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INDICE biografia.................................................................................................2 libri...........................................................................................................3 contesto.................................................................................................4 introduzione al design che prima non c’era.....................................5 indice argomenti..................................................................................7 tesi del libro............................................................................................8 precedenti nel design..........................................................................9 definizioni del design che prima non c’era.....................................10 poetiche caratterizzanti.....................................................................11 classificazione in tipologie sui generis...............................................12 la piccola dimensione.............................................................13 la vena ironica..........................................................................14 il ready-made modificato.......................................................15 il minimalismo............................................................................16 il funzionalismo ritrovato...........................................................17 la componente concettuale..................................................17 rapporto con l’artidesign...................................................................18 qual è il gusto degli oggetti di oggi..................................................19 luoghi comuni da sfatare...................................................................20 design che prima non c’era e avanguardia...................................21 quando si parla di food design..........................................................23 ecologia nella progettazione............................................................24 tesi ripresa.............................................................................................26 scopo del design che prima non c’era............................................27 un esempio positivo: l’Opos...............................................................28 il design contemporaneo per gli altri................................................32 giudizio sul libro.....................................................................................33 bibliografia............................................................................................34 1

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INDICEbiografia.................................................................................................2libri...........................................................................................................3contesto.................................................................................................4introduzione al design che prima non c’era.....................................5indice argomenti..................................................................................7

tesi del libro............................................................................................8

precedenti nel design..........................................................................9definizioni del design che prima non c’era.....................................10poetiche caratterizzanti.....................................................................11classificazione in tipologie sui generis...............................................12

la piccola dimensione.............................................................13 la vena ironica..........................................................................14 il ready-made modificato.......................................................15 il minimalismo............................................................................16 il funzionalismo ritrovato...........................................................17 la componente concettuale..................................................17

rapporto con l’artidesign...................................................................18qual è il gusto degli oggetti di oggi..................................................19luoghi comuni da sfatare...................................................................20design che prima non c’era e avanguardia...................................21quando si parla di food design..........................................................23ecologia nella progettazione............................................................24

tesi ripresa.............................................................................................26

scopo del design che prima non c’era............................................27un esempio positivo: l’Opos...............................................................28il design contemporaneo per gli altri................................................32giudizio sul libro.....................................................................................33bibliografia............................................................................................34

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BIOGRAFIA Architetto, nato a Napoli, è professore emerito di «Storia

dell'architettura» presso l'omonima Facoltà della Federico II di Napoli.

Studia con Zanuso, e nel 1953 si laurea in architettura; nel 1955 entra

nell'Istituto di Storia dell'architettura dell'Università di Napoli, diretto da

Roberto Pane; 1961 libera docenza in «Caratteri dell'architettura

moderna».

Ha insegnato «Storia del design» presso l'Istituto universitario Suor

Orsola Benincasa. Nel 1972 vince il concorso per ordinario di «Storia

dell'architettura».

Dirige la collana di critica dell'architettura e design della Franco

Angeli di Milano; quella di storia dell'architettura e design della Liguori

Editore di Napoli; quella dell'ADI (Associazione per il Disegno industriale)

e la collana dei «Trattati per l'architettura moderna» della Editrice

Compositori di Bologna. Ha curato tutte le voci dell'architettura, delle arti

figurative e del design del Grande Dizionario Enciclopedico, UTET, 1984.

Ha ideato i due volumi dal titolo Gli strumenti del sapere

contemporaneo e redatto le voci architettura, arti figurative e design,

UTET, 1985. È socio onorario dell'ADI.

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LIBRIIl floreale a Napoli, E.S.I., 1959.

L’idea di architettura, storia della critica da Viollet-le-Duc a Persico,

Edizioni di Comunità, 1964.

Architettura come mass medium, note per una semiologia

architettonica, Dedalo, 1964.

Storia dell’arte contemporanea, Laterza, 1983.

Storia del design, Laterza, 1985.

Storia dell’arredamento, U.T.E.T., 1985.

Posillipo, Electa Napoli, 1988.

Mille anni d’architettura in Europa, Laterza, 1993.

Storia dell’idea di storia, E.S.I., 1998.

Topocronologia dell’architettura europea (a cura di), Zanichelli, 1999.

Dov’era ma non com’era, Alinea, 1999.

Storia dell’architettura contemporanea (1974-2000), Laterza, 2001.

Trattato d’architettura, Laterza, 2001.

Teorica di arredamento e design. Scritti brevi dagli anni ’50 ad oggi,

Liguori, 2002.

Rileggere «Napoli nobilissima». Le strade, le piazze, i quartieri, Liguori,

2003.

Il codice dell’architettura. Antologia di trattatisti, Liguori, 2003.

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CONTESTO1950: fa parte del Gruppo Sud (movimento artistico che si forma a

Napoli nel 1947, composto al suo interno da diverse poetiche: dalle

ricerche dei neorealisti, agli astratti geometrici.

1953: ha inizio la sua attività di scrittore, collaborando alla rivista

“Casabella-Continuità” di E. Rogers

1954: partecipa al Movimento di Arte Contemporanea (corrente

artistica che nasce a Milano nel 1948, in occasione della mostra alla

Libreria Salto, in cui venne esposta la prima cartella di arte concreta.

Idealmente si pone in contrapposizione al realismo politicamente

impegnato e agli influssi dell'irrazionale informale. Si rifà inoltre al

concetto elaborato Van Gogh nel 1930 e ripreso successivamente da

Max Billi nel 1936 secondo cui l'arte "concreta" attinge a forme, linee e

colori autonomamente elaborati dalla personale immaginazione

dell’artista anziché dai processi di astrazione delle immagini della natura.

1964: fonda e dirige la rivista “Op.cit”, di selezione della critica d'arte

contemporanea e dedicata all'architettura, al design, alle arti visive. Il

programma di questa rivista è di offrire una selezione della critica d'arte

figurativa contemporanea, intendendo per selezione non una scelta

esaustiva di tutto quanto si pubblica intorno alle arti visive ma una

esposizione dell'attività critica, soprattutto metodologica, ottenuta

mediante l'esame di alcuni temi di maggiore interesse attuale.

1967: riceve il Premio Inarch per la rivista “Op.cit” (premio assegnato ai

principali protagonisti della cultura architettonica italiana della seconda

metà del ‘900, a quegli architetti  che hanno compiuto un lavoro di

sintesi e di risoluzione finale di tutte le componenti di forza nell’opera

d’arte)

2001: riceve il Premio Inarch alla carriera

2008: riceve il Compasso d’Oro alla carriera

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INTRODUZIONE AL DESIGN CHE PRIMA NON C’ERA

Prima di iniziare vogliamo spiegare da dove arriva il design che prima non c’era. Il termine è stato coniato da U. Rovelli, che così ha definito i lavori di P. Ulian, in un’intervista pubblicata sulla rivista on-line “IdeaMagazine” nel settembre 2005.

Rovelli: “Il design che prima non c’era, questa potrebbe essere la postilla per le piccole invenzioni che Paolo Ulian ci ha regalato nei suoi quindici anni di attività. Profondo, impegnato, semplice e cogente come il design del primo dopoguerra, il lavoro di Ulian è innanzitutto una meditazione sul ruolo della professione designer, da intendersi come indagatore sociale, ecologista, antropologo, ma, soprattutto, come creatore di senso” De Fusco sancisce così la nascita di un nuovo genere di design: lo scopo didattico del suo libro è quello di cercare di definire questa nuova corrente, anche mettendo in evidenza i suoi lati più problematici e adatti alla funzione di insegnamento-apprendimento. Parlando degli oggetti del design che prima non c’era, De Fusco sostiene che nessuno di questi prodotti ci fa impazzire di piacere estetico, né ci sembra risolutivo di alcun problema che investe il design contemporaneo. Comunque nel libro ha citato moltissimi oggetti di designer creativi, proprio perché il design che prima non c’era meglio si esprime nella pratica. Abbiamo ritenuto opportuno citare già nell’introduzione E. Manzini, che col suo articolo “Design come arte delle cose amabili” interpreta perfettamente la tensione del design che prima non c’era ad aspirare a rendere migliore la vita di tutti i giorni con piccole meraviglie estetiche. Nell’articolo, scritto per la rivista Op.Cit. del Maggio 1990, E. Manzini propone la sua visione riguardo al dibattito aperto sulla possibilità di insegnare e imparare l’arte. L’autore inizialmente fa la premessa di ciò che per lui è alla base della sua didattica: il design inteso come arte cioè attività che concorre a rendere amabile il mondo. Tradizionalmente il design è sempre stato visto come uno strumento per l’industrializzazione del mondo mentre, secondo l’opinione di Manzini, l’industria dovrebbe essere vista come mezzo e non come fine ultimo.Il rapporto tra design e arte sottolinea però che il design è un’attività artistica che produce cose quotidiane e quindi fa si che questi prodotti siano desiderabili inseriti in un contesto, mentre la desiderabilità dell’opera d’arte è legata all’eccezionalità del singolo.Il “sistema design” e il “sistema arte” sono due realtà distinte ma correlate e contaminate tra loro, basti pensare a Duchamp che ha

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prodotto oggetti di design ma la sua opera ha significato nell’arte o Sottsass che è stato sempre influenzato dalla pop-art ma ha realizzato unicamente prodotti di design. L’errore che si viene a creare oggigiorno è che spesso i designer pensano di produrre oggetti artistici solo perché bizzarri o stravaganti mentre gli artisti sono convinti di poter essere designer perché realizzano oggetti come tavoli o sedie non tenendo presente che in realtà sono pezzi d’arte. Alla base di questo fraintendimento sta anche il fatto di convincersi che ogni progetto di design deve essere carico di gesto espressivo non comprendendo che invece così si arriva ad un vero e proprio inquinamento semantico. Ritornando alla tematica principale dell’articolo, Manzini cerca di rispondere al quesito “si può insegnare quest’arte?” credendo che l’unica via possibile sia quella di predisporre un terreno favorevole per i giovani designer: ponendo temi, presentando esempi, dando informazioni e fornendo opportunità stimolanti, la didattica può far si che nascano germogli, prati e pinete. In conclusione dell’articolo si riprende il tema dell’arte delle cose amabili e care sottolineando come, in tempi di consumismo, sia più importante il termine “caro” a sottolineare il rapporto profondo e duraturo tra l’uomo e l’oggetto inteso anche come visione del mondo qualitativa e al tempo stessa risolutiva delle tematiche a noi care come la salvaguardia ambientale. Questo è il senso dell’arte del design che può essere insegnato.

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INDICE ARGOMENTI

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TESI

Abbiamo scelto di rappresentare visivamente la tesi del libro come un groviglio di fili, rappresentati i concetti del design che prima non c’era. Nella trattazione del libro abbiamo riscontrato tre tematiche principali (definizioni, relazioni e componenti), che sono intrecciate tra loro nello sviluppo del tema principale. Per far comprendere più facilmente il messaggio di De Fusco, abbiamo ulteriormente suddiviso le tre tematiche in sottogruppi, spiegandone i contenuti punto per punto. Alla fine, come risultato, si dovrebbe avere una visione olistica d’insieme di cos’è il design che prima non c’era.

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PRECEDENTI NEL DESIGN

Malgrado il nome, il design che prima non c’era ha dei precedenti, che si possono identificare nei maestri di design del ‘900. Bisogna infatti ricordare che il disegno industriale nasce nel 1851 a Londra, in occasione della Great Exhibition. Da quel momento il design si è sempre evoluto e aggiornato, fino ad arrivare a come lo conosciamo noi (e fino, appunto, al design che prima non c’era).Tra i principali maestri del design, De Fusco cita in particolare:

Michael Thonet (1796 - 1871)William Morris (1834 - 1896)Henry Ford (1863 - 1847)Frank Lloyd Wright (1867 - 1959)Piet Mondrian (1872 - 1944)Walter Gropius (1883 - 1969)Le Corbusier (1888 - 1965)Bruno Munari (1907 - 1998)Marco Zanuso (1916 - 2001)Ettore Sottsass (1917 - 2007)Achille Castiglioni (1918 - 2002)Enzo Mari (1932 - )

Come le dati mettono bene in evidenza, i precedenti si snodano per tutto il secolo, a partire dalla fine dell’800 fino ad arrivare ai contemporanei. De Fusco nota inoltre che i designer attuali passano spesso da una categoria all’altra, spesso inaugurando tipologie inedite (vedi relazione cap. classificazione tipologie sui generis pag 12). Per questo e per altri motivi, il paragone con i maestri non si può fare: in quanto loro disegnavano capolavori, mentre il design del giorno d’oggi progetta piuttosto strategie d’innovazione. Come esempi di protagonisti del design che prima non c’era, De Fusco indica una serie di designer, che utilizza per le sue spiegazioni in tutto il libro (autori che tra l’altro ritroveremo tutti o quasi nell’Opos); mentre come esempi di aziende abbiamo Danese e Alessi. Altro argomento importante trattato in questo capitolo è il teamwork, ovvero il lavoro di squadra. Citando N. Wiener, De Fusco sostiene che “... il laboratorio è lo strumento più inutile e meno economico per concepire nuove idee.” Quindi è meglio porsi in modo individualistico di fronte al problema, ovvero è meglio lavorare da soli e non in gruppo. Tesi tra l’altro sostenuta da D. A. Norman nel libro

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“Emotional deisgn”, dove dice che “I design migliori si producono quando si segue fino in fondo un tema coerente, con chiarezza di visione e obbiettivo. In genere, tali design sono dovuti alla visione di un’unica persona”.

DEFINIZIONI DEL DESIGN CHE PRIMA NON C’ERA

Il design che prima non c’era nasce tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, quando ci si pose la domanda di cosa produrre in un mondo pieno di merci (soprattutto di mobili). Questa situazione di “crisi delle idee” è stata la conseguenza di alcuni fattori socio-economici di quel periodo, ovvero:- l’affermazione a scala mondiale dell’Ikea: quantità e qualità al giusto

prezzo;- la concorrenza cinese: imitazione e modesto costo della forza lavoro;- gran numero di diplomati usciti dalle scuole di design e di architettura;- prevalere dell’offerta sulla domanda.

In questa situazione critica, i giovani designer hanno attuato l’unica rivoluzione possibile: ricorrere alla forza espressiva della creatività, della fantasia e della ricerca, nell’ottica del “design come arte delle cose amabili”.

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POETICHE CARATTERIZZANTI

Il design che prima non c’era ha, come si è già inteso, un orientamento comune, ma le intenzioni e i programmi sono articolati in una serie di poetiche. Per meglio identificarle, De Fusco cita direttamente quei designer che hanno parlato del loro lavoro all’interno della parentesi del design che prima non c’era, descrivendo il loro pensiero, i loro desideri e i loro intenti creativi. I più significativi sono i seguenti. P. Ulian crede che in ogni situazione, anche la più insignificante, si possa trovare un’idea interessante, e che quindi la curiosità sia lo strumento principale del suo lavoro. Inoltre è convinto che gli oggetti debbano anche comunicarci emozioni. Joe Velluto (A. Maragno, S. Tasca, A. Carrossa, S. Polga) è un gruppo, come P. Ulian, affermano che gli oggetti debbano raccontare qualcosa, debbano cioè comunicare da soli il senso della loro esistenza e della loro funzione. Inoltre credono che ogni giorno si scopre una definizione nuova e diversa di design, volendo intendere con questo che il design ormai si trova in ogni piccolo gesto della vita quotidiana. A. Cos dice testualmente che “Il mio lavoro è il risultato di un’osservazione quotidiana sotto forma di oggetti. Concepire prodotti per l’industria passa, per me, attraverso una ricerca continua e personale che ha lo scopo di captare i rituali, le tradizioni e questa specie di semplicità, di banalità acqusita e talvolta dimenticata”. Cos crede inoltre che viviamo in una generazione che non ha la pretesa di voler rifare il mondo ma di volerlo vivere serenamente. L. Damiani identifica le azioni dell’ideare, riflettere, sperimentare e realizzare come parti integranti di un unico processo progettuale. Per lui l’essenzialità è una parola chiave, quale volontà di raggiungere la massima efficacia nel modo più semplice e lineare possibile. Inoltre crede che il designer abbia una grande responsabilità sociale. D. Paruccini reputa l’evoluzione formale costante e fatta di piccoli passaggi di cambiamenti e di contemporaneità. Inoltre, riguardo al tema disimpegno politico dei designer di oggi, ribatte che “Lavoro per un’elite che può capire e sostenere il mondo del design e non mi sento in colpa se il prezzo degli oggetti di design è più alto di altri prodotti”, sostenendo poi che tutti possono giovare del miglioramento del design, anche senza comprare i prodotti. Il design produce cultura, in quanto mette più persone nella condizione di conoscerlo e capire la sua bellezza.

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CLASSIFICAZIONE IN TIPOLOGIE SUI GENERIS

Innanzitutto bisogna definire la classificazione tipologica come all’origine stessa della produzione, nel senso che ci si propone di fabbricare proprio quell’oggetto. A livello di produzione artigianale, la tipologia appare come una condizione o componente concreta della produzione stessa, e come una condizione o componente ineliminabile. L’identificazione e la scelta della tipologia a cui riferirsi nella produzione, pongono il problema di quanto “copiare la tipologia base”, ovvero nella tipologia sedia, come disegnare la nuova sedia: poco differente o totalmente differente dal modello? Su questo tema ci viene in aiuto Q. de Quincy, che differenzia il modello (oggetto che si deve riprodurre in tal modo) dal tipo (oggetto secondo il quale ognuno può concepire delle opere, che non si rassomigliano punto tra loro). Anche G. C. Argan definisce il tipo, come schema dedotto attraverso un processo di riduzione di un insieme di varianti formali a una forma-base comune. La tipologia è anche la nota più caratterizzante del design che prima non c’era, anche nel senso che oggi i designer cercano di inventare nuove tipologie di oggetti che diano risposte adeguate ai nuovi modi di vivere. Tuttavia la varietà delle forme è tale e tanta da rendere poco significativa o quantomeno problematica una classificazione tipologica. Come classificare, infatti, i nuovi prodotti delle nuove tipologie? E quelli non classificabili in nessuna tipologia? G. Kubler collega questo bisogno di classificare e sistemare gli oggetti di design nelle apposite categorie, con la tendenza dell’uomo a raggruppare le esperienze simili; sostiene infatti che “E’ nella natura dell’essere che nessun evento possa mai ripetersi, ma è nella natura del nostro pensiero che noi possiamo intendere gli eventi soltanto per mezzo di identità che immaginiamo esistere tra loro”.

Cercando di definire quindi questa nuova classificazione, dobbiamo per forza evitare di utilizzare le invarianti-morfologiche, appunto perché in ogni tipologia saranno presenti oggetti esteticamente diversi tra loro (non esistono più le categorie “tavolo”, “sedia”, “soprammobile”). Vengono a crearsi dunque delle tipologie sui generis (dove sui generis significa: cosa singolare, strana, non definibile facilmente in altro modo). E per caratterizzare e differenziare tra loro queste categorie con delle invarianti tipo-morfologiche, vengono sfruttate delle pre-cognizioni stilistiche delle varie poetiche della figurazione. Ossia le tipologie non vengono più differenziate per motivi di similarità (vedi tipo e modello), ma per caratteristiche estetiche correlate a delle correnti artistiche contemporanee. I presupposti comuni a tutte questa invarianti sono: la volontà di differenziarsi dal furniture, l’intento di migliorare gli oggetti esistenti e l’idea di rendere amabili molti prodotti.

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Ma se prima abbiamo affermato che la classificazione tipologica è all’origine stessa della produzione, come nasce un oggetto senza la falsariga di una tipologia? Tale operazione è possibile grazie all’intuizione, intendendo con ciò anche la fase precedente all’intuizione stessa: ragionamenti, raccolta dati, vasta gamma di scelte. D. Parruccini sostiene a questo proposito che “...l’idea arriva solo se ho impostato le condizioni perché questo accada.” Dopo queste considerazioni, De Fusco deduce che i tipi di una tipologia sui generis si fondano o addirittura si identificano con fragili categorie, e sono:

la piccola dimensione

Identificata principalmente con gli oggetti di P. Ulian, G. Pezzini, M. Ragni e G. Iacchetti, la piccola dimensione contribuisce a distinguerli dagli elementi d’arredo, all’esigenza di non avere in casa cose ingombranti, è direttamente influenzata dalla tecnologia della miniaturizzazione, è per uso prettamente privato e agevola la concentrazione delle idee. De Fusco fa il paragone con l’architettura italiana, che è “piccola” e contrassegnata dall’economia (ristrettezza delle aree fabbricabili, scarsità dei capitali disponibili e breve tempo). Gli italiani non amano i grattacieli. La piccola dimensione dei manufatti è data dal gusto di toccare con mano, delle percezioni definite e del peso sostenibile. Nell’Italia del ‘400 nasce infatti la prospettiva, come arte di riprodurre ogni genere di cose nella ristrettezza di un foglio di carta. Gli oggetti della piccola dimensione sono poveri sul piano pratico, da qui il paragone con l’arte povera, nel senso che eliminando l’inutile e il superfluo, rimane sempre il messaggio di fondo che l’oggetto vuole trasmettere. L’arte povera è infatti ricca d’intenzioni culturali e poetiche. Come esempio emblematico di questa categoria abbiamo deciso di prendere il Moscardino di G. Iacchetti e M. Ragni, in quanto secondo noi migliore esempio dell’oggetto piccolo di dimensione ma carico di significato.

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la vena ironica

L’ironia (dal greco finzione) si muove sempre fra due posizioni contrastanti, che la finzione-ironia tende o a mascherare o a sottolineare marcatamente. Nel campo del design svolge una funzione analoga tra il vero e il falso, il vecchio e il nuovo, l’edito e l’inedito, si manifesta come apparente contraddizione. G. Pardi e L. Fiaschi aggiungono che ormai sono stati disegnati quasi tutti gli oggetti pensabili dal punto di vista delle esigenze funzionali, così spesso i designer trovano risposta cercando nuovi utilizzi emozionali. La vena ironica trova una delle migliori rappresentazioni nella produzione di Alessi, intesa come un laboratorio il cui ruolo è quello di esercitare una continua attività di mediazione fra le espressioni più avanzate e più effervescenti della creatività internazionale e i desideri e i sogni della gente. Il design di Alessi è di tipo “soft”, basato sulla fantasia, sulla cordialità e sul gioco. Bisogna comunque sempre ricordare che nelle vena ironica (come daltronde nella produzione di Alessi) il design che prima non c’era aggiunge alla componente ludica sempre una componente funzionale. Anche qui, come nella piccola dimensione, gli oggetti racchiudono il massimo di idealità nel minimo della materia necessaria a renderla visibile. Ideologia del “less is more”.

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il ready-made modificato

Gli oggetti ready-made sono quelli pronti all’uso della nostra quotidianità, in questo caso “modificati” nel senso di manipolati. Infatti se osserviamo vediamo che questi oggetti di design sono prodotti chiari e ben definiti, a cui sono state aggiunte delle parti, oppure sono stati lievemente modificati per migliorare o cambiare la loro funzione.

L’ideatore degli oggetti ready-made è Marcel Duchamp, coi suoi “ready-made d’autore”: comuni manufatti di uso quotidiano (un attaccapanni, uno scolabottiglie, un orinatoio, ecc.) che assurgono ad opera d'arte una volta prelevati dall'artista e posti così come sono in situazioni diverse da quella di utilizzo, che gli sarebbero proprie (in questo caso un museo o una galleria d'arte). Il valore aggiunto dell'artista è l'operazione di scelta, o anche di individuazione casuale dell'oggetto, di acquisizione e di isolamento dell'oggetto.

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il minimalismo

De Fusco nota coma fra tutte le tendenze dell’arte contemporanea, quella minimalista sia la più congeniale al design, e forse è addirittura sorta con esso. Ufficialmente la Minimal Art è nata ne 1965, con l’articolo di R. Wollheim pubblicato sull’ “Art Magazine”, anche se possiamo già trovarla addirittura negli anni ’20 - ’30 con El Lissitsky, Rietveld e Van der Rohe. Un’altra opinione, invece, sostiene che i veri artisti del minimal siano solo e soltanto Morris, Flavin, Sol Le Witt e Judd. Tra tutte queste idee, De Fusco afferma che il minimalismo corrisponde a tutti i capisaldi del design classico-razionalista: qualità, quantità e basso prezzo. Altri autori che hanno cercato di definire il minimalismo, come per esempio Carmagnola, lo intendono come purificazione “dal troppo fino alle soglie del niente”: la riduzione, l’impoverimento, la minimalità, la razionalizzazione, l’astrazione. E’ quasi come se il minimalismo purificasse le cose: è un’etica delle forme. Per questo motivo viene spesso paragonato con l’arte concettuale, perché comunque i suoi oggetti son sempre carichi di significati. All’interno del minimalismo, De Fusco identifica una tendenza alla rivoluzione culturale, ovvero che in un mondo in cui la sovrapproduzione di informazioni regna, l’unico risultato è la confusione dei messaggi. Bisognerebbe arrivare quindi ad una riduzione concettuale quantitativa, perseguibile, secondo De Fusco, attraverso tre linee guida:- isolare il design degli oggetti domestici dall’intero contesto del disegno

industriale;- il disegno industriale va interpretato prevalentemente nell’ambito del

gusto;- ridimensionamento della concezione stessa di design.

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il funzionalismo ritrovato

Alla base di questo tipo di tipologia sui generis abbiamo il dato di fatto che le relazioni e le analogie tra un determinato prodotto e la nostra vita quotidiana sono più strette di quanto possiamo immaginare. Infatti l’osservazione attenta dei piccoli gesti quotidiani e dei più insignificanti oggetti che ci circondano è propedeutica a una lettura meno superficiale del mondo dei prodotti. Di questa tipologia fanno tra l’altro parte tutti quegli oggetti ottenuti dal distacco di una parte più piccola da una più grande (spesso sono prodotti usa-e-getta).

la componente concettuale

Intanto De Fusco ricorda che nonostante la modestia nelle dichiarazioni di molti designer di voler solo modificare l’esistente, la loro ambizione è quella di proporre oggetti totalmente inediti. Da qui la necessità di ricercare cose che prima di tradursi in oggetti devono inizialmente muovere da concetti. Per far ciò ci si riferisce direttamente all’arte concettuale, attraverso quattro riduzioni:- riduzione dell’oggetto al concetto: è lo stesso oggetto-opera che va

eliminato a vantaggio del concetto, dell’idea generatrice dell’operazione artistica. Va lasciato il significato e tolto il significante;

- riduzione di un’immagine a una tautologia: l’oggetto che presenta e nomina se stesso;

- introitare il referente in un’opera: ridurre a concetto le varie possibili rappresentazioni di esso;

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- riduzione dell’opera a concetto tramite la storia: riduzione altamente culturalizzata, in tutta la precedente storia dell’arte. L’arte concettuale è in generale un’arte che si legge, nel caso delle opere d’arte abbiamo la didascalia (esterna o interna all’opera stessa), nel caso degli oggetti di design abbiamo le istruzioni d’uso.

RAPPORTO CON L’ARTIDESIGN In altre occasioni, De Fusco aveva definito la produzione italiana (almeno nel campo del furniture) come sintesi tra arte, artigianato e design. Era nato così l’ “artidesign”, che non ha un programma definito, ma che si è venuto a formare in seguito ad una complessa serie di cause. Per quanto riguarda la produzione artigianale, dobbiamo notare che dalla seconda metà dell’800 in poi ha subito un’evoluzione crescente; anche l’industrial design, nato nella stessa data, ha affrontato altrettante trasformazioni. Entrambi hanno subito l’influenza dell’arte. De Fusco si pone a questo punto una domanda: il design che prima non c’era si avvicina di più all’arte, all’artigianato o al design?Innanzitutto ricorre al famoso articolo di E. Manzini “Design come arte delle cose amabili”, specificando che il design è un’attività che concorre a rendere abitabile il mondo. Anche se tradizionalmente il design è stato pensato e insegnato come uno strumento per l’industrializzazione del mondo, oggi invece è l’industria ad essere considerata un mezzo per renderlo abitabile. In conclusione, il design viene oggi inteso come produttore di cose utili, ma allo stesso tempo desiderabili e care: il design che prima non c’era si avvicina di più all’arte.

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QUAL E’ IL GUSTO DEGLI OGGETTI DI OGGI

Il gusto va inteso come modo di fare, linea stilistica, orientamento formale, implicando inoltre le dimensioni estetica, sociale, ambientale di mentalità. Non si parla quindi di gusto personale, ma di gusto oggettivo, come tendenza del sociale. Dopo questa puntualizzazione sul gusto, De Fusco introduce l’argomento delle arti applicate, intendendole come architettura e design. Viene quindi proposto un breve excursus storico sulla nascita del disegno industriale intorno alla metà dell’800, inteso come momento in cui all’industria si volle applicare una qualità estetica (il design, appunto). W. Morris sosteneva a proposito che “lo scopo di applicare l’arte agli articoli utilitari è duplice; in primo luogo, per aggiungere bellezza al risultato umano, che potrebbe altrimenti essere brutto; ed in secondo luogo per dare gioia al lavoro stesso, che altrimenti sarebbe spiacevole e disgustoso”. A questo punto De Fusco introduce la contraddizione legata al termine arte applicata: come può essere l’architettura, che è un’arte pura, essere anche un’arte applicata? E il design? Come dev’essere inteso? Per risolvere questo problema bisogna rifarsi a Vitruvio, che indica l’architettura come arte applicata non nel senso che si applica a qualcos’altro, ma nel senso che le tecniche e le scienza si applicano ad essa. Ed è così anche per il design. Con questa nuova teoria, il termine “applicata” si valorizza, avvicinandosi molto alla definizione di gusto, nel senso che nel momento in cui il design diventa arte applicata, significa che all’oggetto industriale viene applicata una linea stilistica, un modo di fare, una componente formale: un gusto. Dopodiché prosegue paragonando il gusto alla convenzione (convenzione intesa come raccolta di più consensi e più motivazioni), nel senso che quando il gusto si applica al design, è come se assumessimo quella linea stilistica come convenzione. Infatti il gusto è un fattore primario nell’interpretare gli interessi e le valenze dominanti di una società. Questo concetto si spiega meglio rifacendoci alla distinzione che L. Pareyson fa tra artisticità inerente ed emergente: l’artisticità inerente riguarda il ben fatto nella vita quotidiana, mentre quella emergente l’eccezionalità dell’arte. Infatti alle opere eccezionali “paradigmatiche” non si può applicare il concetto di gusto in quanto non esiste ancora una convenzione che le regoli; mentre alle opere inerenti “emblematiche” si può applicare il gusto, in quanto sono già oggetto di convenzione. A fronte di ciò, possiamo considerare il design classico dei maestri del ‘900 come emergente, mentre il design che prima non c’era è decisamente inerente.

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LUOGHI COMUNI DA SFATARE

Ovvero concetti che riguardano il design che prima non c’era, da definire in modo chiaro e univoco, in modo da evitare errori e incomprensioni. In pratica sono dei luoghi comuni da sfatare.

GIOVANILISMO

E’ vero che gli artefici del design che prima non c’era sono spesso giovani appena diplomati nelle scuola di design, ma De Fusco non vuole assolutamente fare di ciò una questione anagrafica. Il denominatore comune è infatti l’originalità delle idee, e queste non hanno età.

COMUNICAZIONE

Da parola e concetto è stata trasformata in sostanza: si tratta di un’esagerazione, E’ vero che i nuovi oggetti hanno una forte valenza comunicativa, ma questo non basta a ripetere il solito ritornello che il design di oggi è soprattutto comunicazione. Bisogna quindi ricordare che la comunicazione è solo una componente del design che prima non c’era.

ASSOCIAZIONE TIPO DI DESIGN - TECNOLOGIA DIGITALE

E’ vero che i giovani designer usano il computer con particolare destrezza, ma questo non autorizza a far dipendere i loro progetti dalla tecnoscienza digitale

DESIGN DEI SERVIZI

De Fusco sostiene che “il design dei servizi è la più grossa castroneria in circolazione oggi”, infatti continua dicendo che riconosce che oggi esiste un problema nell’organizzazione dei servizi, ma che non capisce perché si debba coinvolgere il design che ha poco o nulla a vedere direttamente con tale problema. Infatti l’espressione design dei servizi si addice ad un genere di prestazione e non alla funzione specifica dei singoli prodotti; esemplifica poi ciò dicendo che sarebbe come confondere la pratica della ristorazione con i piatti, i bicchieri e le posate.

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Di parere diverso troviamo invece E. Manzini e C. Vezzoli, che dichiarano che il design “... non si applica solo ad un prodotto fisico, ma si estende al sistema prodotto. Cioè l’insieme integrato dei prodotti, servizi e comunicazione con cui le imprese si presentano sul mercato.” Noi abbiamo inoltre osservato che oggi ogni prodotto è immerso in un sistema-servizio, e che non possono più esistere prodotti singoli perché ognuno fa parte di un sistema produttivo, di trasporto, distributivo, ecc.

INGLESE

Spesso gli oggetti di design, pur essendo stati disegnati da degli italiani, hanno il nome in inglese, questo forse per una speranza nell’esportazione. De Fusco sostiene l’utilizzo dell’italiano nel design italiano, addirittura anche del dialetto. Noi pensiamo che i nomi inglesi siano più accattivanti e di moda, ed è forse per questo che l’italiano viene spesso accantonato; anche se a nostro avviso sarebbe meglio rispettare le tradizioni.

DESIGN CHE PRIMA NON C’ERA E AVANGUARDIA L’avanguardia in generale è anticipazione, avanscoperta, innovazione radicale e contestazione globale. L’ideologia dell’avanguardia si muove contro quasi tutto e tutti. Si alimenta di attivismo, antagonismo, nichilismo, agonismo, futurismo, antistoricismo, antipassatismo, modernismo, arte astratta e arte pura. Insita in essa c’è una contraddizione: da una lato non dovrebbe dar luogo alla costruzione di alcuna fabbrica e di alcun prodotto di design, ma, allo stesso tempo, non possiamo fare a meno nel progettare di riferirci ad essa. L’avanguardia nel campo del design non può prescindere da quella dell’arte e dell’architettura. Ne possiamo indicare quattro forme:- opera anticipatrice dei maestri di design: le fabbriche, le teoria, le opere dei

pionieri del design moderno (M. Thonet, H. Ford, Le Corbusier, W. Gropius).21

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Ma questa non è avanguardia perché le loro idee sono diventate lo stile del nostro tempo: la loro avanguardia si è realizzata;

- arte nella vita quotidiana: passaggio dell’arte in esteticità della vita quotidiana (W. Morris, F. L. Wright, P, Mondrian e il De Stijl).Ma questa non è avanguardia perché hanno prevalso altri orientamenti utilitaristici, pragmatici, commerciali, dominati dai mass-media più omologanti, l’estetico risolvendosi nel kitsch più smaccato.

- il futuribile: intendendo che nel futuro possibile rientra tutto, infatti il momento futuristico è proprio di tutte le avanguardie.Ma questa non è avanguardia perché ha dei precedenti, e quindi non può essere qualcosa di nuovo. Nonostante la sua popolarità, il futuribile è difficilmente classificabile nel novero delle avanguardie in senso stretto.

- atteggiamento globale: avanguardia intesa come ideologia, arte sociale impegnata (De Fusco fa il paragone fra avanguardia e sinistra politica).Ma questa non è avanguardia perché l’avanguardia non va realizzata, deve rimanere nell’ambito di disegni, progetti e teoria. A questo punto De Fusco si pone una domanda: il design è avanguardia? Risponde subito di no, in quanto il design è un compromesso tra arte e industria, tale da svolgersi nell’ambito del privato e da seguire una logica businnesslike. Non rientra quindi nell’avanguardia artistico-letteraria rigorosamente intesa. Anche A. Branzi tratta l’argomento delle avanguardie, sostenendo “se l’epoca delle avanguardie storiche è finita, se ne è aperta subito un’atra, che chiameremo delle avanguardie permanenti, esse sono costituite da laboratori problematici che producono scenari evolutivi, modelli riformisti di sviluppo, da offrire ai mercati saturi, alle industrie di tecnologia avanzata in crisi di progetto, di fronte all’iper-offerta prestazionale di nuovi congegni elettronici e di nuovi materiali”.

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QUANDO SI PARLA DI FOOD DESIGN Analizzando il presente, De Fusco si rende conto che il food design può essere diversamente inteso, in particolare distingue quattro casi:a - cucinare ad alto livello qualitativo;b - dar forma agli oggetti che servono a cucinare, conservare e servire il cibo;c - operazione che è la sintesi delle due precedenti;d - il food design non esiste: è solo una trovata pubblicitaria. Oggigiorno il design viene inteso come C (ovvero sia oggetti che cucinare), in quanto la buona cucina è un’arte, e il cibo è soprattutto un linguaggio, nel senso che denota usi e costumi, soddisfa esigenze che vanno oltre la forma, il piacere estetico e quello dei cinque sensi. A sostegno di questo parere è intervenuto lo chef F. Adrià (del ristorante El Bulli di Cala Montjol presso Barcellona), che in un’intervista di J. Capella afferma:” esiste una relazione fra gastronomia e design? assolutamente si. un modo di definire cosa significa cucinare potrebbe essere “disegnare il cibo”...Voi usate un tipo di materiale e noi un altro, entrambi cerchiamo di combinarli in modo creativo...voi potete creare qualcosa di straordinario e ripeterlo in serie: noi no....Si progetta come si deve mangiare, non solo il tipo di cibo, ma anche il modo di mangiarlo e gustarlo”. De Fusco interviene soffermandosi sul significato implicito contenuto nel termine industrial design: progetto, produzione, vendita e consumo. A fronte di questa dichiarazione, il food design non può essere altro che gli oggetti che servono a cucinare, conservare e servire il cibo, ovvero il punto B. Sottolineando inoltre la tendenza attuale al nomadismo, ovvero gli oggetti di food design contemporanei devono preferibilmente contenere il cibo, essere sostenuti con una sola mano, non macchiare gli abiti dei vicini ed essere usa-e-getta. Quindi con food design si identificano tutti quegli oggetti ausiliari al cibo, alla sua preparazione, trasporto e consumo. Anche se, con una visione ironica, si potrebbe intendere ancora il punto C, nel senso che anche una “polpetta d’autore” può essere food design. Un altro parere inerente all’argomento è dato da P. Tamborrini, riferendosi all’workshop sul food design sviluppato all’interno del Politecnico di Torino, sostiene che: “il tema del food è quindi diventato settore di studio anche per una scuola di architettura e design non solo per la progettazione di spazi e di luoghi destinati al consumo o all’acquisto, ma anche per la ricerca di coltivazioni e produzioni sistemiche e innovative, così come, inevitabilmente, anche di veri e proprio prodotti di design”. A nostro parere il food design è il punto B, ovvero gli oggetti ausiliari. Il punto A (la preparazione dei cibi) a nostra opinione non rientra in questa categoria. Pensandoci, noi aggiungeremmo una nuova tipologia: quella del “cibo industriale”, intendendo con ciò tutti quei cibi che consumiamo senza

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cucinarli, ma che son precotti o già preparati. In quel caso esiste il quadrinomio progetto, produzione, vendita e consumo, quindi si può parlare di design. In tutti quei casi in cui il cibo ha una forma ben definita e precisa (lampante è l’esempio della pasta, con forme e dimensioni così definite da poterla identificare come un vero e proprio prodotto industriale).

ECOLOGIA NELLA PROGETTAZIONE

De Fusco è convinto che i prodotti di design non abbiamo grande influenza sull’inquinamento ambientale. Crede inoltre che il design che prima non c’era è ecologico nella misura in cui produce oggetti “piccoli”. L’ecologia è solo una tendenza del gusto, un pretesto inventivo e formale. P. Ulian sostiene la stessa tesi: “La valenza ecologica riveste un ruolo molto importante nel mio modo di progettare, sia in termini effettivi di smaltimento dei materiali usati, sia come utopia per un’educazione più responsabile del consumatore. Ciò nonostante sono convinto che la motivazione ecologica rappresenti solo uno dei numerosi fattori che possono contribuire a creare un plusvalore. Così nel mio lavoro cerco sempre di vincolare il progetto anche ad altre componenti per me fondamentali quali l’invenzione e la poesia. Nel design apprezzo tutto ciò che è ricerca, sperimentazione, innovazione. E’ anche attraverso questi percorsi che il progetto deve necessariamente passare per trasformarsi in messaggio positivo e stimolante”. M. Bookchin sostiene invece che:” il pensiero ecologico può oggi fornire la più rilevante sintesi d’idee che si sia vista dopo l’illuminismo. Può aprire prospettive per una pratica che possa veramente cambiare l’intero paesaggio sociale dei nostri tempi”. Bookchin non è l’unico che appoggia l’ecologia nella progettazione. Forse i migliori esponenti di questa corrente sono E. Manzini e C. Vezzoli, convinti che: “ il ruolo del disegno industriale può essere sintetizzato come l’attività che, connettendo il tecnicamente possibile e con l’ecologicamente necessario, tende a farne scaturire nuove proposte socialmente e culturalmente apprezzabili”. Durante la laurea triennale abbiamo

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ampiamente trattato il tema della sostenibilità ambientale con il professor C. Vezzoli, approfondendo lo studio sul testo “Design per la sostenibilità ambientale”. In questo contesto abbiamo ritenuto opportuno citarlo, in quanto a nostro parere è uno tra i più importanti testi sul tema dell’ecodesign. In particolare, nell’introduzione, è esplicitata la complessità del tema ed i molteplici risvolti progettuali possibili. E. Manzini e C. Vezzoli teorizzano la progettazione orientata da criteri ecologici, applicata al disegno industriale attraverso quattro linee di intervento:- redesign ambientale dell’esistente- progettazione sostenibile di nuovi prodotti o servizi- progettazione di nuovi sistemi di prodotti e servizi intrinsecamente sostenibili- proposta di nuovi scenari corrispondenti a stili di vita sostenibile.Altri autori hanno pareri simili a E. Manzini riguardo al design ecologico.R. Duchamp: “Spetta al mondo della progettazione eco-compatibile il compito di inscrivere nuove soluzioni tecniche in un più ampio immaginario di qualità e di valori” e poi anche “In una nuova logica di “concurrent eco-design” quel che si può fare è estendere l’attività progettuale a tutti gli attori della produzione e del consumo in tutte le fasi del life cycle”.C. Lanzavecchia: “Ai designer spetterà la responsabilità del tema della riduzione come condizione estetica (oltre che effettiva), in termini di dematerializzazione delle merci per delineare nuovi contorni socio/produttivi”.F. La Rocca: “La levità, l’esilità, la smeterializzazione caratterizzano le nuove famiglie di oggetti; nella vita quotidiana dilagano gli oggetti ad alta tecnologia. A questo si accompagna l’avanzare della cosiddetta realtà virtuale che sposta l’attenzione dalla matericità degli oggetti alla performatività delle immagini prefigurando secondo alcuni un mondo ancora più lieve perché liberato dalla pesantezza delle cose”.

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TESI

Alla fine del libro ci è chiaro l’intento dell’autore: studiando e svolgendo i vari punti abbiamo capito il loro significato e le loro relazioni. Quello che all’inizio ci era apparso come un groviglio confuso di nozioni, ora si è districato e rende manifesto il suo significato.

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SCOPO DEL DESIGN CHE PRIMA NON C’ERA

Il design che prima non c’era fa parte del design contemporaneo, e così anche della più allargata categoria di design. Noi abbiamo identificato nel libro tre punti principali, che riteniamo siano gli intenti dell’autore. Innanzitutto evidenziamo il compito sociale dei designer, sia nel senso del miglioramento della vita quotidiana, sia con oggetti che ci evocano emozioni e ci veicolano messaggi positivi. Questo pensiero non è mai a sfondo politico; spesso viene utilizzata l’ironia per divertire e per provocare, per suscitare in noi delle reazioni rispetto al mondo che ci circonda. Spesso i designer di oggi vengono accusati di apatia e indifferenza: vengono paragonati ai maestri del design del ‘900, o anche ai designer del ’68, che oltre a progettare oggetti, proclamavano rivoluzioni. I designer di oggi sono più “temperati”, ma questo non vuol dire apatici: nel piccolo anche loro fanno qualcosa di buono, ovvero cercare di rendere il mondo migliore, non con grossi sconvolgimenti, ma progettando oggetti utili, funzionali ed esteticamente belli. Il loro motto potrebbe essere, appunto, “less is more”, inteso anche come dematerializzazione degli oggetti e minimizzazione dei prodotti, inserito in un più ampio discorso ecologico e dell’attenzione all’intero ciclo di vita. In particolare, noi abbiamo trovato gli oggetti del design che prima non c’era creativi, colorati, freschi, divertenti e “plasticosi”, ma comunque sempre molto emotivi e carichi di significati positivi: oggetti per riflettere.

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UN ESEMPIO POSITIVO: L’OPOS Un’esempio significativo del lavoro svolto dai designer del “design che prima non c’era” si presenta nell’OPOS. Alberto Zanone, grande appassionato di architettura e design, si innamora dell’edificio di via Ermenegildo Cantoni nel 1986 e decide di ristrutturarlo per iniziare una nuova avventura: costruire un luogo dove si potesse dibattere di cultura, esporre le arti e accogliere gli esordienti. Nasce così nel 1991 l’OPOS che si presenta al mondo del design con la mostra “under 35”: non vi sono grandissime opere esposte ma il solo fine dell’esposizione è quello di mostrare i prototipi dei giovani esordienti nel campo del design. Da allora si susseguono esposizioni-concorsi, rassegne, istallazioni, e dal 1992 si introduce anche una “mostra a tema” dove i designer sono tenuti a riflettere e ad esprimersi sulla tematica sociale presa in esame. Le “mostre a tema” più indicative sono state le seguenti:

1995 Bins RRR riusa, ricicla, ripensa

1998 Ambulanti (strutture che agevolino e rivalutino le attività senza una sede stabile)

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2001 (clan)destino (osservare con particolare attenzione i cambiamenti dell’identità legati alla mobilita')

2002 Panchina (intesa come simbolo di aggregazione)

2003 Acqua (una consapevolezza più matura verso l'utilizzo dell'acqua)

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2004 New Agriculture (nuovi scenari e nuovi prodotti)

2005 Made in China (cosa succederebbe se immaginassimo che il XXI° secolo sia il secolo cinese?)

2006 Transformer (l’idea del cambiamento)

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2007 Vecchio (parte indissolubile della memoria)

Va fatta subito la distinzione fra ciò che era l’attività dell’OPOS tra il 1991 e il 2000 nelle mostre “under 35” e quella dal 1992 fino ad oggi nelle “mostre a tema”: sebbene le esposizioni “under 35” siano state sempre apprezzate dalla critica, poiché lasciavano ai giovani designer la possibilità di esprimersi liberamente misurandosi con le loro capacità creative, le “mostre a tema” non riscossero e ancora oggi non riscuotono grande successo dato il poco valore contenutistico incollato alla semplice forma degli oggetti presentati. L’ opera di promuovere il design giovanile in questo “movimento”, fa di Zanone un “mecenate”; l’OPOS, iniziativa privata, in questi dieci anni ha fatto per il design italiano ciò che solitamente nei paesi europei compete agli enti governativi e alle associazioni di categoria.

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IL DESIGN CONTEMPORANEO PER GLI ALTRI A questo punto abbiamo messo a confronto i pareri che hanno diversi designer e saggisti sul design contemporaneo, su quel design cioè che De Fusco identifica come design che prima non c’era. I più significativi ed emblematici sono i seguenti.P. Ulian “ ricerca come esperienza sperimentale per l’innovazione”. J. Thackara “ i giovani designer sono liberi dall’ossessione per gli oggetti e

quindi innovativi.”B. Munari “ esaminare gli oggetti del quotidiano per quello che potrebbero diventare e servire”.C. Morozzi “il design che prima non c’era è a metà tra il design e la moda quindi una terra di nessuno”.A. Branzi “ capire e non giudicare il design attuale, che è il motore dell’economia. Il design descrive una complessa attività interstiziale, fondamentale per il funzionamento della città contemporanea”.

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GIUDIZIO SUL LIBRO

Per quanto riguarda la stesura, abbiamo trovato la scrittura di De Fusco semplice, chiara e di facile comprensione. Infatti noi siamo state influenzate nella scelta del libro dal fatto che già lo conoscevamo: avevamo già studiato un suo testo, e ce lo ricordavamo molto discorsivo e ricco contenutisticamente. In più nel “Design che prima non c’era” sono presenti molti esempi pratici, che ci hanno aiutato a comprendere meglio gli argomenti trattati. L’utilizzo di molte citazioni mette in luce i vari aspetti dei temi, a volte anche contrastanti tra loro.L’intero testo è stato scritto con un’intenzione didattica, infatti la struttura concettualistica spezzetta il tema principali in tanti sottogruppi, che De Fusco spiega uno dopo l’altro, in un ordine che non influenza il risultato finale.

Per quanto riguarda il contenuto, riteniamo che l’autore sia stato

troppo “super partes”, nel senso che cita sempre molti esperti dell’argomento, ma non fornisce mai la sua vera opinione.Abbiamo comunque trovato l’argomento molto interessante, scoprendo un nuovo tipo di design, in realtà già conosciuto ma da noi non identificato col design che prima non c’era. Il testo è riflessivo e molto stimolante, e ci ha dato spunto per ricercare altri testi sugli argomenti.

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BIBLIOGRAFIA

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Manzini Ezio, Vezzoli Carlo - Lo sviluppo dei prodotti sostenibili - Maggioli

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“Il design che prima non c’era”

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