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Indice MARIO DE GREGORIO, La sala dell’Accademia All’origine degli “specchi” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 ROBERTO BARZANTI, In margine ad un convegno dedicato a Mario Bracci Un umanista combattivo che amava la concretezza e l’ironia » 11 EUFEMIA MARCHIS, Attori al Teatro dei Rozzi Angelo e Lina Diligenti. Come un romanzo d’appendice ....... » 15 P AOLO NARDI, Chiesa e vita religiosa a Siena A proposito di un recente convegno ......................... » 20 NANNI GUISO, Dimore storiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 23 MARCO PIERINI, La Recensione Alberto Colli: Il cofano nuziale istoriato attribuito ad Ambrogio Lorenzetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 26

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MARIO DE GREGORIO, La sala dell’AccademiaAll’origine degli “specchi” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1

ROBERTO BARZANTI, In margine ad un convegno dedicato a Mario Bracci

Un umanista combattivo che amava la concretezza e l’ironia » 11

EUFEMIA MARCHIS, Attori al Teatro dei RozziAngelo e Lina Diligenti. Come un romanzo d’appendice . . . . . . . » 15

PAOLO NARDI, Chiesa e vita religiosa a SienaA proposito di un recente convegno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 20

NANNI GUISO, Dimore storiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 23

MARCO PIERINI, La RecensioneAlberto Colli: Il cofano nuziale istoriato attribuitoad Ambrogio Lorenzetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 26

Com’è noto la grande prosa italiana ha a-vuto per lungo tempo nel teatro dei Rozzi unpunto di riferimento più che significativo. Mail prestigio del palcoscenico senese, sedimen-tatosi in maniera eclatante dalla finedell’Ottocento, resta legato in modo particola-re allo svolgersi serrato delle lunghe stagionidi Quaresima. Nate nel 1875, alla riaperturadel teatro dopo la ristrutturazione condottadall’architetto Corbi, queste costituivano infat-ti un’occasione irripetibile per vedere all’ope-ra a Siena le migliori Compagnie che calcava-no in quel momento le tavole dei palcosceni-ci italiani, costrette a misurarsi di volta in vol-ta con una quarantina di rappresentazioni di-verse, che spaziavano dal comico al tragico edai testi classici a quelli più nuovi della dram-maturgia nazionale. Banco di prova difficilissi-mo quindi per la preparazione e la versatilitàdegli attori, la Quaresima dei Rozzi vide lapresenza ininterrotta sul palcoscenico senesein un lungo arco di tempo dei protagonisti delteatro italiano. Tra questi vanno sicuramenteannoverati Angelo e Lina Diligenti, attori digrande potenza drammatica, acclamati inter-preti, fra l’altro, di testi di Shakespeare,Schiller, Goldoni, Dumas figlio, Giacometti,Giacosa, Ferrari, Cossa, Scribe, Sardou e altri.

Francesco Angelo Filippo Marazzi (in arteAngelo Diligenti) era nato a Sanremo il 26novembre 1832, da Giuseppe, attore e capo-comico, e da Carolina Diligenti, attrice, origi-naria di Pisa. Avviato subito al teatro, Angeloaveva calcato le scene già da bambino con lacompagnia paterna, insieme alla madre e allasorella Vittorina. Poi, alla morte del padre, erapassato come “amoroso” nella CompagniaRobotti-Vestri e quindi in quella, davvero pre-stigiosa, di Cesare Dondini, di cui allora face-vano parte Tommaso Salvini, Cesare Rossi eAnna Pedretti, prima attrice. Anna, giovane,

affascinante, colta, figlia d’arte - i suoi avi ave-vano esercitato l’arte del coturno fin dai tempidella Commedia dell’Arte - non poteva lascia-re indifferente Angelo. Quasi inevitabilmentela lunga convivenza sul palcoscenico sarebbestata destinata a mutare presto in qualcosad’altro e avrebbe portato, il 21 marzo 1860, adun matrimonio da cui sarebbe nata, nel suc-cessivo gennaio 1861, Leopolda CarolaAugusta Vittoria, poi in arte Lina Diligenti1.

Tempi felicissimi per Angelo: di lì a poco,nel 1862, insieme a Bellotti e Calloud, avreb-be creato la Drammatica Compagnia Romana,una delle più accreditate del tempo. Vi milita-vano, oltre ad Anna Pedretti, prima attrice,Vittorina e Carolina Diligenti, un ErmeteNovelli alle prime armi e un già affermatoFrancesco Pasta. In compagnia di quello chepoteva non a torto definirsi a quel momento ilmeglio del teatro italiano, Angelo Diligenti a-vrebbe dato vita ad interpretazioni magistrali,passando con eguale efficacia drammatica daun genere all’altro2. Ne Il duello di Ferrari fuad esempio un Sirchi indovinatissimo, miglio-re - come si scriveva - di Alamanno Morelli; inNerone di Cossa fu tanto efficace da essereconsiderato dall’autore stesso “il suo Neroneideale, superiore persino a Ernesto Rossi”3.

Scioltasi la Compagnia Romana, Angelodecise di tentare l’avventura dell’Oriente, par-tendo con una piccola compagnia e con l’allo-ra undicenne figlia Lina. Quest’ultima, ospitatafino ad allora in uno dei migliori collegi diTorino, dopo essere stata per alcuni mesi pres-so le suore francesi de Il Cairo, ottenne final-mente dal padre il permesso di recitare, pro-ducendosi in piccole parti, destinate comun-que a mettere in luce le sue innate doti di at-trice.

Dopo una stagione di grandi successi inEgitto - paese in cui Angelo fu insignito per i

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Attori al Teatro dei Rozzi.Angelo e Lina DiligentiCome un romanzo d’appendicedi EUFEMIA MARCHIS

1 Le date riportate sono tratte da documenti uf-ficiali conservati presso le curie vescovili diAlbenga, Livorno e Torino.

2 E. NOVELLI, Foglietti sparsi narranti la mia vi-ta, Milano, pp. 98, 101-104.

3 L. RASI, I comici italiani, Firenze 1897, p. 763.

suoi meriti artistici della croce di Cavaliere delNegediè e di quella del vicerè Ismail4 - il ritor-no in Italia fu segnato dalla scrittura dei dueDiligenti, padre e figlia, nella compagnia diGiacinta Pezzana. Questa, grandissima attrice,donna sensibile, avrebbe preso a cuore Lina,amandola come una figlia5, facendole quindida madre e da maestra. Come attrice l’avreb-be valorizzata affidandole parti in cui la gio-vane potesse affinare i suoi naturali talenti.Opera tanto ben riuscita da portare nel 1876Lina ad ottenere il primo premio al Concorsodi Arte Drammatica Paolo Ferrari6.

Ma il sodalizio con la Pezzana fu certa-mente proficuo per entrambi i Diligenti:Angelo ebbe particolari consensi di pubblicoe di critica interpretando Bito in Messalina diCossa, Luigi XI di Delavigne, Nerone nell’ope-ra omonima di Cossa, Oreste di Alfieri7; diLina si scrisse, fra l’altro, “giovanissima, èun’attrice che, educata alla scuola dellaPezzana e del padre, avrà presto un bel nomenell’arte”8. Era il viatico per il successivo pas-saggio dei due, nel corso del 1877, alla cortedel grande Tommaso Salvini9. Angelo, primoattore in alternanza con lo stesso Salvini, Linaprima attrice giovane, destinata presto, per lascomparsa di Amalia Checchi Bozzo, ad assu-mere il gravoso ma gratificante ruolo di primaattrice. E, a fianco del “Titano dell’arte italia-na”, Lina colse successi veramente significativinelle parti di Ofelia, Desdemona, Francescada Rimini, lady Machbet...10

L’anno seguente Angelo Diligenti diresse laCompagnia Sorelle Vestri, poi quella del co-gnato Onorato Ulivieri. Tenne per sé il ruolodi primo attore, mentre la figlia consolidòquello di prima donna in una serie di rappre-sentazioni epiche. Di lei “Il Torino”, quotidia-no della città piemontese, avrebbe osservatoche “spiega già una potenza di mezzi, di intui-zione artistica, uno studio ed un’intelligenzapadrona di ogni carattere, superiore ad ogni,per quanto difficile situazione, in modo dadarci di lei, in così breve tempo, una delle

nuove prime attrici”11.Nel 1882 i Diligenti tornarono con

Giacinta Pezzana dopo una tournée in Egitto,dove Lina ebbe di nuovo l’occasione di pro-dursi insieme al grande Salvini12. Con laPezzana furono anche in Argentina. A BuenosAires il critico teatrale de “Il ciudadino”, sa-rebbe rimasto abbagliato dall’interpretazionedi Lina in Teresa Raquin: “nella commediacome nel dramma, ci dimostra che appartienealla vera scuola del teatro moderno, rivelan-doci le sue notevoli qualità di artista dramma-tica [...], la naturalezza, questa naturalezzatanto desiderata e pietra angolare su cui in-ciampa il teatro francese, è il punto più sa-liente del talento drammatico dellaDiligenti”13.

Dopo pochi mesi padre e figlia si aggrega-rono alla Compagnia Adelaide Tessero, intournée in America del Sud: Angelo come pri-mo attore e Lina come prima donna, in alter-nanza con la stessa Tessero14. Il successivo ri-torno in Italia fu segnato dalla costituzione diuna nuova Compagnia da parte di Angelo,destinata presto a ripartire per l’Egitto. Ma,purtroppo, un’epidemia di colera interruppele rappresentazioni. Nel riposo forzato dall’at-tività teatrale, l’amicizia che da anni legavaAngelo a Giacinta Pezzana, allora anch’essanel paese dei Faraoni, si trasformò in amore15,conducendo i due grandi artisti alla decisionedi recitare ancora insieme e di formare unanuova Compagnia. Così, al ritorno in Italia,durante la necessaria quarantena a Trieste,Angelo Diligenti fondò la DrammaticaCompagnia Italiana.

Fu con questa che i Diligenti approdaronoper la prima volta a Siena, alle tavole del pal-coscenico dei Rozzi.“Un’accolta di artisti co-scienziosi, affiatati, e soprattutto… diligenti” -la presentò così, scherzosamente, il redattoreteatrale de “Il libero cittadino”, aggiungendo,comunque, che “lasciando lo scherzo, la com-pagnia Diligenti è composta di elementi tali,capaci a mio avviso, di tenere desta l’attenzio-

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4 Biblioteca del Burcardo, lett. di L. Diligenti aL. Rasi, 12 giu. 1897.

5 C.A. TRAVERSI, Le dimenticate, Torino 1931, p.50.

6 Ibidem, p. 51.7 “L’opinione”, 20 sett. 1878; “Il Fanfulla”, 20

sett. 1876; “L’arte drammatica”, 23 e 30 mar. 1876.8 “L’opinione”, 20 sett. 1878.9 Cfr. il contratto fra A. Diligenti e T. Salvini, del

17 genn. 1877, conservato presso la Biblioteca del-l’attore a Genova.

10 C. A. TRAVERSI, Le dimenticate… cit., p. 50.11 “Il Torino”, 1 apr. 1879.12 “L’arte drammatica”, 27 lu. 1881, riportato an-

che da “La trombetta di Alessandria d’Egitto”, 7 dic.1881.

13 “Il ciudadino”, 4 apr. 1882, riportato su “L’artedrammatica”, 22 ag. 1882.

14 Dizionario biografico degli Italiani, Roma1987, p. e “L’arte drammatica”, 17 lu. 1882.

15 Lett. di G. Pezzana a A. Ravizza, ora in L.MARIANI, Giacinta Pezzzana. Corrispondenza di u-

ne di un pubblico tanto strambo e bisbeticocome è appunto quello dei Rozzi ed anco, diinteressarlo”16.

Fu davvero un successo. La versatilità e ilcarattere della compagnia tennero testa ad unrepertorio vastissimo e di grande difficoltà. Lostesso cronista senese, parlando di Lina, si sa-rebbe lasciato andare ad affermazioni entusia-stiche: “bella e brava giovane destinata a di-ventare una gemma dell’arte”17, “attrice capacee intelligente”18, “ammirabile, felice, ispirata”in Teodora di Sardou19. La sua beneficiata fuun evento memorabile per il teatro senese20.Angelo, invece, fu raramente sulla scena: la-sciò, con un tantino di vezzo da grande attorequal’era, le parti di primo attore al Monti e ri-tagliò per sé solo delle parti di generico, ma“un generico di prim’ordine” - come si scrissesu “L’arte drammatica”21 - che recitava soltantoaccanto all’amata e sublime Giacinta.

La Drammatica Compagnia si era scioltagià da tre anni quando i Diligenti tornarono aiRozzi. Si era ormai spezzato il legame affetti-vo ed artistico che legava Angelo alla Pezzanaed il capocomico Diligenti aveva condotto,prima, la compagnia Mozzidolfi, poi quellaLina Diligenti, accanto, in quest’ultima, alMonti. Nel 1886 intanto era stato nominatoCavaliere della Corona per i solidi e ricono-sciuti meriti artistici22.

La collaborazione col Monti nella direzio-ne della Compagnia era destinata comunquea durare soltanto per l’anno 1889: laCompagnia Lina Diligenti avrebbe presentatoquindi ai Rozzi nella Quaresima 189123 - oltreal bravissimo “brillante” Leopoldo Vestri - nelruolo di primo attore, Gennaro Marquez, spo-so di Lina già dal 16 febbraio 1890.

In quella Quaresima, segnata ancora dalsuccesso24, Angelo Diligenti si produsse in un

buon numero di rappresentazioni, nonostantei disturbi cardiaci che lo affliggevano già dal188525. Ne Il padre prodigo, uno dei suoi ca-valli di battaglia, fu descritto entusiasticamen-te dalla stampa cittadina come “attore intelli-gente e corretto”26 e “uno dei pochi attori ca-paci di reggere un lavoro come quello sopori-fero”27. Fu molto lodata anche la sua interpre-tazione di Larque ne Il romanzo di un giova-ne povero28. Lina, dal canto suo, fu trovata -sempre a dar retta alle cronache locali - menobrava di Sarah Bernard e troppo prosperosaper rappresentare una Margherita Gautierconsumata dalla tisi29, ma certo di grandespessore in Carcere preventivo di Marenco, neI mariti di Achille Torelli, in Mater dolorosa ene La moglie ideale di Marco Praga, tanto daaffascinare l’intero pubblico dei Rozzi30.

Il 21 marzo 1891 la Compagnia LinaDiligenti dava l’ultimo spettacolo ai Rozzi.“Lascerà, partendo da Siena un buon ricordo”avrebbe scritto con rammarico “L’arte dram-matica”31. Ma da qui la Compagnia avrebbe i-niziato una nuova avventura prima in Italia epoi in Egitto, paese “prediletto”32 dal Diligentie dove in verità gli era stato consigliato disoggiornare a causa della sua cardiopatia, do-vuta, secondo i medici, ad un’artrite contrattain giovane età. Comunque Angelo vi avrebberitrovato i successi di sempre33. Un prodromoal ritorno trionfale in Italia, alla scrittura conla compagnia di Enrico Dominici e alla costi-tuzione, nel 1893, della Compagnia LinaDiligenti Marquez, diretta da Enrico BelliBlanes e dallo stesso Angelo, che fu incaricatadella stagione di Quaresima di quell’anno aiRozzi34. Il redattore de “Il libero cittadino”trovò nell’occasione Lina superba in Due da-me di Paolo Ferrari, impegnata a difenderecon efficacia la riabilitazione di una donna

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na grande attrice, in corso di stampa.16 “Il libero cittadino”, 26 febbr. 1885.17 Ibidem.18 Ibidem, 15 mar. 1885.19 Ibidem, 29 mar. 1885.20 Ibidem.21 “L’arte drammatica”, 17 mar. 1885.22 Biblioteca del Burcardo, lett. di L. Diligenti a

L. Rasi cit.23 Sul programma di quella Quaresima cfr. quanto

conservato presso l’Archivio dell’Accademia deiRozzi e i numeri de “Il libero cittadino” alle date rela-tive.

24 “L’arte drammatica”, 18 febbr. 1891.25 Biblioteca del Burcardo, lett. di L. Diligenti a

L. Rasi cit. e lett. di G. Pezzana a A. Ravizza cit.26 “L’arte drammatica”, 12 mar. 1891.27 “Il libero cittadino”, 8 mar. 1891.28 Ibidem, 19 febbr. 1891.29 Ibidem, 8 mar. 1891. Va ricordato nel contesto

di questa critica che l’attrice era diventata madre dasoli due mesi.

30 Ibidem.31 “L’arte drammatica”, 19 mar. 1891.32 Biblioteca del Burcardo, lett. di L. Diligenti a

L. Rasi cit.33 “Le journal officiel”, 23 sett. 1891.34 Sul programma di quella Quaresima cfr.

quanto conservato presso l’Archiviodell’Accademia dei Rozzi.

perduta35, debole in Tosca36 di Sardou, buonain L’onore, ottima ne Il trionfo d’amore diGiacosa, che fu davvero un “trionfo perLina”37, come applaudito trionfo fu quandol’attrice, nel genetliaco del sovrano, declamò“con molto fuoco” un’ode dello Scalpellini38.

E se “perfetta” fu l’interpretazione de Laprincipessa Giorgio39 di Alessandro Dumas fi-glio, attesissimo a Siena, Spettri di Ibsen portòLina Diligenti all’entusiasmo generale. Comesi scrisse su “Il libero cittadino” infatti “l’ese-cuzione fu splendida, la signora Diligenti eb-be doni, fiori ed epigrafi laudatorie”40.Secondo il severo capocomico non tutti ap-provarono, ma ci furono sette chiamate per laprima attrice, senza contare quelle per gli at-tori41. Angelo si dedicò soprattutto alla regia eprese parte rare volte agli spettacoli, pur of-frendo in quelle occasioni sempre saggi diquella bravura che lo avevano reso famoso42.

Intanto un avvenimento importante porta-va un gran cambiamento nella vita di Lina edi suo padre. L’attrice, vedova da più di unanno, amò, riamata, “un signore di Siena”.Decise per questo di lasciare il teatro e di ri-nunciare alla scrittura con la prestigiosaCompagnia di Giovanni Emanuel per convo-lare a seconde nozze43. Lei che a quel mo-mento - come scriveva il Costetti - rappresen-tava con “Virginia Reiter, Eleonora Duse, ItaliaVitaliani, Teresa Mariani, Irma ed EmmaGramatica, la nuova scuola nel teatro dram-matico”44 abbandonava una carriera di sicurosuccesso per seguire la voce del cuore.

Ma il matrimonio non si fece. Non se neconoscono i motivi. Lina ed il padre precipita-rono in difficili condizioni economiche.Angelo Diligenti, pur essendosi aggravato ilmale che lo minava, per aiutare la figlia, in at-tesa di un figlio e senza ingaggio, fondò anco-ra una volta una Compagnia teatrale, adattan-dosi a teatri minori e riprendendo il ruolo diprimo attore per accrescere il prestigio del ca-st. Le sue interpretazioni continuarono ad es-sere particolarmente riuscite. A Cuneo si elevò- come si scrisse - “ad un’altezza artistica cui

possono aspirare non pochi ma pochissimidegli attori che attualmente calcano lascena”45. Ma proprio a Cuneo Angelo ebbe unserio malore sulla scena.

Era l’inizio della fine. Da allora continuò acalcare le scene solo per restare accanto allafiglia, per la quale aveva sempre nutrito il piùprofondo degli affetti. Renato Simoni, che lovide recitare in quegli anni lo ricordava così:“Era alto, ruvido, triste, con una grande di-gnità del gesto, una dizione sapiente. Cadutoin povertà, recitava in teatri minori, ma non siadeguava ai gusti dei pubblici popolari e ser-bava uno stile, una forza semplice sobria chelo attestavano superstite di una grande scuoladrammatica”46.

Il 28 dicembre 1893 Lina partoriva ad Albail suo secondo figlio, Angelo Mario. Il 22 otto-bre 1895 Angelo Diligenti si spegneva aMortara47. Lina fu quasi costretta a calcare an-cora le scene con una propria Compagnia ericominciò il suo solito itinerario in varie cittàd’Italia, con buoni risultati di pubblico e dicritica, ma non di cassetta: le sue difficili con-dizioni economiche le permettevano a mala-pena di provvedere ai figli, l’uno, Alberto, inun collegio, ed il più piccolo, Angelo, pressola famiglia della nutrice48.

Ma nel novembre 1897 una luce sembròsquarciare il buio della sua vita. Recitava aNizza, in un modesto teatro italiano, il Risso,mettendo ancora una volta sulle tavole delpalcoscenico il meglio di se stessa, quando,come d’incanto, ritrovò l’entusiasmo del pub-blico, in questo caso quello “elegante” chepassava i suoi inverni al tepore della CostaAzzurra.

Jean Lorrain, allora noto poeta, giornalista,drammaturgo, la vide recitare e ne rimaseaffascinato. Scrisse sul “Journal de Paris”:“Questa donna è fatta per il teatro diShakespeare, possiede un’arte di truccarsi, ungenio di osservazione, una verità nell’azioneche rasenta il sublime”49. Léon Sarty su“L’union artistique et litteraire” pubblicò unalunga serie di pezzi elogiativi la potenza

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35 “Il libero cittadino”, 23 febbr. 1893.36 Ibidem.37 Ibidem, 26 febbr. 1893.38 Ibidem.39 Ibidem.40 Ibidem.41 Lett. di A. Diligenti a A. Polese, 25 mar. 1893.42 “Il libero cittadino”, 26 febbr. 1893.43 COSTETTI, Il teatro italiano del 1800, Rocca

San Casciano 1901, p. 425.44 “L’arte drammatica”, 19 ag. 1893.45 “Il piccolo”, 29 nov. 1893.46 R. SIMONI, Prefazione a Attori comici attori

tragici, Milano 1940.47 L’atto di morte è reperibile presso il Comune

di Mortara.48 Lett. di L. Diligenti a S. Revello, data illegibile.

drammatica delle interpretazioni di Lina50.Che, di fronte al nuovo successo della plateae della critica, fu spronata a dare ancora ilmeglio di sé e fu una splendida Elisabettad’Inghilterra, ma anche Medea, Norma, SuorTeresa, Maria Antonietta, Adriana Lecouvreur,Tosca, Saffo, Fernanda, Frine, Giovannad’Arco, la principessa Giorgio, MargheritaGautier, la Gioconda, Teodora, BenignaOrnano e, in panni maschili, Amleto,Lorenzaccio, Oreste.

Fu allora che Sarah Bernard, alla fine, vol-le vederla: “qualcuno asseriva che la Diligentipossedesse ad un più alto grado ancora l’artedel naturale!”51.

Lina rimase a Nizza fino ai primi mesi del1901: aveva deciso di restare per molto tempoe, in previsione di questo, aveva affittato ilteatro Risso fino all’anno successivo con laclausola di prolungare il contratto per altri tre

anni. Ma non le fu possibile: non aveva fatto iconti con la volubilità del pubblico, le propriecapacità imprenditoriali, il suo essere unadonna sola, la sua salute sempre più fragile.Tramontato troppo presto il sogno del Risso edi una nuova stagione di successi, si adattòtristemente a varie compagnie di secondo eterzo ordine, limitando le sue apparizioni sul-la scena a quei ruoli memorabili che l’aveva-no resa famosa. “Quello che ho passato - a-vrebbe scritto alla famiglia che ospitava l’or-mai dodicenne figlio Angelo - non ve lo pos-so descrivere. Immaginate il peggio e sarete aldi sotto del vero. Ho dovuto intentare una litea chi, approfittando di una donna sola, mi haprivato di tutto il mio vestiario, impegnando-melo, e togliendomi così il mezzo di guada-gnarmi da vivere. [...] I forti dispiaceri hannoscosso la mia salute e sono stata in questi ulti-mi tempi quasi sempre indisposta52.

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49 “L’illustrazione italiana”, 17 apr. 1898. Riportaquasi integralmente l’articolo di Lorain.

50 “L’union artistique et litteraire”, 27 nov. 1897.

51 “Le phare du Littoral”, 3 genn. 1899.52 Lett. di L. Diligenti a S. Revello, 15 febbr.

1906.53 E. POLESE, Necrologio di Lina Diligenti

Lina Diligenti, attrice drammatica (1861- Angelo Diligenti, attore drammatico - capo-

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Mario Bracci nacque cento anni fa, il 12febbraio 1900, appena sulla soglia del secoloche si apriva: una data che sembra rivestireun significato simbolico. Per ripensarne ladensa biografica e riflettere sulla sua opera èstato organizzato a cura dell’Università degliStudi un Convegno (20 ottobre 2000), forsepiù propriamente una Giornata di studio a luidedicata: infatti non si è svolta una discussio-ne a più voci, ma ci si è piuttosto affidati aduna serie compatta e ben articolata di relazio-ni, che una dopo l’altra hanno tratteggiato ilquadro degli anni in cui Bracci visse ed han-no preso in esame la sua figura da varie ango-lazioni.

Si è parlato di Mario Bracci giovane repub-blicano, della sua adesione al Partitod’Azione, della sua azione di ministro del pri-mo governo De Gasperi nel 1945-46 (AntonioCardini), della sua militanza nel PSI a fiancodi Pietro Nenni e del suo contributo all’avviodel centrosinistra (Leopoldo Nuti). Ci si è trat-tenuti sul suo impegno di Rettore dell’Ateneosenese nei giorni drammatici ed esaltanti dellaricostruzione (Mauro Barni), sul suo fonda-mentale e appassionato contributo di consi-gliere comunale (Enzo Balocchi), sulla sua fi-nezza di giurista (Giorgio Berti) e sulla suastatura di affabile e autorevole maestro del di-ritto (Giovanni Grottanelli de’ Santi): con unintreccio di personale partecipazione e distac-cata ricerca storica che non è sempre facileproporre in convincente equilibrio. Ed è stataavvertibile fin dai calibrati indirizzi di salutodel rettore Tosi e del giudice costituzionaleGuizzi. Roberto Vivarelli si è assunto il compi-to di evocare i tempi e i dilemmi con i quali simisurò la generazione di Mario Bracci inun’ampia relazione di apertura.

Non riferirò il contenuto delle relazioniche potranno essere adeguatamente valutatequando saranno pubblicati gli atti. Trascrivoalcune note a margine, qualche scheda e lesuggestioni ricavate dall’incontro.

Mario Bracci assunse funzioni politiche diprimo piano nel 1944, ma non si può dire -

come è stato fatto - che i suoi anni anteceden-ti siano del tutto misteriosi. Se è vero chescarseggiano materiali coevi agli anni di for-mazione, taluni squarci o momenti sono notie documentati è già aprono piste che vannoben tenute presenti e approfondite con cura.Nell’insieme spiegano molto del retroterra diun azionismo nel quale confluirono l’ardoredel populismo repubblicano di ascendenza ri-sorgimentale, la lezione della rivoluzione libe-rale di Carlo Rosselli, la volontà di costruire u-no “Stato della democrazia” - la formula fu diEmilio Lussu - dopo le rovine provocate dalfascismo, possibile solo battagliando nell’al-veo di una tradizione socialista da rinnovare,di una sinistra da animare con nuove idee.

La politica per lui non fu tutto e bisognaperciò guardarsi dal rinserrare la sua vicendadentro categorie tutte politiche: dovendosipiuttosto rintracciare nella sua stessa attivitàdi docente e di giurista, nella sua arguzia distorico non professionale, i segni di un far po-litica mai disgiunto da un autentico assillomorale, da un saggio e moderato distacco. Trasé e le cose, tra il fragore degli eventi ed il ri-verbero che ne avvertiva nella coscienza,Bracci interpone un velo di ironia, come seambisse sempre a controllare quello che fa, amisurarlo senza enfasi e ad esaminare le oscil-lazioni dei suoi pensieri o dei suoi propositi:qui risiede una delle ragioni più evidenti delfascino che continuano ad esercitare le suepagine di diario e di ricordo o le sue lunghelettere di confessione, la risonanza che tuttorapossiede il timbro civile e riservato della suapresenza anche in chi non ha avuto la fortunadi conoscerlo direttamente.

Mette conto citare un episodio che nessu-no al Convegno ha ricordato e che attesta ir-refutabilmente una posizione giovanile moltonetta. Il settimanale fascista “La scure” avevapubblicato ( a. I, n. 7, 15 maggio 1921 ) unduro attacco a due esponenti politici, Bracci eBaglioni, sotto l’ammiccante titoloRepubblicani o comunisti? Vi si riferiva di uncomizio che i due avrebbero dovuto tenere a

In margine ad un convegno dedicato a Mario Bracci

Un umanista combattivo cheamava la concretezza e l’ironiadi ROBERTO BARZANTI

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Rapolano e fu interrotto da alcuni rumoristifascisti presenti, che avevano ricordato il“passato multicolore” dei due oratori messi infuga . In particolare a Bracci si rimproveravache, pur essendosi dichiarato “interventista fe-gatoso e fervente nel 1914”, non era statocoerente e allo scoppio della guerra non erapartito volontario per il fronte . “Solo alla finedel conflitto mondiale - si aggiungeva - equando cioè ogni buon repubblicano avrebbedovuto dare le dimissioni da qualunque gradodel nostro esercito che ora è sempre Regio,noi troviamo il buon Bracci ufficiale di arti-glieria (e come tale avrà senza dubbio dovutogiurare fedeltà al Re)” . Come si vede nellaperfida argomentazione compare già uno deimotivi che sarebbero stati usati a piene mani,a mo’ di calunnia, da certa pubblicistica,pronta a improvvisare di continuo lezioni dicoerenza ed a vedere ovunque contraddizionie viltà. In una monarchia un repubblicano a-vrebbe dovuto dimettersi da tutto ?

Bracci ventunenne rispose (sul n.9, del 28maggio 1921) con elegante sprezzo, senza al-cun imbarazzo. Val la pena rileggere un testomai più raccolto o citato: “In risposta all’arti-colo che mi riguarda apparso nel numero disabato di codesto giornale non posso che in-viarle unito a questa lettera un certificato dinascita. Appartengo alla classe 1900: quindimi guardai bene dall’esser coerente allo scop-pio della guerra, avevo 15 anni e restai imbo-scato nella mia comoda città. Solo a 18 annivestii la divisa di soldato e seguii la sorte del-la mia classe compiendo semplicemente ilmio dovere. Come vede dunque le accuse so-no piuttosto ridicole e quando nel fattispecieil Direttorio si assume tutte le responsabilitàfarebbe bene ad informarsi almeno in modomigliore per non incorrere in simili gaffes. Delgiuramento e delle dimissioni non voglio nep-pure parlare, poiché non è mia abitudine di-scutere accuse che mancano assolutamente diserietà. Grazie del passato ‘multicolore’ chemi si attribuisce; ma a 21 anni non è possibilepermettersi dei passati così coloriti ed il mio èmolto semplice e uniforme; i ferventi fascistipossono confermarglielo: io sono appartenutosempre, fin da ragazzo, al partito repubblica-no, et de hoc satis. Si tratta di errore o malafe-de nell’anonimo autore dell’articolo in que-stione? È cosa che desidererei vivamente co-noscere. Tralascio le molte cose che ancora a-vrei da dire e nella speranza che per l’avveni-re si vogliano adoprare armi più leali e degnedi gentiluomini mi confermo Dott. Mario

Bracci”. C’è un tono già maturo e severo in u-na stagione nella quale l’ambiguità o gli equi-voci erano pane quotidiano. E c’è la sua sfer-zante ironia, la sua presa di distanza dalle vol-garità e dalle calunnie.

Se poi si aggiunge che Bracci fu tra i fir-matari del documento con cui BenedettoCroce rispose al “Manifesto degli intellettualifascisti” lanciato da Gentile nell’aprile del1925 si tocca con mano il rigore con cui que-sta scelta fu affermata e difesa proprio quan-do il fascismo stava permeando di sé e dellasua ideologia lo Stato. L’adesione al“Manifesto” di Croce colloca Bracci nella ri-stretta compagnia dei pochi che fin dalla pri-ma ora si opposero al totalitarismo imperante:e l’episodio non può essere citato sbrigativa-mente o toccato con impaccio, aggiungendomagari come ha affermato Vivarelli - che lecategorie di antifascismo e di fascismo “nonsono di nessun aiuto” per lumeggiare quantostava accadendo. Certo: se usate con la prete-sa di dar loro un’uniforme capacità di classifi-cazione non riescono a definire ambiti moltovariegati e complessi, ma un discrimine so-stanziale o tendenziale lo stabiliscono, e nonsolo nel caso di Bracci. Il quale precocementesi trovò in compagnia di uomini comeGiovanni Amendola e Giustino Fortunato,Arturo Carlo Jemolo e Rodolfo Mondolfo, inquell’élite liberal-risorgimentale che volevalaicamente riaffermare una vecchia fede in al-ternativa alla vaga e pericolosa religione cheveniva proclamata: “quella fede che si com-pose - sono parole dal testo pubblicato noncasualmente nel “Mondo” del primo maggio1925 - di amore della verità,di aspirazione allagiustizia, di generoso senso umano e civile, dizelo per l’educazione intellettuale e morale, disollecitudine per la libertà, forza e garanzia diogni avanzamento”. Era chiaro l’intendimentodi sottrarre il senso delle radici della nazioneall’annessione del fascismo e alla corruzioneche comportava. Questo in realtà fu uno deileit-motiv di Bracci e riemerse in tutto il suovigore nell’Italia della Liberazione, in un rap-porto di continuità che attesta una sicura coe-renza. Si dirà - è stato accennato - che quanticome Bracci non presero la tessera e svolseroattività di insegnamento o professionale ven-nero comunque a patti con metodi e ambientidel regime. Un tale ragionamento porta deltutto fuori strada: allo storico e al biografo, sepossibile più ancora, spetta capire le situazio-ni reali, difficoltà e idee per come si presenta-vano e/o si potevano presentare. “I temi di ri-

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cerca e di studio che egli scelse sono [....]spesso testimonianza - ha osservato PieroCraveri nella bella voce del Dizionario bio-grafico degli italiani - della sua non sopita in-clinazione verso problemi reali dell’ammini-strazione e della vita pubblica”.

Non ha avuto torto Norberto Bobbio nelrimproverare all’autore di una recente ricercasull’antifascismo torinese e sui suoi punti de-boli di aver quasi completamente dimenticatol’odiosità e le subdole tecniche di persuasionee ricatto dei persecutori e di dar quindi l’im-pressione di voler mettere sul banco dell’ac-cusa i perseguitati. È vero che ad una storio-grafia ideologica, la quale non ha indagatol’ampia “zona grigia” dell’indifferenza, del dis-senso a metà, dei compromessi accettati o su-biti, promossi o condivisi, occorre sostituiresempre più una storiografia in grado di resti-tuire la mobilità e le sfumature di un quadrocomplicatissimo di destini individuali e di mo-vimenti collettivi, ma tutto questo non si puòottenere con capziose o allusive argomenta-zioni o muovendo addebiti ispirati ad un roz-zo moralismo del senno di poi. Un professoreavrebbe dovuto anche rinunciare alla cattedra? Un avvocato non avrebbe dovuto esercitarela sua professione? Si sarebbe dovuto abban-donare l’Italia con una sorta di fuoruscitismodi massa? Mario Bracci optò per la via dignito-sa del silenzio - come il Montale delVieusseux - in un’Italia prigioniera di un con-senso forzoso o spontaneo, ma inficiato co-munque dai lacci e dai mezzi di uno spregiu-dicato potere, dittatoriale e pervasivo.

L’incontro a Siena con Piero Calamandreirappresentò una data cruciale per il giovaneche aveva fondato con Vannini e D’Ormeal’Università popolare e continuava ad alimen-tare un vero culto per Mazzini. Nella sua vi-sione dell’Italia Bracci ha un taglio gobettia-no: il fascismo rivela i vizi di una nazione, lesue patologie congenite, la sua propensioneall’intrigo e al particolarismo.

Consumata l’effimera ma fondamentale e-sperienza dell’azionismo, Bracci instaura unsaldo rapporto con Pietro Nenni, del quale di-viene consigliere ascoltatissimo e devoto ami-co. Netta è la sua adesione al Fronte popola-re. Più volte ribadita la sua ostilità all’adesioneall’Alleanza atlantica. Come spiegare le tirateantiamericane e gli inni all’unità con i comu-nisti (“dei comunisti non bisogna avere pau-ra”) in un uomo dalle salde convizioni liberalie dal forte attaccamento nazionale? Anche inquesto caso le risposte non sono semplici e

giudicare oggi sommariamente il passatoprossimo, ignorando condizionamenti pesantie irragionevoli speranze non è rendere unbuon servizio alla storia. Cardini ha messocorrettamente in guardia da distorsioni peri-colose e anacronistiche: nelle scelte di campoc’è spesso una dose di arbitarietà e di rigiditàche solo una paziente intelligenza del mo-mento storico sa capire per quello che alme-no soggettivamente rappresentarono.

Leopoldo Nuti, in una relazione apprezzataper perspicuità e originalità, ha chiarito quan-to Bracci tenesse all’autonomia nazionale,quanto considerasse perniciose le lecerazionie le contrapposizioni che potevano provocareall’interno le divisioni internazionali. In mortedi De Gasperi scrisse a Calamandrei, in unalettera che Paolo Bagnoli pubblicò su “StudiSenesi” nel 1984: “Senza De Gasperi e nel cor-so degli avvenimenti che vanno svolgendosinon sarà facile tenere unita la DC e se la DC sispezza in due o più tronconi, in questi tempidi predominio straniero e senza una maggio-ranza parlamentare, cosa accadrà della nostralibertà ora che tutto l’apparato amministrativoe giudiziario dello Stato è ritornato sostanzial-mente fascista?”. Come si può affermare - co-me ha fatto Vivarelli - che 1’8 settembre 1943più che la fine della patria, secondo la nota te-si di Galli della Loggia, segna tout court la finedello Stato nazionale? Anche dalle prese di po-sizione di uomini come Mario Bracci si evi-denzia che dal crollo di uno Stato che avevarisolto in maniera aberrante la questione del-l’unità nazionale, stava risorgendo in modiproblematici e non senza vistose eredità degli“anni neri” uno Stato nuovo, in grado di resti-tuire verità e dignità al sentimento di apparte-nenza nazionale.

Negli anni in cui prende forma il primocentrosinistra Bracci tesse da dietro le quinteuna fitta trama di utili rapporti e fruttuose in-tese. Fino al 1955 il rapporto con Nenni èstrettissimo e lui in politica predilige la zonad’ombra nella quale i disegni o le soluzioniprendono corpo, in un lavorìo intellettuale eminuto, delicato e diplomatico. Sa, come scri-ve al focoso capo romagnolo, di essere “irri-mediabilmente un professore universitario”: enon sai se è una dichiarazione di umiltà, didisagio o la rivendicazione di un’autonomiadi dottrina e cultura rispetto alle improvvisa-zioni di una politica asfittica. La consuetudinedi dialogo con Gronchi, con Fanfani, conSegni, Don Sturzo e Vanoni gli conferiscono ilruolo di discreto ambasciatore presso i socia-

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listi e la sinistra dei tentativi di disgelo che viavia s’infittiscono. La sua elezione come giudi-ce della Corte costituzionale è probabilmen-te,a parere di Nuti, il frutto spiccatamente po-litico di una sintomatica convergenza tra set-tori cospicui della DC, del PSI, dello stesso P-CI. Non si capisce nulla di quegli anni - que-sto non l’ha detto nessuno, mi assumo la re-sponsabilità di una drastica affermazione con-trocorrente - se si enfatizza con faciloneria lacategoria del “consociativismo”, ricompren-dendovi un’estrema varietà di atti e atteggia-menti, perdendo di vista quanto sia stata prio-ritaria o importante una solidarietà nazionaleoltre le divisioni dei partiti e dei gruppi.

Ci sono pagine di appunti di Bracci, verga-te appositamente per Nenni, che testimonianoquanto significativo sia stato il suo contributo,anche in prossimità di scadenze chiave, finoall’appuntamento del cruciale congresso diNapoli del PSI (gennaio 1959). Insieme allaconvinzione che occorresse “un’opposizioneconcreta e realistica” e quindi emancipata daitoni strumentali e massimalistici del PCI si fastrada in lui una vena di tristezza a causa diquello che chiama in più lettere il “malinconi-co mestiere del giudice”. Si sa quanto le con-fessioni epistolari vadano prese con le molle:non di rado le frasi sono dettate su misura adun amico e possono esser mosse da compia-ciuta quanto momentanea condiscendenza.Resta il fatto che il Bracci epistolare disegnaun ritratto nutrito da sottili sfumature, che nerestituiscono umanità e intima verità.

Del Bracci senese si è scritto tante volte,così accertato è il suo “naturale e istintivo a-more per la piccola patria”(Balocchi) che sene può fare un breve accenno. Quando nel1951 fu capolista per il PSI alle elezioni ammi-nistrative non si sentì affatto sminuito, perchél’eredità di una visione dello Stato allaCattaneo, sorretta da un federalismo serio -lontanissimo dalla confusa predicazione attua-le - lo metteva al riparo da derive localistiche.La sua Siena è piuttosto una città che insiemeai caratteri risentiti di una grande storia tra-manda una vocazione di apertura internazio-nale che dovrebbe proteggerla da ripiega-menti e nostalgie. Non si apprezzerà mai ab-bastanza il valore che contributi come il suohanno avuto nell’assicurare a Siena una salva-guardia che è alla base di ogni futuro svilup-po. Nel discorso che tenne in consiglio comu-nale il 10 ottobre 1953 affrontò il problemadel nuovo piano regolatore con un’imposta-zione storicistica che non ammtetteva tenten-

namenti: “Non bisogna temere le discussionie le critiche”. Era inevitabile per lui proiettarenel passato medievale una visione del popolodebitrice della reinterpretazione democratico-patriottica: era stata la volontà del popolo asalvare Siena ed a farla gareggiare in “adorne-za” con Firenze e Venezia . E si scagliava conpiglio giacobino contro lo “spirito bottegaio”e la “meschinità provinciale”.

La sua conduzione per l’Università, chedurò fino al novembre 1955, fu ispirata adun’ansia programmatica che riuscì a guardarelontano, a partire da quando prese la parolada rettore insediato da poco, il 26 novembre1944, nella Sala del Mappamondo di PalazzoPubblico.La sua ~ un’Università di studentinon meno che di docenti, di servizio non me-no che di ricerca. Nel governo accademico -ha sottolineato Mauro Barni in una relazioneche ha interpretato con profonda adesione,dall’interno, le linee di un programma che hadato allo Studio senese un’impronta non di-menticata - risaltò il suo gusto per la concre-tezza dell’amministrare.

Il suo salotto politico fu un mito:Grottanelli de’ Santi l’ha rammentato in unatestimonianza di allievo fedele, sempre evo-candolo come il Professore, e riferendo dellesue abitudini, delle sue uscite, del suo sapere,come se egli continuasse a incitare, a fare, ascherzare amabilmente. Quando il Partitod’Azione confluì nel PSI Bracci non trattenneuna delle sue memorabili e amare battute: “Sitratta di vedere se ne ha ingerito una dosemortale”. Ecco l’autoironia, I’autocontrollo, lacoscienza di sé e delle proporzioni della sto-ria. Un umanesimo civile e tollerante, non di-sarmato né astratto - molto toscano - dà il to-no al suo moderatismo, che sta bene accantoalla fede mazziniana e al calore socialista,fuori da ogni banalizzante schema partitico.Quando si adoperò per la salvezza di Siena esi pronunciò - in una citatissima pagina di dia-rio - contro le tentazioni di una qualche insur-rezione, alla ricerca di una “gloriuzza partigia-na”, non lo fece in omaggio ad un pigro at-tendismo, ma con la consapevolezza dell’im-menso “patrimonio spirituale” da difendere eda esaltare, sola vera ricchezza di una comu-nità non priva di meschinerie e malevolenze.Rifiutò la tardiva e goffa offerta di un Mangiad’oro. In data 22 agosto 1944 il diario diCalamandrei riporta un fatto da segnalare:“Assisto,alla sede del Partito d’Azione,a unaspecie di processo sulla domanda di iscrizio-ne di Bracci. I senesi si oppongono e minac-

La costruzione di “una grande, maestosasala per le loro virtuose adunanze”1, per il bal-lo e per le accademie vocali e strumentali, èper i Rozzi un portato del secolo diciottesimo.Rientra infatti nel quadro specifico di quellastrutturazione architettonica che si configuròdopo la definitiva scomparsa della Congregae la nascita, di fatto, dell’Accademia. Un pro-cesso che maturò nel corso degli anniSessanta del Seicento, con il tramonto dellaconnotazione esclusivamente artigiana deiRozzi e con la cooptazione di altri sodalizi ac-cademici senesi (gli Avviluppati, gli Insipidi,gli Intrecciati, e, infine, gli stessi Rozzi minori,che ritornarono sotto la sughera nel corso del1665) e che portò al definitivo riconoscimento

della nuova configurazione istituzionale daparte granducale e all’aggiornamento delleCostituzioni nel 1690.

Fu questo passaggio alla forma “accade-mia” ad incentivare nei Rozzi una sorta diprogressivo restringimento dei propri spazi fi-sici di gestione dell’attività letteraria, di gioco,di intrattenimento e celebrativa all’interno diuna circoscritta e propria area di pertinenza,ma soprattutto a spingere per l’acquisizione,alla fine di un percorso di drammaturgia giàlungo oltre un secolo e mezzo, di uno spazioteatrale specificamente determinato, che fu al-l’inizio quello del “Saloncino”, nell’area delmai costruito Duomo Nuovo e a fianco delpalazzo reale, ma poi, nel secondo decennio

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La sala dell’Accademia.All’origine degli “specchi”di MARIO DE GREGORIO

1 Cfr. ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, ms. D 109: G.MACCHI, Memorie, cc.213r-216r: Memoria sinceradella nuova eretta fabbrica in questa città di Sienadalli signori accademici Rozzi terminata l’anno1731, con publica festa nella loro grande sala stata

datami dal molto reverendo signore sacerdoteCarlo Conti, pubbl. in A. LIBERATI, R. Accademia deiRozzi in Siena (ricordi e memorie), “Bullettino se-nese di storia patria”, 43 (1936), p. 392.

dell’Ottocento, inserito anch’esso - com’è no-to - nello stabile di proprietà dei sodali.L’attività Rozza, che si era divisa di fatto dal1531 “tra casa e bottega”, riportava insommail sodalizio, una volta ufficializzatasi l’“accade-mia”, in uno spazio autonomo ed autosuffi-ciente, funzionale allo svolgimento di eserciziletterari in gran parte encomiastici ed occasio-nali, disponibile allo svolgimento di manife-stazioni poetiche e musicali necessariamenteallargate ad una platea di uditori nobili e cul-turalmente capaci di apprezzarle e di parteci-parvi. I pubblici eventi spettacolari di piazza(le mascherate, i carri trionfali, le pallonate), i-naugurati dai Rozzi agli esordi del secolo XVIIe che già testimoniavano del cambiamento in-tervenuto nella composizione sociale del so-dalizio e nella scomparsa della centralità delceto artigiano senese, si sarebbero progressi-vamente diradate di fronte alla possibile con-tinuità offerta da questa nuova autolimitazio-ne spaziale di esercizio.

Insomma nuova forma istituzionale, cioènuovi aderenti, diversa produzione letteraria,pubblico di estrazione difforme dal passato,codificazione dell’omaggio cortigiano: questigli elementi di base di una riconfigurazionearchitettonica dei Rozzi che trovava definitivarealizzazione nel corso del secondo venten-nio del Settecento e che si configurava per lo-ro come dato assolutamente originale2.

È noto infatti come i Rozzi della Congreganon avessero una sede fissa e si riunissero perla loro attività istituzionale, le loro letture, igiochi e le recitazioni delle proprie produzio-ni nelle case o, più ancora, nelle botteghe de-gli artigiani aderenti al sodalizio. Ad esempioil 28 settembre 1532 - così come appare dalledeliberazioni di quell’anno - si trovarono incasa del Voglioroso, allora Signore dellaCongrega; il 20 luglio dell’anno successivo ilTraversone venne eletto Signore nell’orto delVoglioroso e il Bizzarro in casa delMaraviglioso. Ancora, alla fine del 1534, è do-cumentato che i Rozzi si riunirono nella botte-ga del Pronto3.

Dopo la prima riapertura della Congrega,protrattasi fino al 1544, fu dato mandato a duecongregati, il Galluzza e il Fumoso di reperireuna stanza per i congregati. Questa - come

deliberato il 7 dicembre di quell’anno - fu in-dividuata in un ambiente di proprietàdell’Attento, da prendere mese per mese. Unasoluzione, questa dell’affitto mensile, cheperò dovette essere praticata per un tempo li-mitato, tant’è che all’inizio dell’anno successi-vo le deliberazioni danno ancora per irrisoltoil problema, anche se nel corso dell’anno vie-ne citata negli stessi documenti una stanza “inBecharia” come di proprietà della Congrega.

In realtà ancora per un lungo arco di tem-po la Congrega sembra girovagare fra localipresi in affitto per brevi periodi. Non certo acaso è documentato che ancora nel 1546 iRozzi si riunivano ancora nelle case private.Sono attestate infatti nelle deliberazioni riu-nioni nell’aprile di quell’anno in casadell’Attento e, nel giugno, in quella delTravagliato alla Sapienza. Così come è certoche nel 1550 i Congregati si ritrovarono anco-ra nella bottega dell’Intozzato e in quelladell’Amorevole.

Dopo la guerra di metà Cinquecento, lacaduta della repubblica di Siena e l’ulteriore,inevitabile chiusura terminata nel 1561, iRozzi si congregarono nei locali della univer-sità dei Calzolari e, successivamente, di quelladei Ligrittieri e dei Macellari, ma continuaronoa frequentare - come da tradizione consolida-ta all’interno della Congrega anche le case ele botteghe dei singoli congregati: ad esempiola scuola del Gradito (nel palazzo dellePapesse), quella del Forzato, la bottega delloScialecquato, la casa del Voglioroso nelCastellare.

La stessa, faticosa, riapertura dellaCongrega nel 1603, alla decadenza della di-sposizione del granduca Cosimo I de’ Medicirelativa alla possibilità di riunione dei sodaliziaccademici senesi, avvenne in una casa: quel-la dello Stizzoso. E nel prosieguo i Rozzi siservirono per i loro incontri dei locali dell’uni-versità dei Cerbolattai, di una stanza nelChiasso dei pollaioli, della bottega di maestroPanfilo, sarto, nel Chiasso del Bargello4.Insomma - così come esplicitamente testimo-niato dal servita Filippo MontebuoniBuondelmonti - “i Rozzi fino a detto temponon ebbero mai luogo fermo per le adunan-ze” e quindi, tanto meno, per la loro attività di

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2 Sull’evoluzione storica dei locali dei Rozzi cfr.anche ACCADEMIA DEI ROZZI, L’archivio dell’Accade-mia. Inventario a cura di M. De Gregorio, Siena,Protagon Editori Toscani, 1999, pp. 123-124.

3 Cfr. C. MAZZI, La Congrega dei Rozzi di Siena

nel secolo XVI, 1, Firenze, Le Monnier, 1882, passim.4 Cfr. ibidem.5 BIBLIOTECA COMUNALE DI SIENA, ms. A IX 10: F.

MONTEBUONI BUONDELMONTI, Croniche de scrittori diSiena, c. 25r.

spettacolo5.L’acquisto di un locale in Beccheria ebbe

luogo sicuramente - e anche qui non è un ca-so, visto il prossimo riconoscimento ufficialedell’Accademia da parte granducale - nel cor-so del 1688, quando già i Rozzi - com’è giàstato accennato in precedenza - avevano ritro-vato sulla loro strada i “Minori” e, prima anco-ra, altri sodalizi accademici6. A questo primonucleo residenziale furono annessi altri spazinel corso degli anni successivi. Uno di questifu ristrutturato - come viene testimoniato e-splicitamente dalle deliberazioni - per ospitar-vi una scuola di scherma e di ballo, data in af-fitto di volta in volta a maestri dell’arte: nelmarzo 1694 fu concessa ad un capo dei bom-bardieri, nell’anno 1700 ad Alessandro Berti ePietro Vignoni, nel 1706 a Domenico Frosini ead un certo Becattelli e nel 1717 ancora adAlessandro Berti, tra i Rozzi dettol’Impaziente7. Un segno ulteriore, forse, dellapassione rozza verso l’arte della scherma, col-tivata fin dagli inizi della Congrega e già testi-moniata dai primi Capitoli del 15318.

Il movimento immobiliare da partedell’Accademia, particolarmente intenso agli i-nizi del secolo XVIII, vide anche la concessio-ne in affitto di una propria stanza, comprataqualche tempo prima dalla Contrada della

Chiocciola, all’università dei merciai nel corsodel 1704. Così pure va registrato l’acquisto diulteriori due stanze per l’Accademia nel 1724da Agostino Scocci.

Movimenti consistenti di acquisto di localifurono operati nel corso del 1726-1727, quan-do i Rozzi abbandonarono l’area di Beccheriaper rivolgere le loro attenzioni allo spazio an-tistante la chiesa di San Pellegrino e alla stra-da di Diacceto. I nuovi acquisti consistetteroin una bottega, comprata dal Capitolo dellaMetropolitana di Siena e in uso a tal Sugarelli“per uso di lana”, e in altre due stanze conti-gue9, la cui ristrutturazione richiese lavori lun-ghi e consistenti, iniziati il 2 maggio 172710 epurtroppo turbati anche da funesti incidenti11.Successivamente, per ampliare la capacitàproprio della grande sala che stavano co-struendo al piano superiore di questi locali, iRozzi avevano acquistato già dal 1728 alcunestanze di pertinenza della Cappella dellaBeatissima Vergine nella Compagnia dellaSantissima Trinità12. Questi locali, una volta ri-strutturati sotto la soprintendenza diretta degliaccademici Epilogato (Anton Filippo Conti) eArguto (Pier Antonio Montucci), furono solen-nemente inaugurati nel corso del 1731, dopoche in realtà gli accademici avevano già potu-to accedervi e usarli a partire dal 2 di luglio

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6 Le sottoscrizioni degli accademici per l’acqui-sto del locale sono reperibili in ARCHIVIO

DELL’ACCADEMIA DEI ROZZI, XVII: Locali, 1: Entrata euscita dellla compra della stanza. Cfr. anche ibi-dem, 3: Prestiti degli accademici per la sistemazio-ne della stanza.

7 Cfr. ARCHIVIO DELL’ACCADEMIA DEI ROZZI,Deliberazioni del corpo accademico, 1:1691-1722.

8 Tra le “galanti virtù” di cui doveva essere dota-to il candidato ad entrare tra i Rozzi - oltre a suona-re, cantare e ballare - vi era infatti anche lo “scher-mire”. Cfr. BIBLIOETCA COMUNALE DI SIENA, ms. Y II 27,c.8r. -

9 Cfr. ARCHIVIO DELL’ACCADEMIA DEI ROZZI, XVII:Locali, 2: Fabbrica delle nuove stanze della virtuosis-sima Accademia dei Rozzi, 9: Informazione per lostato dell’Accademia de Rozzi a tutto aprile 1732.

10 Cfr. La lettera dell’arcirozzo Giuseppe MariaMorozzi e dei deputati Anton Filippo Conti ePierantonio Montucci dell’8 giugno 1727 (ibidem,2: Fabbrica delle nuove stanze della virtuosissimaAccademia dei Rozzi, 1).

Le gravi spese a cui si sottopose l’Accademiaper l’acquisto e la ristrutturazione di questi localisono testimoniate dai molti richiami in sede acca-demica alla precarietà della situazione finanziariadel sodalizio. Ad esempio fra il 1727 e il 1728 si

decise di dare una decisa accelerazione alla praticadel gioco in Accademia, che costituiva da qualcheanno una fonte di proventi particolarmente consi-stente. Cfr. ad esempio la lettera di partecipazionedella riforma dei Capitoli del gioco inviata nel mar-zo 1728 per l’approvazione a Violante di Baviera(ARCHIVIO DELL’ACCADEMIA DEI ROZZI, V:Deliberazioni dei dodici deputati ai giochi, 1, cc.28r-29r).

11 Cfr. ad esempio ARCHIVIO DI STATO DI SIENA,ms. D 112: G. MACCHI, Diverse memorie di più coseoccorse nella città di Siena, cc.130v-131r; A.LIBERATI, R. Accademia dei Rozzi in Siena (ricordi ememorie)... cit., p. 388. Un incidente provocò an-che due lunghe contese giudiziarie fra l’Accademiae il maestro muratore Giuseppe Fondi, una pressoil Tribunale di Ruota e l’altra presso la Biccherna.Su queste cfr. Ia lettera che Agostino Fabiani, pro-curatore dell’Accademia, inviava il 25 novembre1738 agli accademici (ARCHIVIO DELL’ACCADEMIA DEI

ROZZI, XVII: Locali, 2: Fabbrica delle nuove stanzedella virtuosissima A ccademia dei Rozzi, 3) .

12 Cfr. BIBLIOTECA COMUNALE DI SIENA, ms. A VIII55: B. SPINELLI, Notizie storiche e documenti di alcu-ne chiese della città e diocesi di Siena, cc. 146v-157r.

13 Per la verità i lavori, come appare dalle testi-monianze, non furono in realtà seguiti con la do-

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173013.Una descrizione delle cerimonie per l’i-

naugurazione di questi locali e della prestigio-sa sala che costituisce il primo nucleo della o-ra restaurata “sala degli specchi”, un’accade-mia letteraria e musicale in onore di ClementeXII, svoltasi l’11 giugno 1731, conservatanell’Archivio di Stato di Siena e tratta da unacronaca del sacerdote Carlo Conti14, presenteall’avvenimento, è stata pubblicata da AlfredoLiberati nel 193615 e viene riproposta qui inappendice. Pur scontando alcuni errate con-vinzioni rispetto alla storia dei Rozzi che face-vano parte in qualche modo della “mitografia”dell’Accademia, la memoria costituisce un do-cumento di prima mano sui lavori che i Rozzisi trovarono ad affrontare per costruire la lorosede e su una cerimonia che, riservata nellaprima parte del suo svolgimento alle autoritàcivili e religiose della città, contemplò anchela visita della nuova e meravigliosa sala aiSenesi meno abbienti.

Parla, fra l’altro, di un progetto che, unavolta demoliti completamente dalle fonda-

menta gli edifici preesistenti, permettesse inprospettiva la realizzazione di uno stabile adue piani: “una grande, maestosa sala per leloro virtuose adunanze, con le stanze a terre-no per i loro onesti divertimenti”16. La sala,riuscita veramente magnifica e con una deco-razione ricchissima per i tempi, avrebbe costi-tuito il primo nucleo di quella “sala deglispecchi” che da allora è rimasta come un to-pos riconoscibile dello svago e dell’intratteni-mento senese, legato ai Rozzi da quasi cinquesecoli a questa parte. I lavori, che si eranoprotratti per quattro anni con ingenti spese daparte dell’Accademia, meritavano davveroun’inaugurazione prestigiosa. Proprio a que-sto fine sarebbe stata organizzata dagli acca-demici Rozzi una adeguata e “virtuosissimaaccademia di lettere, musica e sinfonie”17.

Ma se l’Accademia trovava con l’inaugura-zione di questi locali uno spazio prestigioso,in grado di ospitare degnamente l’attività let-teraria e musicale - proprio in quell’anno e inquella sala iniziavano infatti i famosi veglionidei Rozzi18 -, l’idea di un teatro nelle proprie

vuta attenzione. I Segreti, ad esempio, il 6 dicem-bre 1727, segnalavano all’Arcirozzo che vedevano“con indicibile rammarico da qualche tempo inqua assai mancato, per non dire affatto mancato, eda qual mancanza non possono che aspettarsenepessime conseguenze per la gloria e decoro di no-stra Aeeademia [...] quel bel fervore che prima ha-vevano [gli accademici] per i di lei vantaggi, e spe-cialmente per la fabbrica delle nuove stanze”.Suggerivano pertanto di “riassumere quel bello ze-lo, e fervore che prima ci havevano”, perché “trop-po scapito della gloria di nostra Accademia” si sa-rebbe verificato “se restasse nella forma che si tro-va la nostra fabbrica ridotta a quel segno che o-gnun vede”. Consapevoli della mancanza di fondiadeguati per il completamento della struttura, iSegreti suggerivano inoltre all’Arcirozzo - oltre allanecessità di stipulare un nuovo prestito al Monte -un provvedimento non nuovo per rimpinguare lecasse dell’Accademia, “il far prontamente i deputatiper far le commedie nel futuro Carnevale, che conuna gran maraviglia e con pregiudizio della suaben nota attenzione sentiamo con dispiaccimentodi molti accademici non esser stati fin ad ora elet-ti”, consigliando a questo proposito “soggetti affe-zionati alla nostra Accademia e che siano di pru-dente e matura riflessione”, i quali si adoperassero

finalmente per far “recitare commedie che portinopoca spesa all’Accademia, e che prima di fermar lecommedie che vorranno fare si contentino di farlecascare sotto i nostri occhi secondo l’antico costu-me trascurato nella passata ultima commedia”.(Ibidem, 2)

14 Cfr. ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, ms. D 109: G.MACCHI, Memorie, cc.213r-216r: Memoria sinceradella nuova eretta fabbrica in questa città di Sienadalli signori accademici Rozzi terminata l’anno1731 ... cit.

15 Cfr. A. LIBERATI: R. Accademia dei Rozzi inSiena (ricordi e memorie)... cit., pp. 392-397.

16 Ibidem, p. 392.17 Ibidem.18 L’esplicita intenzione dell’Accademia nel co-

struire le nuove stanze era non a caso quella di “ri-durle a commodo dell’adunanze pubbliche e priva-te” e per potere anche “tenervi un divertimento le-cito ed onorato di giuoco per l’accademici, e fore-stieri, col nome di Arcadia all’uso fiorentino”. Il ri-sultato alla fine doveva essere insomma “una salamaestosa e magnifica per ogni festa che mai potes-se idearsi dalla nostra Accademia, e che servissenel medesimo tempo per le adunanze pubbliche eprivate, ed inoltre tutte quelle stanze che si potes-sero cavar sotto la detta sala pel commodo del di-

Godendo l’antica Congrega dei Rozzi il lo-ro antico soggiorno per le loro adunanze nel-la via detta Beccarla, nel fine del 1726 si risol-verono, unanimi, prima che pigliassero il ter-zo secolo di lor fondazione, di sloggiare daquella stanza e strada e fabbricarne altra piùnobile e maestosa, in sito e posto più ragguar-devole e renomato; onde fatte le necessarieloro deputazioni dei più intelligenti e saggi lo-ro colleghi, questi in breve tempo fermorno lestanze e botteghe in conpra dirinpetto allachiesa parrocchiale di san Pellegrino, qualistanze e botteghe teneva a pigione, a uso dilana, un tale N. N. Sugherelli. Comprate dun-que appena, furono demolite fino dalle fon-damenta e da queste nuovamente, con nuovonobil disegno e pensiero rigettate, ed in brevefatto vedere quello ideavano fare, cioè unagrande, maestosa sala per le loro virtuose a-dunanze, con le stanze a terreno per i loro o-nesti divertimenti. Per rendere al pubblicoperfezionato il loro buon gusto vi vollero anni

quattro di continuo lavoro per tutte le oppor-tune maestranze; quindi è che nel 1731, com-pita e terminata, si prefissero farne il solennepublico discoprimento, come seguì il dì undi-ci giugno anno detto, con una virtuosissimaaccademia di lettere, musica e sinfonie. E co-me che dall’esser di Congrega era passata finodal sommo pontefice Leone X al glorioso tito-lo d’Accademia per i vari, diversi e gioconditrattenimenti dati e richiesti dal dettoPontefice nell’alma città di Roma, con esserstati clementissimamente abbracciati, accolti epremiati dalla Sua Santità, e da poi mantenutoe conservato gelosamente sempre un tal co-gnome d’Accademici Rozzi, ànno avuto sem-pre la gloria d’esser stati riguardati e protettida principi, da sovrani, da teste coronate, co-me per ultimo dalla gloriosa memoria dellaserenissima real gran Principessa di Toscana,che sopra d’ogn’altro fece spiccar la sua realemunificenza, l’amor suo, il suo clementissimopatrocinio a favore dell’Accademia e dell’ac- 5

Memoria sincera della nuova erella fabbrica, in questa città di Siena,dalli signori Accademici Rozzi terminata l’anno 1731,

con publica festa nella loro grande sala,stata datami dal molto reverendo signore sacerdote Carlo Conti.

Ad Maiorem Dei Gloriam

cademici tutti, col distinguer questi col prege-vol titolo di cittadini e come a tali concederegrazia di divertimento, di gioco onesto, collapermissione e benigna approvazione d’ognipiù profittevole avvantaggio necessario all’uomo onesto e civile. Per lo che è con risaltodell’Accademia e con profitto degli accademi-ci che si fa questa distinguere, si rendonoquelli ammirabili in tutte le loro operazioni;come per publica irrefragabil testimonianzane fu la predetta da loro fatta Accademia in o-nore di Maria sempre Vergine Immacolata, acui devono ogn’anno questo tributo di lode,così stabilito e fermato nelle loro ponderate,saggie costituzioni. E perché era grande l’a-spettativa di tal accademia per l’aprimentodella gran sala, fecero sì che riuscisse di granlonga superiore a quanto veniva ideato e cre-duto. Perfezionata dunque la fabbrica è rifini-ta la facciata con meraviglioso e nuovo dise-gno, non tanto per quello riguardava la portache venìa costrutta di broccatello di Mont’Arrenti, con testucci e geroflici [sic] esprimentile belle arti e lettere, con ringhiera al di sopradella medesima porta, bizzarramente ideata diferro sì, ma con vari riporti e cornici e pallottid’ottone (vaga cosa a vedersi) ed il rimanentedella facciata, che si distingue in tre diversiordini di finestre, lavorate tutte di stucchi amarmo e somiglianza di broccatello, con cor-nicione in fine, che inganna per la somiglian-za al vero finissimo marmo bianco.Introducono nella gran sala branche di scaleassai larghe e comode ad uso di chiocciola,montate le quali s’empie bene tosto l’osto nel-la vastità della gran sala, che non di subitogl’è permesso, gustarne quel più che di belloessa ne fa vedere: vede l’occhio una lunghez-za, che in sè non è che braccia 34, pur la bra-ma misurare, perchè non s’appaga, fatti pochipassi ne ammira la larghezza e anche le diceesser 17, non crede, se non si disinganna col-la prova: s’inoltra al centro, e doppo varie,con quiete misura, nel esser sincerato, chenon passa le 20 braccia, dal pavimento al sof-fitto, pur sta perplesso, e bon lo crede: artetutta d’una inarivabile architettura, a cui so-printesero l’accademico Epilogato, AntonFilippo Conti e l’Arguto, dottore Pier AntonioMontucci, i quali vi assisterono fino dal getta-re le prime pietre al total rifinimento di tuttala macchina e suoi ornati, con indefessa faticaloro. E per non defraudare chi legge circa lagrandezza e maestà della sala, oda con quantiornati furono tre sole parti delle pareti deco-rate, e distinte. La prima veduta di prospetto

essendo che mostri il gran quadro di MariaVergine Immacolata alto braccia 6, largo 5,con cornicione di 2/3 tutto dorato, opera perla pittura dell’ accademico signor AntonioBonfigli, che graziosamente lo donò; lateral-mente a questo pendono due gran medaglio-ni a chiaro scuro, entrovi dipinto, in unoAdamo, Eva nell’ altro: a destra mano Esterche leggi impone, e Debora che profetiza,dall’altra Giaele che inchioda Sisara, eGiuditta che fa pompa del forte suo braccio.A sinistra la gran torre di David et il roveto ar-dente, dalla destra l’arca salvata ed il taberna-colo custodito. Tra questi simboli cifre e sto-rie, molto vi resta ancora di voto, tanto che al-lora quando vennero alle strette per farsi lapublica festa, in disponendo i lor pensieri e ri-trovati non bastevoli al necessario decora-mento, fu loro espediente mutar disegno, equello che dal suo principio fu disegnato efabbricato con idea di sufficente decoramen-to, fè d’uopo aggiuntare a tutto questo, infraquel mezzi gran ventole con luce di cristallo ecornici tutte d’ oro, e così poi di queste di-sporne ancora per il rimanente della sala, confar inoltre pendere in mezzo lumiera grande adue ordini di lumi tutta in cristallo, cdn farequesta servire d’ornato altre sei più piccole,similmente di cristallo, che per l’ordine loromostravano l’arme del nostro Sovrano.Pendevano in appresso, lateralmente al granquadro, due maestosi luminari che reggevanotre lumiere per ciascuno, e queste ancora dìcristallo dorate tutte e ricche di lumi. E perchèavevano ceduto il già da prima stabile e fissopalcho per la musica e sinfonie alli signoriMinistri ed altri Cavalieri e prelati, che si eles-sero tal veduta, per la più gioconda all’occhio,fu di mestieri, con molta spesa, far prepararealtro palco sotto il quadro di Maria, largoquanto la stanza, centinato tutto ed a due or-dini, sopra del quale furono ordinati i purisuoni, cioè, violini in numero di 12, due bassi,vìole 2, 2 arcileuti, 2 bassetti, cìmbali 2, duecorni da caccia, due trombe etc. I cantori poisi destinorno dovere stare nell’ordine dei reci-tanti, che veniva sotto appresso il palco deisonatori, nell’ ordine medesimo della centina-tura, in mezzo dei quali, in sedie di damaschocremis sedeva l’Arcirozzo, signor dottoreGiovan Francesco Andreucci, detto fragl’Accadernici Lo Sparuto, con tenere appres-so in suoi consiglieri signor dottor Girolami esignor dottor Pio Malaspina, i due segretari u-no proprio, I’ altro dell’Accademia, signorPietro Bambagini e signor Giullo Donati, a6

canto di questi sedevano i due musici signorGiovanni Bernardi e signore Abbate [PaoliniAppollonio], a destra sedeva il signor dottorBruni che recitò un erudito poema, a sinistrail reverendo signor dottor Pietro Rossi, chedisse un nobil ben fondato pensiero poetico,a destra il signor dottor Tonci, che fè gustareuna soda canzone, a sinistra il signor MarcelloMartini, che disse un buon sonetto, a destra ilsignor Abbate Apollonio Paolini, che si fè o-nore con erudita canzone, a sinistra ilReverendo signor ... a che fè plauso con unforte sonetto, a destra il signor GabbrielloGabbrielli, che ebbe il viva della sua canzone,a sinistra il signor Giovanni Vespignani d’unbel sonetto, a destra finalmente il signorAngiolo Tucconi, che proposta un elegia pa-storale, tanto esso, che da sinistra il signorZaverio Staccioli chiusero dei componimenti,con plauso, la festa. Seguì a queste composi-zioni la seconda parte della cantata che portòfino alla una e mezzo di mezzo, e così venneterminata la pompa, con essere state in abon-danza distribuite le cantate dal signori deputa-ti accademici dentro e fuori coll’ ordine pre-scritto, cioè dai due consiglieri, come i piùdegni, all’ illustrissimo monsignorArcivescovob, cui fu destinata una ricoperta diraso cremisi, gallonata doppiamente d’oro,con larghi nastri e nappe d’ oro, e dapoi a tut-to il restante della numerosa udienza, che tal-mente era folta che fu giudicato passare unmigliaro di persone dentro la sala, con tuttoche questa venisse ingombrata e dal palco deimusici e dal gran trono eretto, il quale era ve-stito di damasco cremisi gallonato tutto d’ oroe con altri frangioni d’ oro, con calate laterali,con quadro in mezzo denotante il ritratto delgran pontefice Clemente XII, con sedia di vel-luto cremisi, intagliata tutta e dorata, gallonatae con frangioni d’ oro arricchita, con strato divelluto ponsò, a piè del qual trono si pose asedere in sedia di damasco cremisi a braccia-letti, gallonata d’oro, l’illustrissimo monsignorArcivescovo, che altra distinzione non ebbe,

che d’un ordinario tappeto sotto i piedi.Facevano ala al medesimo monsignor illustris-simo i signori Canonici della Metropolitanasecondo le loro dignità, onde restava in mez-zo un giro ben grande tondo fiorito tutto, ed isignori Canonici sedevano in sedie, o sianosgabelletti cori semplice spalliera e cuscino divacchetta, dietro al quali sgabelletti erano col-locate moltissime banche per comodità dellanobiltà. A mano sinistra, cioè, in veduta dimonsignore Arcivescovo, in panche destinatenobili, secondo la festa, i signori collegiali delnobil Collegio Tolomei, con l’intervento ditutti i padri Gesuiti, a destra e dietro alle sediedi monsignor Arcivescovo, in altre panche,assistevano i collegiali di San Giorgio, con a-ver monsignor Arcivescovo, presso sè, cioèper di dietro, i suoi signori preti di servizio edin sgabelletto più vicino il signor marchese ni-potec.

Terminata così la festa arzaronsi tutti in untempo i signori Accademici Rozzi, che aveva-no o recitato o cantato, e scesi dalla loro resi-denza, col loro Arcirozzo (cui parava d’avantiuna gran tavola ovata, vestita di broccatoned’oro e cremisi, sopra della quale era posto ilcampanello d’argento, fogli, calamaio conpenne e polverino d’argento, con quattro can-deglieri similmente d’argento) scesi, dico, dal-la residenza si presentaro in atto di umil rin-graziamento a monsignor Arcivescovo, chebenignamente e con sincera rimostranza digratitudine e di sommo piacere gl’accolse, esono impossibili ad esprimersi le espressionidi gioia e di gradimento di detto sì gran prela-to, che non pago di sì bella festa, quasi le rin-crescesse il lasciarla sì presto, prima d’usciredalla veduta dell’illuminazione, volle più volteammirarne la simetria, la vaghezza, la ricchez-za di quanto conteneva. Finalmente partito fufatto servire da sei uomini vestiti di nero civil-mente con torcia alla veneziana per ciascuno,fin tanto che non fu più in vista a loro con a-spettare fino all’ ultima carozza di suo segui-to, che furono fino a quattro; con aver egli un

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a Lacuna nel testo.b Era in questo tempo arcivescovo di Siena

Alessandro, figlio di Ansano e di Agnese Chigi, ni-pote del papa Alessandro VII. Nacque egli il 25 de-cembre 1669. Fu prima arciptete dellaMetropolitana e poi creato arcivescovo nel 1717.Morì jl 4 gennaio 1744. (PECCI, Storia del Vescovadosenese, Lucca 1748 e LIBERATI, “Miscellanea StoricaSenese”, A. V, (1898), Fasc. 3-4).

c Giuseppe-Flavio, nipote dell’ArcivescovoAlessandro, nacque da Ansano di MarcantomoZondadari e da Violante Gori-Pannilini il 26 no-vembre 1714. Fu podestà, di Rapolano (1755) e diTorrita (1767). Per le sue virtù fu qualificato comepadre della patria. Si occupò di musica e a tale sco-po scrisse anche un opuscolo. (Morrocchi, La mu-sica in Siena, Siena 1886).

nobil cappe cremisi dorato tutto e dipinto,con sei staffieri con torcie veneziane e fu ser-vito dai signori cavalieri protettori della mede-sima Accademia, signor cavaliere di Malta,Marsili, signor Pandolfo Spannocchi e signorcavaliere Brancadori con loro servitori, e que-sti medesimi signori cavalieri si portarono pri-ma a prendere l’illustrissimo monsignoreArcivescovo, che colla nobiltà tutta e tutto ilclero, alla cittadinanza ed a chiunque v’inter-venne, fece distribuire generosi rinfreschi disorbetti d’ogni sorte, acque in gran copia,caffè etc. Terminato il quale, nel punto desti-nato delle ore 22, si partì preceduto dal clerotutto, da tutti i signori curati, da tutta la no-biltà, e più appresso da tutto il gran Capitolo,con venire posto in mezzo dal suddetti signo-ri cavalieri, tutti a piedi, e con la solita croceavanti il medesimo monsignor Arcivescovo,che a vedere sì nobil corteggio, faceva più va-ga mostra l’affollato popolo che dal palazzoarchipiscopale alla gran sala, per la via publi-ca l’accompagnò, tanto i soldati ebbero di bri-ga a farle far largo nell’ingresso dalla via diSan Pellegrino, dove all’arco della medesima,se le fece incontro il signore Arcirozzo contutti i signori Accademici di residenza, e gi’al-tri tutti che l’Accademia compongono, pom-posamente vestiti tutti e che tutti al trono I’accompagnarono, di dove fatte e ricevutemolte e finissime accoglienze, andiedero conordinanza tutti al posti loro per dar principio,come seguì, quantunque già dal primo avviso,per lacchè espresso, della sua venuta, fosseprincipiata la strepitosa sinfonia, opera dei si-gnor Paolo Solurinid che in ordine di sinfoniesi segnalò, siccome e per la musica e cantatail reverendo signore Franco Franchinie, attoritutti celebri e renomati ed accademici Rozzi.

Terminata tutta questa sì ricca, sì nobile,virtuosa e maestosissima festa e partito in par-te il numeroso concorso, si riempì ben prestola medesima gran sala di nuovo popolo, checon impazienza ne attendeva fuora lo scom-bro della prima gente, per godere almeno ilbello della illuminazione, come fu concesso a

tutti libero passo e dato ordine che, per più d’un’ora, restasse illuminata, e così fu eseguito,ed intanto si licenziorno i signori collegiali,molto contenti, e con, segni di non ordinariagratitudine, serviti con torcie e accompagnatifino al posto proprio dagli Accademici.Soddisfatto così il popolo e rimasti i soliAccademici tutti allegri e contenti fecerospengere tutto con dare gli ordini opportunial loro custode ed alli due huomini di guar-dia, che vi dormirono per molte notti innanzi,e doppo per la custodia della robba tutta, chelode alla Immacolata Santissima Concezionenulla mancò, e fu due giorni doppo ancoratenuto aperto a publica soddisfazione, connon essere mai mancata gente ad ammirare, sìd’uomini come di donne, conceduto l’ingres-so a tutte.

Se nulla si è detto dell’ornato del quadrodella Vergine Santissima Immacolata, non siamaraviglia, mentre era sì ricco e vago che de-scrivendolo o non sarebbe creduto, o si la-scierebbe molto o sembrerebbe inalzato; ser-va questo: che pendeva sopra un maestosogran trono alla chinese, rabescato tutto d’ oroe dipinto, dal quale pendevano due calate didamasco cremisi con frangioni e galloni d’o-ro, che contornava tutto il baldacchino, conangeli laterali d’argento, che ne reggevano ilpanneggiamento con napponi d’oro sul finedella cornice del quadro, e sotto appunto ildetto trono, in atto di reggere la corona di do-dici stelle d’oro, stava due grand’angioli d’ar-gento: a tutto questo figurava dar luminosa vi-sta, l’appoggiare del palco dei sonatori, sopradel quale, nelle quattro cantonate, vi posava-no quattro frontoni intagliati tutti e dorati, conlumi molti sopra ed in mezzo, che tornava ap-punto alla testa del Arcirozzo altro frontoneintagliato tutto e dorato, con riporti di cristalli,con cristallo in mezzo, che mostrava l’impresadell’Accademia, che è una sughera arida ben-sì, ma con un ramoscello alla pianta ancorverde, col motto “Chi qui soggiorna aquistaquel che perde” .

Dopo alcuni lavori di manutenzione porta-

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d Paolo di Giuseppe Salulini, nacque in Sienanel 1709. Apprese i primi rudimenti musicali dal fa-moso musico e suonatore di organo Azzolino DellaCiaia. Desideroso di perfezionarsi nel contrappun-to si recò a Bologna ove ben presto divenne un ot-timo violinista. Di lui si ricordano, principalmente,una messa di Requiem ed un Credidi. Tornato inSiena diresse per lunghi anni il concerto musicaledei Signori di Concistoro e morì il 20 giugno 1780.

(MORROCCHI, op. cit.).e Francesco Franchini, musico ed accademico

rozzo col sopranome di Amabile, e nipote diDomenico Franchini, anch’ esso musico, fu mae-stro di Cappella dell’ Opera di Provenzano e repu-tato compositore musicale. Tra gli altri lavori si ri-corda di lui un’operetta buffa il “Don Chisciotte” e-seguita nel 1752 nelle stanze dei SeminarioArcivescovile di Siena. Morì nel 1757. (MORROCCHI,

ti avanti dopo la metà del secolo, una radicaleristrutturazione interessò la sala alla fine del1789. Fu allora che, oltre al cambio dei lam-padari a goccia con altri in cristallo, sarebberostati installati “dodici specchi de’ migliori cheesistono nelle nostre stanze, sopra i quali sifaccia una cornice nuova dorata ad uso diplacca” che avrebbero in seguito dato il nome

alla sala.La Sala, dopo una serie di interventi portati a-vanti a metà dell’Ottocento - uno consistenteinteressò infatti i locali accademici dopol’Unità, in occasione dello svolgimento aSiena del Congresso degli Scienziati italiani -fu definitivamente ristrutturata nel primo de-cennio di questo secolo. L’inedita relazione

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Ai Sig.ri Componenti il Consiglio di Direzione della Regia Accademia dei RozziSiena 4 Marzo 1906.

Fino da quando due anni indietro fu tenuta parola della necessità di rin-novare la decorazione della Sala massima della nostra Accademia, conosciutacol nome di Sala degli Specchi, non mancò chi, fra i soci, fece rilevare l’angu-stia della detta sala in rapporto alle cresciute esigenze delle feste e delle riu-nioni in genere, dovuta al numero assai rilevante di soci in confronto a quelloche l’Accademia vantava pochi anni indietro.

Allora non era cosa da porsi in discussione tenuto presente che l’amplia-mento della sala oltre tutti i lavori di ornamentazione e di struttura organica, a-vrebbe imposto ancora l’abbattimento del soffitto, opera sulla quale si faceva ilpiù completo affidamento e, diciamolo pure, alcuni fra gli accademici si tene-vano persuasi che esso rappresentasse un lavoro di vero valore artistico, ingan-nati forse dal tritume delle ornamentazioni accampate in fondi dorati. Non sa-prei dire con coscienza se per sfortuna o fortuna il soffitto in parola crollò lamattina del 24 Febbraio u. s. e quasi subito potei raccogliere nella sala e fuoriil desiderio liberamente espresso da alcuni accademici che, rimosso l’impedi-mento del soffitto, si vedesse se era il caso di ampliare la sala avanti che la ri-costruzione del soffitto medesimo nelle dimensioni primitive ne rendesse im-possibile l’attuazione, almeno per lungo numero di anni.

Pienamente convinto che il vagheggiato disegno risponda ad una veranecessità per la cresciuta famiglia accademica, mi sono permesso la libertà distudiare un progettino di massima che rimetto alle VV. SS. Ill.me e sottopongoal vostro illuminato giudizio. Con esso, perdendo l’attuale spogliatoio, la salaverrebbe a guadagnare in larghezza metri 2,10 e così metri quadrati di superfi-cie 34,24. perciò la superficie totale che attualmente ascende a Mq 131,20 ver-rebbe a salire a Mq165,44.

Nessun lavoro difficoltoso presenterebbe tale ampliamento, riducendosiquasi tutto al ringrosso della parete della sala dalla parte di Beccheria, ed allasostituzione di una scala a termine assai più ampia dell’attuale, per discenderealle latrine sottostanti; per dare quindi un’idea della spesa a cui si esporrebbel’Accademia per tale lavoro mi è parso doveroso accludere un appunto periticodei lavori tutti occorrenti d’ossatura, lasciando fuori quelli di decorazione e delsoffitto che sono tali da imporsi di per se stessi si faccia o no l’ampliamento inparola.

Lieto se la piccolezza della spesa e l’offerta spontanea di questo lavoroche sono venuto a presentare a Voi, egregi signori, potrà consigliarvi a pren-derlo in benevolo accoglimento, mi confermo

Delle SS. VV. Ill.me ServoProf. Bettino Marchetti

dell’architetto Bettino Marchetti, che qui vieneproposta di seguito, è utile anche per riper-correre la vicenda di questo importante spa-zio accademico e per illuminare su un risvoltocertamente poco conosciuto: quello del crollodel soffitto della sala avvenuto nel corso del1906.

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Preventivo della spesa per l’ampliamento della sala degli specchidella Regia Accademia dei Rozzi in Siena

Una pressante insistenza da parte delpubblico rivela un maggior interesse alla visitadi dimore storiche, piuttosto che di tradizionalimusei, da sempre considerati cattedralidell’Arte.

Vero è che oggi, alla luce di una interpreta-zione critica di Massimo Ruffoli e AntonioPaolucci, il Museo come architettura d’arte sti-mola la curiosità del visitatore indipendente-mente da quanto esso raccolga, perché la for-ma zoomorfa del Museo Guggenheim di Bilbaoche si modifica sotto la pressione del vento, ilconfronto violento tra l’architettura del ferro equella post-moderna della gare d’Orsay, il dialo-go tra costruzione e paesaggio del Kiasma diHelsinki, la ridondante angoscia del museo e-braico di Berlino, mirano, forse con arroganza,a un protagonismo certamente entusiasmante.

Lascio agli psicologi approfondire il moven-te di questo nuovo atteggiamento, ma credoche quel “Museo”, per anni considerato “obito-rio dell’Arte”, goda oggi di un eccesso di vita-lità e di autorità che irregimenta il visitatore in

un percorso obbligato, in nuovi siti, con subdo-li adescamenti come la caffetteria, il book-shop, la nursey, piacevoli soste di surrogatoriobenessere, comunque pericolosamente di-straenti.

Bene fece il grande collezionista HenryClay Frick ad imporre per testamento una par-ticolare disciplina nel suo celebrato museo diNew York: niente vettovaglie, niente bambini,niente convegni e dintorni, chiusura all’ospita-lità temporanea e confusionaria di mostre iti-neranti perché il pubblico amico possa final-mente in pace godersi i capolavori esposti.

Il Museo sembra oggi approntato per unasosta non stop di 24 ore per intere famiglie,che significa stanchezza esaustiva e noia equindi il negativo della conoscenza e dell’Arte.I Saggi dicono che in un museo non si possasoggiornare più di un’ora, perché non più diquest’arco di tempo può essere abbracciato daun’attenta percezione.

Installazioni fantascientifiche, code intermi-nabili istigate da una persuasione occulta che 23

Dimore storichedi NANNI GUISO

convince anche le brave casalinghe col bambi-no al petto, in epoca natalizia, a visitare a Romala mostra di Polloch allertando tutto un nuovomondo di ambulanti, extracomunitari, picare-sco e tempista, intorno alle entrate affollate,per offrire ombrellini pieghevoli ai turisti fra-stornati e sprovveduti, alla prima goccia di untemporale annunciato.

Prenotazioni con mesi di anticipo, attentatialla privacy con l’obbligo di dichiarare l’etàper eventuali riduzioni, provandola con docu-mento idoneo, puntualità crudelmente inesora-bili “Siete in ritardo: tornate al prossimo tur-no”, sottomissione ad una guida imposta perl’imperativo categorico di “viaggiare informa-ti”,offerta a raffica di cataloghi giustamente co-stosi perché ponderosi tomi di cultura ma inu-tili al visitatore medio, essendo essi mirati al-l’acquisizione di quei punti di merito che facili-tano concorsi e carriere.

Forse nella mia vita c’è sempre stata una vo-cazione al “piccolo”. Infatti, nel mio primoviaggio in America (sessanta anni or sono) nonerano i grandi templi dell’arte a stupirmi,quelliai quali l’Europa mi aveva via via abituato, ma imusei di piccole dimensioni, sostenuti dalla vo-glia di custodire le tradizioni e dalla morbosaricerca delle radici di un popolo giovane chevuol fermare il tempo e, per sempre, il suo pas-sato. Mi intenerivano le vecchie case privatetutelate dalla Soprintendenza e dall’affetto diun pugno di volontarie sempre anziane, sem-pre gentili, sempre monotone nel rilasciarespiegazioni farcite di sfarfallanti “lovely” conl’affettuosa riconoscenza che si ha per le atti-vità che ci salvano dalla solitudine. Le vestali diquesti templi non demordono anche se devo-no illustrare a turisti disattenti la prima macchi-na da cucire della signora Smith o gli abiti ap-passiti, stile “Via col vento”, della signoraMorgan. L’impegno è lo stesso con cui il criti-co d’arte svela la tensione di una battaglia diPaolo Uccello.

Nei grandi musei io mi ci perdo. Le loro di-mensioni inceppano la mia concentrazione. Miriducono a turista dalle sensazioni transeunti.Lussuosi come a Vienna, grandiosi come aParigi, di vastità delirante come a New York,non mi suggeriscono armonie e corrisponden-ze perché quanto essi conservano, come fioriesotici in una anonima serra, non è legato alterritorio, né anticipa l’esterno che appartienead altri mondi e altre civiltà.

Allora mi diventa tutto teatro, tutto sceno-

grafia e, insomma, tutto falsità con gli altari ba-rocchi ricostruiti in polistirolo per riproporrele pale seicentesche, il faretto violento che im-pone l’oggetto sbiadendo il gusto della scoper-ta, le vetrine foderate in velluti, sete e dama-schi, elaborate e pretenziose, che soverchianotracotanti, quanto esposto1. E poi il gran finale:lo scoppio a fuoco di artificio della polemica:“si è speso troppo. Dove sono andati i soldi delMinistero,della Regione,del Comune,dei salva-danai delle associazioni non profit, degli spon-sor, dei palazzinari senza scrupoli?

Nelle dimore storiche e nei piccoli musei,invece, sento pulsare il mio cuore nei suoi bat-titi di meraviglia, specialmente quando, attra-verso le finestre, scopro che l’esterno è la pro-tezione del paesaggio dipinto su tavola nelquale la Madonna veglia sul suo Bambino, co-me ebbe a rilevare il Ministro Paolucci.

Oggi la sala più frequentata dei musei è ilbook-shop ove si comprano i documenti com-provanti: io c’ero.

Tutto questo giustifica l’attuale pressante ri-chiesta di visitare le dimore storiche. Esse rive-lano sottovoce il gusto di un’epoca, la loro col-locazione artistica e architettonica e, divenen-do stanze amiche, facilitano la familiarità con ilsublime che è la chiave per vedere più in là deinostri poveri occhi. Entrare in queste case èentrare nelle vicende e nelle vicissitudini dellefamiglie, nel loro sforzo per la sopravvivenza,nei loro problemi di restauro di ettari di tetti,degli interni, dell’arredamento, delle suppellet-tili nel loro opporsi a oltraggiose divisioni ere-ditarie.

A ragione il poeta Eliot ha definito eroi delnostro tempo questi difensori - a prezzo di ri-nunzie e sacrifici - di un patrimonio di Arte, diStoria, di Vita. Patrimonio di cui ci hanno parla-to, recentemente, durante il convegno “La casanell’arte dell’abitare nei territori dellaRepubblica senese”, insigni studiosi, rilevando-ne passato e presente. Lasciandoci condurre inun interessante tour artistico alla scoperta del-le grandi dimore senesi, abbiamo constatatocome Siena, città di palazzi più che di case, hasempre facilitato la costruzione di “dimore-san-tuari del ricordo”, documenti di un’epoca.Nell’interessante volume di Gino Chierici, Lacasa senese nel tempo di Dante, illustrato e-gregiamente da Arturo Viligiardi (edito nel1921) sono elencate tutte le facilitazioni perincoraggiare le nuove costruzioni come addi-rittura il dono di 25.000 mattoni,“boni e bene

24 1 Anche se si tratta del lusso mediceo.

pleni del valore complessivo di 26 soldi per o-gni mille pezzi”, imponendo materiali, restri-zioni e persino i modelli dei chiodi “a testa didiamente”, ricordando che l’arte del costrutto-re è libera a tutti gli esperti e “come sia lecito aciascuno dei detti maestri tenere discepoli efancelli quanti vorranno acciocché cotali coserendano bellezza alla città”. E non solo: questecase suggeriscono una guida morale, una filo-sofia di vita.

Sentendo premere in me un’accesa vitalità,decisi di lasciare la Sardegna ove nacqui, cupa-mente avvolta in quel senso biblico del tempoe dell’ineluttabile che è nella filigrana della suastoria. Dai mitici lidi sardi approdai alle arcaneterre senesi.

Notaio in Montalcino, dedicai i primi giornia perlustrare il circondario. In una sera d’inver-no mi ritrovai a Castelverdelli, Torrenieri.

Entrai, con una sorta di struggimento romanti-co, nel castello in abbandono, presidiato dastormi di pipistrelli sinistri. Una lapide di mar-mo,oltraggiata in vari punti, fermò la mia atten-zione. Scritta nel latino della decadenza, recavanell’ultimo rigo, stranamente, la parola“Sardinia”. La lapide, ora asportata da mani vio-lente, recitava: “Se sceglierai una vita serena,questa terra sarà per te un paradiso ma se vor-rai darti al commercio, ai contratti, agli affari,perderai l’idillio e questa terra sarà per te unaSardegna”.

Continuando la tradizione, ho voluto cheanche L’Apparita, la dimora peruzziana in cuivivo felicemente, recasse un suo messaggio, u-na regola di vita, una guida morale. È del Tassoe recita:“Perduto è tutto il tempo che in amarnon si spende”.

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L’aspirazione a celebrare l’anno giubilarenella diocesi di Siena inserendo tra le diverseiniziative anche un momento di riflessionepiù approfondita sulla storia del Cristianesimonella nostra città è stata la principale, ma nonla sola motivazione che ha indotto, oltre dueanni fa, l’Istituto storico diocesano a curarel’organizzazione di un convegno, tenutosi neigiorni dal 25 al 27 ottobre scorso, con l’ambi-zioso programma di ripercorrere le fasi più si-gnificative della vita religiosa ed ecclesiasticasenese dalle sue origini, che tradizionalmentesi fanno risalire agli inizi del IV secolo, sino aigiorni nostri.

Nell’indirizzo di saluto rivolto ai parteci-panti il Presidente dell’Istituto Enzo Balocchiha invitato a meditare anzitutto sul ruolo e latestimonianza di quei primi cristiani, a comin-ciare dal protomartire sant’Ansano, che dovet-tero incontrare grande ostilità nel portare lanuova fede in terra senese, costretti com’era-no a professare il loro credo sotto le persecu-zioni di massa dell’imperatore Diocleziano ein una zona prevalentemente rurale, nellaquale l’assenza di importanti centri urbanicontribuì sicuramente a ritardare la diffusionedel Cristianesimo, aduso a mettere salde radi-ci nelle maggiori città, ma ostacolato spessonelle campagne dalla persistenza di quei cultipiù antichi che per l’aver sede nei “pagi”, ovillaggi, furono detti appunto pagani.

Si è avvertita, altresì, l’esigenza di indivi-duare i possibili approcci metodologici ad u-na materia vasta ed assai articolata quale lastoria ecclesiastica, che difficilmente può es-sere ricondotta entro gli schemi del sentire re-ligioso a livello locale, poiché presenta molte-plici aspetti attinenti ai profili istituzionali, so-ciali e di culto, nonché al concreto svolgersidi rapporti economici e giuridici che si dilata-no spesso in più ampie dimensioni di tempoe di spazio e che non sempre è agevole pe-riodizzare e ricomporre in un quadro puntua-le e coerente. Preziose osservazioni al riguar-do sono state formulate nella relazione d’a-pertura, affidata allo studioso statunitenseWilliam M.Bowsky, che alla storia senese hadedicato molti anni della sua instancabile atti-vità di ricercatore, meritandosi, tra l’altro, laqualifica di cittadino onorario e la laurea ho-

noris causa della nostra Università. In questacircostanza Bowsky ha offerto i frutti dellesue più recenti esperienze, vale a dire dellesue indagini sulla storia ecclesiastica medieva-le di Firenze che possono servire da modelloanche per la storia della comunità ecclesialesenese nel medesimo periodo, trattandosi diinvestigare su argomenti tipicamente istituzio-nali oppure di ricostruire momenti e “spacca-ti” di vita vissuta e tracciare profili di perso-naggi emblematici o stravaganti. L’interesse diBowsky per un’analisi che penetri in profon-dità nel vivere quotidiano e nel concreto ma-nifestarsi dei sentimenti e dei comportamentidella gente è apparso intimamente connessoai problemi di individuazione e critica dellefonti documentarie che costituiscono l’impe-gno scientifico più qualificante per lo storico.

Per quanto concerne la documentazionesenese la problematica relativa è stata subitoaffrontata da Giuliano Catoni, che nella suarelazione ha delineato un quadro esaustivodell’ampia tipologia delle fonti edite e inedite,conservate per lo più negli archivi pubblici eprivati della nostra Città, richiamando l’atten-zione dei convegnisti non tanto sull’abbon-danza quanto sul valore qualitativo di tale do-cumentazione ai fini di un’indagine a tuttocampo sul mondo religioso senese dall’AltoMedioevo all’Età contemporanea.

Sul primo incerto configurarsi della piccoladiocesi di Siena, stretta entro i confini dell’an-tico municipio romano, ma dagli inizi dell’VIIIsecolo protesa ad estendersi in direzione diArezzo, dietro le aspirazioni di conquista delgruppo dirigente longobardo, si è soffermatoFrancesco Scorza Barcellona, che ha cercatodi gettare un po’ di luce nell’oscurità che an-cora avvolge la figura di sant’Ansano, muo-vendo da una puntuale critica filologica deitesti che tramandano la leggenda della passio-ne del Martire e confrontandoli con testi dicontenuto analogo, risalenti ai primi secoli delMedioevo e provenienti presumibilmente dalmedesimo ambiente culturale. È certo altresìche la diocesi di Siena non dovette acquisireun rilevante spessore istituzionale almeno si-no al secolo XII: il suo vescovo, come si de-duce da un diploma dell’imperatore Enrico IIIdel 1055, non aveva mai goduto delle immu-

Chiesa e vita religiosa a SienaA proposito di un recente convegnodi PAOLO NARDI

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nità giurisdizionali e dei diritti patrimoniali deiquali potevano giovarsi tanti suoi colleghi delRegno italico e dell’Impero. Una chiara con-ferma in tal senso si è potuta trarre dalla rela-zione di Wilhelm Kurze sulle istituzioni mona-stiche nella diocesi senese dal VI al XII seco-lo. Lo studioso tedesco ha infatti dimostratoche alla fine del Millecento la nostra diocesicomprendeva soltanto nove monasteri, nessu-no dei quali era stato fondato dal vescovo,mentre tutti risultavano esenti dalla sua giuri-sdizione. Kurze si è inoltre soffermato sullaproblematica posta dalla fondazione diS.Abbondio, la cui chiesa, risalente al sec. XIIma pressoché ignota agli storici dell’arte, èstata successivamente illustrata sotto il profiloarchitettonico da Fabio Gabrielli.

Il salto di qualità che accrebbe notevol-mente il ruolo istituzionale e il peso politicodella diocesi di Siena si realizzò tra l’episco-pato di Ranieri e quello di Bonfiglio, ovverodai primi decenni del Millecento alla metà delDuecento, e Michele Pellegrini ha saputo deli-neare in un grande affresco il processo di cre-scita subito dalla comunità ecclesiale senesenelle sue diverse componenti e dall’organiz-zazione ecclesiastica in tutte le sue articola-zioni nello stesso periodo che vide il costituir-si dell’ordinamento del Comune e l’arrivo incittà degli Ordini mendicanti (domenicano,francescano e servita), impegnati a rinnovareprofondamente la vita religiosa. In questoquadro anche i rapporti della Chiesa di Sienacon le somme autorità del tempo, Papato eImpero, si fecero più intensi ed a chi scrive ètoccato l’arduo compito di ripercorrere gli svi-luppi delle relazioni tra le famiglie del ceto di-rigente cittadino e la Curia pontificia nell’epo-ca di maggiore espansione del partito guelfoe poi nel periodo della cosiddetta “cattività a-vignonese” del Papato, durante il quale, spe-cialmente nella fase finale, si registrò piuttostoraramente la presenza in sede dei vescovi se-nesi - troppo spesso impiegati in missioni di-plomatiche oppure nell’esercizio di funzioniche li tenevano lontani dai loro doveri pasto-rali – e ciò non impedì, comunque, il formar-si, prima a Siena e poi a Roma, di un gruppodi spiritualità di altissimo livello come la cer-chia di Caterina Benincasa.

Alle relazioni d’inquadramento sul periodotardomedievale e rinascimentale, tenutesi trail mattino e il pomeriggio del 25 ottobre, han-no fatto seguito, il giorno successivo, numero-si interventi su temi più specifici. MarioAscheri e Giovanni Minnucci hanno dedicatole loro relazioni ad argomenti istituzionali, ri-spettivamente alle istituzioni ecclesiastichenella loro rilevanza politica ed a quelle cultu-rali nelle loro connessioni con il mondo ec-

clesiastico o addirittura espressioni del mede-simo, come le scuole di teologia e gli Studigenerali degli Ordini mendicanti. Minnucci siè soffermato altresì sulle vicendedell’Università di Siena, che stava particolar-mente a cuore a Bernardino degli Albizzeschie che sempre mantenne proficui rapporti conimportanti uomini di Chiesa, anche non sene-si. Un’altra istituzione di origine medievaleche in Siena è sempre stata di peculiare rile-vanza non solo sotto il profilo artistico, maanche socio-politico ed economico – l’Operametropolitana del Duomo – ha formato ogget-to dei contributi, ben coordinati, di StefanoMoscadelli ed Andrea Giorgi, che ne hanno a-nalizzato struttura e funzioni.

Sulla vita religiosa nei suoi risvolti di piùprofonda spiritualità e sugli aspetti devozio-nali e di culto hanno fissato la loro attenzioneUbaldo Morandi, Maria Assunta Ceppari ePatrizia Turrini. Morandi ha potuto ricostruirealcune tra le espressioni del sentire religiosodei Senesi dal Duecento al Quattrocento attra-verso l’esame accurato dei loro testamenti eporle a confronto con alcune manifestazionidel pensiero di alcuni mistici contemporanei,mentre Ceppari e Turrini, muovendo da unaricognizione sistematica delle confraternite ecompagnie laicali attive a Siena tra Medioevoed Età moderna, hanno inteso presentare unasintesi delle problematiche attinenti ad un set-tore della realtà ecclesiale senese particolar-mente fertile di iniziative finalizzate alla pre-ghiera ed all’assistenza degli ammalati, dei bi-sognosi e dei condannati, senza contare cheda certi ambienti uscirono personalità dotatedi grande carisma. In questo contesto si sonoinseriti alcuni interventi dedicati all’approfon-dimento di tematiche di storia delle arti figu-rative: da quello di Raffaele Argenziano sull’i-conografia di Cristo, specialmente nelle mi-niature senesi, tra la fine del sec. XII e gli ini-zi del XIII, a quello di Petra Pertici, diretto adillustrare il pregio documentario e non soltan-to estetico di alcuni affreschi di Domenico diBartolo nel Pellegrinaio, a quello diAlessandra Gianni, vòlto ad evidenziare il va-lore figurativo delle immagini sacre che tradi-zionalmente si espongono e si venerano inSiena in occasione dell’ottavario dellaDomenica in albis.

La caduta della Repubblica non ebbe ri-percussioni negative sull’organizzazione ec-clesiastica: anzi, la diocesi di Siena, già erettain archidiocesi da Pio II (1459), con le suesuffraganee di Massa-Populonia, Grosseto,Sovana e Chiusi, finì per esercitare le preroga-tive di metropolitana anche nei confronti diMontalcino e Pienza, che sarebbero dovutedipendere direttamente dalla Santa Sede e,

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pertanto, dal 1559 gli arcivescovi senesi si tro-varono a capo di una vasta provincia ecclesia-stica che coincideva con il territorio meridio-nale del Granducato di Toscana, ovvero conl’antico Stato senese. Gaetano Greco ha fissa-to i caratteri istituzionali di tale ordinamento,insistendo a ragione sui profili giurisdizionaliche segnarono, in Età moderna, il complessointrecciarsi degli antichi poteri con le nuovecompetenze fatte valere dai Principi e dai loroapparati burocratici anche nei confronti delleautorità ecclesiastiche. Sulla vita religiosa aSiena dopo la Controriforma e sul difficilerapporto tra certe sue manifestazioni e le pro-cedure dell’Inquisizione si è, invece, soffer-mato Oscar Di Simplicio, che da tempo svol-ge ricerche del tutto originali sull’argomentopresso l’Archivio del Sant’Uffizio in Vaticano,dove si trovano depositati anche i documentisenesi.

Una tipica istituzione dell’età medicea chesi distingue ancora oggi in Siena non soltantoper il suo valore monumentale e storico, maaltresì per il suo bagaglio di suggestive me-morie che coinvolgono i sentimenti dell’interacittadinanza, è l’Opera di S.Maria inProvenzano: ad essa hanno dedicato i lorocontributi Mario Brogi e Paolo Brogini, soffer-mandosi tra l’altro sull’importanza qualitativadel suo archivio. Finalmente anche alla storiadel Seminario arcivescovile senese è stata ri-servata la dovuta attenzione da MaurizioSangalli che ha peraltro ridimensionato le fun-zioni dell’istituzione in certi periodi dell’an-cient régime, ricostruendo le basi ed i metodidi reclutamento del clero secolare che nonsempre erano rispettosi del ruolo formativo difondamentale importanza attribuito ai semina-ri dalle norme della riforma tridentina.

L’ultima seduta del convegno, svoltasi ilmattino del 27 ottobre, è stata interamente de-dicata alla storia contemporanea della diocesidi Siena: dalle drammatiche vicende del “vivaMaria!” alla tragedia del secondo conflittomondiale. Ha iniziato, dunque, LorenzoMaccari che ha presentato e discusso la fontepiù autorevole dei tristi eventi a sfondo politi-co-religioso accaduti in città nel 1799, un’ope-ra manoscritta attualmente posseduta dallostesso Maccari1 e della quale è autoreVincenzo Buonsignori, tipico esponente diquella colta borghesia medio-piccola che fecela sua timida comparsa anche a Siena a partiredalla prima metà del secolo XIX. Le condizio-ni della diocesi senese dopo la Restaurazionesono state successivamente ripercorse daFranco Daniele Nardi, che con la sua precisae dettagliata esposizione ha consentito di in-travedere nei problemi pastorali di quel tem-po le probabili antiche radici di certe attuali

difficoltà. Ad accrescere quei problemi contri-buirono i fatti del Risorgimento e le lacerazio-ni tra laici e cattolici che continuarono a pro-dursi nella successiva “età liberale”. E’ toccatoad Antonio Cardini ed a Stefano Maggi far ri-vivere i fatti più significativi di tale periodo egli episodi di profonda incomprensione o ad-dirittura di aperto conflitto che aggravarono lasituazione nei primi anni del Novecento, al-lorché anche i cattolici senesi riuscirono fati-cosamente a conquistare un ruolo più incisivonella vita sociale e politica, sia locale che na-zionale; un ruolo che trovò ampio riscontronell’impegno organizzativo in ogni campo enella vivacità culturale attestata anche dalle i-niziative dell’editoria cattolica senese traOttocento e Novecento e a tale riguardoMario De Gregorio, con le sue accurate ricer-che, ha potuto illustrare il contributo delle ca-se editrici più attrezzate, da quella di mons.Bufalini a quella, tuttora attiva, della famigliaCantagalli.

L’ultima relazione, presentata da AchilleMirizio, non poteva che risultare di particolareinteresse, trattando dei cattolici senesi nel pe-riodo dal Fascismo alla Repubblica ed ancheperché Mirizio svolge da diversi anni ampieindagini su fonti inedite ed è quindi in gradodi svelare atteggiamenti e risvolti ignoti persi-no a chi di certi fatti è stato testimone. Lamancanza di tempo ha tuttavia impedito al re-latore di esporre tutti gli argomenti affrontati epertanto è auspicabile che presto la sua, co-me le altre relazioni, possa trovare forma defi-nitiva e diffusione adeguata nella pubblicazio-ne degli atti del convegno. Al qual propositooccorre sottolineare che, trattandosi di unconvegno scientifico, saranno appunto gli attia divenire oggetto di discussione ed a costi-tuire un invito stimolante ad ulteriori ap-profondimenti, oltre che rappresentare unpunto fermo negli studi in materia, ovvero u-na sorta di manuale di storia della nostra dio-cesi, prezioso soprattutto dal punto di vista i-stituzionale, ma capace di rivelarsi utile ancheper chi voglia documentarsi sulle personalitàcarismatiche emerse nella comunità ecclesialesenese in ogni epoca e cogliere le linee di unprocesso involutivo della società cittadina erurale che ha portato la Chiesa di Siena, forsepiù di altre, a doversi duramente confrontarecon i problemi posti dalla secolarizzazione edalla crisi di valori etico-politici del tempopresente.

1 Cfr. L.MACCARI, Siena 1799: un “annus terri-bilis” tra occupazione francese e “Viva Maria!”, in“Accademia dei Rozzi”, VI n.10 (maggio 1999), pp.11-17.

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Nel tardo autunno del 1993 le terze paginedei maggiori quotidiani italiani diffusero unanotizia che sembrava destinata ad aprire nuo-vi orizzonti nel campo degli studi storico arti-stici: da una collezione privata era emerso uncassone nuziale istoriato che si configurava,essendo riferito alla prima metà del Trecento,come un vero e proprio prototipo per questatipologia di oggetti, la cui massima diffusione,com’è noto, si verificò nel secolo successivo.L’attribuzione a uno dei più celebrati artistitrecenteschi, Ambrogio Lorenzetti, rendeva lascoperta addirittura sensazionale.L’entusiasmo, come si ricorderà, fu però dibrevissima durata. Le riproduzioni che circo-larono in quei giorni bastarono a convinceregli studiosi che la graziosa e ingenua pitturache decorava il manufatto, per quanto sicura-mente di ‘scuola senese’, doveva essere stataeseguita ai primi del nostro secolo. Come fal-so, del resto, il cassone era stato già pubblica-to nel 1991 e, ricondotto in quest’ambito, me-ritò una breve citazione, nel 1995, anche daparte di Gianni Mazzoni, il massimo conosci-tore di ogni questione relativa alla produzionedi falsi a Siena fra Otto e Novecento. A questopunto avrebbe dovuto calare il sipario sull’in-tera vicenda.

Un recente volume si propone, però, diriaprire la questione, analizzando da un’ango-lazione diversa il problema dell’antichità edell’originalità delle tavole dipinte. Vi si rico-struisce, infatti, la vicenda critica che abbiamoaccennato (con omissioni e ‘accomodature’non casuali) e, soprattutto, viene resa notaun’impressionante quantità di relazioni e ri-sultanze dei metodi d’analisi scientifica appli-cati – anche dall’Istituto Centrale per ilRestauro di Roma – alle due ‘scene da un ma-trimonio’. Sulla base degli ‘incontrovertibili’ e-

siti delle analisi quantitative la datazione alTrecento viene sicuramente ribadita e l’attri-buzione ad Ambrogio riproposta. Il datoscientifico, è innegabile, possiede un’aura dioggettività che è apparentemente difficile dacontestare, anche quando configga con ilbuon senso e con i ‘dati’ che altre discipline(la storia dell’arte e la storia, nel nostro caso)hanno raccolto. Sorvolando sulla discutibileimpostazione del volume, redatto in gran par-te non da uno specialista ma dallo stesso pro-prietario dell’oggetto, e su altre considerazio-ni marginali rispetto al vivo della questione(come le teorie sull’antico assetto urbanisticodi Siena proposte dall’architetto Andrea Brogi,recentemente discusse, fra l’altro, nelle paginedi questa rivista), sarà necessario spenderedue parole, quindi, su questo ingombrante ar-gomento, che rischia di fuorviare l’esatta com-prensione del testo pittorico. Testo che fonde,se pure abilmente, citazioni dalla pittura sene-se del Trecento – non solo Ambrogio ma an-che Simone, se si confronti il suonatore di ce-tera del cassone con la celeberrima analogafigura degli affreschi di Assisi – con suggestio-ni derivate da quell’idea romantica e fantasio-sa di Medioevo tramandata dalla letteratura edall’illustrazione ottocentesca e, più tardi, ad-dirittura dal cinema. Come spiegare, altrimen-ti, gli anacronismi e le incongruenze delle ta-vole? Si pensi soltanto al ‘pic-nic’ dei due in-namorati, con tanto di tovaglia distesa sull’er-ba, alla presenza di un fiasco impagliato, allacomicissima scena di seduzione fra due gio-vani dietro le quinte del banchetto e all’incre-dibile stradina serpeggiante fra i prati fioritiche separa i due amanti a cavallo. La tentazio-ne di riconoscere l’eroico Errol Flynn sullagroppa di quel ronzino è, indubbiamente, for-te.

Il cofano nuzialeistoriato attribuitoad AmbrogioLorenzetti

Larecensione

a cura di Alberto Colli, con testi di Piero Torriti, Mario Milazzo e Andrea Brogi, Electa, Milano 2000, pp. 216.

di MARCO PIERINI

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Eppure le analisi scientifiche – rigorosa-mente e accuratamente condotte – hannoprodotto risultati che sembrano confermarel’antica datazione delle tavole dipinte. Come èpossibile conciliare le due posizioni, ciascunaapparentemente incontrovertibile? Ci viene inaiuto, proprio in questo volume, MarioMilazzo, che dopo aver sinteticamente espo-sto i risultati delle indagini chimico-fisichescrive: “Irriducibilmente, si potrebbe ancora i-potizzare che il dipinto sia stato eseguito suun supporto di legno d’epoca, che si sia usatoun bianco con piombo del pari antico e che,infine, si siano messi in essere misteriosi trat-tamenti di invecchiamento artificiale che ab-biano prodotto un sistema di craquelures deltutto simile a quello dovuto a un invecchia-mento naturale”. Quello che per Milazzo “sipotrebbe ancora ipotizzare”, e cioè che i fal-sari usassero legno antico e conoscessero so-fisticate – ma non misteriose! – tecniche perinvecchiare artificialmente i materiali è oggi

ampiamente provato e documentato; gli ar-chivi di alcuni ‘pittori di quadri antichi’ si so-no finalmente aperti e, alcune delle ricette daloro utilizzate, sono state perfino pubblicate.

La scienza, come il caso in questione am-piamente dimostra, può offrire a chi studi imanufatti artistici un validissimo aiuto, manon può recare risultati certi e indiscutibili: leindagini potranno confermare l’antichità deimateriali di supporto o la verosimiglianza delprocesso di invecchiamento della pittura, maoltre questo limite non è possibile spingersi.Gli anacronismi, le incongruenze, le stortureche ogni falso inevitabilmente denuncia – nonpotendo che “riflettere l’epoca dell’esecutore,cioè del falsario”, scriveva Federico Zeri – sidovranno, quindi, sempre analizzare e inter-pretare con strumenti diversi, tenendo bene amente che l’ambiente culturale nel quale gli i-mitatori delle antiche maniere operavano erapiù complesso e consapevole di quanto nonsi ritenga.