Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me...

35
1 Indice - Bibliografia pag. 2 - Introduzione pag. 3 - cap. 1° Bioetica e valori nel postmodernopag. 4 1.1 Bioetica nella prospettiva liberale pag. 4 1.2 La teologia morale in dialogo con la bioetica liberale pag. 10 - cap. 2° Aborto: dal possesso al dono pag. 16 2.1 Aborto: alcune indicazioni mediche e giuridiche pag. 16 2.2 Aborto: una questione sociale, morale, pastorale pag. 21 2.3 «Sono forse io il guardiano di mio fratello?» (Gn 4,9) pag. 23 2.4 Se lEthos viene disgiunto dallo Ius pag. 25 - Conclusioni pag. 32

Transcript of Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me...

Page 1: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

1

Indice

- Bibliografia pag. 2

- Introduzione pag. 3

- cap. 1° “Bioetica e valori nel postmoderno” pag. 4

1.1 Bioetica nella prospettiva liberale pag. 4

1.2 La teologia morale in dialogo con la bioetica liberale pag. 10

- cap. 2° Aborto: dal possesso al dono pag. 16

2.1 Aborto: alcune indicazioni mediche e giuridiche pag. 16

2.2 Aborto: una questione sociale, morale, pastorale pag. 21

2.3 «Sono forse io il guardiano di mio fratello?» (Gn 4,9) pag. 23

2.4 Se l’Ethos viene disgiunto dallo Ius pag. 25

- Conclusioni pag. 32

Page 2: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

2

Bibliografia

- AA. VV., Guida alla prevenzione, vol. II, a cura di U. Veronesi, RCS Quotidiani,

Milano 2008.

- AA. VV., Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Paoline, Cinisiello Balsamo 1990.

- H. U. von Balthasar, Il tutto nel frammento, Jaca Book, Milano 1990.

- D. Barsotti, Poesie oltre la parola, Paccagnella Editore, Bologna 2000.

- C. Chiapello, La fecondità cercata, Effetà Editrice, Torino 2005.

- H. Cox, La città secolare, Vallecchi Editore, Firenze 1968.

- H. T. Engelhardt, Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano 1999.

- G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Mondadori, Milano 2009.

- Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, Paoline, Milano1995.

- Idem, Fides et ratio, Paoline, Milano 2003.

- Idem, Veritatis splendor, Paoline, Milano 1993.

- S. Privitera, La questione bioetica nella città oggi, Centro Studi Cammarata,

Caltanissetta 1998.

- M. Pera – J. Ratzinger, Senza radici, Mondadori, Milano 2004.

- A. Russo, Henri De Lubac, San Paolo, Milano 1994.

- P. Singer, Etica Pratica, Liguori, Napoli 1989.

- D. M. Turoldo, Il Dramma è Dio, Fabbri Editori, Milano 1992.

- C. Zuccaro, Bioetica e valori nel postmoderno in dialogo con la cultura liberale,

Queriniana, Brescia 2003.

Page 3: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

3

Introduzione

Il presente lavoro nasce dal seminario di Teologia Morale dal titolo: Morale e

bioetica: principali paradigmi bioetici e diritti umani, condotto dal prof. Antonino La

Paglia nel secondo quadrimestre dell’anno accademico 2009/10. L’obiettivo del

seminario è quello di conoscere non solo la più esatta metodologia scientifica della

bioetica, ma anche di esaminare i pertinenti documenti del magistero e il pensiero di

alcuni autori contemporanei sul tema dei diritti dell’uomo e dei paradigmi bioetici ad

essi connessi. In linea con il mandato del docente, il mio lavoro è partito dalla scelta

dell’autore da studiare e quindi da presentare, in questo seminario, insieme all’esame

di un “caso concreto” o di un “problema aperto”, con il quale declinare al meglio

proprio le riflessioni, il pensiero dell’autore scelto. La mia opzione è ricaduta su di un

testo di Cataldo Zuccaro dal titolo: Bioetica e valori nel postmoderno in dialogo con

la cultura liberale, con l’esamina del “caso concreto” dell’aborto, sul quale riflettere

a partire dalla sollecitazioni dello stesso Zuccaro. Posso motivare la mia scelta, o

meglio le mie scelte, con alcune battute. Il volume, il saggio di Cataldo Zuccaro offre

una serie di riflessioni, provocazioni, stimoli, conoscenze, che difficilmente possono

essere reperite in altri saggi dal tema magari troppo delineato. In senso più specifico,

il volume dello Zuccaro, offre nella prima parte un’ampia panoramica sulle varie

teorie, antropologiche, etiche, giuridiche, della post-modernità, e nella seconda parte

proprio queste vengono, in qualche maniera, fatte “dialogare” con la prospettica

morale e dunque di fede dei cattolici, tramite il metodo della mediazione e non dello

scontro. Quindi per chi si accinge ad una conoscenza di “base” di tutta quanta la

problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo

la mia personalissima prospettiva, un buon reattore di lancio. Sull’aborto, la scelta è

ricaduta anzitutto sul fatto che, dati alla mano, questo metodo, questa “realtà”, causa

più vittime delle recenti guerre che l’umanità ha conosciuto a partire dagli anni

novanta. Proprio per tale motivo, ritengo che questo “male sociale” debba essere

conosciuto ampliamente, e sempre più approfondito, per evitare anche che una coltre

di silenzio cada su questa guerra senza né vinti né vincitori. Il mio lavoro è articolato

in due capitoli: nei quali nel primo presento in maniera pedissequa e fedele il volume

da me scelto di Cataldo Zuccaro, con la distinzione in due paragrafi che rispecchia,

fedelmente il saggio da me scelto; nel secondo presento, come già detto, il “problema

aperto” dell’aborto, nella sua variante medica, giuridica e di rilevanza nella

prospettiva sociale, morale, pastorale, con un paragrafo dedicato a quella dolorosa

“icona biblica” di Caino e Abele, mai estinta e ancora presente anche tramite l’aborto,

e un’ultima riflessione circa il rapporto tra Ethos e Ius.

Page 4: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

4

Cap. 1°:

Bioetica e valori nel postmoderno

1.1 Bioetica nella prospettiva liberale

Di certo non è facile, oggi, descrivere adeguatamente la cultura detta della “post-

modernità”, attorno alla quale sembra che esista una dotta ignoranza. Dobbiamo però

chiederci se la tradizione cattolica non contenga anche alcuni elementi che possano

rappresentare delle occasioni utili per superare la sfida, che proprio l’epoca del

postmoderno e la sua etica pongono.

“Uno dei primi elementi caratterizzanti la post-modernità è il passaggio dal

sistema ai frammenti. Tale trapasso si pone da una parte come l’eredità

dell’illuminismo, dall’altra però contro l’illuminismo riducendo al frammento il

pensiero metafisico e sistematico”1. L’accento viene posto sull’individualità, sulla

singolarità che attraverso un incontro casuale può determinare sempre nuovi ed

inediti significati che sono destinati a scomparire e a dar luogo ad altri significati.

All’interno di un contesto così precario per l’uomo diventa impossibile mantenere

l’unità della sua vicenda esistenziale, poiché egli si costruisce e si distrugge

all’interno di un cambiamento caotico della realtà, nel senso che l’uomo postmoderno

rincorre sempre la propria identità personale senza mai raggiungerla. La nozione

stessa di meta non ha alcun significato, perché diventa impossibile da raggiungere. In

questa situazione il pensiero, la ragione, diventano deboli2, errabondi e nomadi3. Si

tratta del vagabondare di Ulisse piuttosto che del nomadismo di Abramo, il quale

attraversa il deserto con la consapevolezza di una meta da raggiungere, di un fine da

perseguire, attraverso l’obbedienza ad un Dio che si rivela. Il postmoderno è

caratterizzato da una ricerca fine a se stessa, dove il pluralismo diventa una necessità,

perché ciascun individuo, ciascun gruppo, ha lo stesso diritto di ascoltare e di poter

esprimere le proprie istanze. Deriva come conseguenza l’esaltazione della libertà

intesa soprattutto in senso negativo: l’esasperazione della libertà porta infatti a pagare

un prezzo quello della solitudine. Questa libertà appare capricciosa, senza progetto,

indecisa. Il fattore “pluralismo” tocca, in conseguenza, il campo dell’etica, dove non

esistono risposte morali sempre valide, ma solo risposte adatte alle circostanze che si

1 C. Zuccaro, Bioetica e valori nel postmoderno in dialogo con la cultura liberale, Queriniana, Brescia 2003, pp. 13-14. 2 Cfr. C. Dotolo, La teologia fondamentale davanti alle sfide del “pensiero debole” di G. Vattimo, LAS, Roma 1999. 3 Cfr. E. Baccarini, Il pensiero nomade, Cittadella, Assisi 1995.

Page 5: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

5

presentano. Una sollecitazione nasce dalle riflessioni di G. Vattimo, per il quale

l’uomo viene pensato non in termini di ontologia forte, ma di evento che esiste

solamente per apparire. La conseguenza di questi tratti della post-modernità può

determinare il ritorno al religioso. Infatti, se non esiste una via metafisica per

giungere alle risposte morali, è possibile tornare a parlare di fede, sarebbe il ritorno

ad un Dio forte garante della metafisica4. Il ritorno alla religione, alla fede, può essere

“vincente” solo se questo nuovo Dio non è immerso solamente nella sua

trascendenza, ma diviene simile agli uomini.

Ad occhi laici la verità oggettiva non appare mai, ma talune provocazioni il

pensiero etico cattolico deve raccoglierle. Alcuni teologi contemporanei, fra questi

H.U. von Balthasar e Divo Barsotti, hanno cercato di mostrare la continuità tra la

storia parziale degli uomini con la pienezza della salvezza rivelata con il sacrificio del

Cristo5. Ciò certo non significa immaginare un mondo già bello e costituito, ma in

perenne costruzione si. La ricerca etica, con questo contesto sarà, di certo più umile.

Se da una parte il cristiano non può dimenticare che la verità è per lui costituita dal

riferimento al Cristo, dall’altra non può nemmeno dimenticare che solo Cristo è la

verità in persona6. Necessita però ricordare come il Concilio Vaticano II abbia

superato un atteggiamento di colonizzazione della Chiesa nei confronti della società,

una Chiesa che comincia a porsi in ascolto del mondo. La post-modernità contiene

una sfida che può rinnovare la tradizione cristiana, perché essa può riflettere sul

proprio deposito di fede e declinarlo nelle esigenze, nelle problematiche che

l’umanità oggi vive ed affronta. La tradizione cattolica così può veramente offrire un

servizio alla cultura del postmoderno, in quanto, partendo dall’isolamento

dell’individuo presente nella post-modernità, potrà far nascere una domanda di

compagnia che può far giungere l’uomo all’incontro con Dio, quindi all’etica

teologica. La solitudine e lo smarrimento portano in sé i germi del proprio auto-

superamento. In concreto si potrebbe pensare alla controversa questione

dell’attribuzione della personalità all’embrione: il fatto che non tutti ne riconoscano

la personalità, non permette che qualche gruppo imponga una legge che costringa ad

un atteggiamento di rispetto nei loro confronti. Per molti, oggi, non risulta essere

giusto che la Chiesa imponga i suoi principi morali nell’ambito dell’etica pubblica,

soprattutto in considerazione del fatto che gli altri componenti della società lasciano

4 G.Vattimo,Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso, Garzanti, Milano 2002, p. 31. 5 Cfr. H.U. von Balthasar, Il tutto nel frammento, Jaca Book, Milano 1990.

Cfr. D. Barsotti, Poesie oltre la parola, Paccagnella Editore, Bologna 2000. 6 C. Zuccaro, cit., p. 32.

Page 6: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

6

tutti liberi di seguire i propri orientamenti etici. Il ragionamento che ne scaturisce è

questo: non è la realtà che s’impone in forza del valore, ma è la mediazione del

riconoscimento delle persone che determina ed impone il valore a qualsiasi realtà. La

realtà, così, non si definisce più a partire da se stessa, ma a partire dal significato che

essa assume per la persona. Riguardo a questa riflessione la figura di H. T.

Engelhardt è più che significativa e rappresenta di fatti il paradosso di un “credente”

che diviene simbolo della bioetica liberale. Quest’uomo dichiaratamente si confessa

cristiano e dunque pur avendo le sue particolari convinzioni in campo bioetico, se ne

distacca. Egli propone un’etica e una bioetica pubblica che siano imparziali7. Da

questo punto di vista Engelhardt «può essere considerato come un credente paladino

di una bioetica laica»8, infatti, per lui ogni presupposto razionale o religioso che

pretende di fondare un’etica è destinato a fallire miseramente. La società, nella quale

viviamo, è cosmopolita ed è formata da tante comunità particolari, nessuna di queste

comunità però può imporre il suo punto di vista come norma valida per tutti. Da qui

scaturisce la convinzione che l’autorità morale laica è l’autorità del consenso. Infatti,

l’unico fondamento etico possibile rimane alla fine l’accordo stipulato da “stranieri

morali” che concordano sul fatto di evitare di imporre a qualcuno un valore senza che

egli lo accetti. Così nella società ci rispettiamo reciprocamente, rinunciando ad

imporre le nostre convinzioni a chi non li vuole. Engelhardt è coerente fino alle

estreme conseguenze: «dà fondamento al diritto di essere lascati soli, al diritto della

privacy e al diritto di rifiutare le interferenze e le intromissioni degli altri»9. La virtù

basilare del vivere insieme in una società pluralistica senza dubbio è quella della

tolleranza, che consiste nel lasciare che ognuno si realizzi nel cammino che si è

scelto, anche se questo condurrà qualcuno alla rovina assoluta. In questo tipo di

società nessuno può impormi un obbligo morale, rimane sempre un mio diritto il

sottrarmi alla possibilità di bene offerta dagli altri. In sostanza questi principi sono da

ricercarsi nel diritto di autodeterminazione, per cercare il massimo interesse per la

persona. In tale contesto Engelhart introduce la distinzione tra essere umani e

persone, affermando che non tutti gli esseri appartenenti alla natura umana possono

considerarsi persone. Non tutti gli uomini infatti sono autocoscienti, razionali e

capaci di comprendere il biasimo o la lode, tutte caratteristiche che possiede la

persona. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi sono di certo uomini ma non

persone perché non possiedono le caratteristiche prima ricordate.

7 Ibidem, pp. 48-49. 8 S. Spinsanti, La bioetica. Biografie per una disciplina, Franco Angelini, Milano 1995, p. 86. 9 H. T. Hengelhardt, Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano 1999, pp. 124- 125.

Page 7: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

7

Come accennavamo prima, per Engelhardt, ciascuno ha le proprie convinzioni

che però non può far valere per tutti. Più volte, lui stesso, ha affermato di essere

contrario all’aborto, ma nello stesso modo afferma che immettendosi in una

riflessione laica generale, non si può imporre una legge o un principio in una società

composta da comunità particolari che hanno diversi valori e modi di intendere. Per

Engelhardt la distinzione tra esseri umani e persone è principalmente dovuta al fatto

che nella società occorre avere le capacità, anche minime, per entrare in relazione con

gli altri e per sapere mediare i diversi interessi. Chi non può “trattare” nella

negoziazione della vita viene letteralmente escluso e affidato al buon cuore delle

persone da cui dipende la propria esistenza. Gli essere umani, infatti, dipendono in

tutto e per tutto dalle persone, nel senso che possono disporre di loro piacimento

(anche uccidendoli) senza che questo possa causare scandalo nella società laica e

pluralistica10. Nella stessa linea di pensiero troviamo Singer, il quale elabora una

distinzione fondamentale tra essere umani coscienti ed esseri umani autocoscienti, a

cui dà il nome di persone. Singer afferma anche che ci sono persone che non sono

uomini, ma appartengono ad altre specie di animali, come per esempio gli scimpanzé,

le balene o i delfini. «Così dovremmo rifiutare la teoria per cui la vita dei membri

della nostra specie ha più valore di quella delle altre specie. E così sembra che sia più

grave uccidere per così dire, uno scimpanzé, piuttosto che un essere umano

gravemente malato»11. La prospettiva su cui poggiano le riflessioni di Engelhardt,

come di Singer, appare certamente quella di una società futura “a macchia di

leopardo”, composta da tante comunità, ciascuna delle quali è modellata in maniera

propria e irriducibile alle altre comunità.

Conviene continuare la nostra riflessione ponendoci la seguente domanda:

quali sono le ragioni di queste scelte e di queste visioni antropologiche? La risposta

appare come molto semplice. Avendo eliminato ogni riferimento metafisico assoluto,

si è causato lo svuotamento dell’etica da qualsiasi contenuto sostantivo della persona.

Le ragioni di questa riflessione, secondo Engelhardt, sono da ricercarsi nella necessità

di assicurare una società pacifica, in cui ciascuno è libero di rigettare le imposizioni

morali che vengono dall’esterno: si tratta del definitivo tramonto dello stato etico12.

Per questo lo sforzo massimo della società è quello di strutturarsi come arbitro

all’interno di una comunità di “stranieri morali”. Questa società sarà pacifica perché

l’accordo è democraticamente accettato da tutti i componenti. Il compito dello stato è

10 Ibidem, p. 275. 11 P. Singer, Etica Pratica, Liguori, Napoli 1989, p. 102. 12 C. Zuccaro, cit., p. 82.

Page 8: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

8

ancora una volta di natura burocratica, infatti occorre abbandonare l’idea di

un’autorità che possa vincolare moralmente i cittadini. Lo stato, al massimo, può far

rispettare i contratti e riconoscere qualche diritto sociale. Così si spiega anche la

scelta antropologica di Engelhardt, cioè il singolo, o chi per lui, può disporre del

proprio corpo, vendendone una parte, suicidandosi, praticando l’eutanasia, l’aborto.

In pratica queste azioni sono giustificate sul piano etico soltanto in base all’egemonia

della volontà del singolo che decide non rifacendosi affatto al significato etico che

tali azioni possono creare. La domanda determinante non riguarda la correttezza di

“ciò che si fa”, ma la correttezza di “chi lo fa”. Lo sbilanciamento della moralità

sull’agente a discapito dell’atto, ci porta ad esaminare più da vicino in che senso

l’autorità della persona è la fonte della moralità. Di certo stupisce il fatto che

Engelhardt nella sua riflessione non parli praticamente mai della coscienza morale.

Per lui avviene una vera e propria “eclissi della coscienza morale”, in quanto solo la

razionalità, l’autocoscienza e la libertà permettono alla persona di poter negoziare

nella società. La coscienza, così, pare enfatizzata nella sua dimensione psicologica,

come autorevolezza, come coscienza di sé in rapporto agli altri.

Engelhardt introduce a più riprese nella sua riflessione anche il discorso della

libertà, con un’idea dominante di questa sicuramente negativa, perché essa si pone

sempre sul versante della ragione e della consapevolezza e non tanto su quello della

volontà che decide qualcosa. La libertà, insomma, come assenza di vincoli derivanti

da impegni precedenti13. La libertà ancora come assenza di coercizione, per non

impedire all’individuo di realizzare i suoi piani, se egli ne ha le possibilità. Così si

accentua la riflessione “libertà da”, piuttosto che “libertà per”. Da qui deriva anche

un’idea particolare di responsabilità. Questa appare legata esclusivamente al soggetto

agente senza alcun riferimento al di fuori di lui. Infatti, in un contesto in cui non c’è

più nessuna autorità canonica, si torna alle parole di Protagora “L’uomo è misura di

tutte le cose”. Per Engelhardt: «noi dobbiamo rispondere di ciò che facciamo soltanto

a noi stessi e in termini stabiliti da noi»14. Se è lo stesso soggetto che diventa misura

di tutte le cose e di se stesso, questo vuol dire che dipendono da lui anche i parametri

in base ai quali si dà la propria responsabilità. La sua preoccupazione sta nel superare

in maniera definitiva un’impostazione che conduca alle stato etico. Ogni tentativo di

questo genere sta, infatti, alla base delle grandi tragedie della storia umana come

quelle, per intenderci, associate al nome di Stalin o Hitler. In una visione del genere

viene a cadere anche la tensione tra giustizia e legalità. Di conseguenza cambia anche

13 Ibidem, p. 99. 14 H. T. Hengelhardt, cit., p. 431.

Page 9: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

9

il ruolo e l’immagine della medicina: «basti pensare a che cosa significa smettere di

considerare i tossicodipendenti degli immorali per qualificarli coma malati»15. Dentro

questo quadro l’etica deve rinunciare ad informare la medicina, evitando di

canonizzare le proprie visioni come se fossero le uniche vere.

Le riflessioni di Hengelhardt toccano anche il rapporto tra etica e fede, in

particolare sul versante della teologia. La provocazione iniziale sta nel fatto che

l’autore si dichiara cattolico ortodosso, per poi criticare in maniera radicale la fede,

che a partire dal medioevo si sarebbe alleata con la ragione e con il potere, cercando

di convincere gli altri mediante l’inevitabilità delle prescrizioni morali. Lo stato, così,

si fece garante di una sola parte della società, divenendo di fatto illiberale. Emerge in

lui l’impossibilità di riuscire a giustificare la bioetica sul piano della fede, all’interno

di una società laica e pluralistica. Si rompe, di fatto, la continuità tra etica e fede, tra

filosofia e teologia.

A questo punto noi abbiamo la facoltà di domandarci: quale etica per la

bioetica? Di certo possiamo subito affermare che l’etica, soprattutto in una società

pluralistica, non può essere confusa con la teologia cattolica, ma nemmeno con la

libertà individuale. L’etica deve piuttosto configurarsi come la ricerca della

condizione di possibilità16. Un principio importante che può farci discutere, riguardo

il quesito precedentemente posto, è quello della sacralità della vita che si oppone a

quello della qualità della vita. Nel primo caso avremo la vita intesa come dono che

non può essere “gestito” secondo i nostri interessi, nel secondo caso invece avremo la

vita come opportunità da sviluppare al meglio delle proprie possibilità. La tensione,

tra l’abbandono alla volontà di Dio e la ricerca dell’autonomia umana dell’agire,

continua ad essere presente nella riflessione morale contemporanea e sembrerebbe

che, eliminando i presupposti religiosi, anche la soluzione etica dei problemi legati

alla vita umana resterebbe senza fondamento.

15 Ibidem, p. 251. 16 C. Zuccaro, cit., p. 115.

Page 10: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

10

1.2 La teologia morale in dialogo con la bioetica liberale

Occorre, adesso, mostrare la prospettiva della tradizione cattolica in rapporto

alle categorie fondamentali della morale con l’occhio attento al contesto dei temi

legati all’etica della vita umana. Intanto bisogna accogliere il monito del pensiero

liberale riguardo alla difficoltà cui va incontro una fondazione metafisica dell’etica.

Come abbiamo visto, la riflessione di Engelhardt porta ad enfatizzare la centralità del

soggetto nella possibile costruzione di una dimensione politica dell’etica. Ripartendo

da questa provocazione noi potremmo fondare la morale a partire dalla persona.

Strutturalmente la persona è costituita dalla relazione con gli altri, sin dal suo inizio

biologico. Pertanto la nozione di etica è derivabile non tanto da leggi o principi,

quanto dal fenomeno dell’alterità. Questa è una vera e propria alternativa alla visione

individualistica dell’uomo, l’alternativa del dono. Concepire la vita come dono

significa che la persona accoglie l’altro che incontra in modo incondizionato. Si tratta

di un rovesciamento di prospettiva a 360 gradi: l’altro non è più concepito a partire da

me, ma sono io che mi concepisco a partire da lui. Da questa antropologia può

scaturire «l’etica dell’accoglienza»17, che fa della persona un essere aperto e

predisposto alla ricezione e al dono. A partire degli anni settanta si è sviluppato un

dibattito sul rapporto tra fede e morale che ha portato alla consapevolezza che l’etica

non è la religione, ma può essere patrimonio comune a tutti gli uomini anche per

quelli non credenti. All’interno di questo contesto l’interpretazione e l’azione del

credente sarà quella di trarre un significato provvidenziale da ogni avvenimento: si

dovrebbe così affermare l’esistenza di una morale non autenticamente cristiana, ma

solo un’intenzionalità specificamente cristiana nel vivere la morale di tutti. Di per sé,

dunque, ciò che non si può comunicare in termini condivisibili per tutti è il Cristo

accettato nella fede. La morale, però, non solo può, ma deve rivendicare una sua

autonomia nei confronti della fede, che dal canto suo può portare un contributo alla

riflessione etica, per questo motivo non si può rifiutare la proposta della teologia.

Allora appare necessario aprire ogni singolo sistema scientifico in modo che, pur

mantenendo la propria autonomia, riesca a dialogare con altri punti di vista, il

risultato finale e sperato di questo rapporto è quello di avviare una riflessione verso

un senso globale della realtà. L’attuale riflessione della teologia morale ha piena

consapevolezza della sua dimensione antropologica, ma rimane discutibile dove porre

le frontiere invalicabili che il creatore ha previsto riguardo alla natura. Senza tale

17 Ibidem, p. 146.

Page 11: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

11

consapevolezza la scienza corre il serio rischio di determinare in modo

autoreferenziale il giudizio antropologico.

Il rispetto dell’autonomia della persona nel decidere è un’istanza, oggi, molto

diffusa e molto forte, spesso invocata per esempio per il diritto all’eutanasia. Questa

riflessione è sostenuta dal cosiddetto “principio di autonomia”, con il quale la persona

diventa “norma a se stessa” ossia decide il proprio piano di vita sulla scorta di una

propria visione del mondo. Nessuno, con questi presupposti, è in grado dall’esterno o

dall’alto di determinare la decisione libera di una persona. Rifacendoci ad un caso

concreto quello di tante richieste di eutanasia, possiamo parlare di quel malato che

non è più in grado di far capire le proprie intenzioni. Il discorso consiste nel

chiedersi: se quel malato, che non è più in grado di esprimere la propria volontà,

avesse mantenuto, nonostante un testamento biologico favorevole all’eutanasia, la

capacità di nutrire una volontà interna contraria a quella precedentemente esposta,

non verrebbe così contraddetto il principio di autonomia eseguendo il suo

testamento?18. Sono questi gli interrogativi che richiedono un intervento che possa

rispondere in maniera oggettiva alla situazione del malato. Naturalmente, pur essendo

teorico, il discorso impone una necessaria applicazione nella prassi politica. Il

discorso però non deve vertere sul valore della libertà, ma va orientato dai valori

riconosciuti e accolti non in forza della propria ideologia o di una religione

particolare, ma solo in forza dell’autentica interpretazione del valore stesso. Non si

tratta dunque di un ritorno allo stato etico. Così la soluzione raggiunta non deve

essere giudicata una violenza e un sopruso nei confronti della minoranza, bisogna

lasciarsi guidare dalla ricerca del bene comune. Spesso, infatti, il principio di

autonomia nasce di certo per rispettare l’alterità, ma conduce, nella sua logica interna,

ad un rapporto di estraneità con l’altro, il quale è talmente altro che mi diventa

estraneo, e ciò significa abbandonare la persona a se stessa. Questa concezione di

persona è indubbiamente a-storica, soprattutto nella società attuale radicata in un

contesto di fitte relazioni. Il contrario del principio dell’autonomia non significa

giocoforza intrusione arbitraria e sopraffazione dell’altro, ma in un contesto di

comunità è la reciprocità, il rispetto degli altri a mantenere il legame. Autonomia non

è soffocare, ma rispondere al pianto di chi è appena nato e raccogliere il rantolo di chi

sta per morire19. Un tale concetto di autonomia suppone un’antropologia di fondo che

possa sostenerla e che può basarsi sul fatto che la persona non viene da se stessa, non

si auto-genera, ma è debitrice della vita da altri. Pertanto all’origine della sua

18 Ibidem, p. 165. 19 Ibidem, p. 171.

Page 12: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

12

esistenza si riscontra la “cifra del bisogno” che segnerà per sempre la sua vita. In

questo contesto non è difficile immaginare la persona costituita come “aperta”.

L’altro sarà, per me, dono che mi viene offerto e compreso non come strumento, ma

come risposta al proprio bisogno di essere. Si passa, in questo modo, da un

atteggiamento di domanda di essere ad un atteggiamento di risposta al bisogno

dell’altro. Secondo il nuovo paradigma antropologico, in risposta alle tesi di

Engelhardt, appare chiaro come l’altro è inteso come dono da accogliere e da mettere

in condizione di svilupparsi.

L’interpretazione teologica di questa antropologia si può fare a partire

dall’icona del buon samaritano, il quale si lascia interpellare dal bisogno del

malcapitato incappato nei briganti e cerca di rispondervi personalmente, secondo le

sue possibilità. Cristo, buon samaritano, si apre e si lascia raggiungere dalle ferite

dell’umanità. Cristo è la risposta di Dio alle domande dell’uomo. Il cristiano, come il

Maestro, si lascia plasmare dall’obbedienza al Padre e alla necessità dei fratelli. Così,

per il discepolo di Gesù, autonomia dice libertà di poter accogliere e darsi agli altri a

seconda delle proprie peculiarità e capacità. In un mondo che ci “condanna” alla

socialità, si potrebbe credere che proprio l’assenza della passione e delle emozioni

rappresenterebbe la condizione migliore per operare la decisione. In ogni decisione il

soggetto è coinvolto nella scelta, e dopo ogni scelta la persona è come se configurasse

nuovamente se stessa, sulla base del valore morale realizzato dalla decisione. Infatti

osservando le nostre decisioni, ci accorgiamo che esse hanno una sorta di cuore

nascosto che le anima dall’interno, che potrebbe essere la fede. Ogni decisione, però,

non solo plasma noi in un certo modo, ma, nello stesso tempo, costringe anche gli

altri ad entrare in una rete di relazioni che sono caratterizzate dal nostro “nuovo” che

deriva dalla scelta operata. Si dovrebbe meglio comprendere, in questo contesto, la

convinzione che ogni nostra decisione modifica la precedente rete di relazioni e offre

nuove possibilità di stabilire rapporti interpersonali. Il dinamismo di ogni nostra

decisione coinvolge necessariamente gli altri in una di queste due logiche: di

altruismo oppure di egoismo. L’altro in questo senso può ritrovarsi nella mia scelta o

come concorrente che limita le mie possibilità, oppure come una persona che con il

suo contributo rende possibile la mia realizzazione20.

La sede morale della decisione è la coscienza. Ad essa ciascuno di noi fa

appello per giustificare le proprie decisioni. In realtà anche la coscienza deve fare i

conti con una verità oggettiva che essa non può manipolare nell’interesse della

persona che sceglie. La coscienza corre dei rischi: può essere infatti “vuota” se la

20 Ibidem, p. 183.

Page 13: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

13

persona non s’informa prima di scegliere; può essere “delegata” se la persona si

affida ad un leader o ad una particolare corrente di pensiero. La coscienza deve fare i

conti, sempre, con il principio “responsabilità”, attraverso il quale niente e nessuno

può sostituire il compito che è affidato esclusivamente ad essa. Questa responsabilità

della coscienza non si ferma al momento della decisione, ma va avanti nel campo di

tutto l’essere e di tutto l’agire dell’uomo. La fede cristiana non distrugge, certo, il

dinamismo della decisione etica, anzi, al contrario, si può affermare che l’adesione di

fede è un fatto di coscienza. Una volta accolta, la fede, non sconvolge il fenomeno

morale, piuttosto apre al credente un orizzonte di senso caratterizzato da una novità

radicale: Cristo.

Con questi presupposti, adesso, possiamo esaminare l’espressione “sacralità

della vita”. Per Dworkin il concetto di sacro è analogico, nel senso che va assunto al

di là della ristretta accezione religiosa e misterica. Infatti, se assumiamo il termine

sacro come sinonimo di valore, ci potrebbe essere un accordo tra le posizioni liberali

e quelle conservatrici21. Diventa, così, di estrema importanza verificare che cosa le

fonti della teologia cattolica intendono per “sacralità della vita”. La teologia morale

ha compreso maggiormente che non è possibile un’autentica sacralità della vita

umana, se non dopo averla purificata da ogni elemento di ritualismo magico e

pagano22. Oltre alla dimensione religiosa e sacra, occorre prestare particolare

attenzione anche al concetto di “vita umana”. Non si può ridurre la vita umana alla

sola dimensione fisica, secondo una concezione vitalistica. D’altro canto non si può

esaltare la dimensione spirituale della libertà fino a rendere effimera la dimensione

personale del corpo. Sul piano dell’etica perciò il pensare dovrà articolarsi sulla base

di una concezione unitaria della vita umana. Inoltre la riflessione morale condotta sub

luce Evangelii non dovrebbe accantonare il confronto con la filosofia, perché questa

può interrogarsi sulla possibilità di trovare un fondamento capace di rispondere alle

domande di senso. La sacralità della vita umana si definisce innanzitutto in base al

suo riferimento a Dio, in quanto creatore e signore. Il carattere sacro può anche essere

compreso a partire della dignità dell’uomo stesso. Il discorso sulla sacralità della vita,

però, chiama in causa in primo luogo la teologia, per quel che concerne la creazione e

il rapporto che Dio instaura con la sua creatura, evitando l’interpretazione di ridurre

la presenza di Dio al solo atto iniziale della creazione. La dipendenza dell’uomo da

Dio non deve essere compresa da schiavi, ma da figli. Infatti nel rapporto creaturale

dell’uomo con Dio, la responsabilità della persona permane non per via della sua

21 Cfr. D. Dworkin, Il dominio della vita, Edizioni di Comunità, Milano 1994. 22 C. Zuccaro, cit., p. 196.

Page 14: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

14

dipendenza assoluta da Dio, ma proprio in forza di essa. L’uomo possiede sempre più

se stesso, nella misura in cui dipende da Dio. Di fatto, così, si giunge alla conclusione

di un uomo considerato come partner di Dio, che lo chiama ad un rapporto

interpersonale, sulla base di una vocazione d’amore. Proprio in forza del suo essere

creaturale, l’uomo ha il mandato di intervenire sulla propria vita e sul mondo. Egli,

però, realizza se stesso nella sottomissione alla verità23. L’uomo non potrà mai

giustificare un’autonomia senza, o peggio ancora, contro Dio. Insomma, il rapporto

tra Dio e l’uomo non può essere compreso né secondo un “modello feudale”, nel

quale il servo (l’uomo) appartiene al suo feudatario (Dio), né secondo un “modello

commerciale”, nel quale Dio e l’uomo si farebbero concorrenza riguardo alla signoria

da esercitare sul mondo: l’autonomia dell’uomo non va vista come in contraddizione

con la sua dipendenza assoluta da Dio. La descrizione del concetto di responsabilità

dell’uomo è davvero complessa. Prima di essere responsabile sulla base degli effetti

prodotti dal suo agire, anzitutto l’uomo è responsabile nei confronti di se stesso. In

prospettiva teologica, l’identità cristiana è fondata sul Cristo, in vista del quale

l’uomo è stato creato. Con questo presupposto la responsabilità assume una

connotazione interpersonale e sociale, in cui emerge il farsi carico degli altri. La

responsabilità è così intesa come vita e come azione da persona a persona. Per tale

motivo la responsabilità sta nel cuore dell’etica, nel senso che il rapporto io-tu è

interpretato a partire dall’altro e non da se stessi.

Le riflessioni precedenti non sono ancora in grado di determinare la soluzione

di tanti casi concreti, in cui può venirsi a trovare la vita umana in condizione di

limite. Però possiamo affermare che è Dio stesso che chiede all’uomo di vivere

responsabilmente la propria vita e la propria morte. In un contesto di riflessione

teologica, la ricerca della volontà divina da parte dell’uomo si pone in termini

vocazionali, poiché si suppone che il credente abbia aderito alla persona di Cristo24.

In questo dinamismo l’uomo è portato a concepire la propria vita in Dio, il credente

così può trovare la chiave per realizzarsi nelle concrete vicende della storia. Pertanto

è la propria fedeltà al disegno divino che fonda la responsabilità dell’uomo nei

confronti del suo vivere e del suo morire, cercando di fecondarli di senso. Occorre,

nella nostra riflessione, avere anche un quadro completo della legge naturale. L’uomo

infatti, oggi, non è più considerato al di fuori della natura, ma al di dentro, per cui più

che determinare le sorti della natura egli la subisce. Quello della legge naturale non

costituisce un aspetto formale ed esplicito della Bibbia. La natura all’interno della

23 Ibidem, p. 203. 24 Ibidem, p. 226.

Page 15: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

15

riflessione biblica viene inserita in una visione religiosa: è un’occasione che Dio offre

all’uomo perché entri in dialogo con lui25. Natura quindi da intendere non nel suo

aspetto di nativa peccaminosità, ma in chiave positiva, cioè come possibilità in Cristo

di ricevere una nuova “natura soprannaturale”26. Il punto di partenza per comprendere

la legge naturale, in tutto il Nuovo Testamento, è la grazia di Cristo, che per

l’apostolo Paolo non è nient’altro che l’agape di Dio. Partendo da questo

presupposto, la legge naturale non ha nulla a che vedere con rigide formulazioni

normative che specificano il comportamento dell’uomo. Al contrario, la realizzazione

della legge naturale è affidata alla decisione libera e consapevole che l’uomo prende

nel seno della comunità. Anche un veloce sguardo alla storia della filosofia può

aiutarci a superare l’idea di una legge naturale considerata come seguito di regole

dettate dalla natura fisica di piante e animali. La natura per Aristotele si radica dentro

il quadro di un ordine universale. Per il filosofo greco l’uomo vive secondo natura

quando riesce con l’intelletto ad ordinare in modo ragionevole tutte le inclinazioni

naturali inferiori. Così la legge naturale, già nel pensiero aristotelico, non si ferma ad

accettare passivamente qualsiasi istinto in modo arbitrario. Essa riveste in modo più

che evidente un significato antropologico. Gli stoici, invece, intesero la natura in

modo più oggettivato, specificando il senso della natura accanto ad un’accezione

fisica del termine, sul quale pongono maggiormente l’accento. È questo pensiero che

in parte verrà assunto e trasmesso nella Chiesa dei primi secoli attraverso i Padri. Per

loro la legge naturale diventa la nativa costituzionale finalizzazione dell’uomo,

creatura di Dio, verso il compimento del bene27. S. Tommaso si pone come momento

di sintesi di tutta la tradizione patristica che corregge alcuni aspetti della natura, quali

la concezione panteista e fisicista. La legge naturale si comprende, per l’Aquinate, a

partire da una duplice prospettiva: la legge eterna, con la quale Dio provvede al

governo del mondo, e la ragione umana, che sta al fondo di ogni legge28.

Nel panorama teologico morale contemporaneo il tema della legge naturale

continua ad occupare un posto preminente. Diventa, per questo motivo, ancora più

urgente chiarire sempre più il concetto di legge naturale. La riflessione teologica è in

debito rispetto alle provocazioni che le vengono rivolte dal pensiero laico. Mi pare,

però, che, nonostante qualche residuo di comprensione equivoca, sia ormai

definitivamente tramontata l’errata interpretazione fisicista della legge naturale29.

25 Ibidem, p. 230. 26 Cfr. A. Russo, Henri De Lubac, San Paolo, Milano 1994. 27 C. Zuccaro, cit., p. 237. 28 Ibidem, p. 239. 29 Ibidem, p. 244.

Page 16: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

16

Cap. 2°:

Aborto: dal possesso al dono

2.1 Aborto: alcune indicazioni mediche e giuridiche

L’aborto è l’interruzione prematura di una gravidanza. Questa può avvenire per

cause naturali (aborto spontaneo) o può essere provocata artificialmente (interruzione

volontaria della gravidanza). L’aborto può essere così classificato secondo l’età

gestionale in cui si manifesta:

- Aborto embrionale (entro le prime sette settimane)

- Aborto fetale (a partire dall’ottava settimana)

- Aborto tardivo ( dopo le ventuno settimane di gestazione)

L’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) consiste nell’interruzione

dello sviluppo dell’embrione o del feto e della sua rimozione dall’utero della

gestante. La pratica dell’aborto volontario viene svolta, nella maggior parte dei paesi

del mondo, a discrezione della donna nei primi mesi della gestazione, in presenza di

gravi malformazioni al feto, nei casi di pericolo per la salute della madre, ma anche

per altri motivi indipendenti dalla condizione di salute della madre o del feto (come la

condizione economica, familiare, psichica, sociale).

Esistono diverse tecniche di aborto, fra le quali ricordiamo:

Estrazione mestruale: si tratta di un aborto per aspirazione molto precoce, spesso

fatto prima che la prova di gravidanza possa risultare positiva.

Aspirazione: l’aborto per aspirazione è oggi la procedura più comunemente

praticata. Circa il 90% di tutti gli aborti accadono nel primo trimestre, e questo

metodo riguarda la stragrande maggioranza degli aborti che si operano nel primo

trimestre di vita. Prima che la procedura inizi, la cervice della donna deve essere

immobilizzata e dilatata manualmente in modo da permettere l’inserimento,

nell’utero, di un tubo vuoto di plastica con all’estremità una lama tagliente. Questo

tubo è collegato ad una macchina di aspirazione che è in grado di aspirare l’embrione

o il feto uccidendolo. Gli aborti per aspirazione non sono effettuati generalmente

nella prima settimana o dopo la quindicesima settimana.

Dilatazione e taglio con curette affilato: nell’aborto per dilatazione e taglio, un

curette affilato è usato per smembrare e rimuovere l’embrione o i feti dall’utero della

Page 17: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

17

madre. Il curette è inserito direttamente nell’utero della madre e utilizzato per

raschiare, prima l’embrione o il feto e quindi la placenta fuori dall’utero della madre.

La perdita di sangue è generalmente abbondante.

Dilatazione ed espulsione: la dilatazione ed espulsione è una procedura di aborto

che si attua nel secondo trimestre. Per la riuscita della procedura, la cervice della

donna deve in primo luogo essere dilatata per un periodo di due o tre giorni prima

dell’aborto. Quando donna ritorna in clinica per abortire, vengono inseriti i forcipi

nell’utero, attraverso la cervice ingrandita. L’abortista allora utilizza il forcipe per

smembrare il feto afferrando un piedino o un braccio e torcendolo fino a che non si

strappi e non possa essere estratto dall’utero. Continuerà questa macabra esecuzione

fino a che non rimanga soltanto la testa. Infine il cranio è schiacciato ed estratto. Le

parti del corpo devono essere riunite per accertarsi che l’intero feto sia stato rimosso.

Dilatazione ed estrazione: la dilatazione ed estrazione (spesso denominata parto

parziale) è una tecnica usata durante il secondo o terzo trimestre di vita e solitamente

è effettuata su un feto già ben formato. I forcipi, infilati nel canale cervicale, sono

utilizzati per posizionare il feto con i piedi in direzione di uscita e la faccia in giù, in

modo da poterlo asportare. Il corpo del feto viene tirato nel canale di nascita, ma la

testa (troppo grande per passare attraverso la cervice) è lasciata all’interno. Le braccia

e i piedi esposti (e probabilmente flagellati) si muovono, ed il piccolo feto viene

orribilmente terminato dall’abortista che inserisce delle forbici chirurgiche smussate

nella base del cranio fetale allargando le punte per dilatare la ferita. Un aspiratore è

inserito nel cranio ed il cervello è succhiato fuori. Il cranio, privo del cervello, si

assottiglia fino a che la testa del bambino non possa passare attraverso la cervice.

Isterotomia: questo metodo è usato solitamente in gravidanze avanzate ed è

paragonato ad un taglio cesareo anticipato. L’addome e l’utero della madre vengono

aperti chirurgicamente ed il feto è fatto uscire. Purtroppo, molti di questi bambini,

una volta rimossi dal grembo materno sono ancora vivi. Si è saputo che, per uccidere

i bambini, alcuni abortisti erano soliti immergerli in secchi d’acqua oppure li

soffocavano nella placenta. Altri ancora tagliavano il cordone mentre il bambino si

trovava all’interno dell’utero così da privarlo del necessario ossigeno.

Aborto da iniezione salina: gli aborti da dilatazione ed estrazione hanno in gran

parte sostituito questa tecnica abortiva. Il rischio estremo per la madre, ha di fatto

diminuito drasticamente il ricorso a tale pratica in passato assai ricorrente. Negli

aborti ad iniezione salina, fatti dopo la sedicesima settimana, un grande ago viene

inserito tramite la parete addominale della donna e nel sacco amniotico del bambino.

Una soluzione salina concentrata è iniettata nel liquido amniotico con conseguente

avvelenamento acuto da sale. Il bambino che respira e deglutisce la soluzione

Page 18: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

18

solitamente muore in un paio di ore. La disidratazione, l’emorragia del cervello, i

gravi danni agli organi e la pelle bruciata inoltre sono fattori che contribuiscono ad

accelerare la morte dei feti. Generalmente la madre il giorno successivo all’iniezione

consegna agli abortisti il proprio neonato morto.

Aborto da prostaglandine: l’ormone iniettato o assunto tramite supposte, produce

una violenta reazione. Se il feto è abbastanza cresciuto può sopravvivere al trauma, e

continuare a vivere, ma è solitamente troppo piccolo per sopravvivere.

Aborto Medico (RU 486): Recentemente, le tecniche di aborto non chirurgiche

stanno aumentando. Gli aborti medici sono una procedura in due tappe e l’efficacia

abortiva è garantita solo sugli embrioni formati nelle prime sei o sette settimane di

gravidanza. Si comincia il processo prendendo la prima pillola (RU-486) per inibire

l’ormone responsabile della produzione del rivestimento nutriente dell’utero durante

la gravidanza. Una volta che l’utero si compromette, l’embrione muore di fame. Due

giorni dopo l’assunzione della prima pillola, la donna assume una dose di misoprostol

per far partire le contrazioni uterine. La maggior parte delle donne espelle l’embrione

morto entro quattro ore dall’assunzione del secondo farmaco. La chiamata finale (la

terza) deve avvenire due settimane dopo, per accertarsi che l’aborto sia

effettivamente avvenuto. Se l’embrione non è stato abortito sarà richiesto un aborto

chirurgico.

Aborto per parto parziale: l’aborto per parto parziale comincia quando il dottore

prende con una pinza il bambino dal ventre materno. Quando i piedi del bambino

sono fuori dall’utero, l’abortista lo prende con le sue mani e lo tira fuori, come se si

trattasse di un parto naturale, però assicurandosi che esca con i piedi. Quando il

bambino è fuori con il corpo ma la sua testa è ancora dentro il ventre materno,

l’abortista gli trafigge la nuca con delle forbici.

Quali sono le conseguenze di un aborto sulla salute? Le possibili conseguenze

sulla salute della donna variano considerevolmente a seconda della situazione. Va

dunque anzitutto considerato il motivo per cui si ricorre all’aborto procurato, e cioè

se siano motivi inerenti allo stato di salute della donna o meno. Dal punto di vista

fisico, se l’aborto avviene nelle prime otto settimane il rischio è pressoché inesistente

e più basso del parto. Il rischio aumenta al progredire della gestazione. Le

complicanze più frequenti sono: perforazioni all’utero, alla vescica a all’addome,

causate da imperizia o dagli eventuali bruschi movimenti imprevisti della paziente.

Un aborto non propriamente eseguito può portare a schock settico se rimangono

residui nella cavità uterina. Allo stesso modo può generarsi infertilità e nei casi più

gravi la morte, che è in massima parte connessa ai rischi dell’eventuale, e quindi

Page 19: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

19

sconsigliata, anestesia totale. Va ricordato che un ridottissimo numero di casi di

aborti non va al termine e la gravidanza prosegue, dando luogo regolarmente alla

nascita del bambino. Questa eventualità, molto rara, si verifica nei casi in cui la

gravidanza sia in fase molto avanzata. È evidente, quindi, il motivo per cui la legge

obblighi il ricorso a personale medico competente e a strutture adeguate. Solo in

queste condizioni è possibile minimizzare i rischi anche nelle situazioni più

sfavorevoli.

Prima del 1975 l’aborto in Italia non era consentito, e anzi veniva sanzionato

dalle norme contenute nel titolo X del libro II del codice penale; tuttavia, la

giurisprudenza applicava con una certa frequenza come causa di giustificazione lo

“stato di necessità”, previsto dall’art. 54 dello stesso codice, ritenendo non punibile

l’intervento abortivo reso necessario per salvare la vita della gestante e, in taluni casi,

anche per ragioni di salute, seppure gravi: era una soluzione che valutava

l’interruzione della gravidanza in termini di illiceità, salvo rinunciare all’applicazione

della pena nel caso concreto, in presenza di circostanze di fatto rigorosamente

verificabili. Il primo sensibile mutamento di rotta avviene nel 1975, con la sentenza

della Corte Costituzionale n. 27 che, pur riconoscendone “fondamento costituzionale”

alla “tutela del concepito” nell’art. 2 della Costituzione, posto a garanzia dei diritti

inviolabili dell’uomo, compie un salto quando afferma che “…non esiste equivalenza

tra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come

la madre, e la salvaguardia dell’embrione, che persona deve ancora diventare”, quasi

che si possa distinguere tra persona in senso assoluto e persona in senso relativo.

Questa decisione ha, di fatto e di principio, aperto la strada all’aborto che è stato

introdotto con la legge n. 194 del 22 maggio 1978, la quale indica la pratica abortiva

con l’eufemismo “interruzione volontaria della gravidanza”, suddividendo in modo

del tutto arbitrario la vita intrauterina in tre periodi, fissando per ciascuno di essi una

differente disciplina.

Il primo periodo: regolamentato dagli articoli 4 e 5, coincide, pur se in modo non

del tutto esatto, con i primi novanta giorni della gestazione, nel corso dei quali è di

fatti ammesso l’aborto senza limiti. Ogni ragione è valida, dalle condizioni

economiche, sociali e familiari, alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento,

alle previsione di anomalie o malformazioni del nascituro. La gestante si può

rivolgere al consultorio, o a una struttura socio-sanitaria, oppure al proprio medico di

fiducia: costoro secondo la previsione di legge, dovrebbero indurla a riflettere e

dissuaderla dall’aborto, prospettando le possibili alternative. Se ravvisano l’urgenza

dell’intervento, rilasciano un certificato con il quale la donna può immediatamente

Page 20: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

20

recarsi ad abortire. In concreto, non ha alcun rilievo la ragione avanzata dalla gestante

a sostegno della propria decisione: poiché non è prevista alcuna verifica della sua

fondatezza.

Il secondo periodo: il secondo periodo, disciplinato dagli artt. 6 e 7, è quello

compreso fra il quarto mese di gravidanza e la possibilità di vita autonoma del feto e

quindi non è determinabile a priori. In tale arco temporale l’aborto può praticarsi per

motivi terapeutici e perciò anche in riferimento alla salute psichica della donna.

Queste indicazioni vanno medicalmente accertate, pur se la genericità delle

formulazioni non consente una verifica rigorosa.

Il terzo periodo: è quello compreso fra il momento della vitalità del nascituro e la

nascita dello stesso: l’aborto è praticabile solo se è in pericolo la vita della donna.

La legge n. 194 prevede inoltre l’assenso dei genitori o del tutore per

l’interruzione della gravidanza di una minore e, in mancanza, l’autorizzazione del

giudice tutelare.

“La legge si propone di: azzerare gli aborti terapeutici; di ridurre gli aborti

spontanei; di assistere quelli clandestini. Si propone inoltre di favorire la

procreazione cosciente, di aiutare la maternità, di tutelare la vita umana dal suo

inizio”. Con queste parole uno dei relatori della legge sull’aborto, l’on. Giovanni

Berlinguer, ne riassumeva gli intenti e gli obiettivi; trentadue anni costituiscono un

tempo più che considerevole per verificare se questi ultimi siano stati eseguiti.

Gli aborti terapeutici invece di azzerarsi sono aumentati a dismisura, con una

media di poco inferiore ai duecentomila l’anno30, e un rapporto annuo che è di un

aborto ogni tre o quattro nati vivi. I dati diffusi annualmente dal ministero della

Sanità, dimostrano, inoltre, che il profilo medio della donna che fa ricorso all’aborto

è nella gran parte dei casi coniugata in età compresa tra i venticinque e i trentaquattro

anni, con un sufficiente livello di istruzione, e con non più di due figli. La legge ha

fallito pure sul versante della lotta alla clandestinità perché, sempre in base alle stime

ministeriali, l’aborto clandestino si attesterebbe attualmente fra le cinquanta e le

sessantamila unità l’anno. Quanto all’aiuto alla maternità e alla tutela della vita

umana, resta solo la constatazione di una grande ipocrisia perché, senza che esista

nell’ordinamento giuridico una legislazione di reale accoglienza della vita, la legge n.

194 ha conferito il “diritto” di sopprimere ciò che fa diventare madre, e quindi di

violare la natura umana.

30 Tutti i dati presenti nella seguente sezione sono tratti da: AA. VV., Guida alla prevenzione, vol. II, a cura di U.

Veronesi, RCS Quotidiani, Milano 2008.

Page 21: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

21

2.2 Aborto: una questione sociale, morale, pastorale

La questione dell’aborto è sicuramente molto dibattuta, anche se viene

affrontata spesso con toni molto accesi. La mancanza di obiettività, tipica della

discussione caratterizzata da pressioni ideologiche, crea il più delle volte contrasti e

sovrapposizioni tra il livello medico, quello socio-giuridico e quello morale. È

naturale che non si può formulare né una severa valutazione del “dramma”

dell’aborto, né una sua soddisfacente soluzione a livello sociale, se ci si lascia

influenzare da interpretazioni ideologiche o da approcci sentimentali. Almeno su di

un punto, quasi tutti, ormai sembrano d’accordo: l’aborto in sé non è un bene, ma

anzi è un male che va estirpato dalla società. Circa i modi per giungere a liberare la

donna e l’intera società dal male dell’aborto si stenta molto a trovare valide soluzioni

che possano convincere tutti. L’impressione, però, è che da tempo si cerca di coprire

questa problematica con un velo di silenzio, che vorrebbe mettere in soffitta i tanti

problemi irrisolti. Le riflessioni su questo tema sono, inoltre, “arricchite” con termini

piuttosto ipocriti, come l’espressione interruzione volontaria della gravidanza, o

pillola del giorno dopo (RU 486), che pur essendo un abortivo è definita

contraccettivo d’emergenza. Di certo però nessuna parola vale a mutare lo stato delle

cose: «l’aborto procurato è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata,

di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il

concepimento e la nascita»31.

La pratica dell’aborto esiste da molti secoli, assai antica è anche la

riprovazione morale dello stesso, come dimostra il Giuramento di Ippocrate, in cui si

dice: «non darò mai ad una donna un rimedio abortivo». La disapprovazione etica

dell’aborto non si basa primariamente su motivi confessionali, ma sulla sua intrinseca

illiceità, quale appare alla coscienza di ogni uomo. Non è sullo scontro confessionale,

dunque, che si può fondare l’analisi di questa problematica.

Le tecniche abortive oggi si diffondono sempre più, grazie anche all’opera

delle grandi case farmaceutiche e di alcune istituzioni pubbliche, originando quella

che Giovanni Paolo II ha definito: «una congiura contro la vita»32. Con difficoltà però

si potrà dire che l’aborto sia una questione esclusivamente privata, che attiene alla

sola coscienza dell’individuo e non comporta alcuna ricaduta di carattere pubblico.

Oggi prevale un’errata concezione della libertà individuale, che interpreta la società

solo come una sorta di “sfondo esteriore” nel quale agire secondo i propri interessi 31 Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, Paoline, Milano 1995, p. 88. 32 Ibidem, p. 21.

Page 22: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

22

soggettivi e concepisce l’ordinamento giuridico di uno Stato solo come la

registrazione passiva dei convincimenti di una maggioranza delle persone, senza

interrogarsi sui risvolti morali delle leggi promulgate.

L’embrione umano, fin dal suo concepimento, è un essere umano vivente,

dotato di una propria identità e di un’autonoma capacità di sviluppo. Nei suoi

confronti è dovuto perciò lo stesso rispetto che dobbiamo tributare ad ogni nostro

simile. Risulta pertanto sbagliato valutare la responsabilità morale dell’aborto a

partire dalle esigenze della madre. Va sottolineato che: «la responsabilità per l’altro

fonda l’esercizio della propria libertà, che si realizza solo nel suo compito di

provvidenza per lui»33. Tutto questo trova una risposta nel processo di gravidanza,

che pone in particolare la madre, ma in realtà anche tutti gli altri familiari, in una

tensione di provvidenza verso l’atteso; tensione che innalza la loro libertà personale.

L’eventuale scelta abortiva, anche se supportata da motivazioni drammatiche, non

può scalfire questa relazione di responsabilità che si crea in particolare tra i genitori e

il nascituro. In ogni caso i genitori si relazionano con lui, essi non possono fare a

meno di pensare a lui come ad un “altro da sé”. Nella maggior parte dei casi, l’aborto

incide anche una ferita profonda, nel cuore, nell’io della madre e di quanti, in un

modo o nell’altro, hanno favorito una tale decisione.

Di fronte alla gravissima piaga dell’aborto la comunità cristiana non può

restare inerte, né può fermarsi ad una semplice azione di denuncia. Va ribadito con

chiarezza che la contrarietà all’aborto non risiede primariamente nella professione di

una fede religiosa, ma nei dettami dell’etica naturale, che ogni uomo è in grado di

cogliere nella sua coscienza. Bisogna perciò fare di tutto per trovare forme di dialogo

fra le culture diverse, in modo da risolvere questo “male” sociale che non può lasciar

tranquillo nessuno. La Chiesa che è «il popolo della vita e per la vita»34, è chiamata

da Cristo ad annunciare il Vangelo della Vita, che non è in primo luogo un annuncio

negativo, ma una lieta novella. La parola annunciata dalla Chiesa è chiamata anche a

scuotere le coscienze ed a condurle ad un’assunzione di responsabilità. Superando la

quasi improduttiva fase della denuncia e della protesta, la comunità cristiana può

pensare ad interventi più efficaci nel campo dell’istruzione e dell’educazione, in

particolare di una sana educazione alla sessualità, che consenta ai giovani di

apprezzare il dono di questo linguaggio d’amore e il suo fisiologico collegamento con

la procreazione. Le famiglie e le scuole, ma anche la stessa comunità ecclesiale, sono

chiamate a farsi carico di questo compito formativo. Pensiamo anche ad una

33 C. Zuccaro, La gravidanza: aspetti etici fondamentali, in “Rivista di teologia morale” n.117 (1998), pp. 84-85. 34 Giovanni Paolo II, cit., p. 118.

Page 23: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

23

maggiore valorizzazione dei consultori familiari, dei centri di aiuto alla vita e di tutte

quelle strutture sociali che possono svolgere un ruolo di primo piano nella

prevenzione dell’aborto e nella rimozione delle cause che ad essa conducono. Una

particolare attenzione va rivolta, in ogni caso, alla donna gestante, la quale è sempre

meritevole di rispetto, ascolto, sostegno. Giovanni Paolo II rivolge, alle donne che

hanno praticato l’aborto, parole di grande misericordia: «Un pensiero speciale vorrei

riservare a voi, donne che avete fatto ricorso all’aborto. Non lasciatevi prendere dallo

scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò

che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l’avete fatto,

accostatevi con umiltà e fiducia al pentimento»35. Aiutata adeguatamente da tutta la

società, la donna è chiamata a farci comprendere che la gravidanza non è un

problema, ma uno splendido evento, che segna la vittoria della vita sulla morte.

Quello della gravidanza è il tempo umano per eccellenza: tempo di un’attesa,

riempita da una vita umana che si sta sviluppando; non tempo di minaccia, di rifiuto,

di aggressione, ma tempo di amore. In nessun caso va dimenticato che l’atteso è

opera di Dio. Di fronte a Lui, il cui valore supera quello di ogni struttura sociale e di

ogni mezzo finanziario, noi dobbiamo palesare un atteggiamento di riverenza

adorante.

2.3 «Sono forse io il guardiano di mio fratello?» (Gn. 4,9)

L’evento tragico dell’uccisione di una persona umana da parte di altre persone

umane, secondo la prospettiva biblica compare nell’orizzonte della storia assieme

all’uomo stesso. Sin dai primi giorni del suo esistere l’uomo si ritrova a riflettere su

di esso e sulle sue azioni: l’uccisione del fratello da parte del fratello. La bibbia vuole

evidenziare chiaramente il significato che acquisisce e che dovrebbe essere attribuito

all’uccisione da parte di un uomo di un’altra persona umana. Con l’uccisione di

Abele da parte di Caino la bibbia ci dice che l’uccisione di una persona è sempre

uccisione di un fratello, quindi ogni omicidio assume i connotati di un fratricidio.

Caino, cioè il fraticida per antonomasia non solo e non tanto perché uccide il figlio di

suo padre e di sua madre, ma perché in quanto persona umana uccide un’altra persona

umana. Dio chiede a Caino conto di Abele in quanto fratello: «Dov’è Abele tuo

35 Ibidem, p. 146.

Page 24: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

24

fratello»36. Non vale a nulla la domanda con cui Caino («Sono forse io il guardiano di

mio fratello?») pensa di rispondere a Dio: con essa il racconto biblico fa emergere

ancora più chiaramente che ogni uomo è Abele per qualsiasi altro uomo e che ognuno

è guardiano del proprio fratello. Caino ponendo quella domanda pensa di potersi

esimere dal rispondere alla domanda di Dio, pensa quasi di poter giustificare il suo

precedente gesto fraticida. Se egli, infatti, non è guardiano del fratello avrebbe potuto

anche eliminarlo, e affermare la possibilità di eliminare Abele significa affermare

sempre esserci un uomo non fratello per l’altro uomo, che potranno esserci sempre un

Abele e un Caino nella storia dell’umanità. Ma se da un parte per la bibbia Caino si è

macchiato di una grave colpa, uccidendo Abele, dall’altra non per questo egli può

diventare Abele, non per questo altri potranno comportarsi nei suoi confronti come

egli si è comportato nei confronti di Abele: colpire Caino significa diventare come

lui, per tutti, sempre. Il segno che Dio impone a Caino «perché non lo colpisse

chiunque l’avesse incontrato»37 non è solo il segno del suo perdono che non viene

mai meno, ma anche il monito rivolto all’uomo, ad ogni uomo di ogni epoca storica,

ad ogni gruppo e ad ogni istituzione umana, di non ritenersi mai esenti dalla

responsabilità di considerarsi guardiani di ogni fratello, anche di colui che si è

comportato come Caino.

Il racconto biblico dell’uccisione di Abele da parte di Caino è

emblematicamente ripresentato in ogni epoca storica, compresa quella

contemporanea, in cui c’è qualcuno (pensiamo riguardo la nostra riflessione

sull’aborto, agli embrioni o ai feti) che si ritrova nelle condizioni di Abele, o

qualcuno che pensa e agisce come Caino: «I due personaggi non sono scomparsi dalla

scena della storia umana. Il Caino e l’Abele di oggi, ovviamente, si ripresentano sotto

vesti diverse»38. Per questo proviamo a chiederci: chi è oggi Abele? Chi Caino? Ciò

che contraddistingue Abele rispetto a Caino è proprio la sua debolezza magari non

solo fisica, forse certamente ontologica. La debolezza di Abele, infatti, è la debolezza

che contraddistingue l’uomo giusto rispetto all’uomo ingiusto, la debolezza della

bontà rispetto alla cattiveria, dell’onestà rispetto alla vigliaccheria, dell’uomo

disonesto, ricco, potente, armato rispetto all’uomo povero, inerme, onesto, coerente,

indifeso. La debolezza dell’Abele di oggi è anche la debolezza di tutti coloro che non

hanno voce nella società contemporanea, di quelle categorie di persone che non

riescono, che non possono, che non hanno la forza o il diritto di rivendicare i propri

36 Gn. 4,9. 37 Gn. 4,15. 38 S. Privitera, La questione bioetica e la città oggi, Centro Studi Cammarata, Caltanissetta 1998, p. 85.

Page 25: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

25

diritti: gli embrioni, i feti, ma anche gli affamati, i diversamente abili. Abbiano mai

assistito ad uno sciopero di queste categorie? Abbiamo mai permesso alla categoria

degli embrioni o dei feti, di scendere in piazza e protestare contro la sorte che la

società, che noi stessi (il Caino di oggi) abbiamo fatto ricadere su di loro? Se a certe

categorie di persone noi, come società, abbiamo tolto, o non diamo, il diritto di

rivendicare i loro diritti, sicuramente stiamo perfettamente recitando la parte di Caino

che uccise Abele. È ancor più paradossale che spesso, noi stessi, non ci accorgiamo di

essere come Caino, perché non vediamo affatto una situazione di debolezza, ma solo

il nostro comodo. Dice Salvatore Privitera: «La figura di Caino è anche quella di

colui che pensa di potersi arrogare più diritti di altri, di possederne più di altri, di non

avere l’obbligo di partire sempre dal punto di vista dell’imparzialità nell’impegno del

suo esistere quotidiano. La figura di Caino è quella di colui che pensa in certe

situazioni il singolo e la società non abbiano la responsabilità di custodire la vita del

fratello, di non doverla garantire a certe categorie di persone, di poter attribuire i

diritti, compreso quello della vita, a proprio piacimento o in base al criterio della

convinzione maggioritaria»39. Il Caino di oggi non è solo colui che toglie la vita ad

altri con la violenza, ma anche colui che pensa di avere più diritti degli altri, che

sopprime la vita nascente. Tutto ciò avviene quando non si considera la vita come un,

come il valore fondamentale. In questo senso la riflessione di base della teologia

morale dovrà sempre partire dal valore della vita, perché è moralmente illecito

uccidere, perché la vita è sacra e, quindi, non si ha il diritto, o il permesso, di

toglierla. Così la riformulazione teologica del non uccidere emerge come esigenza

ineludibile.

2.4 Se l’Ethos viene disgiunto dallo Ius

Sembra di capire, dall’impostazione di autori come Engelhardt e Singer,

analizzati nella prima parte di questo lavoro, che l’idea di diritto che si ha in mente

sia quella di un insieme di norme giuridiche che programmaticamente evitano di

entrare dentro il merito della giustizia e del valore per garantire un bene comune che

abbia un contenuto sostantivo. Esplicitamente si riconosce l’impossibilità di un

39 Ibidem, p. 87.

Page 26: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

26

dialogo tra l’etica e il diritto40 motivando tale rifiuto con il sospetto che, in questo

modo si introdurrebbe di nuovo una sorta di “stato etico” che finisce per imporre ai

cittadini una visione massificante. Perciò il diritto deve riguardare la creazione di un

sistema operativo in cui ci sono delle regole programmatiche da rispettare.

Fondamentalmente questo va inteso come se ciascun cittadino fosse libero di fare ciò

che vuole, con la sola limitazione di non poter imporre il suo punto di vista a nessun

altro che non lo voglia e non l’accetti. Pertanto, lo stato deve garantire che a nessuno

venga imposta una legge che prescrive un comportamento etico che il singolo non

accetta. Possiamo pensare al caso dell’aborto: una legge che lo impedisse su scala

sociale/nazionale sarebbe illegale poiché si fonderebbe sulla presunzione che

l’embrione è persona, affermazione che qualcuno potrebbe non accettare come vera e,

per questo, vedrebbe nella legge una costrizione alla sua libertà. Secondo la stessa

motivazione, naturalmente non sarebbe nemmeno giusta una legge che imponesse a

tutti l’aborto perché potrebbe esserci qualcuno che non accetti l’eticità della cosa. La

conclusione è che lo stato è tenuto a garantire il diritto e la libertà sia da una parte che

dall’altra.

La storia dei rapporti tra etica e diritto ha subito diverse accentuazioni nel

corso del tempo. Una prima concezione del diritto in rapporto all’etica vede la

dipendenza del primo dalla seconda ed è caratterizzato dal giusnaturalismo, cioè dalla

possibilità di fondare il diritto e i diritti sulla natura umana. Dunque, la ricerca del

diritto si muove sul piano dei contenuti oggettivi, piuttosto che su quello delle

formalità e delle regole procedurali, fino a giungere ad una vera e propria incapacità

di pensare il diritto se non a partire dalle categorie fondamentali dell’etica41. Questa

situazione cambia nell’epoca moderna con il Rinascimento e la Riforma protestante:

si afferma progressivamente la separazione del diritto dall’etica42. Questo non va

inteso come se il diritto non avesse una sua propria deontologia, ma nel senso che la

sua indipendenza dall’etica si esprimeva attraverso finalità e itinerari propri,

determinati da una razionalità che mirava alla composizione delle controversie

individuali e sociali. Il metodo era ispirato a procedure verificabili in modo obiettivo

e visibile. Contestualmente a questa peculiarità del diritto, la morale si ritirava nel

privato ed era rivolta soprattutto all’intimità della coscienza della singola persona.

Nell’epoca contemporanea, non a torto, possiamo parlare di una sorta di priorità del

diritto sull’etica. Così si delineava una società nella quale la virtù non va ricercata nel

40 C. Zuccaro, Bioetica e valori nel postmoderno in dialogo con la cultura liberale, cit., p. 156. 41 AA. VV., Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Paoline, Cinisiello Balsamo 1990, pp. 861-872. 42 C. Zuccaro, cit., p. 158.

Page 27: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

27

campo dell’etica, che interessa gli aspetti privati, ma in quello del diritto che serve a

regolare il vivere comune. Pertanto, compito del diritto, non è più quello di ricercare

la correttezza morale delle azioni degli uomini, ma soltanto di assicurare, a queste,

una procedura formale corretta. Così il problema non si pone più sul versante della

giustizia, ma su quello della validità. Proprio l’esasperazione di questo positivismo, a

discapito dell’etica, secondo alcuni ha reso più facile la legittimazione delle

esperienze storiche degli stati con regimi dittatoriali nei confronti delle quali il diritto

non si poneva il problema della giustizia, ma solo quello della validità formale degli

atti politici. Sembra che nasca dalla degenerazione politica (vedi Auschwitz) la

diffusa concezione di un diritto fondato sui valori fondamentali della dignità della

persona ammettendo “un’etica minima”. Ora possiamo anche concordare con

l’introduzione della dignità della persona come fondamento del diritto, ma il

problema nasce nel momento in cui si tratta di storicizzare la dignità della persona

passando dal livello della filosofia del diritto a quello legislativo; in questo caso il

ricorso alla dignità della persona mantiene una forza esclusivamente parenetica43.

Occorre ancora notare che ignorando i contenuti del diritto e riducendolo a pure

forme di procedure, si corre il rischio di giustificare “nuove Auschwitz”. Infatti il

principio del permesso non è sufficiente a garantire la competenza del soggetto nel

valutare se accettare o meno una proposta che viene da un interlocutore più potente di

lui, per il semplice fatto che quest’ultimo troverà certamente i modi per manipolare la

coscienza.

La società, e ciascuno di noi, ha sempre il dovere di garantire i terzi: su questo

dovere si fonda la prospettiva giuridica. L’esigenza di formulare giuridicamente certe

prescrizioni si identifica, cioè, con l’obbligo morale che noi abbiamo di garantire a

tutti certi diritti, di evitare che vengano minacciati, di fare in modo che ognuno possa

esprimersi nella sua piena libertà, ma senza ostacolare mai quella degli altri44. In

quanto società, attraverso il diritto e la legislazione noi cerchiamo di garantire terzi,

soprattutto quelli più deboli e indifesi. Il rispetto della vita di tutti, del feto e

dell’embrione, dell’anziano e del diversamente abile è la grande emergenza del

momento attuale, perché oggi si presta pochissima attenzione alle categorie più

deboli come quelle degli embrioni, degli anziani, dei malati terminali, di coloro che

non hanno voce e che non possono mai difendere i propri diritti nemmeno quando se

li vedono calpestati. Quando uno di noi si vede minimamente ferito e non rispettato

nei suoi diritti reagisce, li afferma, li rivendica, in rapporto alla forza che possiede.

43 Ibidem, p. 160. 44 S. Privitera, cit., p. 34-35.

Page 28: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

28

Ora nella nostra società contemporanea si è determinata una situazione in base alla

quale certe categorie non hanno possibilità alcuna di rivendicare i propri diritti come

in fondo succedeva in qualsiasi altra società di ieri agli embrioni, ai malati terminali.

Ma l’emergenza più significativa consiste nell’incremento considerevole che ha avuto

il numero di coloro che appartengono a queste categorie e soprattutto nella subdola

idea che è andata affermandosi di pensare che si faccia il loro “bene” accontentando

il loro desiderio di essere eliminati. Evidenziare il risvolto politico delle scelte morali

significa quindi porsi di fronte a questa prospettiva e cercare di capire quali siano le

conseguenze che il nostro agire provoca agli altri. Se noi seguiamo l’impostazione di

una morale privatistica, che evidenzia solo le esigenze comportamentali

dell’individuo-persona, la ricaduta politica è quasi completamente assente,

negativamente assente45. L’impegno sociale o politico nella città contemporanea o

nella società di oggi, quindi, è anche una nostra ben precisa responsabilità morale, un

dovere al quale non tanto facilmente possiamo sottrarci.

Superare la limitatezza della prospettiva individualistica dell’etica non significa

far proprio il discorso del sostenitore dell’etica pubblica. Alla base dell’impostazione

del discorso dell’etica pubblica, infatti, c’è quel principio secondo il quale siamo noi

a determinare la prospettiva etica, a crearla a nostro uso e consumo. In una società

pluralistica si rende necessario un punto di partenza comune a tutti sulla base del

quale costruire quella parte del sistema etico da tradurre in sistema giuridico. Questa

prospettiva, purtroppo, viene poi acriticamente assunta o importata all’interno della

riflessione etica. Se in seno alla filosofia del diritto una simile verità risulta

fondamentale per costruire la società su quei presupposti di libertà e democraticità

che possono garantire a tutte le categorie di persone ed ai sostenitori di tutte le teorie

socio-politiche ed etico-religiose la massima libertà di pensiero, non altrettanto si può

dire della prospettiva etica. Poiché ognuno ha le sue esigenze bisogna andare a

cercare per ogni problema quella soluzione che trova il consenso del 50% più uno.

Nel momento in cui c’è un accordo del 50% più uno su quella data soluzione, essa

diventa la regola da seguire, però l’azione moralmente illecita resta sempre

moralmente illecita anche quando sul piano giuridico se ne accetta la possibilità.

Come dal punto di vista morale l’interruzione della gravidanza resta sempre

moralmente illecita, allo stesso modo se si facesse un altro referendum per dire che in

questo o in quell’altro contesto può essere praticata l’eutanasia, non per questo essa

diventerà azione moralmente lecita. Il punto di vista del diritto, che è quello di

garantire i terzi, ha bisogno sempre della maggioranza del 50% più uno per 45 Ibidem, p. 36.

Page 29: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

29

affermarsi, mentre il punto di vista etico non cambia mai perché non siamo noi a

determinarlo, nemmeno se dovessimo ritrovarci d’accordo nel cambiarlo. La

prospettiva è appunto quella di una verità morale che risplende al di sopra di noi46, al

di là di quella che è la nostra situazione, di quello che è il nostro processo

conoscitivo, di quello che è il nostro modo di vivere. All’interno di questa prospettiva

il dovere dell’uomo resta sempre quello di adeguarsi a questa verità e di adeguare ad

essa ogni contesto della sua vita personale e sociale. Naturalmente questo principio

vale anche in campo bioetico. Anche in questo settore, l’uomo nell’intimo della sua

coscienza scopre sempre una legge che non è lui a darsi ed alla quale deve obbedire47.

«Con la separazione dell’Ethos dallo Ius si finisce per perdere il senso stesso della

vita e quindi la possibilità anche dell’umanesimo, poiché col passare del tempo si

indebolirà la saldezza dei vincoli, della famiglia, della comunità, del legame sociale,

sfociando in quella crisi dissolutiva delle democrazie che è la cifra del nostro tempo

su cui si cimentano, da decenni, gli studiosi di liberalismo e democrazia»48.

Per quel che riguarda l’aborto e la legge civile, quasi tutti gli Stati

contemporanei hanno legiferato in questa materia. La legge attualmente vigente in

Italia, la n. 194 del 1978, confermata da una consultazione referendaria nel 1981, è

tra le più permissive del mondo. Essa infatti permette l’aborto su richiesta della

donna praticamente in tutti i casi nei primi tre mesi di gravidanza, mentre dopo i 90

giorni lo consente solo nel caso di gravi malformazioni per il nascituro o di pericolo

per la salute della donna. La normativa italiana, inoltre, non contempla alcuna

possibilità d’intervento per il padre del concepito, lasciando la decisione unicamente

alla donna. Quest’ultima può ricorrere all’aborto anche se minorenne, qualora il

giudice la autorizzi. Ora, non è certo in discussione il fatto che uno Stato debba

legiferare in una materia così importante, tenendo conto soprattutto del fatto che il

ricorso all’aborto clandestino è un grave male sociale, che mette in pericolo la vita

delle donne e alimenta una rete di loschi guadagni. L’interesse dello Stato è quello di

salvaguardare il bene comune, l’ordine pubblico, l’armonia sociale, attraverso

adeguate leggi e opportuni strumenti sociali. Il problema è che una legge come quella

italiana, come quelle vigenti in tanti altri paesi, di fatti non regolamenta l’aborto, ma

lo autorizza su semplice richiesta delle interessate. Va poi considerato il fatto che una

legge civile esercita comunque una funzione pedagogica, recando in molte persone

46Cfr. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, Paoline, Milano 1993. 47Cfr. Gauduim et spes, n. 16. 48 Intervento dell’on. Gerardo Bianco svolto in una giornata di studio sulla “fecondazione assistita”, in La fecondità

cercata, a cura di C. Chiapello, Effetà Editrice, Torino 2005, pp. 30-34.

Page 30: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

30

confusione circa i valori in gioco. Non sono pochi, infatti, quelli che confondono le

autorizzazioni concesse dalla legge civile con una vera e propria liceità morale.

L’aborto, anche se “legale”, rimane sempre un pesantissimo problema morale. Le

leggi che autorizzano l’interruzione della gravidanza su semplice richiesta della

gestante, favoriscono di fatto un abbassamento della coscienza morale. Una legge che

legittima l’uccisione di un essere umano innocente è in totale contrasto con il diritto

inviolabile alla vita proprio di tutti gli uomini e nega, perciò, l’uguaglianza di tutti di

fronte alla legge. Commenta al tal proposito Giovanni Paolo II: «Le leggi che

autorizzano e favoriscono l’aborto si pongono radicalmente non solo contro il bene

del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di

autentica validità giuridica»49.

Si pensa non poche volte che la vita di chi non è ancora nato o è gravemente

debilitato sia un bene solo relativo e, si ritiene pure che solo chi si trova nella

situazione concreta e vi è personalmente coinvolto possa compiere una giusta

ponderazione dei beni in gioco: di conseguenza, solo lui potrebbe decidere della

moralità della sua scelta. Lo Stato, perciò, nell’interesse della convivenza civile e

dell’armonia sociale, dovrebbe rispettare questa scelta, giungendo anche ad

ammettere l’aborto, l’eutanasia ecc. Nelle opinioni più radicali si giunge a sostenere

che, in una società moderna e pluralistica, dovrebbe essere riconosciuta a ogni

persona piena autonomia di disporre della propria vita e della vita di chi non è ancora

nato: non spetterebbe, infatti, alla legge la scelta tra le diverse opinioni morali e, tanto

meno, essa potrebbe pretendere di imporne una particolare a svantaggio di altre.

Nella cultura democratica del nostro tempo si è largamente diffusa l’opinione

secondo la quale l’ordinamento giuridico di una società dovrebbe limitarsi a

registrare e recepire le convinzioni della maggioranza50. Se poi si ritiene addirittura

che una verità comune e oggettiva sia di fatto inaccessibile, il rispetto della libertà dei

cittadini, che in un regime democratico sono ritenuti sovrani, esigerebbe che, a livello

legislativo, si riconosca l’autonomia delle singole coscienze. Comune radice di tutte

queste tendenze è il relativismo etico che contraddistingue tanta parte della cultura

contemporanea51. Non manca chi ritiene che tale relativismo sia una condizione della

democrazia. Ma è proprio la problematica del rispetto della vita a mostrare quali

equivoci e contraddizioni, accompagnati da terribile esiti pratici, si celino in questa

posizione. Quando una maggioranza parlamentare o sociale decreta la legittimità

49 Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, cit., pp. 109-110. 50 Ibidem, p. 104. 51 M. Pera - J. Ratzinger, Senza radici, Mondadori, Milano 2004.

Page 31: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

31

della soppressione, pur a certe condizioni, della vita umana non ancora nata, non

assume forse una decisione “tirannica” nei confronti dell’essere umano più debole e

indifeso? La coscienza universale giustamente reagisce nei confronti dei crimini

contro l’umanità di cui il nostro secolo ha fatto così tristi esperienze. Forse che questi

crimini cesserebbero di essere tali se, invece di essere commessi da tiranni senza

scrupoli, fossero legittimati dal consenso popolare? La democrazia è un ordinamento

e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere “morale” non è

automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro

comportamento umano, deve sottostare. Urge dunque, per l’avvenire della società e

lo sviluppo di una sana democrazia, riscoprire l’esistenza di valori umani e morali

essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità stessa dell’essere umano ed

esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo,

nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere,

ma dovranno solo riconoscere, rispettare e promuovere52.

52 Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, cit., p. 107.

Page 32: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

32

Conclusioni

Riflessioni come le nostre, in questo lavoro, di sintesi, presentazione e studio,

non riescono a trovare un’autentica conclusione. L’obiettivo principale del nostro

seminario era quello di approcciarci alla conoscenza non solo della più esatta

metodologia scientifica della bioetica, ma anche di esaminare i vari documenti del

magistero e la riflessione cattolica in campo bioetico, grazie allo studio di un autore

in particolare (per la mia riflessione Cataldo Zuccaro con il suo volume Bioetica e

valori nel postmoderno in dialogo con la cultura liberale), declinando poi i suoi

convincimenti alla luce di un “problema pratico” (nel mio caso l’aborto). Pertanto più

che parlare di conclusione, dovremmo parlare di proposte, provocazioni e dialogo. La

mia personale convinzione è quella che al di là degli schieramenti, più o meno settari,

più o meno combattivi, al di là delle risposte che qualsiasi orientamento bioetico

possa dare, è difficile se non impossibile dare delle risposte chiare e definitive per

tutto e per tutti, se non tramite la pazienza dei tempi lunghi e la fiducia nel contributo

di tutti. Su questo campo, alla luce della nostra riflessione, bisogna assolutamente

evitare che teologia e scienza stiano agli antipodi. Da una parte infatti la teologia non

può rimanere arroccata nel suo sapere e nei suoi convincimenti, ma deve anche

scendere nel “puzzo” delle strade della nostra storia; dall’altra la scienza deve

assolutamente evitare di camminare o correre da sola nei vicoli della conoscenza e

della tecnica umana, ma deve anche confrontarsi con l’etica. La vera, grande e

fondamentale posta in gioco non è semplicemente la risoluzione di questo o quel

problema, ma la stessa persona umana che deve rimanere sempre al centro di ogni

proposito. A dire il vero, certi risultati che sono indice di “progresso” risultano essere

davvero poco conciliabili con l’autentico sviluppo integrale dell’uomo e della sua

storia. In quanto cristiani, in quanto cattolici, in quanto seguaci dell’unico Maestro,

occorre aumentare il nostro sforzo profetico nella città dell’uomo, nei laboratori

scientifici, nelle cliniche private, perché la scienza possa, in realtà, cercare e trovare

l’autentico bene comune che parte e procede dall’uomo. Proprio per questo è sempre

più auspicabile che filosofi, scienziati, teologi, psicologi s’incontrino per occasioni di

studio e di confronto, per una maggiore comprensione delle problematiche e delle

sfide da superare, tenendo sempre in conto, però, che la ricerca non può diventare un

mito, un totem da esaltare e da rincorrere anche a costo del calpestamento della

dignità umana. Il criterio ultimo della scelta dovrebbe essere il bene dell’umanità.

Cataldo Zuccaro, attraverso il suo volume da me presentato nel primo capitolo

del seminario, ha cercato di superare l’ostacolo della contrapposizione tra visione

Page 33: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

33

cattolica e visione laica attraverso l’affermazione della signoria dell’uomo sulla vita

senza escludere la Signoria di Dio sulla stessa vita. Questa soluzione di certo appare

come un accorciare le distante fra gli opposti schieramenti, ma di certo, e Cataldo

Zuccaro ha la piena consapevolezza, non è assolutamente esaustiva perché in gioco ci

sono anche particolari visioni di libertà e di uomo (pensiamo a quella di Engelhardt e

Singer) che si discostano anni luce da un’autentica signoria dell’uomo sulla propria

vita. Ciononostante la mia riflessione parte dalla consapevolezza che la Chiesa, e

quindi anche i suoi fedeli, prendano sempre più coscienza della loro missione nel

mondo: «è necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere

fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle

esigenze del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, e altra

cosa e la forma con cui questo viene enunciato, conservando tuttavia lo stesso senso e

la stessa portata. Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma e, se sarà

necessario, bisognerà insistere con pazienza nella sua elaborazione: e si dovrà a un

modo di presentare le cose che più corrisponda al magistero»53 e quindi, senza

stanchezza, senza sfiducia e disimpegno vanno cercati tentativi di mediazione, con

quella consapevolezza che fra fede e ragione non c’è contrasto anzi: «La fede e la

ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la

contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di

conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e

amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso»54.

Come abbiamo potuto constatare la crisi dell’odierno rapporto e scontro fra

bioetica “cattolica” e bioetica “laica”, sta nella differente visione e comprensione

antropologica. Nell’oggi delle nostre strade, piazze e città secolari55, nei nostri mass-

media, quasi sembrano scomparsi alcuni termini ricchi di significato. Fra questi

ricordiamo il termine “persona” che subito ci richiama all’essere relazionale e

comunitario dell’uomo, che è appunto essere per un altro, si preferisce a questo il

termine ”individuo” che sottolinea maggiormente l’odierno isolarci, l’essere straniero

l’uno per l’altro; oppure possiamo pensare alla parola “casa”, che subito ci richiama

alle relazioni familiari, che è stato quasi totalmente sostituito con il termine

“appartamento”, anche qui per indicare l’estraneità dell’uno nei confronti dell’altro,

quasi a volerci nascondere dalle relazioni.

53 Dal discorso di Papa Giovanni XXIII nella solenne apertura del Concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962. 54 Giovanni Paolo II, Fides et ratio, Paoline, Milano 2003, p. 3. 55 Cfr. H. Cox, La città secolare, Vallecchi Editore, Firenze 1968.

Page 34: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

34

Riguardo alla riflessione sull’aborto, attraverso la nostra analisi abbiamo potuto

notare che: «la discussione si configura come un ginepraio di argomenti e contro

argomenti che, nel loro irriducibile contrasto, attestano la verità di ciò che taluni si

ostinano a negare: ossia la profonda spaccatura paradigmatica fra bioetica cattolica e

bioetica laica e, più in generale, fra la bioetica della indisponibilità e sacralità della

vita e la bioetica della disponibilità e della qualità della vita»56. In effetti anche nel

nostro “caso pratico” o “problema concreto” analizzato, abbiamo potuto riflettere

proprio sulla diversità e la contrapposizione di diverse, concezioni, idee, sulla libertà

innanzitutto. Questa per taluni è compresa come responsabilità nei confronti di se

stessi e degli altri che, in qualsiasi maniera, in qualsiasi modo possiamo incontrare;

per altri la libertà è solo il soddisfacimento dei propri diritti, delle proprie

convinzioni, a scapito degli altri e dell’altro, anche se questo possa essere indifeso e

bisognoso di cure, di amore, di rispetto. Viene fuori che il principio primo di ogni

approccio alla persona, sia essa cosciente, diversamente abile, embrione, è quello

della responsabilità. L’essere capaci di dare delle risposte a chi ci sta intorno, a chi

chiede bisogno. Solo con il “principio responsabilità” si ci può educare al rispetto di

se stesso e degli altri, solo con la responsabilità si fanno delle scelte piuttosto che

altre.

Mi si permetta di concludere citando David Maria Turoldo, che forse fra gli

uomini credenti e non del ventesimo secolo, è stato il più efficace nel far

comprendere che in realtà l’uomo è un mistero, la sua natura, il suo esistere, il suo

agire non può esser compreso totalmente, per il semplice fatto che l’uomo è creato a

immagine e somiglianza di chi è Mistero per eccellenza:

Non c’è dubbio: la fede è un dono arduo, è una virtù difficile e rara: allo stesso

riflesso è il vero problema del mondo. E però non tanto il credere, cioè l’avere o non

una fede, quanto il problema di una precisa fede, e cioè di decidere circa la qualità

della fede. Quando si parla di fede non si deve mai prescindere dalla convinzione che

prima di tutto la fede è dono: è Dio che si concede. Tocca sempre a Dio per primo:

noi siamo in quanto siamo pensati, per cui Dio c’è anche se tu non credi; ed è in tutti

ed opera in tutti, ed è sopra tutti. Dono arduo dicevo, perché qui comincia la tua

opera in risposta all’opera di Dio. E allora è come se fosse da inventare termini,

segnare i punti di partenza, intendersi sul nome stesso di Dio; mettersi a dubitare

della ragione. E cercare, cercare… Questa è l’essenza delle fede. La ricerca

continua, in diretta: e la tempesta di domande sarà rivolta allo stesso Interessato; e 56 G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Mondadori, Milano 2009, p. 248.

Page 35: Indice - roccogumina.files.wordpress.com · problematica bioetica nel postmoderno, il testo da me studiato rappresenta, secondo la mia personalissima prospettiva, un buon reattore

35

ogni risposta non sarà che una nuova domanda: così fine alla fine, e cioè senza fine.

Senza una fine anche dopo, anche di là; perché non può esserci fine neppure con la

visione beatifica; meglio: continuamente beatificante, poiché passeremo di visione in

visione.

O Theos…

Mai di te sapremo:

o suono

o silenzio

o parola

che tu sia

oppure Occhio che riflette

tutta la terra come una perla;

e mai nulla di definitivo sapremo

neppure di noi…57

57 D. M. Turoldo, Il Dramma è Dio, Fabbri Editori, Milano 1992, pp. 55-56.