino ASL (“la batteria si scarica facilmente, il di-splay rotto, l’ausilio è rigido”).

Questa distribuzione dei valo-ri di soddisfazione è piuttosto omogenea per i vari tipi di au-silio, e molto simile a quella rile-vata nel precedente studio sulla carrozzina elettronica. Spicca invece il dato delle persone che non hanno voluto rispondere (10%), legato alla fatica fisica o mentale maturata nel corso dell’intervista.Per gran parte degli intervistati, inoltre, l’adozione degli ausili ha esercitato un impatto psicosociale positivo, rilevato dal questiona-rio PIADS in termini di miglio-re autostima e percezione della propria abilità e adattabilità nelle situazioni quotidiane (Fig. 2). Il dato prevalente è che l’ausilio ha “aumentato un po’” ciascu-na di questa tre dimensioni; per un buon numero di intervistati l’ha aumentata in modo ancor più significativo (“abbastanza” o “molto”). Questa distribuzione è pressoché omogenea per i vari tipi di ausilio; l’unica variazione significativa riguarda le carrozzi-ne elettroniche (Fig. 3) e le protesi di arto inferiore, per le quali l’im-patto sull’abilità e l’autostima è stato decisamente superiore. Degno di nota è l’elevato numero delle persone (12%) che non si so-no sentite in grado di rispondere a questo questionario, ritenuto di difficile comprensione so-prattutto da parte delle persone con qualche difficoltà a livello cognitivo o da utenti di ausili a prevalente finalità assistenziale (carrozzina basculante, monta-scale). Gli utilizzatori di ausili con chiaro impatto sull’autono-mia personale (carrozzina elettro-nica, protesi) non hanno invece incontrato difficoltà. Secondo quanto emerso dal que-stionario FABS/M, i principali fattori ambientali percepiti come facilitatori nella vita quotidiana sono stati, oltre all’ausilio stesso, i luoghi pubblici solitamente fre-quentati e la rete di supporto (ami-ci, familiari, operatori sanitari), mentre quelli percepiti come

barriera hanno riguardato alcune caratteristiche della casa (scale, tappeti, porte), le superfici sterra-te o mal pavimentate, i fattori cli-matici (difficoltà derivanti dal cli-ma estivo, invernale o la pioggia), le situazioni affollate (farsi strada attraverso la folla e nel rumore) e il modo in cui sono organizzati certi ristoranti o negozi. Le strutture più inaccessibili sembrano essere i servizi igienici dei ristoranti e i mezzi di traspor-to (auto, taxi, autobus e a volte anche i treni). Tali barriere sono presenti più o meno rispetto a tutti i tipi di ausilio, con alcune peculiarità: per esempio, gli sci-voli dei marciapiedi sono perce-piti prevalentemente come un fa-cilitatore da chi usa la carrozzina elettronica e come una barriera da chi utilizza la protesi d’arto inferiore.Il costo sociale dell’intervento è stato stimato attraverso lo stru-mento SCAI. I valori medi sono molto diversi secondo la tipolo-gia di ausilio, variando da un mi-nimo di 6.000 € (protesi trans-ti-biale) a un massimo di 77.000 € (carrozzina manuale con sistema posturale) (Tab. 2). È interessante osservare il peso relativo dei vari elementi di co-sto, in primo luogo l’assistenza umana, che è preponderante per gli ausili a finalità prevalente-mente assistenziali (es. carroz-zina manuale con sistema po-sturale) e minimo per gli ausili utilizzabili in piena autonomia (es. protesi). Il costo di esercizio (manutenzione, elettricità, ecc.) risulta invece sempre trascura-

RiabilitazioneOggi Ausili

Come misurare l’outcome degli ausili: esperienze sul campo*

Tab. 1 - DISTRIBUZIONE DEL CAMPIONE PER AUSILIO E PER CENTRO (INDICATO PER SINTESI CON LA SIGLA DELLA PROVINCIA OVE HA SEDE)

Centro Fondazione Don GnocchiTipo ausilio

MI Palazz.

MI IRCCS AN SP BS MS TO CO Totale

Carrozzina elettronica 5 5 4 2 1 17Carrozzina basculante o seggiolone polifunzionale 3 2 1 1 2 9Carrozzina manuale con sistema postura tronco/bacino 1 1 3 3 3 1 3 15Montascale a cingoli 2 4 2 1 9Montascale a ruote 1 1Protesi di arto inferiore trans-femorale 7 1 8Protesi di arto inferiore trans-tibiale 5 1 6Totale 23 12 8 6 5 5 4 2 65

* RingraziamentiQuesto studio è stato parzialmente finanziato dal Ministero della Salute, nell’ambito del fondi di ricerca corren-te 2015 concessi all’IRCCS Fondazione Don Gnocchi. Un ringraziamento ai col-leghi dei vari Centri della Fondazione Don Gnocchi che hanno collaborato al reclutamento degli utenti: Antonio Ca-racciolo, Maurizio Saruggia, Manuela Romanò e Rosa Maria Converti (Centro IRCCS S.Maria Nascente, Milano); Da-niela Zanchetta, Marina Ronco, Tiziana Fumelli (Centro S.Maria ai Colli, Tori-no); Laura Bertonelli, Manuela Diverio (Polo Riabilitativo del Levante Ligure, La Spezia); Aldo Sestini, Chiara Man-fredi, Marisa Maggi, Massimo Gambi-ni, Francesca Cecchi (Centro S. Maria al Mare, Marina di Massa); Antonella Rossetti, Monica Marinangeli, Giuliana Poggianti (Centro Egidio Bignamini, Falconara Marittima, Ancona); Roberta De Ciechi, Simona Bianchi, Fabio Tre-cate, Renzo Bagarolo (Centro Beato Pa-lazzolo, Milano); Fulvia Noro, Marco Zuccotti, Sara Annovazzi, Silvia Galeri (Centro Spalenza Don Gnocchi, Rova-to, Brescia); Hamutal Snapir, Giuliana Ciocia, Centro S. Maria alla Rotonda, Inverigo, Como). Un grazie particolare a tutte le persone che hanno accettato di essere intervistate.

QUEST punteggio sul prodotto (media: 4,5)non risponde 6da 1 (per niente soddisfatto) a 2 (non molto soddisfatto) 0da 2 (non molto soddisfatto) a 3 (più o meno soddisfatto) 1da 3 (più o meno soddisfatto) a 4 (piuttosto soddisfatto) 8da 4 (piuttosto soddisfatto) a 5 (molto soddisfatto) 50

QUEST punteggio sui servizi (media: 4,8)non risponde 6da 1 (per niente soddisfatto) a 2 (non molto soddisfatto) 0da 2 (non molto soddisfatto) a 3 (più o meno soddisfatto) 0da 3 (più o meno soddisfatto) a 4 (piuttosto soddisfatto) 5da 4 (piuttosto soddisfatto) a 5 (molto soddisfatto) 54

numero rispondenti0 20 40 60

0 20 40 60

Fig. 1 - Punteggio complessivo di soddisfazione rilevato tramite lo strumento QUEST.

msegue da pag. 1

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9Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggi

bile, anche se leggermente più consistente per le carrozzine elet-troniche.La stima del costo sociale ag-giuntivo, ossia la differenza tra il costo sociale dell’intervento e il co-sto sociale del non-intervento, non è stata agevole. Solo in 22 casi sui 65 intervistati si è riusciti a im-maginare uno scenario realistico di “non-intervento”, e quindi cal-colare la differenza con il costo che si sarebbe dovuto sostenere in assenza dell’ausilio fornito. Essa è risultata mediamente di –5.138 €, contro i –36.124 € dello studio dell’anno precedente sulle carrozzine elettroniche (notare il segno “meno” davanti, che indi-ca un risparmio): dato comunque interessante nonostante la limi-

tatezza del campione, a confer-ma che gli interventi protesici, in media, generano significativi risparmi di costo sociale. Le criticità riscontrate nell’uso dell’ausilio riguardavano detta-gli tecnici o funzionali facilmente risolvibili con piccoli interventi di manutenzione/regolazione (es. per una carrozzina manuale posturale “ci sono i freni ma sicco-me abitiamo in discesa, ci vorrebbe qualcosa che aiuti di più la frena-ta”) o d’istruzione/counselling (es. per un montascale a cingoli “quando lo utilizzo salta sulle sca-le e mi fa male la schiena”). Ciò a ulteriore conferma dell’impor-tanza di effettuare un follow-up, per evitare che l’efficacia “sul campo” dell’ausilio possa essere

vanificata da problemi di per sé banali ma non risolubili autono-mamente dall’utente.

CONCLUSIONIRispetto allo studio precedente, che aveva indagato una sola tipo-logia di ausilio su un campione di utenza sottoposta a un mede-simo protocollo di valutazione e prescrizione, lo studio attuale si è spinto su un terreno più im-pervio e certamente più rappre-sentativo della realtà media del servizio sanitario nazionale. Ha preso in esame, infatti, tipologie diverse di ausili, su un’utenza afferente a Centri diversi, sotto-posta a percorsi di valutazione e prescrizione presumibilmente diversi e per lo più ignoti ai ri-

cercatori; il reclutamento degli utenti partecipanti allo studio ha dovuto inoltre confrontarsi con limiti organizzativi (tempistica breve, adesione dei Centri volon-taria e legata alla disponibilità degli operatori, indisponibilità di molti utenti a essere intervistati, ecc.) che hanno portato a un cam-pione alquanto disomogeneo. Nonostante questi limiti, oltre ai risultati sintetizzati nel pre-cedente paragrafo, lo studio ha conseguito un importante obiet-tivo: ha verificato l’estendibilità ad altre tipologie di ausilio della metodologia di follow-up speri-mentata nel precedente studio, individuandone punti di forza e debolezza. In sintesi, i punti di forza ri-guardano da un lato la capaci-tà dei questionari utilizzati di cogliere gli aspetti più rilevanti dell’outcome dell’ausilio, dall’al-tro di far emergere per ogni sin-golo caso individuale quelle eventuali criticità che possono compromettere l’efficacia “sul campo” dell’ausilio e che posso-no essere risolte con interventi correttivi. I punti di debolezza sono legati alla lunghezza e alla complessità dell’intervista. Spes-so la farraginosità della richie-sta sia per la parte più tecnica sull’ausilio (nello SCAI) che per quella più personale ed emotiva (nel PIADS e a tratti nel QUEST) appesantisce la somministrazio-ne sia per l’intervistato che per l’intervistatore; in un’ottica di mandato di acquisizione di dati di qualità, ciò rende col passa-re dei minuti i dati poco utili e fuorvianti ai fini di un feedback realmente efficace. Questo processo è imputabile agli evidenti segni di stanchezza fisica e mentale degli intervista-ti, per problemi dovuti all’età (si tenga conto che in questo studio

Tab. 2 - COSTO SOCIALE MEDIO DELL’INTERVENTO E COSTO MEDIO DEI SUOI COMPONENTI

Tipologia ausilio

Costo sociale medio

(in euro)

Costo medio investimento

(in euro)

Valorizzazione media assistenza

(in euro)

Costo medio esercizio

(in euro)Carrozzina basculante / seggiolone polifunzionale 32.810 3.032 29.667 111Carrozzina elettronica 34.685 4.655 29.061 969Carrozzina manuale con sistema postura tronco/bacino 77.283 2.508 74.665 110Montascale a cingoli 11.386 1.450 9.849 87Montascale a ruote 11.680 2.500 9.000 180Protesi di arto inferiore trans-femorale 8.743 5.339 3.060 344Protesi di arto inferiore trans-tibiale 6.168 5.485 600 83

PIADS punteggio di abilità (media: 1,0)non risponde 8da –3 (ha diminuito molto) a –2 (ha diminuito abbastanza) 0da –2 (ha diminuito abbastanza) a –1 (ha diminuito un po’) 0da –1 (ha diminuito un po’) a 0 (non ha modificato) 1da 0 (non ha modificato) a +1 (ha aumentato un po’) 31da +1 (ha aumentato un po’) a +2 (ha aumentato abbastanza) 16da +2 (ha aumentato abbastanza) a +3 (ha aumentato molto) 9

PIADS punteggio di adattabilità (media: 1,0)non risponde 8da –3 (ha diminuito molto) a –2 (ha diminuito abbastanza) 0da –2 (ha diminuito abbastanza) a –1 (ha diminuito un po’) 0da –1 (ha diminuito un po’) a 0 (non ha modificato) 0da 0 (non ha modificato) a +1 (ha aumentato un po’) 30da +1 (ha aumentato un po’) a +2 (ha aumentato abbastanza) 17da +2 (ha aumentato abbastanza) a +3 (ha aumentato molto) 10

PIADS punteggio di autostima (media: 0,9)non risponde 8da –3 (ha diminuito molto) a –2 (ha diminuito abbastanza) 0da –2 (ha diminuito abbastanza) a –1 (ha diminuito un po’) 0da –1 (ha diminuito un po’) a 0 (non ha modificato) 1da 0 (non ha modificato) a +1 (ha aumentato un po’) 36da +1 (ha aumentato un po’) a +2 (ha aumentato abbastanza) 12da +2 (ha aumentato abbastanza) a +3 (ha aumentato molto) 8

numero rispondenti0 10 20 30 40

0 10 20 30 40

0 10 20 30 40

Fig. 2 - Punteggio complessivo di abilità, adattabilità e autostima misurato dal questionario PIADS.

PIADS punteggio di abilità (media: 1,5)non rispondeda –3 (ha diminuito molto) a –2 (ha diminuito abbastanza)da –2 (ha diminuito abbastanza) a –1 (ha diminuito un po’)da –1 (ha diminuito un po’) a 0 (non ha modificato)da 0 (non ha modificato) a +1 (ha aumentato un po’) 5da +1 (ha aumentato un po’) a +2 (ha aumentato abbastanza) 6da +2 (ha aumentato abbastanza) a +3 (ha aumentato molto) 6

PIADS punteggio di adattabilità (media: 1,7)non rispondeda –3 (ha diminuito molto) a –2 (ha diminuito abbastanza)da –2 (ha diminuito abbastanza) a –1 (ha diminuito un po’)da –1 (ha diminuito un po’) a 0 (non ha modificato)da 0 (non ha modificato) a +1 (ha aumentato un po’) 4da +1 (ha aumentato un po’) a +2 (ha aumentato abbastanza) 5da +2 (ha aumentato abbastanza) a +3 (ha aumentato molto) 8

numero rispondenti0 2 4 6 8 10

0 2 4 6 8 10

Fig. 3 - Punteggio di abilità e adattabilità misurato per le carrozzine elettroniche, diverso dai restanti ausili.

più del 30% degli intervistati era ultrasettantenne, ma in generale che i destinatari degli ausili so-no spesso persone anziane) o alle condizioni cliniche degli stessi. A questi due fattori si può somma-re una tendenza socioculturale silente, ma ormai diffusa, di dif-fidenza verso l’Altro in generale e declinata nello specifico verso l’inchiesta da parte di persone esterne al nucleo primario; so-prattutto se l’Altro rappresenta un’istituzione o un ente istituzio-nale, le persone tendono ad ap-procciarsi ai suoi rappresentanti con un grado di pregiudiziale molto elevato. Su questa base hanno preso via nuovi studi che si protrarranno per il biennio 2016-17, mirati allo sviluppo di una metodologia sem-plificata, che possa essere applica-bile a qualsiasi tipologia di ausili e di utenza e facilmente inseribile nei percorsi di assistenza protesi-ca. Essa imporrà uno snellimento dei questionari e un ripensamento dell’approccio relazionale.

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10 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

Nel corso degli ultimi due decen-ni l’interesse nei confronti della fascia muscolare, una struttura a cui veniva solitamente relegato un mero ruolo contenitivo o di protezione delle strutture sotto-stanti considerate più “nobili”, è aumentato in maniera consi-derevole sia tra i clinici che tra i ricercatori, particolarmente in campo muscoloscheletrico [1]. Per questo motivo la fascia è stata anche definita da Robert Schleip come la “Cenerentola dell’orto-pedia”, grazie al suo probabile ruolo nella fisiologia muscolare e nelle conseguenti disfunzioni dell’apparato locomotore. Se da una parte il numero di pubblicazioni sull’argomento è in vertiginosa crescita [2], dall’al-tra non è stato ancora raggiunto un consenso universale sulla ter-minologia da adottare per defi-nire univocamente i vari tipi di fasce [3], la loro funzione [4] ed il ruolo svolto sia in condizioni fisiologiche (per esempio nella trasmissione della forza) [5] che patologiche (per esempio nelle sindromi da sovraccarico). Come riuscire ad orientarsi in un campo in così rapida evoluzione in cui vengono proposti diversi tipi di trattamenti manuali ma non solo? Solitamente conoscere la struttura aiuta a comprendere la funzione; ecco perché questo articolo fornisce una breve pano-ramica sulla composizione micro- e macroscopica dei differenti tipi di fasce muscolari. Nello speci-fico, verrà considerata la fascia dell’arto superiore per illustrare le caratteristiche comuni e le spe-cializzazioni regionali del tessu-to fasciale ed il suo ruolo nella trasmissione della forza e nella propriocezione.

CHE COS’È LA FASCIA?Nonostante i numerosi tentati-vi di ottenere una nomenclatura uniforme e universalmente accet-tata, non è ancora stato raggiunto un consenso unanime riguardo alla parola “fascia” [6]. Nell’ulti-mo International Fascia Research Congress, tenutosi a Washington a settembre 2015, un gruppo di esperti ha concordato di definire la fascia come «uno strato o lamina di tessuto connettivo dissecabile che connette, avvolge, o in alcuni casi separa, muscoli ed organi interni». A questa definizione, prettamente morfologica, se ne affianca una seconda, più funzionale: «il si-stema fasciale include tutti quegli elementi del tessuto connettivo che, interagendo tra loro, formano un in-sieme membranoso molto esteso nel quale tutto è collegato». In questo articolo ci limiteremo a conside-rare la fascia secondo la definizio-ne morfologica [30].

QUANTI TIPI DI FASCE ESISTONO?Se si fa una dissezione, proce-dendo dalla cute verso l’osso, si possono riconoscere due strut-ture fasciali ben definite (Fig. 1): la fascia superficiale (fascia superficialis) e la fascia profonda (fascia profunda) [7-9]. Una volta rimossa la cute (epidermide + derma), constatiamo come l’i-poderma sia diviso in due strati, superficiale e profondo, da una lamina fibrosa, la fascia super-ficiale. Lo strato superficiale è caratterizzato dalla presenza di setti fibrosi orientati verticalmen-te (retinaculum cutis superficialis), che sepimenta ed organizza tutto il tessuto adiposo sottocutaneo superficiale. Anche nello strato profondo troviamo alcuni set-ti (retinaculum cutis profondus), ma questi sono più radi, sottili e orientati obliquamente. Profon-damente rispetto a quest’ultimo

strato, possiamo identificare la fascia profonda che si presenta come un tessuto connettivo den-so che avvolge i vari muscoli. È importante sottolineare come la struttura della fascia profonda del capo e del tronco differisca da quella presente negli arti. La fascia profonda (fascia profunda) si distingue a sua volta in fascia aponeurotica e fascia epimisiale (sinonimo di epimisio), separate da un consistente strato di tessu-to connettivo lasso ricco di acido ialuronico che svolge funzione lubrificante e di scorrimento [10].

Fascia aponeuroticaLe fasce aponeurotiche appaiono come lamine biancastre di circa 1 mm di spessore, molto resistenti e facilmente dissecabili. Micro-scopicamente sono formate da fibre collagene di tipo I orienta-te apparentemente in molteplici direzioni. Per tale motivo queste fasce in passato erano state classi-ficate come tessuto denso irrego-lare. In realtà, recenti studi isto-logici hanno evidenziato come esse siano composte da due o più distinte lamine fibrose, ed in ogni lamina i fasci di fibre collagene sono orientati parallelamente tut-ti nella stessa direzione, mentre la direzione cambia tra uno strato e l’altro. Ciascuno strato è separa-to da quello adiacente da un sot-tile strato di tessuto connettivo lasso prevalentemente formato da adipociti ed acido ialuronico che permette ai singoli fogliet-ti di scivolare gli uni sugli altri [11]. Questa struttura stratificata ricorda quella di uno pneumati-co; inoltre conferisce alla fascia aponeurotica una notevole resi-stenza alla trazione nelle varie direzioni (fibre collagene) e, al contempo, una adattabilità allo stiramento ed alle variazioni di volume durante la contrazione muscolare [9].Negli arti, le fasce aponeurotiche prendono il nome della regione che rivestono (fascia brachiale, fascia crurale, ecc.) esibendo una specifica e costante continuità anatomica lungo l’intero arto. Per esempio la fascia brachiale anteriore, che riveste il compar-timento anteriore del braccio, si continua tramite una espansione miofasciale, il lacerto fibroso, sul-la fascia antibrachiale anteriore che avvolge la muscolatura ante-riore dell’avambraccio [12-13]. La fascia aponeurotica degli arti può essere facilmente separata dalla muscolatura sottostante grazie alla presenza di un sottile strato di tessuto connettivo lasso ricco di acido ialuronico. Negli arti, la fascia aponeurotica è connessa ai muscoli solamen-te in aree specifiche grazie ad espansioni tendinee che anco-rano la componente muscolare a quella fasciale. Per esempio, l’espansione aponeurotica del bicipite brachiale, il lacerto fibro-so, si inserisce nel quarto pros-simale della fascia antibrachiale anteriore attraverso due fasci di fibre orientate in due direzioni diverse: il primo è costituito da fibre arciformi disposte in dire-

zione obliqua, dirette distalmente e medialmente, mentre il secondo è diretto longitudinalmente, pa-rallelamente alla linea mediana dell’avambraccio. Quando il bicipite si contrae, non solo muove il radio, su cui si inse-risce tramite il tendine bicipitale, ma stira anche la fascia antibra-chiale grazie a queste espansioni miofasciali, e le due azioni non sono scindibili. Questa trazione muscolare sulla fascia si propa-ga lungo specifiche linee di forza determinate dalla disposizione anatomica delle espansioni mio-fasciali, vero e proprio “ponte” tra il tessuto muscolare e quello fasciale. Negli arti, la fascia apo-neurotica si inserisce su quella epimisiale solo attraverso queste espansioni. Tale caratteristica la rende in parte libera di scivola-re lungo le fibre muscolari sot-tostanti, garantendo il ruolo di ponte tra un segmento muscolare e quello adiacente [12].Recenti studi [14, 29] hanno evi-denziato come queste espansioni tendinee non rappresentino del-le varianti anatomiche, ma siano presenti in tutti i soggetti con morfologia e topografia costan-ti. Si viene a creare pertanto una continuità miofasciale tra i diffe-renti muscoli coinvolti in un mo-vimento lungo la stessa direzio-ne [7, 12, 13, 15]. Al variare della posizione corporea e a seconda del tipo di azione richiesta, i mo-vimenti lungo traiettorie diverse andranno dunque ad esercitare una trazione sulla fascia profon-da lungo direzioni diverse. Studi istologici dimostrano come la fascia profonda sia riccamente innervata presentando molte ter-minazioni nervose libere e incap-sulate, in particolare corpuscoli di Ruffini e di Pacini [9]. Questi meccanocettori sono avvolti dal tessuto fasciale e potrebbero dunque venire attivati in ma-niera selettiva dallo stiramento direzionale esercitato sulla fascia profonda durante il movimento. L’attivazione di questi recettori non dipenderebbe solamente dalla loro topografia, ovvero in quale struttura sono localizzati, ma anche dalla loro relazione spaziale con gli altri elementi del sistema fasciale. Grazie alla sua struttura tridi-mensionale, la fascia potrebbe modulare le forze meccaniche che causano una deformazione e dunque un’attivazione dei re-cettori, agendo come una sorta di esoscheletro in cui i meccano-cettori sono mappati topografi-camente [16]. L’attivazione di un meccanocettore invia sempre lo stesso segnale a livello centra-le, ma probabilmente è proprio l’architettura del tessuto in cui è impiantato che fornisce il corretto significato direzionale all’infor-mazione trasmessa. Inoltre, si è evidenziato come determinate regioni specializzate della fascia profonda degli arti, i retinacoli, siano maggiormente innervati [17, 28] suggerendo che possano giocare un ruolo chiave nella pro-priocezione. Se si verifica un’alterazione del-

l’elasticità e dello scorrimento fa-sciale a causa di disfunzioni de-terminate da traumi o sindromi da sovraccarico, questo potrebbe ripercuotersi sui recettori inseri-ti nel tessuto fasciale causando la trasmissione di informazioni scorrette.Le differenze regionali nello spessore, innervazione e compo-sizione di fibre potrebbe rispec-chiare i differenti ruoli delle fasce nelle diverse regioni corporee. Nel tronco, le uniche fasce apo-neurotiche propriamente dette sono rappresentate dalla fascia toracolombare e dalla guaina dei retti dell’addome che fungono da tendine piatto per i muscoli che vi si inseriscono [18].

Fascia epimisiale La fascia epimisiale è l’equiva-lente dell’epimisio, la guaina esterna che aderisce intimamente al singolo muscolo sottostante, avvolgendolo e determinandone forma e struttura. Questa fascia è presente sia nel tronco che negli arti e, generalmente, si presenta come una lamina fibrosa (fibre collagene di tipo I e III, fibre ela-stiche) sottile ed elastica. Grazie alla presenza di molteplici setti fibrosi che penetrano verso l’interno e aderiscono alle fibre muscolari, risulta difficile isolare anatomicamente il tessuto mu-scolare da quello connettivo epi-misiale, che vengono considerati dunque alla stregua di un’unica entità funzionale [7, 13]. Inoltre, la fascia epimisiale è strettamente collegata ai fusi neuromuscolari, la cui capsula può esserne con-siderata una specializzazione tissutale, ed è in continuità col perimisio. Per questa ragione si è ipotizzato un ruolo chiave del-la fascia epimisiale nella coordi-nazione motoria periferica [19]. Infatti, i fusi neuromuscolari so-no disposti in parallelo alle fibre muscolari e la loro capsula è in continuità con l’endomisio o il perimisio delle fibre muscolari circostanti. Quando il circuito gamma fa contrarre le fibre in-trafusali si verifica uno stiramen-to del fuso neuromuscolare che si trasmette attraverso la fascia epimisiale. Un’alterazione dell’elasticità fa-sciale potrebbe influenzare la ca-pacità di contrazione delle fibre intrafusali, alterando la sensibili-tà allo stiramento delle fibre affe-renti Ia, generando input distorti e interferendo con la corretta atti-vazione delle unità motorie delle fibre extrafusali. Questo potreb-be determinare una disfunzione muscoloscheletrica, quale una mancata attivazione di alcune unità motorie, con conseguente incoordinazione motoria e, nel lungo periodo, causare dolore a livello articolare [20].

Rapporto tra fascia aponeurotica e fascia epimisialeÈ interessante notare come la fascia aponeurotica e quella epi-misiale siano intimamente con-nesse l’una all’altra seguendo due pattern diversi. Nel tronco,

RiabilitazioneOggi Sistema fasciale

La fascia muscolareFRANCESCO PACENZA Fisioterapista, Pordenone, Centro Move

Muscolo bicipitefemorale

Tendinedel muscolosemitendinoso

Fascia cruraleEspansionemiofaccialeTendine perl’inserzione ossea

Fig. 1 - Dissezione della regione posteriore della coscia. Si noti l'espansione mio-fasciale del muscolo semitendinoso (trazionato) sulla fascia crurale (per gentile concessione di Carla Stecco, Università degli Studi di Padova).

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le fasce aponeurotiche (la fascia toracolombare e la guaina dei retti dell’addome) sono connes-se in serie alla fascia epimisiale, la quale aderisce fortemente all’in-tera superficie del muscolo sotto-stante grazie alla presenza di setti intramuscolari che si propagano dalla superficie interna di tale fa-scia, come avviene per esempio nella fascia pettorale [13]. Negli arti, invece, la fascia aponeurotica è disposta in parallelo a quella epi-misiale, ancorandosi ad essa solo in aree specifiche che presentano una precisa e costante disposi-zione spaziale sia nell’arto supe-riore [7, 12, 13, 21], che in quello inferiore [22]. Inoltre, le fasce aponeurotiche degli arti origina-no direttamente dalle espansioni miofasciali della fascia epimisiale del tronco che costituisce così la continuità anatomica tra schele-tro assiale ed appendicolare.

CONCLUSIONILa fascia è una struttura comples-sa presente in tutto il corpo. L’ar-chitettura e la funzione di questo tessuto, così come il suo ruolo nella fisiologia e nella patologia devono essere ancora compresi appieno. Appare comunque evi-dente che la fascia profonda sia una struttura specifica composta da numerosi strati di tessuto con-nettivo denso regolare, separati a loro volta da strati di tessuto connettivo lasso che ne permet-tono lo scivolamento relativo. Le fasce del tronco e del capo si dif-ferenziano da quelle degli arti per composizione istologica, morfo-logia ed innervazione. Un elemento chiave per capire il

ruolo della fascia è rappresenta-to dalle espansioni miofasciali. Infatti, grazie alla presenza di queste connessioni, ad ogni con-trazione muscolare corrisponde lo stiramento di una specifica porzione di fascia, che potreb-be influenzare l’attivazione dei meccanocettori al suo interno. Di-sfunzioni e patologie che possono diminuire l’elasticità fasciale [27] potrebbero conseguentemente al-terare la coordinazione motoria periferica determinando l’insor-genza di dolore, limitazione ar-ticolare e deficit propriocettivi. I risultati di studi preliminari, in cui una specifica terapia manua-le è stata applicata nelle aree di percepita alterazione del tessuto fasciale, hanno evidenziato sia un miglioramento degli outcome clinici in casi di distorsioni di caviglia [10], sindrome femoro-rotulea [23], tunnel carpale [24], esiti subacuti di colpo di frusta [25], che un ripristino dell’elasti-cità tissutale [26]. Sono necessa-rie ulteriori richerche per chiarire non solo la struttura e la funzione della fascia, ma anche i meccani-smi d’azione di terapie, manuali e non, dirette ad un tessuto che non può più essere ignorato.

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L. SteccoATLANTE DI FISIOLOGIADELLA FASCIA MUSCOLARE2015 – Prezzo: 78,00 €ISBN: 9788829927319Pagine: 390Volume riccamente illustrato a coloriPiccin

Da pochi mesi è stato pubblicato da Piccin il nuovo Atlante di Fi-siologia della Fascia Muscolare, di Luigi Stecco. Dopo aver dedicato gli ultimi anni all’approfondimento dell’anatomia e della fisiopa-tologia delle fasce interne, con la pubblicazione delle sue ultime due opere (Manipolazione fasciale per le disfunzioni interne, Piccin 2012; Manipolazione fasciale per le disfunzioni interne, Parte pratica, Piccin 2014), l’Autore ritorna allo studio della fascia muscolare. Anatomia, biomeccanica e fisiologia; queste le fonti a cui ogni fi-sioterapista dovrebbe attingere per svolgere la propria professio-ne: le tecniche e le metodiche diventano poi strumenti per mettere in atto quanto si conosce. «Manus sapiens potens est» è l’aforisma forgiato da Luigi Stecco, ed a lui caro, che racchiude tale concetto.Questo testo non nasce per insegnarci la tecnica di manipolazione fasciale, bensì per farci riflettere e mettere in discussione alcune nozioni apprese nel corso degli studi accademici e, quindi, arricchi-re il nostro bagaglio di conoscenze. Anatomia, dunque; anche sfogliando rapidamente le quasi 400 pa-gine del testo, il Lettore si accorgerà delle meravigliose fotografie, di altissima qualità, frutto del lavoro della figlia dell’Autore, Carla Stecco MD. Tali immagini risultano essere il miglior strumento per entusiasmare lo studioso di anatomia e, allo stesso tempo, per ri-chiamarlo alla stupefacente complessità di un corpo ben differente

da quello a cui ci hanno abituato, nel corso degli anni, gli anatomi-sti, i quali, per mostrare origini ed inserzioni muscolari, tendevano sempre ad eliminare il tessuto fasciale ed a rappresentare solo le connessioni con l’apparato scheletrico, dimenticando che oltre il 30% (almeno) delle fibre muscolari non hanno inserzione ossea. Biomeccanica; non ci si può quindi limitare al concetto del muscolo come motore di un’articolazione alla quale trasmette la forza trami-te il proprio tendine: si rende necessario considerare le inserzioni fasciali del muscolo con un’ottica che va aldilà della singola arti-colazione, e che ci insegna, rendendolo semplice, un approccio più funzionale al movimento dell’apparato muscoloscheletrico. Concet-ti chiave per la biomeccanica sono quindi quelli di unità miofasciale, sequenza miofasciale, diagonale e spirale miofasciali, i quali vengono ad essere spiegati, in questo libro, con rinnovata chiarezza e sem-plicità dall’Autore che ci mostra i frutti degli ormai quarant’anni di studio sul tema e delle precedenti esperienze editoriali.Fisiologia ed in particolare neurofisiologia. Nella prima sezione di Atlante di Fisiologia della fascia muscolare, Luigi Stecco ci parla del movimento, partendo dalla sua forma più semplice (riflessi), fino alle espressioni più complicate della coordinazione e dell’abilità motoria dell’essere umano. Il sistema nervoso centrale «non sa nulla dei muscoli, ma conosce solo i movimenti», scriveva oltre un secolo fa il neurologo inglese John Hughlings Jackson (1835-1911); questo testo ci fornisce una chiave di lettura, argomentata da una ricca bibliografia, dove SNC, SNP, muscoli e fascia sono solo attori, tutti di egual importanza, nella realizzazione del movimento e della coordinazione motoria.Questo testo rappresenta quindi un utile approfondimento e chia-rimento per chi già pratica la metodica manipolazione fasciale, ed un’ottima occasione di formazione per tutti i fisioterapisti e i medici.

Luca Cossarini Fisioterapista, DO

LETTURE IN VETRINA

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Alcuni autori ritengono che la lombalgia sia una condizione benigna e che tenda a limitarsi nel tempo, ma è stato dimostrato come l’80-90% dei pazienti pre-senti ancora dolore dopo 1 mese dall’insorgenza ed il 62% dopo 1 anno [1]; il 16% dei soggetti era ancora in congedo per malattia dopo 6 mesi, ed il 60% ha avu-to recidive. Anche Kovacs [2], in uno studio sul management pri-mario del Low Back Pain (LBP), ha evidenziato come, dopo 2 me-si di trattamento, più di un terzo dei pazienti continui ad avere dolore e il 10% sia peggiorato. Il ritorno al lavoro è stimato in solo il 50% dei pazienti dopo 6 mesi, e praticamente nullo dopo 2 anni. C’è forte evidenza che più a lungo un lavoratore rimane in malattia e minori sono le possibi-lità di ritornare al lavoro [3]. Quando il dolore è presente da molto tempo, questo non rappre-senta più l’adeguata risposta a sti-moli nocicettivi, ma va conside-rato come esito di un’alterazione dei sistemi centrali di elaborazio-ne del dolore. Ciò comporta l’in-staurarsi di un circolo vizioso di disagio, paura, depressione, ansia ed altri stimoli emotivi. Il dolore tende a diventare una sindrome autonoma senza più relazione con gli stimoli nocicettivi, con pesante impatto sulla vita di rela-zione e sugli aspetti psicologici e sociali caratteristici della persona. Vlaeyen & Linton [4] hanno il-lustrato un modello di mante-nimento dello stato di dolore cronico e di disabilità legato alla paura ed all’evitamento del mo-vimento. In questo modello è de-finito il ruolo negativo di fattori interni ed esterni, quali paura, ansia, ipervigilanza rispetto ad informazioni interne ed esterne. Sulla base di questo modello, è

stato sviluppato il concetto ria-bilitativo di recupero funziona-le nel LBP cronico [5-7]. Questo programma è basato sul concetto della sindrome da decondiziona-mento [8], che avviene dopo 4-6 mesi di limitate attività a causa del LBP, ed è associata a diminu-ite mobilità, forza e resistenza dei muscoli della colonna. Lo scopo del programma di recupero fun-zionale è fisico, psicologico e so-ciale, e prevede il coinvolgimento attivo dei pazienti, per migliorare la loro capacità di gestione della sintomatologia dolorosa. Anche l’utilizzo di un program-ma d’intervento cognitivo-com-portamentale è risultato efficace in merito al ritorno al lavoro ed al recupero funzionale dei pazien-ti con dolore lombare cronico [9-12]. Alcuni studi hanno mo-strano che alti livelli di paura del movimento, ansia e depressione all’inizio del trattamento indichi-no una categoria di soggetti che maggiormente può beneficiare di un approccio di tipo cognitivo- comportamentale [13-14]. L’utilizzo di un programma ba-sato sulla sindrome da condi-zionamento e di un programma d’intervento cognitivo-compor-tamentale sono quindi approcci consigliati e con evidenze scien-tifiche a loro supporto. È stato visto inoltre che sia il punteggio relativo alla paura del movimento, sia quello relativo all’autoefficacia sono associati al dolore e, soprattutto, alla di-sabilità [15-17]. L’autoefficacia è definita come la personale abili-tà di un soggetto nell’interagire positivamente con condizioni difficoltose [18], e l’autoefficacia in merito al dolore si riferisce al grado di fiducia che un soggetto ha nello svolgere normali attività malgrado il dolore [19].La convinzione delle persone cir-ca la propria efficacia nel gestire gli eventi influenzano le scelte, le aspirazioni, i livelli di sforzo,

di perseveranza, la vulnerabilità allo stress ed in generale la qua-lità della prestazione. Indagare le convinzioni di autoefficacia per-sonale relativamente a un dato comportamento può permettere di predire la condotta dell’indi-viduo in quello specifico dominio comportamentale (es. capacità di prendersi in carico un trattamen-to attivo).Non tutti i pazienti cronici sono però uguali e non tutti presenta-no aspetti maladattativi psicoso-ciali (poca capacità di adattarsi alla propria condizione). Un approccio diversificato (stratified approach, Fig. 1), in base al tipo di paziente (con basso, medio o alto rischio di disabilità persistente), sembra attualmente il metodo più indicato e raccomandato per migliorare gli outcome di disa-bilità e di ritorno al lavoro senza incrementare i costi sanitari [20-21]. La possibilità di attuare un approccio fisioterapico diverso in base al rischio di sviluppare disabilità deriva da una corretta valutazione iniziale. La presenza di una buona autoefficacia è sino-nimo di prognosi migliore [22]. Per i pazienti a basso rischio, il trattamento consiste nel rassicu-rare e consigliare, ricercare un'au-togestione da parte del paziente, oltre a fornire chiare spiegazioni sui sintomi e scoraggiare ecces-sivi trattamenti o indagini. Per i pazienti a medio rischio, il tratta-mento consiste nella riattivazione e nell’utilizzo di manipolazioni ed esercizi mentre, per i pazien-ti ad alto rischio, il trattamento consiste in una combinazione di approcci fisioterapici e psicolo-gici (indicazioni dell’approccio cognitivo-comportamentale). È importante sottolineare che questo tipo di approccio, nor-malmente attuato all’interno di un team multidisciplinare, può essere svolto anche da un singolo fisioterapista [23-24].Di seguito vengono illustrati la presentazione clinica, i test pro-posti ed il trattamento dei sog-getti con un rischio medio-alto di perpetuare la disabilità.

PRESENTAZIONE CLINICALa presentazione clinica di questi pazienti richiama il “comporta-mento da malato” descritto da Gordon Waddell [25-26]. Il dolore non rispecchia il normale decor-so della lombalgia comune, che è fortemente in relazione con il tempo e le attività. Il riposo e gli esercizi non riescono a dare sollievo ed il paziente non trova posizioni che alleviano i sintomi. Il soggetto descrive la sintomato-logia come localizzata sulla gam-ba intera, o in tutte e due gli arti inferiori, spesso nel territorio di più metameri, senza una distri-buzione anatomica coerente con il dolore irradiato. La zona col-pita dal dolore è obiettivamente troppo ampia, a volte fino al coc-cige. Il dolore è riferito come im-portante, forte, continuo, senza remissione neanche per un minu-to. Ogni trattamento precedente

ha fallito, spesso peggiorando la sintomatologia. Questa tipologia di pazienti pensa che il movimento sia con-troproducente e che sia meglio aspettare che passi il dolore pri-ma di riprendere le attività; ritie-ne inoltre che il miglioramento/peggioramento possa dipende-re da fattori indipendenti dalla propria volontà (il tempo atmo-sferico, la propria condizione di salute, il peso, gli altri che non lo capiscono, ecc.), mostra preoccu-pazione e dubita di poter stare meglio in futuro. Spesso tende anche ad accentuare la propria condizione con una mimica do-lorosa, sfregamenti e/o schiac-ciamenti della zona dolente, con eccessivi ricorsi al Pronto Soccor-so ospedaliero.

TEST FISICI CLINICIL’osservazione del paziente è spesso sufficiente per evidenziare il comportamento maladattativo. Il modo in cui il soggetto si siede e si alza dalla sedia, si sveste, si mette sul lettino, esegue sempli-ci esercizi di mobilizzazione in scarico è indicativo per il fisiote-rapista esperto ed attento alla ri-cerca di questi segni. Deve esserci sempre coerenza tra quello che il soggetto riferisce e quello che il fisioterapista osserva. Waddell ha comunque descritto alcuni test per ricercare i segni non or-ganici peculiari di questo tipo di paziente, basati essenzialmente sulla irrazionalità delle risposte a simulazioni provocative appa-rentemente stressanti (in realtà non in grado di provocare alcuna reazione dolorosa, Fig. 2) [25]. È

importante, comunque, sottoli-neare che in questo sottogruppo non c’è un paziente cosciente-mente simulatore, ma un sogget-to che, senza saperlo, utilizza un comportamento eccessivamente difensivo e decondizionante, sia psichicamente che fisicamente. Durante la valutazione iniziale è estremamente importante dotarsi di strumenti di outcome. Questi devono riguardare almeno la disabilità e la condizione fisica, ma sarebbe utile indagare anche il dolore, l’auto-efficacia e la chi-nesiofobia.I test fisici clinici sono importanti per avere dati oggettivi inizia-li sui quali fare rivalutazione durante il trattamento. Ciò è importante anche per il pazien-te, poiché la verifica dei propri miglioramenti fisici serve per ac-quisire maggior fiducia nel trat-tamento. I test fisici consigliati riguardano test per la rigidità (es. Shober test), test per il deficit del controllo motorio (es. Aber-rant Movements, Fig. 3; Passive Lumbar Extension test, Fig. 4; Active Straight Leg Raising test, Fig. 5), test di endurance mu-scolare (Supine Bridge Test, Fig. 6). Questi test sono stati indagati nei pazienti con LBP aspecifico e nei pazienti con spondilolistesi, mostrando correlazione con il miglioramento del dolore e della disabilità [26-28]. Il dolore può essere valutato me-diante il Numerical Rating Scale (NRS) o la Visual Analogic Scale (VAS). Il Numerical Rating Scale è composto da 11 valori di inten-sità del dolore che vanno da 0 (nessun dolore) a 10 (dolore in-

12 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

RiabilitazioneOggi Lombalgia cronica

Trattamento fisioterapico della lombalgia cronica L’approccio cognitivo-comportamentale applicato alla fisioterapia

SILVANO FERRARIFisioterapista, Milano

Elevato rischio di cronicitàTrattamento FT + CBT

Medio rischio di cronicitàTrattamento FT

Basso rischio di cronicitàEducazione e consigli

Fig. 1 - Modello stratificato.

Sintomi non organici (Waddell, 2004)

Dolore in fondo al coccigeDolore in tutto l’arto inferiore

Intorpidimento in tutto l’arto inferiore

Tutto l’arto inferiore cede

Mai senza dolore

Intolleranza ai trattamenti

Ospedalizzazione urgente

Segni non organici (Waddell, 2004)

Fastidio superficiale, non dermatomerico, in un’area troppo estesa alla lieve pressione

Positivo ai test di falsa stimolazione (compressione, rotazione)

Positivo ai test di falsa stimolazione (slump)

Debolezza motoria non radicolare, regionale, a scatti, parziale ruota dentata, cedimenti

Modificazione sensibilità non radicolare, regionale, sintomatologia a ‘calza’

Comportamento al dolore esagerato, iperreazioni (protezione / resistenza al movimento, sfregamento, smorfie, sospiri )

Fig. 2 - Sintomi e segni del comportamento da malato. Se almeno 4 dei segni e almeno 4 dei sintomi sono presenti, si può pensare ad un soggetto con “compor-tamento da malato” (Waddell, 2004).

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sopportabile). Una riduzione di 2 punti o del 30% è considerata clinicamente importante [29]. Tra i questionari deputati a va-lutare la disabilità del pazien-te, l’Oswestry Disability Index (ODI) è tra quelli maggiormente utilizzati [30]: consiste in 10 do-mande (items) che cercano di in-dividuare come gli effetti del mal di schiena limitino la capacità di eseguire le normali attività della vita quotidiana. Ogni item pre-senta 6 possibili risposte con una difficoltà che va da 0 a 5; la som-ma dei 10 punteggi è espressa at-traverso una percentuale che può variare da 0 (nessuna disabilità) a 100 (disabilità massima). La versione italiana presenta buone proprietà psicometriche [31-32] e il cambiamento minimo conside-rato importante è di 10 punti per-

centuali [33]. Per la valutazione della paura/evitamento del mo-vimento si possono utilizzare le versioni italiane del Tampa Scale of Kinesiophobia [34] o del Fear Avoidence Believe Questionnai-re [35]. Il Pain Self-Efficacy Que-stionnaire, nella sua versione ita-liana, ha dimostrato avere buona consistenza interna, affidabilità e validità [17]. Il paziente che pos-siede bassi livelli di autoefficacia (inferiore a 40/60) richiede strate-gie più complesse rispetto al sog-getto in trattamento considerato convenzionale.

TRATTAMENTO FISIOTERAPICO CHE UTILIZZA CONCETTI DEL TRATTAMENTO COGNITIVO COMPORTAMENTALEIl trattamento del paziente cro-nico con alto rischio di croni-cizzazione deve focalizzarsi contemporaneamente sulle due condizioni sempre presenti: la sindrome da decondizionamen-to e gli aspetti psicologici mala-dattativi. È importante che questi due aspetti vengano affrontati insieme perché si condizionano a vicenda. Se affrontati separata-mente, potrebbero non condurre a risultati significativi. Questo approccio deve essere ben spiegato al paziente, ed il dialogo continuo è importante. Occorre favorire la conoscenza anatomi-co-funzionale della colonna, della neurofisiologia del dolore, della possibile prognosi favorevole se vengono aumentate le capa-cità di carico vertebrali, al fine di orientare, sostenere e svilup-pare le potenzialità del pazien-te. È importante che il paziente sappia dall’inizio che l’obiettivo del fisioterapista non è quello di togliergli il dolore, ma le cause che lo sottendono.Allo stesso modo deve essere in-formato che questo processo ne-cessita di tempi lunghi, costanza e perseveranza. Se ben condotta, questa spiegazione tranquillizza il paziente, dà fiducia nel tratta-mento e diminuisce l’aspettativa di essere senza dolore dopo 15 giorni!Tutto il trattamento deve essere indirizzato verso la presa di co-

scienza della propria condizione, la diminuzione dei pensieri erra-ti, l’uso di strategie di coping atti-ve, la possibilità di gestione della sintomatologia. L’uso di obiettivi condivisi è fondamentale ed ogni traguardo raggiunto deve essere sottolineato. Il confronto con i da-ti oggettivi iniziali deve servire da continuo, ulteriore incentivo.Il miglioramento della condizio-ne fisica deve essere mirato al deficit di controllo motorio evi-denziato durante la valutazione iniziale, per esempio la rigidità, l’instabilità o la preferenza dire-zionale se presente, poiché le cau-se di lombalgia e le presentazioni cliniche sono molteplici. Non è possibile fare a tutti lo stesso trat-tamento. Il trattamento fisiotera-pico deve avvalersi di un metodo supervisionato di esercizi a cari-chi crescenti ed attività graduate. Questo approccio prevede l’uti-lizzo, in fase iniziale, di semplici esercizi alla portata del soggetto, né troppo facili, né troppo diffici-li. Occorre individuare con cura e attenzione gli esercizi in grado di sfidare il paziente ma che, con un po’ di impegno e di costanza, riescano ad essere attuati e svolti correttamente. Il fine ultimo del training non è tanto fisico, quanto psicologico: aumentare l’autosti-ma ed il senso di auto-efficacia del paziente. Man mano che i diversi esercizi vengono attuati correttamente, ne vengono pro-posti di nuovi, più impegnativi e difficili sotto l’aspetto fisico. Il pa-ziente si rende conto che riesce a fare quello che prima era difficile

o impossibile, e capisce che tutto questo è avvenuto grazie al suo lavoro, al suo impegno ed alla ca-pacità del fisioterapista di dare le indicazioni in progressione. Nor-malmente questa constatazione si correla con la sensazione di avere una schiena più forte e più rispondente alle normali attività quotidiane. Il training a carichi graduali deve andare di pari passo con le attivi-tà graduate nella vita quotidiana. È importante che il paziente ca-pisca come gli esercizi svolti in studio o a casa non siano fini a se stessi, ma gli permettono di svolgere meglio, e senza dolore, attività quotidiane prima difficili. Per ottenere questo, gli esercizi devono essere vari, funzionali ed in carico. Compendio della tera-pia in studio e degli esercizi a casa è il cammino. Esso è funzionale e permette al soggetto di verifica-re i risultati mediante le distanze effettuate; quindi è importante sotto l’aspetto psicologico. È sta-to dimostrato che 6 settimane di cammino terapeutico sono effi-caci come 6 settimane di specifici esercizi di rinforzo [36]. Un buon consiglio può essere quello di praticare Nordik Walking (NW). Il NW è praticato con speciali bastoncini che potrebbero dare benefici addizionali nel ridurre gli stress articolari rispetto al cammino. È stato sperimentato che la pratica del NW migliora la postura, la coordinazione del cammino e la capacità funzionale nei soggetti anziani [37]; ha avuto effetti benefici, inoltre, su dolore,

equilibrio e miglioramento di al-cuni parametri pelvici nelle don-ne anziane con LBP cronico [38].

CONSIGLI GENERALI PER UN CORRETTO MANAGEMENT DEL PAZIENTE CRONICO• Lavorare per obiettivi: inizial-

mente per il controllo e la ridu-zione del dolore, per il recupero e il mantenimento della mobi-lità; appena possibile per il re-cupero di una buona postura e di un controllo motorio efficace; successivamente per il recupero ed il mantenimento della forza e della resistenza, per il recupe-ro della destrezza e delle abilità. In tutto il percorso fisioterapico la continua interazione con il paziente deve favorire l’infor-mazione, l’educazione, la ricer-ca di un coping attivo, la presa in carico del proprio problema da parte del paziente.

• Un programma riabilitativo individuale dovrebbe sempre comprendere strategie atte a migliorare l’autostima, l’au-toefficacia e, in ultima analisi, dare sicurezza al paziente. È importante fornire al paziente esercizi e modalità terapeuti-che da utilizzare come “pronto soccorso”, nel caso di bisogno.

• Utilizzare degli strumenti di outcome semplici, riprodu-cibili, economici perché deve esserci sempre la possibilità di controllare se l’approccio utilizzato stia dando i risultati

13Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggi

Fig. 3 - I movimenti aberranti sono valutabili tramite l’osservazione della flessione lombare e del suo ritorno e comprendono:- un arco doloroso in flessione o al

ritorno dalla flessione- instability catch, definito come una

deviazione di movimento improvvisa nel movimento di flesso-estensione

- gower sign: ritornando dalla flessio-ne il paziente si aiuta con le braccia, che spingono sulle cosce

- inversione del ritmo lombo-pelvico: di ritorno dalla flessione, il paziente flette le ginocchia e porta in avanti il bacino, estendendo le anche.

Se almeno uno di questi segni è pre-sente, il test è considerato positivo.

Fig. 4 - Passive Lumbar Extension test. Il paziente giace prono sul lettino. Gli viene richiesto di mantenere le ginocchia estese, mentre l’esaminatore solleva le gambe, inducendo prima un’estensione delle anche e poi della colonna lombare. È importan-te che il paziente mantenga rilassato il tratto lombo-pelvico, poiché il test serve per verificare la capacità di stabilizzazione automatica, cioè senza una contrazione attiva volontaria della muscolatura stabilizzatrice lombare da parte del paziente.

Fig. 5a-5b - Active Straight Leg Raising. Il paziente è supino. Al paziente viene richiesto di sollevare attivamente dal lettino prima un arto e poi l’altro, riferendo eventuali differenze tra i due lati (dolore, difficoltà, ecc.) (a). Se queste esistono, lo stesso test viene eseguito con il fisioterapista che stabilizza manualmente la pelvi (b). Il test è positivo se i sintomi precedentemente evocati si riducono con la stabilizzazione manuale.

Fig. 6 - Supine Bridge Test. Il soggetto solleva la pelvi fino a tenerla in linea con le spalle e le ginocchia. Questa posizione è tenuta fino a quando la fatica o il dolore non permettono il suo mantenimento. Il test è considerato negativo se il soggetto riesce a mantenere la posizione fino a 180 secondi, .

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14 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

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previsti, sia da parte del fisio-terapista che del paziente. Ciò che il paziente non riesce a fare durante i test fisici di valuta-zione iniziale diventa esercizio terapeutico. La disabilità deve sempre essere valutata ed il suo superamento deve essere l’obiettivo principale del trat-tamento.

• L’evidenza in fisioterapia deve sempre essere ricercata.

BIBLIOGRAFIA1. Hestbaek L, Leboeuf YC, Manniche C. Low back pain: what is the long-term cour-se? A review of studies of general patient populations. Eur Spine J 2003;12(2):149-65.2. Kovacs FM, Fernandez C., Cordero A. Non-specific low back pain in primary ca-re in the Spanish National Health Service: a prospective study on clinical outcomes and determinants of management. BMC Health Services Research 2006;6:57.3. Waddell G, Burton AK. Occupational health guidelines for the management of low back pain at work: evidence review. Occup Med (Lond) 2001 Mar;51(2):124-35.4. Vlaeyen JW, Linton S. Fear-avoidan-ce and its consequences in chronic mu-sculoskeletal pain: a state of the art. Pain 2000;85(3):317-32.5. Mayer TG, Gatchel R., Mayer H et al. A prospective two-year study of functional restoration in industrial low back injury. An objective assessment procedure. JAMA 1987Oct 2;258(13):1763-7.6. Henchoz Y, So AKL. Exercise and non-

msegue da pag. 13

Anatomia palpatoria topografica e test differenzialiIntervista ad ALBERTO BROCCA,Osteopata D.O., Laurea in Fisioterapia, Diploma di Terapista della Riabilitazione

precise ed efficaci le conseguenti tecniche di trat-tamento con un sicuro miglioramento dell’efficacia degli interventi.

3) Cosa imparerò? Il corso è finalizzato a rilevare palpatoriamente, in modo differenziale, le varie strutture del nostro corpo, imparando a distinguere i tendini rispetto ai grossi nervi, un muscolo da un viscere, una salienza ossea da un’inserzione tendinea. Ciò al fine di essere precisi sulla struttura da trattare. Questo lavoro non servirà solo ai terapisti manuali, ma anche a chi ha la necessità di individuare una struttura per erogare una terapia laser, o per chi dovrà definire se un’ade-renza è sul punto della sutura chirurgica o in un tes-suto limitrofo. La differenziazione verrà fatta con test meccanici basati su ragionamenti anatomo-fisiologi-ci, il tutto con facilità di esecuzione e di memorizza-zione, ossia con un metodo individuato ad hoc.

4) Quali sono i concetti metodologici sui quali si basa questo corso? Nessun concetto specifico, solo la semplice appli-cazione della fisiologia all’anatomia. Alcuni principi fisici di base saranno discussi e integrati nel model-lo di ragionamento (per esempio la gravità e le leggi fisiche di circolazione dei liquidi). Non insegneremo tecniche di trattamento; illustreremo piuttosto al-cune regole per le procedure di esame e valutazio-ne attraverso semplici test che saranno applicati a

precise strutture corporee, tenendo in considerazio-ne l’eventuale coinvolgimento di altre regioni. Per esempio, non si può fare un test muscolare sui fles-sori di polso senza stirare i vasi della regione dor-sale della mano e comprimere i nervi della regione volare; dovremo allora distinguere gli uni dagli altri per capire quale struttura è maggiormente compro-messa. Questo procedimento si rende necessario in tutti i casi in cui i sintomi del paziente non siano suf-ficientemente chiari ed univoci dando adito a dubbi.

5) In che modo è impartito il corso?Si sviluppa in 3 fine settimana distribuiti su 3 mesi circa, per dare il tempo al discente di provare i nuovi concetti sui propri pazienti tra un modulo di corso e il successivo, riportando i dubbi o le difficoltà in-sorte nell’applicazione pratica dei concetti appresi. Il corso è organizzato per distretti, iniziando dagli arti (superiori e poi inferiori), per completarsi con la co-lonna vertebrale e il bacino. I vari distretti saranno analizzati in ogni loro componente, e sono sicuro che ci saranno diverse sorprese per molti.

6) Sono previste conoscenze di base minime per l’accesso al corso? No, il corso è adatto ai fisioterapisti in possesso del-le normali conoscenze impartite nei corsi di laurea. Daremo per scontata una conoscenza di base dell’a-natomia muscolo-scheletrica, anche se ripassere-mo comunque tutti i muscoli e tutte le articolazioni, effettuando anche una differenziazione su nervi e vasi. Lo spazio dedicato agli approfondimenti sarà inversamente proporzionale a quello dedicato al ri-passo di eventuali concetti di base.

7) Dove posso trovare informazioni sui prossimi corsi?È possibile visionare il programma di questo corso e i dettagli relativi alle prossime edizioni previste per l’autunno 2016 a Verona e Bologna a questa pagina: https://goo.gl/4Hlvkh m

Perché questo corso?

1) Perché dovrei scegliere questo corso?Il corso è dedicato a chi vuole ampliare le proprie co-noscenze anatomiche e palpatorie per consentire un riconoscimento certo delle diverse strutture corpo-ree, permettendo al professionista di reperire, in un procedimento di ragionamento differenziale, quella coinvolta nel disturbo del paziente.

2) Come migliorerà la mia pratica professionale? Alle volte ci si imbatte in diagnosi mediche “superfi-ciali”, che indicano più il sintomo riferito dal paziente piuttosto che la causa che lo genera. In questi casi è necessario svolgere un lavoro di differenziazione circa l’origine del dolore, testando in modo differen-ziale le diverse strutture interessate in rapporto ai sintomi. Nel corso del tempo mi sono reso conto che alcu-ni miei colleghi non avevano avuto l’opportunità di sintetizzare i dati acquisiti nel corso dei loro anni di studio. Ho sviluppato pertanto questo corso, il cui obiettivo sarà l’affinamento delle capacità già pre-senti per un utilizzo “ragionato”. Tutti abbiamo stu-diato i muscoli del nostro corpo e allo stesso modo le salienze ossee, i passaggi nervosi e via dicendo; ora si tratta “solamente” di riconoscerle con certez-za con la palpazione in base a regole di base. Que-sto è ciò che ho pensato di sviluppare, un sistema semplice ed efficace per identificare con precisione le strutture principalmente implicate in un proces-so patologico. In questo modo, saranno altrettanto

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15Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggi

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Il giocatore di pallanuoto deve essere in grado di nuotare a ritmi variabili su distanze diverse, con accelerazioni, decelerazioni, arre-sti, repentini cambi di direzione e contemporaneamente deve gesti-re la palla, ossia passarla o tirarla. A questo si aggiungono le insi-stenti pressioni degli avversari.La pallanuoto è una disciplina che prevede l’esecuzione di mo-vimenti aciclici da parte degli arti che, vista la grande variabilità in direzione ed intensità, devono essere ben coordinati.L’impegno muscolare è sicura-mente notevole, ma strettamente collegato alle fasi di gioco ed ai movimenti specifici richiesti in base al ruolo del giocatore.In questo studio è stato analizzato il gesto di passaggio o lancio del-la palla, soffermandosi su quel-lo che accade agli arti superiori. I disturbi muscoloscheletrici a ca-rico della spalla predominante ri-sultano avere maggior incidenza rispetto a quelli riscontrabili nel resto della popolazione di pari sesso ed età.Con la scopo finale di individua-re possibili strategie di preven-zione nei confronti di tale evento morboso, si è svolta una revisione critica della letteratura relativa agli sport overhead, alla pratica della pallanuoto, alla spalla del nuotatore, per evidenziare i di-sordini che tendenzialmente af-fliggono i giocatori.Per meglio investigare i fattori potenzialmente patogenetici, è stata effettuata un’indagine in-terna al settore, mediante un questionario a risposte per lo più multiple. Si è partiti da un’ipotesi di multifattorialità patogenetica: i fattori evidenziati possono essere distinti tra intrinseci, relativi alle caratteristiche degli atleti o della disciplina, ed estrinseci, relativi all’allenamento e allo stile di vita.La combinazione tra alcuni fat-tori sembrerebbe esporre gli atleti a situazioni di overuse: si verificherebbe un superamento del limite tra carico sostenibile e capacità di carico dell’organismo,

a livello generale ma soprattutto distrettuale. Si ritiene che un intervento pre-ventivo efficace, attraverso op-portune modifiche relative alla programmazione o alla metodo-logia di allenamento, si rivelereb-bero efficaci.

OBIETTIVILo scopo di questo lavoro è du-plice: • individuare quali aspetti lega-

ti alla pratica della pallanuoto possano costituire fattori di rischio per l’insorgenza delle problematiche di spalla;

• evidenziare misure preventive per ridurre l’incidenza delle disfunzioni in esame.

MATERIALI E METODILa ricerca si è condotta attraverso la bibliografia esistente e median-te un questionario specifico.Gli argomenti portanti della ricer-ca sono stati:• carico/capacità di carico e pre-

stazione sportiva;• la pallanuoto;• disfunzioni di spalla nei palla-

nuotisti.

Carico/Capacità di caricoLa finalità dell’allenamento, in qualsiasi disciplina sportiva, de-ve essere quella di favorire lo svi-luppo ottimale di tutte le capacità motorie, in modo da massimizza-re la resa di gara ed evitare la pos-sibilità di infortunio dell’atleta.Gli obiettivi dell’allenamento sportivo sono: • sviluppare la capacità di carico;• sviluppare la prestazione spor-

tiva [1].

La capacità di carico è la capaci-tà dell’organismo di sostenere determinati carichi senza com-promettere la salute, presente e futura. Uno squilibrio tra carico e capacità di carico indica uno squilibrio fra il carico esterno che il corpo, l’organo o il tessuto subi-scono e la loro caricabilità, ovvero il carico da essi fisiologicamente sostenibile [2]. Questa alterazio-ne interpreterebbe la presenza di un danno muscoloscheletrico.Lo sviluppo della prestazione spor-tiva rappresenta l’acquisizione della capacità di realizzare una prestazione complessa, in un determinato momento, secondo regole stabilite e anche questa

capacità si basa sulla capacità di carico [3].

La pallanuoto La pallanuoto è una disciplina acquatica assai complessa, in quanto i giocatori, oltre che esse-re degli esperti nuotatori, devono anche essere in grado di gestire il gioco della palla, che rappresenta l’elemento di condivisione e di competizione ed è la variabile in-dipendente di tutto il gioco. Ciascuna squadra è composta da sette giocatori, dei quali uno è il portiere, e non più di sei giocatori di riserva da utilizzare per le so-stituzioni [4]. Nella formazione della squadra vengono favoriti soggetti morfologicamente mas-sicci e longilinei, poiché un buon sviluppo degli arti risulta favo-revole e funzionale. Particolare attenzione viene posta sugli arti superiori, che sono i responsabi-li della massima propulsione in acqua e i veri protagonisti per la conquista e mantenimento della palla.È essenziale per questi atleti una buona flessibilità di spalla, in mo-do che il gesto tecnico specifico di lancio e ripresa della sfera, oltre che potente, risulti ben controlla-to e quindi armonioso. Alla luce di ciò vengono evidenziate carat-teristiche neuromuscolari, antro-pometriche e fisiche ben precise da ricercare nei futuri atleti.Per quanto riguarda le caratte-ristiche neuromuscolari è ne-cessaria una buona coordinazio-ne, essendo questa strettamente correlata al controllo del gesto. Il livello di espressione e varietà della tecnica costituiscono gli ele-menti basilari per una buona pre-stazione sportiva. Per rendere un movimento finemente controlla-to, gli atleti adottano ripetizioni continue del gesto. La ripetizione consente all’esecutore la possibi-lità di concentrarsi sul controllo stilistico e sulla precisione. Altresì necessarie sono forza e resistenza. La disciplina in esame richiede all’atleta di sopportare a lungo la fatica, dovuta al movimento in acqua e alla presenza dell’avver-sario. La velocità, ossia la capacità di realizzare un movimento nel minor tempo possibile, è fonda-mentale nei cambi di direzione, sia sulla lunghezza della vasca che nella fase di contatto con l’av-versario.

Le caratteristiche antropometri-che richieste, come già accennato, privilegiano soggetti longilinei ma robusti, anche se le caratte-ristiche in esame variano legger-mente dal ruolo che ricopre il gio-catore. Il modellamento del fisico a seguito di ore di allenamento è un fenomeno certo, ma per rag-giungere certi livelli si ricerca sempre un potenziale intrinseco che faccia pensare ad una predi-sposizione, fondamentale per far emergere un talento.Tra le caratteristiche fisiche ne-cessarie, invece, va nominata la grande flessibilità e mobilità arti-colare delle spalle, fondamentale per il nuoto, ma anche per palleg-gi, i passaggi e i tiri della sfera. Per questo motivo l’allenamento prevede intensi esercizi a carico delle spalle.

Disfunzioni di spalla nell’atleta pallanuotistaNumerosi sport sono caratteriz-zati da specifici gesti atletici che comportano movimenti ripetuti dell’arto superiore al di sopra della testa: essi sono definiti overhead. Il modello biomeccanico alla base di questi sport è quello del lancio, caratteristico dei pal-lavolisti, giavellottisti, tennisti, nuotatori e giocatori di pallanuo-to (Fig. 1), football e baseball. Negli atleti che praticano questi sport si registra un’incidenza particolarmente elevata di le-sioni a carico della spalla [5], in particolare l’attività overhead è stata specificatamente identifi-cata come un fattore aggiunto di rischio [6].Gli infortuni sportivi overhead possono essere di origine mul-tifattoriale e causare diversi tipi di deficit: limitazioni del movi-mento, squilibri muscolari e di-scinesia scapolare, talvolta legati a traumi contusivi o da torsio-ne. La spalla durante l’attività specifica sportiva lavora costan-temente in posizione overhead attivando contemporaneamente tutte le componenti osteo-lega-mentose-muscolari esistenti, sia nei momenti di transito sia nei momenti di statica specifici dello sport della pallanuoto. Per questo motivo deve esserci una sinergia fra tutti gli elementi anatomici e fisiologici costitutivi del cingo-lo scapolo-omerale. Una cattiva sinergia scapolo-omerale e/o

un’instabilità capsulo-legamen-tosa possono portare a problema-tiche che limitano notevolmente la pratica sportiva agonistica.Nei pallanuotisti le lesioni più comuni sono localizzate a livello dei rotatori: • al compartimento degli intra-

rotatori, che in particolare coin-volgono il muscolo o il tendine del sovraspinoso, capolungo del bicipite o del grande ro-tondo;

• al compartimento degli extra-rotatori, ossia muscolo sotto-scapolare e piccolo rotondo (cuffia dei rotatori) [7].

Lesioni altresì frequenti sono quelle del legamento glenomera-le o la sindrome da impingement scapolo-omerale [8].A ciò si può aggiungere un’in-stabilità acquisita conseguente a gesti sportivi ripetuti (A.I.O.S.): la continua ripetizione dei ge-sti tipici del lancio, protratta nel tempo, può determinare un indebolimento delle struttu-re stabilizzatrici anteriori. Tale deficit favorisce la traslazione anteriore dell’omero durante il gesto di caricamento effettuato nella posizione di abduzione ed extrarotazione (posizione di AB-ER). L’alterazione del centro di rotazione dell’omero determi-na la compressione del tendine del sovraspinato tra il trochite e il margine postero-superiore del-la glena (conflitto postero-supe-riore). È per questo motivo che, all’anamnesi, il pallanuotista ri-ferisce la comparsa del sintomo solo durante l’esecuzione del tiro. Gli sport overhead non solo pos-sono compromettere le struttu-re stabilizzatrici anteriori ma, al tempo stesso, favorire la perdita dell’elasticità distrettuale della capsula posteriore: tale retrazione si manifesta con una perdita della rotazione interna passiva [9].

QUESTIONARIO E RISULTATIAllo scopo di investigare con maggiore precisione alcuni aspet-ti comuni agli atleti con disturbi, alla ricerca bibliografica (Tab. 1) è stato aggiunto un questiona-rio. Quest’ultimo si pone come strumento di rilevamento epide-miologico in popolazione chiusa e supporto ad ipotesi patogene-tiche.

16 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

RiabilitazioneOggi Fisioterapia sportiva

Disfunzioni di spalla nell’atleta pallanuotista:un approccio funzionale

GIULIA ANGELINOFisioterapista, Studio Fisioterapico Giulia Angelino e Studio Fusco, Spec. in Fisioterapia Sportiva, Università di Pisa; Tecnico Federale, Federazione Ginnastica d’Italia

Fig. 1 - La pallanuoto, uno sport overhead. Fig. 2 - Ore di movimento al di fuori dell'allenamento. Fig. 3 - Ore in posizione seduta.

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I pallanuotisti che hanno risposto al questionario sono 40. Si tratta di giocatori di sesso maschile con età ≥ 18 anni, attivi nel panorama federale all’interno di campionati di Serie B, A2 e A1. Alcuni di essi sono titolari della squadra Na-zionale.Di seguito vengono riportati al-cuni dei risultati salienti a sup-porto di ipotesi patogenetiche come la multilateralità, la seden-tarietà, l’asimmetria del gesto e le conseguenti alterazioni di con-trollo motorio.A supportare l’ipotesi di ecces-siva attività specifica durante la conduzione di una vita tenden-zialmente sedentaria è stato do-mandato:1. Quante ore di movimento fai al di

fuori dell’allenamento? Il 37,5% risponde meno di 1 ora, il 32,5% tra le 2 e le 3 ore, il 30% più di 3 ore (Fig. 2)

2. Quante ore stai seduto tra lavoro, università, studio, pc, tv, telefo-no? Il 57,5%risponde meno di 6 ore e il 42,5% tra le 6 e le 8 ore (Fig. 3).

Per verificare ipotesi di asimme-tria viene domandato:3. Hai verificato differenze di mo-

bilità tra la spalla con cui esegui il lancio della palla e l’altra? Il 62,5% risponde sì in alcune cir-costanze, il 27,5% sì in maniera marcata, il 10% no (Fig. 4).

4. Hai un lato prevalente in cui i disturbi si evidenziano? Il 65% risponde sì, il 35% no (Fig. 5).

Per comprendere se l’atleta venga effettivamente monitorato ai fini di verificare la presenza/assenza di precedenti disturbi, vengono poste le seguenti domande:5. La tua squadra possiede un fisio-

terapista di riferimento? Il 57,5% risponde sì.

6. Il terapista conosce il gesto speci-fico della pallanuoto e presenzia mai agli allenamenti? Il 57,5% risponde o di non avere il FKT o che non è informato sulla loro tecnica e dunque non ac-cede agli allenamenti; il 25% risponde a volte, il 17,5% ri-sponde sì.

7. Hai mai fatto una visita da un professionista per valutare la funzionalità delle tue spalle? Il 62,5% afferma “no”.

DISCUSSIONEDalla ricerca bibliografica, dall’a-nalisi della disciplina e degli at-leti che la praticano, sembrereb-bero emergere alcuni fattori a cui ascrivere un particolare peso patogenetico nelle disfunzioni di spalla dei pallanuotisti:1. l’esecuzione reiterata del ge-

sto di lancio e palleggio della palla;

2. l’asimmetria della tecnica (braccio di lancio più coordi-nato, potente, mobile);

3. aumenti di densità/intensità di allenamento mal distribuiti nel corso dell’anno;

4. mancanza o inadeguatezza di una valutazione funzionale.

Il questionario evidenzierebbe altre possibili concause, quali:A. stile di vita erroneo dell’atleta;B. rapporto carico/capacità di

carico alterato;C. tecnica scorretta di allenamen-

to.

Lo scopo di questo lavoro è quel-lo di analizzare questi fattori per testare l’efficacia di un possibile intervento a livello di ciascuno di essi.I fattori 1 e 2 sono da classificarsi intrinseci secondo il modello Bio Psico Sociale (BPS), quindi non lasciano grande spazio interven-tistico. È vera però la possibilità di apportare alcune modifiche all’allenamento in modo da li-mitare l’asimmetria degli arti superiori.Per quanto riguarda il punto 3 si fa riferimento al fatto che i cam-pionati di pallanuoto si concen-trano il soli alcuni mesi dell’an-no solare, lasciando agli atleti (esclusi gli azzurri) tutto il perio-do estivo di riposo (in alcuni casi anche di più). Il campionato di serie A1 tendenzialmente inizia a metà Settembre per concludersi a metà Maggio, comprendendo però diverse fasi di stop.I fattori emersi grazie al proget-to sperimentale, A-B-C, sono da considerarsi estrinseci, quindi un intervento a questo livello risulta di grande importanza. Lo stile di vita degli atleti (A) è una questione non trascurabile, per questo sono state poste pre-cise domande circa il movimento al di fuori dell’ambiente acquati-co. Nonostante le percentuali tra le risposte alla prima domanda siano simili, la maggiore è del 37,5% e si riferisce ad un tempo speso per muoversi < 1 ora (Fig. 2). La posizione seduta sembre-rebbe essere mantenuta, nella maggioranza dei casi, per circa 6 ore, il 42,5% risponde tra le 6 e le 8 ore. Si può affermare che le ore di sedentarietà siano effettiva-mente troppe, legate a motivi di studio, lavoro o semplicemente all’affermarsi del digitale. L’u-so di telefonini e PC ha di molto modificato l’assetto posturale.Come avviene per molte disci-pline, anche in questo caso sem-brerebbe essere spesso superato il livello di sopportazione locale di un carico, a causa delle ripeti-tività intensa del gesto (B). Sem-brerebbero verificarsi squilibri generali e distrettuali, che pos-sono variare dalla disfunzione più o meno grave all’infortunio vero e proprio, causando assenza dal campionato. Gli atleti stes-si riportano questo dato: il 55% afferma di avere un aumento della sintomatologia a livello della spalla dopo l’allenamento o la partita e il 75% sostiene di presentare un’acutizzazione del problema nelle fasi in cui i cari-chi di allenamento aumentano. Inoltre, il 32,5% degli atleti presi in esame è mancato a due o tre partite di campionato a causa di questa problematica. Questo è un dato molto importante dato che si tratta di pallanuotisti ai massi-mi livelli, la cui presenza in vasca può determinare il risultato di una partita.Per quanto riguarda la tecnica di allenamento (C), dall’esame dei risultati sembrerebbe essere tendenzialmente presente una certa multilateralità. Tuttavia, risulta fondamentale ribadire che gli esercizi non specifici della disciplina sono essenziali in una sessione allenante, garantiscono

17Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggi

Tab. 1 - RICERCA BIBLIOGRAFICA

TITOLO AUTORI PROVENIENZA ANNO

Posterosuperior glenoid rim impingement as a cause of shoulder pain in top level waterpolo players

Giombini A, Rossi F, Pettrone FA, Dragoni S

J Sport Med Phys Fitness 1997

Rotator cuff pathology in athletes

Blevins FT Sports Med 1997

Rotator cuff injury in contact athletes

Blevins FT, Hayes WM, Warren RF

Am J Sports Med 1996

Rotator cuff tears in overhead athletes

Economopoulos KJ, Brockmeier SF

Clin Sports Med 2012

Subluxation of the shoulder in athletes

Warren RF Clin Sports Med 1983

Prevention of shoulder injuries in overhead athletes: a science-based approach

Cools AM, Johansson FR, Borms D, Maenhout A

Braz J Phys Ther 2015

Effects of a shoulder injury prevention strength training program on eccentric external rotator muscle strength and clenohumeral joint imbalance in overhead activity athletes

Niederbracht Y, Shim AL, Sloniger MA et al.

J Strenght Cond Res 2008

Shoulder muscle recruitment patterns and related biomechanics during upper extremity sports

Escamilla RF, Andrews JR Sports Med 2009

Risk factors for shoulder pain and injury in swimmers: a critical systematic review

Hill L, Collins M, Posthumus M Phys Sportsmed 2015

Shoulder problems in high level swimmers impingement, anterior instability, muscular imbalance?

Rupp S, Berninger K, Hopf T Int J Sports Med 1995

Shoulder strength and range of motion in symptomatic and pain free elite swimmers

Bak K, Magnusson SP Am J Sports Med 1997

Nontraumatic glenohumeral instability and coracoacromial impingement in swimmers

Bak K Scand J Med Sci Sports 1996

Overuse and impingement syndromes of shoulder in the athlete

Cowderoy GA, Lisle DA, O’Connell PT

Magn Reson Imaging Clin N Am

2009

Overuse injury syndromes in the shoulder area

Cicak N, Klobucar H, Maric D Arh Hig Rada Toksikol 2001

Competing with injuries:injuries prior to and during the 15th FINA World Championships 2013 (aquatics)

Mountjoy M, Junge A, Benjamen S et al.

Br J Sports Med 2015

Common conditions in the overhead athlete

Edmonds EW, Degerink DD Am Fam Physician 2014

Throwing velocity and kinematics in elite male waterpolo players

Melchiorri G, Padua E, Padulo J et al.

J Sport Med Phys Fitness 2014

Three dimensional cinematographic analysis of waterpolo throwing in elite performers

Whiting WC, Puffer JC, Finerman GA et al.

Am J Sports Med 1985

Biomechanics of overhand throwing with implications for injuries

Fleising GS, Barrentine SW, Escamilla RF, Andrews JR

Sports Med 1996

Fig. 4 - Differenze di mobilità tra le due spalle. Fig. 5 - Lato di prevalenza del disturbo.mcontinua a pag. 18

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18 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

mente ai praticanti la pallanuoto e, in aggiunta, conducono ad una riflessione per quel che riguar-da lo stile di vita degli atleti, che sembrerebbe utile monitorare, facendo caso alla relazione tra sedentarietà e attività. La predominanza di esercizi tec-nici su quelli aspecifici e l’asim-metria del gesto sembrano essere i fattori causali dominanti.Inoltre, insufficientemente ripor-tato dai risultati ma fondamen-tale in ambito sportivo, sembre-rebbe il monitoraggio degli atleti attraverso test e valutazioni spe-cifiche, effettuate da un profes-sionista preparato sulla specifica disciplina.La valutazione funzionale, quan-to più possibilmente standardiz-zata e quindi affidabile, dovreb-be esaminare le capacità fisiche e neuromuscolari dei pallanuotisti.In conclusione sarebbe efficace comprendere nell’allenamento parti di lavoro meno tecnico e più generale, in modo da ricercare la corretta sequenza temporale del movimento e la tridimensiona-lità del gesto, in accordo con le caratteristiche anatomiche ed antropometriche del soggetto e nel rispetto della multiplanarità articolare.Tali accorgimenti permettono di evitare sovraccarichi distrettuali e rendono il movimento funzionale ed efficace.

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CONCLUSIONILe informazioni ricavate dalla let-teratura conducono a elementi non particolarmente esaustivi per quel che riguarda le disfunzioni di spalla, sia dal punto di vista dell’eziopatogenesi che dei pos-sibili interventi preventivi e cu-rativi. In particolare, il materiale ricavato si riferisce principalmen-te alla categoria dei nuotatori, cui i pallanuotisti fanno sicuramente parte, ma non alla disciplina nello specifico.I risultati ricavati dal progetto sperimentale, oltre a confermare alcuni dati pervenuti dalla ricerca bibliografica, sono rivolti unica-

competizione/partita. Per questi motivi sarebbe auspicabile che il fisioterapista fosse parte inte-grante del team, che conoscesse il gesto tecnico e le peculiarità della disciplina di cui si occu-pa, ma il 57,5% dei pallanuotisti esaminati o non ha un terapista di riferimento oppure ne ha uno che non segue lo specifico di que-sto sport.Il supporto di una valutazione funzionale e di un costante moni-toraggio influisce positivamente sul profilo prognostico di salute (Prognostic Health Profile, PHP), che per l’atleta è intimamente connesso al suo piano di carriera.

sulta essere un ulteriore fattore causale. Dall’analisi dei risultati non sembra sia buona abitudine sottoporre l’atleta ad una valuta-zione delle sue capacità fisiche e neuromuscolari. Come avviene in campo riabilitativo, anche nel mondo dello sport la valutazio-ne ha un ruolo fondamentale per studiare l’effetto di un program-ma di allenamento e quindi pia-nificare i programmi, identificare i punti deboli e forti di un atleta, fornendo riscontri obiettivi.Una buona valutazione per-mette di evidenziare eventuali disfunzioni e di stabilire se un atleta sia pronto o meno per la

lo sviluppo di un’adeguata capa-cità di carico generale, evitando l’insorgere di sovraccarichi di-strettuali. Particolare attenzione dovrebbe essere posta alla spal-la, cercando di svilupparne una buona stabilità, anche con il la-voro a secco.Una percentuale minore alla metà degli intervistati afferma di svolgere esercizi mirati per la spalla.La mancanza o inadeguatezza di una valutazione funzionale (4) e quindi il mancato monitoraggio da parte di un professionista ri-

msegue da pag. 17

Lavori all'estero? Hai avuto

un’esperienzalavorativa

fuori dall'Italia?Ce la vuoi

raccontare?

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19Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggi

RiabilitazioneOggi Disfunzioni ATM

Relazione tra le disfunzioni temporo-mandibolari e la postura cranio-cervicaleRevisione sistematica della letteratura

MARTINA CARAFAFisioterapista, Roma [email protected]

L’obiettivo di questa revisio-ne sistematica della letteratura mondiale è quello di valutare la possibile influenza che possono avere la testa e il rachide cervica-le sulle patologie disfunzionali a carico dell’articolazione tempo-ro-mandibolare (ATM), mettendo a confronto le conclusioni delle pubblicazioni e i risultati ottenuti dagli studi su questo argomento.Quando si parla di disfunzioni temporo-mandibolari (DTM) ci si riferisce a un insieme eterogeneo di segni e sintomi a eziologia e fi-siopatologia per lo più sconosciu-te, che variano da riduzione del range di movimento dell’ATM a dolore alla palpazione dei mu-scoli cibernetici suboccipitali, da cefalee a rumori e dolore intrarti-colari [1]. Negli anni è stato sug-gerito un legame con la postura, in particolare con la posizione del cranio sulle prime vertebre cervi-cali C1-C2, ma non è chiaro di che tipo di rapporto si tratti. Certo è che sono ancora discordanti le opinioni degli autori a riguardo e di difficile interpretazione i ri-sultati ottenuti negli studi speri-mentali.

RICERCALa ricerca degli articoli pertinenti all’argomento dello studio è stata condotta sui database scientifici mondiali, quali Pubmed/Me-dline, PeDro, Cochrane Library, dal 1/03/2014 al 31/07/2014. Le parole chiave utilizzate sono sta-te: temporomandibular dysfun-ctions (DTM), temporomandibu-lar joint, masticatory dysfunction and muscolar pain, craniofacial pain, cervicalgia, head posture and cervical spine, oral rehabili-tation, TMJ rehabilitation or re-education. Degli articoli trovati sono stati presi in considerazione solo quelli pubblicati nell’arco di tempo 2000-2014, che rispettava-no i criteri di esclusione scelti: as-senza di precedenti trattamenti ortodontici, malattie metaboliche, vascolari, reumatiche, neurolo-giche, psichiatriche e neoplasie, traumi cranio-cervicali, studi su cavie animali, revisioni sistema-tiche e case report.Una volta concluso il campiona-mento degli articoli, ne è stata valutata la tangibilità e la qua-lità scientifica per le seguenti variabili: randomizzazione del campione, esaminatori in cieco, gruppo di controllo, informazioni esaustive sul metodo di valuta-zione dei DTM e informazioni sulle misure di valutazione del rachide cervicale; per ogni varia-bile è stato attribuito all’articolo 1 punto in caso di giudizio positivo o 0 punti nel caso la variabile non fosse presente nello studio, per un totale di massimo 5 punti. Dei 23 articoli presi in considerazione all’inizio dello studio, sono stati tenuti in considerazione solo gli

studi che hanno ottenuto un pun-teggio alto, uguale o superiore a 4 punti (n = 8). 5 articoli hanno raggiunto conclusioni favorevoli al legame DTM-cervicale [2-6], mentre 3 articoli si sono rivelati contrari [7-9].

CONTROVERSIELe prime controversie emergono dalla valutazione morfologica cranio-cervicale. Gli studi di De Farias Neto et al. mostrano una maggiore frequenza dell’ante-riorizzazione del capo rispetto all’asse occipite-D8-sacro nei soggetti in cui è presente una patologia disfunzionale a cari-co dell’ATM, in confronto agli individui asintomatici [2]; cor-relazione che non è presente, invece, nelle analisi di Munhoz et al. Infatti, quest’ultimo non ha evidenziato nessuna correlazione anatomo-funzionale tra l’ATM e il rachide cervicale, sottolineando che la presenza della traslazio-ne anteriore della testa sia solo un fattore aggravante all’interno dei quadri disfunzionali severi, non essendoci alcuna relazione di causa-effetto tra i due [7-9]. In realtà, la posizione anterio-rizzata del capo creerebbe uno squilibrio di tensioni tra i muscoli anteriori e posteriori del collo. I muscoli posteriori, gli spinali, i cibernetici, il lungo e il lunghis-simo del collo, si troverebbero a lavorare all’interno di una leva svantaggiosa, aumentando la lo-ro attività tonica a discapito della lunghezza e della forza delle fi-bre muscolari. I muscoli anteriori, invece, avvantaggiati dalla posi-zione favorevole del capo, per-derebbero la propria lunghezza fisiologica.Il risultato di queste forze

sull’ATM porterebbe il condilo mandibolare a traslare posterior-mente all’interno della glena ar-ticolare, comprimendo lo spazio retrodiscale, fortemente vasco-larizzato e ricco di terminazioni nervose (input nocicettivo). Con lo scivolamento anteriore del cranio sull’atlante, la mascella si troverebbe disallineata rispetto alla mandibola. L’alterato contat-to iniziale tra arcata dentale su-periore e arcata dentale inferiore forzerebbe la mandibola a ricer-care la corretta occlusione con movimenti di protrusione e con-tinua stimolazione dei muscoli coagonisti pterigoideo interno ed esterno, temporale e digastrico.

COSA SI INTENDE CON DTM?Quando si parla di DTM ci si riferisce a un insieme di segni e sintomi riconducibili anche a pa-tologie cervicali, come cervical-gia, trigger points cervicali attivi, cefalea, limitazioni del range ar-ticolare. La prevalenza di questi sintomi nei DTM, pari al 58-74% contro il 13-31% nei soggetti che non presentano patologie a carico dell’ATM, assume valori statisti-camente rilevanti (p<0,05) senza differenze significative riguardo al sesso e alla classificazione ezio-logica della patologia (p=0,9) [3]. La causa di questa sovrapponi-bilità dei sintomi è riconducibile alla convergenza neuronale, il nucleo spinale del trigemino e i neuroni di secondo ordine a li-vello di C1-C2-C3. Un costante input nocicettivo sul neurone di secondo ordine va a sensibiliz-zare il neurone stesso. Quando uno stimolo non-nocicettivo da un’altra area converge sullo stesso neurone, questo può dare

un incremento della sensazione dolorosa. Per esempio, un imput nocicettivo del trapezio superiore potrebbe eccitare le fibre del ner-vo trigemino, che a uno stimolo non-nocicettivo da parte della branca mandibolare risponde con output doloroso, giustificando la coesistenza di sintomi legati al sistema masticatorio e al tratto cervicale [4].Gli studi di Mansilla-Ferragut et al. hanno valutato gli effetti che un thrust atlanto-occipitale può avere sulla funzione di apertu-ra mandibolare e il dolore alla digitopressione della porzione anteriore del temporale sull’os-so sfenoide (area trigeminale). Il trattamento ha portato a un im-mediato aumento dei valori di apertura mandibolare attiva, pari a 3,55 ± 1,1 mm, e una diminuzio-ne del dolore alla digitopressione del muscolo temporale parago-nabile a un intervento locale di trattamento sul muscolo massete-re (p<0,05). È possibile spiegare i risultati ottenuti attraverso l’inibi-zione del riflesso di contrazione: il costante input nocicettivo cervica-le provoca la contrazione antalgi-ca dei muscoli della masticazione, con annessi limitazioni del ROM dell’ATM e della forza muscolare, con conseguente aumento dell’at-tività contrattile dei muscoli cer-vicali posteriori, SCOM e scaleni. L’azione transcranica del thrust atlanto-occipitale inibisce l’attivi-tà di contrazione a livello corticale dei muscoli coinvolti, permetten-done il rilasciamento. Per questo, la combinazione di un trattamen-to combinato ATM-cervicale ri-sulta avere un maggior peso in termini di efficacia ed efficienza rispetto al trattamento locale gold standard [5-6].

CONCLUSIONIIn conclusione, sembra esserci una relazione tra DTM e postura cranio-cervicale, anche se vi è la necessità scientifica di produrre altri studi validi per chiarire le dinamiche eziopatogenetiche e la relazione causa-effetto di tale correlazione.

BIBLIOGRAFIA1. Lobbezoo-Scholte AM, De Leeuw JR, Steenks MH et al. Diagnostic subgroup of craniomandibular disorders. Part 1: self report data and clinical findings. J Orofac Pain 1995;9:24-36.2. De Farias Neto JP, de Santana JM, de Santana-Filho VJ et al. Radiografic mea-surement of the cervical spine in patients with temporomandibular dysfunction. Arch Oral Biol 2010;55:670-8-3. Matheus RA, Ramos-Perez FM, Me-nezes AV et al. The relationship between temporomandibular dysfunction and he-ad and cervical posture. J Appl Oral Sci 2009;17(3):204-8.4. Visscher CM, Lobbezoo F, de Boer W et al. Prevalence of cervical spinal pain in craniomandibular pain patients. Eur J Oral Sci 2001;109:76-80.5. Mansilla-Ferragut P, Fernández-de- Las Peñas C, Alburquerque-Sendín F et al. Immediate effects of atlanto-occipi-tal joint manipulatione on active mouth opening and pressure pain sensitivity in women with mechanical neck pain. J Ma-nipulative Physiol Ther 2009;32(2):101-6.6. Wright EF, Domenech MA, Fischer JR Jr. Usefulness of posture training for patients with temporomandibular disor-ders. J Am Dent Assoc 2000;131(2):202-10.7. Iunes DH, Carvalho LCF, Oliveira AS, Bevilaqua-Grossi D. Craniocervical posture anlysis in patients with tempo-romandibular disorder. Rev Bras Fisioter 2009;13(1):89-95. 8. Munhoz WC, Marques AP. Body po-sture evaluation in subjects with internal temporomandibular joint derangement. Cranio 2009;27(4):231-42.9. Munhoz WC, Marques AP, Tessereoli de Siqueira JT. Radiographic evaluation of cervical spine of subjects with tem-poromandibular joint internal disorder. Braz Oral Res 2004;18(4):283-9. m

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20 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

Nella prima parte di questo articolo, pubblicata sul n. 6/2015 di Riabilitazione Oggi, abbiamo descritto i mecca-nismi disfunzionali alla base della sindrome da conflitto, i test osteopatici che consentono di indirizzare verso una determinata patologia e gli esami strumentali per confermare il sospetto diagnostico e per valutare i danni istologici delle strutture anatomiche coinvolte. Proseguiamo qui la trattazione di questo argomento, ponendo l’enfasi sulle tecniche osteopatiche che consentono di trattare questo disturbo.

Disfunzione omerale e sindrome da conflitto

A cura di FRANCESCO RICCIARDIMedico Fisiatra - Esperto in Osteopatia (Bologna-Faenza-Ferrara) - Direttore Osteopathic IITM School (Bologna-Milano)www.istitutoitalianoterapiamanuale.it - [email protected]

Terapia manuale osteopatica

Non è il nostro approccio primario l’uso delle infiltra-zioni; riteniamo che siano comunque delle “aggres-sioni articolari” da usare solo quando il trattamento conservativo non abbia dato i risultati sperati. Il fine di tutte queste terapie deve essere solo quello di ridurre la sintomatologia dolorosa per iniziare il lavoro manuale.

Trattamento manuale L’approccio manuale può essere di diverso tipo: non esiste a priori una metodica migliore di un’altra, è il te-rapeuta che la rende tale.L’osteopatia cura la causa non il sintomo, mira ad in-dividuare e trattare la disfunzione articolare e mio-fasciale che è alla base del malfunzionament, per ripristinare la corretta biomeccanica, ma i suoi limiti si rendono evidenti proprio in articolazioni come la spalla, un’enartrosi dove l’equilibrio muscolare è di primaria importanza. Infatti, non basta risolvere la di-sfunzione, ma è necessario un adeguato esercizio di stabilizzazione muscolare per mantenere il risultato terapeutico raggiunto. Questo è ciò che cerchiamo di proporre con la tera-pia manuale osteopatica. ovvero l’integrazione tra le tecniche osteopatiche di correzione e le tecniche, per così dire, fisioterapiche di esercizio equilibrante. L’osteopatia ha avuto il grande merito di analizzare il corpo nella sua globalità, ma non è questa una sua prerogativa esclusiva. Anche lo studio delle catene muscolari ci porta ad individuare le relazioni fun-zionali della spalla con il resto del corpo ed il lavoro di rieducazione posturale ne rappresenta una delle espressioni terapeutiche. Quello che invece, differenzia l’osteopatia dalla te-rapia manuale, è l’aver individuato le relazioni che i distretti articolari, come la spalla, possono avere con il sistema fasciale viscerale o craniale; a volte, infatti, un dolore alla spalla destra può essere causato da una disfunzione epato-diaframmatica. Indipendentemente dal tipo di approccio manuale, la capacità del terapeuta deve essere quella di adeguare le tecniche al paziente, in un programma progressivo, e alla fine fornire uno strumento di mantenimento senza fermarsi alla sola scomparsa del sintomo.

Tecniche di trattamentoNella prima parte dell’articolo (cfr. Riabilitazione Oggi n. 6/2015), abbiamo analizzato i test di posizione e di mobilità alla base della diagnosi di disfunzione; tutta-via, è opportuno sottolineare che la fase di valutazione

e quella di trattamento sono consecutive, ovvero nel momento in cui si trova la disfunzione si procede al trattamento. L’approccio iniziale consiste nella correzione delle li-mitazioni dei micromovimenti, attraverso un continuo ricentraggio della testa omerale all’inizio del movi-mento articolare. A tal fine, come si vede nella Figura 1, l’operatore che si trova alle spalle del paziente prende contatto con la parte anteriore della testa omerale con le dita e con il pollice stabilizza la scapola (medesima presa dell’horizontal test); chiede al soggetto di abdurre il braccio mentre esercita una spinta posteriore della testa omerale ed anteriore della scapola. L’operatore con questa presa guida il continuo centramento ome-rale impedendo il movimento di traslazione anteriore e invita il soggetto a rilassarsi quando la testa ome-rale sfugge al suo controllo. Questa è una fase molto delicata, perché è importante dare all’articolazione il corretto engramma al funzionamento proprio nella fase iniziale del movimento.In caso di testa omerale in intrarotazione, si potranno utilizzare delle varianti dove l’operatore raggiunge la barriera motrice in extrarotazione, favorendola nel movimento di abduzione. Questa manovra può esse-re effettuata sia in posizione seduta che in decubito laterale, come illustrato nella Figura 2.Sempre in fase acuta, un’altra manovra utile è quella in cui l’operatore attua un movimento di decoapta-zione spingendo l’estremo distale dell’omero verso il basso e in direzione anteriore; poi invita il paziente ad un movimento di estensione contro resistenza, allo scopo di favorire l‘abbassamento e la retroposizione della testa omerale (Fig. 3).È sorprendente rilevare, a volte, come la correzione di questi micromovimenti determini un miglioramen-to del macromovimento di abduzione, perché spesso è proprio la posizione di partenza che condiziona il conflitto ed è quindi il dolore che limita il movimen-to. Successivamente, si prosegue con tecniche più aggressive che hanno l’obiettivo di favorire il corretto riposizionamento della testa omerale. Come riferito nella prima parte dell’articolo, la disfunzione osteo-patica più frequente è data dalla testa omerale ante-riore e superiore. Pertanto con il paziente in posizione supina si procede con un manovra “a manovella“, in cui si susseguono i movimenti di trazione e flessione, mentre con la mano cefalica l’operatore facilita la re-troposizione (Fig. 4). Quindi si passa a tecniche miotensive di correzione, che spesso vengono utilizzate solo con l’azione mu-scolare; noi riteniamo, e questo vale per tutti i distret-ti corporei, che sia necessario associarle sempre alla correzione articolare.Nel caso di correzione della disfunzione omerale an-teriore si procede come descritto in Figura 5.L’operatore esercita un’azione di decoaptazione della testa omerale con il soggetto a gomito esteso; quindi con la mano cefalica spinge la testa omerale in poste-riorità; a questo punto porta il gomito in flessione e in-vita il paziente a spingere l’avambraccio verso l’ester-no. La fase di contrazione dura 5-7 secondi e poi, nella fase di rilassamento, si ricerca una nuova barriera motrice. Tale manovra viene ripetuta per 3-4 volte.La contrazione dei muscoli extrarotatori (correttori di disfunzione) favorisce la retroposizione della testa omerale. A questo punto si continua con l’allunga-mento dei muscoli fissatori di lesione, ovvero gli in-trarotatori (Fig. 6).

Terapia fisicaL’approccio terapeutico deve necessariamente tener conto della fase clinica in cui il paziente si reca alla nostra osservazione. A volte si osserva, in fase acu-ta, una diffusa dolorabilità alla spalla ed una grave difficoltà a compiere tutti i movimenti; in altri casi, invece, il dolore si manifesta classicamente al di so-pra dei 90° di abduzione, nella posizione di maggiore conflitto sottoacromiale. Per questo è indispensabile avere strumenti terapeutici adeguati alla fase clinica. La terapia fisica risulta molto utile in quelle situazioni in cui la sintomatologia dolorosa rende impossibile la terapia manuale La diatermia rappresenta un valido strumento tera-peutico per ridurre la fase dolorosa, avendo un’azio-ne sul connettivo. È una metodica che si integra molto bene con la terapia manuale in genere però, essendo oggi di larga diffusione, riteniamo che non tutte le apparecchiature producano gli stessi risultati. Altro punto su cui dissentiamo, rispetto alle indicazioni di molti rappresentanti, è la frequenza di trattamento che, a nostro avviso, solo raramente deve superare le due sedute settimanali. Il laser può essere efficace, purchè sia ad alta potenza e focalizzato su precisi punti dolorosi: occorre quindi abilità manuale nella loro identificazione. Anche le onde d’urto vengono a volte utilizzate, soprat-tutto quando la sindrome di impingement è associata a calcificazione del tendine del sovraspinoso. Riteniamo il suo uso metodologicamente non corretto poiché, se l’obiettivo è “sciogliere” le calcificazioni come spesso si sente dire, è opportuno ricordare che il connettivo ha i suoi tempi e “sciogliere” può voler dire indebo-lire il tendine; se, invece, l’obiettivo è la diminuzione o la scomparsa del dolore, ci sono mezzi altrettanto efficaci e sicuramente più economici. Solo in rari casi, allo scopo di ridurre la fase dolorosa, ricorriamo a mesoterapia localizzata su alcuni punti particolari del complesso spalla con una o al massimo tre sedute.

Fig. 1 - Tecnica funzionale in abduzione.

Fig. 2 - Tecnica funzionale in extrarotazione. Fig. 3 - Tecnica funzionale in estensione. Fig. 4 - Tecnica a manovella.

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21Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggi

Fig. 5 - Tecnica miotensiva per testa omerale anteriore.

Fig. 8 - Allungamento retto femorale controlaterale.

Fig. 9 - Detensionamento della catena crociata anteriore.

Anche in questo caso è indispensabile l’azione di de-coaptazione con la mano caudale e quella di retro-posizione con la mano cefalica; varierà solo la fase finale in cui l’operatore ricerca la barriera muscolare in extrarotazione e richiede al paziente una contra-zione in intrarotazione.Si prosegue poi con la correzione della disfunzione in superiorità attraverso l’azione correttrice dei muscoli adduttori. Come si vede nella Figura 7, l’operatore fa-vorisce la decoaptazione, mentre con la mano cefalica facilita la retroposizione e l’abbassamento della testa omerale; a questo punto si raggiunge la barriera mo-trice in abduzione e si invita il paziente ad attivare i mu-scoli adduttori. Nei casi in cui la barriera in abduzione risulti molto limitata, è possibile associare tecniche di inibizione connettivali o tecniche fasciali soprattutto sulla fascia posteriore del grande pettorale e quella anteriore del piccolo pettorale (cfr. riquadro Fig. 7).Quando la limitazione articolare risulta importante, è possibile che le restrizioni connettivali rappresentino la causa di disfunzione articolare; pertanto si utilizzeranno tecniche profonde sia sulle fasce anteriori che su quelle posteriori, in modo particolare sul piccolo e grande ro-tondo, e tecniche connettivali sulla componente capsu-lare posteriore dell’articolazione spesso responsabile della “spinta” anteriore della testa omerale. Il programma terapeutico procede con il lavoro sulle catene muscolari di collegamento con il distretto sca-polo-omerale. Con il paziente in posizione prona, si porta in flessione il ginocchio opposto alla spalla in di-sfunzione, richiedendo al soggetto la contrazione degli estensori del ginocchio e flessori d’anca, per favorire in tal modo l’allungamento del muscolo retto femo-rale e ileopsoas (Fig. 8). È necessario che l’operatore ricerchi sempre nuove barriere rispettando la soglia del dolore. In caso di gravi retrazioni miofasciali, noi preferiamo utilizzare tecniche passive. Dopo aver la-vorato anche sulla catena pettoro-brachiale, si può ar-rivare a mettere in “detensionamento” tutta la catena crociata anteriore come illustrato nella Figura 9.Il lavoro in sede distale diventa indispensabile quan-do il dolore localizzato rende impossibile l’approccio manuale diretto. Nei casi, invece di diagnosi di testa omerale anteriore e con scapola bassa, proseguiamo il trattamento anche sulla catena laterale e anteriore omolaterale, poichè riteniamo che la catena statica possa essere causa di fissazione disfunzionale, inte-grandolo con tecniche sull’emidiaframma (Fig. 10) e sul muscolo succlavio.Alla fine della seduta, applichiamo un tape, con l’in-tento di dare lo stimolo posturale corretto, soprattut-to omero-scapolo-toracico (Fig. 11). Con una notevole frequenza, oltre alla retrazione di tutta la catena muscolare crociata anteriore, in que-sti pazienti si rileva un deficit del muscolo trapezio inferiore. Questo muscolo, a nostro avviso, riveste un ruolo essenziale nel movimento scapolare, aven-do un’azione eccentrica nell’attivazione della catena crociata anteriore, e concentrica nell’attivazione del-la catena di torsione posteriore. Questo compito crea spesso, come avviene in altri distretti, una “confusio-ne” funzionale che si traduce in deficit. La mancata azione di stabilizzazione della scapola provoca inevitabilmente il suo basculamento ante-ro-laterale, che porta ad un’ulteriore retrazione mio-fasciale pettorale per adattamento. Quindi preferia-mo applicare il tape solo lungo la direzione delle fibre del muscolo dalla scapola alla sede dorso-costale.Le tecniche strutturali sulla testa omerale sono, a nostro avviso, meno applicabili su un’enartrosi come la spalla, soprattutto per l’importanza dell’azione muscolare nell’equilibrio dinamico articolare. L’obiettivo del trattamento manuale è quello di favori-re il posizionamento posteriore e inferiore della testa omerale, ma correggere la disfunzione non significa mantenere il risultato terapeutico; per questo cer-chiamo di sensibilizzare il paziente sulla necessità di svolgere un programma di esercizi mirati per stabi-lizzare l’equilibrio muscolare. Gli esercizi devono mirare al riequilibrio tra la corda miofasciale anteriore in retrazione e la corda miofa-sciale posteriore in distensione eccentrica. Il programma prevede: • allungamento della catena pettoro-brachiale con

arto superiore sullo stesso piano scapolare;• allungamento dei muscoli intrarotatori;• allungamento di tutta la catena miofasciale criocia-

ta anteriore;• allungamento della capsula posteriore articolare;• rinforzo con elastici del trapezio inferiore;• rinforzo con elastici dei muscoli extrarotatori

Le modalità di esecuzione degli esercizi possono es-sere diverse, perchè ogni terapeuta può avere delle preferenze, ma è importante la fase in cui introdurli:

infatti il rinforzo posteriore deve iniziare solo dopo aver migliorato l’elasticità della corda anteriore, tranne nei casi in cui l’anteposizione scapolo-omera-le è legata ad un deficit muscolare posteriore e non alla retrazione anteriore. In ogni caso l’esercizio deve essere sempre adattato al soggetto e finalizzato all’obiettivo che il terapeuta si propone, che consiste nel mantenimento della cor-rezione della disfunzione riscontrata. Solo quando il quadro clinico si è risolto completamente, si possono consigliare esercizi globali della spalla, con l’inten-to di mantenere il giusto equilibrio funzionale, senza dimenticare che alcuni muscoli sono maggiormente sottoposti a stress anche in rapporto all’attività lavo-rativa e ricreativa svolta dal paziente.

BIBLIOGRAFIA 1. Richardson JK, Iglarsh ZA. Clinica ortopedica. Roma: Verduci editore; 1996.2. Nordin M, Frankel VH. Basic biomechanics of the musculoskeletal sy-stem. 2nd ed. Philadelphia: Lea & Febiger; 1989.3. Kapandij IA. Fisiologia articolare. Arto superiore. Maloine, Monduzzi Edi-tore; 1996.4. Gay J. Osteopatia arto superiore. Roma: Marrapese; 1989. 5. Myers TMW. Myofascial meridians for Manual and Movement Therapists. London: Churchill Livingstone; 2009. 6. Mitchell FL Jr. The muscle energy manual. East Lansing, Michigan: Met press; 1995. m

Fig. 6 - Tecnica funzionale per gli intrarotatori.

Fig. 7 - Tecnica miotensiva per la testa omerale superiore.

Fig. 10 - Trattamento dell’emidiaframma omolaterale.

Fig. 11 - Postural Tape.

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22 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

Presentiamo ai no-stri Lettori la prima parte di un articolo

sulla distorsione di caviglia e piede nello sportivo in fase acuta e, nel prossimo nu-mero, in fase di rientro agonisti-co. La riabilitazione con l’aiuto del taping kinesiologico consente di accelerare la ripresa dell’at-tività sportiva, così importante soprattutto nell’atleta profes-sionista. Vi invitiamo quindi a non perdere il prossimo numero di Riabilitazione Oggi.

La distorsione della caviglia e del piede rappresenta il trauma sportivo più diffuso (circa il 25% di tutti gli infortuni da sport) e colpisce soprattutto coloro che praticano attività di salto. Le discipline più a rischio sono: pallacanestro, calcio, pallavolo, atletica leggera, ginnastica. La fase di “atterraggio” dopo lo stacco verso l’alto è il momento di massimo rischio (soprattutto negli sport dove c’è contatto con l’avversario). Inoltre, gli arresti improvvisi su terreni veloci (co-me i campi sintetici del calcetto) e l’appoggio a terra “sconnesso” (nelle corse campestri) rappre-sentano situazioni a forte rischio. Esistono poi fattori predisponen-ti: alcuni sportivi vanno incontro più facilmente a questo tipo di trauma a causa di disfunzioni della ripartizione dell’appoggio podalico a terra (piede piatto, piede cavo, ecc.) o anche a “re-cidive” di distorsioni non curate correttamente. In fase riabilita-tiva il mancato riconoscimento della lacerazione legamentosa e un incongruo trattamento espone l’atleta alla instabilità cronica del-la caviglia, rischio molto grave per il futuro dell’atleta.

ARTROCINEMATICA DEL PIEDEIl complesso articolare del retro-piede, coadiuvato dalla rotazio-ne assiale del ginocchio, realizza un’azione biomeccanica equiva-lente ad una sola articolazione con tre gradi di libertà, che per-mette di orientare la volta plan-tare in tutte le direzioni. I tre assi principali di questo complesso articolare si incontra-no approssimativamente a livello del retropiede. Quando il piede è in posizione “neutra”(cioè quan-do il piano della pianta del pie-de è perpendicolare all’asse della gamba) i tre assi di movimento sono perpendicolari fra loro:• l’asse trasversale passa per i

due malleoli e corrisponde all’asse della tibio-tarsica; è compreso nel piano frontale e condiziona i movimenti di fles-so-estensione del piede, che si effettuano sul piano sagittale.

• l’asse longitudinale della

gamba è verticale e condiziona i movimenti di adduzione-ab-duzione del piede, che si ef-fettuano sul piano trasversale; questi movimenti sono possi-bili grazie alla rotazione assiale del ginocchio flesso;

• l’asse longitudinale del pie-de è orizzontale e contenuto in un piano sagittale; questo asse condiziona l’orientamen-to della pianta del piede per-mettendole di “orientarsi”: in basso, in fuori o in dentro; tali movimenti vengono rispettiva-mente definiti di pronazione e supinazione.

MECCANISMI PATOGENETICI DELLE DISTORSIONI TIBIO-TARSICHEI meccanismi traumatici della distorsione sono principalmente due: • distorsione in inversione,

evento traumatico determina-to dalla supinazione del piede, prevalentemente in associazio-ne a flessione plantare; genera uno stress laterale con interes-samento del legamento pero-neo-astragalico anteriore (PAA) e la conseguente comparsa del cassetto anteriore. Quando la distorsione è grave può interes-sare anche il peroneo-calcanea-re e, in rare circostanze, anche il legamento peroneo-astraga-lico posteriore (PAP). Se il mo-vimento distorsivo è associato invece alla dorsi-flessione può ledere dapprima il legamento peroneo-calcaneare (PC) e poi il peroneo-astragalico anteriore;

• distorsione in eversione , quando la forza lesiva, spesso generata da un trauma diretto, è determinata dalla pronazione del piede, e viene interessato il legamento deltoideo.

TEST DI STABILITÀ Per effettuare un esame funzio-nale accurato è sempre necessario valutare sia la zona centrale del dolore, ma anche altre strutture che possono essere identificate come la causa della sintomato-logia avvertita dal paziente (dia-gnosi differenziata). Per individuare segni di instabi-lità articolare vengono di solito utilizzati il test del cassetto an-teriore e il test di inclinazione dell’astragalo.È importante confrontare sem-pre la caviglia traumatizzata con quella controlaterale, perché alcuni pazienti sono per costitu-zione “iperflessibili” (lassità lega-mentosa costituzionale) e questo potrebbe portare a un test falsato.La letteratura attuale sostiene, come metodo preferito di trat-tamento per le distorsioni della caviglia, la riabilitazione funzio-nale la quale permette, rispetto all’immobilizzazione con gesso, un più precoce ritorno al lavoro e all’attività sportiva senza de-terminare un tasso più alto di sintomi tardivi (instabilità di ca-viglia, dolore, rigidità e ipostenia muscolare).

PROTOCOLLO DISTORSIONE TT

Fase acuta (caratterizzata da sintomatologia algica, segni infiammatori e insufficienza funzionale)Protocollo PRICE (Protection Rest Ice Compression Elevation) da attuarsi immediatamente (in campo), procedere successiva-mente a bendaggio all’alginato di calcio o ossido di zinco, con piede in posizione neutra (a martello) per evitare di stirare il LPAA (se il dolore lo permette). Fondamen-tale l’esecuzione del bendaggio che deve essere in direzione “cen-tripeta” e con moderata tensione (per prevenire eventuale com-pressione della benda da edema).Al bendaggio va abbinato sempre il ghiaccio 4-6 volte al giorno, non oltre 20 minuti onde evitare effet-ti collaterali al derma.

Dopo 48 ore potrà essere rimos-so il bendaggio all‘alginato o all’ossido di zinco, sarà valuta-ta la funzionalità ed eventual-mente verrà richiesto il parere medico.La fase acuta ha una durata che varia in base alla gravità del-la lesione, quindi è importante eventualmente eseguire, il prima possibile, esami strumentali quali radiografia ed ecografia.

Fase post acuta (caratterizzata da diminuzione della sintomatologia algica e dei segni infiammatori e inizio del ripristino funzionale)Si consentirà un cammino con carico sfiorante e con l’aiuto di stampelle; inoltre sarà confezio-nato un bendaggio elastocom-pressivo (con due sagome di gommapiuma da applicare su

entrambi i malleoli per aiutare la pompa venosa-muscolare).Dopo si prosegue con terapia strumentale, linfodrenaggio ma-nuale e taping kinesiologico in modalità drenante per rimuovere l’edema.Se è possibile, si consiglia di iniziare già in questa fase pic-coli movimenti attivi dell’arti-colazione in flesso-estensione, circonduzione e prono-supi-nazione in scarico (a limite del dolore).In seguito si cominceranno eser-cizi propriocettivi su tavoletta o altro presidio oscillante con paziente seduto, esercizi di rin-forzo isometrico ed esercizi di stretching nel ROM indolore.Questa fase è importante perché favorirà il processo “riparativo” corretto: orientamento delle fibre di collagene, che seguiranno le “linee di forza” articolare.

RiabilitazioneOggi Distorsione di caviglia

Trattamento riabilitativo della distorsione di caviglia e di piede in fase acuta, anche con taping kinesiologico Bellia Korean System

ROSARIO BELLIAPresidente dell’Associazione Italiana Taping Kinesiologico® Docente Internazionale di Taping Kinesiologico Bellia Korean System

CASO CLINICO

Tecnica n. 1BENDAGGIO DRENANTE IN FASE DI FISIOTERAPIA POST ACUTA (FIGG. 1, 2 E 3)Indicazioni - L’obiettivo primario di questo bendag-gio è favorire il drenaggio dei liquidi infiammatori e dell’eventuale ematoma, e può essere realizzato anche sotto il tutore.Sarà usato il nastro in nylon che ottimizza il drenaggio emolinfatico grazie alle caratteristiche bi-elastiche del tessuto che lo compone.

Materiale utilizzato - Nastri a ventaglio e a doppia Y. Si prende la misura direttamente sull’atleta. In questo caso serviranno tre nastri di 5 cm di larghezza, di cui due tagliati a ventaglio con 4 ali da 1,2 cm ciascuno, e uno tagliato a doppia Y con due ali da 2,5 cm cia-scuno. Un cross tape di misura grande.

Di seguito vengono riportati alcuni esempi di tecniche applicative del taping kinesiologico Bellia Korean System, indicati nelle varie fasi del programma riabilitativo e da graduare in maniera precisa in base alle caratteristiche delle lesioni, dello sport praticato e delle peculiarità principali dell’atleta, come precisato precedentemente. Queste tecniche sono tratte dai libri pubblicati in questi anni da Rosario Bellia sul taping kinesiologico in traumatologia sportiva.

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

Si realizzeranno due ventagli drenanti seguendo le direzioni di sgrondo emolinfatico e, quando sarà consentito il carico, si potrà applicare una staffa per dare stabilità al retropiede. Con la porzione del nastro tagliato a doppia Y nella parte centrale con base unica si colloca sotto il calcagno realizzando una staffa con il 50% di tensione e si fa coincidere la biforcazione delle Y con la parte inferiore dei malleoli che risulteranno scoperti; le ali saranno applicate a tensione 0% nella parte finale del nastro.

Questa staffa avrà un’azione stabilizzante dell’arti-colazione tibio-tarsica in fase riabilitativa di carico parziale; se non è consentito il carico si può evitare di applicarla.Inoltre sarà applicato un cross tape nel punto energe-tico CHENGJIN BL-56 per il riequilibrio del drenag-gio emolinfatico dell’arto inferiore.Errori da evitare - La posizione del piede durante il bendaggio deve essere di massima flessione plantare che si riesce a realizzare a limite del dolore, per avere un’azione drenante ottimale.

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23Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggi

CONCLUSIONIQuesto protocollo riabilitativo dopo distorsione TT prevede un lavoro in équipe “riabilita-tiva” con i vari professionisti: medico, fisioterapista, laurea-to in scienze motorie, masso-fisioterapista, ecc. Seguendo questo protocollo riabilitativo, in questi anni siamo riusciti a raggiungere buoni risultati e a limitare le recidive.Gli atleti riescono a raggiungere un recupero funzionale in tempi “accettabili”, tutto in relazione all’entità del danno che si è ve-rificato a livello articolare e delle strutture caspulo-legamentose.Se viene iniziato il trattamento riabilitativo tempestivamente si assisterà ad una riduzione pre-coce della sintomatologia dolo-rosa e delle reazioni infiamma-torie delle strutture coinvolte.Per raggiungere una buona sta-bilità articolare bisogna effettua-re il recupero della forza musco-lare: rinforzo dei muscoli pero-nieri, tibiali, tricipite, estensore lungo dell’alluce ed estensore lungo delle dita, muscoli flessori delle dita.

I nuovi materiali che vengono utilizzati nello “sport moderno”, come l’erba sintetica ed alcune calzature, in certi casi, sono all’o-rigine di traumi specifici, con la possibilità di incorrere anche in distorsioni della tibio-tarsica e del piede.Tutte le fasi del protocollo pre-sentato per la rieducazione in caso di distorsione della caviglia e del piede sono importanti per raggiungere un risultato ottimale. Il nostro principio guida deve es-sere: “Ogni caso è unico nella sua globalità”.

BIBLIOGRAFIA 1. Bellia R. Il taping kinesiologico nella traumatologia sportiva. manuale pratico di applicazione. Milano: Ed. Alea; 2011. 2. Bellia R. Il taping kinesiologico Meto-do Koreano. Manuale pratico di applica-zione nella traumatologia moderna. Mila-no: Ed. Alea; 2012.3. Bellia R. Il taping kinesiologico nelle disfunzioni della colonna vertebrale, ra-chialgie e postura. Manuale pratico di ap-plicazione. Milano: Ed. Alea; 2013.4. Mazzieri E. Il trattamento riabilitativo dell’instabilità cronica della caviglia: il ruolo del taping. http://www.fisiobrain.com/web/2011/instabilita-cronica-cavi-glia-taping m

CASO CLINICOTecnica n. 2BENDAGGIO DECOMPRESSIVO ARTICOLARE IN FASE DI FISIOTERAPIA (FIGG. 4, 5, 6, 7 E 8)Indicazioni - Dopo aver drenato i liquidi infiammato-ri per avere un’azione decompressiva articolare, rea-lizzeremo questo bendaggio, che può essere applicato anche sotto il tutore. Questa tecnica ha un obiettivo di normalizzazione del ROM che, dopo un trauma distorsivo, è spesso deficitario.

Materiale utilizzato - Nastro a ventaglio e a Web. Si prende la misura direttamente sull’atleta. In questo caso serviranno tre nastri di 5 cm di larghezza, di cui due tagliati a ventaglio con 4 ali da 1,2 cm ciascuno, e uno tagliato a Web. Un cross tape di misura grande.Si realizzeranno due ventagli decompressivi articolari incrociati sul “mortaio tarsale” a tensione 0%; quando sarà consentito il carico si potrà applicare una staffa per dare stabilità al retropiede. Con la porzione del nastro tagliato a doppia Y e intero nella parte centrale si colloca sotto il calcagno realizzando una staffa con il 50% di tensione e si fa coincidere il taglio a “Web” con la parte inferiore dei malleoli che risulteranno scoperti; la parte terminale della staffa sarà applicata a tensione 0%. Questa staffa avrà un’azione stabilizzante dell’arti-colazione tibio-tarsica in fase riabilitativa di carico parziale, se non è consentito il carico si può evitare di applicarla. Inoltre sarà applicato un cross tape nel punto ener-getico ZUSANLI ST-36 per il riequilibrio dell’arto inferiore.

Errori da evitare - Occorre evitare di arrivare con le code dei ventagli sotto la pianta del piede poiché l’adesività potrebbe essere messa a rischio dalla su-dorazione del piede. La posizione del piede durante il bendaggio deve essere di massima flessione plantare che si riesce a realizzare a limite del dolore, per avere un’azione decompressiva articolare ottimale

Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 7

Fig. 8

Tecnica stabilizzante.

Tecnica di Power mix: bendaggio funzionale innovativo coesivo senza colla.

Presentiamo un’anticipazione delle tecniche di cui parlere-mo nel prossimo numero di Riabilitazione Oggi.

DAI MARINES ALLA RIABILITAZIONEEkso, l’esoscheletro robotico nato per aiutare i soldatia trasportare carichi pesanti, oggi fa camminare chi ha perso l’uso delle gambe

COMUNICATO STAMPA

Oggi la riabilitazione può avvalersi di strumenti che solo fino a qualche tempo fa sembravano fan-tascienza. È il caso dell’esoscheletro robotico Ekso, il dispositivo che permette a chi ha subìto danni al sistema neuromuscolare di tornare a camminare.Ne abbiamo avuto un assaggio qualche mese fa, quando il Dipartimento di Riabilitazione dell’O-spedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Ve-rona) l’ha acquistato e ne ha dimostrato l’efficacia con l’aiuto del Primo Maresciallo della Folgore Simone Carredu, 35 anni, sulla sedia a rotelle dal 2009, quando rimase vittima di un attentato du-rante una missione in Afghanistan (nella foto). L’Ekso si applica alla riabilitazione del cammino dei pazienti affetti da emiplegia, paraplegia e te-traplegia. Tuttavia non è stato progettato per la sa-nità: nel 2005 l’azienda californiana Ekso Bionics lo produsse per aiutare i soldati a portare carichi superiori alle loro forze e a muoversi in condi-zioni ambientali estreme. Solo nel 2011 è stato introdotto in campo medico e, almeno in questo momento, è la risposta tecnologica più avanzata per quei pazienti che hanno perso totalmente o parzialmente la facoltà di deambulare a causa di lesioni midollari. La struttura è di acciaio e carbonio, pesa 20 kg, ma la totalità del carico viene trasferita a terra. È atti-vata da quattro motori elettromeccanici alimentati

da due batterie che gli danno un’autonomia di circa quattro ore. È regolabile in altezza e il peso massimo che supporta è di 100 chilogrammi. Vie-ne attivata grazie a piccoli spostamenti del corpo: 16 sensori effettuano 500 analisi al secondo per riconoscere la posizione e le intenzioni dell’utente in tempo reale, calcolando e compiendo i movi-menti corrispondenti. Con piccoli sbilanciamenti laterali del corpo, quindi, il paziente innesca un cammino del tutto simile a quello naturale.L’esoscheletro è uno strumento riabilitativo a tutti gli effetti, pertanto deve essere sempre utilizzato sotto la guida di medici e fisioterapisti specializ-zati. Rispetto ad altre apparecchiature può essere adoperato anche all’aperto, con importanti rica-dute sul piano psicologico e motivazionale. Spiega Renato Avesani, direttore del Dipartimen-to di Riabilitazione, che il suo utilizzo nella fase più precoce della riabilitazione può consentire un migliore e più veloce recupero della funzione deambulatoria in caso di lesioni incomplete.Nelle lesioni complete i vantaggi, oltre che psi-cologici, sono legati al mantenimento dell’arti-colarità e del trofismo muscolare, alla riduzione della perdita di massa ossea e della spasticità e al miglioramento delle funzioni intestinali e car-diocircolatorie.

Laura Perina

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24 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

sistema di vascolarizzazione dell’occhio o ancora i nervi dedicati alla funzione visiva, ma anche le possibili ripercussioni delle strutture che danno appoggio a quanto descritto per espletare al me-glio le loro funzioni. Se si hanno tensioni sulla fal-ce del cervelletto, il seno cavernoso drenerà male tutto il “complesso” occhio; allo stesso modo in presenza di un frontale in disfunzione il musco-lo obliquo superiore non potrà avere un appoggio trocleare corretto; stessa cosa per il mascellare superiore con il muscolo obliquo inferiore, e così via… Di conseguenza, le funzioni visive, affatican-dosi per compensare un disturbo, possono porta-re a episodi di mal di testa.Questo per rimarcare, dove necessario, che il trattamento osteopatico non può prescindere da una conoscenza globale dell’anatomia e della fi-siologia. A volte i dati da studiare possono sem-brare inutili, oltreché complicati, ma prima o poi capiterà un caso in cui mettere in pratica gli studi fatti, che serviranno a guidare il vostro intuito al centro del problema e … risolverlo. O per meglio dire: fare in modo che il pazien-te non trovi in sé alcun ostacolo lungo la via della sua autoguarigione. Questo può avvenire a livello strutturale, neurologico o viscerale: ecco perché la consapevolezza e le possibilità di intervento dell’operatore devono essere portate al massimo possibile. m

Questa condizione aveva portato degli adattamen-ti visivi (che l’ottico ha successivamente confer-mato), i quali disturbavano la visione del ragazzo e provocavano i successivi mal di testa. L’indagine manuale è consistita nell’analisi dei movimenti dell’occhio all’interno della sua cavità, riscontrando una disfunzione. Il trattamento ha previsto l’eliminazione di tale disfunzione e il con-seguente ripristino della mobilità di tutte le ossa componenti la cavità oculare (osso palatino com-preso!). Dal trattamento (Novembre 2015) ad oggi non si sono ripresentati episodi di mal di testa.Questo è stato possibile solo grazie agli studi ap-profonditi su tutto il “complesso” ottico suggeri-ti dall’Osteopatia; risulta quindi necessaria non solo la conoscenza dei muscoli oculo-motori o il

A cosa serve la conoscenza osteopatica? Spesso si scambia per una tecnica da ap-plicare o una serie di dati fini a se stessi, in realtà si tratta di applicare una molti-tudine di nozioni acquisite per trarre una diagnosi (osteopatica) precisa al fine di

applicare una tecnica in modo sicuro ed efficace! Questo è quello che mi è accaduto in studio poco tempo fa.

Trauma cranico pediatrico

ALBERTO BROCCAT.d.R.; Dottore in Fisioterapia; Osteopata D.O.

Casi clinici in Osteopatia

Giunge alla mia osservazione Luca, paziente di 7 anni con trauma cranico causato da un incidente sul pullman scolastico a Marzo 2015. Il trauma è avvenuto in regione fronto-sfenoidale sinistra; da allora il piccolo paziente ha frequenti mal di te-sta, soprattutto la mattina a scuola, anche severi, senza alcun fattore scatenante particolare. Luca porta gli occhiali da tempo, con una situazione vi-siva stabile. Già trattato da me in passato per problemi di reflusso gastro-esofageo che ad oggi non si è più ripresentato, a livello cranico Luca non presenta-va grandi problematiche date dal trauma di Mar-zo, solo lievi blocchi a livello di pterion a sinistra, trattati in V spread. Questo era il dato su cui si erano concentrati tutti gli specialisti ai quali era stato sottoposto il caso di Luca nei mesi prece-denti, mentre al mio esame manuale non risul-tava che fosse il trauma il fattore scatenante le cefalee. Ad un attento esame manuale completo del bam-bino, la lesione che più ha richiamato la mia at-tenzione è stata quella dei bulbi oculari. Emer-geva un esoftalmo (proptosi) diretto del bulbo oculare sinistro, che ritenevo fosse pertinente con gli episodi algici riportati dal paziente. Il problema derivava dal colpo di frusta subito nell’incidente, che aveva lasciato in disfunzione il bulbo oculare sinistro, mentre il bulbo destro era invariato.

CASO CLINICO

Nel 2013 ho deciso che la mia esperienza non doveva restare solo mia.Ho sentito il bisogno di condividere con gli altri il percorso che avevo affrontato per combattere l’obesità.Ed è allora che, con l’aiuto di due grandi amiche, è nata Diamole Peso Onlus, un’as-sociazione che vuole tendere la mano a tutti coloro che restano in silenzio e non trovano il coraggio di affrontare questa malattia poco rispettata e soffocata dai pre-giudizi di chi la ritiene solo una condizione causata da golosità, pigrizia e scarsa forza di volontà.Il silenzio e la vergogna per il proprio stato di salute sono i più grossi limiti alla ricerca di un aiuto: su questa esigenza si fonda il lavoro di Diamole Peso: per dare dignità all’obesità.

Il PresidenteChiara De Nardis

Diamole Peso OnlusL’Associazione Diamole Peso Onlus, costituita il 29 gennaio 2013 ed iscritta all’A-nagrafe Unica delle Onlus ai sensi dell’art. 4, comma 2 del DM 18 luglio 2003, n.266, opera nel settore dell’assistenza sociale e socio-sanitaria e si occupa di fornire supporto, aiuto e orientamento alle persone affette da obesità patologica e disturbi del comportamento alimentare e del peso.La scelta del nome ha rappresentato il primo passo importante per l’Associazio-ne che attraverso questo vuole ricordare la necessità di dare “il giusto peso”, la giusta importanza all’obesità e ai disturbi ad essa strettamente collegati. DIA-MOLE PESO ONLUS persegue i seguenti scopi: • assistenza personale e sostegno a favore di soggetti in situazioni di disagio,

affetti da obesità patologica, disturbi del comportamento alimentare e disturbi del peso;

• sostegno e orientamento alle famiglie dei suddetti soggetti; • supporto ed orientamento per chi intraprende un percorso di cura; • divulgazione e corretta informazione sull’obesità in quanto malattia cronica

multifattoriale promuovendo la cultura del diritto alla cura;

• diffusione del diritto alla diversità e difesa dai pregiudizi e da ogni forma di discriminazione;

• promozione della prevenzione rivolta in modo particolare ai bambini di età sco-lare (scuola dell’infanzia e scuola primaria).

Per il solo raggiungimento dei suddetti scopi l’Associazione è impegnata nelle seguenti attività istituzionali: • attività di supporto ai pazienti attraverso la creazione di gruppi di auto-mu-

tuo-aiuto, l’istituzione di uno sportello di ascolto e la promozione di incontri medico-paziente;

• organizzazione di convegni, corsi di formazione, incontri informativi, campagne di sensibilizzazione;

• ideazione e organizzazione di progetti di sostegno a favore delle suddette per-sone, anche promuovendo accordi o collaborazioni con altre onlus, associazio-ni o altri enti pubblici e privati che abbiano i medesimi scopi e finalità.

Nonostante l’enorme diffusione di questa malattia, in Italia, l’obesità continua a rimanere orfana di un percorso di cura istituzionalmente riconosciuto che do-vrebbe necessariamente prevedere un approccio multidisciplinare.La non ufficializzazione di uno stato di malattia rende difficoltosa la ricerca della soluzione.Chiedere aiuto diventa complicato se si pensa di non averne diritto o se non si sa di averlo. Il silenzio e la vergogna per il proprio stato di salute sono i più grossi limiti alla ricerca di un aiuto, su questa esigenza si fonda il lavoro di Diamole Peso: per dare dignità all’obesità.

ASSOCIAZIONE DIAMOLE PESO ONLUS via del Crocefisso snc (Asia 2) Borgo Santa Maria – Latinaemail: [email protected]

Associazioni utili da conoscere

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Calendario eventi in costante aggiornamento su: www.exposanita.itTra le iniziative in programma segnaliamo:

19 Maggio 2016Ore: 9:00 - 17:00 Corso REDCORD MEDICAL-NEURAC 1Organizzato da: CHINESPORT Chinesport, programma corsi per il trattamento delle patologie muscolo-sche-letriche REDCORD MEDICAL-NEURAC 1 LIVELLO. Per una moderna riabilita-zione globale in ortopedia, in neurologia, nell’età evolutiva, in geriatria, nello sport e per tutte le tecniche di rilassamento. Da esperienze cliniche e da ricer-che iniziate già all’inizio degli anni 1990, fisioterapisti e medici norvegesi hanno introdotto il concetto Redcord S-E-T Sling Exercise Therapy evolutosi successi-vamente in NEURAC NEUromuscolar ACtivation. Tale metodica consiste in un approccio attivo al trattamento riabilitativo e all’esercizio fisico, dalla valutazio-ne iniziale fino al conseguimento del miglioramento e recupero delle disfun-zioni, risultando altresì molto importante per il mantenimento delle funzioni recuperate.Ore: 14:00 - 18:00 La gestione delle malattie croniche a cura del Logopedista: il ParkinsonOrganizzato da: FLI - Federazione Logopedisti ItalianiLa recente pubblicazione delle Linee Guida per la valutazione e il trattamen-to dei disturbi cognitivi-comunicativi e deglutitori nei pazienti con Malattia di Parkinson è un ulteriore tassello a sostegno della pratica clinica, dell’efficacia riabilitativa e della professionalità del Logopedista che opera in sinergia all’in-terno di un Team, dove al centro dell’interesse di tutti vi è la Persona con i propri bisogni di Salute.Ore: 14:30 - 15:30 Disturbi dell’elaborazione sensorialeOrganizzato da: AITO - Ass. Italiana Terapisti OccupazionaliAttraverso la presentazione di casi clinici, verrà dimostrato come procedere per integrare al meglio il bambino nell’ambiente domestico, scolastico e sociale.Ore: 16:30 - 17:30 Il terapista occupazionale nell’équipe scolasticaOrganizzato da: AITO - Ass. Italiana Terapisti OccupazionaliChe apporto può dare il TO nell’inserimento del bambino a scuola? Come si integra questa figura nell’équipe e quali sono le competenze che lo rendono ne-cessario? Verranno presentate esperienze che risponderanno a questi quesiti.

20 Maggio 2016Ore: 9:00 - 13:45 Il reinserimento occupazionale dei soggetticon disabilità motoria acquisitaOrganizzato da: SIMFER - Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione Con il patrocinio di: SIMFER Nazionale,in collaborazione con: Associazione dei malati Il miglioramento delle terapie in fase acuta e la migliore organizzazione della riabilitazione hanno portato ad una sopravvivenza maggiore a malattie e traumi gravi in cui spesso sono coinvolti giovani/adulti in età lavorativa. Essi dovranno di conseguenza imparare a convivere a lungo con problemi complessi e talvolta con deficit funzionali tali da compromettere le abilità lavorative. In considerazio-ne dell’aumento di incidenza di tali patologie disabilitanti, riteniamo opportuno svolgere una giornata di formazione/informazione rivolta sia al mondo sanitario che ai cittadini per ciò che concerne le possibilità del recupero motorio e delle facilitazioni che i soggetti portatori di disabilità hanno per il reintegro lavorativo.

Ore: 9:30 - 13:30 Sport, inclusione, disabilità - esperienze a confrontoCrediti: ECM Organizzato da: ASSOCIAZIONE GLI AMICI DI LUCACon il patrocinio di: Ministero della Sanità, Regione Emilia Romagna, Azienda Usl di Bologna, in collaborazione con: Rete Italiana Città Sane, Comune di Bologna L’associazione Gli amici di Luca, con Futura ed il CSI-Centro Sportivo Italiano, è impegnata sul progetto europeo LUCAS - Links United for Coma Awakening through Sport, affrontando la tematica sportiva come elemento di riabilitazione ed inclusione sociale rivolta a persone con esiti di coma e gravi cerebrolesioni acquisite. Lo sport anche in “Costruire salute”, il piano di prevenzione della Re-gione Emilia Romagna 2015-2018, è una componente del percorso riabilitativo rivolto alle persone con esiti di coma dimesse dalla Casa dei Risvegli Luca De Nigris e si colloca tra le varie esperienze che a livello nazionale, a vario titolo, la Rete Italiana Città Sane sta censendo tra i Comuni aderenti alla rete, per ospita-re quelle più significative al convegno Sport, inclusione, disabilità. Il convegno è anche una opportunità per riflettere sui corretti stili di vita e sulla capacità dello sport di essere un elemento di coesione sociale.

21 Maggio 2016Ore: 9:00 - 10:00 Inserimento lavorativoOrganizzato da: AITO - Ass. Italiana Terapisti OccupazionaliLa statistica ci ricorda che, dopo un evento traumatico o la diagnosi di una pa-tologia, sono veramente poche le persone che riprendono il proprio lavoro o riescono a inserirsi nella realtà produttiva. Grazie all’intervento del Terapista Occupazionale, inserito in équipe, si possono evitare danni secondari o ripren-dere le mansioni precedenti con i giusti adattamenti.Ore: 9:00 - 14:00Il Podologo nel sistema di assistenza alle cronicitàOrganizzato da: AIP - Associazione Italiana PodologiIl Convegno si propone di illustrare e approfondire il ruolo del podologo nell’as-sistenza al paziente affetto da complicanza del piede diabetico e al paziente anziano. Verranno trattati i seguenti argomenti: 1. Il podologo nei percorsi tera-peutici assistenziali del piede diabetico - Le caratteristiche del piede diabetico - L’intervento podologico: dalla prevenzione alla terapia. 2. L’assistenza podolo-gica al paziente anziano - Le esperienze dell’Associazione Italiana Podologi nel contesto geriatrico - La presa in carico del paziente anziano: dall’accoglienza alla terapia. 3. La normativa professionale del podologo.Ore: 9:30 - 13:00 Casi clinici ed Evidence Based PracticeOrganizzato da: S.I.F. - Società Italiana FisioterapiaL’incontro verterà su casi clinici in ambito cardiologico e oncologico, presentati da colleghi. L’obiettivo del workshop è evidenziare i collegamenti tra i risulta-ti della ricerca e la sua applicazione durante la pratica clinica. Attraverso la presentazione di casi clinici, secondo una modalità strutturata già utilizzata in ambito didattico, si cercherà di evidenziare come si sono sviluppati gli interventi e come la letteratura biomedica possa essere utilizzata per risolvere quesiti clinici. È previsto il coinvolgimento dei partecipanti.

L’ingresso in fiera è riservato agli operatori del settore. A partire dal 5 febbraio sarà attivo nel sito www.exposanita.it l’accredito online che consente di acquistare un biglietto a costo ridotto (12,00 euro an-ziché 25,00 euro) Il ticket potrà essere stampato al termine della registra-zione e permetterà di accedere direttamente alla manifestazione evitando la coda alle casse.Il biglietto di ingresso è valido per visitare le 4 giornate di manifestazioneOrari:18-20 maggio apertura tutti i saloni dalle 9.00 alle 18.0021 maggio apertura solo saloni: Horus, 3DPrint Hub, Primo Soccorso dalle ore 9.00 alle 15.30

INFORMAZIONI UTILI

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26 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

Se, dunque, al medico non è precluso, in ragione della sua maggiore professionalità, l’espletamento di attività ausiliarie, ciò nondimeno allo stesso sono negate quelle attività che difettano di “tale carattere ed il cui svolgimento postula uno specifico diploma” e, quindi, la stessa attività di terapista della riabilita-zione.Da qui, dunque, il principio per cui non può ritener-si sufficiente la laurea in Medicina e Chirurgia per poter svolgere attività per le quali vi è una disciplina emanata a livello nazionale che regoli una specifica figura professionale ed il relativo iter formativo.È evidente, dunque, la rottura con il precedente orientamento giurisprudenziale che annoverava tra le arti ausiliarie anche quella della riabilitazione (Cassazione, sezione penale, n. 49116/2003), così legittimando lo svolgimento dell’attività riabilitativa anche da parte del medico chirurgo.Contrariamente a quanto sopra, secondo le ricorda-te sentenze del 2015, se da un lato resta prioritario il ruolo del medico (questa volta, però, individuato nel fisiatra), dall’altro viene negato a quest’ultimo (e, a maggior ragione, al medico chirurgo) l’esercizio di attività di stretta competenza del fisioterapista, il quale ultimo, a sua volta, è legittimato all’espleta-mento della propria attività solo in presenza di pre-scrizione medica da parte del medico specialista, pena, in mancanza, il configurarsi del reato d’eser-cizio abusivo della professione di cui all’art. 348 c.p.In una nuova ottica di coordinamento tra le predette figure professionali si fa strada, dunque, l’idea di una necessaria partecipazione di entrambe nella cura e nella gestione del paziente il quale, dapprima, do-vrà rivolgersi al medico (fisiatra) per poter avere da quest’ultimo la prescrizione e, solo successivamen-te, potrà recarsi dal fisioterapista per la cura della patologia, pur sempre sotto il controllo del medico specialista.

ConclusioniCosì ridefiniti dalla giurisprudenza gli ambiti di com-petenza del medico e del fisioterapista, non vi è chi non veda come le sentenze in esame, se da un lato sembrano uniformarsi al progetto portato avanti dal legislatore di riconoscere ad ogni professione sani-taria “un campo proprio di attività e di responsabilità” (art. 1, DL 42/99), dall’altro appesantiscano l’iter del-le cure costringendo il paziente a rivolgersi neces-sariamente ad entrambe le figure professionali per ottenere la cura riabilitativa.In presenza, dunque, di tali “passaggi obbligati”, non possiamo fare a meno di chiederci se questi non portino ad incrementare, anche in minima par-te, il fenomeno della c.d. “medicina difensiva” che il legislatore, in questi ultimi anni, sta tentando in tutti i modi di frenare nell’ottica di un più genera-le “riassetto dell’organizzazione sanitaria” finalizzato a “promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute” (DL 158/12 conv. in L. 198/12).Sulla base di queste premesse, dunque, dovrà es-sere letto ed interpretato lo stesso contenuto del comma 566 della Legge di Stabilità del 2015, oggi oggetto di ampia discussione, finalizzato a ridefinire le competenze per le professioni sanitarie; ridefini-zione che, conformemente a quanto affermato nel-le sentenze in esame, non potrà non prevedere un coordinamento e/o una collaborazione tra le figure professionali e ciò pur nel rispetto dell’autonomia dei rispettivi ambiti d’attività.

Note1. Così affermava la sentenza n. 49116 della Suprema Corte, sezione pe-nale: “la normativa summenzionata [DM del 3 maggio 1994 del Ministero della Salute, che in ottemperanza a quello previsto dal D.lgs. 502/1992, ha individuato la figura del fisioterapista a livello universitario ed il relativo profilo e percorso professionale] si riferisce ai non laureati e non al medico, che in quanto titolare della laurea in medicina e chirurgica è abilitato ad espli-care assistenza sanitaria in funzione di prevenzione, diagnosi e cura, di guisa che il diploma di specializzazione nella riabilitazione non può essere previsto tra i requisiti, la cui mancanza impedisca a qualsivoglia medico di esercitare la terapia della riabilitazione [...]. Il medico, come professionista [...] può esplicare la professione nei settori di diagnosi e cura, e poiché la sanità comprende le medicina preventiva, quella riabilitativa, l’igiene, la diagnostica strumentale di laboratorio, etc., in ciascuno di tali settori egli può prestare la propria opera, previo conseguimento dell’iscrizione all’albo professionale”.2. Con la sentenza n.131 del 9/01/2014, depositata il 14/02/2014, il Tar della Basilicata, sezione I, respingeva il ricorso proposto dalla Sezione Re-gionale dell’A.I.F.I. della Basilicata avverso la delibera della Giunta Regio-nale della Basilicata n. 1058 del 7/08/2012 che legittimava il fisioterapista ad erogare prestazioni al singolo paziente solo su prescrizione del fisiatra o di un medico specialista e che lo autorizzava ad utilizzare solo alcune apparecchiature elettromedicali. 3. Il Consiglio di Stato, nel richiamarsi a quanto statuito in modo puntuale dal giudice di prime cure ha ritenuto che “le disposizioni regionali in conte-stazione non si appalesano lesive delle competenze professionali del fisiotera-pista [...] posto che l’autonomia delle diverse competenze degli operatori sani-tari si inserisce necessariamente e si armonizza nel ridetto sistema normativo, volto ad assicurare la omogenea tutela della salute e l’uniformità dei livello assistenziali su tutto il territorio nazionale”.4. Secondo la Suprema Corte: “la laurea in medicina consente l’espleta-mento di attività ausiliarie ma non anche di attività, quale la terapia riabilita-tiva, che non hanno tale carattere ed il cui svolgimento postula uno specifico diploma”.

Precisamente, nel mese di febbraio, il Consiglio di Stato, nel rigettare l’appello promosso dalla sezione regionale dell’A.I.F.I. della Basilicata per la riforma della sentenza n. 131/2014 del Tar della Basilicata, sezione I2, ha ritenuto che la delibera impugnata non fosse lesiva delle competenze professionali del fisio-terapista.Richiamandosi, quindi, al precedente orientamento del Tar Sicilia-Catania (sezione II n. 238/2003) e del Tar Lazio-Roma (sezione III n. 1792/2012), il Consi-glio di Stato si è pronunciato sugli ambiti di compe-tenza del medico e del fisioterapista e, pur confer-mando la centralità della professionalità del primo all’interno del percorso/progetto terapeutico, ha ri-conosciuto l’importanza dell’attività resa dal fisiote-rapista attribuendo a quest’ultimo un proprio ambito operativo3.Viene, dunque, dato rilevo all’“autonomia delle diver-se competenze degli operatori sanitari” la quale “si in-serisce necessariamente e si armonizza” nel sistema normativo vigente al fine del raggiungimento dell’in-teresse primario rappresentato dall’“assicurare la omogenea tutela della salute e l’uniformità dei livelli assistenziali su tutto il territorio nazionale”.Se, dunque, il fine ultimo è la tutela della “collettivi-tà contro il rischio di un non appropriato trattamento sanitario”, pare indispensabile il mantenimento e la conservazione, per ciascuna figura professionale, di una propria e specifica autonomia che, quanto al fi-sioterapista, si concretizzerebbe in un’attività “valu-tativa e diagnostica” da svolgere nell’ambito di un più ampio progetto riabilitativo individuato dallo stesso medico, questa volta, però, identificato nel fisiatra.A giudizio del Consiglio di Stato, in buona sostanza, le due figure professionali troverebbero autonomo spazio all’interno del progetto riabilitativo, rispet-to al quale andrebbero a completarsi a vicenda in un’ottica di omogenea tutela della salute.Si parla, dunque, per la prima volta, di un proget-to riabilitativo a tutto campo che – muovendo dal-la prescrizione del medico specialista (ovvero del fisiatra) “quale coordinatore dell’équipe riabilitativa” e “responsabile della predisposizione delle attività te-rapeutiche” e, quindi, dello stesso progetto, il quale coinvolgerà successivamente il fisioterapista i cui programmi riabilitativi (anch’essi elaborati dall’éq-uipe, sempre sotto la guida del medico unitamente all’ausilio di altri operatori) – andranno a costituire “ulteriori specificazioni del progetto”.Al fisioterapista, dunque, il compito di svolgere, nell’ambito del progetto di cui sopra, attività “valuta-tiva e diagnostica” (seppur sempre sotto la guida e le prescrizioni mediche del fisiatra) finalizzata a realiz-zare, in termini esecutivi, il programma riabilitativo già definito “a monte” nel progetto.Fermo restando il ruolo di maggior rilevo del medico (questa volta specialista) nello svolgimento dell’atti-vità riabilitativa (al quale compete, si ripete, la defi-nizione del progetto e dei relativi programmi), viene, comunque, dato rilevo alla figura del fisioterapista, la cui attività dovrà necessariamente concorrere all’elaborazione del programma. Nel quadro così disegnato, va ad inserirsi, in modo complementare, la successiva pronuncia della Corte di Cassazione, sezione civile (sentenza n. 5080 del 13.3.2015) che, chiamata a statuire sulla legittimità o meno del licenziamento di un esercente la profes-sione sanitaria in possesso di una laurea in Medicina acquisita nel corso del rapporto di lavoro di fisiote-rapista, ha rigettato il ricorso promosso dal medico affermando la preclusione per quest’ultimo all’eser-cizio della professione di fisioterapista.La Suprema Corte, sezione civile, dunque, contraria-mente a quanto affermato dalla sezione penale con la sentenza n. 49116/2003, pur riconoscendo che “la laurea in medicina consente [al medico] l’espletamen-to di attività ausiliarie”, ritiene che il suo esercizio debba essere impedito laddove l’attività risulti priva di tale carattere (ausiliarietà) e necessiti, per il suo svolgimento, di uno specifico diploma4. Viene escluso, dunque, secondo la Suprema Corte, che l’attività di fisioterapista possa rientrare tra le “attività ausiliarie” in ragione della sua regolamen-tazione che prevede non solo la programmazione di uno specifico corso d’insegnamento, ma anche il conseguimento del relativo diploma.

Nota alle sentenze del Consiglio di Stato, sezione III, n. 752/2015 e della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 5080/2015

PremessaPer gli esercenti l’attività riabilitativa si chiude un anno certamente importante in quanto caratterizza-to, nei suoi primi mesi, dall’emanazione di due sen-tenze rese da due diverse autorità giudicanti (Con-siglio di Stato e Suprema Corte di Cassazione) che hanno nuovamente affrontato l’annosa questione del riparto delle competenze tra l’attività del medico e quella del fisioterapista, nonché dell’ingerenza del primo nell’attività del secondo, ridisegnando i con-fini ed i termini di “convivenza” tra le stesse, così come definiti fin dalla nota sentenza della Suprema Corte, sezione penale, n. 49116 del 25/11/2003.In un contesto, dunque, consolidato che elevava il medico chirurgo ad un ruolo primario ritendendolo soggetto abilitato “all’esercizio di qualsivoglia branca di detta professione”, si inseriscono le due pronunce in esame che, in modo diverso ma complementare, vanno a modificare gli ambiti professionali delle fi-gure legittimate allo svolgimento dell’attività riabili-tativa, così segnando un punto di rottura e di novità rispetto al passato.

Sentenza della Corte di Cassazione, sezione penale, n. 49116/2003Al fine di chiarire meglio l’aspetto innovativo delle due sentenze di seguito in esame, riteniamo oppor-tuno ricordare come, secondo la sopra richiamata pronuncia della Suprema Corte, sezione penale, il medico chirurgo, una volta conseguita la laurea in Medicina e Chirurgia e regolarmente iscritto all’al-bo, poteva, ed era legittimato “ad esplicare la profes-sione nei settori di diagnosi e cura”, ivi compresi quelli della medicina preventiva, riabilitativa, dell’igiene e della diagnostica di laboratorio e, dunque, a svol-gere la propria attività non solo con riferimento alle professioni sanitarie “principali” (salvo il caso delle specializzazioni mediche dell’odontoiatra, del me-dico radiologo e dell’anestesista relativamente alle quali era necessario il conseguimento del titolo di specialista), ma anche a quelle “ausiliarie” esercita-te da infermieri, da assistenti sanitari, da ostetriche e da fisioterapisti, non essendo per lo stesso medi-co necessario, in relazione a queste ultime attività, il conseguimento di alcun diploma in ragione della completezza della propria preparazione1.Si affermava, dunque, l’idea di una sorta di abilita-zione “di diritto” del medico (genericamente indicato dalla Suprema Corte come “chirurgo”) all’esercizio di tutte le professioni sanitarie, invece precluse a chi, non medico, non era in possesso del relativo di-ploma; ciò, dunque, ad avallare (salvo per quanto ri-guarda le eccezioni relative alle specializzazioni me-diche sopra ricordate) il ruolo dominante e superiore della professionalità del medico chirurgo.Da qui l’inevitabile conclusione, che “nulla può im-pedire che un medico chirurgo, abilitato all’esercizio della professione, svolga attività, esclusiva o connessa, di fisioterapia, non essendo previsto da alcuna legge dello Stato (così come per i radiologi, gli anestesisti e gli odontoiatri), che per i medici iscritti all’albo profes-sionale sia necessario ulteriore diploma o specializza-zione per l’esercizio di tale specialità”.

Le sentenze in esamePremesso il contesto che, prima del 2015, regolava gli ambiti delle professioni sanitarie “principali” ed “ausiliarie” (annoverandosi chiaramente, in queste ultime, anche quella della riabilitazione in ragione della riforma sanitaria conseguente all’entrata in vigore del D.Lgs n. 502 del 30/12/92), pare eviden-te il cambiamento segnato dalle due sentenze in commento laddove, pur non negando la superiorità della figura del medico, ridefiniscono i diversi ambi-ti di competenza degli operatori sanitari sancendo, comunque, la loro reciproca autonomia e necessaria convivenza all’interno di un più ampio progetto ria-bilitativo.

Ridefiniti i termini di “convivenza” tra l’attività del medico e quella del fisioterapista

a cura di ANNA BOGLIOLO Studio Legale Astolfi e Associati, Milano

A norma di legge... q

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27Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggi

È stata recepita il 18/01/2016 la direttiva 2013/55/UE (recante modifiche alla direttiva 2005/36/CE per il riconoscimento delle qualifiche professionali e del regolamento (UE) n. 104/2012 relativo alla co-operazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno) finalizzata a “raf-forzare il mercato interno e a promuovere la libera cir-colazione dei professionisti, garantendo altresì un più efficiente e trasparente riconoscimento delle qualifiche professionali”.La novità di maggior rilievo prevista nel decreto di recepimento riguarda l’istituzione della c.d. tessera professionale europea (EPC), il cui obiettivo è quello di “semplificare il processo di riconoscimento e di in-trodurre l’efficienza economica e operativa a vantaggio dei professionisti e delle autorità competenti”. Si trat-ta, in buona sostanza, di una procedura elettronica che semplifica il riconoscimento delle qualifiche professionali tra i paesi dell’Unione Europea (UE) al fine di consentire al professionista l’esercizio della propria professione oltre i confini nazionali. La tessera, che presenta la forma di un certificato elettronico, viene rilasciata al professionista una volta verificato il superamento delle procedure di ri-conoscimento delle qualifiche professionali nel pae-se ospitante; riconoscimento che avviene attraverso l’IMI, ovvero il sistema di informazione del mercato interno, istituito per una più agevole comunicazione tra le diverse autorità nazionali.

Attualmente potranno richiedere la tessera solo al-cuni professionisti che presentano una elevata mo-bilità e che figurano tra quelli che hanno, da subito, manifestato il maggior interesse, mentre gli altri professionisti dovranno ancora ricorrere alle classi-che, e più lente, procedure di riconoscimento delle loro qualifiche.Nello specifico, potranno richiedere la EPC gli infer-mieri, i farmacisti, i fisioterapisti, le guide alpine e gli agenti immobiliari seguendo l’apposita procedura on line, previa registrazione al sito (http://ec.europa.eu/internal_market/imi-net/index-en.htm). Una vol-ta compilata telematicamente la relativa domanda (inserendo la professione, il paese di stabilimento del professionista, il diploma di formazione, l’espe-rienza lavorativa, il paese in cui si desidera lavorare ecc.) ed allegata la necessaria documentazione, la richiesta verrà inviata e bisognerà attendere l’esito dell’esame della domanda, nella quale dovrà altresì essere specificato se la prestazione professionale in altro paese verrà esercitata in modo temporaneo e occasionale oppure in modo stabile.A seguito dell’invio della domanda, le autorità pre-poste al suo esame (il paese di origine e quello ospi-tante) hanno una settimana per verificare la richie-sta ed eventualmente chiedere l’integrazione della documentazione mancante.In base alla tipologia d’esercizio della professione indicata (in via temporanea o stabilmente), le auto-

rità dispongono, rispettivamente, di 3 settimane e di 3 mesi per valutare al domanda, salvo il caso in cui la professione esercitata in modo temporaneo abbia un impatto serio sulla salute o sulla sicurezza dei clienti o dei pazienti, ciò determinando un aumento previsto di 3 mesi per il suo esame.In mancanza di decisione definitiva da parte delle autorità preposte entro il termine sopra detto, l’EPC verrà automaticamente rilasciata. Nel caso, invece, di rigetto della domanda, le autori-tà sono tenute a motivare la loro decisone, così che il professionista possa presentare ricorso. Il rilascio stesso dell’EPC prova l’avvenuto successo della procedura di riconoscimento. La sua validità è a tempo indeterminato nel caso di richiesta che pre-veda un esercizio di attività stabile, mentre sarà di 18 mesi per le prestazioni a carattere temporaneo.Il decreto prevede, infine, un meccanismo di allerta che non esclude l’eventualità che, una volta ottenuto il riconoscimento delle proprie qualifiche, prima di iniziare a lavorare, il professionista si debba iscrivere ad Organismi professionali e Collegi, i quali dovran-no informare le autorità competenti dell’esistenza di provvedimenti che vietano o limitano l’esercizio della professione (quali per esempio particolari co-noscenze linguistiche o l’adempimento ad ulteriori e più specifici requisiti).Così riassunta la procedura per il rilascio della tes-sera professionale, pare evidente come l’istituzione del sistema di informazione del mercato interno (IMI) consenta indubbiamente agli stati un più facile e veloce riconoscimento delle qualifiche professio-nali, così da agevolare i professionisti nell’accesso all’esercizio della professione oltre i confini nazio-nali. m

A cura di SARA PATUZZO, PhDProfessore a contratto in Bioetica, Deontologia medica, Logica e Filosofia della ScienzaUniversità degli Studi di [email protected]

L’obiezione di coscienza, come regolamentata dalla Legge italiana, individua la possibilità per il medico di non prestare la propria attività professionale in tre casi specifici: • interruzione volontaria di gravidanza (Legge

194/1978);• sperimentazione animale (Legge 413/1993);• fecondazione medicalmente assistita (Legge

40/2004).

La clausola di coscienza, invece, è prevista dal Co-dice di Deontologia Medica a partire dall’edizione del 1978 ed è oggi chiamata “Rifiuto di prestazione professionale” (Codice di Deontologia Medica 2014, art. 22). Questa intende estendere l’opportunità per il medico, già individuata dal Legislatore nei tre casi citati, a qualsiasi altro contesto che entri in conflitto con i convincimenti clinici o anche solo squisitamen-te etici del sanitario.Tuttavia, sia sull’obiezione di coscienza che sulla clausola di coscienza esiste un dibattito che tutt’oggi anima la riflessione in tema di etica medica e che vale la pena ricordare per sommi capi.

OBIEZIONE DI COSCIENZAChi sposa l’obiezione di coscienza condivide l’esi-stenza e la tutela di un diritto per il medico, ricono-sciuto sul piano giuridico entro il quadro legislativo nazionale. Sotto il profilo bioetico, tale diritto (in par-ticolare per quanto riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza e la fecondazione medicalmente assi-stita) si incardinerebbe nella cosiddetta “etica della sacralità della vita”. Questo paradigma definisce la vita come un dono di Dio e come tale inviolabile e indisponibile. Sono ammessi interventi solo se fina-lizzati a sostenere i due principali finalismi del cor-po umano: l’autoconservazione e la riproduzione. In quest’ultimo caso, tuttavia, il divieto di fecondazione medicalmente assistita si ricava dal diritto alla vita degli embrioni, i quali devono essere trattati “come fossero persone”, e che invece verrebbero strumen-talizzati e sprecati nel corso della pratica medica

Obiezione e clausola di coscienza. Gli argomenti del dibattito

Medical Humanities

della fecondazione assistita in numero maggiore rispetto a quanto avviene con la fecondazione natu-rale. Chi sostiene le ragioni del paradigma etico del-la sacralità della vita ha buone ragioni logiche per sostenere anche l’obiezione di coscienza: i medici che aderiscono al paradigma sopradescritto avver-tono come moralmente inaccettabile manipolare la vita umana dell’embrione, in qualsiasi fase biologi-ca esso si trovi. Inoltre, si evidenzia il fatto che sia nell’etica medica che nella deontologia medica l’o-biezione di coscienza ha radici molto antiche. Possia-mo trovarne riferimento già a partire dal Giuramento di Ippocrate, passando per i successivi documenti di carattere deontologico (Galatei e Codici di Deontolo-gia Medica). Ciò porta a pensare che, se l’obiezione di coscienza ha resistito per secoli e secoli, essa si deve qualificare come un principio etico storicamen-te radicato e condiviso dalla categoria professionale medica nonostante l’avvicendarsi delle diverse epo-che storiche. Coloro che criticano l’obiezione di coscienza sosten-gono che chi decide liberamente di intraprendere la professione medica dovrebbe anzitutto essere consapevole dei servizi che dovrà poi effettuare, so-prattutto se opera all’interno di un contesto sanitario pubblico. Non dovrebbero quindi essere concesse “deroghe” alle mansioni, in quanto già in partenza accettate dalla persona che opta per la carriera me-dica. Questo sarebbe senz’altro evidente nel caso dei medici ginecologi i quali, pur avendo scelto tale spe-cializzazione, si appellano all’obiezione di coscienza per non realizzare interventi abortivi che tuttavia rappresentano una parte importante (diffusa) del-la propria attività. E, in effetti, la ragione che negli anni Settanta aveva spinto il Legislatore a riconosce-re l’articolo sull’obiezione di coscienza in materia di aborto procurato all’interno della legge che ne lega-lizzava la pratica, intendeva appunto tutelare quella generazione di medici che aveva scelto la propria professione, che si era laureata e poi cominciato a operare quando ancora l’aborto procurato costituiva un reato penale.

CLAUSOLA DI COSCIENZASecondo i sostenitori della clausola di coscienza, il medico deterrebbe il diritto non solo alla propria indipendenza professionale (non subire pressioni, condizionamenti, ecc.), ma anche alla propria auto-nomia: il medico dovrebbe poter decidere se e quan-do è opportuno intervenire sulla base di un guidizio tecnico-professionale, ma anche solo di una valuta-zione morale del tutto soggettiva che trova sede nel-la coscienza individuale del professionista. Infatti, quello del medico non sarebbe un “mestiere” come tutti gli altri, bensì un’opera “speciale” ovvero “sen-sibile”, avendo a che fare con la vita e la morte, la salute, la malattia e il dolore delle persone. La clau-sola di coscienza aiuterebbe il medico nelle difficoltà etiche che potrebbe incontrare nel suo lavoro, per-mettendogli di rinunciare a una determinata attività ma non al suo lavoro per intero.Chi invece obietta all’art. 22 del Codice di Deontolo-gia Medica stressa proprio il fatto che il medico che si appella alla clausola di coscienza potrebbe in linea di principio rinunciare a qualsiasi intervento, dato il caratte soggettivo del criterio discrezionale di sele-zione: il proprio “sentire etico”. In altri termini, un medico potrebbe rifiutarsi di fare una fasciatura af-fermando che essa si scontra con la propria perso-nale visione del mondo.Nonostante tali eventualità non si verifichino mol-to spesso, è evidente come esse siano comunque ammesse sul piano della disciplina deontologica, in quanto del tutto rimessa alla coscienza del singolo operatore. L’idea è che la clausola di coscienza non sarebbe quindi che un espediente finalizzato a rein-trodurre il modello del “paternalismo medico” che, oltre al privilegio informativo, garantiva al medico il privilegio terapeutico. m

Più facile l’esercizio della professione oltre i confini nazionali: entra in vigore per i fisioterapisti la Tessera Professionale Europea (EPC)

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28 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

Il runner può andare incontro a problemi dovuti a movimenti errati ripetuti: saperli individuare e trattare non è semplice, perché la corsa è veloce, non lascia spazio a osservazioni prolungate del soggetto, della sua falcata, delle sue spalle, di come appoggia il piede eccetera. Ecco allora che l’esperienza del fisioterapista diventa fon-damentale per risolvere un disturbo derivante dalla corsa. Davide Nappo, curatore di questa nuova rubrica, è da sempre interessato all’analisi del movimento, specie con applicazioni alla performance e alla tecnica dei vari sport. Esperto in diagnosi e trattamento delle sindromi da disfunzione del movimento (secondo Sahrmann), mobilizzazioni e manipolazioni articolari secondo Maitland, neurodinamica, rieducazione propriocettiva, Davide Nappo nei prossimi numeri della rivista entrerà più nel dettaglio di alcuni aspetti che possono essere utili per meglio comprendere lo sviluppo del ragionamento clinico in quest’ambito specifico della riabilitazione sportiva.

Proposta di un modello funzionale e di una valutazione sistematica del gesto della corsa

prima il tallone e poi il resto del piede) rispetto a quello di un forefoot striker (corridore che appoggia prima l’avampiede) sappiamo che il primo ha un’atti-vità aumentata del 43% nel comparto anteriore della gamba, mentre l’altro del 45% nel comparto poste-riore [3].Come fisioterapisti, professionisti esperti del movi-mento, quindi, dobbiamo essere in grado di valutare se lo schema motorio della corsa di un soggetto sia rispettoso del corretto funzionamento di tutti i com-ponenti del suo sistema motorio. Per fare questo dobbiamo conoscere lo standard kinesiologico della corsa e sapere quali pattern motori deve effettiva-mente utilizzare un soggetto per correre. Possiamo affermare che nella corsa vi sono due obiettivi fon-damentali:• muovere gli arti inferiori in modo da produrre

potenza sufficiente a spostare il proprio corpo in avanti in modo continuativo ad una velocità supe-riore a quella del cammino;

• ammortizzare gli impatti dovuti agli spostamen-ti verticali dal baricentro, dato che l’attrito rende molto svantaggioso strisciare i nostri piedi sulla superficie d’appoggio.

Per assolvere il primo scopo nella corsa si utilizzano questi tre pattern di movimento fondamentali:• la caduta del baricentro oltre la base d’appoggio

(dal midstance al terminal stance);• lo swing in avanti dell’arto al termine dell’appog-

gio;• la trazione del baricentro sulla base d’appoggio

(dall’early stance al midstance).

Definire i parametri che descrivono queste funzio-ni motorie fondamentali può aiutarci a stabilire se il soggetto stia correndo bene o male, o meglio, in modo adeguato e coerente al contesto. Certo, per-ché correre in salita o in discesa, piuttosto che lenta-mente o per una gara di 100 m, richiede adattamenti diversi, che saranno poi ancora differenti a seconda delle proporzioni corporee del soggetto e delle sue caratteristiche fisiche. Come sappiamo che esistono diversi modi per pie-garsi e raccogliere un oggetto e che schemi differen-ti sono più o meno indicati in caso di varie problema-tiche, possiamo pensare di ottimizzare la corsa di un paziente per un determinato scopo terapeutico. Non è dimostrato un rapporto di causalità tra schema del passo di corsa e incidenza d’infortuni, ma diversi studi hanno verificato che esercizi specifici possono migliorare l’allineamamento e la sintomatolgia di soggetti che soffrono di dolore anteriore al ginocchio [4-5], che aumentare la cadenza riduce le forze di reazione al suolo [7-8], che un feedback adeguato vi-sivo o verbale può aiutare a correggere il gesto della corsa, per ridurre la sintomatologia associata ad una certa problematica [10].Come si può procedere, quindi, quando un paziente viene da noi per una problematica che capiamo es-sere connessa alla corsa?Il suggerimento è quello di effettuare inizialmente la valutazione standard che ogni professionista at-tuerebbe secondo il proprio bagaglio di competenze: la sola osservazione della corsa potrebbe indurci a focalizzarci su aspetti non rilevanti per il problema del paziente. Terminato l’esame, la valutazione della corsa secondo modalità standardizzate può ulterior-mente completare il nostro quadro, a patto di sapere cosa valutare e come. Il fattore chiave per giungere a

Tab. 1 - VALUTAZIONE SPECIFICA DEI PATTERN MOTORI DELLA CORSA

1. Caduta del baricentro oltre la base d’appoggio (dal midstance al Toe off)a. Posizione del tronco vicina alla verticale b. Posizione del ginocchio al Toe offc. ROM d’estensione dell’anca al termine dello stance -

rotazione del bacinod. Deviazione dell’asse ideale dell’arto inferiore e del

tronco sul piano frontale e. Performance dei muscoli glutei e degli addominali

inferiorif. Controllo dell’equilibrio in monopodalico e nello

squat monopodalico2. Swing in avanti dell’arto al termine dell’appoggio (swing)a. Corretta coordinazione tra flessione dell’anca e del

ginocchio; all’inizio dello swing il ginocchio compie la maggior parte dell’escursione di movimento, poi l’anca completa la flessione e solo alla fine il ginocchio torna ad estendersi per preparare il contatto con il terreno

b. Posizione del tronco c. Rapporto tra gradi di flessione del ginocchio e

dell’anca di circa 2:1d. Minime rotazioni del bacinoe. Performance dei muscoli flessori di anca e ginocchiof. Controllo delle rotazioni del tronco e del bacinog. Allineamento durante l’esecuzione dell’affondoh. Schema di movimento dello squat completo3. Trazione del baricentro sulla base d’appoggio (dall’early stance al midstance)a. Appoggio vicino alla proiezione a terra del baricentrob. Posizione della tibia al contatto con il terrenoc. Gradi e movimento di flessione del ginocchio al

contatto con il terreno d. Accelerazione antero-posteriore del piede al contatto

con il terreno e. Performance degli estensori del tronco e degli

estensori d’ancaf. Distribuzione del carico durante l’esecuzione

dell’affondo4. Ammortizzamentoa. Appoggio vicino alla proiezione a terra del baricentrob. Ginocchio che va verso la flessione al contatto con il

terrenoc. Esecuzione del ½ squat bi e monopodalicod. Allineamento del tronco e della catena cinetica

dell’arto inferiore durante i saltelli.e. Cocontrazione limitata dei muscoli della coscia e

tempi di contatto rapidi - azione elastica

DAVIDE NAPPOFisioterapista esperto in Biomeccanica. Specializzato in Disfunzioni del sistema di movimento e Terapia manualeDocente di Condizionamento muscolare, CdL Fisioterapia, Università Bicocca di Milano - www.erunning.it

(RI)abilitare la corsa

Runner e praticanti di numerosi sport di squadra hanno in comune la necessità di spostarsi veloce-mente come fondamento della loro performance. Saper analizzare e valutare il gesto della corsa può essere, in alcuni casi, decisivo per risolvere la pro-blematica di un paziente sportivo. Capita che i pa-zienti ci riferiscano che i loro sintomi si manifestano solamente in caso di attività ricreative o agonistiche che comportano un carico superiore a quello delle attività della vita quotidiana. In alcuni casi si tratta di una specifica incapacità di tollerare il carico [1], fattore sempre più diffuso a causa della sedenta-rietà che contraddistingue la quotidianità di molte persone. Come sottolinea Irene Davis, Docente alla Harvard Medical School e Direttrice dello Spaulding National Running Center: «Molti di noi sono fisica-mente incapaci di eseguire il passo della corsa cor-rettamente. Le persone non stanno vivendo la vita per la quale il nostro corpo si è evoluto».Oltre a quest’aspetto, è importante saper valutare l’adeguatezza e la correttezza del gesto della corsa in rapporto agli obiettivi di ogni singolo soggetto: per alcuni pazienti il modo in cui eseguono il gesto può modificare notevolmente la sollecitazione richiesta alle diverse strutture del sistema motorio e quindi aumentare o diminuire la richiesta funzionale locale alleviando o aggravando una sindrome da sovracca-rico. Nell’ammortizzazione degli impatti, per esem-pio, uno studio ha dimostrato che variando lo sche-ma di corsa dei soggetti è possibile ridurre del 50% il carico sul ginocchio, aumentando al contempo la ri-chiesta funzionale della caviglia [2]. Se compariamo l’appoggio di un heel striker (corridore che appoggia

una corretta diagnosi funzionale sarà la coerenza del ragionamento clinico tra l’esame fisico, l’osservazio-ne della corsa e di altri movimenti fondamentali in rapporto alla tipologia e all’andamento dei sintomi. Per ogni pattern funzionale della corsa che abbiamo definito in precedenza, ciò che vediamo in termini ROM, velocità e qualità del movimento della corsa dei nostri pazienti può darci informazioni utili a ca-pire se una determinata funzione è eseguita in modo corretto.Per esempio, la posizione verticale della tibia al contatto del terreno è un requisito importante per-ché sia l’ammortizzazione che la trazione vengano eseguite in modo ottimale con una corretta balance nell’attività dei muscoli anteriori e posteriori dell’ar-to inferiore [11]. Allo stesso modo la posizione di non completa estensione del ginocchio al distacco del piede è indice di una corretta fase di caduta senza un’eccessiva push-off dei muscoli plantiflessori della caviglia, che potrebbe determinare un sovraccarico del tendine d’Achille [11-12].Per esaminare la corsa possiamo sia far correre il paziente su un tapis-roulant [13] a velocità crescenti per pochi minuti, sia fargli compiere brevi tratti su un rettilineo all’aperto, con lo scopo di apprezzare va-riazioni e differenze tra le diverse andature. Comple-tano l’esame la valutazione del ½ squat, del ½ squat monopodalico, dello squat completo, dell’affondo e di saltelli monopodalici sul posto, che insieme alla corsa ci danno informazioni sugli schemi di movi-mento dominanti del soggetto e sulla performance muscolare delle catene cinetiche dell’arto inferiore. In alcuni casi può essere utile far eseguire al pazien-te anche alcune andature tipo lo “skip sotto” e una corsa balzata, per valutare anche i suoi adattamenti a richieste di potenza specifiche [11-12].Per dare un quadro completo di quali parametri da te-nere in considerazione per la valutazione specifica dei pattern motori della corsa possiamo fare riferimento allo schema che segue (Tab. 1). È importante ribadire che questi indicatori, da soli, non possono fornirci un

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quadro completo della problematica funzionale, sia per la propulsione che per l’ammortizzamento di un soggetto che corre, ma devono essere integrati tra-mite il ragionamento clinico con quelli di valutazioni specifiche di tipo articolare, muscolare, ecc.Da ultimo è importante sottolineare che, poiché il gesto della corsa è un ciclo che si compone di di-verse azioni sinergiche pliometriche tra gruppi mu-scolari antagonisti, spesso l’esecuzione di un pattern motorio è il risultato di ciò che avviene nella fase precedente. Se per esempio il soggetto ha ruotato il bacino durante l’oscillazione dell’arto destro, anche la fase di trazione e l’ammortizzamento avverrano con un allineamento del bacino e dell’arto inferiore non ideale sul piano frontale e orizzontale. La difficoltà di dare feedback e suggerimenti corret-tivi ai soggetti sta nell’individuare quello/i che offro-no la migliore correzione globale e che risultano più facili da capire ed attuare per il paziente.E l’appoggio del piede? Nonostante molti studi si con-centrino su quale sia il modo ottimale di appoggiare il piede durante la corsa, non esistono al momento evidenze su quest’argomento. Come afferma David McHenry, fisioterapista e Strength and Conditioning Coach per Alberto Salazar al Nike Oregon Project: «Il piede è davvero solamente l’estremità della gran-de catena cinetica della gamba, coscia, anca, baci-no e tronco». L’idea è che, come altri singoli fattori, l’allineamento e l’azione del piede siano influenzati e influenzino le azioni e reazioni che si sviluppano durante il gesto. L’esperienza del campo sembra in-dicare che all’aumentare della velocità e alla dimi-nuzione dei tempi di contatto debba per forza cor-rispondere una strategia d’appoggio d’avampiede, anche per fare in modo che l’efficiente muscolatura plantiflessoria possa contribuire all’ammortizza-mento [15], ma questo non può essere in alcun modo sufficiente a definire un modo corretto di correre; al-tri studi sembrano invece suggerire che l’appoggio di tallone sia più versatile, più semplice e in grado di minimizzare il costo energetico della corsa ed è per questo che è la strategia più diffusa. Ovviamente in tutto questo ragionamento anche le calzature indos-sate modificano ulteriormente il quadro.Anche parametri generici come la cadenza e l’oscil-lazone verticale non possono essere sufficienti a definire una corsa corretta o efficiente. La cadenza deve essere adeguata alla performance richiesta: al-meno 170 appoggi al minuto per andature lente, cir-ca 180 appoggi al minuto per la massima efficienza meccanica, superiore ai 210 appoggi al minuto per sviluppare la velocità massima. L’oscillazione verti-cale stessa, che in alcuni approcci sembra essere un fattore da limitare il più possibile, ha una sua giusta escursione. Lo spostamento verticale deve esse-re ottimizzato in funzione del completamento della fase di volo: se è troppo limitato non vi è sfruttamen-to dell’energia impressa al suolo e tempi di rilassa-mento adeguati per la muscolatura che deve provve-dere all’ammortizzamento.I vantaggi nell’utilizzare un modello funzionale per l’analisi della corsa sono sicuramente quelli di po-ter attuare un ragionamento clinico chinesiopatolo-gico, che parte cioè dal movimento per spiegare la causa e non solo la fonte dei sintomi. Inoltre parlare di “soli” quattro meccanismi da eseguire nel modo corretto rende il problema della comunicazione tra paziente, allenatore e atleta più semplice e può tra-dursi più facilmente in un lavoro d’équipe, affinché le correzioni necessarie progrediscano tramite gli esercizi specifici, i giusti feedback motori e adeguati metodi d’allenamento.Infine è importante ricordare che, come sottolinea I. Davis, «nessun esercizio di rinforzo può tradur-si da solo in una correzione del gesto della corsa;

i pazienti hanno bisogno di percepire e allenare il nuovo pattern motorio o questo non verrà applicato in modo stabile, specialmente in condizioni di affa-ticamento».Sappiamo che una corretta diagnosi funzionale e l’efficacia del trattamento non possono prescindere dalla conoscenza degli schemi motori dei pazienti. Penso quindi che poter utilizzare un modello di rife-rimento per una valutazione sistematica della corsa possa essere una risorsa importante ai fini della ri-abilitazione di un runner infortunato.Nei prossimi numeri l’intento è quello di racconta-re alcuni case report per far meglio comprendere come si possano applicare concretamente i principi appena esposti; quella illustrata in questo articolo è una proposta ancora perfettibile e, sicuramente, il confronto e la discussione con professionisti che hanno esperienza nell’ambito della riabilitazione o nell’allenamento di soggetti che corrono, potranno consolidarne e migliorarne la validità, l’accuratezza e l’efficacia.

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30 Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016RiabilitazioneOggi

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Anno XXXIII - n. 1 - Gennaio/Febbraio 2016 RiabilitazioneOggi

Fisioterapisti, Logopedisti, Ortottisti, Terapisti della Neuro

e Psicomotricità dell’età evolutiva,Terapisti Occupazionali interessati

a collaborare possono inviare articoli, segnalazioni, comunicati, idee,

proposte, suggerimenti, critiche a

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Direttore responsabileSimone Patuzzo

Dottore in Fisioterapia

Coordinamento editoriale e redazionaleOrnella Ceresa

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EXPOSANITÀpag. 15

FISIOSTOREpag. IV di cop.

FORMAZIONE SALUTEpag. 19

MASOLETpag. 18

MEZIERESpag. 30

NEURO LINKS (QUILMED)pag. 1, 5

NSOpag. 29

SANIPROpag. 30

RENZO ANDRICHpag. 1

GIULIA ANGELINOpag. 16

VALENTINA BALLABIOpag. 6

SABRINA BASILICOpag. 6

ROSARIO BELLIApag. 22, 23

ANNA BOGLIOLOpag. 26

ALBERTO BROCCApag. 14, 24

ANDREA BUSSANDRIpag. 4

MARTINA CARAFApag. 19

STEFANO CASATIpag. 6

ANDREA CHIAVENNApag. 6

LAURA COLOMBOpag. 6

SILVANO FERRARIpag. 12

ROBERTO GATTIpag. 6

MARCO MISANIpag. 4

DANIELE MORETTIpag. 4

DAVIDE NAPPOpag. 28

FRANCESCO PACENZApag. 10

SARA PATUZZOpag. 27

STEFANO PICCIONIpag. 1

FRANCESCO RICCIARDIpag. 20

CLAUDIA SALATINOpag. 1

SARA SANVITOpag. 6

VINCENZO MARIA SARACENIpag. 22, 23

JOCHEN SCHOMACHERpag. 2

31

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