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Indice 7 Introduzione all’edizione italiana (Alessandro Carmelita) 17 Prefazione (Adrian Wells e Costas Papageorgiou) PARTE PRIMA Natura e conseguenze della ruminazione 21 CAP. 1 Natura, funzioni e convinzioni relative alla ruminazione depressiva (Adrian Wells e Costas Papageorgiou) 41 CAP. 2 Conseguenze della ruminazione disforica (Sonja Lyubomirsky e Chris Tkach) 65 CAP. 3 Ruminazione reattiva: effetti, meccanismi e antecedenti evolutivi (Jelena Spasojevic, Lauren B. Alloy, Lyn Y. Abramson, Donal MacCoon e Matthew S. Robinson) 83 CAP. 4 Controllo mentale e ruminazione depressiva (Richard M. Wenzlaff) 105 CAP. 5 Correlati fisiologici della ruminazione depressiva (Greg J. Siegle e Julian F. Thayer) PARTE SECONDA Teoria sulla ruminazione 137 CAP. 6 La teoria degli stili di risposta (Susan Nolen-Hoeksema) 157 CAP. 7 Ruminazione, depressione e metacognizione: il modello FA (Gerald Matthews e Adrian Wells) 189 CAP. 8 La ruminazione come effetto dello stato di progresso verso gli obiettivi, delle regole di inibizione e della lateralizzazione cerebrale (Leonard L. Martin, Ilan Shrira e Helen M. Startup) 215 CAP. 9 Confronto e valutazione delle teorie sulla ruminazione (Melissa A. Brotman e Robert J. Derubeis) PARTE TERZA La misurazione e il trattamento della ruminazione 227 CAP. 10 Misurazione della ruminazione depressiva e dei costrutti associati (Olivier Luminet)

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I n d i c e

7 Introduzione all’edizione italiana (Alessandro Carmelita)

17 Prefazione (Adrian Wells e Costas Papageorgiou)

Parte Prima Natura e conseguenze della ruminazione

21 Cap. 1 Natura, funzioni e convinzioni relative alla ruminazione depressiva (Adrian Wells e Costas Papageorgiou)

41 Cap. 2 Conseguenze della ruminazione disforica (Sonja Lyubomirsky e Chris Tkach)

65 Cap. 3 Ruminazione reattiva: effetti, meccanismi e antecedenti evolutivi (Jelena Spasojevic, Lauren B. Alloy, Lyn Y. Abramson, Donal MacCoon e Matthew S. Robinson)

83 Cap. 4 Controllo mentale e ruminazione depressiva (Richard M. Wenzlaff)

105 Cap. 5 Correlati fisiologici della ruminazione depressiva (Greg J. Siegle e Julian F. Thayer)

Parte seconda Teoria sulla ruminazione

137 Cap. 6 La teoria degli stili di risposta (Susan Nolen-Hoeksema)

157 Cap. 7 Ruminazione, depressione e metacognizione: il modello FA (Gerald Matthews e Adrian Wells)

189 Cap. 8 La ruminazione come effetto dello stato di progresso verso gli obiettivi, delle regole di inibizione e della lateralizzazione cerebrale (Leonard L. Martin, Ilan Shrira e Helen M. Startup)

215 Cap. 9 Confronto e valutazione delle teorie sulla ruminazione (Melissa A. Brotman e Robert J. Derubeis)

Parte terza La misurazione e il trattamento della ruminazione

227 Cap. 10 Misurazione della ruminazione depressiva e dei costrutti associati (Olivier Luminet)

259 Cap. 11 Il trattamento psicologico della ruminazione (Christine Purdon)

285 Cap. 12 Terapia cognitiva per il pensiero depressivo (Dean McMillan e Peter Fisher)

305 Cap. 13 Terapia metacognitiva per la ruminazione depressiva (Adrian Wells e Costas Papageorgiou)

R i n g R a z i a m e n t i

Costas Papageorgiou ringrazia i colleghi del programma di dottorato in psicologia clinica della Lancaster University e il dipartimento di psicologia clinica del North Manchester General Hospital per il loro sostegno durante la stesura del libro. Adrian Wells ringrazia Joyce Russel per la sua assistenza come segretaria. Ringraziamo anche Andy O’Hare per il suo aiuto nella produzione grafica della copertina del libro. Infine, vorremo ringraziare il team di Wiley e in particolare Vivien Ward e Lesley Valerio per il loro incoraggiamento.

Prefazione 17

2Prefazione

Adrian WellsAcademic Division of Clinical Psychology, University of Manchester, GB

Costas PapageorgiouInstitute of Health Research, University of Lancaster, GB

La depressione è il disturbo psicologico più diffuso, con notevoli costi a livello personale, sociale ed economico. Gli approcci cognitivi hanno avuto una considerevole influenza nello studio e nel trattamento della depressione. I processi cognitivi implicati nello sviluppo, nella persistenza e negli episodi recidivi della depressione sono vari, ma negli ultimi quindici anni è stata dedicata una consi-derevole attenzione, a livello teorico ed empirico, al pensiero negativo, continuo e circolare come fattore fondamentale.

Questo libro riunisce i maggiori teorici, ricercatori e clinici che lavorano nel campo della ruminazione e della depressione. Scopo del libro è permettere un’analisi completa della natura, degli effetti, degli strumenti di misurazione e della terapia della ruminazione. Il volume è diviso in tre parti.

La prima parte è costituita da cinque capitoli che descrivono la natura e le conseguenze della ruminazione. Nel primo capitolo, Papageorgiou e Wells esaminano le diverse definizioni del concetto, confrontandolo con altri processi cognitivi rilevanti, quali ad esempio il rimuginio (worry). Il capitolo analizza le possibili funzioni della ruminazione e le relazioni esistenti tra questa, la depressione e le convinzioni metacognitive. Lyubomirsky e Tkach (capitolo due) descrivono in modo preciso uno stile di risposta all’umore depresso caratterizzato da rumi-nazione e svolgono un’analisi della ricerca sperimentale e correlazionale che ne comprova le notevoli conseguenze negative. Nel capitolo 3, Spasojevic, Alloy, Abramson, MacCoon e Robinson descrivono le proprie ricerche concentrandosi sulla ruminazione reattiva, che considerano una risposta all’umore negativo, agli eventi esistenziali negativi o a entrambi. Wenzlaff (capitolo 4) esamina la rumina-

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zione nel contesto del controllo mentale in cui i bias cognitivi e la soppressione del pensiero possono intensificare il pensiero negativo. Anche l’effetto deleterio dell’umore depresso sul controllo mentale viene considerato come un fattore che contribuisce alla ruminazione. Nel capitolo 5, Siegle e Thayer ne esaminano i correlati fisiologici come strumenti utili per valutarne e comprenderne la natura e i meccanismi sottostanti; le valutazioni fisiologiche hanno l’importante vantaggio di fornire un indice più oggettivo della ruminazione.

Nella seconda parte vengono descritte tre teorie fondamentali. Nolen-Hoeksema (capitolo 6) presenta la sua teoria degli stili di risposta, secondo cui la ruminazione è un processo attraverso cui i soggetti si concentrano sulle cause e sulle conseguenze della depressione, processo che, a sua volta, contribuisce al mantenimento e peggioramento dei sintomi depressivi. Nel capitolo 7, Mat-thews e Wells utilizzano il loro modello di elaborazione delle informazioni nei disturbi emozionali per comprendere le cause e le conseguenze della ruminazione depressiva. In questo modello a più livelli essa è considerata come una strategia di coping non adattiva strettamente legata alle convinzioni metacognitive del soggetto. Martin, Shira e Startup (capitolo 8) considerano la ruminazione come prodotto del progresso verso gli obiettivi, delle regole individuali e della lateraliz-zazione cerebrale. La seconda parte del libro si conclude con un confronto e una valutazione di queste teorie, di cui Brotman e DeRubeis (capitolo 9) analizzano analogie e differenze indicando possibili aree di sintesi.

Nella terza parte vengono presi in esame la valutazione e la terapia della ruminazione. Luminet (capitolo 10) descrive strumenti di autovalutazione speci-fici per la ruminazione e i costrutti ad essa correlati, esaminandone le proprietà psicometriche. Nel capitolo 11, Purdon presenta una revisione completa delle terapie psicologiche della ruminazione applicate al trattamento di diversi disturbi e considera la possibilità di utilizzarle nell’ambito della depressione. McMillan e Fisher (capitolo 12) descrivono le principali tecniche di terapia cognitiva usate nel trattamento del pensiero depressivo, tecniche che si basano sulle strategie tradizionali per la modificazione del contenuto dei pensieri e delle convinzioni negative nella depressione. Nell’ultimo capitolo, Papageorgiou e Wells presentano un nuovo approccio che ha come oggetto specifico lo stile di pensiero depressivo e ruminativo, descrivendo una serie di strategie terapeutiche metacognitive derivate dal modello di elaborazione delle informazioni.

Abbiamo cercato di creare un libro che potesse aiutare i lettori a identificare la ruminazione, distinguendola dai processi correlati, comprendendone i fattori antecedenti e le implicazioni e che potesse, quindi, orientare i clinici nella valu-tazione e nella scelta delle strategie terapeutiche. Speriamo che questo volume possa stimolare ulteriori ricerche sulla relazione tra depressione e ruminazione.

24 Ruminazione depRessiva

è chiaro se queste analogie e differenze contribuiscano in maniera determinante alla psicopatologia. Questo paragrafo analizza la letteratura esistente al fine di individuare le caratteristiche di sovrapposizione e distinzione tra ruminazione e altri concetti simili.

Ruminazione e pensieri automatici negativi

La ruminazione può essere distinta dai pensieri automatici negativi tipici della depressione. Secondo l’ipotesi della specificità dei contenuti di Beck (1967; 1976), la depressione è caratterizzata da pensieri con contenuto inerente a per-dite o insuccessi personali avvenuti nel passato. Papageorgiou e Wells (2001a) sostengono che, mentre i pensieri automatici negativi sono valutazioni relativa-mente rapide di perdite e insuccessi passati, la ruminazione sarebbe costituita da concatenamenti più lunghi di pensieri ripetitivi, ciclici, negativi e rivolti a sé che possono attivarsi in risposta a iniziali pensieri negativi. Alcune ricerche hanno dimostrato che il pensiero ruminativo è un indicatore della depressione, anche al di là della varianza che condivide con altre tipologie di cognizioni negative (Nolen-Hoeksema, Parker e Larson, 1994; Spasojevic e Alloy, 2001).

Ruminazione, attenzione rivolta a sé e autocoscienza privata

È possibile effettuare una distinzione concettuale tra pensiero ruminativo e stile depressivo rivolto a sé (Pyszczynski e Greenberg, 1987). Mentre l’obiettivo dello stile depressivo è ridurre le discrepanze tra stati ideali e reali a seguito di un insuccesso (Pyszczynski, Greenberg, Hamilton e Nix, 1991), quello della ruminazione è più specifico e si ipotizza che possa includere strategie di coping nella forma del problem solving, che non necessariamente si attiva in seguito a un insuccesso (Wells e Matthews, 1994). La ruminazione può essere distinta dall’autocoscienza privata (Fenigstein, Scheier e Buss, 1975), ovvero la ten-denza a concentrarsi cronicamente su di sé e ad autoanalizzarsi a prescindere dallo stato d’animo. Nolen-Hoeksema e Morrow (1993) hanno dimostrato che, sebbene la ruminazione predicesse significativamente l’umore depresso anche quando la variabile dell’autocoscienza privata veniva controllata statisticamente, quest’ultima cessava di essere un predittore significativo della depressione quando la variabile ruminazione veniva sottoposta a controllo statistico. Oltre a queste differenze, Papageorgiou e Wells (2001a) indicano che, mentre la ruminazione nella depressione implica solitamente concatenamenti di pensieri negativi rilevanti per il soggetto, non tutte le forme di pensiero ruminativo sono necessariamente rilevanti: ad esempio, vi sono soggetti che possono ruminare sugli effetti umanitari

natuRa, funzioni e convinzioni Relative alla Ruminazione depRessiva 25

delle recenti guerre. Riteniamo che la ruminazione depressiva implichi specifica-mente il pensiero rivolto a sé e le valutazioni negative del sé, delle emozioni, dei comportamenti, delle situazioni, degli eventi stressanti esistenziali e del coping. Dunque, la focalizzazione dell’attenzione su di sé è una componente della rumi-nazione che si collega ad alcuni, ma non a tutti, gli aspetti del contenuto o della forma che essa assume.

Ruminazione e rimuginio

La ruminazione sembra essere strettamente correlata al rimuginio, una caratteristica cognitiva comune nei disturbi d’ansia, ma che sembra particolar-mente elevata nei soggetti depressi (Starcevic, 1995). Il rimuginio è stato defi-nito come una «concatenazione di pensieri e immagini, caratterizzati da valenza affettiva negativa e relativamente incontrollabili; rappresenta un tentativo di attivare un problem solving mentale su una questione dal risultato incerto, ma con la possibilità di ottenere uno o più risultati negativi» (Borkovec, Robinson, Pruzinsky e DePree, 1983, p. 10). Precedenti ricerche che esaminavano la na-tura del pensiero depressivo e di quello ansioso hanno mostrato che queste due tipologie cognitive sono fenomeni chiaramente distinti (Clark e de Silva, 1985; Clark e Hemsley, 1985). Il contenuto delle concatenazioni di pensieri ansiosi (preoccupanti) è solitamente diverso dai pensieri depressivi (ruminativi), in quanto le prime possono essere caratterizzate in particolar modo da tematiche relative all’anticipazione di una minaccia o di un pericolo futuro (Beck, 1967; 1976; Bor-kovec et al., 1983), mentre la ruminazione può toccare tematiche quali perdite o insuccessi personali passati (Beck, 1967; 1976). In un’analisi dei contenuti di pensieri rimuginanti spontanei, Szabo e Lovibond (2002) hanno rilevato che il 48% dei pensieri rimuginanti potevano essere considerati come espressione di un processo di problem solving, il 17% come anticipazione di risultati futuri negativi, l’11% come ruminazione e il 5% come pensieri «palliativi» e di «colpa». In un altro studio, il pensiero rimuginante era caratterizzato da un numero mag-giore, rispetto al pensiero disforico ruminativo, di affermazioni che implicavano un’interpretazione catastrofica degli eventi futuri (Molina, Borkovec, Peasley e Person, 1998). Queste ricerche indicano l’esistenza di differenze di contenuto tra la ruminazione e il rimuginio.

Precedenti approcci allo studio della natura dei diversi stili di pensiero si erano concentrati prevalentemente sul contenuto tematico del pensiero nella depressione e nell’ansia. Evidenze teoriche ed empiriche più recenti indicano che altre dimensioni del pensiero, oltre al contenuto, caratterizzano la predisposi-zione a questa psicopatologia e il suo mantenimento. Secondo Wells e Matthews

54 Ruminazione depRessiva

Fig. 2.1 Un circolo vizioso tra ruminazione, umore negativo e molteplici conseguenze ne-gative.

Ruminazione

Umorenegativo

Aumento livellodi stress e difficoltà

Umore nega-tivo e sintomi

depressivi

Pensiero distorto negativamente

Problem solving inefficace

Compromissione motivazione e

inibizione compor-tamento strumentale

Compromissione concentrazione e

cognizione

Un circolo vizioso

Gli studi esaminati in precedenza dipingono una situazione piuttosto grave relativa ai molti effetti negativi a cui è esposto un soggetto con la tendenza a rumi-nare in risposta a sintomi depressivi. Sebbene le evidenze empiriche per ognuno di tali effetti negativi derivino spesso da indagini sperimentali diverse, è impor-tante sottolineare che i vari esiti hanno probabilmente delle reciproche influenze e quindi non possono realmente essere separati; crediamo che la combinazione di ruminazione e disforia attivi un circolo vizioso tra umore negativo e sintomi depressivi, pensiero negativo, scarsa attitudine al problem solving, compromissione della motivazione e inibizione del comportamento strumentale, compromissione della concentrazione e della cognizione, aumento dello stress e delle difficoltà (si veda la figura 2.1). Inoltre, ogni componente (o componenti) di questo circolo vizioso può influenzare e avere una «retroazione» su un’altra componente (o altre componenti) e la sequenza delle relazioni può seguire diversi percorsi.

Proviamo a dare una rappresentazione di una possibile sequenza di rela-zioni: la ruminazione in concomitanza con l’umore depresso può amplificare gli effetti dell’umore negativo sul pensiero, innescando la selezione prioritaria di informazioni relative all’umore e attivando reti di ricordi, convinzioni, aspettative e schemi negativi (Bower, 1991; Forgas, 1991; Teasdale, 1983). A loro volta, i

Conseguenze della Ruminazione disfoRiCa 55

giudizi e le interpretazioni distorti negativamente che ne derivano possono man-tenere o persino aumentare l’umore depresso, alimentando il circolo vizioso tra umore e pensiero depresso. L’umore depresso aggiunto alla ruminazione può analogamente accentuare gli effetti dell’umore negativo sulla capacità di problem solving, sulla motivazione (ad esempio, alimentando i dubbi sulla propria capacità di affrontare i problemi o deprimendo la motivazione e l’iniziativa a farlo) e sul comportamento strumentale (ad esempio compromettendo la concentrazione e l’efficienza cognitiva). Per esempio, quando un soggetto che rumina continua-mente si sente depresso, i suoi problemi personali e lo stress possono sopraffarlo e assumere proporzioni minacciose. Di conseguenza, è possibile che lasci che le sue aspettative esageratamente pessimistiche lo trattengano dall’assumere rischi appropriati. In alternativa, i suoi pensieri negativi possono generare pro-fezie che si autoavverano facendo sì che il soggetto agisca, sulla base delle sue conclusioni e aspettative negative, con modalità controproducenti (ad esempio, fronteggiando il coniuge su problemi coniugali inesistenti o facendosi sfuggire un ottimo lavoro).

Inoltre, i ruminatori disforici spesso interpretano le proprie condizioni di vita in modo distorto e pessimistico e recuperano dal proprio passato ricordi spiacevoli a sostegno delle proprie conclusioni negative. Di conseguenza, pos-sono trascorrere troppo tempo pensando a come risolvere i problemi e produrre soluzioni inefficaci o, in alternativa, pensare a buone soluzioni ma, data la scarsa energia e motivazione, essere riluttanti a intraprendere le azioni necessarie a portarle a termine. Il risultato finale è che i problemi non spariscono o, peggio, si aggravano, mantenendo o esacerbando l’umore negativo e alimentando così il circolo vizioso (figura 2.1).

Un’ulteriore sequenza possibile è la seguente: i deficit della concentrazione, della motivazione e del comportamento strumentale possono ridurre l’efficacia di un soggetto sul lavoro e la sua abilità nelle situazioni sociali, causando così difficoltà nelle relazioni e la perdita di opportunità professionali e contribuendo di conseguenza ad aumentare i problemi e lo stress. I ruminatori disforici sembrano avere in generale basse aspettative di controllo e la convinzione di non avere energie, risorse o capacità per rispondere adeguatamente alle proprie situazioni esistenziali. Di conseguenza, possono rinunciare a intraprendere azioni costruttive o ad applicare soluzioni appropriate ai problemi. Inoltre, i loro pensieri ruminativi sono spesso intensi, convincenti e ripetitivi, solitamente si insinuano sia tra le attività quotidiane e domestiche di scarsa importanza, sia tra quelle fondamentali, interferendo con la concentrazione e la prestazione. L’attivazione della rumina-zione disforica può, ad esempio, condurre i soggetti a non considerare importanti aspetti sociali durante una conversazione sul lavoro, a perdere l’opportunità di

74 Ruminazione depRessiva

evolutivi dello stile di risposta ruminativo, Nolen-Hoeksema (1998) suggerisce che i bambini che non riescono ad apprendere strategie di coping attive e quelli che avvertono uno scarso controllo sull’ambiente potrebbero essere particolarmente predisposti a diventare ruminatori. Alcune evidenze indicano che i figli di madri intrusive e critiche tendono a mostrare impotenza e passività quando sono agitati (Nolen-Hoeksema, Wolfson, Mumme e Guskin, 1995). È interessante notare che le due dimensioni genitoriali connesse allo sviluppo della depressione sono l’iper-protezione (definita anche come controllo psicologico elevato o bassa autonomia) e la mancanza di calore emotivo (definita anche come basso coinvolgimento positivo o rifiuto elevato). Di fatto, gli adolescenti e gli adulti depressi riferiscono di avere avuto genitori intrusivi, eccessivamente controllanti, autoritari e rifiutanti (per una rassegna, si veda Barber, 1996; Burbach e Borduin, 1986; Gerlsma, Emmelkamp e Arrindell, 1990).

I bambini vittime di abuso spesso sentono di non avere controllo sulla propria vita e hanno quindi una certa probabilità di attivare una ruminazione ansiosa o depressiva. Una serie di ricerche ha messo in evidenza una correlazione tra abuso infantile e depressione in età adulta. In passato, numerosi studi si sono concentrati sull’abuso sessuale (per una rassegna, si veda Beitchman et al., 1992; Browne e Finkelhor, 1986; Dhaliwal, Gauzas, Antonowicz e Ross, 1996), mentre quelli più recenti hanno esaminato il ruolo dell’abuso fisico (ad esempio, Roosa, Renholtz e Angelici, 1999) e di quello emotivo (ad esempio, Gibb et al., 2001). L’abuso infantile non è ancora stato esaminato direttamente come antecedente evolutivo della tendenza adulta a ruminare.

Spasojevic e Alloy (2002) hanno analizzato due potenziali antecedenti evolutivi della ruminazione, storia di abuso infantile e stili genitoriali, utilizzando i dati forniti dal progetto CVD. Gli autori ipotizzano che genitori psicologicamente ipercontrollanti e rifiutanti e una storia infantile di abusi sessuali, emotivi e fisici possano essere significativamente correlati alla ruminazione. Inoltre, ritengono che la ruminazione possa mediare la relazione tra questi fattori evolutivi e il numero di episodi depressivi maggiori nel follow-up a due anni e mezzo. La storia di abuso infantile è stata valutata retrospettivamente utilizzando una scala di autovalutazione che rilevava un ampio spettro di eventi specifici; ai soggetti veniva chiesto di indicare se l’evento specifico si era verificato nella loro vita, la loro età all’inizio e al termine dell’evento e la frequenza con cui si era presentato (Gibb et al., 2001). Anche lo stile genitoriale è stato valutato retro-spettivamente usando lo strumento di misura dei comportamenti genitoriali più diffuso e validato, ovvero il Children’s Report of Parental Behavior Inventory (CRPBI; Schaefer, 1965), che coinvolge tre diverse dimensioni: accettazione/rifiuto (cioè il grado in cui il genitore manifesta cura e affetto per il bambino),

Ruminazione Reattiva: effetti, meccanismi e antecedenti evolutivi 75

autonomia/controllo psicologico (il grado in cui i genitori controllano i figli attraverso metodi psicologici indiretti e negazione dell’autonomia) e controllo fermo/negligente (il grado in cui i genitori impongono il rispetto ponendo regole o minacciando punizioni).

I risultati di Spasojevic e Alloy (2002) indicano che i soggetti che riferiscono di aver avuto genitori psicologicamente ipercontrollanti (vale sia per la madre che per il padre) tendono a utilizzare la ruminazione in reazione all’umore de-presso. Inoltre, la ruminazione media la relazione tra stile genitoriale ipercon-trollante e depressione nei figli all’età del college, mentre non correla con lo stile genitoriale rifiutante. I nostri risultati confermano l’ipotesi di Nolen-Hoeksema (1998) secondo cui i bambini con genitori che si comportano in modo intrusivo e non riescono a insegnare strategie di coping attive possono cadere nel ciclo ruminativo che porta alla depressione. Questi bambini deprivati dell’autonomia hanno poche possibilità di sviluppare un senso di controllo sull’ambiente, per-ciò si rivolgono internamente in sterili tentativi di regolazione delle emozioni, diventando così ruminatori. Uno studio che esaminava gli antecedenti evolutivi del rimuginio patologico, un processo simile ma non identico alla ruminazione (per la relazione tra ruminazione e rimuginio si veda Papageorgiou e Wells, 1999; Segerstrom, Tsao, Alden e Crasse, 2000), ha messo in luce che il ri-fiuto genitoriale e l’esistenza di relazioni confuse, o con ruoli rovesciati, erano più frequenti nei soggetti con disturbo d’ansia generalizzato che nei controlli (Cassidy, 1995). Il fatto che il rimuginio abbia origini diverse rispetto alla rumi-nazione può aiutarci a comprendere le caratteristiche che li distinguono come anche le loro ovvie relazioni; tuttavia, prima che venga eseguita la necessaria ripetizione ed estensione degli studi di tipo evolutivo sulla ruminazione e sul rimuginio, occorre essere particolarmente attenti a non trarre interpretazioni eccessive dai risultati emersi.

In un nostro studio (Spasojevic e Alloy, 2002) abbiamo scoperto che la tendenza a ruminare era correlata ad abusi emotivi nell’infanzia e, per le donne, all’abuso sessuale infantile. Tra gli uomini, questa correlazione non si evidenziava, ma forse questo dato è dipeso dalla gamma statistica limitata: il fatto che nel nostro campione pochi uomini riferissero un abuso sessuale ci ha indotti a non trarre conclusioni sul ruolo del genere come mediatore della relazione tra abuso sessuale e ruminazione. In linea con ricerche precedenti svolte in laboratorio (Gibb et al., 2001), l’abuso fisico nell’infanzia non è risultato correlato alla rumi-nazione depressiva. Inoltre, i nostri risultati hanno indicato che la ruminazione mediava le relazioni tra abusi infantili emotivi e sessuali (solo per le donne) ed episodi di depressione maggiore. I bambini che sono maltrattati sessualmente e/o emotivamente possono diventare particolarmente tristi e percepire di non avere

Controllo mentale e ruminazione depressiva 97

Espressione adattiva

Abbiamo precedentemente evidenziato una distinzione fondamentale tra la ruminazione depressiva e una forma adattiva di espressione di pensieri ed emozioni negative. La ruminazione depressiva implica la ripetizione continua di pensieri negativi e ha apparentemente l’obiettivo di ottenere un insight su pensieri ed emozioni che destano preoccupazione, in modo da poter trovare soluzioni ai problemi. In realtà, gli effetti della ruminazione sono solitamente un’inten-sificazione dei pensieri negativi e un peggioramento dell’umore. Al contrario, l’espressione adattiva richiede inizialmente di dare sfogo ai pensieri e alle emozioni negative, senza considerare l’insight o la risoluzione dei problemi, verbalizzandoli o semplicemente scrivendoli (Pennebaker, 1995; 1997). Liberi dalla pressione di risolvere pensieri ed emozioni negative, i soggetti hanno infatti minori pro-babilità di sprofondare in quegli stessi pensieri e gli effetti positivi di questo tipo di espressione per il benessere emotivo e fisico sono confermati da numerose ricerche (Pennebaker, 1988; 1997; Pennebaker, Colder e Sharp, 1990).

È probabile che le ragioni per cui questo tipo di espressione fornisce benefici emotivi e cognitivi siano molteplici. Innanzitutto, scoraggia la sterile ruminazione ed evita gli effetti paradossali della soppressione del pensiero. Inoltre, mentre la ruminazione e la soppressione possono accentuare l’importanza percepita dei pensieri negativi, l’espressione adattiva li «diluisce», desensibilizzando la persona ad essi. Infine, diversamente dalla ruminazione intenzionale, che impone un’eccessiva pressione per la ricerca di soluzioni, l’espressione adattiva potrebbe assicurare una graduale realizzazione di nuovi insight e di una visione più integrata su di sé (Pennebaker, 1997).

Benefici simili possono derivare dalla meditazione, che può aiutare i sog-getti a raggiungere uno stato mentale dove ai pensieri — indipendentemente dal fatto che siano desiderati o meno — si permette semplicemente di entrare e uscire dalla consapevolezza, senza alcun obiettivo o considerazione. Questo tipo di mentalizzazione positiva è associata a una serie di benefici fisici e psi-cologici (Kabat-Zinn, Lipworth e Burney, 1985; Miller, Fletcher e Kabat-Zinn, 1995). Definita «meditazione consapevole» o «terapia del controllo attentivo», questa tecnica è considerata come uno strumento supplementare alla terapia cognitiva tradizionale della depressione (Beevers, Wenzlaff, Hayes e Scott, 1999; Teasdale, Segal e Williams, 1995). Una tecnica correlata alla medita-zione, sebbene diversa per alcuni aspetti teorici e pratici, è il training attentivo (Wells, 1990), ideato per ridurre la focalizzazione dell’attenzione su di sé e aumentare il controllo attentivo e metacognitivo. Ricerche preliminari indicano che potrebbe essere un trattamento promettente per la depressione, in quanto

142 Ruminazione depRessiva

ruminazione. Nello studio sul lutto, alcune persone ritenevano di poter superare la perdita in sé, ma l’accumularsi di eventi stressanti le aveva comunque spinte alla ruminazione e a uno stato di angoscia.

La tendenza a ruminare è associata anche ad alcune caratteristiche di per-sonalità, tra cui il nevrotismo (Nolen-Hoeksema et al., 1994). Tuttavia, è fonda-mentale evidenziare che la ruminazione rimane un indicatore della depressione anche quando si controlla statisticamente il nevrotismo, il che fa supporre che essa non ne sia soltanto una manifestazione. La ruminazione potrebbe essere un meccanismo attraverso cui il nevrotismo, così come la predisposizione al pessi-mismo e il senso di impotenza, contribuisce alla depressione (Nolen-Hoeksema et al., 1994; 1999). Anche in questo caso, tuttavia, la ruminazione continua a essere un valido predittore della depressione, anche controllando statisticamente la predisposizione al pessimismo e l’impotenza. È possibile che la combinazione tra pessimismo o impotenza e ruminazione contribuisca con particolare forza all’insorgenza della depressione.

Differenze di genere nella ruminazione e nella depressione

Una delle evidenze più significative fornite dalla letteratura è che un nu-mero quasi doppio di donne, rispetto a quello di uomini, soffre di depressione maggiore e di sintomi depressivi minori (Nolen-Hoeksema, 2002). Le donne hanno inoltre più probabilità, rispetto agli uomini, di essere classificate come «soggetti ruminatori», secondo quanto rilevato dagli strumenti di autovalutazione e dall’osservazione in laboratorio (Butler e Nolen-Hoeksema, 1994; Nolen-Hoeksema et al., 1999). È emerso che le differenze di genere nella ruminazione mediano le differenze di genere nella depressione (Butler e Nolen-Hoeksema, 1994; Nolen-Hoeksema et al., 1999): questo significa che, quando vengono controllate statisticamente le differenze di genere nella ruminazione, quelle relative alla depressione perdono significatività. La maggiore predisposizione delle donne a ruminare non è l’unica causa della loro maggiore vulnerabilità alla depressione: sembra che esistano numerosi fattori che contribuiscono alle differenze di genere riguardo a questo disturbo (Nolen-Hoeksema, 2002). Tuttavia, la maggiore predisposizione a ruminare potrebbe bloccare le donne in cicli di passività, impedendo loro di superare altri problemi che possono concorrere alla depressione, quali ad esempio le difficoltà coniugali (Nolen-Hoeksema et al., 1999).

Le cause alla base delle differenze di genere nella ruminazione potrebbero essere molteplici. Dal nostro studio è emerso che le donne, rispetto agli uomini,

La teoRia degLi stiLi di Risposta 143

riferiscono un maggior numero di eventi stressanti, quali ad esempio un reddito basso e un matrimonio insoddisfacente, e questa differenza di genere relativa agli eventi stressanti continui media, parzialmente, la differenza di genere nella ruminazione (Nolen-Hoeksema et al., 1999). Le donne hanno anche maggiori probabilità, rispetto agli uomini, di essere vittime di eventi traumatici, in particolare di abusi sessuali, e una storia caratterizzata da eventi stressanti, quali ad esempio l’abuso infantile, è a sua volta associata alla tendenza a ruminare. In particolare, le donne vittime di abuso nell’infanzia hanno probabilità più elevate di diventare ruminatrici da adulte, anche controllando statisticamente il livello di depressione (Nolen-Hoeksema, 1998). Le esperienze di abuso possono infrangere la con-vinzione che il mondo sia un posto sicuro e che si può avere fiducia negli altri: questi elementi, a loro volta, potrebbero alimentare la ruminazione.

Un altro studio ha individuato tre caratteristiche di personalità connesse al ruolo sociale della donna che potrebbero contribuire alle differenze di genere osservate nella ruminazione (Nolen-Hoeksema e Jackson, 2001).

Innanzitutto, le donne, a confronto degli uomini, erano più predisposte a credere che le emozioni negative, quali tristezza, paura e rabbia, fossero difficili da controllare e la difficoltà di controllo delle emozioni negative era a sua volta associata a una maggiore tendenza alla ruminazione. Le donne potrebbero credere che le emozioni negative siano più difficili da controllare perché, diversamente dagli uomini, durante l’infanzia non vengono educate a utilizzare strategie attive di coping. Inoltre potrebbero credere di essere più emotive rispetto agli uomini e che le cause delle loro emozioni negative (ad esempio gli ormoni) siano meno controllabili delle cause alla base delle emozioni negative maschili.

In secondo luogo, diversamente dagli uomini, le donne erano più propense a sentirsi responsabili degli aspetti emotivi delle loro relazioni e del mantenimento di rapporti positivi con gli altri a tutti i costi e questo forte senso di responsabilità era associato a una maggiore ruminazione. Il sentirsi responsabili degli aspetti emotivi delle relazioni potrebbe indurre le donne a dare peso a qualsiasi sfuma-tura presente nella relazione, a essere sempre all’erta nei confronti di eventuali problemi, a chiedersi sempre cosa significano i commenti o i comportamenti degli altri e come rendere gli altri più felici. Questo potrebbe contribuire a rendere le donne più vigili verso i propri stati emotivi facendole agire come rilevatori dell’andamento della relazione, ma nello stesso tempo rendendole più soggette alla ruminazione.

In terzo luogo le donne riferivano più spesso degli uomini di avvertire uno scarso controllo sugli eventi importanti della vita e i soggetti con basso senso di controllo riportavano livelli più elevati di ruminazione. La percezione di uno scarso controllo a sua volta contribuiva a mediare le differenze di genere nella

Ruminazione, depRessione e metacognizione: il modello Fa 175

negative nella valutazione e nel ricordo di informazioni sul sé. La ruminazione prediceva queste distorsioni cognitive, suggerendo che — in linea con i risultati di Wells e Papageorgiou (1995) — essa aumenti l’accessibilità a ricordi negativi sul sé. Questi risultati confermano il modello della fobia sociale di Clark e Wells (1995), secondo cui chi ne soffre attiva la ruminazione a seguito di esperienze sociali stressanti, concentrandosi sui sentimenti ansiosi e sulle percezioni negative di sé, e questo tende a indurre bias negativi nella rievocazione.

La ruminazione nei pazienti clinici

Secondo la nostra definizione di ruminazione, questo fenomeno rappresenta una sottoclasse del rimuginio e una caratteristica generale dei disturbi emozionali. Tuttavia, esistono differenze notevoli tra forme normali e cliniche di ruminazione e tra le proprietà che manifesta nei diversi disturbi.

Ruminazione normale e anormale

Il modello FA implica la possibilità di differenziare tra forme normali e forme cliniche di ruminazione. I soggetti normali possono talvolta soffermarsi su un’elaborazione prolungata di informazioni relative al sé, specialmente se hanno un tratto nevrotico (Matthews, Derryberry et al., 2000). La ruminazione «normale» può contribuire alla persistenza dell’umore negativo, ma solitamente, insieme ad essa, il soggetto utilizza anche altre strategie di coping che, verosimil-mente, gli permettono di affrontare positivamente il problema che ha scatenato la ruminazione. Ad esempio, il soggetto potrebbe ruminare sul problema per un po’ di tempo per poi intraprendere qualche azione diretta e concreta o rivolgere l’attenzione totalmente ad altre questioni. La ruminazione, talvolta, può davvero contribuire a un’utile comprensione del problema, ma nei pazienti clinici può autoalimentarsi a oltranza ponendo il pensiero negativo continuo al centro dei tentativi di coping e ostacolando così l’autoregolazione e la costruzione di una consapevolezza più adattiva. Cercheremo ora di comprendere quali sono gli aspetti delle forme cliniche di ruminazione che causano questi problemi.

In primo luogo, la ruminazione può essere usata, senza alcuna flessibilità, come strumento principale per la gestione di particolari eventi stressanti, anche quando risposte diverse (come l’esposizione a informazioni che possono ristrut-turare le credenze non adattive) potrebbero offrire esiti più favorevoli. In secondo luogo, i pazienti potrebbero avere credenze metacognitive negative sul significato e sulle conseguenze della ruminazione, che li portano a interpretarla in senso

176 Ruminazione depRessiva

negativo. Nel disturbo d’ansia generalizzata (DAG), caratterizzato dal continuo rimuginio su una serie di argomenti, sembrano avere un ruolo fondamentale le credenze negative sui pericoli del rimuginio e sulla possibilità di controllarlo (Wells, 1995; 1997). Analogamente, nella depressione, la ruminazione può diventare necessaria per il benessere del soggetto: questo accade quando si atti-vano le credenze negative metacognitive sulla ruminazione, che mantengono la percezione delle discrepanze relative al sé e rinnovano il bisogno di un’intensa ruminazione (Wells, 2002).

In terzo luogo, le regole interne che i soggetti usano per determinare la ces-sazione o la continuazione della ruminazione potrebbero contribuire a prolungarla in una maniera che rende difficile porvi fine. L’approccio metacognitivo fornisce un contributo importante alla comprensione dei disturbi emozionali (Wells, 2002), ponendo l’enfasi sui criteri interni disadattivi usati dalle persone per regolare i comportamenti e l’elaborazione. Nei disturbi emozionali, le metacognizioni dei pazienti li orientano a monitorare gli stati emotivi interni per ricercarvi un segno di sicurezza o competenza nell’affrontare eventuali minacce future. Ad esempio, in assenza di distrazioni, alcuni pazienti che soffrono di DAG rimuginano fino a che «sentono» che è meglio fermarsi. Nel DOC, i pazienti attivano rituali concreti e mentali (come la ripetizione di alcuni comportamenti) fino al raggiungimento di uno stato interno desiderato (ad esempio un ricordo completo e perfetto dell’esecuzione di un’azione). Criteri simili sono inutili in quanto mantengono l’attenzione orientata su di sé, richiedono l’uso di molte risorse e non forniscono informazioni corrette sugli eventi, aumentando la probabilità di sperimentare discrepanze del sé.

Metacognizione e ruminazione nei disturbi emozionali

Nel modello FA, il disturbo emozionale è collegato all’attivazione di una con-figurazione di elaborazione cognitivo-attentiva in cui l’aspetto chiave è una forma continua di elaborazione rivolta al sé (Wells e Matthews, 1994) che si presenta sotto forma di pensiero negativo ripetitivo (cioè rimuginio/ruminazione). Nelle pagine precedenti abbiamo visto vari meccanismi attraverso cui la ruminazione può causare disturbi dell’umore e della cognizione; tuttavia, nei pazienti clinici, la metacognizione sembra avere un ruolo primario nel mediarne gli effetti deleteri attraverso lo svilup-po di credenze negative «secondarie» relative ai processi emozionali e di pensiero. Nel DAG, i pazienti hanno credenze positive e negative sul rimuginio, ed è la sua valutazione negativa, basata sulle credenze negative, che comporta un aumento esponenziale della sofferenza. Per quanto riguarda la depressione, il modello FA prevede analogamente che il peggioramento dell’umore e dell’ansia, connesso alla

190 Ruminazione depRessiva

prevalentemente un’operazione dell’emisfero destro (Goldberg e Costa, 1981; Rotenberg e Weinberg, 1999), i soggetti dovrebbero mostrare, durante le fasi di ruminazione, un’attivazione relativamente maggiore in questo emisfero. Se così fosse, questi dati non indicherebbero univocamente che la teoria dello stato di progresso verso gli obiettivi è corretta, ma potrebbero essere considerati come un’ulteriore evidenza in linea con questa teoria e in grado di aumentare la nostra fiducia in questo approccio.

Il capitolo si apre con una revisione della teoria che considera la ruminazione in relazione allo stato di progresso verso gli obiettivi. Analizzeremo successiva-mente alcuni dati, sulla specializzazione degli emisferi, che sembrano rilevanti per il fenomeno della ruminazione e una serie di studi che esaminano più diret-tamente i legami tra progresso verso gli obiettivi, ruminazione e attivazione degli emisferi. Infine, riassumeremo le diverse direzioni di pensiero per ottenere quella che speriamo sia una visione più coerente della ruminazione.

La teoria della ruminazione in relazione allo stato di progresso verso gli obiettivi

Secondo Martin e Tesser (1989; 1996; Martin et al., 1993; si veda anche Martin, 1999), la ruminazione rappresenta essenzialmente un esempio dell’effetto Zeigarnik. Zeigarnik (1938) ha dimostrato che le informazioni relative a compiti non completati tendono a rimanere nella memoria più a lungo di quelle relative ai compiti portati a termine. Dal punto di vista dello stato di progresso verso gli obiettivi, la ruminazione è essenzialmente la tendenza a pensare ripetutamente a obiettivi importanti e di ordine superiore che non sono ancora stati raggiunti e viene stimolata non solo dal mancato raggiungimento di un obiettivo, ma anche da un progresso verso di esso che procede a un ritmo differente da quello atteso dal soggetto (Carver e Scheier, 1990). Per esempio, un docente potrebbe desiderare di avere un posto di ruolo ma non averlo ancora ottenuto; ciò nonostante, probabil-mente non ruminerà sul desiderio di ottenere quel posto se nel frattempo pubblica regolarmente ricerche, riceve apprezzamenti per il suo lavoro e instaura relazioni positive con gli altri docenti del dipartimento. In breve, la ruminazione si verifica quando non si fanno progressi verso i propri obiettivi di ordine superiore.

La teoria ritiene inoltre che la causa immediata che si nasconde dietro alla ruminazione sia l’accesso a informazioni connesse all’obiettivo. In particolare, il mancato raggiungimento di un obiettivo mantiene le informazioni correlate ad esso facilmente accessibili (Zeigarnik, 1938). In queste condizioni, le informazioni si attivano agevolmente e hanno maggiori probabilità di essere utilizzate rispetto

La Ruminazione come effetto deLLo stato di pRogResso veRso gLi obiettivi 191

a informazioni ugualmente rilevanti ma meno accessibili (Bruner, 1957; Higgins, Rhodes e Jones, 197; Martin, Strack e Stapel, 2001). Di conseguenza, stimoli che normalmente sarebbero innocui possono facilmente innescare la ruminazione. Per esempio, è probabile che una donna che desidera un figlio ma non riesce ad averlo abbia facile accesso ai pensieri relativi all’infertilità. Se questa donna si ritrova davanti a scaffali che espongono pappe per neonati in un supermercato, potrebbe essere indotta a pensare alla sua infertilità, mentre l’esposizione allo stesso stimolo avrebbe un effetto scarso o nullo su soggetti che non mostrano la stessa facilità di accesso ai pensieri relativi all’infertilità (Clark, Henry e Taylor, 1991).

Come si può vedere, nell’ambito della teoria dello stato di progresso verso gli obiettivi, la ruminazione è una forma di autoregolazione (Wells e Matthews, 1994) che rende facilmente accessibili le informazioni correlate all’obiettivo; in questo modo i soggetti rilevano ed elaborano proprio le informazioni correlate alla mete non raggiunte. Questo processo potrebbe facilitare la risoluzione dei problemi e rimettere in moto il progresso verso gli obiettivi (Bowden e Beeman, 1998; Kuiken e Matthews, 1986-87; Schooler, Fallshore e Fiore, 1995): una volta che i soggetti sono nuovamente sulla strada giusta, la ruminazione ha essen-zialmente adempiuto alla sua funzione e può cessare. In generale, la ruminazione termina quando i soggetti raggiungono l’obiettivo desiderato, quando ritengono di aver fatto sufficienti progressi o quando decidono di rinunciare.

Evidenze per la teoria dello stato di progresso verso gli obiettivi

Le evidenze che confermano il ruolo dello stato di progresso verso gli obiettivi nella ruminazione sono state riportate da Martin, Tesser e McIntosh (1993). In uno dei loro studi, hanno invitato uno dei tre gruppi di partecipanti a pensare a un orso bianco, mentre agli altri due gruppi hanno chiesto di non pensare all’orso bianco. Come hanno mostrato Wegner, Schneider, Carter e White (1987), il tentativo di soppressione di un pensiero può in realtà aumentare la facilità di accesso proprio a quel pensiero. Nella prospettiva qui considerata, tuttavia, questa maggiore facilità di accesso non è il risultato diretto dei tentativi di soppressione del pensiero, ma è la conseguenza del fatto che i soggetti hanno difficoltà a sopprimere efficacemente i pensieri o, più precisamente, del fatto che non raggiungono l’obiettivo di ordine superiore relativo al mantenimento dell’autocontrollo. Se i soggetti si sentono in grado di controllare i propri pensieri, il tentativo di soppressione non dovrebbe aumentare la loro accessibilità.

Per verificare questa ipotesi, Martin e colleghi hanno dato un feedback positivo a metà dei soggetti a cui avevano chiesto di sopprimere i pensieri. In

Terapia cogniTiva per il pensiero depressivo 287

Terapie comportamentali

Le teorie comportamentali della depressione affermano, essenzialmente, che essa insorge in seguito a cambiamenti nelle circostanze di vita di una persona che hanno come esito la perdita di rinforzi positivi e persiste perché, quando una persona è depressa, il suo comportamento (caratterizzato, ad esempio, da una diminuzione dell’attività e dal ritiro sociale) presenta minori opportunità di rinforzo positivo (Williams, 1992). L’obiettivo principale degli approcci comportamentali alla depressione è quello di aumentare le opportunità di rinforzo positivo; sebbene le tecniche comportamentali vengano usate principalmente come «una serie di piccoli esperimenti per verificare la validità delle ipotesi o delle idee che il paziente ha su di sé» (Beck et al., 1979, p. 118), ciò non toglie affatto che possano essere usate anche per migliorare i livelli di umore e attività. Di seguito descriviamo tre esempi che mostrano come le strategie comportamentali possono essere usate per produrre il cambiamento cognitivo.

Monitoraggio dei livelli di attività

Nelle fasi iniziali di trattamento, si richiede ai clienti di monitorare le proprie attività su base oraria ed eventualmente di valutare il grado di padronanza e pia-cere relativo a ognuna di esse su una scala da 0 (nessuna padronanza/piacere) a 10 (completa padronanza/piacere). Questo permette al terapeuta di conoscere i livelli attuali di attività del cliente e quali sono le attività che trova più piacevoli e su cui sente di avere maggiore padronanza, e di analizzare pensieri — come «Non faccio mai niente», «Non c’è niente che mi dia piacere» e «Qualsiasi cosa mi dà fastidio» — che sono tipici della depressione. Il monitoraggio delle attività può fornire elementi validi per confutare i PAN, specialmente quando ad esso si affiancano le tecniche di riattribuzione discusse più avanti, e può essere particolar-mente utile perché il cliente familiarizzi con il modello cognitivo della depressione. Ad esempio, se il cliente ha la credenza «Non c’è niente che possa far cambiare il mio umore», le valutazioni relative alla padronanza e al piacere possono essere efficacemente utilizzate per confutarla e poi come ulteriore dimostrazione del fatto che mettere in discussione la veridicità dei pensieri depressivi può aiutare a superare la depressione.

Pianificazione delle attività

Quando si ha a disposizione un’accurata valutazione iniziale del livello di attività del cliente e della sua percezione relativa alla padronanza e al piacere

288 ruminazione depressiva

che ne derivano, il terapeuta può cominciare ad aiutarlo a pianificare le attività, con l’obiettivo principale che superi i sintomi della depressione e, in particolar modo, contrasti l’inerzia depressiva, il ritiro sociale e la disperazione che ne conseguono. Si fornisce al cliente una spiegazione razionale del fatto che la mancanza di attività causa un abbassamento dell’umore e una riduzione delle capacità di problem solving.

La pianificazione delle attività offre uno strumento diretto per confutare i PAN relativi all’impotenza (ad esempio «Sono un inetto» e «La mia vita sarà sem-pre una catena di fallimenti»). La pianificazione richiede cura, ma è relativamente semplice identificare quelle attività che danno al cliente un senso di realizzazione e piacere. In sintesi, la pianificazione delle attività offre al cliente prove sostanziali che contrastano i PAN, prove che il terapeuta può utilizzare in modo vantaggioso durante la fase di riattribuzione verbale.

Assegnazione graduale di compiti

Beck e colleghi (1979) hanno rilevato che quando le persone depresse portano a termine con successo delle attività si verifica un temporaneo miglio-ramento dell’umore; al riguardo, Persons (1989) evidenzia che spesso i soggetti depressi hanno PAN quali «Non sono in grado di farlo. Sbaglierò». L’obiettivo principale dell’assegnazione graduale di compiti è, dunque, quello di massi-mizzare le probabilità che il cliente completi una determinata attività in modo positivo; questo eventuale successo permetterà di confutare le idee negative. Il completamento del compito si ottiene dividendolo in fasi concrete e gestibili, affiancate dalla riattribuzione verbale dei PAN che interferiscono con il processo. L’assegnazione graduale dei compiti è una tecnica utile anche per superare le continue procrastinazioni e la mancanza di coraggio che questi pazienti spesso manifestano (Fennell, 1989).

Nella parte restante di questo capitolo passiamo in rassegna le tecniche più diffuse per modificare le credenze relative ai PAN e gli schemi, tecniche che, in generale, possono essere classificate come strategie di riattribuzione verbale e strategie di riattribuzione comportamentale.

Riattribuzione verbale

Una delle difficoltà che il terapeuta cognitivo si trova ad affrontare è l’iden-tificazione dei PAN principali che sono all’origine del disturbo. I soggetti possono avere numerosi PAN ed è necessario che la terapia, perché sia efficace, identifichi

308 Ruminazione depRessiva

zione modificando le metacognizioni sottostanti che contribuiscono all’attivazione di uno stile di coping ruminativo, piuttosto che considerando semplicemente i suoi contenuti per sottoporli al test di realtà.

Il modello FA considera la ruminazione come stile di elaborazione collegato agli schemi metacognitivi (piani e credenze) del soggetto, che nella teoria degli schemi (Beck, 1976) vengono distinti dalle credenze disfunzionali più generali (non metacognitive) relative al sé (ad esempio «Sono un disastro» o «Sono inca-pace»), le quali non sono direttamente responsabili dello stile di elaborazione e di coping adottato. Tuttavia, nel modello FA i disturbi dell’umore transitori, associati a una valutazione negativa degli eventi esistenziali, si amplificano fino a diventare esperienze depressive quando il soggetto utilizza un coping di tipo ruminativo, il monitoraggio delle minacce e comportamenti che lo portano inevitabilmente a uno stato di coping negativo, focalizzato sulle emozioni e che si autoalimenta. Nel tempo, la ripetuta attivazione di questa struttura aumenta le probabilità che il soggetto sviluppi una modalità di risposta negativa più stabile. Il trattamento dovrebbe comprendere quindi il tentativo di riportare la ruminazione sotto il con-trollo esecutivo, di mettere in discussione le credenze metacognitive non adattive e di promuovere una maggiore flessibilità nelle modalità di elaborazione.

Questo approccio implica che le recidive che seguono il trattamento della depressione potrebbero essere connesse alla rapidità con cui i soggetti attivano la SCA nei successivi contatti con perdite e difficoltà personali. La vulnerabilità alle recidive rimane comunque piuttosto elevata, dato che gli schemi cognitivi si differenziano dagli schemi generali di sé di tipo negativo e che la TCC (terapia cognitivo-comportamentale) standard si concentra sul tentativo di modificare il contenuto degli schemi che non sono metacognitivi. Un cambiamento diretto dello stile ruminativo e delle metacognizioni alla base della propensione alla ruminazione potrebbe conferire maggiore resistenza nei confronti delle recidive.

Principi generali della terapia metacognitiva per la ruminazione

Il primo obiettivo del trattamento è la valutazione della natura della ruminazio-ne, della sua frequenza di base e delle credenze metacognitive che la sostengono. L’analisi della natura della ruminazione prevede che si valutino sia la possibilità di controllarla che i suoi obiettivi. La frequenza e la durata della ruminazione dovrebbero essere monitorate utilizzando un diario o metodi di valutazione su scala, eventualmente integrati da strumenti standardizzati quali la Ruminative Responses Scale (RRS; Nolen-Hoeksema e Morrow, 1991) e la Rumination on Sadness Scale (RSS; Conway, Csank, Holm e Blake, 2000).

TeRapia meTacogniTiva peR la Ruminazione depRessiva 309

Le credenze metacognitive sulla ruminazione possono essere misurate con strumenti di autovalutazione quali la Negative Beliefs about Rumination Scale (NBRS; Papageorgiou, Wells e Meina, in preparazione) e la Positive Beliefs about Rumination Scale (PBRS; Papageorgiou e Wells, 2001a). Per individuarle sono utili anche i colloqui che analizzano i vantaggi e gli svantaggi della ruminazione, nei quali il soggetto può essere aiutato a esprimere le sue credenze attraverso domande ipotetiche, chiedendogli ad esempio cosa accadrebbe se non fosse in grado di ruminare su una certa situazione.

Inizialmente i pazienti ritengono che la ruminazione sia incontrollabile e in alcuni casi non sono motivati a interromperla completamente, almeno non subito, e questa riluttanza o apparente difficoltà ha origine da diversi fattori. Primo, i pa-zienti potrebbero non essere consapevoli della facilità con cui l’attività ruminativa si diffonde e devono imparare a riconoscerne l’insorgenza. Secondo, i pazienti credono erroneamente che la ruminazione sia incontrollabile, convinzione che deve essere corretta per mezzo di strategie di riattribuzione verbale e comportamentale. Terzo, il soggetto è riluttante ad abbandonare completamente l’attività ruminativa perché la considera utile: in particolare, l’uso continuo della ruminazione è sostenuto dalle credenze positive. Quarto, alcuni pazienti potrebbero non avere un controllo metacognitivo flessibile, in grado di disattivare le risorse elaborative dall’attività ruminativa rivolta a sé. Questo minore controllo esecutivo può essere apparente o reale e viene probabilmente influenzato dalle credenze erronee relative all’incon-trollabilità dei pensieri, dal fatto che un peggioramento della depressione ostacola il controllo esecutivo e/o dal fatto che la continua ruminazione porta all’insorgenza automatica della stessa. In ogni caso, esistono strategie che affrontano questi aspetti e si rivolgono direttamente ai meccanismi metacognitivi implicati nel problema.

Gli obiettivi della terapia metacognitiva sono: (1) familiarizzare i pazienti all’idea che lo stile ruminativo di pensiero e il monitoraggio nei confronti delle minacce (ad esempio un’attenzione eccessiva sui sintomi) sono causa di proble-mi; (2a) facilitare l’abbandono dei pensieri di tipo ruminativo e (2b) aumentare il controllo flessibile sulle cognizioni; (3) mettere in discussione le credenze meta-cognitive; (4) modificare le credenze negative sulle emozioni che alimentano la preoccupazione relativa a se stessi e la paura di recidive.

Tecniche specifiche

1. Familiarizzazione

Nella prima seduta di trattamento, il terapeuta esamina con il paziente lo stile di pensiero e di comportamento associato all’insorgenza della depressione