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Indice
Introduzione 3
1 Il doppio decadimento beta 7
1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.2 Il doppio decadimento beta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.3 Il neutrino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
2 Il doppio decadimento beta senza emissione di neutrini 25
2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.2 L’elemento di matrice nucleare . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
3 La rivelazione del doppio decadimento beta senza emissione
di neutrini 34
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
3.2 GERDA fase I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
3.3 GERDA fase II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
3.4 MAJORANA Demonstrator . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.5 Large Scale Ge Detector . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3.6 CUORE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
3.7 LUCIFER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
1
3.8 KamLAND-Zen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
3.9 SNO+ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
3.10 NEXT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
3.11 EXO-200 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
4 Calcoli di struttura nucleare dell’NME 51
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
4.2 Modello a Shell Nucleare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
4.3 Quasiparticle Random-Phase Approximation . . . . . . . . . . 55
4.4 Il modello a bosoni interagenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
4.5 Il calcolo dell’elemento di matrice nucleare . . . . . . . . . . . 62
Conclusioni 71
Bibliografia 74
2
Introduzione
Lo studio sperimentale e teorico del doppio decadimento β senza emis-
sione di neutrini (0νββ) è un processo di decadimento nucleare attualmente
al centro dell’attenzione della comunità dei ricercatori di fisica nucleare e
alte energie. Ciò avviene in virtù del fatto che la sua eventuale rivelazione
aprirebbe la strada a studi di fisica delle particelle elementari, in un quadro
posto al di là del Modello Standard di Weinberg e Salaam.
Infatti, la rivelazione di tale decadimento - oltre a fornire informazioni sul-
la massa del neutrino - identificherebbe tale particella non come “particella
di Dirac", ma come “particella di Majorana” (cioè identica alla sua antipar-
ticella), in contrasto col Modello Standard dove le particelle sono distinte
dalle rispettive antiparticelle. Questo porterebbe ovviamente a una crisi di
tale modello nella sua attuale formulazione, e aprirebbe a nuovi scenari della
comprensione dell’universo che ci circonda.
Il doppio decadimento β è un decadimento in cui un nucleo (A,Z) decade
in un nucleo (A,Z + 2) con emissione di due elettroni e due neutrini. Una
variante di tale processo è il doppio decadimento β senza emissione di neu-
trini in cui il nucleo (A,Z) decade nel nucleo (A,Z + 2) rilasciando elettroni
ma non i neutrini. Questo processo venne considerato per la prima volta
da Furry nel 1939, come fenomeno compatibile con l’ipotesi sviluppata da
3
Ettore Majorana di un neutrino coincidente con la sua antiparticella. Dopo
la scoperta dell’oscillazione di neutrini, il 0νββ ha acquisito quindi un gran-
de interesse, in quanto - come osservato in precedenza - risulta un punto di
partenza per stabilire limiti sulla natura del neutrino.
A tal riguardo, risulta indispensabile ottenere informazioni sulla sezione
d’urto di tale decadimento, la quale è direttamente collegata all’elemento di
matrice nucleare (NME) del 0νββ attraverso la probabilità di transizione del
processo stesso, fornita dalla Regola Aurea di Fermi. Quindi il calcolo di
tale elemento di matrice permetterebbe di ottenere precise informazioni sulle
proprietà del decadimento stesso.
Per ottenere il risultato di tale operazione è necessario calcolare la fun-
zione d’onda dei nuclei negli stati iniziali, intermedi e finali del processo,
ed è quindi necessario ottenere una soluzione particolarmente accurata del-
l’equazione di Schrödinger dei nuclei coinvolti nel decadimento. Ciò può
essere ottenuto mediante l’utilizzo dei moderni modelli utilizzati per calcoli
di struttura nucleare, come ad esempio il modello a shell nucleare (ISM), la
Quasi-particle Random-Phase Approximation (QRPA), e il modello a bosoni
interagenti (IBM).
Attualmente la comunità di fisici che si interessa allo studio di tale pro-
blematica è piuttosto vasta, soprattutto poichè al momento esiste un certo
"spread" dei risultati per l’NME ottenibili con tali modelli. Per esempio, se
consideriamo l’NME per il doppio decadimento β senza neutrini del 76Ge si
ottiene con il modello a shell un valore di 2.30, con la QRPA il valore è 4.92,
e infine con il modello a bosoni interagenti il risultato è 5.47. I valori otte-
nuti si discostano purtrtoppo l’uno dall’altro piu’ del 10%, e questo incide
4
negativamente sul calcolo della sezione d’urto del fenomeno. D’altro canto,
questa situazione sta stimolando attualmente la ricerca del perfezionamento
dei modelli teorici dei calcoli di struttura nucleare.
E’ noto, infatti, che calcoli con un certo livello di accuratezza delle funzio-
ni d’onda di nuclei con massa maggiore di A = 12 sono molto più complessi
che in fisica atomica e molecolare, a causa essenzialmente della natura non
perturbativa del potenziale nucleare. Mentre da un lato le tecniche e i me-
todi della teoria a molti corpi utilizzati nel caso del potenziale coulombiano
permettono di ottenere funzioni d’onda estremamente raffinate per atomi e
molecole, gli stessi approcci, nel caso dei nuclei, risultano meno efficaci e
dal punto di vista computazionale estremamente onerosi. Questo è dovuto
alla complessità del potenziale nucleare che oltre a una componente centrale
(come nel caso coulombiano) presenta componenti anche di interazione spin-
orbita, spin-spin e tensoriale che rendono le correlazioni tra i nucleoni più
intense che tra gli elettroni nel caso della fisica atomica.
Lo "spread" tra i valori dell’NME calcolati con i diversi modelli di strut-
tura nucleare riflette la mancanza di misure direttamente ricollegabili all’ele-
mento di matrice nucleare stesso. Infatti i parametri che compaiono nei vari
modelli di struttura nucleare non possono essere vincolati in nessun modo
per riprodurre dei dati sperimentali che risultano assenti.
Dunque, la problematica relativa al calcolo dell’elemento di matrice nu-
cleare del 0νββ è di stabilire, al momento, quale sia il modello più adatto
per il calcolo dello stesso.
Lo scopo del presente lavoro di tesi è quello di descrivere la problematica
relativa al calcolo dell’elemento di matrice nucleare del doppio decadimento
5
β senza emissione di neutrini.
Il primo capitolo sarà incentrato sulla descrizione del doppio decadimento
β, soffermando l’attenzione sulla fisica del neutrino. Nel successivo capitolo
verrà descritto il doppio decadimento β senza emissione di neutrini e sarà
introdotto l’elemento di matrice nucleare del processo. Nel terzo capitolo sarà
illustrata una breve panoramica dello stato attuale degli sforzi sperimentali
per la misura della sezione d’urto del 0νββ.
Infine, l’ultimo capitolo, sarà dedicato alla problematica relativa ai calcoli
in struttura nucleare dell’NME, in particolare soffermando l’attenzione su tre
modelli di calcolo dell’elemento di matrice nucleare stesso, quali il modello a
shell nucleare, la Quasiparticle Random-Phase Approximation e il modello a
bosoni interagenti.
Nel capitolo finale verranno tracciate alcune conclusioni sulla tematica
affrontata.
6
Capitolo 1
Il doppio decadimento beta
1.1 Introduzione
L’emissione di elettroni dal nucleo è stato uno dei primi fenomeni di deca-
dimento osservati. Il processo inverso, ovvero la cattura da parte del nucleo
di un elettrone, non venne osservato prima del 1938. Infine, nel 1934, Joliot
Curie, per la prima volta, ha osservato il processo collegato all’emissione di un
positrone nei decadimenti radioattivi. Questi tre processi nucleari vengono
raggruppati sotto il nome comune di decadimento beta.
Nei decadimenti beta, in sostanza, un protone si converte in un neutrone,
oppure un neutrone si converte in un protone. Segue che nel nucleo, a seguito
di un decadimento beta, cambia sia il numero atomico, Z, che il numero di
neutroni, N . In particolare, questi cambiano di un unità, cioè Z → Z ± 1,
N → N ∓ 1, di modo che il numero di massa, A = N +Z, rimanga costante.
Dunque, il decadimento beta fornisce una strada conveniente, ad un nucleo
instabile, per poter scorrere nel basso della parabola di massa, con fissato A,
avvicinandosi a isobari stabili (vedi figura 1.1).
7
Figura 1.1: Parabola delle masse degli isobari con A = 101. I possibili
decadimenti β sono mostrati con una freccia.
Nel 1934, Fermi ha sviluppato quella che prende il nome di Teoria di
Fermi del decadimento beta per spiegare tale fenomeno introducendo la
presenza, nel decadimento, del neutrino di Pauli.
Le caratteristiche fondamentali del decadimento beta, in tale teoria, sono
derivate dall’espressione della probabilità di transizione. L’elemento pertur-
bativo, nella transizione in esame, è l’interazione debole ed il risultato di
questo calcolo, trattando appunto il decadimento come una transizione da
uno stato iniziale ad uno finale causata dall’interazione debole, è dato dalla
Regola Aurea di Fermi
w =2π
~|Vif |2 ρ (Ef ) , (1.1)
direttamente ricollegabile alla sezione d’urto σ del fenomeno,
w =σvaτ, (1.2)
dove va e τ sono, rispettivamente, la velocità ed il volume occupato dal fascio
di particelle incidenti.
8
Nell’espressione (1.1), Vif è l’operatore di transizione, mentre ρ (Ef ) è la
densità di energia finale del processo, o fattore dello spazio delle fasi (si veda
[14]). L’operatore di transizione che lega i due stati è dato da
Vfi =
∫ψ∗fV ψidτ, (1.3)
dove τ è l’elemento di volume, ψf e ψi sono, rispettivamente, le funzioni
d’onda dello stato finale ed iniziale, mentre V è il potenziale dell’interazione
debole.
Uno spunto per lo sviluppo di tale teoria è stata la formulazione matema-
tica dell’interazione tra particelle cariche. Quest’ultima, di fatti, mostrava
molte analogie con il fenomeno del decadimento beta. Pertanto, soffermiamo
l’attenzione sul comportamento di una particella carica, dotata di spin 12,
in un campo elettromagnetico. Consideriamo un elettrone libero dotato di
quadri-momento pµ, descritto da una funzione d’onda
ψ = u (~p) e−~p·~x, (1.4)
la quale soddisfa l’equazione di Dirac. Per ottenere la perturbazione dovuta
ad un campo elettromagnetico esterno Aµ, occorre effettuare la sostituzione
pµ → pµ + eAµ. (1.5)
Si ritrova così l’equazione
(γµpµ −m)ψ = γ0V ψ, (1.6)
dove la perturbazione è data da
γ0V = −eγµAµ. (1.7)
9
Usando ora la teoria delle perturbazioni, l’ampiezza che determina il
passaggio dell’elettrone da uno stato ψi ad uno stato ψf è data da
Vfi = −ı∫ψ†fV (x)ψid
4x = −ı∫jfiµ A
µd4x, (1.8)
dove l’operatore jfiµ = −eψfγµψi può essere considerato come la transizione
elettromagnetica tra gli stati iniziali e finali dell’elettrone. Se ora consi-
deriamo la diffusione di un elettrone (1) con un’altra particella carica (2),
l’elemento perturbativo è fornito dalla soluzione dell’equazione di Maxwell
per il potenziale quadri-vettore
�Aµ = jµ(2), (1.9)
la quale definisce il campo elettromagnetico Aµ prodotto dalla corrente jµ(2)
della seconda particella carica in interesse. Questa ha come soluzione
Aµ = − 1
q2jµ(2), (1.10)
dove ~q è il momento trasferito. Inserendo tale espressione nell’equazione (1.8)
si ottiene
Vfi = −ı∫j(1)µ (x)
(1
q2
)jµ(2) (x) d4x, (1.11)
da cui si ricava l’elemento di matrice per lo scattering elettromagnetico tra
particelle cariche dotate di spin 12:
M =(eu(2)γ
µu(2)
)(− 1
q2
)(−eu(1)γµu(1)
). (1.12)
Fermi ha ipotizzato che l’elemento di matrice per il decadimento beta, no-
nostante il fenomeno riguardasse l’interazione debole, fosse analogo a quello
ricavato in precedenza. Pertanto ha descritto il fenomeno del decadimento
beta tramite l’elemento di matrice
M = G (unγµup)
(− 1
q2
)(−euνeγµue) , (1.13)
10
dove intervengono le funzioni d’onda un, up, ue, uνe rispettivamente del neu-
trone, del protone, dell’elettrone e del neutrino elettronico. La costante G
prende il nome di costante di accoppiamento dell’interazione debole o costan-
te di Fermi. Sperimentalmente il suo valore è G ∼ 10−5 GeV−2. L’espressione
(1.13), però, non risultava completa, in quanto Fermi non considerò la vio-
lazione della parità. Tale violazione venne introdotta nel Modello Standard,
per spiegare l’asimmetria tra particelle ed antiparticelle, cosa che fu verifica-
ta solo dopo la sua morte. L’esperimento che ha confermato la teoria sulla
violazione della parità è stato condotto da Hein-Shiung Wu la quale ha mo-
strato che le particelle beta emesse dal decadimento del 60Co vengono emesse
in maggior numero quando i nuclei di cobalto sono allineati nella direzione
opposta a quella dello spin nucleare e che quindi, in un sistema che fosse l’im-
magine speculare di quello preso in esame, il processo di emissione non può
risultare uguale. Nonostante tale mancanza, l’unico cambiamento essenziale
alla prima teoria di Fermi è stato quello di passare da γµ a γµ(1−γ5), dove
γ5 ≡ ıγ0γ1γ2γ3. Ne segue che, posto
J†µ = ueγµ(1− γ5)uν , (1.14)
l’espressione (1.13) diviene
M =G√
2JµJ†µ. (1.15)
L’elemento di matrice così trovato descrive le interazioni deboli tra par-
ticelle fermioniche. Risulta immediato il passaggio dall’elemento di matrice
all’operatore Hamiltoniano dell’interazione elettrodebole per la descrizione
del decadimento beta. Tale operatore, in SU(2)L × SU(2)R × U(1), nel
11
regime di bassa energia, prende la forma di interazione corrente-corrente
Hβ =G√
22[(eLγµνeL)
(Jµ†L + εJµ†R
)+ (eRγµνeR)
(εJµ†L + κJµ†R
)+ h.c.
].
(1.16)
In tale espressione, con ε è stato indicato il mescolamento dei bosoni WL
e WR
WL = cos(ε)W1 − sin(ε)W2 (1.17)
WR = sin(ε)W1 + cos(ε)W2, (1.18)
dove W1 e W2 sono gli autostati di massa dei bosoni, con masse MW1 e
MW2 rispettivamente. Il mescolamento è assunto essere piccolo e dunque
sin(ε) ≈ ε, cos(ε) ≈ 1 ed mW1 ≈ mWL, mW2 ≈ mWR
. Il parametro κ è
definito come il rapporto in massa
κ =m2W1
m2W2
(1.19)
JµL è la corrente adronica nella teoria vettoriale-assiale (VA):
Jµ†L =∑i
up(i)
[gV γ
µ + ıgMσµ
2mp
qν − gAγµγ5 − gpqµγ5
]un(i), (1.20)
dove up(i) e un(i) sono gli spinori che descrivono il protone ed il neutrone
i-simo. mp è la massa del nucleone e qµ è il momento trasferito nell’urto dal
protone al neutrone. Infine gV ≡ gV (q2), gM ≡ gM(q2), gA ≡ gA(q2) e gp ≡
gp(q2) sono, rispettivamente, i fattori di forma vettoriale, di magnetismo-
debole (weak-magnetism), assiale-vettoriale (axial-vector) e di pseudoscalare
indotto. In approssimazione impulsiva, la corrente adronica diventa:
Jµ†L = ψτ+
(gV (q2)γµ − ıgM(q2)
σµν
2mp
− gA(q2)γµγ5 − gp(q2)qµγ5
)ψ, (1.21)
dove
τ+ =τ1 + ıτ2
2, (1.22)
12
con τ1 e τ2 matrici di isospin di Pauli.
Nel caso non relativistico, trascurando l’energia trasferita tra nucleoni,
Jµ†L può essere scritta come
Jµ†L =A∑n=1
τ−n(gµ0J0(q2) + gµkJn(q2)
)δ(x− rn), (1.23)
dove
J0(q2) = gV (q2), (1.24)
Jn(q2) = ıgM(q2)σn × q
2mp
+ gA(q2)σn − gp(q2)q
2mp
. (1.25)
Per approfondimenti sull’argomento si consultino i lavori in bibliografia
[11],[19], [20] e [21].
1.2 Il doppio decadimento beta
Il doppio decadimento beta
(A,Z)→ (A,Z + 2) + e− + e− + νe + νe (1.26)
è stato, per la prima volta, considerato nel lavoro di M. Goeppert-Mayer
nel 1935, cfr. [9]. In tale lavoro è stata ricavata un espressione per il tasso
di decadimento del doppio decadimento beta con l’emissione di due neutrini
(2νββ). Questo permise di stimare un tempo di dimezzamento di 1017 anni
assumendo un Q-valore di circa 10 MeV.
Il doppio decadimento beta avviene quando un nucleo dovrebbe decadere
beta in una regione energeticamente sfavorevole. Di fatti è possibile ottenere,
dalla formula semiempirica delle masse, una parabola degli isobari, la quale
mostra come vi siano regioni energeticamente "irraggiungibili" da alcuni nu-
clei nel decadimento beta semplice (si veda figura 1.2). Questo comporta che
13
i nuclei in esame saltino un isobaro nella catena e "raggiungano" l’isobaro
con Z ± 2.
Figura 1.2: Isobari A = 76. Il singolo decadimento β, segnato con una freccia
verde, tra il 76Ge ed il 76Se è energeticamente proibito e dunque da spazio al
doppio β, energeticamente favorevole (freccia viola), cfr. [8].
Un tipico nucleo candidato per il doppio decadimento beta è un nucleo
pari-pari (Z,A) che è più legato rispetto al nucleo "vicino" (Z + 1, A), ma
meno legato rispetto al nucleo (Z + 2, A) a causa dell’energia di pairing, (si
veda la figura 1.3).
Il doppio decadimento beta accompagnato dall’emissione di due neutrini
(2νββ) è un processo del secondo ordine ammesso dal Modello Standard.
Ettore Majorana formulò una ipotesi sulla natura del neutrino, secondo
la quale il neutrino ν e la sua antiparticella ν sono indistinguibili, cfr. [15].
Giulio Racah è stato il primo a proporre di testare la teoria di Majorana con
la catena di reazioni
(A,Z)→ (A,Z + 1) + e− + ν (1.27)
14
Figura 1.3: Massa nucleare in funzione del numero atomico Z nel caso di
numero di massa dispari (a) e pari (b).
ν + (A′, Z ′)→ (A′, Z ′ + 1) + e− (1.28)
dove il neutrino considerato è un neutrino reale. La catena di reazioni (1.27)
- (1.28) risulta permessa nel caso in cui il neutrino sia una particella di
Majorana e proibita nel caso in cui il neutrino sia una particella di Dirac,
cfr. [17]. Nel 1939 Wolfgang Furry ha considerato per la prima volta la
possibilità del doppio decadimento beta senza emissione di neutrini (0νββ)
(A,Z)→ (A,Z + 2) + e− + e−, (1.29)
ipotizzando una catena di reazioni di Racah con neutrino virtuale del tipo
((A,Z + 1) ≡ (A′, Z ′)), cfr. [6].
Nel 1952 Henry Primakoff ha calcolato la correlazione angolare elettrone-
elettrone e lo spettro energetico dell’elettrone sia per il 2νββ che per il 0νββ,
offrendo uno strumento per distinguere i due processi, cfr. [16]. Nel 1955 Ray-
mond Davis ha condotto un esperimento nel quale veniva ricercata la presenza
di un antineutrino nella reazione nucleare νe + 37Cl → 37Ar + e−, che non
15
produsse risultati (cfr. [2]). Tale esperimento è stato interpretato come prova
del fatto che il neutrino non poteva essere una particella di Majorana, ma
doveva essere una particella di Dirac. Venne introdotto quindi, nell’ambi-
to della teoria dell’interazione debole, un nuovo numero quantico, il numero
leptonico, che permettesse di distinguere il neutrino dalla sua antiparticel-
la. Segue che nel decadimento 2νββ il numero leptonico viene conservato,
mentre, nel decadimento 0νββ, cambia di due unità.
La prima osservazione del decadimento 2νββ, con un tempo di dimezza-
mento stimato di T 12(130Te) = 1.4× 1021 anni, è stata annunciata da Ingram
e Reynolds nel 1950, cfr. [13]. Studi di una certa rilevanza furono poi affron-
tati da Gentner e Kirstern su alcuni isotopi di gas nobili come 82Kr, 128Xe
e 130Xe che risultano prodotti del decadimento ββ del 82Se, 128Te e 130Te,
rispettivamente.
Il periodo dello scetticismo sulla natura del neutrino, che come detto
doveva essere una particella di Dirac, è arrivato con la conferma della formu-
lazione teorica della violazione di parità nell’interazione debole da parte di
Lee e Yang. Questa avvenne poco dopo la formulazione stessa mediante due
epocali esperimenti. Nel 1957 Wu et al scoprirono l’asimmetria nella distri-
buzione angolare delle particelle β emesse in relazione all’orientazione dello
spin dei nuclei padri di 60Co. Un anno dopo Goldhaber et al scoprirono che
i neutrini sono polarizzati e levogiri, scoperta che avvenne misurando la po-
larizzazione di un fotone emesso da un nucleo di 152Eu∗ dopo una cattura K,
cfr. [21]. Nel 1958 la situazione, apparentemente confusa, venne semplificata
introducendo la teoria vettoriale - assiale (V −A) dell’interazione debole, la
quale descriveva la violazione della parità in accordo con i dati sperimentali,
16
cfr. [11].
Con la scoperta della violazione della parità, il carattere del neutrino
elettronico tornò in discussione. Si trattava di una particella di Dirac o di
Majorana? Mediante l’osservazione o meno del decadimento 0νββ si potrà
dare risposta a questa domanda. Risulta, dunque, importante lo studio teo-
rico di tale fenomeno e come vedremo di particolare interesse risulterà il cal-
colo dell’elemento di matrice nucleare del decadimento 0νββ. Nel prossimo
paragrafo verranno riportate le caratteristiche fondamentali del neutrino.
1.3 Il neutrino
Il neutrino è l’unica particella elementare le cui proprietà di base sono
tutt’oggi incognite. Contrariamente ai fermioni carichi, la natura e la mas-
sa del neutrino non sono ancora state stabilite fenomenologicamente. Come
menzionato nel precedente paragrafo, il neutrino, come gli altri fermioni, po-
trebbe essere una particella di Dirac, ovvero diversa dalla sua antiparticella.
Tuttavia vi è un’altra possibilità. Il neutrino è l’unico fermione che potreb-
be essere una particella di Majorana, ovvero identica alla sua antiparticella.
Tale distinzione diviene rilevante se la massa del neutrino è diversa da zero.
Facendo riferimento all’equazione di Dirac nella sua forma covariante
(ıγµ∂µ −m)ψ = 0, (1.30)
è possibile scrivere la Lagrangiana che descrive il comportamento dei fermioni
L = ψ (x) (ıγµ∂µ −m)ψ (x) , (1.31)
dove il primo dei due addendi è il termine di energia cinetica, mentre il secon-
do è il termine di massa. Una particella avente spin 12è caratterizzata da uno
17
spinore, ψ, a quattro componenti. Questo spinore si può decomporre nelle
componenti destrogira e levogira introducendo gli operatori di proiezione
PRψ ≡(
1 + γ5
2
)ψ = ψR, (1.32)
PLψ ≡(
1− γ5
2
)ψ = ψL. (1.33)
Segue che
ψR =
ϕR
0
, (1.34)
ψL =
0
ϕL
, (1.35)
ψ = ψR + ψL =
ϕR
ϕL
, (1.36)
dove ϕL e ϕR sono due spinori a due componenti. Diremo spinore di Dirac
uno spinore in cui le componenti ψR e ψL risultano essere indipendenti.
Se ora osserviamo che lo spinore di antiparticella è ottenuto da quello di
particella mediante l’operatore di coniugazione di carica, ovvero ψC = CψT ,
con C = ıγ0γ2, possiamo introdurre lo spinore di Majorana. Esso risulta
uno spinore invariante per coniugazione di carica, ovvero ψC = ψ. Da uno
spinore di Majorana si arriva a due possibili diverse soluzioni:
χR =
ϕR
ıσ2ϕ∗R
= ψR + ψCR , (1.37)
χL =
−ıσ2ϕ∗L
ϕL
= ψL + ψCL . (1.38)
18
É facile provare che χCL = χL e χC
R = χR. Segue dunque che uno spinore
di Majorana è uno spinore in cui le componenti ψL e ψR non sono tra loro
indipendenti, ma risultano legate dalle espressioni (1.37) e (1.38). Dalla
Lagrangiana (1.31) segue che, considerando solo il termine di massa, per uno
spinore di Dirac si ha
LDmass = −mD
(ψLψR + ψRψL
), (1.39)
detto termine di massa di Dirac. Tale termine mescola le componenti levogira
e destrogira.
Sempre dall’equazione (1.31) segue che, per uno spinore di Majorana, se
si considera solo il termine di massa si ha che:
LMmass,L = −1
2mML χLχL = −1
2mML
(ψCLψL + ψLψ
CL
), (1.40)
LMmass,R = −1
2mMR χRχR = −1
2mMR
(ψCRψR + ψRψ
CR
). (1.41)
Si osservi che il fattore 12risulta essere un fattore convenzionale. Questi
due termini vengono detti termini di massa di Majorana, e come si può
osservare, essi mescolano gli stati di particella ed antiparticella.
Notiamo, infine, che è possibile trovare, all’interno della Lagrangiana,
entrambi i termini di massa e dunque in generale risulta
Lmass = −mDψLψR −1
2mML ψ
CLψL −
1
2mMR ψ
CRψR + h.c. (1.42)
cfr. [19]. Tutte le particelle dotate di spin 12possono essere caratterizzate
dal termine di massa nella Lagrangiana. Tra queste particelle, di particolare
interesse sono i neutrini che, tra tutti i fermioni, sono gli unici ad interagire
19
esclusivamente attraverso l’interazione debole. Essi sono insensibili sia all’in-
terazione forte, in quanto leptoni, sia a quella elettromagnetica, in quanto
puntiformi e neutri.
I neutrini possono essere prodotti e rivelati solo attraverso la loro inte-
razione debole di corrente carica o di corrente neutra. Nell’interazione di
corrente carica il neutrino viene emesso, o assorbito, a seguito dell’emissio-
ne, o assorbimento, di un leptone, o antileptone, carico (e±, µ±, τ±) e ciò
permette di classificarlo come appartenente alla stessa famiglia del leptone
carico. I tre stati di neutrino, (νe, νµ, ντ ), ed i tre stati di antineutrino, (νe,
νµ, ντ ), sono pertanto autostati dei numeri di famiglia leptonica Le, Lµ, Lτ .
Nelle interazioni di corrente neutra si ha scambio di quantità di moto ed
energia tra il neutrino (o antineutrino), che rimane tale, ed un’altra particella.
Sempre in questo tipo di interazione si può avere creazione di coppia neutrino-
antineutrino (i.e. Z0 → νν). Si osservi che, a differenza dell’interazione di
corrente carica, l’interazione di corrente neutra non permette di identificare
la famiglia leptonica di appartenenza del neutrino.
Nello studio della fisica del neutrino, di particolare importanza risultano
le informazioni sulla massa di tale particella. Questa viene misurata nei
decadimenti che producono i tre tipi di neutrini νe, νµ, ντ . Lo stato attuale
delle misure di massa del neutrino è consistente con una massa zero, e pone un
limite superiore sulle massemν , limite che risulta di alcuni ordini di grandezza
più piccolo della massa del corrispondente leptone carico. Per tale motivo,
nel Modello Standard, i tre tipi di neutrini sono stati inizialmente considerati
privi di massa. Come abbiamo visto, i fermioni, e dunque i neutrini, possono
essere caratterizzati dalla Lagrangiana di massa che dipende dalla particolare
20
particella che stiamo andando a considerare. Risulta dunque utile introdurre
il concetto di campo leptonico (Lepton Field) che ci permetterà, in seguito,
di studiare la matrice di massa del neutrino.
Ad ogni particella è associato un campo che è definito nello spazio e
nel tempo. Sono le increspature in tale campo che descrivono il moto delle
particelle stesse. Una trattazione quanto-meccanica dei campi, che consenta
di descrivere sistemi a molte particelle, rende questo campo un operatore
che può creare particelle al di fuori dello stato fondamentale, il cosidetto
"vuoto". L’azione di creare una o più particelle nel vuoto è equivalente
alla descrizione di un sistema nel quale una o più increspature, nel tessuto
del campo, si muovano nello spazio-tempo. Ogni campo descrive un certo
numero di increspature e dunque caratterizza differenti particelle. Nel caso
del neutrino possiamo indicare i campi con ν e νC ed ogni campo è uno
spinore di Weyl levogiro a due componenti. Si ha che ν annichila un neutrino
levogiro νL o crea un antineutrino destrogiro νR, mentre νC annichila un
neutrino destrogiro νR o crea un antineutrino levogiro νL. Il secondo campo,
νC, non è però incluso nel Modello Standard di Weinberg e Salaam poiché il
neutrino destrogiro non è mai stato osservato. A causa di ciò è da escludere
una componente di campo che crei tale particella. Inoltre, a differenza dei
leptoni carichi e dei quark, i neutrini non possono acquisire massa proprio
a causa dell’assenza dei neutrini destrogiri. Si ha quindi che il neutrino è
associato a solo due tipi di increspature descritte dal campo ν. Si osservi che
proprio la mancanza del neutrino destrogiro implica una non invarianza per
operazioni di parità, dove la parità scambia particelle levogire con particelle
destrogire.
21
Se consideriamo i campi di elettrone, e dunque e e eC, che hanno lo stes-
so ruolo dei campi ν e νC prima introdotti, possiamo soffermarci sul solo
neutrino elettronico. In tal caso si osservi che il bosone W , che funge da
mediatore nei processi di cambiamento di carica, agisce solo sui campi e e
ν. L’interazione tramite W trasforma un neutrino levogiro in un elettrone
levogiro e viceversa, (eL ↔ νeL), oppure trasforma un positrone destrogiro in
un antineutrino destrogiro e viceversa, (eR ↔ νeR). Dunque possiamo affer-
mare che i campi e e ν, o le particelle eL e νeL, formano un isodoppietto sotto
interazione debole, cfr. [20]. Estendendo il discorso a tutte e tre le famiglie
di neutrini, elettroniche, muoniche e tauoniche, ed ai quark up e down, co-
me è noto possono trasformarsi uno nell’altro, possiamo strutturare i campi
leptonici in isodoppietti ed isosingoletti. Per i primi abbiamo (uαL, dαL) e
(ναL, eαL), per i secondi, invece, abbiamo uαR, dαR ed eαR, dove α è una
famiglia di indici che assume tre valori.
La minima estensione del Modello Standard che conferirebbe massa ai
neutrini è l’introduzione di un isosingoletto di neutrino destrogiro. Dunque
si può avere un termine di massa di Dirac derivante dall’accoppiamento dei
leptoni con il campo di Higgs
hβ,α (ναLeαL)
φ0
φ−
νβR → hβ,α (ναLeαL)
v√2
0
νβR, (1.43)
dove hβ,α è la particella di Higgs e
φ0
φ−
è l’isodoppietto scalare di Higgs.
Segue che è possibile ottenere un espressione per la matrice di massa del
neutrino
M =(νL, ν
CL
) 0 mD
(mD)T 0
νR
νCR
, (1.44)
22
con
mDα,β = hα,β
v√2. (1.45)
Nell’espressione (1.44) sono stati indicati solo gli stati sui quali la matrice
agisce, mentre mD risulta essere una matrice 3x3 e, dunque,M risulta essere
una matrice 6x6. Si possono ottenere così sei autovettori: tre neutrini di
Dirac e tre antineutrini ottenuti per coniugazione di carica. Nella grande
teoria unificatrice (GUT), però, ci si trova di fronte al problema che tali
neutrini dovrebbero possedere una massa simile a quella del quark up e questo
comporta un inadeguatezza di tale modello, essendo quest’ultima di diversi
ordini di grandezza superiore rispetto alla massa del neutrino.
Un’altra estensione è fatta introducendo una massa di Majorana coinvol-
gendo l’isosingoletto di neutrini ed un ulteriore isosingoletto del campo di
Higgs. In tal modo la matrice di massa del neutrino diviene
M =(νL, ν
CL
) 0 mD
(mD)T mR
νR
νCR
. (1.46)
In questo modo gli autostati di tale matrice risultano essere particelle
di Majorana e fenomeni come il doppio decadimento beta senza emissione
di neutrini diventano possibili. Sono possibili altre estensioni del Modello
Standard che però non prevedono l’aggiunta di neutrini destrogiri, cfr. [21].
Per un neutrino con massa è possibile che gli autostati (ν1, ν2, ν3), con
massa definita, (m1,m2,m3), non coincidano con gli autostati leptonici (νe, νµ, ντ ).
In questo caso i primi possono essere ottenuti come combinazione lineare dei
secondi, e viceversa, attraverso una trasformazione unitaria
|να〉 =3∑
k=1
U∗α,k |νk〉 , (1.47)
23
|νk〉 =∑
α=e,µ,τ
Uα,k |να〉 , (1.48)
con U matrice unitaria di mescolamento, cfr. [1]. Se gli autostati non sono
degeneri, la fase di ciascun autostato evolverà nel tempo in modo diverso.
Questo implica che uno stato leptonico definito, espresso come una parti-
colare combinazione lineare di autostati, evolverà nel tempo in una diversa
combinazione lineare non più corrispondente all’autostato leptonico iniziale.
Il cambiamento di famiglia leptonica durante la propagazione di un neu-
trino nel vuoto, causato dalla diversa evoluzione temporale degli autostati,
può produrre una variazione periodica della composizione in termini di au-
tostati leptonici. Il fenomeno precedentemente descritto prende il nome di
oscillazione di neutrini.
Dopo la scoperta dell’oscillazione di neutrini [3], la quale prova che i
neutrini sono particelle massive, il meccanismo di massa occupa un posto
speciale nella ricerca moderna. Il doppio decadimento beta senza emissione
di neutrini, dunque, risulta un punto di partenza per stabilire limiti sulla
natura del neutrino. La vita media del decadimento 0νββ è collegata alla
massa effettiva del neutrino di Majorana, definita dalla seguente equazione
〈mν〉 =
∣∣∣∣∣∑k
U2α,kmk
∣∣∣∣∣ =
∣∣∣∣∣∑k
|Uα,k|2mkeıak
∣∣∣∣∣ . (1.49)
In tale equazione sono contenute le tre masse dei neutrini, mk, la matrice
unitaria di mescolamento, Uα,k, e la fase incognita di Majorana per la viola-
zione CP. Si tenga conto che la massa 〈mν〉 potrebbe risultare più piccola di
ognuna delle mk, cfr. [8]. Nel prossimo capitolo l’attenzione verrà focalizzata
sul processo del doppio decadimento beta senza emissione di neutrini.
24
Capitolo 2
Il doppio decadimento beta senza
emissione di neutrini
2.1 Introduzione
Abbiamo già visto nel paragrafo (1.2) che il doppio decadimento beta può
avvenire con o senza emissione di neutrini. Inoltre abbiamo anche esaminato
le conseguenze che l’osservazione di tale fenomeno comporterebbe sulla co-
noscenza della natura stessa del neutrino, e in particolare sulle implicazioni
legate alla consistenza o meno del Modello Standard.
Di particolare interesse, per la comprensione del decadimento 0νββ, risul-
ta essere il calcolo dell’elemento di matrice nucleare (NME). Esso è essenziale
per effettuare previsioni sui decadimenti favorevoli, ed inoltre rende possibile
fissare una gerarchia per la massa del neutrino. In particolare, tale possibilità
risulta essere la risposta ad uno dei maggiori dubbi della fisica moderna, cioè
stabilire una gerarchia di massa che contribuirebbe a svelare la vera natura
del neutrino, cfr. [19], [20].
25
Figura 2.1: Raffigurazione del doppio decadimento beta senza emisione di
neutrini.
Dunque, dal punto di vista della fisica teorica nucleare, il calcolo dell’N-
ME ricopre un ruolo centrale. Dal momento che per calcolarlo è necessario
conoscere con accuratezza le funzioni d’onda teoriche dei nuclei coinvolti nel
decadimento, esso risulta essere una sfida aperta nel campo della struttura
nucleare teorica. Infatti, come è noto, calcoli con un certo livello di accu-
ratezza delle funzioni d’onda di nuclei con massa maggiore di A = 12 sono
molto più complessi che in fisica atomica e molecolare, a causa essenzialmente
della natura non perturbativa del potenziale nucleare. Mentre, da un lato, le
tecniche e i metodi della teoria a molti corpi utilizzati nel caso del potenziale
coulombiano permettono di ottenere funzioni d’onda estremamente raffinate
per atomi e molecole, gli stessi approcci, nel caso dei nuclei, risultano meno
efficaci e dal punto di vista computazionale estremamente onerosi. Questo
è dovuto alla complessità del potenziale nucleare che oltre a una compo-
nente centrale (come nel caso coulombiano) presenta componenti anche di
interazione spin-orbita, spin-spin e tensoriale che rendono le correlazioni tra
i nucleoni più intense che tra gli elettroni nel caso della fisica atomica. Lo
26
scopo della presente tesi è quello di fornire una sintesi della problematica
associata al calcolo dell’elemento di matrice nucleare, necessario, come ve-
dremo nel prossimo paragrafo, a estrarre l’ampiezza del doppio decadimento
beta senza emissione di neutrini.
2.2 L’elemento di matrice nucleare
Più volte, nel corso del primo capitolo, abbiamo sottolineato l’importanza
dell’operatore Hamiltoniano elettrodebole di equazione (1.16). Esso è l’ope-
ratore che funge da elemento perturbativo tra lo stato iniziale del sistema
e quello finale. In particolare, il doppio decadimento beta senza emissione
di neutrini è un fenomeno del second’ordine della teoria delle perturbazioni
(cfr. [4]). Tale sviluppo ci permette di ricavare, almeno in linea di principio,
quello che è l’operatore di transizione del processo stesso.
Punto di partenza è la non conservazione del numero leptonico associato
allo scambio di neutrini di Majorana, leggeri o pesanti. A tal proposito si
consideri la Lagrangiana di massa di Dirac-Majorana di equazione (1.42). Il
vantaggio di mescolare i termini di massa di Dirac e di Majorana è quello
di fornire una spiegazione della massa molto piccola del neutrino, attraverso
quello che viene chiamato meccanismo "see-saw", proposto da Yanagida e
Gell-Mann, cfr. [7], [19]. Nell’equazione (1.42) il termine Lmass, considerando
funzioni d’onda di neutrini, prende la forma:
Lmass = −1
2
(νCL νR
) mL mD
mD mR
(νLνCR ) . (2.1)
Diagonalizzando tale termine si ottengono i due spinori (νL, νR) e (νR, νL),
uno con massa m =M2Dirac
MMajoranae l’altro con massa m = MMajorana. Ciascuna
27
di queste coppie costituisce quindi un neutrino di Majorana: uno, (νR, νL),
con massa molto grande ed uno, (νL, νR), con massa molto piccola, essendo
MMajorana �MDirac (cfr. [5], [8]).
In [4] è mostrato come ricavare un espressione per l’inverso del tempo
di dimezzamento del doppio decadimento beta senza emissione di neutrini.
Denominato ηk il parametro di non conservazione del numero leptonico, si
ha per un dato isotopo (A,Z)[T 0ν
12
]−1
= |ηk|2∣∣∣M ′0ν
k
∣∣∣2G0ν(E0, Z). (2.2)
In tale espressione G0ν(E0, Z) è il fattore dello spazio delle fasi, o densità
degli stati finali, dipendente dall’energia E0 rilasciata nel processo. Esso
compare nella Regola Aurea di Fermi ed una sua parametrizzazione, nel
caso specifico del decadimento 0νββ, può essere trovata in [18]. Il termine
Mk, invece, è l’elemento di matrice nucleare dipendente dalla particolare
struttura nucleare degli isotopi, (A,Z), (A,Z + 1) e (A,Z + 2), considerati
nel decadimento. Sempre in [18] è evidenziato il fatto che G0ν (E0, Z) dipende
dalla quarta potenza della costante di accoppiamento assiale-vettoriale gA e
dall’inverso del quadrato del raggio nucleare R−2. Nel calcolo del fattore di
fase il raggio nucleare è determinato dalla formula empirica R = r0A13 , con
r0 = 1.2 fm. L’elemento di matrice nucleare M ′0ν , come mostrato in [8], è
definito come
M′0νk =
[(geffA
gA
)M0ν
k
]. (2.3)
Tale ridefinizione permette di confrontare l’elemento di matrice di inte-
resse con G0ν (E0, Z). Di fatti G0ν (E0, Z) dipende, come detto, da gA, ma
gA non ha un valore prefissato, in quanto parametro stimato nei fit e dipen-
28
dente dal particolare modello utilizzato, e questo non permette un diretto
confronto tra G0ν (E0, Z) stesso ed M0ν .
Nel seguito considereremo solo transizioni 0+i → 0+
f in modo da garantirci
che gli elettroni emessi siano tutti in onda s. Le modifiche da apportare per
correggere tale approssimazione sono dell’ordine dell’1%, (cfr. [8]), dovute al
fatto che, negli altri casi, l’operatore nucleare deve essere di ordine superiore
per poter accoppiare gli stati iniziali e finali. Per le transizioni dallo stato
fondamentale, considerando il meccanismo di massa del neutrino levogiro
leggero, si ha che il parametro di non conservazione del numero leptonico è
dato da:
ην =〈mν〉me
. (2.4)
da cui, l’espressione (2.2), diviene[T 0ν
12
]−1
= G01
∣∣∣∣〈mν〉me
∣∣∣∣2 ∣∣M0νν
∣∣2 , (2.5)
doveG0ν è il fattore dello spazio delle fasi già introdotto nell’espressione (2.2),
ed 〈mν〉 è la massa effettiva del neutrino di Majorana espressa nella (1.45),
cfr. [21]. Per quanto riguarda l’espressione dell’elemento di matrice nucleare
occorre fare preliminarmente alcune considerazioni. Nel lavoro di Doi et al
[4] è mostrato come sia possibile individuare tre contributi principali nell’e-
spressione dell’NME, rispettivamente il contributo di Fermi, il contributo di
Gamow-Teller ed il contributo tensoriale. La loro espressione è fornita, in
modo compatto (cfr. [21]), dalla seguente uguaglianza:
HF,GT,T (rk,l) =2
πR
∫ ∞0
j002(qrk,l)hF,GT,T (q2)q
q + Edq, (2.6)
dove R è il raggio nucleare, rk,l è il raggio nel centro di massa, E è il valore
medio dell’energia e j002(qrk,l) è la funzione di Bessel. Le funzioni hF,GT,T (q2)
29
che compaiono nell’espressione (2.6) sono date rispettivamente dalle seguenti
espressioni, cfr.[21]:
hF (q2) = f 2V (q2), (2.7)
hGT (q2) =2
3f 2V (q2)
(µp − µn)2
(geffA )2
q2
4m2p
+
+f 2A(q2)
(1− 2
3
q2
q2 +m2π
+1
3
q4
q2 +m2π
), (2.8)
hT (q2) =1
3f 2V (q2)
(µp − µn)2
(geffA )2
q2
4m2p
+
+1
3f 2A(q2)
(2
q2
q2 +m2π
− q4
q2 +m2π
), (2.9)
dove µp − µn = 4.17 è la differenza tra il momento magnetico del protone
e quello del neutrone, fV (q2) = 1
(1+q2/M2V )
2 è il fattore di forma vettoriale,
fA(q2) = 1
(1+q2/M2A)
2 è il fattore di forma assiale, MA = 1086 MeV ed MV
= 850 MeV. Tenendo conto di tali termini dovuti al potenziale centrale, è
allora possibile esprimere l’elemento di matrice nucleare del doppio decadi-
mento beta senza emissione di neutrini come l’elemento di matrice tra lo
stato iniziale, 0+i , e quello finale, 0+
f , nel modo seguente
M0νν =
⟨0+i
∣∣∣∣∣∣∣∑k,l
τ+k τ
+l
−HF (rk,l)(geffA
)2 +HGT (rk,l)σk,l −HT (rk,l)Sk,l
∣∣∣∣∣∣∣ 0+
f
⟩,
(2.10)
con
Sk,l = 3(~σk · rk,l)(~σl · rk,l)− σk,l, (2.11)
dove è stato indicato con σk,l = ~σk · ~σl. Questo ci permette di riscrivere
l’elemento di matrice in una forma più compatta
M0νν = − M0ν
F(geffA
)2 +M0νGT −M0ν
T , (2.12)
30
cfr. [21].
Figura 2.2: Contributi di massa al livello nucleare in presenza di una corrente
destrogira per un neutrino leggero (a) ed un neutrino massivo (b), cfr. [21].
Se invece consideriamo il meccanismo di massa dovuto al contributo dei
neutrini massivi, è possibile generalizzare l’espressione del tempo di dimez-
zamento del doppio decadimento beta senza emissione di neutrini includendo
molti più meccanismi di massa, cfr. [21]. Assumendo che la massa del neutri-
no leggero sia minore del MeV e che quella del neutrino massivo sia maggiore
del GeV, è possibile separare la parte di fisica delle particelle dalla parte
di struttura nucleare, cfr. [12]. In tal caso l’espressione (2.2) può essere
generalizzata, come mostrato in [21], nel seguente modo:[T 0ν
12
]−1
= G0ν
[|XL|2 + |XR|2 − C
′
1XLXR + . . .], (2.13)
dove la quantità XL contiene le informazioni derivanti dai meccanismi di
massa di neutrini levogiri, mentre XR tiene conto delle informazioni derivanti
dai meccanismi di massa di neutrini destrogiri. Il coefficiente C ′1 è trascurabile
in quanto esso non entra in gioco a causa della diversa elicità degli elettroni
emessi e quindi non viene considerato. I puntini, invece, indicano altri modi
31
non tradizionali, cfr. [21]. Infine XL ed XR sono espressi da:
XL =〈mν〉me
M0νν + ηLNM
0νν , (2.14)
XR = ηRNM0νν , (2.15)
dove
ηLN =3∑k
(Uek)2 eıφk
mp
Mk
, (2.16)
ηLN =(κ2 + ε2 + 2εκ
) 3∑k
(Uek)2 eıφk
mp
Mk
. (2.17)
In questo caso, le espressioni (2.16) e (2.17) rappresentano i parametri di
non conservazione del numero leptonico, mp è la massa del protone ed eıφk è
un fattore di fase, cfr. [21]. L’elemento di matrice nucleare è espresso come
M0νν =
⟨0+i
∣∣∣∣∣∑k,l
τ+k τ
+l
[H
(N)F (rk,l)
gAr+H
(N)GT (rk,l)σk,l −H(N)
T (rk,l)Sk,l
]∣∣∣∣∣ 0+f
⟩,
(2.18)
da cui, riscrivendolo in modo compatto, si ottiene:
M0νν = −
MF (N)
g2A
+MGT (N) −MT (N). (2.19)
La lettera N in tali espressioni indica lo stato con massa del neutrino di
Majorana. Nel caso di scambio di neutrino massivo i termini di potenziale
di Fermi, Gamow-Teller e tensoriale sono espressi in modo compatto
HF,GT,T (rk,l) =2
π
R
mpme
∫ ∞0
j002(qrk,l)hF,GT,T (q2)q2dq, (2.20)
dove le funzioni hF,GT,T (q2) e j002(qrk,l) sono le stesse introdotte nello scambio
di neutrino leggero, cfr. [21].
32
Una volta analizzate le varie espressioni dell’elemento di matrice nucleare
occorre affrontare la problematica relativa al calcolo dell’NME stesso. Ta-
le oggetto verrà discusso nel IV capitolo della presente tesi, soffermando
l’attenzione su tre diversi modelli di struttura nucleare.
Nel prossimo capitolo, invece, verrà riportata una panoramica sullo sta-
to attuale della ricerca sulla rivelazione del doppio decadimento beta senza
emissione di neutrini.
33
Capitolo 3
La rivelazione del doppio
decadimento beta senza emissione
di neutrini
3.1 Introduzione
Per condurre un esperimento avente come fine ultimo la rivelazione del
doppio decadimento β senza emissione di neutrini occorre, come prima cosa,
individuare quali sono i nuclei più adatti per l’osservazione di tale fenomeno.
A tale scopo, una delle grandezze fisiche principali di cui bisogna tener
conto è il Q-valore della reazione in esame. Infatti, come mostrato in figura
3.1, la conoscenza del Q-valore della reazione rende possibile individuare
quali sono i nuclei che possono più facilmente decadere β due volte e questo
fornisce un elenco di candidati ottimali per l’osservazione del decadimento
0νββ.
34
Figura 3.1: Isobari A=76. Il singolo decadimento β, segnato con una freccia
verde, tra il 76Ge ed il 76Se è energeticamente proibito e dunque da spazio al
doppio β, energeticamente favorevole (freccia viola), cfr. [8].
Inoltre, il Q-valore influenza sia il fattore di fase G0ν , sia il fondo speri-
mentale, in quanto entrambi sono funzione dell’energia rilasciata durante il
decadimento. Questi fattori, unitamente all’abbondanza isotopica relativa a
ciascuna delle 35 sonde predisposte al doppio decadimento β, permettono di
selezionare 9 candidati ottimali per la rivelazione del doppio decadimento β
senza emissione di neutrini, (si veda figura 3.2).
Il Q-valore di tutti questi candidati è maggiore di 2.4 MeV, tranne quello
del 76Ge che è uguale a 2.039 MeV. Tutti i 35 nuclei instabili rispetto al dop-
pio decadimento β sono riportati in figura 3.2, dove i nove isotopi ottimali
sono stati evidenziati. Si osservi che in figura 3.2, oltre al Q-valore dei nuclei
di interesse, sono riportate due soglie: una posta 2615 keV e una a 3270
keV. La linea a 2615 keV rappresenta il punto in cui termina la radioattività
naturale gamma. La linea dei 3270 keV rappresenta, invece, il Q-valore del214Bi per il decadimento β, il quale, attraverso il " nucleo figlio" 222Rn, è l’i-
sotopo che rilascia maggiore energia nei decadimenti β e gamma. Questi due
35
Figura 3.2: Nuclei instabili rispetto al doppio decadimento β con il loro
rispettivo Q-valore. I nove candidati sono stati evidenziati, cfr. [8].
livelli energetici ci permettono di suddividere i nove isotopi candidati in tre
gruppi da tre. Utilizzando i nuclei del primo gruppo, (76Ge, 130Te e 136Xe),
come candidati bisogna tener conto dei gamma del fondo sperimentale. In-
fatti, poiché questi ultimi si trovano sotto la soglia dei 2615 keV, il rivelatore
rileverà un fondo sperimentale proveniente da altri tipi di decadimenti. Se
vengono utilizzati gli isotopi del secondo gruppo, (82Se, 100Mo e 116Cd), ci
si trova al di fuori del fondo gamma ambientale, ma il radon potrebbe crea-
re problemi per la rivelazione. I candidati del terzo gruppo, (48Ca, 96Zr e150Nd), si trovano nella posizione migliore per la rivelazione del decadimento
0νββ, in quanto il Q-valore di reazione è maggiore del fondo sperimentale
proveniente da qualsiasi altro decadimento.
I calcoli del fattore di fase G0ν , relativo ai nove nuclei candidati, sono
riportati in figura 3.3, cfr. [8]. Non vi sono grandi differenze tra i vari
36
Figura 3.3: Fattore di fase dei nove candidati, cfr. [8].
candidati con l’eccezione del 76Ge, che presenta un fattore di fase piccolo, (∼
6×10−15y−1), dovuto al Q-valore di reazione basso e del 150Nd caratterizzato
da un elevato valore del fattore di fase (∼ 1.5× 10−13y−1).
Per la rivelazione del doppio decadimento β senza emissione di neutrini
non basta avere buoni candidati, ma occorre trovare un modo per riconoscere
questo tipo di decadimento distinguendolo dal semplice doppio β.
Fino al 1920 non era chiaro come mai lo spettro del decadimento β fosse
uno spettro continuo da 0 a Qβ. Infatti, proprio come avviene per il decadi-
mento α, se il decadimento β fosse stato un processo a due corpi, dovremmo
rivelare tutte le particelle β emesse con la stessa energia. Solo nel 1931 Pau-
li, per tenere conto di questa evidenza sperimentale, introdusse il neutrino.
Questa terza particella introdotta nel decadimento fornisce una spiegazione
allo spettro ottenuto. In particolare, nel caso del decadimento 2νββ ci si
aspetta uno spettro continuo tra 0 e Qββ dovuto all’emissione dei neutrini,
analogamente al decadimento β. Per il decadimento 0νββ invece, a causa
dell’assenza del neutrino, ci si aspetta uno spettro con un picco all’energia
37
Q, allargato solo a causa della risoluzione finita in energia del rivelatore,
(vedi figura 3.4). Come già accennato nel primo capitolo, altri fattori per
distinguere i due tipi di decadimento sono la distribuzione energetica del sin-
golo elettrone e la correlazione angolare tra i due elettroni emessi, (Henry
Primakoff, cfr. [16]).
Oltre alla scelta dei nuclei più adatti per la rivelazione del doppio de-
cadimento β senza emissione di neutrini, bisogna allora avere una elevata
risoluzione in energia del rivelatore. Infatti il picco del doppio decadimento
β senza emissione di neutrini dovrebbe essere rivelato su un fondo pressoché
piatto in modo da tenere sotto controllo il fondo sperimentale dovuto allo
spettro del decadimento 2νββ. A tal proposito è opportuno introdurre il
rapporto R 0ν2ν
dei conteggi dovuti al decadimento 0νββ rispetto ai conteggi
dovuti al decadimento 2νββ. Esso è dato da (cfr. [8])
R 0ν2ν
=me
7Qδ6
T 2νββ12
T 0νββ12
, (3.1)
dove δ = ∆EFWHM
Q(FWHM = Full width at half maximum) è la frazione
della risoluzione in energia al Q-valore fissato. Si noti la forte dipendenza
dalla risoluzione in energia nell’espressione (3.1).
Segue che i nuclei con un tasso di decadimento 2νββ più lento, come lo136Xe (T 2νββ
12
= 2.2 × 1021 y) sono favoriti rispetto ai nuclei con un tasso di
decadimento 2νββ più veloce, come il 100Mo (T 2νββ12
= 7.1× 1018 y).
Un altro fattore di cui bisogna tener conto nella progettazione di un espe-
rimento per la rivelazione del decadimento 0νββ è il fondo che, per una buona
riuscita dell’esperimento stesso, deve essere mantenuto basso. Questo implica
un lavoro di schermatura dai raggi cosmici e dalla radioattività ambientale.
É richiesta anche la schermatura dai materiali radioattivi puri a causa dei
38
Figura 3.4: Distribuzione della somma delle energie dei due elettroni per i
decadimenti 2νββ e 0νββ, ottenuta assumendo che il tasso del 2νββ sia 100
volte più veloce di quello del 0νββ, cfr. [8].
tempi di vita medi del decadimento naturale, dell’ordine di 109−1010 y, mol-
to minori del tempo di vita medio del decadimento 0νββ, dell’ordine dei 1025
y.
Inoltre occorre che il rivelatore sia sufficientemente grande in modo da
poter contenere una grande quantità di sorgente e monitorare quanti più
nuclei candidati possibile. Le sorgenti attuali sono dell’ordine dei 10-100
kg, mentre per esperimenti capaci di studiare la regione dell’inversione di
gerarchia di massa sono necessarie sorgenti dell’ordine dei 100-1000 kg.
Infine, occorre che il rivelatore sia capace di tracciare e classificare gli
eventi nucleari, in modo da scartare il fondo e fornire informazioni cinemati-
che sugli elettroni emessi.
Al di là della tecnica di rivelazione utilizzata e dei vari fattori considerati,
occorre fornire un’espressione per la sensibilità della vita media del decadi-
mento 0νββ, la quale permetta di determinare successivamente la sensibilità
39
della massa efficace di Majorana 〈mν〉. La sensibilità F della vita media può
essere definita come la vita media corrispondente al minimo numero di eventi
rilevabile al di sopra del fondo sperimentale. Nel caso di una sorgente diret-
tamente incorporata nel rivelatore, con un fondo sperimentale non nullo, si
ha, cfr. [8]:
F =NAεη
A
(MT
b∆E
) 12
, (3.2)
dove NA è il numero di Avogadro, M è la massa del rivelatore (o della sor-
gente, nel caso dell’approccio a sorgente esterna), T è la durata del periodo
di rivelazione, ε è l’efficienza del rivelatore, η è il rapporto tra la massa del
nuclide candidato e quella del rivelatore (sorgente), ∆E è la risoluzione in
energia, e infine b è il fondo sperimentale specifico.
Per derivare la sensibilità della massa 〈mν〉, indicata con F〈mν〉, occorre
combinare l’espressione (3.2) con la (2.2), ottenendo
F〈mν〉 =1
(G0ν(Q,Z))12 |M0ν |
(b∆E
MT
) 14
, (3.3)
la quale mostra come la scelta del nuclide sia molto più importante dei fat-
tori di rivelazione elencati, dai quali l’espressione (3.3) dipende debolmente.
Infatti, al denominatore compaiono l’NME e la radice quadrata del fattore di
fase che dipendono dal particolare isotopo utilizzato, mentre al numeratore
compare la radice quarta del prodotto M · T . Questo causa una saturazione
piuttosto veloce della sensibilità. Infatti se un esperimento è stato portato
avanti per 5 anni stabilendo un certo limite per 〈mν〉, lo stesso esperimento
deve prolungarsi per altri 75 anni per migliorarlo di un fattore 2.
Di seguito verrà riportata una breve panoramica dei principali esperimenti
mirati alla misura della sezione d’urto, e quindi indirettamente dei tempi di
dimezzamento, del doppio decadimento β senza emissione di neutrini.
40
3.2 GERDA fase I
La fase I di GERDA (Germanium Detector Array), situata nei Laboratori
Nazionali del Gran Sasso, in Italia, è partita nel Novembre 2011 con un
"array" di 17.67 Kg di rivelatori al germanio, arricchito all’86% con 76Ge.
Nel Luglio 2012, sono stati aggiunti ai rivelatori già presenti 3.63 Kg di
rivelatori ad ampia energia di germanio drogati p (BEGe - Broad Energy
Ge). I rivelatori sono stati montati su leggeri supporti di rame ed immersi
in un criostato di 64 m3 riempito di Argon liquido, il quale serve da mezzo
di raffreddamento e come schermante dal fondo esterno. La schermatura di
Argon liquido è circondata da 3 m d’acqua, ed è sostenuta da fotorivelatori
per la rivelazione di luce prodotta dai muoni per effetto Cherenkov (vedi
figura 3.5).
Figura 3.5: Schema del rivelatore GERDA.
Per la rivelazione del doppio decadimento β senza emissione di neutrini
vengono analizzati 21.6 Kg-yr di germanio arricchito. In questa analisi è stato
rivelato un fondo sperimentale proveniente dal 42K, "nucleo figlio" dell’42Ar,
nell’Argon, con un fondo sperimentale addizionale proveniente dal 40K, dal214Bi, dal 214Pb e dal 208Tl. Oltre al fondo gamma vi è anche un fondo α
41
proveniente dalla catena di decadimento del 226Ra.
Il modello di fondo sperimentale utilizzato prevede un fondo piatto nel-
le prossimità del Q-valore. Una procedura di "best fit" con i dati ottenuti,
assumendo un fondo piatto in una "regione di interpolazione di fondo spe-
rimentale" (1930 keV - 2190 keV) ed un picco Gaussiano nelle vicinanze del
Qββ, con una deviazione standard σE in accordo con il valore atteso, ha for-
nito una soluzione senza eventi in eccesso al di sopra del fondo sperimentale,
implicando un tempo di dimezzamento per il doppio decadimento β senza
emissione di neutrini di T 0νββ12
> 2.1×1025yr.
3.3 GERDA fase II
Nella fase II di GERDA si sta cercando di ridurre il fondo sperimentale
e di migliorare quindi, come risulta dall’espressione (3.2), anche la sensibili-
tà. La strategia utilizzata prevede l’aggiunta di ulteriori rivelatori BEGe, i
quali hanno una soglia di fondo sperimentale maggiore. L’aggiunta di questi
rivelatori comporta anche il vantaggio di aumentare la risoluzione in ener-
gia, permettendo di effettuare una migliore cernita tra gli eventi rivelati e di
scartare quelli dovuti a differenti fenomeni. Infine verranno aggiunti dei foto-
rivelatori all’interno della schermatura di Argon liquido allo scopo di rivelare
i fotoni provenienti dall’Argon liquido stesso contribuendo ad un ulteriore
diminuzione di fondo.
La fase II di GERDA costituirà un enorme passo avanti per valutare
i risultati ottenuti dalla schermatura dei rivelatori all’interno dei criostati.
La buona riuscita di questa fase porterebbe al successo di esperimenti con
sorgenti dell’ordine della tonnellata, fornendo uno strumento per analizza-
42
re la regione di inversione di gerarchia delle masse del neutrino nel doppio
decadimento β senza emissioni di neutrini del 76Ge.
3.4 MAJORANA Demonstrator
Il progetto MAJORANA Demonstrator (MD), è un "array" di rivelato-
ri al germanio che ha come scopo la rivelazione del doppio decadimento β
senza emissione di neutrini del 76Ge. L’esperimento è situato nei laboratori
sotterranei della Sanford Underground Research Facility (SURF), nel South
Dakota. Si tratta di un progetto ponte verso esperimenti da una tonnellata,
indispensabili per sondare la regione di inversione di gerarchia. L’obiettivo
principale di MD è quello di ottenere un tasso di 3 conteggi di fondo per
tonnellata per anno in una regione di interesse (ROI) di 4 keV attorno al
Q-valore di 2039 keV del 76Ge.
Figura 3.6: Schema del rivelatore MD.
Oltre la fisica del 0νββ , MD svolge altre ricerche sulla fisica oltre il
Modello Standard, come ad esempio la ricerca di materia oscura. MD è uno
strumento composto da due criostati costruiti in rame purissimo, dove ogni
criostato è in grado di ospitare più di 20 kg di rivelatori drogati di tipo p
(vedi figura 3.6). Il piano di base prevede 30 kg di rivelatori costruiti con
germanio arricchito all’87% con l’isotopo 76Ge e 10 kg di germanio naturale.
43
La struttura modulare di MD permette il montaggio e l’ottimizzazione di
ogni criostato in modo indipendente.
Tale struttura di MD presenta un certo numero di punti di forza. Infatti
è stato riscontrato un basso fondo nel germanio ed il fondo sperimentale nella
ROI risulta piatto.
3.5 Large Scale Ge Detector
I progetti MD e GERDA stanno lavorando per la creazione di un unica
grande collaborazione internazionale per la rivelazione del doppio decadimen-
to β senza emissione di neutrini del 76Ge. Si prevede, in entrambi i progetti,
un graduale aumento della massa del rivelatore fino ad arrivare a 1000 Kg.
Attualmente sono allo studio tre possibili configurazioni per il futuro rive-
latore Large Scale Ge Detector (LSGe). Due sono basate sui progetti attuali
dell’MD e di Gerda, mentre una terza possibilità è un ibrido che comprende
le caratteristiche di entrambi, ovvero un rivelatore LSGe a scintillatore liqui-
do circondato da una schermatura di acqua. Il design criogenico richiede un
sito più profondo e questo complica la scelta del luogo nel quale situare il
nuovo rivelatore.
L’MD e la fase II di GERDA forniranno uno spunto per un rivelatore
adatto allo studio di sorgenti dell’ordine della tonnellata attraverso studi
dettagliati del fondo sperimentale condotti da due grandi gruppi esperti.
44
3.6 CUORE
Il progetto CUORE (Cryogenic Underground Observatory for Rare Even-
ts) è un esperimento che viene sviluppato nei laboratori dell’INFN situati
presso il Gran Sasso. CUORE è costituito da 988 cristalli di ossido di tel-
lurio (TeO2), disposti in 19 torri, e contenenti 130Te (vedi figura 3.7). Lo
scopo principale è la ricerca del doppio decadimento beta senza emissione di
neutrini, ma CUORE cercherà di rivelare anche tracce di materia oscura e
studierà alcuni decadimenti rari. L’esperimento è oggi nelle fasi finali della
sua costruzione. Una volta ultimato, CUORE sarà il rivelatore bolometrico
più grande mai costruito. Esso lavorerà a temperature criogeniche: gli oltre
740 chilogrammi di cristalli, più altre 4 tonnellate tra parti in rame e scher-
mi in piombo, saranno raffreddati a 10 mK. La collocazione all’interno del
Gran Sasso garantisce uno schermo dai raggi cosmici, i quali accecherebbero
il rivelatore se questo fosse costruito in un normale laboratorio, coprendo
il segnale cercato con un enorme segnale di fondo. Tale protezione è com-
pletata rispetto alla radioattività ambientale grazie a due schermature in
piombo poste all’interno del criostato. La sensibilità prevista per il tempo di
dimezzamento del decadimento 0νββ è T 0νββ12
> 1026yr al 90% C.L.
CUORE presenta molti punti di forza. Ad esempio i cristalli bolometrici
fungono sia da sorgente che da rivelatore. Essi mostrano un eccellente riso-
luzione energetica di ∼ 0,2% nella regione di interesse (ROI). Inoltre, l’uso
delle risorse naturali di Tellurio, consente di sfruttare l’abbondanza naturale
considerevole (34,1%) di 130Te.
45
Figura 3.7: Schema del rivelatore CUORE.
3.7 LUCIFER
LUCIFER (Low-background Underground Cryogenic Installation For Elu-
sive Rates) è un esperimento che utilizzerà dei rivelatori costituiti da cristalli
di ZnSe (vedi figura 3.8). In particolare cercherà il decadimento radioattivo
dell’isotopo 82Se. Per questa ragione, al fine di aumentare la sensibilità della
ricerca, i cristalli saranno “accresciuti” con Se arricchito isotopicamente in82Se. Il singolo rivelatore di LUCIFER funzionerà come bolometro. Quando
un cristallo è raffreddato a bassissime temperature (-273.14 gradi Celsius),
vicino allo zero assoluto, ovvero 0.01 gradi Kelvin assoluti, un minimo ed
impercettibile rilascio di energia in esso produce un innalzamento misurabile
della sua temperatura. Questo innalzamento fornisce una misura molto pre-
cisa dell’energia che è stata rilasciata nel cristallo. Se, inoltre, questo cristallo
è scelto in maniera opportuna, il rilascio di energia può produrre anche una
46
luce che, “uscendo” dal cristallo può essere misurata, fornendo un informazio-
ne supplementare dalla quale si può ricostruire la natura della particella che
ha interagito nel cristallo. Questa possibilità rappresenta uno strumento fon-
damentale per abbattere il fondo naturale radioattivo che “mima” il segnale
aspettato.
Figura 3.8: Schema del rivelatore LUCIFER.
3.8 KamLAND-Zen
KamLAND-Zen (KamLAND ZEro Neutrino double β decay) è un espe-
rimento che studia il decadimento 0νββ dello 136Xe attraverso l’uso di uno
scintillatore liquido. Esso è posto all’interno della miniera di Kamioka, in
Giappone, ed è in fase di presa dati dal Settembre 2011. KamLAND-Zen
utilizza circa 300 kg di 136Xe, isotopicamente arricchito al 90%, disciolto
nello scintillatore. L’esperimento ha misurato, per lo 136Xe, il tempo di di-
mezzamento per il decadimento 2νββ ed ha determinato un limite inferiore
per il decadimento 0νββ
T 2ν12
= 2.38± 0.2× 1024y, (3.4)
T 0ν12> 1.9× 1025y, (3.5)
47
entrambi al 90% C.L.. Questi risultati portano ad un limite superiore di
329-414 meV della massa efficace di Majorana.
3.9 SNO+
SNO+ sarà situato a circa due chilometri sotto terra nella miniera di
Creighton vicino Sudbury, Ontario, Canada. Il cuore del rivelatore SNO+
sarà una sfera dal diametro di 12 metri di acrilico riempita con circa 800 ton-
nellate di liquido scintillatore, liquido organico che emette luce quando par-
ticelle cariche lo attraversano, che galleggiano in un bagno d’acqua. Questo
volume sarà monitorato da circa 10.000 tubi fotomoltiplicatori (PMT), rive-
latori di luce molto sensibili. In particolare, come liquido scintillatore, verrà
utilizzato Nd liquido per analizzare il decadimento dell’isotopo 150Nd. Lo
scopo principale è la misura dei neutrini solari della catena pp, geo-neutrini
(neutrini che provengono dai decadimenti nel nucleo, nel mantello e nella
crosta terrestre) e l’osservazione del decadimento doppio β senza emissione
di neutrini.
3.10 NEXT
Il progetto NEXT (Neutrino Experiment with a Xenon TPC) è un espe-
rimento per la ricerca del doppio decadimento β senza emissione di neutrini
dello 136Xe. Esso utilizza una camera TPC ad alta pressione (15 bar) riem-
pita di xenon gassoso. Il progetto sarà installato presso la metropolitana del
Laboratorio Canfranc in Spagna. La camera TPC sarà riempita con 100 kg
di Xe arricchito in 136Xe, equipaggiata di fototubi e dotata di pixel fotosen-
48
sibili. Il tempo di vita medio previsto, sulla base di alcune simulazioni, è di
5.9× 1025 y al 90% C.L., corrispondente ad un range limite di 102-129 meV
per il valore della massa efficace di Majorana, 〈mν〉. NEXT è sviluppato con
tecnica calorimetrica, che ha come ambizione quella di unire l’alta risoluzione
in energia con una buona capacità di tracking.
3.11 EXO-200
L’esperimento EXO-200 (Enriched Xenon Observatory) ricerca il doppio
decadimento β senza emissione di neutrini dello 136Xe al Waste Isolation Pilot
Plant (WIPP) vicino a Carlsbad. L’esperimento ha cominciato a raccogliere
dati nel maggio 2011.
EXO-200 lavora attraverso l’uso di una tonnellatoa di xenon liquido ar-
ricchito in 136Xe all’80% (la seconda fase prevede l’utilizzo di 10 tonnellate di
xenon). Il rivelatore consiste di una TPC riempita con Xe, da cui si misurano
i segnali di ionizzazione e di scintillazione prodotti dai doppi decadimenti β.
Il sistema è anche in grado di segnalare la presenza del "nucleo figlio" del
decadimento (136Ba) utilizzando la spettroscopia laser. Questo esperimento
è stato in grado di rivelare il decadimento 2νββ ottenendo
T 2ν12
= 2.11± 0.04× 1021y. (3.6)
È stato anche possibile porre un limite inferiore al tempo di dimezzamento
per il decadimento 0νββ
T 0ν12> 1.1× 1025y. (3.7)
49
Esso fa parte di una classe di esperimenti calorimetrici basati su rivelatori
che compensano la bassa risoluzione in energia con la capacità di tracciare le
particelle rivelate.
Nonostante gli sforzi sperimentali per la rivelazione del doppio decadimen-
to β senza emissione di neutrini, la conoscenza di tale processo non è com-
pleta. La problematica inerente al calcolo dell’elemento di matrice nucleare,
il quale costituisce un punto guida per la progettazione di futuri esperimenti
sulla rivelazione del decadimento 0νββ, interessa attualmente una vasta co-
munità di fisici, soprattutto poiché al momento esiste un certo "spread" dei
risultati per l’NME ottenibili mediante differenti calcoli di struttura nucleare.
Tale problematica verrà affrontata nel prossimo capitolo, cuore del presente
lavoro di tesi.
50
Capitolo 4
Calcoli di struttura nucleare
dell’NME
4.1 Introduzione
Lo studio della struttura nucleare punta alla comprensione delle proprietà
dei nuclei atomici considerati come sistemi di neutroni e protoni. In linea
di principio, se si conoscesse la forma analitica dell’interazione nucleone-
nucleone, (NN), i livelli di energia ed ogni altra proprietà nucleare potrebbero
essere calcolati risolvendo l’equazione di Schrödinger del sistema. In pratica,
però, il numero di gradi di libertà coinvolti è tale che anche le più sofisticate
tecniche computazionali non permettono la risoluzione del problema, se non
nei casi più semplici. Inoltre, ciò che è noto sull’interazione NN si basa
essenzialmente su evidenze sperimentali relative alla diffusione, e quindi non
se ne conosce un’espressione analitica.
Per descrivere le proprietà dei fenomeni nucleari rivelate negli esperimenti
e per comprendere le relazioni tra le quantità osservate, si fa quindi ricorso
51
alla costruzione di vari modelli, ciascuno caratterizzato dal proprio insieme di
parametri. Chiaramente, questi modelli si basano su delle approssimazioni e
spesso accade che un determinato modello sia adatto per certi nuclei piuttosto
che per altri, oppure che in uno stesso nucleo stati diversi possano essere
descritti da modelli diversi.
Questo comporta che, nel calcolo dell’elemento di matrice nucleare del
doppio decadimento beta senza emissione di neutrini, il modello di struttura
nucleare utilizzato dipenda in primo luogo dal particolare nucleo candidato
da descrivere.
Gli NME descritti nel paragrafo (2.2), nel caso di meccanismi di massa
dovuti a neutrini leggeri o massivi, hanno una struttura simile, ovvero conten-
gono la funzione d’onda del nucleo iniziale connessa alla funzione d’onda del
nucleo finale mediante operatori di diversa complessità, a seconda del caso.
Per ottenere le funzioni d’onda dei nuclei iniziali e finali occorre poter descri-
vere il nucleo stesso, il che rende indispensabile la scelta di un buon modello
di struttura nucleare. Inoltre, per ogni operatore presente nell’NME, biso-
gna sommare su tutti i contributi ottenuti per ciascuno dei possibili stati del
nucleo virtuale intermedio, che ancora una volta dipendono dal particolare
modello utilizzato.
Tale somma può essere evitata se ci si pone nell’approssimazione di chiu-
sura, che consiste nel trascurare le differenze tra i diversi stati intermedi.
Infatti, questa approssimazione viene spesso utilizzata nel calcolo dell’ele-
mento di matrice nucleare per il decadimento 0νββ, dove l’energia tra due
stati intermedi, (En − Ei), è rimpiazzata da un valore medio, E ≈ 10 MeV,
cfr. [21]. L’utilizzo o meno di questa approssimazione porta ad una variazio-
52
ne dell’NME del 10% circa, (cfr. [21]). Però al di fuori dell’approssimazione
di chiusura (o shell chiusa), devono essere considerate le strutture complesse
dei nuclei ed il gran numero di stati eccitati disponibili per i nucleoni nelle
shell aperte. Segue un aumento della complessità di calcolo dell’elemento di
matrice nucleare. Tra i diversi modelli di struttura nucleare utilizzati per il
calcolo dell’NME nel doppio decadimento beta senza emissione di neutrini,
di seguito, ne verranno analizzati tre: il modello a shell nucleare, la Random
Phase Approximation, il modello a bosoni interagenti.
4.2 Modello a Shell Nucleare
Il modello a shell nucleare, o ISM (Interacting Shell-Model), si fonda
sull’ipotesi che, in prima approssimazione, i nucleoni si muovano all’interno
del nucleo indipendentemente gli uni dagli altri, soggetti solo all’azione di
un potenziale medio. Tale potenziale medio è a simmetria sferica ed il suo
spettro è strutturato in gruppi di livelli, dette "shell", separati fra loro da
un intervallo di energia molto maggiore di quello esistente fra i livelli di
ciascun gruppo. La separazione in energia esistente tra due shell contigue
induce a schematizzare il nucleo come un "core" inerte costituito dalle shell
completamente piene più un certo numero di nucleoni esterni, detti di valenza,
che si muovono nel campo medio generato dal "core" e le cui configurazione
accessibili sono solo quelle degli orbitali appartenenti alla sola shell posta in
energia appena al di sopra del "core". Tale spazio delle configurazioni ridotto
prende il nome di "spazio modello".
Dunque la premessa di base di tutto il modello è che i nucleoni si muovono,
in maniera indipendente, in un campo medio, come ad esempio qullo legato
53
al potenziale di oscillatore armonico:
V (r) =1
2~ωr2 +D~l2 + C~l · ~s. (4.1)
In tale espressione è possibile individuare due componenti principali: la
prima parte è costituita dal termine di oscillatore armonico, 12~ωr2, più un
termine correttivo di superficie, D~l2, mentre la seconda parte è costituita dal
termine di spin − orbita, C~l · ~s. Il termine correttivo di superfice viene in-
trodotto per tener conto delle dimensioni finite del nucleo, mentre il termine
di spin-orbita viene introdotto per ottenere la sequenza corretta dei cosidet-
ti "numeri magici" 2, 8, 20, 28, 50, 82..., che corrispondono a un numero
atomico o di neutroni Z,N in corrispondenza dei quali gli isotopi osservati
presentano particolari caratteristiche di stabilità.
L’ipotesi che il moto dei nucleoni sia governato principalmente da un
potenziale centrale medio è un’approssimazione che semplifica enormemente
il problema di partenza e permette di ottenere una soluzione approssimata
del problema di A particelle interagenti come prodotto antisimmetrizzato di
A funzioni d’onda di particella singola. Con tale approssimazione, però, si
trascura necessariamente una parte dell’interazione tra le particelle, la quale
viene comunemente chiamata interazione residua. Un calcolo quantitativo,
quindi, deve tenere conto, oltre che del campo medio, anche dell’interazione
residua, la quale in generale mescola differenti configurazioni di particella
singola.
Questo termine di interazione è del tipo, (cfr. [10]),
H =∑ij
Kjia†iaj −
∑i≤j,k≤l
Vijkla†ia†jakal. (4.2)
Il termineK è un termine cinetico, mentre V è un termine di potenziale che
tiene conto di tutte le interazioni nucleone-nucleone, quali protone-protone,
54
neutrone-neutrone e neutrone-protone. Gli operatori a†i ed aj sono gli usuali
operatori di creazione e distruzione.
A questo punto la funzione d’onda nucleare viene approssimata come
quella relative alle configurazioni accessibili ai soli nucleoni di valenza nel-
lo spazio modello. Benché complicato in pratica, concettualmente questo
modello risulta semplice. Infatti, data un espressione per l’interazione V il
problema è ridotto a diagonalizzare una matrice in una base di dimensione
opportuna. Fornire però un’espressione per il potenziale di interazione V non
è semplice.
Nella quasi totalità dei calcoli di modello a shell le strade seguite, per
quanto riguarda la determinazione dell’interazione efficace, sono quelle di far
ricorso a modelli fenomenologici contenenti diversi parametri liberi o di fare
direttamente uso di un insieme di dati sperimentali.
4.3 Quasiparticle Random-Phase Approxima-
tion
L’idea di base del modello QRPA, (Quasiparticle Random-Phase Appro-
ximation), è che la parte più importante dell’interazione residua tra nucleoni
è l’interazione di "pairing", che tiene conto della tendenza di un nucleone
ad accoppiarsi con altri nucleoni formando configurazioni più stabili, ovvero
nuclei con N pari e Z pari. Solitamente, in tale modello, vengono consi-
derate singole particelle immerse in un potenziale del tipo Woods-Saxon, la
quale espressione, derivata dal profilo empirico della distribuzione di densi-
tà dei nucleoni all’interno dei nuclei atomici, risulta avere una struttura più
55
realistica del potenziale di oscillatore armonico:
V (r) = −V0
[1 + e
r−Ra
]−1
, (4.3)
dove R è dato dall’espressione empirica del raggio nucleare R = r0A13 con
r0 = 1.2 fm, mentre i parametri V0, a vengono fissati a seconda della regione
d’interesse.
L’interazione di "pairing" favorisce l’accoppiamento di protoni con pro-
toni e di neutroni con neutroni in modo tale che, sia il momento angolare
orbitale che lo spin di ogni coppia sia nullo. Come risultato, lo stato fon-
damentale del nucleo è costituito da coppie di Cooper di protoni e neutroni
accoppiati con un momento angolare totale Jπ = 0+.
Nel modello QRPA viene effettuata una trasformazione unitaria di Bo-
goliubov che permette di passare da una base di particella ad una base di
quasi-particella, dove le quasi-particelle sono fermioni generalizzati in parte
particelle ed in parte lacune (vedi figura 4.1). Il concetto di quasi-particella
è solo un costrutto matematico introdotto per spiegare l’accoppiamento tra
nucleoni in modo semplice. Infatti, poiché le quasi-particelle in prima appros-
simazione sono mantenute indipendenti, tale modello mantiene la semplicità
del modello a particelle indipendenti (IPM).
Se vengono considerate le interazioni protone-neutrone, protone-protone
e neutrone-neutrone, gli operatori di creazione e di distruzione di particella,
c+τ,α,mα e cτ,α,mα , e di antiparticella, a+
τ,α,mα e aτ,α,mα , (con τ = p, n ed α = n,
l, m numeri quantici), sono legati tra di loro attraverso una trasformazione
56
Figura 4.1: Probabilità di occupazione nel modello IPM (a) e nel modello
QRPA (b). Le frecce indicano le possibili eccitazioni del nucleo indotte dal
trasferimento da un orbitale parzialmente riempito (con una probabilità u2j ,
dove j è il livello energetico occupato) ad un orbitale parzialmente vuoto
(con probabilità v2j ), cfr. [10].
57
di Hartree–Fock–Bogoliubov (HFB), cfr. [5],c+pαmα
c+nαmα
cpαmα
cnαmα
=
uα1p uα2p −vα1p −vα2p
uα1n uα2n −vα1n −vα2n
vα1p vα2p uα1p uα2p
vα1n vα2n uα1n uα2n
a+
1αmα
a+2αmα
a1αmα
a2αmα
, (4.4)
dove la tilde indica l’inversione temporale, aταmα = (−1)jα−mα aτα−mα . Le
probabilità di occupazione, u e v, e l’energia di singola quasi-particella, Eαα,
sono ottenute risolvendo l’equazione di HFB, cfr. [5].
Se, invece, non vengono considerate le interazioni protone-neutrone si ha
u2p = v2p = u1n = v1n = 0. In questo caso la trasformazione di Bogoliubov
(4.4) si riduce in due trasformazioni separate, per i protoni, (u1p = up, v1p =
vp), e per i neutroni, (u2n = un, v2n = vn).
Nella struttura del modello QRPA lo stato eccitatom-simo, con momento
J e proiezione M , è creato da un operatore di fonone, Q, dove un fonone
rappresenta un’eccitazione collettiva, (coppia particella-lacuna), all’interno
del nucleo. Tale operatore possiede le seguenti proprietà:
Q†mJM∣∣0+RPA
⟩= |m, J,M〉 , (4.5)
e
Q∣∣0+RPA
⟩= 0. (4.6)
In entrambe le espressioni, (4.5) e (4.6),∣∣0+RPA
⟩è lo stato fondamentale
del nucleo iniziale o finale.
Nel lavoro di Faessler et al [5] è mostrata un’espressione per l’operatore
di fonone. Inoltre, sempre nello stesso lavoro, è mostrato come ottenere
l’espressione dello stato fondamentale∣∣0+QRPA
⟩nel modello QRPA a partire
58
dall’operatore di fonone stesso. Poiché in tale modello le particelle sono
sostituite con quasi-particelle, le funzioni d’onda∣∣0+RPA
⟩non obbediscono al
principio di esclusione di Pauli, ma obbediscono alle regole di commutazione
dei bosoni.
Proprio per questo, usualmente vengono considerate due varianti del me-
todo QRPA, quella standard (SQRPA) ed il metodo QRPA rinormalizzato
(RQRPA), il quale tiene conto del principio di esclusione di Pauli, [5] - [10].
Nei calcoli con i modelli QRPA e RQRPA è necessario introdurre due
parametri di rinormalizzazione per i canali particella-particella (gpp) e per i
canali particella-lacuna (gph) presenti nell’Hamiltoniano nucleare, i quali in
principio dovrebbero essere prossimi all’unità. Chiaramente sono previste
lievi fluttuazioni rispetto l’unità, poiché non è possibile prendere in consi-
derazione l’intero spazio di Hilbert. Il valore di gph è solitamente fissato a
partire da dati sperimentali, mentre gpp è lasciato come parametro libero ed
è proprio la sua introduzione come parametro che permette di riprodurre i
dati sperimentali del doppio decadimento beta.
4.4 Il modello a bosoni interagenti
Il modello IBM (Interacting Boson Model), o modello a bosoni interagenti,
è un modello che trae fondamento dal modello a shell nucleare descritto nella
sezione (4.2). Prima di analizzare l’idea di base di tale modello occorre, però,
focalizzare l’attenzione su un punto di vista microscopico. Consideriamo, per
esempio, due nucleoni di valenza identici situati in un’orbitale g 92e che quindi
hanno momento angolare l = 4. Questi due nucleoni possono legarsi in coppia
e, secondo le regole di somma del momento angolare |l1 − l2| ≤ L ≤ l1 + l2,
59
possono formare un sistema con momento angolare totale L = 0, 2, 4, 6,
8. Tra questi stati ne esiste solo uno con L = 2. Se ora consideriamo due
nucleoni identici, ognuno dei quali può occupare o l’orbitale g 92o l’orbitale f 7
2,
abbiamo che dal loro accoppiamento, in accordo con il principio di esclusione
di Pauli, gli stati con momento angolare totale L = 2 sono tre: (g 92, g 9
2), (f 7
2,
f 72) e (g 9
2, f 7
2). Per quattro nucleoni identici, ognuno dei quali può occupare
gli stessi orbitali g 92o f 7
2, gli stati con L = 2 diventano 24. É chiaro, quindi,
come il numero di stati con L = 2, per nucleoni lontani dalla chiusura di
shell, possa diventare molto grande. Ad esempio, per il 154Sm, che ha 12
protoni di valenza nella shell 50-82 e 10 neutroni di valenza nella shell 82-
126, gli stati con L = 2 sono ∼ 3×1014. Un tale problema, ovviamente,
non può essere affrontato con gli usuali metodi di diagonalizzazione e nasce,
quindi, l’esigenza di un modello che lo semplifichi troncando lo spazio delle
configurazioni.
Il modello IBM sfrutta proprio questa esigenza effettuando un troncamen-
to sulle possibili configurazioni che i nucleoni di valenza possono occupare.
Infatti gli stati più bassi all’interno dei nuclei pari-pari vengono descritti in
termini di coppie di fermioni identici. In altri termini, i nucleoni identici al-
l’interno del nucleo si accoppiano agendo come una singola particella di spin
intero, e dunque come bosoni. Tra tutte le configurazioni, questi vengono
accoppiati in modo tale che il momento angolare totale sia uguale ad L = 0,
(bosoni s), o ad L = 2, (bosoni d).
Gli stati di un nucleo con 2N nucleoni di valenza sono approssimati con
uno stato ad N bosoni. All’interno del nucleo i numeri di bosoni s e d
non sono conservati individualmente, ma viene conservata la loro somma.
60
L’operatore numero di bosoni è dato da:
N =∑m
d†mdm + s†s = ndns, (4.7)
dove il pedice m indica la proiezione del momento angolare (-2, -1, 0, 1,
2), mentre d†, s† e d, s sono rispettivamente gli operatori di creazione e
distruzione bosonici, i quali soddisfano le usuali regole di commutazione
[s, s†
]= 1, (4.8)
e [dm, d
†m′
]= δmm′ . (4.9)
Per poter scrivere l’Hamiltoniana del modello IBM è necessario imporre
la conservazione del numero di bosoni:[HIBM , N
]= 0, (4.10)
ovvero gli autostati dell’operatore Hamiltoniano devono essere anche auto-
stati dell’operatore numero di bosoni. Un’altra legge di conservazione da
imporre è la conservazione del momento angolare[HIBM , Lk
]= 0, (4.11)
dove Lk rappresenta la componente k-sima dell’operatore momento angolare.
Ovviamente, richiedere la validità delle due precedenti condizioni non spe-
cifica in maniera univoca l’espressione dell’Hamiltoniana, ma tutti i possibili
operatori che le soddisfano sono equivalenti. Il risultato finale, in qualsiasi
forma l’operatore Hamiltoniano venga scritto, presenta un certo numero di
parametri liberi che vengono fissati in maniera tale da riprodurre al meglio un
61
gran numero di dati sperimentali relativi ad un insieme di nuclei appartenenti
alla stessa regione.
Infine va osservato che nel modello IBM non vengono fatte distinzioni tra
coppie di protoni o coppie di neutroni. Il tener conto di tale differenza è però
necessario per descrivere gli stati di energia più alta all’interno del nucleo.
Questo ha portato all’introduzione del modello IBM-2 che distingue i bosoni
protonici dai bosoni neutronici. Inoltre allo scopo di descrivere nuclei dispari
sono state considerate anche estensioni che tengono conto dei gradi di libertà
aggiuntivi dovuti ad uno o più nucleoni disaccoppiati (IBFM e IBFFM).
4.5 Il calcolo dell’elemento di matrice nucleare
Ognuno dei modelli descritti in precedenza presenta dei vantaggi e degli
svantaggi nel calcolo dell’elemento di matrice nucleare del doppio decadimen-
to beta senza emissione di neutrini. Ad esempio, lo svantaggio del modello
a shell è che, in molti casi, il numero di parametri da stimare con un best
fit, eseguito sui dati sperimentali, è molto elevato e questo comporta una
complessità di calcolo maggiore. Un vantaggio per l’ISM, però, è quello di
tener conto esplicitamente dei gradi di libertà dei singoli nucleoni. Questo
migliora, dunque, l’affidabilità del modello anche se, ancora una volta, im-
plica una complessità computazionale maggiore e quindi diventa necessario
possedere calcolatori più potenti per poter utilizzare questo modello per il
calcolo dell’NME.
Nel modello QRPA abbiamo accennato al fatto che l’introduzione dei
parametri di rinormalizzazione gpp e gph permetta di riprodurre in maniera
ottimale i dati sperimentali. Piccole variazioni di gpp, però, comportano gran-
62
di variazioni dell’elemento di matrice nucleare e dunque questo presenta un
grande svantaggio per il modello QRPA. Il vantaggio di tale modello risiede
nel fatto che numericamente la dimensione della base non scala rapidamente
con il numero di massa A come nel modello ISM, e questo comporta una
riduzione della complessità computazionale nell’utilizzo di tale modello.
Nel modello IBM lo stesso troncamento nello spazio delle configurazioni,
che permette una drastica riduzione delle complessità di calcolo, permette di
studiare solo le coppie di nucleoni che formano bosoni s o d, il che rappresenta
chiaramente uno svantaggio.
Inoltre, per ognuno di questi modelli, occorre soffermare l’attenzione su
alcuni aspetti fisici, fondamentali per il calcolo dell’elemento di matrice nu-
cleare del decadimento 0νββ. Ad esempio, bisogna tener conto della dimen-
sione finita del nucleone, (FNS - Finite Nucleon Size), e dell’interazione a
corto raggio nucleone-nucleone, (SRC - Short Range Correlation). Entrambi
riducono il valore dell’NME in maniera competitiva e questo, perturbati-
vamente, costringe a considerare i due fenomeni in contemporanea e non
separatamente.
La dimensione finita del nucleone è presa in considerazione tramite la
dipendenza del fattore di forma del nucleone dal momento. Per i fattori di
forma vettoriale e debole-magnetico, l’approssimazione di dipolo è considera-
ta tramite un parametroMV = 850 MeV, oppureMA = 1086 MeV, derivante
da esperimenti di scattering di elettroni, o, rispettivamente, da scattering
di correnti cariche di neutrini, cfr. [21]. Si noti che nel limite di nucleone
puntiforme, (MV,A → ∞), il fattore di forma debole-magnetico darebbe un
contributo, nel decadimento 0νββ, divergente.
63
L’interazione nucleone-nucleone a corto raggio prevede una funzione di
correlazione, f(r), che modifica, nelle piccole distanze, le funzioni d’onda dei
nucleoni in interesse:
ψnl(r)→ [1 + f(r)]ψnl(r), (4.12)
dove f(r) può essere parametrizzata come
f(r) = −ce−ar2(1− br2). (4.13)
Si osservi che i parametri a, b e c, che compaiono nell’equazione (4.13),
non assumono valori prefissati e dipendono dal tipo di modello utilizzato
per la loro determinazione, cfr. [21]. Con l’introduzione di f(r) l’elemento di
matrice di un generico potenziale si divide in un termine senza perturbazione
ed un termine perturbativo del tipo:
⟨0+f
∣∣V (r)∣∣0+i
⟩SRC
=⟨0+f f(r)
∣∣V (r)∣∣f(r)0+
i
⟩=⟨0+f
∣∣ f(r)2V (r)∣∣0+i
⟩, (4.14)
com’è facile dedurre dall’equazione (4.12).
Nel calcolo dell’elemento di matrice nucleare per il decadimento 0νββ
bisogna tener conto dell’effetto dovuto alla deformazione dei nuclei. I nu-
clei che decadono beta due volte, quelli che ci interessano dal punto di vista
sperimentale, risultano essere sferici o debolmente deformati, con eccezio-
ne del 150Nd che risulta fortemente deformato. La deformazione introduce
un meccanismo di soppressione dell’elemento di matrice per il decadimento
2νββ. Una dipendenza simile dalla deformazione è stata ritrovata anche nel-
l’elemento di matrice M0νν nel metodo ISM, dove l’NME ha un massimo ben
definito quando la deformazione del nucleo padre è simile a quella del nucleo
figlio, ma viene soppresso quando tale differenza risulta grande.
64
Nel calcolo dell’elemento di matrice con il metodo QRPA, l’approssima-
zione di nucleo sferico risulta una significante semplificazione. Considerando
la deformazione dovuta all’interazione nucleone-nucleone, però, sono stati
raggiunti recentemente ottimi risultati. Infatti, utilizzando tale approccio
nel caso del 76Ge, 150Nd e 160Gd si è arrivati alla conclusione che il 150Nd
rappresenterebbe una delle migliori sonde per la determinazione di massa
di Majorana del neutrino, questo se il decadimento 0νββ fosse un processo
possibile (cfr. [8]).
Un altro fattore importante per la determinazione dell’NME è il numero
di seniorità v, parametro che tiene conto del numero di nucleoni disaccop-
piati nel nucleo. Per studiare come l’elemento di matrice possa dipendere da
questa grandezza, si consideri l’operatore di decadimento a due corpi nella
rappresentazione di Fock
M0ν =∑J
(∑i,j,k,l
MJijkl
((a†ia
†j)J(akal)
J)0), (4.15)
dove gli indici i, j, k e l scorrono sulle orbite di singola particella del campo
nucleare sferico medio. Tale operatore si può fattorizzare nel seguente modo
cfr. [8]
M0ν =∑Jπ
P †Jπ PJπ . (4.16)
L’operatore P †Jπ annichila coppie di neutroni, con stesso Jπ, nel nucleo
padre, mentre PJπ le sostituisce con una coppia di protoni con stesso Jπ.
In figura 4.2 si può vedere la dipendenza del termine di Gamow-Teller
MGT da Jπ, nei casi con A = 82 ed A = 130. I risultati mettono in luce
la forte dipendenza dell’elemento MGT da J = 0 e, proprio per spiegare
tale comportamento, occorre utilizzare una base generalizzata avente come
numero quantico di seniorità v.
65
Figura 4.2: Contributo dell’elemento di matrice MGT dei decadimenti del82Se →82 Kr (a) e del 130Te →130 Xe (b) in funzione del Jπ delle coppie
trasformate, cfr. [8].
Figura 4.3: NME del decadimento 0νββ in funzione della seniorità, cfr. [8].
66
In figura 4.3 è stata riportata la dipendenza dell’NME da v, dove risulta
chiaro che l’NME ha un massimo per v = 0. Se la seniorità risulta diversa da
zero, ma non viene considerata nel calcolo dell’elemento di matrice, l’NME
verrebbe sovrastimato. Si osservi, inoltre, che una seniorità elevata è collega-
ta fortemente all’interazione di quadrupolo e quindi alla deformazione stessa
del nucleo.
Tabella 4.1: Calcoli di NME con i vari modelli di struttura nucleare, cfr. [21].
Questi, in linea di principio, risultano essere i fattori di cui bisogna tener
conto nel calcolo dell’NME. La questione irrisolta, adesso, è quella di capire
qual è il range di validità dell’elemento di matrice nucleare per il decadimento
0νββ. Per quanto riguarda gli errori da attribuire all’NME, non si può
parlare, ovviamente, di errori di origine statistica. Inoltre, a seconda del
nucleo considerato, vengono utilizzati diversi metodi e questo comporta un
impossibilità di comparare i valori ottenuti in senso stretto. Ad esempio, per
67
il 150Nd, non vi è nessun valore ottenuto con calcoli di modello a shell. Altri
due metodi, il QRPA e l’IBM, forniscono, invece, un valore dell’NME che si
aggira in un range di [2.03− 2.63]. Per lo 136Xe abbiamo un valore, ottenuto
con calcoli di modello a shell, che definisce un limite inferiore per l’NME,
anche se possiamo incrementarlo del 25% tenendo conto delle limitazioni
nello spazio di valenza che il metodo comporta. Sempre per lo 136Xe, con
i metodi QRPA ed IBM, abbiamo come range [2.74 − 3.45]. Con gli stessi
metodi si ottiene, per il 130Te, [3.31−4.61] e [3.60−4.69] per 128Te. Nel caso
del 96Zr, l’NME dipende, in modo critico, dalle sub-shell chiuse di neutroni.
Con il metodo ISM è stato ottenuto come range [3.06 − 3.71]. Per il 82Se
il range è [3.30 − 4.54], ottenuto usando il metodo SRQRPA. Nel caso del76Ge, utilizzando il metodo QRPA, è stato ottenuto come range [4.07−4.87].
Infine per il 48Ca, con calcoli di modello a shell, è stato ottenuto come valore
0.85, mentre, utilizzando lo stesso metodo, per il 100Mo è stato ottenuto un
valore di 4.23. Dai dati presentati e dalla figura 4.4 è evidente che vi sono
due casi dove l’NME è più piccolo rispetto alla media, 48Ca ed 150Nd, cfr.
[8].
Figura 4.4: Range dell’NME per i vari decadimenti discussi, cfr. [8].
68
Quindi i calcoli dell’NME ottenuti con vari modelli di struttura nucleare
presentano un certo "spread" che rende complicata l’analisi di un confronto
diretto tra i valori ottenuti (vedi tabella 4.1). Purtroppo, la mancanza di
misure direttamente ricollegabili all’elemento di matrice nucleare stesso im-
pedisce di vincolare i parametri che compaiono nei vari modelli di struttura
nucleare, in modo che riproducano i dati sperimentali non ancora misurati.
Dunque, la problematica relativa al calcolo dell’elemento di matrice nu-
cleare del doppio decadimento beta senza emissione di neutrini è proprio la
difficoltà di stabilire quale sia il modello più adatto per il calcolo dello stesso.
Tuttavia, è opportuno osservare che nell’ambito del modello a shell potreb-
bero essere effettuati calcoli rigorosi dei decadimenti β e 2νββ nella regione
dei nuclei di massa leggera, confrontare i risultati con i dati sperimentali, e
avere quindi un test dell’affidabilità dell’ISM per le regioni di massa in cui si
osserva il 2νββ.
Tali difficoltà stimolano attualmente la comunità intera della fisica teorica
della struttura nucleare verso un perfezionamento delle tecniche di calcolo
presentate in questo capitolo, allo scopo di individuare se differenti modelli
possano in un breve futuro restituire risultati tra loro consistenti del calcolo
dell’NME o, ovemai ciò non avvennisse, permettere di distinguere approcci
più promettenti rispetto a alcuni meno soddisfacenti.
Il raggiungimento eventuale di tale obbiettivo è un passaggio fondamen-
tale per ottenere finalmente la discriminazione sulla natura del neutrino,
particella di Dirac o di Majorana.
69
Figura 4.5: NME decadimento 0νββ: QRPA (barre rosse e diamanti), ISM
(quadrati), IBM (cerchi) e GCM (triangoli), cfr. [8].
70
Conclusioni
Lo scopo del presente lavoro di tesi è stato quello di descrivere la pro-
blematica relativa al calcolo dell’elemento di matrice nucleare del doppio
decadimento β senza emissione di neutrini. Il calcolo di tale elemento di
matrice permetterebbe di ottenere informazioni dirette della sezione d’urto
di tale processo di decadimento nucleare.
Per ottenere tale risultato è necessario calcolare la funzione d’onda dei
nuclei negli stati iniziali, intermedi e finali del processo, ed è quindi necessa-
rio una soluzione particolarmente accurata dell’equazione di Schrödinger dei
nuclei coinvolti nel decadimento. Ciò può essere ottenuto mediante l’utiliz-
zo dei moderni modelli utilizzati per calcoli di struttura nucleare, come ad
esempio il modello a shell nucleare (ISM), la Quasi-particle Random-Phase
Approximation (QRPA), e il modello a bosoni interagenti (IBM).
L’importanza di tali calcoli di struttura è direttamente legata al fatto
che l’eventuale rivelazione di tale decadimento permetterebbe di identificare
il neutrino come una particella di Majorana, cioè identica alla sua antipar-
ticella, cosa che comporterebbe la crisi del Modello Standard nella sua at-
tuale formulazione, e aprirebbe la strada a nuovi filoni di ricerca nella fisica
moderna.
Dopo una capitolo introduttivo alla tematica in esame, il primo capitolo
71
del presente lavoro di tesi è stato dedicato a una breve disanima della teoria
del decadimento β e doppio β, soffermando anche l’attenzione sulla fisica del
neutrino.
Nel secondo capitolo è stato presentato in maggior dettaglio il doppio
decadimento β senza emissione di neutrini, con particolare attenzione alla
formula analitica del tempo di vita medio di tale processo e alle quantità
coinvolte in tale espressione. Essa, come menzionato precedentemente, con-
tiene l’elemento di matrice nucleare del processo, di cui abbiamo riportato
l’espressione in funzione delle correnti di scambio leptoniche e delle funzioni
d’onda nucleare.
Il terzo capitolo è stato focalizzato sulla problematica sperimentale della
misura della sezione d’urto del doppio decadimento β senza emissione di neu-
trini. Nello stesso è stata riportata una panoramica degli sforzi sperimentali
per la misura della sezione d’urto del processo in esame, mediante una breve
descrizione di vari progetti, presenti e futuri, che si occupano della rivela-
zione 0νββ, quali GERDA, Majorana Demonstrator, CUORE, LUCIFER,
EXO-200, NEXT, SNO+ e KamLAND-Zen.
Nell’ultimo capitolo è stata riportata una rapida introduzione ai tre mo-
delli di struttura nucleare precedentemente menzionati, e che sono al mo-
mento estensivamente utilizzati dalla comunità dei fisici teorici nucleari per
calcolare le funzioni d’onda dei nuclei coinvolti del 0νββ e quindi dell’elemen-
to di matrice nucleare. Nello stesso capitolo è stata illustrata una rassegna
dei risultati ottenuti, dai quali è evidente lo "spread" dei risultati per l’NME
ottenuti con tali modelli, cosa che incide ovviamente in modo non positivo
sul calcolo della sezione d’urto del fenomeno.
72
Tale stato dell’arte mette al centro della discussione scientifica la ricerca
sul perfezionamento dei modelli teorici del nucleo atomico, che evidentemente
porterà una maggiore connessione tra la fisica delle particelle delle alte energie
e quella della fisica nucleare di bassa energia.
73
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