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Atti del Corso “La Nutrizione Clinica nelle Patologie Pancreatiche non Neoplastiche” 1 INDICE INTRODUZIONE Pag. 02 PARTE 1 FISIOPATOLOGIA E DIAGNOSTICA DELLA PANCREATITE Pag. 03 Anatomia e Fisiologia della Ghiandola Pancreatica Pag. 04 Susanna Schianchi La Pancreatite e l’Anatomo-Patologo Pag. 09 Giorgio Gardini, Elisabetta Froio Il Laboratorio nella Diagnostica della Pancreatite Pag. 17 Stefania Rondinella La Diagnostica per Immagini della Pancreatite Pag. 25 Levrini Gabriele, Franco Nicoli PARTE 2 LA PANCREATITE IN VARI AMBITI SPECIALISTICI Pag. 42 La Pancreatite Acuta Pag. 43 Silvia Lombardini Grave Ipertrigliceridemia e Rischio di Pancreatine Acuta Pag. 47 Chiara Trenti La Pancreatite Cronica: ancora una forma esistente? La Pancreatite Autoimmune Pag. 51 Fabio Bassi PARTE 3 APPROCCI TERAPEUTICI NELLA PATOLOGIA PANCREATICA Pag. 57 La Nutrizione Artificiale nella Pancreatite Acuta Pag. 58 Carlo Lesi, M.T. Fabozzi, L. Valeriani, L. Zoni La Nutrizione Clinica nella Pancreatite Acuta: la Ripresa dell’Alimentazione Simona Bodecchi Pag. 62 La Nutrizione Clinica nella Pancreatite Cronica Pag. 65 Salvatore Vaccaro La Nutrizione Clinica nel Diabete Mellito Pag. 70 Enrica Manicardi La Terapia Chirurgica della Pancreatite Pag. 75 Stefano Bonilauri La Terapia Medica della Pancreatite e Follow-up Pag. 86 Giovanni Fornaciari

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Atti del Corso “La Nutrizione Clinica nelle Patologie Pancreatiche non Neoplastiche” 1

INDICE INTRODUZIONE Pag. 02

PARTE 1 FISIOPATOLOGIA E DIAGNOSTICA DELLA PANCREATITE Pag. 03

Anatomia e Fisiologia della Ghiandola Pancreatica Pag. 04 Susanna Schianchi

La Pancreatite e l’Anatomo-Patologo Pag. 09 Giorgio Gardini, Elisabetta Froio

Il Laboratorio nella Diagnostica della Pancreatite Pag. 17 Stefania Rondinella

La Diagnostica per Immagini della Pancreatite Pag. 25 Levrini Gabriele, Franco Nicoli

PARTE 2 LA PANCREATITE IN VARI AMBITI SPECIALISTICI Pag. 42

La Pancreatite Acuta Pag. 43 Silvia Lombardini

Grave Ipertrigliceridemia e Rischio di Pancreatine Acuta Pag. 47 Chiara Trenti

La Pancreatite Cronica: ancora una forma esistente? La Pancreatite Autoimmune Pag. 51

Fabio Bassi

PARTE 3 APPROCCI TERAPEUTICI NELLA PATOLOGIA PANCREATICA Pag. 57

La Nutrizione Artificiale nella Pancreatite Acuta Pag. 58 Carlo Lesi, M.T. Fabozzi, L. Valeriani, L. Zoni

La Nutrizione Clinica nella Pancreatite Acuta: la Ripresa dell’Alimentazione Simona Bodecchi Pag. 62

La Nutrizione Clinica nella Pancreatite Cronica Pag. 65 Salvatore Vaccaro

La Nutrizione Clinica nel Diabete Mellito Pag. 70 Enrica Manicardi

La Terapia Chirurgica della Pancreatite Pag. 75 Stefano Bonilauri

La Terapia Medica della Pancreatite e Follow-up Pag. 86 Giovanni Fornaciari

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Siamo giunti ad un nuovo importante appuntamento per il Team Nutrizionale del nostro Ospedale Santa Maria Nuova, ideato per promuovere un evento formativo che, facendo perno sulla traccia nutrizionale, si collega a fondamentali discipline dell’Arte Medica, in questo caso in modo particolare quella gastroenterologica. Oltre ad approfondire la nutrizione corretta nella patologia pancreatica cercheremo anche di addentrarci in tutti i risvolti più importanti presenti in questa problematica malattia.

Le patologie non neoplastiche della ghiandola pancreatica sono eventi molto frequenti con cui dobbiamo confrontarci abitualmente nell’attività quotidiana tanto che la loro complessità e le loro varie forme ed espressioni cliniche pongono frequentemente il sanitario davanti a scelte terapeutiche delicate e difficili. Nella genesi di queste malattie intervengono numerose cause (colelitiasi, diabete mellito, alcool, ipertrigliceridemia, traumi, etc.) ed ognuna necessita di una appropriata risposta nutrizionale. In particolare la pancreatite acuta può avere una evoluzione imprevedibile, tanto che non solo diventa necessario l’intervento medico e spesso chirurgico, ma anche quello fondamentale di tipo nutrizionale.

Il modo di vita dell’uomo può avere una parte importante nella genesi delle patologie pancreatiche. Non a caso infatti l’alimentazione, lo stile di vita, le abitudini voluttuarie spesso sono chiamate in causa nella etiologia di queste malattie. La cura e la prevenzione delle patologie pancreatiche non neoplastiche necessita pertanto del contributo fondamentale di numerose figure sanitarie: medici, infermieri, dietisti, nutrizionisti, farmacologi. E come spesso accade la giusta alimentazione diviene un momento fondamentale nella profilassi e nella cura di queste patologie. La fase della acuzie è la più difficile e severa ed una scelta nutrizionale corretta (nutrizione orale o artificiale ), diventa fondamentale.

Queste brevi note relative alle “5e Giornate Reggiane di Dietetica e Nutrizione Clinica”, ci portano all’auspicio che i messaggi trasmessi dai relatori possano essere futuri punti di riferimento per la nostra attività quotidiana e che ci esortino a continuare il nostro impegno nell’ambito del difficile e complicato “pianeta nutrizione” tappa fondamentale di numerosissime patologie umane. Dott. William Giglioli Coordinatore Team Nutrizione Artificiale ASMN

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Parte 1

Fisiopatologia e Diagnostica della Pancreatite

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ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA GHIANDOLA PANCREATICA

Susanna Schianchi

U.O. Medicina IIIa e Gastroenterologia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

Il Pancreas è una voluminosa ghiandola retroperitoneale priva di capsula, impari e di tipo misto (esocrino-endocrino), avente forma allungata in senso trasversale ed appiattita in senso saggitale. È situato in posizione mediana, nello spazio retroperitoneale in corrispondenza della regione epigastrica ed è adiacente alla maggior parte delle principali strutture dell’addome superiore. Queste caratteristiche anatomiche spiegano come patologie infiammatorie o neoplastiche possano facilmente interessare gli organi e le strutture nervose e vascolari adiacenti. Ha colorito giallastro e superficie lobulata, una lunghezza media di 12-15 cm, un altezza massima di 4 cm e uno spessore di 1,5-2 cm. Il suo peso medio nel giovane adulto è tra 70 e 110 gr; tale peso tende a ridursi con l’età.

Dal punto di vista anatomico, il pancreas viene convenzionalmente suddiviso in tre porzioni, che prendono il nome di testa, corpo e coda del pancreas:

la testa, di forma grossolanamente rettangolare è situata nella concavità formata dal duodeno. Essa si prolunga inferiormente nel processo uncinato, che sulla faccia anteriore presenta un solco nel quale decorrono i vasi mesenterici superiori.

il corpo, di forma prismatico-triangolare, rappresenta il segmento intermedio ed è disposto frontalmente rispetto all'aorta e alla vena cava.

la coda diretta verso l’alto e a sinistra rappresenta il tratto assottigliato con cui termina quest'organo ghiandolare e prende rapporto con l’ilo della milza.

La testa del pancreas è rivestita anteriormente dal peritoneo ed è in rapporto con la parte pilorica dello stomaco e con la parte superiore del duodeno; posteriormente è rivestita dalla fascia retropancreatica, che la separa dal coledoco, dalla vena porta e dalla vena cava inferiore.

Il corpo è in rapporto anteriormente con il peritoneo della borsa omentale e con la parete posteriore dello stomaco; posteriormente è rivestito dalla fascia retropancreatica ed è in rapporto con la vena mesenterica superiore, l’aorta, la ghiandola surrenale e il rene di sinistra.

La coda anteriormente è incrociata dai vasi splenici e posteriormente è in rapporto con il rene sinistro. L’apice del pancreas è collegato alla milza dal legamento pancreatico-lienale. Vascolarizzazione ed Innervazione.

Il pancreas ha una ricca irrorazione ematica proveniente da rami dell’arteria celiaca e dell’arteria mesenterica superiore. Le arterie pancreatico-duodenali superiori anteriore e posteriore nascono come rami dell’arteria gastroduodenale, ramo dell’arteria celiaca; le pancreatico-duodenali inferiori anteriore e posteriore provengono dall’arteria mesenterica

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superiore. Questi vasi in genere decorrono in un solco tra la testa del pancreas e il duodeno ed emettono rami per entrambi gli organi (la vascolarizzazione arteriosa della porzione cefalica è in comune con quella della seconda porzione del duodeno (arcate pancreatico-duodenali superiore e inferiore, tra arteria gastro-duodenale e mesenterica superiore) e questo fa si che l’asportazione completa della testa comporti la contemporanea duodenectomia).

L’altra irrorazione arteriosa importante del viscere deriva dall’arteria splenica che dà origine a numerosi piccoli rami e in genere a 3 grandi vasi: la pancreatica dorsale, la pancreatica magna e la pancreatica caudale.

Il drenaggio venoso defluisce tutto nel sistema venoso portale. Le vene pancreatiche drenano la coda e il corpo del pancreas e sboccano nella vena splenica; quelle pancreatico-duodenali decorrono in prossimità delle arterie omonime e si gettano nella vena splenica o direttamente nella vena porta

La rete linfatica, particolarmente ricca drena nei linfonodi pancreatico-lienali e celiaci. L’innervazione efferente è sotto il controllo vagale, le vie afferenti decorrono lungo i nervi splancnici.

Dal punto di vista istologico il pancreas è una ghiandola composta, racemosa, finemente nodulare. È circondato da tessuto connettivale sottile, ma non ha una capsula tissutale fibrosa. I lobuli sono visibili all’esame macroscopico, e sono connessi da setti di tessuto connettivale che contengono vasi sanguigni, nervi, linfatici e dotti escretori.

La ghiandola è un organo misto, esocrino per circa l’80% ed endocrino per circa il 2%. La porzione endocrina consiste nelle insule di Langherans, la parte esocrina è costituita da numerosi acini che sono le subunità dei lobuli. Il lume dell’acino si apre nei dotti nei intralobulari; tali dotti si anastomizzano a formare i dotti interlobulari. I dotti interlobulari si anastomizzano fino a costituire il dotto pancreatico principale (di Wirsung).

I succhi pancreatici, prodotti dalla porzione esocrina vengono infatti immessi nel duodeno attraverso due dotti escretori, il dotto pancreatico principale di Wirsung e il dotto accessorio di Santorini.

Dotto pancreatico principale: inizia in corrispondenza della coda e decorre nel corpo da sinistra a destra. Dopo la confluenza con il dotto accessorio, in corrispondenza della testa devia verso il basso, attraversa la parete del duodeno e sbocca, insieme al coledoco, a livello della papilla duodenale maggiore (di Vater).

Dotto pancreatico accessorio: si distacca dal dotto principale a livello dell’istmo ghiandolare, percorre trasversalmente la testa e sbocca nel duodeno in corrispondenza della papilla duodenale minore o accessoria; talvolta può anche terminare nel dotto pancreatico principale. Fisiologia

Il pancreas è dotato di una duplice funzione, endocrina da un lato ed esocrina dall'altro. Il primo termine fa riferimento alla sua capacità di secernere nel circolo sanguigno gli ormoni che sintetizza, mentre la funzione esocrina consiste nella produzione di enzimi digestivi da immettere nel tubo digerente.

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Componente Endocrina (2%) La componente endocrina, localizzata principalmente a livello di coda e corpo, è

costituita da aggregati di cellule (insule di Langherans) secernenti più ormoni, prodotti da cellule differenti, che ricoprono un ruolo di primo piano nel controllo del metabolismo degli zuccheri, dei grassi e delle proteine. Le insule sono in diretto contatto con le cellule degli acini che le circondano e con i capillari ematici: tale struttura anatomica rende capaci le cellule che producono gli ormoni di interagire in modo stretto con le cellule che producono le principali secrezioni digestive, partecipando nella regolazione della funzione pancreatica esocrina e nel metabolismo dei nutrienti assorbiti (asse insulo-acinare).

La porzione endocrina del pancreas, costituita dalle isole del Langehrans, produce due ormoni importantissimi per regolare il livello di glucosio nel sangue:

Insulina: viene prodotta dalle cellule beta che rappresentano, quantitativamente, circa 3/4 delle isole del Langehrans;

Glucagone: viene prodotto dalle cellule alfa (20% della massa complessiva degli isolotti del Langehrans).

Questi due ormoni sono importanti nel metabolismo dei carboidrati. Oltre alle cellule alfa e alle cellule beta vi sono poi le cellule PP che rappresentano il

10-35% del volume insulare e secernono polipeptide pancreatico, e quelle D (le meno abbondanti, costituendo circa il 5% delle insule) che secernono somatostatina. Come ricordato nella parte introduttiva, gli ormoni prodotti dalla porzione endocrina del pancreas vengono rilasciati direttamente nei capillari sanguigni che circondano gli isolotti. Componente Esocrina.

Costituisce l’80-85% dell’organo. L’unità funzionale del pancreas esocrino è composta da un acino e dal canalicolo che lo drena. Il canalicolo drena nei dotti interlobulari che a loro volta sboccano nel sistema duttale pancreatico principale.

Gli acini pancreatici rappresentano pertanto le aree anatomiche deputate alla secrezione esocrina; al loro interno troviamo particolari cellule, dette acinose, che producono enzimi digestivi in forma inattiva, per poi riversarli, sotto l'influenza di determinati stimoli fisiologici, nel duodeno. Giunti in questa sede, dopo aver percorso un albero di canali convergenti nei dotti pancreatico principale (dotto di Wirsung) e pancreatico accessorio (dotto di Santorini), tali enzimi vengono attivati da altre proteine e possono finalmente svolgere la loro azione chimica.

I vari enzimi digestivi prodotti dal pancreas possono essere classificati, in base alla loro attività, in differenti categorie, che nel complesso danno origine al cosiddetto succo pancreatico (succo chiaro, incolore, alcalino, ricco in acqua, elettroliti (bicarbonato in particolare), la cui funzione principale è quella di portare l’ambiente duodenale a un ph ottimale (6,8) per l’attività degli enzimi, anch’essi prodotti dal pancreas, che vi devono agire).

I principali componenti inorganici delle secrezioni pancreatiche esocrine sono acqua, sodio, potassio, cloruro e bicarbonato. La secrezione dell’acqua e degli ioni ha il fine di trasportare gli enzimi digestivi nel lume intestinale e di aiutare a neutralizzare l’acido gastrico che giunge al duodeno.

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Le cellule degli acini sintetizzano e secernono almeno 10 idrolasi differenti responsabili della digestione intraluminale intestinale dei macronutrienti. - Amilasi: questi enzimi digeriscono gli amidi e il glicogeno contenuti negli alimenti in

una miscela di zuccheri semplici (disaccaridi, maltosio, glucosio) che verrà poi assorbita a livello della mucosa intestinale. L’amilasi umana viene secreta dal pancreas e dalle ghiandole salivari Le amilasi salivari e pancreatiche umane hanno attività enzimatiche identiche. L’amilasi salivare inizia la digestione nella bocca e può costituire una porzione importante della digestione degli amidi e del glicogeno perché viene trasportata con il pasto nello stomaco e nell’intestino tenue, dove continua a svolgere la propria attività. Nello stomaco l’attività dell’amilasi è protetta dall’acido gastrico secreto perché viene tamponata dai cibi e dall’ambiente alcalino protetto dal muco salivare e gastrico. L’azione dell’amilasi salivare e pancreatica è di idrolizzare i legami 1,4 glicoside dell’amido e del glicogeno a livello della giunzione tra C1 e ossigeno.

- Lipasi: coadiuvate dalla bile e dagli enzimi colipasi, catalizzano l'idrolisi dei trigliceridi scindendoli nei loro componenti più elementari (glicerolo ed acidi grassi). Il pancreas secerne tre tipi di lipasi: lipasi (o lipasi dei trigliceridi), fosfolipasi A2 e carbossilesterasi. Diversamente dall’amilasi, la fonte di gran lunga più importante di tali lipasi è il pancreas. La lipasi idrolizza una molecola di trigliceride, si lega all’interfaccia olio-acqua della gocciolina di trgliceride, dove agisce idrolizzando il trigliceride stesso in due molecole di acidi grassi e un monogliceride con l’acido grasso esterificato in glicerolo in posizione 2. Sia gli acidi biliari che la colipasi sono importanti per l’attività piena della lipasi. La fosfolipasi A2 catalizza l’idrolisi del legame esterico degli acidi grassi in posizione 2 della fosfotidilcolina: questa scissione porta alla formazione di acidi grassi liberi e lisofosfatidilcolina. La carbossilesterasi ha un’ampia specificità e scinde gli esteri del colesterolo, quelli delle vitamine liposolubili, i trigliceridi, i digliceridi e i monogliceridi. Anche i Sali biliari sono importanti per la piena attività di questo enzima.

- Proteasi: il pancreas secerne varie proteasi che vengono attivate nel duodeno. Le forme attivate comprendono tripsina, chimotripsina ed elastasi. Queste sono endopeptidasi che idrolizzano i legami peptidici presenti all'interno delle strutture proteiche, frammentandole nei singoli aminoacidi che le compongono. L’azione combinata delle proteasi da esito a oligopeptidi e aminoacidi liberi; gli oligopeptidi vengono ulteriormente digeriti dagli enzimi dell’orletto a spazzola. Sia gli aminoacidi liberi che gli oligopeptidi possono essere trasportati attraverso al mucosa intestinale .

- Ribonucleasi e Desossiribonucleasi: demoliscono, rispettivamente, gli acidi ribonucleici (RNA) e desossiribonucleici (DNA).

Gli enzimi che potrebbero potenzialmente digerire il pancreas sono depositati sotto forma di precursori inattivi. Tali enzimi, i proteolitici in particolare, sono sintetizzati come proenzimi, che saranno attivati nel lume intestinale dalle enterochinasi dell’orletto a spazzola che attiva il tripsinogeno rimuovendo (per idrolisi) un frammento N-terminale della molecola, in tripsina (la forma attiva) e questa a sua volta agisce attivando gli altri proenzimi ad eccezione dell’amilasi e della lipasi che vengono secrete già in forma attiva. Questa organizzazione permette di proteggere l’organo dall’auto-digestione.

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Normalmente l’attivazione enzimatica intrapancreatica da parte di enzimi lisosomiali è impedita sia da membrane fosoflipidiche, che compartimentano i proenzimi, sia da inibitori specifici (come l’alfa1antitripsina), sia da meccanismi difensivi (coesione dell’epitelio duttale capace di resistere alla retrodiffusione degli enzimi e degli elettroliti; ph acido intracellulare, capace di inibire l’atttività della tripsina eventualmente attivatasi ), sia dalla pressione dello sfintere di Oddi che funge da barriera al reflusso del contenuto duodenale. Infine, gli enzimi, inappropriatamente attivati all’interno dei dotti, sono rapidamente allontanati dal flusso del succo pancreatico stesso. Oltre agli enzimi digestivi, le cellule acinose secernono un inibitore della tripsina, l’inibitore della tripsina secretoria pancreatica. Questo peptide con 56 aminoacidi residui inattiva la tripsina formando un complesso relativamente stabile con l’enzima vicino alla sua sede catalitica. La funzione dell’inibitore è probabilmente quella di inattivare la tripsine formate autocataliticamente nel pancreas o nel succo pancreatico.

Il succo pancreatico, prodotto con un meccanismo attivo di scambio cloro/bicarbonato è secreto continuativamente con picchi post-prandiali. La secrezione è regolata, con meccanismo a feed-back, da numerosi enterormoni, in particolare secretina e colecistochinina-pancreozimina, prodotti da cellule neuroendocrine della mucosa duodenale e rilasciati nel flusso sanguigno allorché il chimo gastrico raggiunge il duodeno.

La colecistochinina-pancreozimina (CCK) interviene quando in duodeno giungono lipidi e proteine; essa ha diverse funzioni:

Aumenta la secrezione esocrina del pancreas (stimola principalmente la secrezione di enzimi dalle cellule degli acini)

Si oppone alla gastrina inibendo la secrezione gastrica di acido cloridrico. Stimola la contrazione della colecisti e la bile, concentrata, viene scaricata nel duodeno.

La secretina rilasciata quando il pH duodenale scende sotto a 4,5, attiva lo scambio Cl/HCO3 a livello delle cellule dei duttuli, stimolando la produzione di succo alcalino che permetterà l’azione degli enzimi. Il succo pancreatico secreto durante stimolazione con secretina è trasparente, incolore, alcalino e isotonico con il plasma. La velocità del flusso aumenta da 0,2 a 0,3 ml/min in stato di riposo a 4 ml/min durante stimolazione, il volume totale giornaliero delle secrezioni è di 2,5 l.

Quando la ghiandola viene stimolata con la secretina (il principale mediatore dell’incremento della portata volumetrica), peraltro le concentrazioni di bicarbonato e cloruro cambiano. I cambiamenti delle concentrazioni del bicarbonato e del cloruro avvengono perché la stimolazione con secretina causa una secrezione ad alto volume che contiene bicarbonato che origina dal sistema duttale pancreatico.

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LA PANCREATITE E L’ANATOMO PATOLOGO

Giorgio Gardini, Elisabetta Froio U.O. Anatomia Patologica - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio

Emilia Il pancreas può essere coinvolto da patologie infiammatorie acute e croniche; quelle acute comprendono la forma interstiziale e la forma emorragica, quelle croniche la forma alcool-correlata, l’ereditaria, l’autoimmune e la paraduodenale, le cronico-ostruttive, altre forme minori e quelle infettive. Pancreatite Acuta La pancreatite acuta interstiziale è definita dalla presenza di un infiltrato infiammatorio acuto intrapancreatico con o senza coinvolgimento peripancreatico e senza distruzione della microcircolazione (il pancreas quindi rimane perfuso); clinicamente è considerata una forma lieve non associata a complicazioni locali o sistemiche, trattata di solito conservativamente e con eccellente prognosi. L’acuta emorragica invece è legata alla distruzione della microcircolazione pancreatica e dà luogo ad una pancreatite necrotizzante. Questa è una forma severa associata a complicazioni locali e sistemiche che spesso necessita di un intervento chirurgico con un maggiore tasso di morbilità e mortalità. La pancreatite acuta non é così frequente, tuttavia la sua incidenza è difficile da determinare sia per il fatto che dal punto di vista clinico il confine tra acuta e cronica può essere molto sfumato sia perchè i pazienti con la pancreatite acuta lieve possono non mostrare sintomi clinici che variano in base alle cause. La pancreatite acuta ha spesso una rapida presentazione con dolore addominale, tensione epigastrica, nausea, vomito e febbre; nelle forme severe emorragiche il sangue può diffondersi nello spazio retroperitoneale. Gli attacchi tendono ad essere ricorrenti e dal punto di vista clinico-laboratoristico si ha un aumento delle amilasi, delle lipasi, iperglicemia, ed ipertrigliceridemia con normali - o quasi - livelli di colesterolo. La classificazione di Atlanta divide la forma lieve edematosa dalla forma severa necrotizzante. Il tasso di mortalità va dal 9 al 10 % e i fattori prognostici della severità della malattia sono riassunti dai criteri di APACHE e dai segni di Ranson. APACHE stabilisce la severità della malattia sulla base di misurazioni quantitative dei segni vitali e di valori di laboratorio, dell’età e dello stato cronico del paziente. Ranson confronta gli indici di severità della malattia misurata all’ingresso e quelli misurati alla dimissione del malato. Le cause della pancreatite acuta sono di tipo ostruttivo (calcoli biliari, anomalie anatomiche, neoplasie), da alcool, farmaco-associate, metaboliche, infettive (virali, parassitarie, batteriche), da traumi, autoimmune, ereditarie, da gravidanza ed idiopatiche. La colelitiasi e il consumo di alcool costituiscono il 70-80% delle cause di pancreatite acuta.

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Macroscopicamente il pancreas in corso di pancreatite acuta appare duro, edematoso e pallido. Può associarsi materiale purulento e necrosi del grasso. L’emorragia non è una caratteristica prominente fino a che non è associata a pancreatite emorragica e, in tal caso, la ghiandola appare scura con aree brunastre e con tessuto necrotico. Microscopicamente la forma acuta interstiziale è caratterizzata dalla presenza di un diffuso infiltrato infiammatorio di polimorfonucleati nell’interstizio con edema ed essudato fibrinoso. Focali o diffuse dilatazioni possono essere presenti come anche metaplasia mucinosa, squamosa ed aree di iperplasia. La forma acuta emorragica comprende una necrosi diffusa che coinvolge tutte le componenti del pancreas, inclusi gli acini, i dotti, l’interstizio, i vasi con trombosi vascolare ed arterite necrotizzante, i nervi, le isole di Langerhans ed il tessuto adiposo. La necrosi tende ad essere a macchia, raramente coinvolge l’intera ghiandola mentre il grado di infiammazione dipende dalla durata della malattia. La necrosi del grasso, le pseudocisti, gli ascessi pancreatici sono legati al rilascio di enzimi digestivi dalle cellule acinari. Dopo il trattamento solitamente segue la completa restitutio ad integrum del parenchima. Pancreatiti Croniche La pancreatite cronica è un processo fibro-infiammatorio a carico del pancreas che comporta una diminuzione della sue funzioni e cambiamenti morfologici permanenti. Si può sviluppare in seguito all’abuso di alcool o può non essere alcool-correlata, quindi dipendere da cause ereditarie, autoimmune, metaboliche (ipercalcemia, iperlipidemia), idiopatica, tropicale, associata ad anomalie anatomiche, ostruttive, traumi o fattori ambientali. Nonostante siano stati proposti diversi schemi classificativi a partire dal 1963 al 1997, attualmente non c’è una classificazione universalmente accettata che correli la clinica, l’eziologia, la patogenesi, l’anatomia patologica e la funzionalità pancreatica. Le caratteristiche morfologiche delle pancreatiti variano in base delle diverse cause e la loro comprensione è un processo che si è evoluto e che evolve nel tempo. Pancreatite Cronica Alcool-Correlata Questa è sicuramente la forma più comune, più frequente negli uomini tra la quarta-sesta decade. Può manifestarsi con i sintomi di una insufficienza del pancreas esocrino e talora anche endocrino o come massa pancreatica, con pseudocisti, ascessi, ascite, versamenti pleurici con elevata concentrazione di amilasi, sanguinamento gastrointestinale, ulcere e necrosi del grasso. Macroscopicamente questo processo può coinvolgere il pancreas in modo focale, segmentale o diffuso; le aree coinvolte sono allargate, dure e fibrotiche, i dotti possono essere distorti, con dilatazioni cistiche e possono contenere calcoli. Con la progressione della malattia l’intera ghiandola può diventare dura e andare incontro ad atrofia. Nei casi avanzati può assumere un contorno irregolare e le cisti, quando presenti, avere pareti ispessite e detriti necrotico-emorragici. Microscopicamente questo processo si caratterizza per la conservazione della normale architettura lobulare della ghiandola, irregolare perdita del tessuto acinare e duttale,

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combinati a vari gradi di infiammazione cronica, alterazioni dei dotti e fibrosi. La conservazione dell’architettura lobulare, persino in uno stadio avanzato, è forse la più importante caratteristica nella diagnosi differenziale tra una pancreatite cronica e un adenocarcinoma; i lobuli possono essere totalmente normali o contenere vari gradi di atrofia in dipendenza dal livello di progressione della malattia. L’atrofia dei dotti e delle cellule acinari, che può essere irregolare come distribuzione, è sempre presente. Altre caratteristiche alterazioni a livello dei dotti comprendono la dilatazione e l’ectasia, la formazione di cisti, la presenza di calcoli o di secrezioni dense. Le alterazioni a carico dell’epitelio dei dotti sono legate all’atrofia, all’iperplasia (papillare o pseudopapillare), alla metaplasia (mucoide, pilorica, squamosa) oltre ai cambiamenti di tipo reattivo: cellule con nucleo allargato, irregolarità nella forma e nella distribuzione della cromatina se comparati con i nuclei normali. Si associa spesso un variabile grado di infiammazione cronica che a volte può diventare prominente. L’infiammazione perineurale ed intraneurale e la fibrosi perineurale sono caratteristiche della pancreatite cronica come l’ipertrofia e l’iperplasia dei nervi. Il grado di fibrosi intralobulare e interlobulare varia in base alla durata ed alla severità della malattia e va da focale e lieve a diffusa e severa. Le isole di Langerhans sono relativamente resistenti agli effetti della pancreatite cronica e, negli stadi precoci, hanno solo minime alterazioni; negli stadi avanzati tendono invece a diminuire di numero e ad andare incontro ad una progressiva atrofia fino a scomparire. Occasionalmente possono apparire aumentate di numero ed iperplastiche tanto da suggerire una neoplasia endocrina. Alcuni pazienti con pancreatite cronica sviluppano pseudocisti, delineate da tessuto fibroso, flogosi e tessuto di granulazione ma senza un rivestimento epiteliale. Un’esacerbazione acuta di una pancreatite cronica può mostrare un prominente infiltrato di granulociti neutrofili e necrosi sia nel tessuto adiposo pancreatico che peripancreatico, ma, al contrario della pancreatite acuta nella quale c’è una completa restitutio ad integrum dopo la risoluzione dell’infiammazione, nella cronica le alterazioni morfologiche sono permanenti. Pancreatite Ereditaria E’ una patologia necro-infiammatoria e fibrosante che solitamente inizia nell’infanzia o nell’adolescenza. E’ una patologia autosomica dominante, rara, e comprende circa il 2% di tutti i pazienti con pancreatite cronica; mutazioni a livello del gene del tripsinogeno (PRSS1), del regolatore transmembrana coinvolto nella fibrosi cistica (CFTR) e dell’inibitore di una proteasi Kazal tipo 1 (SPNK1) che codifica per un inibitore della secrezione di tripsina (PSTI) sono fortemente associate con questa malattia. I sintomi si manifestano nella prima decade di vita e sono simili a quelli della patologia alcool correlata (dolore epigastrico, nausea, vomito). Con l’aumentare dell’età gli attacchi diventano meno severi. Le complicanze sono simili a quelle viste nella pancreatiti croniche non ereditarie: calcificazioni, diabete, insufficienza esocrina, pseudocisti, ascessi e carcinoma, raro prima dei 40 anni, più frequente tra i 50 e 70 anni; tuttavia i pazienti con pancreatite ereditaria hanno un rischio 50 volte più alto rispetto alla popolazione generale.

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Tranne poche eccezioni come la fibrosi periduttale, l’accumulo di precipitati intraduttali, le rare possibilità di formazioni di calcoli e di pseudocisti, le caratteristiche patologiche (macro e micro) sono simili a quelle delle forme alcool correlate. Pancreatite Autoimmune La pancreatite autoimmune è un tipo di pancreatite cronica che dà luogo alla formazione di una massa nel pancreas, caratterizzata dalla presenza di alte concentrazioni seriche di IgG4, da distinte caratteristiche patologiche ed immunologiche e da reperti clinici e radiologici tipici dell’adenocarcinoma, le cui complicazioni coinvolgono altri organi. Il marchio morfologico della pancreatite autoimmune include l’infiltrazione periduttale di linfociti e di plasmacellule IgG4, di lesioni epiteliali associate ad un infiltrato granulocitario con distruzione dell’epitelio duttale, venulite e, negli stadi avanzati, diffusa sclerosi. Tale patologia può associarsi ad altre patologie sistemiche autoimmuni, come la sindrome di Sjogren, la colangite sclerosante primitiva, la cirrosi biliare primitiva, le malattie infiammatorie croniche intestinali, il lupus, il diabete o può insorgere senza altre patologie autoimmuni sistemiche; in ogni caso non ci sono differenze significative tra le due forme. Solitamente è diagnosticata tra i 40 e i 60 anni; il processo infiammatorio si localizza principalmente nella testa, meno spesso nel corpo o nella coda e raramente coinvolge l’intera ghiandola. I pazienti hanno livelli elevati di IgG4 + e le concentrazioni seriche vanno da 136 a 1150 mg/dl con una media di 600 mg/dl. Recentemente gli anticorpi contro l’inibitore della secrezione di tripsina sono stati suggeriti come marker diagnostico; altri esami di laboratorio includono elevati livelli serici di enzimi pancreatici, ipergammaglobulinemia, anticorpi antinucleo (ANA), antilactoferrina (ALF), antianidrasi carbonica II (ACA-II) e fattore reumatoide; anticorpi anticitoplasma dei neutrofili (ANCA) sono assenti. Nel 2006 alcuni Autori (Desphande et al.) identificarono due sottotipi di pancreatite autoimmune, lobulocentrica e dottocentrica in base alle diverse caratteristiche cliniche, patologiche ed immunologiche. I pazienti con la forma lobulocentrica erano maschi con ittero ostruttivo, diffuso allargamento del pancreas, prominente proliferazione fibroblastica ed elevati livelli di plasmacellule IgG4 +. Quelli con la forma dottocentrica più spesso avevano colite ulcerativa e prominenti lesioni epiteliali da granulociti e granulomi dottocentrici. I pazienti rispondono alla terapia con corticosteroidi, tuttavia la prognosi a lungo tempo è sconosciuta anche se si pensa essere migliore rispetto a quelle delle forme non autoimmuni. Anche il rischio di sviluppare un carcinoma è sconosciuto. Macroscopicamente si ha una massa di colore biancastro di solito nella testa del pancreas con perdita della normale architettura o più raramente un diffuso allargamento del pancreas che appare di consistenza aumentata senza evidenza di una massa solida. Microscopicamente l’indizio più tipico è la presenza di un denso infiltrato infiammatorio linfocitario o linfoplasmocitario con o senza follicoli linfoidi intorno ai dotti interlobulari; tale infiltrato che può anche essere costituito da eosinofili, neutrofili, macrofagi e cellule dendritiche circondando i dotti causa un restringimento del lume e un’invaginazione dell’epitelio. Possono essere coinvolti anche i piccoli dotti, ma spesso in una fase più

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avanzata della malattia. Può associarsi l’invasione e la distruzione dell’epitelio duttale da parte dei granulociti neutrofili. Clusters di cellule infiammatorie sono viste oltre l’epitelio dei dotti ma, nonostante la flogosi e i vari gradi di cambiamenti degenerativi dell’epitelio, la loro totale distruzione e la formazione di una cicatrice sono eventi rari. La severità dell’infiltrato infiammatorio varia da caso a caso e anche nelle diverse porzioni del pancreas. Solo nei casi avanzati i dotti mostrano una prominente fibrosi che può portare ad una completa ostruzione e ad una pancreatite cronica con fibrosi nella porzione di parenchima non inizialmente coinvolto. Il grado di fibrosi perilobulare nella pancreatite autoimmune è solitamente più esteso rispetto a quella intralobare e la reazione fibrotica può coinvolgere anche i tessuti molli peripancreatici; se la fibrosi coinvolge i tessuti acinari comporta una perdita della normale architettura lobulare. In qualche caso aree di infiltrato infiammatorio lieve possono alternarsi ad aree e di infiltrato più marcato e coinvolgere anche il dotto pancreatico principale fino a raggiungere il dotto biliare comune ma raramente anche i dotti biliari epatici e la colecisti. Un’altra caratteristica istologica della pancreatite autoimmune è la flebite delle vene di piccolo e medio calibro; essa è caratterizzata dalla presenza, da lieve a moderata e severa a livello peri ed intramurale, di linfociti e plasmacellule. Calcificazioni, pseudocisti, plugs di proteine nei dotti e necrosi del grasso, tutte caratteristiche tipiche della forma alcool correlata non sono tipiche dell’autoimmune. I linfonodi peripancreatici di solito allargati mostrano iperplasia reattiva. Dal punto di vista immunoistochimico si ha una netta prevalenza dei linfociti T (CD3+, CD4+ e CD8+) e pochi linfociti B (CD20+); le plasmacellule mostrano un pattern policlonale con espressione sia delle catene κ che λ; in particolare si è visto, ma non tutti lo confermano, che la presenza di più di 20 plasmacellule per campo ad alto ingrandimento, specie se IgG4+ è un reperto altamente specifico. La principali patologie che entrano in diagnosi differenziale con la pancreatite autoimmune sono le altre forme di pancreatite e l’adenocarcinoma. I reperti clinici, radiologici, patologici possono simulare l’adenocarcinoma; ad es. per la stenosi del dotto biliare, gli elevati livelli di antigene carcinomaembrionario, di CA19-9, l’allargamento del pancreas, le anomalie angiografiche, le linfoadenopatie. Hamano et al suggerirono un cutoff di IgG4 di 135 mg/dl per differenziare la pancreatite dall’adenocarcinoma con una sensibilità del 95% e specificità del 97%. Recentemente, dalla Mayo Clinic sono stati elaborati i HISORt criteria per la diagnosi delle pancreatiti autoimmuni basti sulla combinazione di criteri istologici, di imaging, sierologici, sul coinvolgimento di altri organi e sulla risposta alla terapia con corticosteoidi. Pancreatite Paraduodenale La pancreatite paraduodenale è una distinta forma di pancreatite che si sviluppa intorno e nello spessore della parete duodenale vicino alla papilla minore. Solitamente coinvolge un’area localizzata tra il dotto biliare comune, il pancreas ed il duodeno; nella maggior parte dei casi coinvolge la papilla minore in un’area in cui il dotto del Santorini si unisce al lume duodenale. I pazienti sono tipicamente maschi, 5a o 6a decade spesso con una storia di abuso alcolico; in aggiunta il coinvolgimento della papilla minore suggerisce come anche

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un’alterazione anatomica come il pancreas diviso possa concorrere nello sviluppo della stessa. Il sintomo più comune è il severo dolore addominale seguito dalla perdita di peso, vomito post-prandiale e nausea (legati alla stenosi del duodeno). L’ittero è presente nel 20% dei pazienti. Clinicamente la pancreatite paraduodenale può simulare in tutto e per tutto un carcinoma pancreatico o della papilla. I reperti radiologici comprendono dilatazioni cistiche nella parete duodenale e/o nel tessuto pancreatico adiacente, irregolarità del dotto pancreatico principale della testa e una lesione che fa massa. Macroscopicamente nella maggior parte dei casi si ha una stenosi della seconda porzione duodenale; la caratteristica più comune e constante è la presenza di cisti multiple dentro una parete duodenale ispessita contenenti liquido o in alcuni casi calcoli; queste cisti situate a livello della sottomucosa e della muscolare possono estendersi all’area intorno al dotto biliare. Si possono distinguere due tipi: uno cistico con cisti multiple da cm 1 a 10 cm di diametro che protrudono nella mucosa al di sopra della papilla ed uno solido con un marcato ispessimento della parete che contiene cisti di meno di 1 cm di diametro. Entrambi i tipi mostrano un più o meno marcato ispessimento della parete duodenale più evidente sul versante pancreatico; la regione di confine è espansa sia da tessuto fibrotico che può stringere il dotto biliare comune che dalle cisti che possono portare a stenosi del duodeno. Si associano numerosi linfonodi peripancreatici allargati. Il parenchima pancreatico almeno nei primi stadi è normale mentre al momento dell’intervento può avere una fibrosi lieve-moderata. Con il progredire della malattia si ha il coinvolgimento della porzione dorso-craniale con ostruzione e dilatazione del Santorini fino al completo interessamento del parenchima. Microscopicamente le cisti sono tappezzate da un epitelio colonnare simile a quello dei dotti che può essere perso ed essere rimpiazzato da tessuto di granulazione. Si associa la presenza di un infiltrato infiammatorio cronico centrato nella sottomucosa e nella muscolare duodenale con l’interessamento del parenchima pancreatico adiacente. Ulcerazione del duodeno può essere presente come anche foci di necrosi. Una prominente proliferazione di cellule muscolari lisce spesso arrangiate in un pattern vorticoide intorno ai lobuli pancreatici può simulare una neoplasia. Nel duodeno si può trovare iperplasia della ghiandole del Brunner, proliferazione neuronale, con variabile ispessimento e disorganizzazione dello strato muscolare per l’iperplasia e la fibrosi. Pancreatite Cronica Ostruttiva E’ un disordine infiammatorio cronico dovuto all’ostruzione del dotto pancreatico principale che porta alla dilatazione del dotto distale all’ostruzione, all’atrofia acinare e alla fibrosi. In questa condizione l’epitelio del dotto può essere iperplastico. L’ostruzione può coinvolgere i dotti secondari nel tessuto interlobulare e portare a focali aree di pancreatite cronica. La causa più comune di pancreatite ostruttiva è l’adenocarcinoma della testa del pancreas. In questa circostanza il processo può essere abbastanza diffuso ma queste condizione non evolve quasi mai nella formazione di pseudocisti. Altre forme di pancreatiti croniche comprendono quella: eosinofila, metabolica, tropicale, idiopatica.

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La forma eosinofila è una rara condizione caratterizzata dalla presenza di un prominente infiltrato eosinofilo che in alcuni casi può dar luogo ad una lesione solida o ad una ostruzione del dotto biliare comune. La forma primaria eosinofilica è una condizione estremamente rara, per contro altri processi che possono manifestare un aumento degli eosinofili pancreatici includono infezioni parassitarie, reazioni da rigetto, reazione da ipersensibilità a farmaci, allergia al latte, tumori miofibrolastici infiammatori, pseudocisti, pancreatite sclerosante linfoplasmocitaria e carcinoma. Tra i sintomi clinici: dolore, ittero, ipereosinofilia periferica, elevati livelli serici di IgE ed infiltrati di eosinofili in altri organi incluso il tratto gastrointestinale. Il pancreas è allargato e fibrotico. Gli eosinofili possono essere sottoforma di infiltrato localizzato o diffuso e quindi, in quest’ultimo caso, circondare i dotti e gli acini, spesso con la formazione di setti e coinvolgere i vasi con flebiti ed arteriti; se localizzato può essere associato alla formazione di pseudocisti con o senza flebite. Il parenchima vicino può avere modificazioni atrofiche, quello lontano apparire del tutto normale. La forma metabolica può verificarsi in associazione con le sindromi ipercalcemiche come l’iperparatiroidismo primario e i reperti istologici dovuti all’ipercalcemia sono simili a quelli osservabili nella pancreatite alcolica. La forma tropicale rappresenta una forma prevalente di pancreatite in molti paesi tropicali come l’Africa centrale, il Brasile, il Sud dell’Asia e l’India. L’eziologia non é chiara, sembra che intervengano un insieme di fattori come la malnutrizione, sostanze tossiche, mancanza di antiossidanti, predisposizione genetica. La classica triade dei sintomi sono: dolore addominale steatorrea e diabete. Caratteri distintivi di questa forma includono la giovane età alla presentazione, la presenza di larghi calcoli intraduttali, un più aggressivo decorso clinico e aumento del rischio di sviluppare un carcinoma. Le caratteristiche patologiche dipendono dalla durata e dalla severità della malattia. Negli stadi avanzati il pancreas è piccolo, distorto con superficie irregolare e nodulare. E’ duro, fibroso, di consistenza aumentata con calcoli di varie dimensioni e forma distribuiti attraverso il sistema duttale. Microscopicamente il carattere distintivo è la diffusa fibrosi associata a marcata dilatazione di tutto il sistema duttale. Le cellule duttali possono essere perse e sostituite da metaplasia squamosa. Un infiltrato linfoplasmocitario è solitamente presente soprattutto intorno ai dotti ed associato ad atrofia acinare. La fibrosi interlobulare è un reperto caratteristico fin negli stadi precoci, poi in quelli tardivi può diventare focale, segmentale o diffusa. Con il progredire della malattia le isole diventano atrofiche, isolate e circondate da una densa fibrosi. La forma idiopatica comprende circa il 10-25% casi di pancreatite cronica in cui non è possibile stabilire una causa. E’ ragionevole che molti pazienti con la diagnosi di pancreatite idiopatica avessero in realtà una forma autoimmune. Pancreatite Infettiva La pancreatite infettiva come causa di pancreatite nei soggetti immunocompetenti è una causa non comune; l’incidenza delle pancreatiti acute causate da agenti infettivi è difficile da valutare perchè molti casi sono lievi e subclinici. Tuttavia i pazienti immunocompromessi hanno una più alta incidenza di pancreatite rispetto alla popolazione

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generale. Le pancreatiti infettive possono essere causate da una grande varietà di patogeni inclusi virus, parassiti, batteri e funghi. Gli agenti virali comprendono: rosolia, coxsackie B, Epstein-Barr, citomegalo, herpes simplex epatite A, B e HIV. I parassiti associati a pancreatiti sono: Ascaris Lumbricoides, Clomorchis sinensis, Strongyloides stercolaris e Echinococco granuloso. Fra i batteri ci sono il Mycoplasma pneumoniae, Salmonella tyhi, Campylobacter jejuni, Yersinia enterolitica, Actinomyces, Nocardia, Mycobacterium avium, Legionella, Leptospirosi. Potenziali infezioni fungine sono date da Aspergillo, Criptococco neoformans, Coccidioides immitis, Paracoccidioides brasiliensis, Histoplasma capsulatum e Pneumocisti carinii. Altri patogeni sono Cryptococco, Toxopalsma gondii, Cryptosporidium, M. tuberculosis e M. avium. La natura infettiva della pancreatite è basata sulle caratteristiche dei segni e sintomi associati con i singoli agenti infettivi. Le inclusioni da CMV sono trovate tipicamente nelle cellule mesenchimali ed anche nelle cellule epiteliali come in quelle acinari. I granulomi si trovano nelle infezioni fungine e in quelle da micobatteri. In base alle cause i granulomi possono essere necrotizzanti o non necrotizzanti e possono essere presenti in qualunque area nel parenchima pancreatico. Nei casi sospetti le colture microbiologiche sarebbero sempre consigliate. Il più comune tipo di pancreatite parassitaria è legata a A. lumbricoides le cui uova e larve possono essere identificate istologicamente; esso entra nel pancreas attraverso il sistema duttale e causa necrosi, ascessi, infiammazione granulomatosa e fibrosi. Diagnosi differenziali in corso di esame estemporaneo Il patologo spesso è chiamato in causa in corso di esame estemporaneo a differenziare una pancreatite cronica da un adenocarcinoma. A questo scopo sono stati individuati diversi criteri istologici e citologici che aiutano a distinguere i due processi. Le caratteristiche istologiche della pancreatite cronica includono la presenza di dotti interlobulari rotondi o tubulari, senza significative arborizzazioni o protrusioni e delineati da uno o due strati di epitelio colonnare. I dotti intralobulari sono tipicamente piccoli, rotondi, ovali e delineati da un singolo strato di cellule da cuboidale a colonnare basso. La distribuzione dei dotti è regolare; detriti necrotici intraghiandolari sono sempre assenti e una vera invasione perineurale non è mai identificata nella pancreatite cronica. I caratteri citologici della pancreatite cronica comprendono una variazione nucleare massima di 3:1, l’assenza di mitosi e di larghi, irregolari nucleoli. Al contrario le caratteristiche dell’adenocarcinoma includono un notevole incremento nel numero delle strutture ghiandolari sia nelle aree intralobulari che interlobulari. I dotti neoplastici sono più larghi, più irregolarmente distribuiti e mostrano spesso un’irregolare ramificazione se paragonati con quelli normali. Atri criteri di malignità comprendono la presenza di ghiandole maligne con solo parziale o incompleto lume, nidi solidi di cellule senza lume, un pattern di crescita cribriforme, irregolari nidi di cellule, singole filiere, isolate singole cellule nello stroma e dotti con un incompleto rivestimento epiteliale. In particolare si è visto che i detriti necrotici dentro ai lumi ghiandolari sono identificati fino al 70% dei casi di adenocarcinoma mentre il neurotropismo può essere presente in circa il 28% dei casi. Citologicamente gli adenocarcinomi mostrano una grande variazione nella taglia nucleare (4:1 o di più) e figure mitotiche, atipiche e non, fino al 50% dei casi.

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IL LABORATORIO NELLA DIAGNOSTICA DELLA PANCREATITE

Stefania Rondinella

U.O. Lungodegenza - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

La diagnosi di pancreatite è principalmente una diagnosi clinica che si avvale delle indagini radiologiche per la conferma.

La pancreatite acuta è caratterizzata da uno stato di flogosi (infiammazione) acuta del pancreas e dei tessuti peripancreatici e le lesioni possono essere un edema interstiziale (pancreatite edematosa), oppure una necrosi parenchimale (pancreatite necrotico emorragica). Lo stato infiammatorio provoca la necrosi del tessuto pancreatico dovuto alla digestione da parte degli enzimi prodotti dal pancreas stesso. L’aumento della quota di enzimi pancreatici che si riversa nel sangue pertanto è indice evidente di danno cellulare acuto.

Con pancreatite cronica - o "pancreatopatia cronica" - si indicano, invece, tutte le affezioni del pancreas a carattere cronico e fibrosante che producono un danno permanente o disfunzione dell'organo. Pertanto il ruolo del laboratorio nella diagnostica della pancreatite cronica non è quello di ricercare il danno cellulare acuto, quanto la progressiva insufficienza ghiandolare. PANCREATITE ACUTA

Nella pancreatite acuta sono principalmente due gli enzimi rilasciati dalle cellule acinari ed immessi in circolo nel sangue in quantità aumentata: l'amilasi e la lipasi. Amilasi

Le amilasi del siero derivano per il 40-45% dal pancreas, per una quota maggiore dalle ghiandole salivari (circa 60%) e per una piccola quota da altri organi quali intestino tenue e tube di falloppio.

Il dosaggio delle amilasi plasmatiche è un esame sensibile ma poco specifico (sensibilità 75-92%, specificità 20-60%) nella diagnosi di pancreatite acuta. Infatti altre patologie acute addominali possono associarsi ad un moderato rialzo delle amilasi seriche, ponendo seri problemi di diagnosi differenziale (Tab 1).

Un aumento dell'amilasi superiore a tre-cinque volte i valori di norma supporta la diagnosi di pancreatite acuta (Tab 2).

Nella pancreatite acuta il valore dell'amilasi aumenta nelle prime 12-24 ore dall'inizio della sintomatologia, permane elevato per 3-4 giorni e rientra nei limiti di norma in 4-7 giorni. La persistenza di valori elevati deve indurre a pensare allo sviluppo di complicanze quali ascesso pancreatico, pseudocisti, ascite.

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TAB 1: Cause pancreatiche ed extra-pancreatiche dell’aumento delle amilasi.

Cause Pancreatiche Cause Extrapancreatiche Pancreatite acuta parotite epidemica litiasi,

parotide e ghiandole salivari

carcinoma dell'esofago, del polmone e dell’ovaio

Pancreatite cronica riacutizzata

Macroamilasemia * alcolismo

Complicanze della pancreatite (ascite, ascesso, pseudocisti)

insufficienza renale, trapianto di rene

rottura di aneurisma dell'aorta, post-operatorio in chirurgia addominale.

Carcinoma del pancreas litiasi del coledoco, colecistite, epatite, cirrosi

chetoacidosi diabetica

Litiasi dei dotti pancreatici ulcera gastro-duodenale perforata

gravidanza, complicanze di gravidanza extrauterina

Trauma pancreatico occlusione intestinale, perforazione intestinale, infarto intestinale

assunzione di corticosteroidi, assunzione di morfina e codeina

interventi maxillo-facciali Ustioni * in alcolismo, sindrome da malassorbimento o altre turbe digestive; è dovuta al legame dell'amilasi con proteine ad elevato peso molecolare che non permettono la filtrazione, motivo per cui non è presente amilasuria

TAB 2: Diagnosi differenziale di aumento delle amilasi

Valori moderatamente elevati (>3 volte la norma)

Valori particolarmente elevati (>5 volte la norma)

carcinoma del pancreas pancreatite acuta parotite ed altri processi flogistici delle ghiandole salivari

pseudocisti pancreatica

ulcera peptica duodenale perforata assunzione di morfina

Nella pratica clinica però si riconoscono svariate eccezioni: Innanzitutto va segnalato che l'attività dell'amilasi rimane nei range di normalità alla

presentazione del paziente nel 19-20% dei casi. Una modesta iperamilasemia si riscontra nel 9-39% dei soggetti etilisti, in assenza di

sintomi evocatori di pancreatite acuta. Questo aumento è però in gran parte a carico delle isoamilasi salivari. D’altro canto è anche vero che talora soggetti etilisti che presentino episodi acuti di pancreatite possono mostrare valori normali di amilasemia, probabilmente a causa dell'insufficienza esocrina legata alla pancreatite cronica sottostante.

Come per le transaminasi nell'epatite fulminante, sono descritti casi di pancreatite acuta con necrosi massiva senza alcun rialzo delle amilasi plasmatiche.

Valori normali di amilasi possono essere riscontrati in pazienti che giungano all'osservazione due o più giorni dopo l'esordio dei sintomi. Come già detto, infatti, i livelli decrescono rapidamente, specie nelle forme lievi, cosicché buona parte dei pazienti hanno valori normali entro 48 ore.

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La determinazione delle isoamilasi-P può accrescere la specificità del test, in quanto esse si ritrovano soltanto nel tessuto pancreatico. In urgenza, tuttavia, il loro impiego è poco diffuso, anche perché non permette di differenziare la pancreatite acuta dalle altre patologie addominali che si associano ad iperamilasemia.

Una elevata concentrazione di amilasi (isoamilasi-P) viene riscontrata nelle urine di pazienti affetti da pancreatite acuta, a causa della loro aumentata clearance renale. Lo stesso fenomeno non si verifica quando l'iperamilasemia è dovuta ad altre cause.

Su questa base si fonda il test del rapporto tra clearance delle amilasi e della creatinina nella diagnosi di pancreatite acuta. Nella macroamilasemia l’amilasi viene complessata o con una immunoglobulina o con altre sostanze ed il complesso che ne deriva è troppo grande per essere filtrato a livello glomerulare. In tal caso l’attività amilasica è elevata nel siero e bassa nelle urine. Ciò si traduce in un basso valore di ACR (amilasi/creatinine ratio) che esprime il rapporto tra la clearance dell’amilasi e quello della creatinina:

ACR= (Amilasi urine * creatinina siero)/ (amilasi siero * creatinina urine) * 100

Tuttavia, poiché il test è inaffidabile quando la pancreatite acuta si associa ad insufficienza renale, non sembra attualmente che questo esame possa aumentare le possibilità diagnostiche. Lipasi

Come per le amilasi, anche i livelli plasmatici di lipasi si innalzano quasi costantemente nei pazienti con pancreatite acuta. Il loro decremento è più lento di quanto avvenga per le amilasi, il che è vantaggioso soprattutto nei pazienti con presentazione clinica tardiva. Le linee guida per la gestione della patologia enfatizzano questa proprietà. Inoltre le lipasi vengono prodotte esclusivamente dal pancreas, il che significa che il loro rialzo nel siero è indice assoluto di patologia pancreatica. Pertanto, il valore diagnostico delle lipasi è caratterizzato da maggiore specificità (50-99%) e sensibilità (86-100%), oltre che maggiore accuratezza rispetto alle amilasi. La lipasi non è escreta con le urine, per cui la sua clearance non è misurabile. Tripsina ed elastasi

Un elevato livello di tripsinemia è probabilmente il più accurato marker biochimico di pancreatite acuta, superato in specificità solo dal dosaggio dell'elastasi. Sfortunatamente sono entrambi test di non ampia diffusione e quindi non routinariamente applicabili. Altri esami

La conta dei globuli bianchi (GB) solitamente aumenta a 12000-20000/ml. Le perdite dei liquidi nel terzo spazio possono far aumentare l'ematocrito addirittura fino al 50-55%, indicando una grave infiammazione.

Si può verificare una iperglicemia, che nel caso della pancreatite acuta è per lo più transitoria, quale indice di severo danno acuto ghiandolare ed interessamento della funzione

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endocrina pancreatica. Essa è dovuta al deficit di insulina, all'aumento del glucagone sierico e all'incremento dei livelli sierici di catecolamine e cortisolo indotto dallo stress.

La concentrazione sierica del calcio diminuisce precocemente fin dal primo giorno a causa della formazione dei "saponi" di Ca, secondaria all'eccessiva generazione di acidi grassi liberi, specialmente ad opera della lipasi pancreatica. L’ipocalcemia è inoltre dovuta ad una serie di altri fattori, tra cui l’ipoalbuminemia principalmente, l’aumentata secrezione di calcitonina per aumento del glucagone sierico, e la diminuita secrezione di paratormone.

La concentrazione della bilirubina sierica aumenta nel 15-25% dei pazienti, perché il pancreas edematoso comprime il dotto biliare comune.

È possibile anche trovare un valore di ALT > 80 , molto specifico per pancreatite biliare, ma poco sensibile. In generale, comunque, un aumento delle transaminasi e degli indici di colestasi precoce (entro le prime 24 ore) fa presupporre una pancreatite di origine biliare.

Ugualmente significato eziologico viene attribuito al riscontro di ipertrigliceridemia.

VES, PCR, Fibrinogeno, alfa 1-glicoproteina acida aumentano pressoché costantemente in corso di pancreatite acuta.

Se la leucocitosi, l'iperamilasemia e l'aumento della PCR persistono è presumibile la formazione di pseudocisti.

LDH, calcemia, ipoalbuminemia ed ematocrito>50% sono indici di severità della malattia, così come VES elevata, leucocitosi neutrofila, ipercreatininemia.

PANCREATITE CRONICA

Il ruolo della iperenzimemia nella diagnostica di pancreatite cronica è di per sé limitato, mentre un ruolo importante è svolto dai test di funzionalità ghiandolare. I livelli sierici di amilasi e lipasi sono pressoché nella norma, eccetto nelle fasi di riacutizzazione. Le iso-amilasi pancreatiche sono occasionalmente inferiori al normale nella pancreatite cronica associata a steatorrea, mentre sono in genere normali nella pancreatite cronica lieve.

Gli indici di flogosi (leucocitosi neutrofila, PCR, VES, fibrinogeno, alfa1-glicoproteina acida) rimangono inalterati.

Iperglicemia è spesso presente per l’instaurarsi di diabete insulino-dipendente, come di seguito descritto.

ALT, GGT, Fosfatasi alcalina, bilirubina sono alterati nella pancreatite litiasica e si associano ad ittero e calcolosi.

Durante la fase acuta dolorosa, gli esami ematochimici evidenziano un modesto incremento della amilasemia, della lipasemia, della tripsinemia e, frequentemente, incremento di bilirubina, gamma-GT, fosfatasi alcalina e transaminasi (espressione di colestasi extraepatica da compressione del coledoco).

Nel dubbio diagnostico con un una neoplasia pancreatica è opportuno il dosaggio del CA-19-9.

Come già anticipato, però, la diagnosi di laboratorio di pancreatite cronica si basa sulla identificazione dello stato di insufficienza ghiandolare.

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PROVE DI FUNZIONALITA' DEL PANCREAS ESOCRINO Si distinguono in dirette ed indirette, intendendosi per dirette le prove che

comportano la raccolta delle secrezioni pancreatiche dopo stimolazione endovenosa con secretagoghi e indirette le altre. Le prove vanno poi distinte ulteriormente in prove che richiedono l’intubazione duodenale e quelle che non la richiedono.

Va ricordato che il pancreas ha un’ampia riserva funzionale, per cui i segni del malassorbimento non si manifestano finché la secrezione di enzimi sotto stimolo non è ridotta a meno del 10% del valore normale. Si comprende quindi perché i test che si basano sulla trasformazione di un substrato ingerito hanno bassa sensibilità, mentre hanno maggiore attendibilità i test basati sulla misura degli enzimi nel succo duodenale dopo somministrazione di secretagochi (secretina, colecistochinina), dopo assunzione di un pasto di prova o dopo perfusione duodenale con aminoacidi. Test alla secretina e alla colecistochinina

I secretagoghi possono essere infusi separatamente o molto più spesso assieme, in modo da valutare contemporaneamente la funzionalità delle cellule acinari e di quelle dei dotti.

Il metodo di somministrazione più seguito prevede l’infusione continua di secretina (GIH 0.25 CU/Kg/h) e/o di colecistochinina (CCK-octapeptide 40 ng/Kg/h). Il test richiede il posizionamento di sondino in duodeno e la aspirazione continua dei succhi gastrici che altrimenti interferirebbero con la misura del volume del succo pancreatico. Il secreto duodenale viene raccolto per 80 min e sul liquido così ottenuto si misurano: volume, concentrazione di bicarbonato, concentrazione di amilasi, tripsina e lipasi.

In una pancreatite acuta questi valori sono diminuiti del 20%. Quasi tutti i pazienti con pancreatite cronica hanno basse concentrazioni di bicarbonato (40% della media normale), circa metà ha una bassa attività amilasica e ancor meno mostrano lieve riduzione del volume totale. In una patologia ostruttiva la riduzione di tutti i valori è molto marcata e cifre ancora inferiori si hanno nella fibrosi cistica.

Il metodo consente la misura di difetti iniziali non altrimenti misurabili. I limiti principali di questa metodica consistono nel suo costo elevato e nella bassa tollerabilità da parte del paziente, e per tali motivi essa è sempre meno utilizzata. Ciò nonostante la sua accuratezza è decisamente elevata, aggirandosi intorno al 95-97% e permane tale anche nelle forme lievi. Ciò fa sì che tale indagine sia elettiva nella diagnosi delle pancreatopatie croniche iniziali, laddove la diagnostica strumentale è difficilmente in grado di evidenziare la condizione patologica. Sono possibili falsi positivi (per il coinvolgimento del pancreas in numerose patologie dell’apparato digerente) e falsi negativi (in virtù della riserva funzionale del pancreas). Test del pasto di Lundh

Il paziente ingerisce una miscela liquida (300 ml) a base di latte in polvere, olio vegetale e destrosio per un totale di 18 g lipidi, 15 g proteine, 45 g carboidrati. Dopo il pasto si ottiene con sondino, a intervalli, il succo duodenale e si misura la concentrazione di tripsina. Il test evidenzia deficit funzionali di entità moderata o grave. Non è utilizzabile in

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caso di concomitanti patologie della mucosa intestinale (sprue) o in caso di anomalie strutturali dipendenti da pregressi interventi (vagotomia, Billroth II, gastrectomia subtotale). Oggi è pressoché abbandonato. Misura dei grassi fecali

Il test consiste nella misura dei grassi fecali dopo assunzione per tre giorni di una dieta contenente 100 g di lipidi. Normalmente compare nelle feci meno del 7% dei grassi ingeriti. Il test è patologico in caso di insufficienza pancreatica grave ed è oberato da problemi di compliance. Grazie alle nuove tecniche spettrofotometriche è possibile ottenere rapidamente anche su un piccolo campione raccolto in una singola evacuazione una buona valutazione non solo dei grassi fecali, ma anche di proteine, amidi e zuccheri semplici. Va anche ricordato che la semplice ricerca microscopica di grassi neutri nelle feci (colorazione Sudan III) dà le stesse informazioni dei grassi fecali. Test del NTB-PABA

È il test non invasivo eseguito più di frequente per la valutazione della funzionalità del pancreas esocrino. Il Paziente assume per os il peptide sintetico acido N-benzoil-L-tirosil-p-aminobenzoico. Nel duodeno la chimotripsina pancreatica scinde i due composti ed il PABA generato è assorbito, coniugato a livello epatico ed è escreto nelle urine ove può essere misurato.La eliminazione con le urine in 6 ore di più del 50% del PABA ingerito è indice di una normale funzionalità pancreatica. Il test è positivo in caso di insufficienza pancreatica grave. Ha sensibilità 80-100% e specificità 90-95%. Precedenti interventi chirurgici sullo stomaco, affezioni dell’intestino tenue, epatopatie, insufficienza renale, l’uso di alcuni farmaci (acetaminofene, fenacetina, tiazidici, sulfamidici, procainamide, cloramfenicolo, lidocaina, benzocaina, creme solari contenenti PABA) o l’assunzione di alcuni cibi (prugne, mirtilli) possono interferire con il test. Chimotripsina e tripsina nelle feci

La misurazione della chimotripsina e della tripsina nelle feci è stata usata in passato come test indiretto di insufficienza del pancreas esocrino, specie per individuare l’insufficienza pancreatica nei pazienti con fibrosi cistica. Il test era facilitato dalla disponibilità di substrati sintetici specifici per i due enzimi (n-acetil-L-tirosina-solfanil-L-arginina-metilestere (TAME) per la tripsina e n-acetil-L-tirosina-etilestere (ATEE) per la chimotripsina). Il test ha buona sensibilità (85%) per le insufficienze del pancreas esocrino di grado elevato ma è oberato da molti falsi positivi. Test al dilaurato di fluoresceina (Pancreolauril Test)

Si basa sullo stesso principio del test al NBT-PABA, del quale è leggermente più sensibile nelle insufficienze di grado moderato (sensibilità 90%), anche se perde in specificità (possibili interferenze extrapancreatiche). Nel corso di un pasto (50 g di pane bianco, 20 g di burro, una tazza di tè) il paziente assume fluorescina dilaurato. Questa viene scissa nel duodeno da arilesterasi pancreatiche. La fluorescina libera è assorbita, coniugata a livello epatico ed eliminata nelle urine. La fluorescina eliminata con le urine in 10 ore viene

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infine misurata. Il test viene ripetuto 2-3 giorni più tardi facendo assumere al paziente fluorescina non coniugata, misurando l'eliminazione di questa nelle urine e facendo infine il rapporto tra la eliminazione della fluorescina nelle due prove.

Elastasi pancreatica-1 (E1)

Recentemente, nella ricerca di un test semplice ma tuttavia sensibile e specifico per il monitoraggio della funzionalità pancreatica esocrina, è stato introdotto un test per la determinazione della concentrazione nelle feci di elastasi pancreatica (E1), con una metodica ELISA. Studi pubblicati recentemente di comparazione di E1 fecale con il test al dilaurato di fluoresceina e l’attività della chimotripsina fecale in pazienti con pancreatite cronica hanno mostrato una sensibilità equivalente al test al dilaurato di fluoresceina, mentre la determinazione dell’attività della chimotripsina fecale è risultata meno sensibile. Per menzionare alcuni aspetti pratici, la determinazione della concentrazione E1 fecale non richiede l’analisi di differenti campioni di feci, in quanto una singola analisi di 100 mg di feci ha dimostrato di essere sufficiente e deve essere ripetuta soltanto in casi incerti.

L'uso degli esami funzionali non è più di tipo diagnostico ma è volto a: Stabilire il grado di insufficienza esocrina. Sebbene i test diretti siano i più precisi, sono

stati sostituiti da quelli indiretti, non invasivi. Decidere quando iniziare la terapia enzimatica sostitutiva. Tale decisione si basa

prevalentemente su criteri clinici (comparsa di diarrea e malnutrizione), ma il dosaggio dei grassi fecali potrà confermare l'indicazione alla terapia medica anche nella fase preclinica del malassorbimento evitando così il deterioramento delle condizioni generali del paziente.

Determinare l'efficacia della terapia modificando eventualmente il dosaggio degli enzimi sostitutivi. Anche per questo scopo è indicato il dosaggio dei grassi fecali.

TEST DI FUNZIONALITA' DEL PANCREAS ENDOCRINO

La parte endocrina del pancreas è costituita da gruppi di cellule separati dal tessuto acinare esocrino da un sottile strato reticolare; sono distribuite in maniera disomogenea, più abbondanti nella coda:

Cellule α (A) che producono glucagone (15-20%); Cellule β (B) che producono insulina (71-80%); Cellule δ (D) che producono somatostatina; Cellule (F) o PP che producono il polipeptide pancreatico.

Nella pancreatite cronica la funzione endocrina del pancreas viene valutata mediante il dosaggio sierico di glucagone, insulina, C-peptide ed emoglobina glicosilata, mediante la determinazione della tolleranza glucidica tramite OGTT e in ultimo mediante il test al glucagone.

Diabete mellito o ridotta tolleranza glucidica insorgono nel 30-70% delle pancreatiti croniche mediamente dopo 10-15 anni di storia clinica. La genesi alcolica, il persistente abuso alcolico, la presenza di una insufficienza del pancreas esocrino, la chirurgia resettiva del pancreas ed una familiarità per diabete sono fattori di rischio per lo sviluppo della malattia.

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La perdita di almeno l’80% delle cellule beta è la causa del diabete, mentre una ridotta tolleranza glucidica può comparire quando il 20-40% di queste sia conservata. Il diabete nella pancreatite cronica ha alcune caratteristiche peculiari: la notevole fluttuazione dei valori glicemici con una notevole tendenza alla ipoglicemia ed una bassa tendenza alla chetoacidosi. La perdita di cellule α (che producono glucagone), la presenza di malassorbimento/maldigestione, la presenza di un accelerato transito intestinale e la bassa compliance dei pazienti giustificano questo quadro.Il diabete della pancreatite cronica sembra dare complicanze come il diabete classico sebbene questo non sia facilmente valutabile per la vita relativamente più breve dei pazienti dopo la diagnosi. CONCLUSIONI

Nessun esame di laboratorio può confermare la diagnosi di pancreatite acuta e cronica, ma può solo supportarne il sospetto clinico. L’alterazione degli indici di laboratorio in condizioni di clinica silente non ha alcun valore diagnostico. Né indagini di laboratorio significative, in presenza di quadro clinico sospetto, escludono l’indicazione ad indagini strumentali di conferma. Di certo più accurato il ruolo del laboratorio nell’ambito del follow-up clinico dei pazienti e nella determinazione dei criteri prognostici.

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LA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DELLA PANCREATITE

Levrini Gabriele, Franco Nicoli

U.O. Radiologia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

Possono essere utilizzate numerose tecniche ad immagini per la valutazione della pancreatite acuta e l’identificazione delle complicanze associate, quali la necrosi pancreatica, le raccolte fluide, le pseudocisti e gli ascessi. Queste tecniche includono l'ecografia [US], la Tomografia Computerizzata [TC], la Risonanza Magnetica [RM], la colangiopancreatografia retrograda per via endoscopica [CPRE], la colangiografia transepatica e l'angiografia. Gli US, la CPRE e l'angiografia hanno un'utilità addizionale o complementare, mentre il ruolo della RM nella diagnosi, nella valutazione e nella stadiazione della pancreatite acuta allo stato attuale non è stato ancora codificato. L'ecografia è una metodica poco costosa ed eccellente per controllare le dimensioni di una pseudocisti. La CPRE o ancor meglio la Colangiopancreatografia con risonanza magnetica [CRM], possono essere utilizzate per valutare il dotto pancreatico e i dotti biliari o per definire la relazione tra una raccolta fluida ed il dotto pancreatico prima di eseguire un drenaggio percutaneo o chirurgico. L'angiografia può essere utilizzata per una valutazione più precisa del coinvolgimento vascolare o per una embolizzazione in caso di emorragia o di pseudoaneurisma (Tabella I).

Tabella I. Imaging della Pancreatite Acuta

US, AN, CPRE RM TC

Indicazioni Selettive Non ancora Codificata Di scelta per Diagnosi e Stadiazione

La TC con mezzo di contrasto [mdc] è la metodica ad immagini di scelta per la diagnosi e per il bilancio di estensione della pancreatite acuta. La TC può rilevare quasi tutte le forme moderate di pancreatite acuta, dimostrare la maggior parte delle complicanze (Tabella II), e guidare l'aspirazione percutanea con ago sottile e/o il drenaggio con catetere.

Tabella II. Complicanze della Pancreatite Acuta

Necrosi Pancreatica

Raccolte Fluide Pseudocisti

Ascesso Pancreatico Necrosi Infetta

Emorragia

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Per migliorare la valutazione diagnostica del pancreas e delle alterazioni infiammatorie peripancreatiche, la TC deve essere eseguita nel momento di massima perfusione delle arterie pancreatiche, utilizzando abbondantemente il mezzo di contrasto iodato. Attualmente si utilizzano sia la TC dinamica che spirale. Può essere somministrato mezzo di contrasto per os per ottenere l'opacizzazione delle anse intestinali. L'esame con TC include lo studio dell'addome e dello scavo pelvico. Le differenze dipendenti dall'equipaggiamento disponibile (quantità, tipo di mdc, bolo di iniezione e tempo di sequenza della scansione), sono accettabili purché l'intero pancreas sia studiato durante la massima perfusione arteriosa (1). COMPLICANZE Necrosi Pancreatica

La necrosi pancreatica è definita come aree diffuse o focali di parenchima pancreatico non vitale, associate tipicamente a necrosi del grasso pancreatico. Microscopicamente è evidente il danno alla rete capillare parenchimale, alle cellule acinari, insulari, al sistema duttale pancreatico e la necrosi del grasso perilobulare. Le aree di tessuto necrotico spesso sono multifocali, raramente coinvolgono l'intera ghiandola e possono essere confinate alla periferia con conservazione del “core” centrale della ghiandola. La necrosi si sviluppa precocemente nel corso di una pancreatite acuta grave e generalmente è dimostrabile entro 96 ore dall'insorgenza dei sintomi clinici (Tabella III).

Tabella III. Necrosi Pancreatica

Aree diffuse o focali di parenchima non vitale associate a necrosi del grasso pancreatico Dimostrabile entro 96 ore dall’insorgenza dei sintomi Mancato incremento parenchimale dopo mdc alla TC

Alla TC in condizioni basali il pancreas normale ha un numero di attenuazione pari a 30-50 UH e mostra un incremento omogeneo con valori di attenuazione fino a 100-150 UH durante la somministrazione a bolo di mdc. È stata ben documentata sperimentalmente e anatomopatologicamente la correlazione tra il mancato incremento contrastografico parenchimale alla TC e la presenza di necrosi pancreatica. Kivisaari e al (11) hanno riportato, inoltre, una buona correlazione tra presenza e grado di mancato incremento pancreatico e gravità clinica della pancreatite acuta.

L'accuratezza totale della TC dinamica nel rilevare la necrosi pancreatica è dell'80%-90%. Nella necrosi minore (inferiore al 30%), la TC ha un una percentuale di falsi negativi del 21%, ma scende all'11% se la necrosi è estesa (superiore al 50%). Quando la percentuale di necrosi ghiandolare è superiore al 30%, la specificità è del 100%; tuttavia è soltanto del 50% se sono presenti piccole aree di necrosi. La presenza e l'estensione della necrosi adiposa peripancreatica non può essere determinata in modo attendibile con la TC (1) (Tabella IV).

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Tabella IV. Necrosi Pancreatica: accuratezza della TC, falsi negativi, specificità

Accuratezza della TC Falsi Negativi

Specificità

80-90% 21% se necrosi < 30%; 11% se necrosi > 65% 50% se necrosi < 30%; 100% se necrosi > 30%

Raccolte Fluide Acute

Sono raccolte di succo pancreatico ricco di enzimi che si manifestano precocemente in corso di pancreatite acuta, nel 40% circa dei pazienti. Si risolvono spontaneamente nel 50% dei casi. Le raccolte che non si risolvono possono evolvere in pseudocisti, o associarsi con una varietà di complicanze, le più comune delle quali sono la sintomatologia dolorosa, le infezioni secondarie e le emorragie (Tabella V).

Le raccolte fluide generalmente si sviluppano alla periferia della ghiandola, anche se possono essere intrapancreatiche (Fig. 1).

FIGURA 1. Raccolta fluida intrapancreatica.

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L’angio-TC dimostra piccola raccolta fluida a sviluppo in corrispondenza della

porzione cefalica del pancreas. Il dotto di Wirsung risulta ectasico n tutto il suo decorso. Non possiedono una capsula fibrosa o infiammatoria e quindi sono confinate soltanto dagli spazi anatomici entro cui si presentano (Tabella VI), più comunemente lo spazio pararenale anteriore o la retrocavità degli epiploon (borsa omentale).

Tabella VI. Raccolte Fluide: caratteristiche

Raccolta di succo pancreatico, senza capsula fibrosa o infiammatoria, confinate dagli spazi anatomici entro cui si sviluppano

Tuttavia, possono anche diffondersi in altre localizzazioni, inclusi mediastino e lo

spazio pararenale osteriore. Il coinvolgimento di organi solidi (fegato, milza, reni) o delle pareti di un segmento adiacente del tratto gastrointestinale è possibile, ma raro.

Le raccolte fluide acute alla TC appaiono come raccolte di bassa attenuazione, scarsamente definite, senza una parete o una capsula riconoscibili; ciò le distingue dalle pseudocisti. Queste raccolte fluide nello spazio peripancratico, talvolta si presentano all'insorgenza di un episodio acuto di pancreatite e rappresentano una combinazione di necrosi adiposa, fluido pancreatico stravasato, flogosi aspecifica ed emorragia (fig. 2).

FIGURA 2. Scomparsa a 4 settimane di distanza, di raccolta fluida in corrispondenza della pareteaddominale anteriore (a), mentre persistono invariate le dimensioni della raccolta fluida in corrispondenza della porzione cefalica del pancreas (b).

Una volta tali raccolte venivano chiamate flemmoni; al simposio internazionale di

Atlanta è stato deciso di abbandonare l'uso di tale termine, perché è stato storicamente usato in maniera ambigua ed erronea (1).

In un lavoro di Siegelman e al (1980) (12) su 59 Pazienti con pancreatite, 32 casi (54%) sono stati classificati come pancreatiti complicate, 16 (27%) con raccolte fluide pancreatiche e 25 (42%) con raccolte fluide extrapancreatiche. La percentuale risulta alta in rapporto al 2% di incidenza di pseudocisti riportato da Rosemberg e al. e al 3% riportato da Trapnell. La discrepanza può essere spiegata considerando il fatto che in questi ultimi lavori non tutti i Pazienti con pancreatite sono stati sottoposti a TC durante il periodo di studio. I

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Pazienti con una pancreatite moderata, spesso sono stati seguiti clinicamente, senza l’esecuzione di una TC, mentre i Pazienti con pancreatite grave sono stati monitorizzati con TC. Le raccolte fluide si verificano più frequentemente in pazienti con pancreatite grave. In uno studio su 44 pazienti con pancreatite acuta associata ad aumento delle amilasi per più di 6 giorni, sono state rilevate pseudocisti in 24 di essi (55%) (Ebbesen KE, 1967). Un impiego più largo della TC e degli US nei Pazienti con pancreatite, senza dubbio porta alla stima ottenuta nello studio di Siegelman sull’incidenza delle raccolte fluide pancreatiche e peripancreatiche. Peraltro Bradley e al hanno accertato la presenza di raccolte fluide nella retrocavità degli epiploon in 52 (56%) dei 92 Pazienti con pancreatite acuta grave. Pseudocisti

Le pseudocisti sono raccolte rotondeggianti od ovali di succo pancreatico provviste di capsula, evolvono da raccolte fluide acute nel 30%-50% dei pazienti con pancreatite acuta, con sviluppo di una parete o di una capsula non epitelizzata come risultato di una reazione infiammatoria alla periferia delle raccolte (Tabella VII).

Tabella VII. Pseudocisti: caratteristiche

Sviluppo di parete o capsula non epitelizzata per reazione infiammatori alla periferia della raccolta

L'evoluzione di questo processo richiede almeno 4 settimane o più (fig. 3).

FIGURA 3. Trasformazione a 4 settimane di distanza di raccolta fluida peripancreatica (a,b) in pseudocisti (c,d).

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All'interno di una pseudocisti possono essere presenti batteri, ma spesso non hanno significato clinico, poiché rappresentano contaminazione, non infezione clinica. Quando è presente pus, la lesione è chiamata più correttamente ascesso pancreatico. È possibile rilevare una pseudocisti alla TC o agli US nel 25%-60% dei pazienti con pancreatite cronica nel corso della loro malattia (fig. 4).

FIGURA 4. Esempi US di pseudocisti del pancreas.

Circa la metà di tutte le pseudocisti che insorgono in pazienti con pancreatite acuta si

risolvono spontaneamente, e non diventano mai clinicamente sintomatiche. La rimanente metà può stabilizzarsi o risolversi parzialmente, anche senza causare mai sequele cliniche (Tabella II). Le pseudocisti possono anche aumentare di volume, o causare complicazioni, generalmente dolore, infezioni secondarie, emorragia, ostruzione del dotto biliare o coinvolgimento del tratto gastrointestinale (ostruzione, fistola, emorragia), del fegato e della milza. L'aumento volumetrico complicato, sintomatico, delle pseudocisti richiede quasi sempre l'intervento chirurgico.

Quando, dopo un periodo di almeno tre settimane, la pseudocisti non scompare, può andare incontro a complicazioni. La suppurazione è una evenienza non frequente, che si manifesta con accentuazione della sintomatologia dolorosa, aumento della febbre e della leucocitosi. La rottura nel cavo peritoneale può provocare una peritonite, mentre nella cavità toracica, può dar luogo allo sviluppo di un ascesso mediastinico; la pseudocisti può inoltre rompersi nel duodeno o in un’ansa digiunale con comparsa di numerose scariche diarroiche e scomparsa della pseudocisti all’esame obiettivo. Se la pseudocisti si fistolizza nel digiuno o nel duodeno, non vi sono problemi, essendo la stessa via seguita dalla chirurgia; se invece si fistolizza nel colon, è necessaria la chiusura del tragitto fistoloso, per evitare una sovrainfezione della raccolta pancreatica. La fissurazione della parete della pseudocisti, può provocare una ascite pancreatica, con liquido ascitico ricco di amilasi e di lipasi. Una emorragia intracistica può svilupparsi quando l’arteria splenica o la gastroduodenale

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risultano inglobate dalla pseudocisti, con lisi della parete vasale da parte degli enzimi contenuti nella pseudocisti (10) (fig. 5).

FIGURA 5. Trasformazione di pseudocisti in pseudocisti infetta della coda del pancreas. La formazione presenta pareti spesse, densità fluida e bolle gassose nel contesto (b); le bolle gassose e l’ispessimento parietale non erano apprezzabili 2 settimane prima. E’ inoltre apprezzabile colata trombotica nel lume della vena splenica e della vena porta.

L'aspetto TC di una pseudocisti è quello di una raccolta fluida rotonda od ovale, circondata da una capsula appena percettibile, o da una parete, che può essere anche spessa con incremento contrastografico. Non sembra esistere una correlazione tra il grado di spessore parietale, l'incremento contrastografico e la maturità di una pseudocisti (consistenza della sua capsula). Le pseudocisti generalmente sono localizzate nell’area peripancreatica, ma possono essere rilevate dappertutto, nell'addome, nel mediastino e nella pelvi.

Le complicazioni maggiori cui possono andare incontro le pseudocisti pancreatiche generalmente sono rilevabili con la TC. Anche se l'infezione può manifestarsi con bolle gassose, la presenza di gas nella formazione cistica non costituisce un reperto specifico e la diagnosi può essere formulata soltanto con l'agoaspirato. Il coinvolgimento vascolare include stenosi o occlusione venosa con varici perigastriche o mesenteriche, formazione di pseudoaneurisma ed emorragia acuta che si manifesta come materiale di elevata densità nella cisti.

Anche altre complicanze, quali la rottura con ascite pancreatica, l’ostruzione del tratto biliare e gastrointestinale, l’invasione della milza o del fegato e la perforazione del tratto gastroenterico, possono essere identificate con la TC (1). Le pseudocisti sono considerate emergenze quando avviene una emorragia (riconoscibile alla TC per un aumento del valore di attenuazione della cisti), un’infezione (riconoscibile se evolve in ascesso, per la presenza di gas) o la rottura (identificabile indirettamente sulla base di un’ascite peritoneale con possibile conseguente mediastinite) (13,14).

L’ascite è considerata un’emergenza quando si complica in peritonite; non è possibile, sulla base delle immagini TC distinguere l’una dall’altra. Lo sviluppo di una mediastinite è una ulteriore complicanza dell’ascite pancreatica ed è generalmente dovuta a diffusione nel mediastino di fluido contenente enzimi pancreatici.

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Ascesso Pancreatico

Gli ascessi sono raccolte circoscritte di materiale purulento, localizzate in prossimità del pancreas. Generalmente si formano dopo quattro settimane o più dall'insorgenza di una pancreatite acuta, spesso come complicanza di una necrosi limitata con conseguente liquefazione e infezione secondaria. È importante distinguere tra ascesso e necrosi infetta poiché il rischio di mortalità per la necrosi infetta è circa il doppio rispetto a quella per l'accesso pancreatico e la terapia specifica per ciascuna di queste condizioni è differente. Gli ascessi possono essere trattati con drenaggio percutaneo con catetere, mentre la necrosi infetta richiede un intervento chirurgico.

La diagnosi TC di ascesso pancreatico è basato sulla presenza di una raccolta fluida con valori di densità più elevati rispetto a quelli delle raccolte liquide o delle pseudocisti, circondata da una parete relativamente spessa con frequente presenza di bolle gassose nel contesto (Tabella VIII).

Tabella VIII. Ascesso Pancreatico: caratteristiche

Raccolta circoscritta di materiale purulento in prossimità del pancreas Presenza di bolle gassose nel contesto della raccolta La diagnosi deve essere ottenuta con agoaspirato Può essere trattato con drenaggio percutaneo

Tuttavia, le bolle gassose non sono specifiche per infezione. Quindi, poiché i reperti

TC non sono specifici per ascesso pancreatico, la diagnosi finale deve dipendere dalla correlazione con le condizioni cliniche del paziente. Quando c'è il sospetto clinico di un ascesso e alla TC è presente una raccolta di bassa attenuazione, deve essere eseguito un agoaspirato per confermare la presenza di pus (1). Necrosi Infetta

Il tessuto pancreatico e/o peripancreatico necrotico ed infetto può avere una distribuzione minima o presentarsi in maniera diffusa e grave. Può svilupparsi precocemente o tardivamente e si evidenzia alla TC per la presenza di bolle di gas nelle aree di necrosi pancreatica o come raccolte gassose sparse entro aree eterogenee peripancreatiche con densità tipica dei tessuti molli. Quest’ultima manifestazione in passato veniva chiamata "pancreatite enfisematosa". Quando il tessuto pancreatico o il tessuto necrotico peripancreatico non contengono gas, non è possibile formulare diagnosi con TC, a meno che non venga eseguita una aspirazione percutanea (Tabella IX).

Tabella IX. Necrosi Infetta: caratteristiche

Alla TC bolle gassose in zone di necrosi pancreatica o raccolte gassose in zone di

tessuto molle paripancreatica Senza gas diagnosi non possibile alla TC Diagnosi con agoaspirato che dimostra tessuto solido o scarsamente liquefatto Necessita, a differenza dell’ascesso, di pulizia chirurgica

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La differenziazione tra ascesso e necrosi infetta è cruciale per un appropriato trattamento clinico. È possibile formulare diagnosi di ascesso con TC quando un pancreas che incrementa normalmente presenta una raccolta fluida adiacente, composta di pus (determinata con agoaspirato). La necrosi infetta è diagnosticata alla TC quando si identifica una zona solida che non incrementa dopo mezzo di contrasto o una zona disomogenea di pancreas risulta all'agoaspirato costituito da tessuto solido o scarsamente liquefatto.

L'agoaspirato è quindi cruciale, poiché, l’aspetto TC di una zona di bassa attenuazione di necrosi infetta può essere simile ad un ascesso. Gli ascessi sono raccolte fluide infette che possono essere drenate per via percutanea, mentre la necrosi infetta si sviluppa in tessuto necrotico solido o non completamente liquefatto e necessita quindi di un una pulizia chirurgica per un trattamento appropriato. Il drenaggio percutaneo può essere tentato soltanto quando il tessuto necrotico è completamente liquefatto e infetto (1). Emorragia

L'emorragia retroperitoneale nella pancreatite acuta generalmente si manifesta come un danno vascolare tardivo prodotto dall'attivazione di enzimi pancreatici stravasati. Le lesioni vascolari generalmente coinvolgono l'arteria splenica e le sue diramazioni o quelle dell'arcata pancreatico duodenale. Il sanguinamento generalmente è preceduto dallo sviluppo di uno pseudoaneurisma che si rompe, conducendo ad una emorragia massiva (fig. 6).

FIGURA 6. Cospicua emorragia da rottura di pseudoaneurisma dell’arteria splenica. In questo caso, la TC mostra la presenza di materiale fluido con elevata attenuazione (sangue) nella cavità peritoneale o nel retroperitoneo, o in una raccolta fluida preesistente o in una pseudocisti. Il trattamento di scelta è l'angiografia, con embolizzazione selettiva del vaso sanguinante (1) (tabella X).

Tabella X. Emorragia: caratteristiche

Danno delle pareti vasali da enzimi pancreatici travasati Coinvolgimento dell’arteria splenica o dell’arcata pancreatico-duodenale con sviluppo

di pseudoaneurisma Trattamento di scelta: angiografia con embolizzazione del vaso sanguinante

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Trombosi venosa in corso di pancreatite acuta La trombosi venosa è una complicanza piuttosto frequente in corso di pancreatite

acuta, correlata probabilmente alla stasi, allo spasmo, al danno intimale diretto nonché all’effetto massa del pancreas circostante infiammato. L’immagine TC patognomonica per trombosi venosa è caratterizzata da: diametro vasale aumentato, parete ben definita da un orletto iperdenso (da attribuire probabilmente, all’incremento dei vasa vasorum, dopo somministrazione di mdc) e difetto di riempimento centrale, che rappresenta il trombo. La vena splenica risulta più frequentemente coinvolta in corso di pancreatite acuta, a causa della sua localizzazione in prossimità del corpo e della coda del pancreas; la trombosi può estendersi fino alla confluenza della vena splenica e della vena mesenterica superiore e talvolta può comprendere l’origine della porta.

La trombosi della vena mesenterica superiore è un’evenienza alquanto rara. Grendell nel 1982, in una review, ha preso in considerazione i casi di trombosi della vena mesenterica superiore, valutandone le cause: ipertensione portale, peritonite post-appendicite, decorso post-operatorio dopo splenectomia, ipercoagulabilità, uso di contraccettivi orali, ma non ha riportato nessun caso di trombosi della vena mesenterica superiore isolata dovuta esclusivamente a pancreatite acuta.

Crowe e Sagar, in un lavoro del 1995 (18) hanno riportato 4 casi di trombosi isolata della vena mesenterica superiore in corso di pancreatite; la fisiopatologia di tali episodi non è del tutto chiara, tra i possibili fattori sono inclusi l’ipovolemia e il rilascio locale di fattori trombogenici dovuti sia all’invasione batterica che alla riposta infiammatoria. In corso di trombosi della vena mesenterica superiore non si verifica mai infarto intestinale, grazie alla ricca rete di circoli collaterali. I quattro pazienti segnalati da Crowe e Sagar furono sottoposti a terapia, ma a nessuno di essi furono somministrati anticoagulanti. Gli esami strumentali di controllo eseguiti in tre dei quattro casi mostrarono regressione della trombosi segnalata in precedenza, senza terapia chirurgica o medica (16).

La trombosi della vena mesenterica superiore è quindi una complicanza rara, ma possibile in corso di pancreatite acuta. A differenza della trombosi della vena splenica o della vena porta, che indicano la necessità di intervenire chirurgicamente rispettivamente con splenectomia e con shunt portosistemico, la trombosi della vena mesenterica superiore non è indice di prognosi infausta, non necessita di intervento chirurgico ed è spontaneamente reversibile con la risoluzione della pancreatite acuta. Valore Prognostico della Tc Nella Pancreatite Acuta

Le caratteristiche tomografiche della pancreatite includono una varietà di modificazioni che si estendono da una ghiandola apparentemente normale con nessuna anomalia peripancreatica, ad un diffuso aumento di volume, con margini sfumati e irregolari e riduzione dei valori di densità in rapporto a fenomeni di edema. La reazione infiammatoria può produrre un aumento della densità del tessuto adiposo peripancreatico con aspetto disomogeneo. Il processo infiammatorio è di solito diffuso e comprende l'intera ghiandola; forme segmentarie di pancreatite, coinvolgenti solo la testa del pancreas, possono trovarsi nel 18% dei pazienti circa. Più generalmente, nelle forme più gravi di pancreatite acuta sono presenti aree definite e patologiche di tessuto molle peripancreatico disomogeneo, frammisto

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a raccolte liquide non capsulate. In un numero esiguo di pazienti la pancreatite acuta rimane una diagnosi clinica perché gli studi per immagine non evidenziano alcuna anormalità (tra il 14% ed il 28% a seconda del tipo di popolazione esaminata). La percentuale di esami TC normali in corso di pancreatite acuta non è esattamente conosciuta poiché manca la correlazione chirurgica e anatomo-patologica e perché la maggioranza dei pazienti con pancreatine acuta lieve non viene sottoposta ad esame TC. Nella pancreatite acuta grave vi è la perdita del normale incremento di densità dopo contrasto di una parte o dell’intera ghiandola, che corrisponde a necrosi pancreatica. Le aree necrotiche mostrano un'alterazione definita della struttura e della morfologia del parenchima pancreatico, con dissoluzione e liquefazione degli elementi tessutali. La presenza di necrosi spesso è cospicua all'inizio della pancreatite acuta ed è meglio evidenziabile alcuni giorni dopo l'inizio della manifestazione clinica. Nella maggior parte dei pazienti vi sono notevoli raccolte di liquido peripancreatico disomogeneo e occasionalmente anche ascite. Secondo Balthazar e al (19) non esiste una buona correlazione tra la presenza ed il grado di danno pancreatico evidenziabile e la quantità di stravaso retroperitoneale di secrezioni pancreatiche. La TC può essere usata come un indicatore prognostico della gravità di un attacco di pancreatite acuta, valutando la presenza e il grado di infiammazione peripancreatica, la presenza di raccolte liquide e l’estensione della necrosi pancreatica; in base alla sola presentazione clinica iniziale, infatti, risulta piuttosto difficile individuare i Pazienti che presenteranno un decorso grave della malattia (16).

Balthazar e al (1,20) hanno ideato, utilizzando la TC, un indice per la valutazione della gravità della pancreatite acuta, variabile da A ad E, basato sulla presenza e l’estensione di raccolte liquide peripancreatiche: grado A, organo di aspetto normale; grado B, ingrandimento del pancreas focale o diffuso con contorni irregolari, disomogenei valori di densità e dilatazione del dotto pancreatico; grado C oltre agli aspetti precedenti interessamento infiammatorio del grasso peripancreatico (mediante il rilievo di aumento di densità o presenza di digitazioni nel tessuto adiposo che circonda l’organo); grado D, raccolta liquida singola; grado E, due o più raccolte liquide e/o la presenza di gas all'interno o nelle adiacenze del pancreas. I Pazienti senza flogosi peripancreatica (grado A e B) presentano un decorso privo di complicanze rispetto a quelli che presentano raccolte (grado D ed E) che possono andare incontro ad un’elevata percentuale di complicanze e di mortalità.

Balthazar e al (1,20) hanno inoltre stabilito un’eccellente correlazione tra le immagini TC di necrosi e lo sviluppo di complicanze e morte. L'estensione della necrosi pancreatica è stimata come <30%, tra il 30% e il 50% e >50%:mentre i Pazienti che non presentano necrosi hanno mortalità pari a 0 e morbilità pari al 6%, i Pazienti con necrosi pancreatica presentano una mortalità pari al 23% ed una percentuale di morbilità dell’82%.

È stato sviluppato un sistema graduato combinando i due indicatori prognostici TC (raccolte liquide e necrosi ) chiamato " CT severitv index"(CTSI) (17). Il sistema prevede un punteggio massimo pari a 10, assegnando, per i gradi A-E, da 0 a 4 punti, ai quali vengono aggiunti rispettivamente 2 punti (per necrosi ghiandolare<30%), 4 punti (per necrosi ghiandolare compresa tra il 30% e il 50%), e 6 punti (per necrosi > del 50%) (tabella XI). Tab. XI Fisiopatologia delle raccolte fluide.

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I Pazienti con CTSI di 0 o l presentano mortalità e morbilità pari a 0; i pazienti con indice 2 hanno mortalità 0 e morbilità pari al 4%; Pazienti con CTSI da 7a 10 presentano il 17% di mortalità ed il 92% di complicanze (1). Linee Guida nell’uso della TC in Pazienti con Sospetta Pancreatite Acuta.

Le seguenti linee guida sono suggerite per un efficace uso della TC in pazienti con sospetta pancreatite acuta. Un esame TC dovrebbe essere condotto precocemente in: - pazienti in cui la diagnosi clinica è dubbia; - pazienti con iperamilasemia e grave pancreatite clinica, distensione addominale,

dolorabilità, febbre alta e leucocitosi; - pazienti con un punteggio Ranson >3 o un punteggio APACHE >8; - pazienti che non manifestano un rapido miglioramento clinico dopo 72 ore di iniziale

terapia medica conservativa; - pazienti che dimostrano miglioramento nelle fasi iniziali del trattamento terapeutico, ma

successivamente un cambiamento acuto dello stato clinico che indica l’instaurarsi di complicazioni (es. febbre, dolore, incapacità a tollerare l'alimentazione orale, ipotensione, crollo dell'ematocrito).

Un esame TC di controllo, condotto nei casi in cui la prima indagine mostrava soltanto un caso A-C di pancreatite (punteggio CTSI di 0-2) è raccomandato solo se vi è un repentino cambiamento nello stato clinico del paziente che suggerisca lo sviluppo di una complicanza. Un esame di controllo è raccomandato dopo 7-10 giorni, se la diagnosi iniziale formulata con TC è di pancreatite di grado D-E (punteggio di CTSI di 3-10). La risoluzione delle manifestazioni TC dell'infiammazione pancreatica e peripancreatica si accompagna sempre al miglioramento dello stato clinico del paziente. Così, se il paziente mostra un miglioramento dello stato clinico il ricorso alla TC non è necessario; un ulteriore esame di controllo è raccomandato solo se lo stato clinico del paziente si deteriora o non si verifica un miglioramento continuativo. Comunque, poiché alcune importanti complicazioni possono svilupparsi senza diventare clinicamente evidenti, in particolare l'evoluzione di una raccolta fluida in pseudocisti o lo sviluppo di uno pseudoaneurisma arterioso, un esame di controllo dovrebbe essere effettuato al tempo della dimissione ospedaliera per confermare la risoluzione di pancreatite di iniziale grado D o E (CTSI di 3-10) (1).

La morte, in corso di pancreatite acuta sopravviene sia precocemente (entro la prima settimana) per insufficienza d’organo (sindrome da distress respiratorio dell’adulto, insufficienza renale acuta, insufficienza miocardica), sia tardivamente, per sepsi, quando i tessuti pancreatici o peripancreatici necrotici divengono infetti. Lucarotti et al (21) sostengono che poiché non è stato dimostrato che l’intervento chirurgico possa ridurre la mortalità nella fase precoce, né che sia in grado di migliorare il tasso di sopravvivenza nel caso in cui la rimozione del tessuto necrotico avvenga nella prima settimana, non sembra esservi nessun motivo per avviare i Pazienti all’esecuzione della TC per identificare un’emergenza chirurgica, né per dimostrare la necrosi pancreatica al momento del ricovero. Le opinioni al riguardo sembrano comunque decisamente contrastanti.

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Costo-Beneficio nell’esecuzione precoce della TC In corso di pancreatite moderata (pancreatite interstiziale) la microcircolazione

d’organo risulta caratterizzata da un netto aumento del flusso ematico, con alterazione della permeabilità vascolare che determina, in corso di TC incremento contrastografico dopo somministrazione di mdc. Nella pancreatite grave (necrosi pancreatica) si ha distruzione della microcircolazione, con conseguente diminuzione del potenziamento da mdc in corso di TC. La percentuale di mortalità in corso di pancreatite moderata è dell’1-2% e del 10% in corso di pancreatite grave quando la necrosi pancreatica rimane sterile, ma si avvicina al 30% se il materiale necrotico diventa infetto.

La TC con mdc ev è attualmente considerata la metodica più affidabile, per differenziare la pancreatite necrotico-emorragica dalla pancreatite interstiziale; il mancato potenziamento di aree ghiandolari dopo somministrazione di mdc è sinonimo di necrosi pancreatica.

Recentemente in letteratura sono stati riportati alcuni lavori, secondo i quali il contrasto ev sarebbe in grado di danneggiare la microcircolazione pancreatica in corso di pancreatite acuta, trasformando la pancreatite edematosa in pancreatite necrotica.

Foitzik e al (1994) hanno dimostrato che la somministrazione di mdc in ratti con pancreatite grave indotta sperimentalmente, è in grado di determinare un aumento sia dell’ischemia che della percentuale di mortalità. Schmidt e al (1995) hanno dimostrato che il mdc danneggia la microcircolazione pancreatica in corso di pancreatite sperimentale. McMenamin e al (22) hanno tentato di analizzare questi aspetti negli esseri umani, valutando se la somministrazione di mdc sia in grado di peggiorare il decorso della pancreatite acuta nella sua evoluzione clinica. Per tale motivo, in uno studio prospettico sono stati presi in considerazione due gruppi di pazienti, simili per età e sesso, con punteggio APACHE II identico, uno dei quali sottoposto a TC con mdc l’altro non sottoposto a TC. È stato utilizzato il sistema APACHE II, a causa della sua maggiore precisione nella valutazione del decorso della pancreatite acuta, rispetto ai sistemi di punteggio Ranson ed Imrie. Sono stati esclusi dallo studio i casi di pancreatite cronica riacutizzata in pazienti etilisti, in quanto rappresentano un sottogruppo a decorso invariabilmente più favorevole. Il lavoro di McMenamin ha dimostrato che la sola variabile in grado di spiegare la durata maggiore della pancreatite (10.8 ± 1.7 vs 6.2 ± 1.1 giorni) nel gruppo di pazienti sottoposti a TC con mdc, rispetto al gruppo non sottoposto a TC (gruppi del tutto simili per età, sesso e punteggio APACHE II), fosse il contrasto stesso (22).

I risultati ottenuti dallo studio di McMenamin (22) su esseri umani si accordano con i risultati di Foitzik e al. sui ratti. Questo lavoro tuttavia presenta i limiti tipici degli studi retrospettivi, infatti non è possibile garantire che i Pazienti sottoposti a TC non fossero stati selezionati in base ad indizi clinici non rilevabili con il punteggio APACHE II, poiché i Pazienti compresi in questo studio provenivano da ospedali diversi e spesso non erano seguiti da chirurghi o gastroenterologi particolarmente esperti.

In conclusione, la valutazione accurata della sicurezza del mdc in corso di pancreatite acuta può essere attuata soltanto con uno studio prospettico randomizzato. Tuttavia, sulla base dello studio di Foitzik e al e di McMenamin, l’esecuzione di TC con mdc ev dovrebbe essere riservata alle situazioni nelle quali i risultati sono indispensabili per la scelta

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dell’approccio terapeutico, evitandone l’uso soprattutto nelle prime 48-72 ore dall’insorgenza della pancreatite. Diagnosi Differenziale con il Carcinoma Pancreatico

Nella diagnosi differenziale tra carcinoma pancreatico e pancreatite, uno dei fattori discriminativi è rappresentato dalla valutazione dell’infiltrazione degli strati di tessuto adiposo che circondano la vena e l’arteria mesenterica superiore. È stato dimostrato, tuttavia, (10) che anche in alcuni casi di pancreatite acuta si verifica la scomparsa dello strato di grasso perivascolare, a causa dell’estensione del processo infiammatorio.

Elmas e al (23) hanno valutato, in un lavoro condotto nel 1996, il diametro dell’arteria mesenterica superiore (misurata subito al di sotto dell’origine) e della vena mesenterica superiore (misurata subito prima della sua confluenza nella vena porta). Tali dati, secondo gli autori, possono essere utilizzati come criteri prognostici secondari nella diagnosi differenziale tra carcinoma pancreatico e pancreatite acuta, considerando che un rapporto artero/venoso superiore ad 1.0, depone a favore di una lesione neoplastica. Lo studio è stato condotto su 116 pazienti, 68 dei quali affetti da pancreatine acuta e 48 da carcinoma pancreatico, valutando con TC le caratteristiche morfologiche ed i diametri della vena e dell’arteria mesenterica superiore. Elmas e al (23) hanno notato un aumento significativo del diametro della vena mesenterica superiore in corso di pancreatite acuta e dell’arteria mesenterica superiore nei casi di carcinoma pancreatico.

Uno studio sperimentale, condotto su animali (Tabe 1993, Robert 1988), ha dimostrato che l’aumento del diametro della vena mesenterica superiore può essere dovuto ad alterazioni del flusso ematico pancreatico e al rilascio di sostanze vasoattive in corso di pancreatite. Si è visto infatti, che il flusso ematico dell’arteria mesenterica superiore aumenta significativamente a partire dalla seconda ora, man mano che l’insulto ischemico pancreatico progredisce. Poiché le vene hanno pareti facilmente distensibili e poiché la resistenza tessutale non varia in maniera significativa in corso di pancreatite, la dilatazione della vena mesenterica superiore potrebbe essere un meccanismo di compenso all’aumento del flusso ematico nell’arteria mesenterica superiore.

In corso di carcinoma pancreatico, al contrario, la resistenza tessutale risulta aumentata, in maniera tale da determinare una diminuzione del flusso ematico per volume di tessuto; l’aumento del diametro arterioso potrebbe quindi essere dovuto alla stasi vascolare, causata dall’elevata resistenza tessutale. Inoltre, l’estensione neoplastica locale generalmente comporta il coinvolgimento dell’arteria mesenterica superiore, le cui pareti risultano ispessite; Stephens e al ritengono che questo segno, benché non patognomonico per carcinoma pancreatico è fortemente sospetto per lesione primitiva e dovrebbe indurre ad uno studio attento dell’organo. RM vs TC nella Valutazione della Pancreatite Acuta

Allo stato attuale, la TC con mdc rappresenta la tecnica ad immagini d’elezione nella valutazione dei Pazienti con pancreatite acuta grave, per due aspetti fondamentali: a) il riconoscimento di tessuto pancreatico non vitale; b) l'identificazione ed il monitoraggio delle raccolte pancreatiche, peripancreatiche e delle complicanze.

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Tuttavia negli ultimi anni la RM ha dimostrato di essere in grado di fornire immagini di sezioni dell’addome superiore con una elevatissima risoluzione di contrasto, imponendosi nello studio della patologia addominale. In particolare lo studio del pancreas con RM sta acquistando un significato clinico sempre maggiore, grazie ai miglioramenti tecnologici e all’ottimizzazione dei parametri delle sequenze di acquisizione, che hanno permesso di ottenere la riduzione degli artefatti legati ai movimenti, sia respiratori che peristaltici. In particolare, con apparecchi operanti a media intensità di campo, i migliori risultati si sono ottenuti utilizzando sequenze spin-echo (SE) T1 pesate caratterizzate da ridotti valori di Tempo di Echo (TE) e elevato numero di campionamenti. Inoltre le apparecchiature recentemente commercializzate dispongono di sequenze veloci, denominate Fast spin echo, e di tecniche di acquisizione che consentono di abbreviare in modo notevole i tempi di acquisizione, di ridurre gli artefatti e di migliorare il contrasto intrinseco delle immagini, rendendo in tal modo ipotizzabile un sempre maggior ricorso alla RM nello studio del pancreas, anche in caso di patologia infiammatoria (8). In uno studio condotto da Ward e al nel 1997 (24), su 33 Pazienti affetti da pancreatite acuta grave, sono stati confrontati i risultati ottenuti con TC standard e con RM (24).

Le immagini TC sono state acquisite con tecnica standard, non essendo disponibile, al momento dello studio un apparecchio di TC spirale. Le immagini di RM sono state acquisite con un magnete a media intensità di campo, sia con sequenze spin-echo (SE), che con immagini gradient-echo (GE) rapide. Nel corso di ciascun esame sono state ottenute immagini assiali in densità protonica (DP) e T2 SE, dello spessore di 5 mm, con 10 mm di incremento, seguite da sequenze multistrato rapide T1 GE (FLASH), ottenute durante un’apnea respiratoria della durata di 19 sec. Le acquisizioni FLASH sono state ottenute prima, a 10 sec, a 40 sec e a 2 min (tardive) dalla somministrazione di Gd-DTPA (0.1 mmol/Kg) per ev.

Ward e al hanno (24) confrontato i parametri normalmente valutabili con TC, con i dati ottenuti con le immagini di RM: la necrosi, le raccolte, la presenza di gas, le calcificazioni, la trombosi venosa e l’emorragia. I risultati dello studio hanno riportato una buona correlazione tra la TC e la RM nella valutazione della necrosi pancreatica, che nelle immagini RM T1 pesate si presenta con aree di marcata ipointensità di segnale intraghiandolare e di disomogenea iperintensità di segnale nelle immagini pesate in T2.

La TC e la RM sono risultate perfettamente concordi nella valutazione della maggior parte delle raccolte, che in RM presentano media intensità di segnale nelle immagini T1 pesate, mentre in T2 appaiono di intensità variabile a seconda della fase di evoluzione dell’essudato. Infatti alla disomogenea iperintensità nelle fasi iniziali, dovuta alla presenza di essudato di tipo necroticoemorragico, fa seguito, nei controlli a distanza, un progressivo innalzamento dell’intensità del segnale nei casi di organizzazione delle raccolte in senso pseudocistico. In 5 casi , tuttavia, i risultati sono stati discordanti, poiché le raccolte apparivano di densità prevalentemente solida in RM e prevalentemente fluida in TC. Tre di questi Pazienti sono stati sottoposti a drenaggio per cutaneo senza successo, a causa dell'assenza di liquido nel materiale aspirato. Questi risultati suggeriscono che le immagini T2 SE sono più sensibili rispetto alla TC nel discriminare le raccolte a contenuto solido da quelle a contenuto liquido.

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L'aspirazione di raccolte ascessuali a scopo diagnostico è indicata nei pazienti con febbre, elevata leucocitosi, o altre caratteristiche sistemiche di infezione. Il gas, pur essendo presente soltanto in una minoranza dei pazienti con raccolte infette, risulta il segno più indicativo di infezione, e rappresenta l’indicazione ad una sollecita aspirazione diagnostica. Soltanto in 6 dei 12 pazienti che presentavano gas nelle immagini TC era possibile dimostrare la presenza di gas con RM. Il gas era evidenziabile nelle immagini acquisite con sequenze a densità protonica, con aspetto di aree puntiformi. Non è chiara la ragione per cui il gas risulti più facilmente evidenziabile con queste sequenze, ma potrebbe essere correlata al range dinamico più ristretto di queste immagini rispetto a quelle T2 pesate, dove il gas può essere più facilmente nascosto da rumore o artefatti.

L’incapacità di rilevare calcificazioni è un’ulteriore limitazione della RM che comunque non influenza il trattamento acuto, sebbene la sua presenza possa essere eziologicamente significativa.

Il monitoraggio della pancreatite acuta rappresenta l’indicazione più frequente tra le affezioni benigne per la quale vengono eseguite numerose TC; ciò comporta una dose di radiazioni non indifferente, soprattutto nei pazienti giovani. La RM, pur essendo meno sensibile rispetto alla TC nel rivelare gas e calcificazioni, può essere usata per monitorizzare la progressione della malattia.

Ward e al (24) hanno osservato trombosi vascolari soltanto in cinque pazienti. Sebbene vi fosse solo un risultato discordante (probabilmente dovuto ad un intervallo di cinque giorni fra RM e TC), le immagini RM sono risultate superiori rispetto alle immagini ottenute con TC nella dimostrazione della pervietà vasale, grazie alla possibilità di valutare, in corso d’esame sia la fase arteriosa che venosa. Anche la TC spirale presenta questi stessi vantaggi, ma al costo di una significativa dose di radiazioni; inoltre anche il mdc usato in RM (gadolinio) risulta meno tossico rispetto al mdc iodato usato in TC, sia qualitativamente che quantitativamente. L’opportunità di evidenziare un’emorragia nella pancreatite acuta è piuttosto limitata con TC, a causa dei rapidi cambiamenti di densità dell'ematoma. In RM i cambiamenti di segnale associati all'emorragia si mantengono per un periodo di tempo più lungo, quindi la sensibilità della RM nella dimostrazione dell'emorragia risulta superiore.

Le tecniche di soppressione del grasso Tl-pesate si sono dimostrate di particolare valore nell'immagine RM pancreatica: Il pancreas infiammato mostra una diminuzione dell’intensità di segnale nelle immagini T1 SE con soppressione del grasso, mentre l'edema pancreatico risulta isointenso con il grasso adiacente. Per tale motivo è stato consigliato l’uso di sequenze gradientecho (in–phase echo times) nello studio del pancreas, per migliorare la raffigurazione del tessuto adiposo, accentuando al massimo il contrasto tra liquido e grasso intraaddominale. Utilizzando immagini FLASH senza somministrazione di Gd è possibile ottenere un buon contrasto tra grasso e liquido e pertanto differenziare il grasso retroperitoneale dall'edema peripancreatico.

Numerosi Autori hanno riportato l’incapacità di cooperazione dei Pazienti affetti da pancreatine acuta nell’esecuzione degli esami RM standard. Tale inconveniente non si è verificato in nessuno dei casi studiati da Ward e al (24).

Sebbene allo stato attuale la RM sia limitata dal costo e dalla disponibilità, dovrebbe essere considerata una tecnica alternativa nei pazienti affetti da pancreatite acuta, soprattutto

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nei soggetti giovani e in quelli che presentano controindicazioni alla somministrazione di mezzo di contrasto iodato; la TC dovrebbe essere sempre eseguita nei pazienti con evidenza clinica di sepsi o con insorgenza di pancreatite acuta ad eziologia sconosciuta.

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Atti del Corso “La Nutrizione Clinica nelle Patologie Pancreatiche non Neoplastiche” 42

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Parte 2

La Pancreatite in vari Ambiti Specialistici

Atti del Corso “La Nutrizione Clinica nelle Patologie Pancreatiche non Neoplastiche” 43

LA PANCREATITE ACUTA

Silvia Lombardini

U.O. Medicina IIIa e Gastroenterologia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

Definizione ed epidemiologia

Numerose evidenze in letteratura riportano che l’incidenza annuale della pancreatite acuta, processo infiammatorio acuto del pancreas che frequentemente coinvolge i tessuti peri-pancreatici e/o organi a distanza (definizione in accordo con il Simposio di Atlanta del 1992), è in continua crescita e varia, a seconda degli studi da 4,9 a 35 casi su 100.000 persone.

La pancreatite acuta è una condizione associata a significativa morbidità e mortalità. Lo spettro dei quadri clinici con cui si può presentare la pancreatite acuta varia da condizioni lievi ed autolimitantesi (80%) a processi fulminanti, rapidamente progressivi, con percentuali di morbilità che raggiungono il 30%. Eziologia

Il principale fattore eziologico della pancreatite acuta in Italia è rappresentato dalla litiasi biliare. - Litiasi biliare: la diagnosi di pancreatite biliare è guidata dal riscontro di alterati valori

delle transaminasi durante la fase acuta (ed in particolare da livelli di ALT > tre volte il limite superiore), dal rilievo ecografico di colelitiasi o di dilatazione delle vie biliari, ed è suggerita dall’epidemiologia (più comunemente soggette le donne o pazienti di età avanzata, maggiormente a rischio i pazienti portatori di calcoli di piccole dimensioni).

La seconda causa più comune di pancreatite acuta è rappresentata dall’abuso etilico. - Etilismo: l’associazione tra consumo di alcool e pancreatite acuta è complessa ma

sembra essere di tipo dose-dipendente. La pancreatite legata ad un eccessivo abuso etilico è più comune tra gli uomini di mezza età; tuttavia solo una piccola percentuale di bevitori sviluppano pancreatite.

Una volta esclusi i due fattori eziologici sopraccitati, responsabili di circa l’80% dei casi, altre cause meno comuni, possono essere considerate: - Anomalie strutturali: in questo gruppo va menzionato il pancreas divisum. È una

variante anatomica comune nella popolazione generale, associata, anche se solo in casi rari, a pancreatite acuta.

- Ostruzione meccanica del dotto pancreatico: da neoplasie ampullari, da disfunzione dello sfintere di Oddi (sindrome caratterizzata da stenosi o discinesia dello sfintere di Oddi), da stenosi di natura benigna/maligna, da mucina.

- Disordini metabolici: sono da considerare l’ipercalcemia (solitamente secondaria ad iperparatiroidismo) e l’ipertrigliceridemia (tipicamente quando il valore di trigliceridemia supera i 1000 mg/dl).

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- Farmaci: oltre 300 farmaci sono stati associati ad episodi di pancreatite acuta; gli immunosoppressori (azatioprina e 6-mercaptopurina) ed i farmaci utilizzati nel trattamento dell’AIDS sono tra i più comunemente imputati.

- Trauma: nonostante la localizzazione retroperitoneale del pancreas, traumi di tipo contusivo o penetrante possono essere responsabili di pancreatite acuta.

- Ischemia: la compromissione vascolare è stata associata alla pancreatite acuta solo in rari casi e può essere secondaria ad ipotensione (shock emorragico), a vasculite (nel Lupus eritematoso sistemico), ad embolia arteriosa sistemica (dopo cateterizzazione cardiaca).

- Infezioni: la pancreatite virale è stata correlata all’infezione da parte di numerosi virus, incluso il virus Coxakie B, il virus di Epstein-Barr, il CMV e l’HIV; tra le infezioni batteriche associate si devono considerare la TBC, la leptospirosi e la brucellosi.

- Iatrogene: il rischio di pancreatite post-ERCP è variabile da 3 al 5%, con maggior rischio quando viene effettuato lo studio monometrico dello sfintere di Oddi.

- Autoimmune: processi autoimmuni possono coinvolgere il pancreas dando quadri di pancreatite cronica; talora la pancreatite autoimmune si può manifestare in forma acuta.

- Ereditaria: con questo termine si fa riferimento a condizioni in cui la predisposizione a sviluppare pancreatite (occasionalmente acuta, più comunemente cronica) è determinata geneticamente. Una delle mutazioni associate alla pancreatite ereditaria coinvolge il gene che codifica per il tripsinogeno; si tratta di una mutazione trasmessa come carattere autosomico dominante.

Una accurata individuazione dell’eziologia della pancreatite è di estrema importanza

poiché aiuta il clinico nella scelta terapeutica. L’anamnesi (dipendenza da alcool, esposizione a farmaci, familiarità per pancreatiti, esposizione a procedure quali ERCP, e la cateterizzazione cardiaca), gli esami bioumorali (alterazione delle transaminasi, ipertrigliceridemia, ipercalcemia), e l’ecografia addominale permettono di individuare l’agente eziologico in circa il 3/4 dei casi.

La maggior parte degli esperti non ritengono necessario sottoporre ad indagini di secondo livello pazienti con un primo e singolo episodio di pancreatite “non spiegata”, soprattutto se di età < 40 anni (e quindi a minor rischio di eventuali processi maligni sottostanti);

Una valutazione diagnostica più estesa od invasiva utilizzando varie tecniche quali RMN, ERCP, ecoendoscopia, manometria dello sfintere di Oddi ed analisi della bile, è invece consigliata in pazienti con pancreatite ricorrente prima di “etichettare” la pancreatite come “idiopatica”.

Nonostante gli sviluppi sia nell’ambito dell’imaging che nell’ambito della biologia molecolare abbiano permesso di individuare ed ampliare lo spettro delle possibili eziologie della pancreatite acuta, circa nel 10-15% dei casi non è possibile individuare alcuna causa specifica. Clinica e diagnosi

La pancreatite acuta deve essere sospettata clinicamente in presenza di dolore addominale (solitamente localizzato all’addome superiore, che insorge acutamente e che

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raggiunge il picco di intensità mediamente dopo 30-60 minuti dall’esordio), associato a nausea e vomito.

La diagnosi tuttavia deve esser supportata da indagini laboratoristiche (amilasemia > 3 volte il limite superiore associata ad aumento delle lipasi, parametro quest’ultimo più specifico), da indagini strumentali (RX addome a vuoto, RX torace, TC addominale) e talora istologiche, come descritto da altri autori. Fattori predittivi di gravità

La gravità della pancreatite acuta è variabile: circa il 15-20% dei pazienti può sviluppare un quadro severo di malattia, ed in circa il 2-3% dei casi l’esito può essere fatale.

La pancreatite acuta severa viene così definita, come stabilito dal Simposio di Atlanta, in presenza di insufficienza d’organo (suggerita dalla presenza di shock, da insufficienza polmonare e renale) o di complicanze locali, quali necrosi, ascessi e pseudocisti.

L’andamento clinico della pancreatite acuta può essere predetto facendo riferimento a noti fattori di rischio clinici, di laboratorio e radiologici o con l’aiuto di “scores di gravità” e di markers serici. - Fattori prognostici clinici: comprendono l’età (età avanzata come fattore prognostico

negativo), la presenza di comorbidità, l’obesità (fattore di rischio di gravità), la presenza di SIRS (sindrome della risposta infiammatoria sistemica), l’insufficienza d’organo (indicatore di aumentata mortalità quando si manifesta precocemente e persiste per oltre 48 ore);

- Fattori prognostici bioumorali: la PCR (proteina della fase acuta, con buona sensibilità e specificità se utilizzata nella valutazione a 48h dal ricovero), l’ematocrito che permette di valutare l’emoconcentrazione (se normale o ridotto al momento del ricovero e nelle successive 24 h è generalmente associato a un decorso clinico meno grave);

- Indicatori prognostici: sono stati formulati vari “scores” prognostici di pancreatite acuta grave, tra questi si elencano:

o I Criteri di Ranson: vengono presi in considerazione 11 parametri cinici e biochimici, di cui 5 da rilevare all’ingresso e 6 durante le successive 48 h,

o I Criteri di Glasgow: un sistema di punteggio alternativo basato su 8 parametri di laboratorio,

o L’Acute and Physiology and Chronic Health Evaluation Score (APACHE II): basato sul rilievo di 12 parametri fisiologici e su un punteggio aggiuntivo variabile in base all’età ed alla compresenza di patologie croniche;

- Fattori prognostici strumentali: o La TC è sicuramente una indagine fondamentale in quanto permette di

differenziare tra pancreatite edematosa e necrotizzante, di individuare le complicanze intraddominali e quindi di stabilire il grado di severità della pancreatite acuta. La sua esecuzione deve essere posticipata ad almeno 72 h dall’ingresso, tempo necessario affinché si renda evidente la necrosi dei tessuti. Sulla base dell’entità della necrosi, dell’infiammazione e delle raccolte fluide è stato proposto un indice di severità TC.

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o La RMN grazie alla sua capacità di differenziare la necrosi del parenchima pancreatico dalle raccolte necrotiche dei tessuti peri-pancreatici e dalle raccolte di tipo emorragico, permette di ottenere importanti informazioni prognostiche.

La valutazione del grado di severità, e quindi la possibilità di poter distinguere il

paziente a maggior rischio di mortalità e morbilità, assume un ruolo di estrema importanza per il clinico, in quanto permette di orientarlo al momento del triage e nel successivo management del paziente.

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GRAVE IPERTRIGLICERIDEMIA E RISCHIO DI PANCREATITE ACUTA

Chiara Trenti

U.O. Medicina Ia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

CASO CLINICO

Un uomo cinese di 41 anni viene ricoverato per intenso dolore epigastrico a barra a esordio acuto. Gli esami bioumorali eseguiti in PS sono compatibili con pancreatite acuta; alla TC addome si rileva disomogeneità della testa del pancreas con raccolta liquida adiacente estesa fino alla fascia renale. Non emerge colelitiasi agli esami strumentali, non vi è storia di assunzione alcolica in anamnesi, non assume terapie croniche. Si documenta una severa ipertrigliceridemia (1932 mg/dl) che appare come il più probabile agente eziologico.

DISCUSSIONE

L’ipertrigliceridemia è una rara ma ben documentata causa di pancreatite acuta, responsabile dell’1-4% dei casi. I livelli di trigliceridi che espongono a rischio di pancreatite acuta sono in genere superiori a 1000 mg/dl e valori superiori a 2000 mg/dl devono essere considerati e trattati come un’urgenza medica.

I trigliceridi presenti nel plasma sono in parte esogeni (originati dai grassi dietetici) trasportati nei chilomicroni, ed in parte endogeni (di sintesi epatica) trasportati nelle VLDL. Nei capillari dei muscoli e del tessuto adiposo le lipoproteine ricche in trigliceridi (chilomicroni e VLDL) sono idrolizzate dalla lipasi lipoproteica (LPL) ad acidi grassi liberi. EZIOLOGIA

Le cause di ipertrigliceridemia si distinguono in primitive (genetiche) e secondarie, ma non di rado le cause genetiche e quelle acquisite si combinano e la definizione dell’eziologia si complica.

In genere livelli di trigliceridi superiori a 1000 mg/dl sono più tipici delle forme genetiche; quelle con i più alti livelli di trigliceridi sono l’iperchilomicronemia familiare da deficit di lipasi lipoproteica o di Apo C II e l’ipertrigliceridemia familiare.

Forme primitive Deficit di lipasi lipoproteica

Si tratta di una malattia autosomica recessiva rara (prevalenza 1:1 milione) secondaria a omozigosi per una mutazione che comporta deficit quantitativo grave di lipasi lipoproteica (enzima che idrolizza i trigliceridi trasportati in chilomicroni e VLDL ad acidi grassi liberi). Il blocco nel catabolismo dei chilomicroni ne condiziona l’accumulo nel

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sangue a livelli molto elevati; tipicamente si rileva la presenza patologica di chilomicroni in circolo a 12-14 ore di distanza dal pasto o anche dopo diversi giorni di digiuno.

Il riscontro di un plasma lipemico dopo digiuno di 12 ore in un soggetto giovane è diagnostico di deficit di lipasi lipoproteica. Se lasciato in frigorifero per una notte il plasma si separa in due fasi, la superiore cremosa formata da chilomicroni, la sottostante limpida.

Dal punto di vista clinico reperti obiettivi possibili sono xantomi eruttivi cutanei nelle porzioni inferiori del tronco e sulla superficie estensoria degli arti (papule giallo-aranciate con alone eritematoso, espressione di accumuli cutanei di macrofagi ripieni di chilomicroni, epato-splenomegalia da accumulo di trigliceridi nel sistema reticolo-endoteliale, lipemia retinale (vasi retinici di aspetto bianco all’esame oftalmoscopico).

Spesso fin dall’età infantile vi è storia di episodi dolorosi addominali e di pancreatite acuta ricorrente. In questa condizione non è documentato un incremento del rischio cardiovascolare precoce.

Deficit funzionale di lipasi lipoproteica (Deficit di apo C II) È dovuta a mancata attività di apo C II, cofattore essenziale della lipasi lipoproteica

della quale condiziona un deficit funzionale. Questo porta ad accumulo di chilomicroni e VLDL. La concentrazione di trigliceridi nel plasma è molto elevata, dell’ordine di alcuni grammi. Clinicamente si esprime con episodi ricorrenti di pancreatite acuta, raramente con xantomi eruttivi.

Ipertrigliceridemia familiare È una malattia a trasmissione autosomica dominante a fisiopatologia complessa, con

prevalenza di 2-3/1000. È caratterizzata da ipertrigliceridemia da accumulo di VLDL (tipo IV di Frederickson) in un fenotipo meno grave, e da accumulo di VLDL e chilomicroni (tipo V) in una forma più severa.

I trigliceridi sono di norma compresi tra 200 e 500 mg/dl; tuttavia la concomitante presenza di altri fattori acquisiti quali diabete mellito, ipotiroidismo, eccessivo consumo di alcol o l’assunzione di contraccettivi orali, beta bloccanti, inibitori delle proteasi può amplificare l’ipertrigliceridemia fino a valori oltre 1000 mg/dl per contemporanea presenza in circolo di chilomicroni oltre che di VLDL. Questa forma più grave, sia che rappresenti l’esacerbazione di un fenotipo IV, sia che si presenti di per sé come tipo V, si associa a manifestazioni cliniche caratteristiche della iperchilomicronemia, con episodi di pancreatite acuta e xantomi eruttivi. Il rischio di coronaropatia precoce nel tipo V è significativo, ma si manifesta soprattutto in presenza di altri fattori di rischio come il fumo. L’espressione clinica è età dipendente, massima tra la quinta e la sesta decade di vita. Molti di questi pazienti sono obesi e hanno le caratteristiche cliniche della sindrome metabolica.

Forme secondarie In molti casi (10-20%) l’incremento dei trigliceridi è secondario ad altre condizioni il

cui riconoscimento e trattamento è il primo obiettivo per la correzione dell’alterazione lipidica. La principale è sicuramente il diabete mellito non controllato o non trattato: nel tipo I l’assenza di insulina riduce la capacità della lipasi lipoproteica di metabolizzare i

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trigliceridi ad acidi grassi, nel tipo II l’insulinoresistenza determina aumentata produzione e ridotta clearance dei trigliceridi.

Le forme secondarie di ipertrigliceridemia comprendono poi scorrette abitudini alimentari (eccessivo consumo di alcol, dieta ad elevato contenuto di carboidrati), sindrome metabolica, gravidanza, obesità, ipotiroidismo, insufficienza renale cronica, sindrome nefrosica, sindrome di Cushing, e assunzione di vari farmaci quali corticosteroidi, tiazidici, betabloccanti, tamoxifene, estrogeni e contraccettivi orali, ciclosporina, acido valproico, antipsicotici di seconda generazione, inibitori delle proteasi usati nelle terapia dell’infezione da HIV. PATOGENESI

Il meccanismo mediante cui una severa ipertrigliceridemia precipita una pancreatite acuta non è conosciuto. In base ai modelli animali si ipotizza che la lipasi pancreatica idrolizzi l’eccesso di trigliceridi con accumulo di acidi grassi nel pancreas e conseguente danno ossidativo diretto alle cellule acidari e ai capillari pancreatici; l’ischemia che ne deriva determinerebbe un ambiente acido in grado di amplificare la tossicità degli acidi grassi. In alternativa l’iperviscosità secondaria all’eccesso di chilomicroni nei capillari pancreatici indurrebbe direttamente ischemia e danno infiammatorio alla ghiandola. DIAGNOSI

I criteri diagnostici clinici, bioumorali e strumentali sono gli stessi che si applicano per la pancreatite acuta in generale. Si sottolinea tuttavia che livelli di trigliceridi superiori a 500 mg/dl possono alterare il dosaggio delle amilasi causandone una falsa normalità. E’ pertanto più sensibile e specifico il dosaggio delle lipasi per la diagnosi.

Anche se la presentazione clinica della pancreatite acuta è simile a quella sostenuta dalle altre eziologie, vi sono alcune caratteristiche del Paziente che devono indurre al sospetto di una sottostante ipertrigliceridemia: un diabete mellito scompensato è la principale, ma anche l’obesità, l’alcolismo, la gravidanza, altri episodi di pancreatite precedenti, una storia familiare di dislipidemia, l’assunzione di farmaci interferenti sul metabolismo lipidico. Se si confermano livelli di trigliceridi elevati occorre indagare la presenza di forme primitive o secondarie di ipertrigliceridemia. Di solito i pazienti che si presentano con pancreatite acuta e ipertigliceridemia hanno un preesistente difetto del metabolismo lipoproteico su cui si inserisce un fattore secondario precipitante. TRATTAMENTO

Si fonda sui principi base della terapia convenzionale di ogni altra forma di pancreatite acuta, con idratazione aggressiva, analgesia, e riposo gastro-intestinale. Il digiuno è fondamentale per interrompere l’apporto di chilomicroni derivati dalla dieta, e in genere entro 24-48 ore i livelli di trigliceridi si riducono rapidamente. Inoltre l’inizio di terapia infusiva con fluidi ipocalorici riduce anche la secrezione di VLDL dal fegato.

L’obiettivo terapeutico è di portare i livelli di trigliceridi al di sotto di 500 mg/dl. Le esperienze con la plasmaferesi sono limitate. Può essere attuata se il Paziente non

ha controindicazioni ed è emodinamicamente stabile. Deve essere iniziata entro 48 ore dalla

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diagnosi e ripetuta in più sedute fino a portare i trigliceridi al di sotto dei 500 mg/dl. In realtà mancano a oggi dati rigorosi riguardo alle complicazioni e all’effetto su complicanze e mortalità.

Sono stati eseguiti piccoli studi (case report e case series) ma non trials randomizzati sull’impiego di insulina ed eparina nel trattamento della pancreatite acuta da ipertriglicerdiemia. Il razionale si basa sul fatto che l’insulina è un attivatore della lipasi lipoproteica di cui sembra anche aumentare in vitro i livelli di RNA messaggero. L’eparina stimola invece il rilascio in circolo di lipasi lipoproteica dalle cellule endoteliali. Allo stato attuale non è giustificato l’uso routinario di eparina e di insulina. Nel diabetico e se la glicemia è superiore a 500 mg/dl occorre invece iniziare terapia con insulina ev al dosaggio di 0.1-0.3 U/Kg/ora, fino a che i trigliceridi non siano entro livelli di sicurezza.

Un farmaco ipolipemizzante può essere iniziato se tollerato dal paziente, in particolare un fibrato come prima scelta; una volta ripresa la dieta essa dovrà essere a basso apporto lipidico. Mantenendo i trigliceridi al di sotto di 1000 mg/dl in cronico si riduce il rischio di recidive. CONCLUSIONI

Il Paziente del caso clinico descritto viene posto a digiuno e trattato con abbondante idratazione ev: nelle prime 48 ore viene sottoposto a due sedute di plasamferesi con netta riduzione dei livelli di trigliceridi al di sotto di 500 mg/dl. Si posiziona sondino naso-digiunale per alimentazione entrale ipolipidica. Emerge un diabete mellito scompensato non noto in precedenza che viene trattato in modo intensivo con insulina.

La pancreatite acuta si risolve progressivamente ed il paziente viene rialimentato con dieta per diabetici ipolipidica; i trigliceridi si assestano su valori di circa 500 mg/dl. Dal punto di vista diagnostico l’orientamento è verso una forma genetica di dislipidemia, in particolare ipertrigliceridemia familiare amplificata dalla concomitante presenza di diabete mellito scompensato o meno verosimilmente iperchilomicronemia familiare. Il paziente viene dimesso con terapia insulinica e con la prospettiva di iniziare un fibrato in cronico per la prevenzione di ulteriori episodi di pancreatite acuta, in attesa di definire con precisione la diagnosi.

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LA PANCREATITE CRONICA: ANCORA UNA FORMA ESISTENTE? LA PANCREATITE AUTOIMMUNE

Fabio Bassi

U.O. Medicina IIIa e Gastroenterologia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria

Nuova - Reggio Emilia PANCREATITE CRONICA Definizione

È termine con il quale si descrive la distruzione progressiva e irreversibile del pancreas, con conseguente perdita della funzione endocrina ed esocrina. È in genere accompagnata da dolore cronico invalidante, dapprima intermittente, poi persistente. Epidemiologia

La reale prevalenza della pancreatite cronica non è nota a causa di una sottostima nella diagnosi. Indicativamente è di 3-10 casi per 100 mila abitanti. È presente circa nello 0,05-5% delle autopsie. L’età media alla diagnosi è compresa tra 35 e 55 anni. Eziologia

L’abuso cronico di alcolici ne costituisce la causa principale (circa il 70% dei casi) nell’adulto. Le malattie genetiche (mutazione di CFTR, SPINK1, PRSS1) ed i difetti anatomici sono le principali cause nel bambino.

Una delle classificazioni più utilizzate, da un punto di vista eziologico, è la TIGAR-O, basata sui fattori di rischio (tossico-metabolica, idiopatica, genetica, autoimmune, acuta severa e ricorrente, ostruttiva). Fisiopatologia

Le caratteristiche istologiche della malattia includono la flogosi, l’atrofia ghiandolare, le modificazioni dei dotti, la fibrosi.

Pancreatite Cronica da Abuso di Alcolici. Vi è una chiara correlazione tra la durata e la quantità di alcool introdotto e lo sviluppo di pancreatite cronica; deve essere però riconosciuto che non tutti gli etilisti sviluppano una pancreatite cronica (solo il 5-10%): occorre quindi identificare i possibili cofattori di danno; l’abitudine tabagica, una dieta ricca di grassi e proteine e la presenza di anomalie genetiche (CFTR e SPINK1) possono costituire cofattori per lo sviluppo della malattia. I pazienti con pancreatite cronica da abuso di alcolici sviluppano calcificazioni intraghiandolari con conseguente ostruzione dei dotti di maggiori o minori dimensioni; compare inoltre ipertensione pancreatica con conseguenti fenomeni ischemici e, secondariamente, inizia la perdita di funzione endocrina ed esocrina. Una secrezione inefficace di enzimi pancreatici determina una attivazione intrapancreatica di tripsina con conseguente danno locale dei tessuti. L’alcool e i suoi metaboliti hanno poi un

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effetto dannoso diretto sulle cellule acinari dei dotti. In genere questa forma di pancreatite si sviluppa dopo molti anni di abuso di alcolici. La maggior parte dei pazienti è di sesso maschile e presenta un’età compresa tra i 20 e i 50 anni. L’insufficienza ghiandolare esocrina ed endocrina si sviluppa precocemente rispetto alle altre forme di pancreatite cronica (in media 6 anni dopo lo sviluppo della malattia). L’interruzione della abitudine etilica può ridurre la progressione dell’insufficienza ghiandolare.

Pancreatite Cronica Tropicale. È la forma di pancreatite cronica prevalente in India e alle latitudini tropicali (dove presenta anche una prevalenza più alta rispetto alle regioni geografiche dove la forma principale è quella legata all’introduzione di bevande alcoliche). In genere esordisce in giovane età (prima dei 40 anni) ed è rapidamente progressiva. Compaiono numerose calcificazioni parenchimali, con dilatazione del dotto di Wirsung e associata atrofia ghiandolare. Questi pazienti sviluppano dolore addominale cronico e deficit nutrizionali; spesso compare il diabete ad età inferiori ai 30 anni. La fisiopatologia della malattia rimane per buona parte sconosciuta. Spesso vi è una storia famigliare. È stata dimostrata una frequente associazione con la mutazione del gene SPINK1.

Pancreatite Cronica Ereditaria. È definita come la presenza di pancreatite acuta ricorrente o pancreatite cronica per le quali non vi siano fattori precipitanti noti in almeno 2 parenti di primo grado o almeno 3 di secondo grado in almeno 2 generazioni diverse. Si associa alla presenza di mutazioni dei geni PRSS1, SPINK1 e CFTR. In genere i pazienti presentano un primo episodio di pancreatite acuta a una età molto precoce (anche prima dell’adolescenza) ed evolvono a pancreatite cronica nella prima fase dell’età adulta. Tutti i pazienti con età inferiore ai 25 anni che presentano episodi ricorrenti di pancreatite acuta devono essere sottoposti a una analisi genetica.

Pancreatite Cronica Idiopatica. La causa della pancreatite cronica rimane indefinita in quasi un terzo dei pazienti, nei quali viene definita come idiopatica. Distinguiamo una forma giovanile di malattia, caratterizzata da una età media all’esordio di 23 anni e da un precoce sviluppo di insufficienza esocrina (mentre l’insufficienza endocrina è tardiva, in media compare 27 anni dopo la diagnosi), e una forma senile, con età media alla diagnosi di 62 anni e la comparsa relativamente precoce di insufficienza esocrina.

Pancreatite Cronica Autoimmune. Le caratteristiche istologiche della malattia includono la flogosi autoimmunitaria, la presenza di infiltrato linfocitico, la fibrosi, la disfunzione ghiandolare. Si differenzia nelle caratteristiche cliniche e nella storia naturale dalle pancreatiti croniche da altra eziologia. Merita pertanto una descrizione a sé. Diagnosi

La diagnosi di pancreatite cronica è basata sulla presentazione clinica e sulle indagine di imaging.

Presentazione clinica. I pazienti possono presentare episodi ricorrenti di pancreatite acuta, che possono progredire a dolore addominale cronico, generalmente descritto come un dolore epigastrico post-prandiale che si irradia posteriormente. In alcuni pazienti si assiste a una spontanea remissione del dolore nel tempo dovuta alla progressiva insufficienza d’organo accompagnata o meno da un incremento progressivo delle calcificazioni intraparenchimali (teoria del “burnout pancreatico”). I pazienti si possono anche presentare

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con steatorrea, malassorbimento, deficit vitaminico (A, D, E, K, B12), diabete, calo ponderale. Il 10-20% dei pazienti può presentare insufficienza esocrina in assenza di dolore.

Diagnosi differenziale. La pancreatite cronica dovrebbe essere presa in considerazione nella diagnosi differenziale di pazienti con dolore addominale acuto o cronico a eziologia non nota. L’incremento delle amilasi e lipasi sieriche non è specifico e può essere presente anche in caso di ischemia mesenterica, malattia biliare (colecistite acuta, ostruzione del coledoco), ulcera peptica complicata, insufficienza renale.

Tests diagnostici. Non esiste un singolo test diagnostico di pancreatite cronica. Per quanto riguarda i test di laboratorio, i livelli sierici di amilasi e di lipasi nella maggior parte dei casi sono normali o solo di poco aumentati; l’incremento di bilirubina, fosfatasi alcalina e transaminasi si ha a seguito di ostruzioni biliari. I tests di funzionalità pancreatica non sono diagnostici; tra questi il più sensibile è il test di stimolazione con secretina, che però non è disponibile in maniera diffusa. Tra i tests di imaging, la ERCP è tuttora considerata il gold standard di riferimento, anche se la colangio-pancreato-RM (MRCP) e l’ecoendoscopia (EUS) sono in grado di fornire dati diagnostici molto simili alla ERCP; l’esame di prima scelta è però considerato la TC con mezzo di contrasto (in grado di fornire informazioni sulla presenza di calcificazioni intra-parenchimali, pseudocisti, dilatazioni nel sistema duttale, trombosi, pseudoaneurismi, necrosi parenchimale, atrofia parenchimale).

Approccio diagnostico al paziente con sospetta pancreatite cronica. La TC è il primo test diagnostico di scelta. Se la TC: 1. è diagnostica per pancreatite cronica ma evidenzia la presenza di calcoli, stenosi o

pseudocisti, occorre effettuare una EUS o una MRCP per definire l’anatomia dei dotti prima del trattamento chirurgico o endoscopico;

2. è normale ma il sospetto clinico di pancreatite cronica è elevato, è indicata l’esecuzione di una EUS con agoaspirato (FNAB) del parenchima, nonché l’esecuzione dei tests di funzionalità pancreatica;

3. mostra la presenza di lesioni cistiche o solide sospette per neoplasia maligna, è indicata l’esecuzione di una EUS con FNAB, nonché il dosaggio del Ca 19.9.

Indicazioni al counseling genetico. Al momento l’indicazione ad effettuare un adeguato counseling genetico (valutazione dell’albero genealogico, ricerca delle mutazioni) è determinato dalla presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

episodi ricorrenti (2 o più episodi documentati) di pancreatite acuta a causa non definita (esclusione di anomalie anatomiche, di stenosi ampollari o dei dotti pancreatici, di traumi, di infezioni virali, di litiasi, di abitudine etilica, di utilizzo di farmaci, di dislipidemia);

pancreatite non altrimenti spiegata (idiopatica) in pazienti con età inferiore a 25 anni; storia famigliare di pancreatite in parenti di primo o secondo grado.

Complicanze

Le principali complicanze della pancreatite cronica sono rappresentate dalla pancreatite acuta ricorrente, dal dolore cronico, dallo sviluppo di diabete (dovuto alla progressiva perdita di cellule beta), dal calo ponderale, dall’aumentato rischio di sviluppo di neoplasia maligna del pancreas (all’incirca il 3-4% dei pazienti affetti da pancreatite cronica

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sviluppa il carcinoma), dalla formazione di pseudocisti (che possono complicarsi con rotture, infezioni, sanguinamenti intracistici, ostruzione delle strutture vicine da compressione), dal malassorbimento, dalla steatorrea (che compare quando la secrezione di lipasi scende al di sotto del 10% dei valori normali), dall’ostruzione biliare, duodenale o gastrica, dalla ascite pancreatica.

La mortalità è in genere legata a eventi cardiovascolari o a sepsi. Si assesta sul 50% a 20 anni dalla diagnosi, soprattutto nei pazienti con pancreatite cronica legata all’abuso persistente di bevande alcoliche. In questa popolazione di pazienti la maggior parte dei decessi è legata a complicanze che derivano dall’abuso tabagico, da insufficienza epatica, da infezioni, dalla malnutrizione. In realtà, solo il 20% circa dei decessi è correlato a complicanze derivanti direttamente dalla pancreatite cronica. Trattamento

Le opzioni terapeutiche a disposizione comprendono il trattamento medico, endoscopico e chirurgico. Il primo approccio è in genere medico; il passaggio a una terapia endoscopica o chirurgica è legato al trattamento di cause correggibili, alla mancata risposta del dolore alla terapia medica, a un severo peggioramento nella qualità di vita, a una grave malnutrizione.

Trattamento medico. Fondamentale è la modificazione dello stile di vita (ad esempio la sospensione nell’introduzione di bevande alcoliche, la sospensione del tabagismo) e della dieta (dieta povera di grassi, piccoli pasti ripetuti, etc.). Va poi considerata la terapia con analgesici per il dolore (FANS e acetaminofene sono il primo gradino della scala analgesica), con antidepressivi per la concomitante sindrome depressiva, con insulina per l’eventuale diabete, con enzimi pancreatici (circa 40000 U di lipasi) in combinazione con gli inibitori di pompa protonica (che riducono la disattivazione degli enzimi pancreatici dovuta all’acidità gastrica) per la steatorrea ed il malassorbimento, con supplementazioni vitaminiche (A, D, E, K, B12), con steroidi nella forma autoimmune. Per quanto riguarda il diabete, dobbiamo ricordare che, a causa della modesta prognosi quod vitam per la maggior parte dei pazienti affetti da pancreatite cronica, solo una piccola parte di questi avrà una sopravvivenza sufficientemente lunga per poter sviluppare le complicanze vascolari e metaboliche del diabete; in accordo con ciò, il trattamento insulinico non dovrà essere particolarmente aggressivo, al fine di ridurre al minimo il rischio di episodi ipoglicemici.

Trattamento endoscopico. La presenza di litiasi sintomatica, di stenosi o di pseudocisti rappresenta indicazione alla ERCP. La sfinterotomia con decompressione dei dotti o il posizionamento di stent determinano riduzione del dolore nella maggior parte dei pazienti. Un drenaggio endoscopico è indicato per pseudocisti sintomatiche o complicate.

Trattamento chirurgico. Le indicazioni per un trattamento di tipo chirurgico comprendono le stenosi dei dotti biliari o pancreatici, le stenosi duodenali, la presenza di fistole (peritoneali, pleuriche,..), le emorragie, il dolore cronico intrattabile, le pseudocisti, le sospette neoplasie pancreatiche, le complicanze vascolari.

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PANCREATITE CRONICA AUTOIMMUNE Definizione

È un tipo di pancreatite cronica caratterizzato da un processo infiammatorio autoimmune nell’ambito del quale predomina un infiltrato linfocitico in associazione a fibrosi, con progressiva insufficienza d’organo. Epidemiologia

È una malattia rara. La prevalenza e l’incidenza corrette non sono ancora ben definite. Costituisce circa il 5-6% delle pancreatiti croniche. Interessa entrambi i sessi, ma prevalentemente quello maschile (con rapporto maschi:femmine circa 2:1). L’età all’esordio è molto variabile, anche se la maggior parte dei pazienti ha più di 50 anni alla diagnosi. Eziologia

La causa alla base della malattia non è ben definita, anche se le evidenze disponibili suggeriscono un processo autoimmunitario. È frequentemente associata alla artrite reumatoide, alla sindrome di Sjogren, alle malattie infiammatorie croniche intestinali. Fisiopatologia

Le caratteristiche istologiche della malattia includono la flogosi autoimmunitaria, la presenza di infiltrato linfocitico, la fibrosi, la disfunzione ghiandolare. Diagnosi

Presentazione clinica. I pazienti si possono presentare con una ampia varietà di sintomi, anche se il dolore addominale severo o la pancreatite acuta non sono frequenti come nelle forme a diversa eziologia. L’ittero ostruttivo (da stenosi delle vie biliari), l’addominalgia, il diabete mellito e il calo di peso sono comunque i sintomi più frequenti all’esordio. A volte i pazienti si presentano con sintomi legati al coinvolgimento extrapancreatico del processo autoimmunitario (ad esempio alle malattie infiammatorie croniche intestinali, alla sindrome di Sjogren, all’artrite reumatoide, alla colangite sclerosante, alla sialoadenite sclerosante, al coinvolgimento polmonare, al coinvolgimento renale).

Tests diagnostici. Le metodiche di imaging più utili sono rappresentate dalla TC, dalla ERCP, dalla MRCP, dall’EUS + FNAB.

Criteri diagnostici. I criteri diagnostici più accreditati sono quelli proposti dalla Japan Pancreas Society, basati su una combinazione di caratteri di imaging, di laboratorio, istologici. In base a tali critreri, in un appropriato contesto clinico, la presenza di un tipico carattere di imaging in associazione con determinate alterazioni laboratoristiche o istologiche, sono sufficienti per la diagnosi. A differenza di questi, tra i criteri diagnostici elaborati in Corea e quelli elaborati negli Stati Uniti (Mayo Clinic) viene anche considerata la risposta alla terapia steroidea.

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Trattamento Il trattamento è basato sulla terapia steroidea. La dose iniziale di corticosteroidi

(prednisone) dovrebbe essere di 40 mg al dì per una settimana; segue una terapia a scalare riducendo di 5 mg la dose giornaliera ogni settimana. La risposta a tale trattamento è in genere molto rapida. Durante le prime 2-4 settimane di trattamento la TC dovrebbe essere l’indagine utilizzata per il monitoraggio della risposta. Anche le alterazioni delle indagini di laboratorio (gli elevati livelli di IgG4, l’ipergammaglobulinemia, la presenza di autoanticorpi) dovrebbero andare incontro a un progressivo miglioramento con la terapia steroidea.

Benchè la maggior parte dei pazienti tragga beneficio dalla terapia steroidea entro poche settimane, un piccolo sottogruppo richiede una terapia di mantenimento con prednisone a un dosaggio di 5-10 mg al dì. La ricorrenza dopo la terapia steroidea è del 6-31%.

Una scarsa risposta alla terapia steroidea deve porre il sospetto di pancreatite cronica ad altra eziologia o di neoplasia pancreatica.

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Parte 3

Approcci Terapeutici nella Patologia Pancreatica

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LA NUTRIZIONE ARTIFICIALE NELLA PANCREATITE ACUTA

Carlo Lesi, M.T. Fabozzi, Luca Valeriani, Luisa Zoni

U.O. Dietologia e Nutrizione Clinica - Azienda Unità Sanitaria Locale - Bologna

La Pancreatite acuta (PA) rimane una malattia grave con una mortalità di circa il 10%. Nonostante che circa l’80% dei pazienti soffra di una forma lieve con un tasso di mortalità sotto l’1%, circa il 20-25% dei pazienti con una pancreatite acuta presentano una forma grave della malattia, che può portare a un’insufficienza multiorgano ed alla morte. (1)

Il principale fattore patogenetico nello sviluppo di una PA è l’attivazione degli enzimi pancreatici all’interno del pancreas con conseguente sua autodigestione che provoca differenti quadri clinici: da una lieve infiammazione alla necrosi (spesso emorragica) e allo sviluppo di un’infiltrazione peripancreatica.

È un processo infiammatorio del pancreas che può limitarsi alla stessa ghiandola o ad una sua porzione, oppure estendersi a organi e tessuti vicini o anche ad organi lontani che vengono danneggiati dalle secrezioni pancreatiche. Ne deriva che la malattia può avere diversi gradi di gravità che vanno dall’edema pancreatico alla gravissima pancreatite necrotico emorragica (2).

L’infezione secondaria e l’ipoperfusione splancnica possono portare allo sviluppo di complicazioni settiche e ad una successiva insufficienza multi organo. La discriminante tra edema interstiziale acuto e pancreatite necrotizzante sembra essere il criterio prognostico più rilevante. Nelle forme lievi (score di Ranson < 3 o APACHE II < 8 ) non esiste indicazione alla NA poiché in generale è possibile rialimentare il paziente in tempi brevi e non sussiste catabolismo (3).

Le cause più frequenti di PA sono la calcolosi delle vie biliari, l’etilismo acuto e nel 15-25% dei casi non si trova nessun movente etiopatogenetico: viene definita idiopatica. In corso di PA, soprattutto di quelle necrotico-emorragiche, scopo terapeutico principale nella fase clinica iniziale è quello di ristabilire la volemia mediante adeguata infusione di liquidi e sali minerali per evitare lo shock ipovolemico. Nelle prime 24-48 ore è necessario soprattutto instaurare una terapia di riequilibrio emodinamico e cardiorespiratorio. (3)

Appena possibile si comincia la nutrizione per contenere lo spiccato catabolismo proteico-calorico presente. Finchè il paziente non è in grado di alimentarsi si ricorre alla Nutrizione Artificiale (NA).

La Nutrizione Parenterale

Fino a poco tempo fa la Nutrizione Parenterale (NP) era considerata la modalità standard per fornire nutrienti a pazienti con PA. Tale scelta era in linea con il concetto prevalente di “mettere a riposo” l’organo sofferente somministrando nel contempo al paziente liquidi e nutrienti. Ci si è poi accorti che la l’utilità del suo impiego non era supportata da numerosi studi clinici, di cui uno solo era prospettico e randomizzato. In questo studio alcuni pazienti ricevevano la NP , altri nessun supporto nutrizionale. I risultati

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dello studio hanno dimostrato che la NP non incideva sul risultato clinico finale. Al contrario aumentavano le infezioni correlate all’uso del catetere utilizzato per l’infusione di nutrienti. Oltre al rischio di sepsi legata al catetere sono stati segnalate gravi iperglicemie ed altre alterazioni metaboliche.

In un altro studio, che confrontava l’uso precoce della NP rispetto quello più tardivo in corso di pancreatite severa, è emersa solo la tendenza a ridurre mortalità e necessità di un intervento chirurgico se la NP era somministrata precocemente. Dal che si deduce che la NP può essere dannosa.

Negli ultimi anni si è anche ipotizzato che la NP possa favorire un’aumentata permeabilità intestinale con traslocazione batterica causa della sindrome multiorgano. Il che avviene perché nessun nutriente giunge a contatto con la parete intestinale.

D’altra parte alcuni studi hanno coinvolto un elevato numero di pazienti con forma lieve di PA che non avevano necessità di NP, anzi soffrivano per i suoi effetti collaterali. Invece pazienti con PA grave e malnutrizione ingravescente a causa di una prolungata disfunzione intestinale avevano chiaramente necessità di una NP per prevenire gli effetti negativi della malnutrizione. In questi casi si possono associare piccole quantità di Nutrizione Enterale (NE) (minimal enteral feeding) per tenere attiva la funzione intestinale. Alcuni studi su pazienti con trauma, ustioni ed intereventi di chirurgia maggiore gastrointestinale hanno dimostrato che le complicanze settiche si riducono quando i pazienti ricevono una NE precoce. La Nutrizione Enterale

Oggi la NE è considerata un’importante metodo di terapia acuta nei pazienti critici non solo per ridurre il catabolismo e le perdite di massa magra, ma anche per modulare la risposta della fase acuta (ebb phase o ipodinamica) e preservare il metabolismo proteico viscerale con la possibilità di attenuare la risposta citochinica splancnica pro-infiammatoria.

Nella maggior parte dei casi severi le conseguenze del digiuno prolungato associato al catabolismo calorico-proteico possono condurre ad un rapido calo delle riserve proteiche dell’organismo che si stima attorno al 20% nel giro di cinque giorni. Confronto NE vs NP

Sono stati condotti tre studi prospettici randomizzati ponendo a confronto la NE precoce con la NP in pazienti con PA. McClave e collaboratori (4) hanno scelto a caso pazienti sia per la NP che per la NE infusa mediante sonda naso-digiunale in un gruppo di pazienti con PA di media gravità (mild to moderate acute pancreatitis). Lo studio ha dimostrato che è possibile effettuare la NE in questo gruppo di pazienti, ma l’esito clinico non è stato diverso nei due gruppi. Però i pazienti con NP presentavano più elevate concentrazioni di glucosio nei primi giorni di NA con costi di gestione più alti. Infatti la diretta immissione in circolo di notevoli quantità di glucosio, non mediata dai meccanismi digestivi e di assorbimento intestinali come avviene nella NE, spiega gli incrementi glicemici correlati ad una prognosi peggiore per il paziente.

Kalfarentzos e collaboratori (5) hanno eseguito uno studio prospettico randomizzato in pazienti con PA severa. I pazienti venivano sottoposti a NE o a NP nelle 48 ore seguenti il

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ricovero. La NE è risultata ben tollerata senza effetti collaterali. L’aspetto più significativo era che i pazienti in NE presentavano un numero di complicanze in generale e di quelle settiche in particolari minore rispetto quelli sottoposti a NP i cui costi di gestione risultavano più elevati. Windsor e collaboratori (6), confrontando la NP con la NE, sono stati in grado di dimostrare che la NE riduce la risposta della fase acuta metabolica diminuendo la gravità della malattia e l’evoluzione clinica, per quanto le alterazioni morfologiche pancreatiche siano immodificate alla TC.

In definitiva i dati clinici disponibili suggeriscono che la NE è in genere da preferire alla NP perché più fisiologica, meno costosa, in grado di modulare positivamente la risposta immunitaria e infiammatoria e capace di ridurre il fenomeno della traslocazione batterica responsabile delle complicanze settiche (3). Solo una previsione di digiuno prolungato per 7 giorni indica il ricorso alla NA. In altri termini solo la PA grave necessita della NA (7). Conclusioni

Queste sono le conclusioni che si possono trarre. 1) la NE eseguita mediante sonde posizionate per via endoscopica nel digiuno è fattibile ed

auspicabile nella terapia della PA severa; 2) la NE sembra diminuire la gravità della malattia e migliorare il suo esito clinico; 3) per il passato si è data minore importanza ai costi, oggi no: la NE costa meno della NP; 4) le complicanze (ascite pancreatica, fistole ed ascessi) non rappresentano una

controindicazione alla NE. Le indicazioni per una corretta NA in corso di PA severa sono riassunte nelle tab, 1 e 2.

Tab.1 : Terapia nutrizionale della pancreatite acuta severa. N.B.: i pazienti con PA grave, complicanze o necessità di un intervento chirurgico devono ricevere un

supporto nutrizionale precoce per evitare effetti dannosi.

Iniziare con un abbondante somministrazione di liquidi; Iniziare con una NE precoce e continua mediante SNDigiunale meglio se posizionato

per via endoscopica. Le miscele da impiegare sono quelle contenenti peptidi e/o arricchite con immunonutrienti o con fibre idrosolubili. Queste ultime per prevenire la traslocazione batterica colica e quindi la MODS;

Quando compaiono gravi complicanze (ad es. sepsi ecc.) o non si raggiunge l’apporto calorico necessario utile associare alla NE la NP;

Quando la NE non è possibile (ad es. per prolungato ileo paralitico) si deve ricorrere alla NP (è possibile l’uso di lipidi e.v. quando non è presente ipertrigliceridemia) eventualmente associata a piccole quantità di una miscela ipolipidica infusa per NE continua con SNDigiunale

L’impiego della NE in corso di PA anche severa ne esce rafforzato. Nella realtà

clinica si osserva l’esatto contrario sia per retaggio culturale da parte dei medici sia per motivazioni pratiche: il CVC permette anche l’infusione di farmaci, ecc. Già fin d’ora deve essere cominciato da parte dei dietologi e delle dietiste un’opera di sensibilizzazione all’uso della NE nei confronti dei gastroenterologi e chirurghi che più spesso vedono pazienti con PA.

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Tab.2: Quantità raccomandate di nutrienti nella pancreatite acuta severa.

Nutrienti Quantità Calorie 25-35 Kcal./Kg/die

Proteine o Aminoacidi 1.2-1.5 /Kg/die Carboidrati 4-6g./Kg/die

Lipidi fino a 2g./Kg/die

N.B.: deve essere evitata la “overfeeding syndrome” specie nei sogg. obesi possibilmente in accordo con il metebolismo basale a riposo (REE) misurato con calorimetria diretta.

Bibliografia

1) Sobotka L. et al.: Basics in Clinical Nutrition Edited for ESPEN Courses, Second Edition, Galén Ed. (Cz) 2000. pagg. 189-197.

2) Cappello G et al: “ La Nutrizione Enterale nella Pancreatite Acuta” Atti dal “ Corso di Aggiornamento in Nutrizione Clinica” a cura di A.Nicolai, Ancona 12-14 giugno 2002, pagg. 84-89.

3) Giannotti L.: “Nutrizione Artificiale nella Pancreatite acuta” Atti del Convegno: “Progress in Nutrizione Clinica” a cura di A.Nicolai, Ancona 4-6 giugno 2003, pagg. 106-107.

4) McClave S.A. et al.: ”Comparison of the safety of early enteral vs parenteral in mild acute pancreatitis” JPEN 1997; 21:14.

5) Kalfarentzos F. et al: “ Enteral nutrition is superior to parenteral nutrition in severe acute pancreatitis: results of randomized prospective trial“ Br J Surg 1997; 84; 1665

6) Windsor A.C.J. et al.: “Compared with parenteral nutrition, enteral feeding attenuates the acute phase response and improves disease severity in acute pancreatitis“ Gut 1988; 42; 431.

7) Mangiante G et al: “Nil by mouth or not? Nel trattamento della pancreatite acuta” Atti del Convegno “Nuove frontiere nella Nutrizione Clinica, in Oncologia, Cardiologia, Pneumologia e Chirurgia” a cura di A. Costa e C. Pedrolli, Levico Terme (TN) 28-29 aprile 2005, pagg. 209-211.

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LA NUTRIZIONE CLINICA NELLA PANCREATITE ACUTA: LA RIPRESA DELL’ALIMENTAZIONE

Simona Bodecchi

Ospedale Civile di Guastalla - Azienda Unità Sanitaria Locale - Reggio Emilia

La terapia nutrizionale della pancreatite acuta si basava classicamente sul principio

del riposo d’organo, non veniva quindi somministrato nessun alimento per os in quanto ciò comportava ileo duodenale e disfunzioni gastrointestinali per cui l’assorbimento dei cibi risultava inadeguato e per giunta essi stimolavano la secrezione pancreatica. Le recenti acquisizioni hanno portato però a una rivalutazione dell’impostazione nutrizionale e delle sue finalità. Gli attuali obiettivi dell’intervento nutrizionale sono di evitare che un iponutrizione interferisca con il decorso della patologia, riduca la risposta immunitaria, aumenti le complicanze post- chirurgiche e allunghi l’ospedalizzazione; inoltre è importante preservare l’integrità morfofunzionale dell’intestino allo scopo di prevenire la traslocazione batterica e il conseguente verificarsi di complicanze settiche.

Nel caso di pancreatiti acute lievi e moderate, in cui si prevede la ripresa della nutrizione orale entro una settimana e quando lo stato nutrizionale iniziale del paziente è soddisfacente, non è necessario l’uso della nutrizione artificiale.

Le raccomandazioni nutrizionali prevedono il digiuno e la somministrazione di liquidi per via endovenosa sino a ripresa dell’alimentazione che avviene usualmente quando diminuisce o scompare il dolore addominale, è riferito appetito da parte del paziente e vi è miglioramento di un’eventuale disfunzione d’organo. L’aumento della amilasi/lipasi o la persistenza di alterazioni di tipo infiammatorio alla TC non dovrebbe scoraggiare l’alimentazione per via orale nel paziente che riferisce appetito. Infatti l’aumento di amilasi/lipasi e le alterazioni radiologiche possono persistere per alcune settimane o addirittura mesi.

In 3ª-6ª giornata viene, in genere, somministrata una dieta liquida blanda (caffè d’orzo, tè, camomilla, brodo vegetale) e in 5ª-7ª giornata progressivamente si passa a cibi di consistenza più solida fino ad un graduale ripristino di una dieta normale. È, invece, ritenuta necessaria la nutrizione artificiale precoce (< 48 ore dall’esordio) nelle pancreatiti acute severe dove si prevede una maggiore durata e gravità clinica della patologia.

Studi clinici prospettici randomizzati indicano come prima scelta la nutrizione enterale digiunale, che stimolando in modo molto limitato la secrezione pancreatica e favorendo il mantenimento dell’integrità di barriera intestinale, influisce significativamente su parametri infiammatori e di prognosi.

Tale effetto di protezione sul lume intestinale è raggiunto anche con una quantità ridotta di miscela enterale; qualora non sia raggiunta la copertura dei fabbisogni energetici sarà necessario l’integrazione tramite la via parenterale.

Le formule enterali elementari, contenenti piccoli peptidi e una ridotta percentuale di acidi grassi a lunga catena, sono consigliabili rispetto alle miscele polimeriche in quanto

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minimizzano la risposta secretoria pancreatica e quella neuroumorale della mucosa intestinale. La nutrizione parenterale, un tempo ritenuta la scelta più idonea, è indicata come possibilità alternativa, qualora insorga intolleranza alla nutrizione enterale, o come supporto a questa.

A maggiore ragione per gli individui, sottoposti ad intervento chirurgico, la nutrizione artificiale diviene ancor più necessaria per mantenere l’equilibrio nutritivo e biochimico dell’organismo. In questi soggetti vi sarà, infatti, un più lungo intervallo prima della ripresa dell’alimentazione orale e la prescrizione nutrizionale dovrà tenere conto delle condizioni funzionali che si sono determinate in seguito all’intervento.

Prima di intraprendere la fase di ripresa dell’alimentazione orale, che dovrà prevedere vari steps di durata variabile a seconda del miglioramento della sintomatologia, andrà effettuata una accurata valutazione dello stato nutrizionale del soggetto. La valutazione dello stato nutrizionale prevede la rilevazione di parametri antropometrici, l’analisi di parametri biochimici e il calcolo dei fabbisogni calorici e di nutrienti.

La quota calorica consigliata è data dalla spesa energetica basale (basal energy expenditure, BEE) moltiplicata per un fattore di correzione (in genere 1,3-1,5), che considera la risposta ipermetabolica allo stress (25-30 kcal/kg/die). È sconsigliato superare la capacità di utilizzazione metabolica del paziente considerata, in fase acuta, di 35 kcal/kg/die. L’energia (calcolata come non proteica) deve essere suddivisa tra glucidi (40-60%) e lipidi (20-30%). L’apporto proteico raccomandato è di 1-1,5 g/kg/die. L’introito idrico suggerito è di 30-35 ml/kg/die più l’integrazione di eventuali perdite.

Dopo l’attuazione di un breve approccio di tipo liquido, si inizieranno le vari fasi atte alla rialimentazione. I Fase:

Si inizierà con una somministrazione molto graduale di una dieta, frazionata in più pasti giornalieri (6-7 al dì), molto ricca in glucidi e principalmente miele, zucchero, marmellata, ma anche semolino, crema di riso. Una maggiore componente glucidica della dieta (70%) sembra infatti avere un effetto inibitorio sulla secrezione pancreatica. Nel caso di pazienti in cui, come spesso accade, è presente il diabete o la diarrea andrà moderato il quantitativo di carboidrati solubili. Questa dieta dovrà essere somministrata per un breve periodo di tempo. II Fase:

Si introdurranno proteine di origine animale, sempre in modo molto graduale, sotto forma di liofilizzati o omogeneizzati di carne. La dieta andrà sempre frazionata in più pasti giornalieri e somministrata per breve periodo. III Fase:

Vi sarà un ulteriore incremento della quota proteica e l’inserimento dei lipidi, i nutrienti andranno ripartiti come segue:

Proteine 50-55 g (15%) Lipidi 30-35 g (22%) Glucidi 250-300 g (63%)

La dieta in questa fase comprenderà anche carni frullate, pesce, pane tostato, patate, grassi vegetali. I pasti dovranno essere piccoli e frequenti per facilitare la digestione. Nei

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pazienti con sostenuta steatorrea è indicato l’uso dell’olio MCT (medium-chain triglycerides), in sostituzione del comune olio extra vergine d’oliva, in quanto i trigliceridi a catena media, sono parzialmente idrosolubili, vengono con più facilità idrolizzati dalle lipasi, sono assorbiti senza processo digestivo e seguono il percorso della vena porta invece che quello dei linfatici quindi assorbiti attraverso la stessa via dei carboidrati e delle proteine. Il vantaggio degli MCT è un migliore assorbimento che contrasta quindi la condizione di maldigestione e malassorbimento dei grassi evitando la conseguente steatorrea, un inadeguato recupero ponderale e i deficit di vitamine liposolubili. Lo svantaggio degli MCT è il sapore cattivo e l’induzione di nausea che ne limitano frequentemente l’uso, oltre che anche il minore potere calorico rispetto agli LCL (long-chain triglycerides) in quanto 100 g di olio MCT forniscono 830 kcal. Il quantitativo ottimale di MCT non dovrebbe superare i 40 g/die, con qualche riserva per i soggetti diabetici non perfettamente compensati nei quali potrebbe esservi un peggioramento dello stato chetoacidosico. IV Fase:

Si riprenderà una alimentazione con cibi di consistenza normale, si introdurranno ortaggi cotti passati, si continuerà una dieta suddivisa in più pasti giornalieri, colazione, pranzo, cena con tre spuntini intermedi, leggermente iperproteica per compensare il malassorbimento proteico (1-1.5 g/kg/die) e con apporto lipidico limitato per non favorire steatorrea e disturbi addominali (20-30% delle calorie totali della dieta con presenza di acidi grassi saturi <10%). Si ritiene utile, durante il passaggio da una fase all’altra del percorso di ripresa della nutrizione per os, il monitoraggio degli introiti di cibo tramite la compilazione di un diario alimentare. Nel caso in cui lo stato nutrizionale del paziente non sia adeguato, è indicato continuare il supporto artificiale, se già in atto, fino al raggiungimento dei corretti apporti calorici/proteici per os oppure occorrerà integrare la dieta tramite supplementi nutrizionali orali. Elementi preferenziali per la scelta di questi preparati sono una quota lipidica controllata, un buon apporto proteico, la bassa osmolarità e l’assenza di fibre e lattosio. La somministrazione di enzimi pancreatici sintetici per os è raccomandata come trattamento del malassorbimento di origine pancreatica. La sintomatologia diarroica viene in genere migliorata significativamente con terapia a base di enzimi pancreatici esogeni (circa 30.000-32.000 U di lipasi per ogni pasto), tuttavia una completa correzione della steatorrea in alcuni pazienti risulta estremamente difficile. La quota in fibre (soprattutto solubili) dovrà essere razionalizzata poiché queste interferiscono con l’attività degli enzimi pancreatici integrativi/sostitutivi ostacolandone il contatto diretto, limitandone e soprattutto ritardandone i tempi della digestione. L’integrazione di vitamina B12 e oligoelementi, in particolare lo zinco, oltre all’incremento dell’apporto di calcio (la somministrazione di latte scremato dipenderà dalla tolleranza del soggetto) è ritenuto utile nelle forme di pancreatite che tendono alla cronicizzazione. L’astinenza dall’alcool è auspicabile e deve essere fortemente raccomandata in quanto gli alcolici possono riacutizzare la pancreatite. La prevenzione delle recidive delle pancreatiti si basa essenzialmente nella asportazione degli eventuali calcoli biliari, nell’abolizione di alcool, nella correzione di eventuale ipertrigliceridemia e di abitudini dietetiche incongrue.

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LA NUTRIZIONE CLINICA NELLA PANCREATITE CRONICA

Salvatore Vaccaro

Team Nutrizionale - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia La Pancreatite Cronica è una malattia caratterizzata da “un processo flogistico cronico del pancreas, automantenendosi, con parziale od estesa distruzione del parenchima ghiandolare, ostruzione e dilatazione irregolare del sistema duttale, progressiva fibrosi ed atrofia del parenchima pancreatico esocrino e compromissione tardiva anche della regione endocrina”.

Benché spesso si verifichino episodi ricorrenti di intenso dolore, la malattia sembra completamente diversa per eziopatogenesi dalla pancreatite acuta, al punto che gli episodi algici non vengono etichettati con tale nome, ma semplicemente con quello di Pancreatite Cronica.

In letteratura non esistono veri e propri studi epidemiologici riguardanti tale condizione; la patologia è rara, anche se negli ultimi decenni si è verificato un sensibile aumento dell’incidenza della forma alcolica, stimata intorno a 6-9 casi/100.000 abitanti/anno.

Tra i fattori etiologici si possono distinguere fattori: Di ordine Ambientale-Nutrizionale Altri Fattori di tipo non Alimentare

Tossici Alcool Fumo di sigaretta Farmaci Cassava (Aree Tropicali)

Patologie Odditi Neoplasie a lento sviluppo Esiti cicatriz. intrapancreatici Iperparatiroidismo Malattie autoimmuni

Dieta Ipercalorica Malnutrizione

Ereditarietà

La pancreatite cronica presenta una maggiore frequenza in due distinte aree

geografiche: i Paesi Industrializzati (Europa, Nord America - in cui risulta elevato il consumo di alcool) ed alcune Regioni Tropicali e Subtropicali (Asia ed Africa - caratterizzate da malnutrizione calorico-proteica). Nei paesi industrializzati l’80% delle pancreatiti croniche riconosce un’origine alcolica1, mentre l’alimentazione spesso presenta un apporto eccessivo soprattutto di proteine e zuccheri, ma talvolta anche di grassi animali; le incongrue abitudini alimentari sembrano potenziare l’effetto lesivo legato all’abuso di alcool. Nella forma tropicale sono responsabili come fattori di ordine nutrizionale non soltanto le note carenze calorico-proteiche, ma anche e soprattutto il consumo della “cassava”, un tubero particolarmente utilizzato nella dieta di questi paesi, ad elevato

1 L’assunzione di alcool porta alla formazione di un succo pancreatico ricco di proteine, che possono precipitare nei piccoli dotti; su di esse può poi precipitare calcio, con ulteriore peggioramento dell’ostacolo al deflusso. Ciò porta ai fenomeni di fibrosi che interessano non solo le vie escretrici bensì anche il parenchima. In media, occorrono 15-20 anni di abuso alcolico prima che il danno pancreatico si manifesti clinicamente.

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contenuto di glucosidi cianosidici, dotati di una potente azione lesiva sulle cellule pancreatiche. Nonostante il pancreas rappresenti l’organo maggiormente coinvolto nei processi digestivi, le misure dietetiche nella pancreatiche cronica ricoprono un ruolo non sempre significativamente incisivo sul decorso naturale della malattia pancreatica. Alcune raccomandazioni sono però essenziali, in considerazione soprattutto del fatto che la pancreatite cronica con insufficienza pancreatica induce comunemente deficienze nutrizionali od uno stato di malnutrizione conclamato. Fisiopatologia della Maldigestione

La maldigestione, che trova nella steatorrea la sua espressione clinica più precoce ed importante, si basa da un punto di vista fisiopatologico su due meccanismi indipendenti: riduzione della secrezione di enzimi digestivi; riduzione della secrezione di bicarbonati e quindi della capacità tamponante del duodeno.

Nella storia naturale della pancreatite cronica, la comparsa tardiva2 dei sintomi dipende dal fatto che il pancreas possiede fisiologicamente una capacità di secrezione esocrina che supera notevolmente le richieste dei normali processi digestivi. L’insufficienza secretoria si traduce in insufficienza digestiva solo quando la riserva funzionale esopancreatica è decurtata di oltre l’80-85%. La correlazione tra secrezione di lipasi e steatorrea riconosce il limite critico di decurtazione del 90%, al di sotto del quale variazioni anche minime della capacità secretoria comportano un importante deterioramento dei processi di idrolisi dei lipidi, con notevole aumento della steatorrea.

La steatorrea3 rappresenta l’espressione clinica più significativa dell’insufficienza esocrina, intesa come aumentata perdita di grassi fecali, superiore a 7 g/die. Quando la steatorrea supera i 20-25 g/die subentra maldigestione conclamata.

Un pH intraduodenale ridotto (< 4) costituisce una condizione ambientale ostile all’attività degli enzimi pancreatici, soprattutto per la lipasi; una condizione di ipersecrezione acida può aggravare ulteriormente la digestione duodenale.

Nelle fasi iniziali di malattia in assenza di deficit funzionali esocrini il dimagrimento è determinato dalla ridotta alimentazione condizionata dall’elevata frequenza delle crisi dolorose, più tardivamente invece quando compare la franca insufficienza esocrina si ricollega al quadro della maldigestione. Lineamenti di Dietoterapia nella Pancreatite Cronica

L’aspetto più importante e per molti versi più controverso riguarda il contenuto lipidico della dieta. Viene spesso suggerita una dieta ipolipidica nel trattamento della maldigestione. In realtà bisogna tenere in considerazione che una riduzione dell’apporto lipidico sottrae un’importante quota calorica, determinando un decremento ponderale ed un peggioramento dello stato nutrizionale. Inoltre, in presenza di steatorrea lo scopo terapeutico

2 Generalmente dopo i primi 5 anni di malattia, quasi sempre dopo il 6°-7° anno. 3 Si manifesta clinicamente con l’emissione di feci abbastanza abbondanti (>250 g/die), semiformate, quasi mai liquide (a differenza del malassorbimento, il basso contenuto intraluminare di acidi grassi liberi non esercita effetto catartico), chiare o cretacee, maleodoranti ed untuose.

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non dovrebbe essere quello di ridurre ad ogni costo l’escrezione fecale di grassi, bensì dovrebbe essere quello di migliorare l’assorbimento dei substrati alimentari. Diete con un apporto eccessivo di lipidi sono scarsamente tollerate, producendo od aggravando alcuni sintomi (dolore e distensione addominale). Ogni restrizione lipidica deve essere valutata attentamente da personale esperto nel campo della nutrizione, evitando così improvvisate od empiriche manipolazioni dietetico-nutrizionali. Se nei pazienti senza grave insufficienza pancreatica esocrina non si rende necessario alcun provvedimento dietoterapico specifico, in quelli con insufficienza esocrina severa (steatorrea), trattati con enzimi pancreatici, dovrebbe essere programmata una dieta moderatamente ipolipidica (20-25% delle kcal totali/die). Gli oli vegetali vanno preferiti ai grassi animali. Esistono preparazioni farmaceutiche di MCT che sono assorbiti anche senza l’ausilio della secrezione pancreatica.

Un normale (o talora elevato) apporto proteico è giustificabile allo scopo di minimizzare l’eventuale malnutrizione.

Il contenuto di carboidrati deve essere quanto più possibile personalizzato, se è presente diabete (secondario all’insufficienza pancreatica) saranno seguite le specifiche indicazioni dietoterapiche per diabete mellito.

L’apporto di fibra è tutt’oggi oggetto di controversie. Nella pancreatite cronica deve essere usata molta cautela nell’apporto di eccessive quantità di fibra, dato che le proprietà leganti delle fibre alimentari possono indurre od intensificare l’inattivazione degli enzimi esogeni assunti terapeuticamente.

L’astensione da qualsiasi bevanda alcolica è il perno di tutte le prescrizioni e raccomandazioni dietoterapiche.

L’obiettivo prioritario globale sarà quello di fornire un corretto e sufficiente apporto energetico nel rispetto delle abitudini alimentari del paziente. Trigliceridi a Catena Media (MCT) Gli MCT rappresentano una classe di grassi neutri, costituiti da glicerolo ed acidi grassi saturi con catena da 6 a 12 atomi di carbonio. La loro ossidazione fornisce 8,3 kcal/g rappresentando quindi un buon substrato energetico rapidamente disponibile. Sono contenuti nel latte, in alcuni semi e sono abbondanti nell’olio di cocco e suoi derivati.

I trigliceridi contenenti acidi grassi a media catena sono stati proposti e rappresentano ormai un trattamento consolidato per la terapia delle alterazioni della digestione, dell’assorbimento e del trasporto dei lipidi dal lume intestinale al fegato. L’utilità terapeutica degli MCT deriva dalle caratteristiche peculiari del loro metabolismo, infatti la loro idrolisi può avvenire anche nello stomaco e nel colon, per essere assorbiti non necessitano di emulsione da parte degli acidi biliari, ma possono essere assorbiti interi (o con minime quantità di lipasi pancreatica) ed utilizzano il circolo portale invece di quello linfatico (sono di solito rimossi dal fegato4).

Nei pazienti con severa insufficienza esocrina scarsamente responsivi al trattamento enzimatico va proposta la somministrazione di Trigliceridi a Catena Media.

4 Se il fegato funziona male, la loro concentrazione in circolo generale può aumentare, provocando alterazioni specialmente a livello nervoso. Non si dovrebbero quindi usare preparazioni contenenti acidi grassi a media catena nei soggetti cirrotici.

Atti del Corso “La Nutrizione Clinica nelle Patologie Pancreatiche non Neoplastiche” 68

I Trigliceridi a Catena Media si trovano in 2 forme: olio MCT (ottenuto dalla noce di cocco attraverso un processo di frazionamento e

riesterificazione con glicerolo degli acidi grassi a catena media. A temperatura ambiente si presenta come un liquido trasparente, giallo chiaro, inodore con un blando sapore);

diversi prodotti dietetici contenenti olio MCT (miscele nutrizionali, etc.). Gli scopi essenziali dell’impiego dell’olio MCT sono quelli di incrementare

l’apporto energetico e di migliorare la palatabilità di una dieta ipolipidica. È stata dimostrata una riduzione della steatorrea dopo somministrazione di MCT in

pazienti con insufficienza pancreatica severa: la lipolisi endoluminare degli MCT avviene infatti anche ad opera di una lipasi intestinale endoenterocitaria che permette l’assorbimento degli MCT come trigliceridi.

L’introduzione di MCT nella dieta per circa il 30-60% della quota lipidica può essere utile nel trattamento dei pazienti con pancreatite cronica ed insufficienza esocrina severa; dosi di 40 g/die sono in genere ben tollerate se introdotte in modo frazionato e graduale e sempre in associazione con la somministrazione di enzimi pancreatici. Questo quantitativo viene ritenuto ottimale e non dovrebbe essere superato.

Gli MCT sono chetogenici e non devono essere somministrati a pazienti con diabete mellito scompensato.

Supporto Nutrizionale Artificiale

La Pancreatite Cronica, indipendentemente dal fattore eziologico e dalle patologie che ad essa si associano, richiede un supporto nutrizionale artificiale in tutte quelle situazioni in cui l’alimentazione orale risulta ridotta o impedita o comunque insufficiente a soddisfare i fabbisogni nutrizionali, quali ad esempio: fasi di riacutizzazione periodi di digiuno forzato secondario alla presenza di sintomatologia dolorosa

addominale (il paziente è costretto a ridurre la propria alimentazione). Il riscontro di uno stato di malnutrizione secondario alla patologia cronica di cui il

paziente è portatore rappresenta un importante indicazione alla nutrizione artificiale, anche se questa è talvolta di difficile attuazione a causa delle rilevanti turbe metaboliche secondarie al diabete, all’alcolismo cronico, al malassorbimento, all’insufficienza epatica spesso presenti in questa tipologia di pazienti.

Conclusioni

Gli obiettivi principali della terapia medica sono: Prevenzione delle recidive dolorose - principale obiettivo terapeutico della pancreatite

cronica in fase iniziale. Si basa essenzialmente su: astensione assoluta dall’alcool (primo e principale provvedimento terapeutico) è

di notevole efficacia se adottata nelle fasi più precoci di malattia (entro i primi 5 anni), anche se la pancreatite cronica mostra già di per sé una naturale tendenza a divenire progressivamente indolore nel tempo;

estratti pancreatici; citrato.

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Trattamento delle recidive dolorose - solo una minoranza di pazienti lamenta episodi particolarmente severi tali da richiedere un controllo della sintomatologia dolorosa. In questi casi il trattamento non differisce da quello della pancreatite acuta:

digiuno e nutrizione parenterale per almeno 5-7 giorni; analgesici non oppiacei; inibizione della secrezione pancreatica (somatostatina o glucagone).

Correzione dell’insufficienza esocrina - la terapia dell’insufficienza pancreatica esocrina si fonda sulla dieta e sulla somministrazione di preparati contenenti enzimi nei casi con avanzata insufficienza digestiva, testimoniata dalla steatorrea scompensata con perdita di peso.

La dietoterapia si fonda sulle seguenti regole: ▬ astensione assoluta dalle bevande alcoliche: è l’unico provvedimento

terapeutico in grado si influenzare favorevolmente il decorso della pancreatite cronica;

▬ contenuto ipercalorico (2000-2500 kcal/die): la correzione dello stato nutrizionale rappresenta un presupposto irrinunciabile, anche per un soddisfacente controllo delle alterazioni glicometaboliche;

▬ riduzione dell’apporto di grassi (< 20-25% delle kcal totali): nei casi con grave steatorrea si somministrano trigliceridi a media catena (MCT), che vengono assorbiti in assenza di lipasi e senza richiedere la formazione di micelle;

▬ pasti piccoli e frequenti; ▬ proscrizione di un elevato consumo di fibre: in grado di diminuire

l’attività lipasica per aumento della viscosità del contenuto duodenale e per l’adsorbimento degli enzimi pancreatici;

▬ somministrazione di vitamine liposolubili per via parenterale. La somministrazione di enzimi pancreatici è necessaria in almeno 4 condizioni:

perdita fecale di grassi > 15 g/die, calo ponderale, diarrea e/o dispepsia, dolore addominale persistente. Il completo controllo della steatorrea si ottiene con difficoltà, in quanto per ottenere nel lume intestinale un’attività di lipasi pari almeno al 5% della capacità secretoria, sono necessarie almeno 50.000 unità di lipasi e 10.000 di tripsina per singolo pasto: devono essere impiegati preparati ad alto contenuto enzimatico (soprattutto in lipasi) che vengono somministrati ad ogni pasto. Sono da preferire preparati gastroresistenti associati ad H2-antagonisti.

Correzione dell’insufficienza endocrina - problema rilevante e di difficile soluzione, sia per la complessità del quadro fisiopatologico sottostante che per l’incostante alimentazione (spesso condizionata dall’abuso alcolico). Generalmente si ricorre all’impiego di insuline ritardo o intermedie, anche se la comparsa di crisi ipoglicemiche notturne rende necessario il passaggio alle preparazioni pronte.

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LA NUTRIZIONE CLINICA NEL DIABETE MELLITO

Enrica Manicardi

S.S. Diabetologia e Disturbi del Comportamento Alimentare Azienda Ospedaliera Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

Una corretta alimentazione è una componente comportamentale importante nel trattamento del diabete. Nonostante ciò sia noto da molti anni, la percentuale di diabetici di tipo 2 (DM2) che non aderiscono alle prescrizioni dietetiche arriva al 62% (1). Ciò è per il curante fonte di frustrazione, perché significa non ottenere il target glicemico necessario a prevenire e/o trattare le complicanze croniche del diabete. Le ripercussioni negative della non adesione alla dieta si riflettono anche sul controllo pressorio e sul profilo lipidico.

Con la terapia medica nutrizionale (TMN) si intende raggiungere i seguenti obiettivi: a. Mantenere valori glicemici il più vicino possibile al range di norma, bilanciando

l’apporto di cibo con l’attività fisica e con la terapia farmacologica b. Raggiungere livelli pressori e lipidici ottimizzati. c. Fornire un apporto calorico adeguato a raggiungere e/o mantenere un peso corporeo

ragionevole, crescita e sviluppo fisiologici. d. Gestire i fattori di rischio e prevenire le complicanze acute (ipoglicemia e patologia

acuta intercorrente) e croniche (ipertensione, iperlipemia, gastroparesi, malattia cardiovascolare, nefropatia e altre complicanze micro e macrovascolari) del diabete.

e. Migliorare lo stato globale di salute f. Rispettare tutte le necessità nutrizionali, tenendo conto dei gusti, delle preferenze

culturali, del desiderio di variare, al fine di conservare il piacere che reca il cibo e restringendo le scelte solo quando strettamente necessario.

L’importanza relativa di ciascun goal nutrizionale varia in funzione dei connotati clinici del singolo paziente.

Si intende per terapia medica nutrizionale (MNT) il processo attraverso il quale la prescrizione nutrizionale tiene conto delle condizioni mediche del paziente, dello stile di vita, dei fattori personali e costituisce una componente integrata della gestione della malattia diabetica e dell’educazione all’autocontrollo (3). Vengono fissati obiettivi a breve termine (4 -6 settimane) e a lungo termine per: grado di compenso metabolico, lipidi, pressione arteriosa, variazioni di peso corporeo, programma di attività fisica. La sola MNT è in grado di ridurre l’emoglobina glicosilata dell’1% nel diabetico di tipo 1, del 2% nel DM2 di nuovo riscontro e dell’1% nel DM2 con durata media di malattia di 4 anni (4 -7).

La MNT deve tenere conto dei seguenti fattori chiave: Apporto calorico (adeguato alla spesa energetica). Calo ponderale, incremento dell’attività fisica e mantenimento del peso corporeo. Apporto di carboidrati nel singolo pasto e complessivo giornaliero. Distribuzione dei pasti

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Adeguamento della terapia farmacologia in base alla glicemia riscontrata, al cibo, alla attività fisica.

Apporto nutrizionale (di proteine, di carboidrati e di grassi). Apporto Calorico:

L’apporto calorico è funzione di diversi fattori quali il peso corporeo attuale in funzione del peso desiderabile e della salute del paziente, il peso storico del paziente, la distribuzione del tessuto adiposo, la circonferenza addominale, la massa muscolare, i fattori genetici, l’emoglobina glicosilata. La restrizione calorica determina miglioramento del compenso metabolico, ancor prima di ottenere calo ponderale. La glicemia a digiuno è infatti in gran parte determinata dalla produzione epatica notturna di glucosio, che si riduce dopo pochi giorni di restrizione calorica (6, 8, 9).

Sono disponibili numerose formule per valutare l’apporto calorico indicato al singolo paziente, che tengono conto dell’età, del sesso, dell’attività lavorativa, del peso attuale e dell’altezza (10). Dall’apporto così calcolato si sottraggono 500-1000 Kcal per ottenere un calo ponderale di 0,5 -1 Kg. Gli apporti calorici inferiori alle 1200 Kcal/die difficilmente riescono a soddisfare tutti i fabbisogni nutrizionali a lungo termine. Nella valutazione nutrizionale il parametro di riferimento è ora l’indice di massa corporea (BMI), calcolato ottenendo il rapporto tra peso corporeo in Kg e altezza in metri al quadrato (mq). Il BMI varia per razza e composizione corporea; per la razza caucasica vengono considerati normali valori compresi tra 18,5 e 24,9 Kg/mq. Calo Ponderale, Incremento dell’attivita’ Fisica e Mantenimento del Peso Corporeo

Nel DM2 obeso il calo ponderale determina sia una riduzione dell’insulino resistenza caratteristica di questa condizione,che un aumento della secrezione di insulina (9).

Se il paziente ottiene calo ponderale svolgendo regolare attività fisica, spesso non è necessario che raggiunga il peso ideale, ma è sufficiente un calo ponderale pari al 5 -10% del peso iniziale per avere duraturi e significativi miglioramenti di glicemia, dislipidemia ed ipertensione (11). Nel DM2 un calo ponderale di 6-7 Kg è in grado di migliorare l’emoglobina glicosilata, la glicemia a digiuno, l’insulinemia, il colesterolo HDL, la trigliceridemia (13). Anche la mortalità totale e cardiovascolare risultano ridotte a distanza di 12 anni dall’ottenimento di calo ponderale di tale entità (14).

Il calo ponderale: è raccomandato inizialmente un calo ponderale pari al 5-10% del peso di partenza, da ottenere preferibilmente associando alla modica deprivazione calorica 30 minuti di attività fisica, da praticarsi nel maggior numero possibile di giorni alla settimana. Gli obiettivi ponderali successivi sono funzione del calo glicemico ottenuto(15).

La glicemia a digiuno di base condiziona la quantità di peso che è necessario perdere per raggiungere una risposta glicemica ottimizzata: mentre per glicemia compresa tra 108 e 144 mg/dl è sufficiente perdere 10 Kg di peso (pari a circa il 16% del peso iniziale, sono necessari ben 22 Kg in meno (35%) se il peso iniziale è compreso tra 216 e 252 mg/dl (6).

Numerose sono le strategie proposte per ottenere calo ponderale, che comprendono il conteggio delle calorie, l’utilizzo di pasti sostitutivi o di elaborate liste di scambio per pianificare i pasti, nel rispetto delle esigenze del paziente e del suo stile di vita. Le liste di

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scambio, che erano state abbandonate per la loro complessità, sono ora state rivisitate ed i gruppi di cibo sono stati ridotti a 3 (carboidrati, carne e suoi sostituti, grassi). Si tiene conto anche del contenuto di sodio e di fibre(16).

Lo stesso trattamento del diabete può avere effetti sul peso corporeo, di cui occorre informare il paziente: i troglitazoni determinano ritenzione idrica e ridistribuzione del tessuto adiposo, con aumento del grasso sottocutaneo. Al contrario la terapia insulinica determina vero e proprio incremento ponderale. Apporto di Carboidrati

L’apporto di carboidrati nel singolo pasto è particolarmente importante quando il paziente riceve trattamento insulinico, dal momento che solo un apporto costante consente di evitare un’ampia variabilità glicemica e/o la comparsa di ipoglicemie, in particolare nei pazienti che non sono in grado di adeguare il trattamento farmacologico in funzione dell’apporto di carboidrati. Il conteggio dei carboidrati consente al paziente in grado di effettuarlo una maggiore libertà, consentendogli di adeguare la terapia farmacologia al pasto da lui scelto, ottenendo al tempo stesso un miglior controllo della glicemia postprandiale. Quest’ultima è, secondo le linee guida dell’International Diabetes Federation (IDF), reperibili sul sito www.idf.org, tra gli obiettivi principali della terapia del diabete di tipo 2, al fine di prevenire le complicanze micro e macrovascolari. Le linee guida forniscono anche specifici target di trattamento per la glicemia post-prandiale (140 mg/dl) che dovrebbero essere perseguiti al pari di quelli, ampiamente noti, dell’emoglobina glicosilata. Viene pertanto stressato il concetto di carico glicemico, inteso come prodotto tra quantità di carboidrati e indice glicemico. L’apporto ideale di carboidrati è compreso tra 30 e 45 grammi ai pasti principali e tra 15 e 20 grammi agli spuntini, arrivando così a costituire dal 45 al 55% delle calorie totali. Sono raccomandati almeno 130 g di carboidrati al giorno. Distribuzione dei Pasti

I pazienti che maggiormente risentono della distribuzione dei pasti sono quelli in terapia con secretagoghi come solfaniluree o glinidi e quelli in terapia insulinica con 4 somministrazioni di analogo, rapido ai 3 pasti e lento al momento di coricarsi (schema basal–bolus). Nel caso in cui tali pazienti desiderino consumare spuntini con apporti superiori ai 15 grammi di carboidrati,richiedono boli supplementari di analogo rapido.

Contenuto Nutrizionale

La composizione ottimale in macronutrienti della dieta del diabetico è controversa (17–19): se da una parte un elevato contenuto di carboidrati può determinare rialzo pressorio (19), l’aumento del contenuto di grassi monoinsaturi può aumentare il rischio di aterosclerosi (20) e l’eccesso di proteine può promuovere lo sviluppo di nefropatia diabetica. Non ancora sufficientemente indagati risultano poi altri fattori quali la scelta dell’apporto proteico (animale o vegetale), dei grassi, delle fibre (soprattutto solubili), il contenuto di acidi, le modalità di cottura e di conservazione, il tasso e l’efficienza di digestione e assorbimento dei diversi nutrienti (21,22).

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L’apporto di alcool deve essere moderato (1 bicchiere di vino nella donne e 2 nel maschio al dì), e consumato preferibilmente pasto; il contenuto calorico deve essere considerato e pertanto ulteriori limitazioni sono necessarie se il paziente deve perdere peso.

Oltre al contenuto di carboidrati, anche gli altri componenti della dieta devono essere consumati con attenzione: in particolare il consumo di grassi saturi e trans va ridotto in considerazione della loro dimostrata aterogenicità. La Formulazione di una Prescrizione Dietetica

Occorre innanzi tutto conosce le abitudini alimentari e le preferenze dietetiche del paziente, valutarne l’attività fisica svolta, l’ambiente sociale, la scolarità, le esigenze di orario, ed altri eventuali ostacoli. L’anamnesi alimentare, eventualmente raccolta con la compilazione del diario alimentare compilato per 3–7giorni, può essere molto utile nel valutare i gusti, le abitudini, l’apporto calorico spontaneo e le preferenze.

I cambiamenti richiesti tra la dieta abituale e quella che si va a proporre devono tenere conto delle abilità del paziente e del suo stile di vita, devono essere proposti gradualmente, dando rilievo al calo ponderale, allo stile di vita, all’apporto quotidiano di carboidrati. Spesso è necessario adottare delle tecniche di motivazione, a sostegno dei sacrifici e delle rinunce che il paziente è convinto di dovere affrontare. Si sono inoltre dimostrati utili incontri educazionali a gruppi (24), soprattutto condotti utilizzando cibo reale, per aumentare le abilità del paziente nel riconoscere il contenuto calorico e di carboidrati del pasto. Durante le visite le nozioni vanno poi ripetute e vanno specificamente chieste notizie sul cibo e sulla attività fisica.

L’American Diabetes Association (ADA) formula per la TMN del diabetico le seguenti raccomandazioni (23): 1. Le fonti dei carboidrati da preferirsi sono: frutta, verdura, grano intero, legumi, latte

scremato 2. I grassi saturi non devono rappresentare più del 7% dell’apporto calorico ed il contenuto

dei grassi trans deve essere fortemente scoraggiato 3. L’apporto giornaliero di colesterolo deve essere inferiore a 200 mg 4. L’apporto proteico giornaliero deve rappresentare il 15 -20%, ma deve essere ridotto

nell’insufficienza renale lieve a 0,8 - 1 g/Kg/die ed a 0,8 g/Kg/die nella insufficienza renale grave

5. L’apporto di fibre utile alla correzione della glicemia è di 14 grammi per 1000 Kcal/die 6. E’ corretto un apporto di sodio di 2300 mg/die. Pazienti con scompenso cardiache o

devono invece scendere al di sotto dei 2000 mg 7. È prudente limitare l’apporto di saccarosio e tenerne conto nel conteggio dei carboidrati

in funzione dell’apporto insulinico 8. Saccarosio, alcol, dolcificanti non calorici sono sicuri quando consumati ai livelli

raccomandati; metà dell’apporto di carboidrati dell’alcol deve essere considerato nel conteggio dei carboidrati.

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BIBLIOGRAFIA

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Atti del Corso “La Nutrizione Clinica nelle Patologie Pancreatiche non Neoplastiche” 75

LA TERAPIA CHIRURGICA DELLA PANCREATITE

Stefano Bonilauri

U.O. Chirurgia Generale IIa - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

Le indicazioni e le basi delle decisioni operative nella chirurgia della pancreatite acuta conseguono ad una monitorizzazione clinica, bioumorale e strumentale della malattia che ne controllano l’evoluzione e ne modulano il trattamento. L’obiettivo è la definizione del grado di severità.

Attualmente la classificazione più utilizzata è quella basata sul consenso stabilito dall’international Symposium on Acute Pancreatitis tenutosi ad Atlanta nel 1992. La classificazione di Atlanta ha introdotto il termine Severe Acute Pancreatitis (pancreatite acuta severa o necrotica) in contrapposizione a quello di Mild Acute Pancreatitis (pancreatite lieve od edematosa).

La forma lieve ha una incidenza dell’80-90%, ha tendenza ad autolimitarsi e non richiede particolari procedimenti terapeutici aggiuntivi ad eccezione di una eventuale bonifica biliare urgente in caso di ittero seguita dalla colecistectomia. In questi casi la completa restituito ad integrum è praticamente la regola.

In un 10-15% dei casi la pancreatite assume un andamento severo caratterizzato da complicanze potenzialmente letali come la sepsi e la MOF con una mortalità anche superiore al 25% e possibili conseguenze sulla funzionalità endocrina ed esocrina della ghiandola pancreatica anche a distanza dalla guarigione. Oggi definiamo la pancreatite acuta severa come la presenza di di una o più complicanze sistemiche o locali.

La classificazione di Atlanta definisce sei complicanze sistemiche che caratterizzano la Pancreatite Acuta Severa: • Insufficenza respiratoria (PO2 60 mmHg o <) • Insufficienza renale (creatininemia >2 mg/dl dopo idratazione) • Shock ( pressione arteriosa sistolica di 90 mmHg o < per più di 15 min) • Sanguinamento dal tratto gastrointestinale > 500 ml/24h • Coagulopatie ( piastrine 100.000/mm³ o <; fibrinogeno > 1 gr/l e prodotti di

degradazione della fibrina > 80 µg/ml • Alterazioni metaboliche: calcemia < 7,5 mg/dl

In aggiunta vengono utilizzati criteri prognostici multiparametrici (Ranson-Glasgow-Apache II) ed unifattoriali (Pcr, Procalcitonina,IL-6-8, elastasi dei PMN e PAF) per discriminare le forme severe dalle lievi. Da un punto di vista patologico-morfologico sono state definite 4 entità che caratterizzano le forme severe: • Necrosi Pancreatica definita dalla presenza di un’area circoscritta o diffusa di

parenchima non vitale ipodenso alla Tc con necrosi del tessuto adiposo peripancreatico

Atti del Corso “La Nutrizione Clinica nelle Patologie Pancreatiche non Neoplastiche” 76

• Formazione di raccolte fluide pancreatiche e peritoneali (mancano di parete di granulazione)

• Pseudocisti Acuta definita come una raccolta di succo pancreatico ricco di enzimi, racchiusa da una parete di tessuto fibroso o di granulazione

• Ascesso Pancreatico definito come una raccolta purulenta intra-addominale circoscritta, di solito in prossimità del pancreas, contenente o meno modica componente di necrosi ghiandolare

Il paziente con pancreatite acuta severa entra nelle specifiche competenze di un team multidisciplinare e viene sottoposto ad una scrupolosa monitorizzazioneclinica-bioumorale-radiologica per: • Controllare l’evoluzione delle lesioni loco-regionali e delle implicazioni sistemiche • Supporto alle funzioni vitali alterate • Identificazione delle indicazioni chirurgiche • Elezione del timing dell’intervento

Negli ultimi anni le indicazioni chirurgiche sono state da una parte ridimensionate a favore di un trattamento conservativo favorito dalle migliorie nel trattamento medico intensivo e nella diagnostica per immagini, dall’altra dilazionate nel tempo ovvero al raggiungimento della stabilità clinica e della organizzazione del tessuto necrotico.

Le indicazioni chirurgiche in corso di pancreatite acuta severa accettate negli ultimi anni sono: • Infezione della necrosi e delle raccolte fluide con conseguente quadro clinico settico,

possibilmente dopo 3 settimane dall’insorgenza. C’è invece un generale consenso nel non includere nella chirurgia la necrosi sterile di > 50% del parenchima pancreatico con stabilità delle funzioni vitali, mentre sussistono controversie sull’indicazione a trattarla necrosi sterile che superi l’estensione del 50%( solo secondo alcuni autori se manca una buona risposta clinica dopo 1 settimana di supporto intensivo)

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• Grave quadro tossico con compromissione cardio-circolatoria e/o respiratoria refrattari a trattamento intensivo (situazione che si verifica nella prima settimana in circa il 10% dei casi)

• Emorragia retro-endoperitoneale da erosione arteriosa di tronchi pancreatici o peripancreatici. Puo’ insorgere in qualsiasi momento a partire dalla seconda settimana di malattia

• Complicanze o esiti tardivi: pseudo cisti, fistola pancreatica od enterica, ascesso pancreatico, stenosi colica.

Valutazioni tramite Tc nella pancreatite necrotica frequentemente rivelano una necrosi superficiale della ghiandola che racchiude tessuto vitale, questo ha portato ad abbandonare progressivamente l’esecuzione di interventi resettivi demolitivi a favore di un trattamento che combina il debridment del tessuto necrotico con associate diverse tecniche di drenaggio lavaggio post-operatorio con open od closed packing. Queste procedure rispetto a quelle demolitive sono associate a minore mortalità e ad un tasso minore di compromissione delle funzioni endocrine ed esocrine della ghiandola pancreatica ( 100% di diabete nella chirurgia resettiva versus 52% circa post-necrosectomia).

Sono queste le procedure chirurgiche attualmente adottate per lo sbrigliamento della necrosi pancreatica e peripancreatica: • Necrosectomia “open” con drenaggio-lavaggio continuo “closed” post-op della retro

cavità degli epiploon e della cavità addominale • Necrosectomia “open” con “open packing” e relaparotomie programmate • Necrosectomia “Lap” con drenaggio per via retroperitoneale o addominale con

successivi lavaggi programmati • Necrosectomia endoscopica trans-gastrica con lavaggio e drenaggio • Drenaggio e lavaggio percutaneo • Miste

L’approccio dovrebbe essere massimamente adattato al quadro del paziente o “Tailored”. Timing per la chirurgia

La presenza della sola necrosi pancreatica intesa come un’area pancreatica ipodensa alla Tc di 3 cm o di più del 30% della ghiandola storicamente è stata considerata sufficiente

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per l’indicazione chirurgica, tuttavia come visto attualmente per la necrosi sterile si preferisce un approccio conservativo. Questo è stato supportato da due studi che hanno analizzato l’andamento di un cospicuoi numero di pazienti (Büchler – Ashley) con necrosi sterile del parenchima trattati conservativamente con una mortalità di circa il 10%. Il sucesso delle strategie conservative è supportato dal progresso nel supporto intensivo di questi pazienti e dal miglioramento e disponibilità della diagnostica per quanto riguarda la Tc con mezzo di contrasto che ci permette di valutare la presenza e l’estensione della necrosi.

Tuttavia in letteratura mancano indicazioni precise sul timing per l’esecuzione della Tc in corso di pancreatite acuta. Molti studi hanno dimostrato che la formazione della necrosi puo’ iniziare diversi giorni dopo la presentazione della malattia e che la Tc spesso fallisce nel dimostrare precocemente la presenza di tessuto necrotico.

È altrettanto dimostrato che l’esecuzione della Tc nelle prime 48h non modifica i successivi provvedimenti terapeutici. Al contrario dopo circa 4 giorni la Tc raggiunge una sensibilità di circa il 100% nel dimostrare la presenza di tessuto necrotico. La Tc è attualmente essenziale non solo per la diagnosi di necrosi pancreatica ma anche per la diagnosi di infezione che costituisce una precisa indicazione all’intervento. Non essendo sufficienti i criteri clinici per la diagnosi differenziale tra necrosi sterile ed infetta è necessario eseguire un FNA Tc guidata del tessuto necrotico. Banks et al hanno dimostrato una sensibilità ed una specificità del 96,2% e del 99,4% per la diagnosi di necrosi ionfetta con FNA Tc giudata. Il timing per tale procedura si basa sul sospetto clinico di infezione. L’intervallo tra l’insorgenza della necrosi e la sua infezione è variabile e cresce vertiginosamente tre settimane dopo la presentazione. Si può dire quindi che l’infezione della necrosi sia un processo tempo-dipendente e quindi la negatività di un aspirato non esclude la possibilità di infezione in un secondo momento. Da quello che abbiamo detto per l’affinamento della diagnostica e delle strategie di supporto molti pazienti con necrosi pancreatica possono essere trattati conservativamente senza necessità di intervento chirurgico. Una minoranza di questi richiederà un intervento precoce in emergenza per il sospetto di una complicanza severa come un’ulcera perforata, un’ischemia colica o l’insorgenza di una sindrome compartimentale.

Per i pazienti con pancreatite severa litiasica le indicazioni alla ERCP entro 72h e alla colecistectomia sono ormai standardizzate. Anche se molti dei pazienti con necrosi sterile si giovano di un trattamento conservativo, una minoranza che assumerà un decorso clinico severo richiederà l’intervento chirurgico ma anche in questo mancano indicazioni standardizzate. L’infezione della necrosi rimane una chiara indicazione all’intervento chirurgico (fino al 100% di mortalità se non trattati) anche se il timing e la tecnica da adottare sono dibattuti. Recentemente è stato proposto di ritardare l’intervento se consentito da un buon supporto intensivo in modo da arrivare al tavolo operatorio con un paziente in condizioni più stabili e consentire al tessuto necrotico di organizzarsi facilitando l’intervento di necrosectomia. Questo può essere raggiunto con il posizionamento di drenaggi per via percutanea prima dell’intervento.

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Tecnica Chirurgica

Un esempio dei provvedimenti terapeutici che possiamo adottare in rapportoa alla tipologia delle manifestazioni anatomocliniche ed alla cronologia della loro comparsa è: • Urgenti (eseguiti nella I settimana): si identificano con la sfinterotomia endoscopica

(entro le 72h) per ittero e/o colangite o in drenaggio lavaggio endo retro peritoneale per compromissione multi organo resistente a tre giorni di trattamento intensivo;

• Precoci (esguiti a partire dalla III settimana): si esplicano in necrosectomia-sequestrectomia seguita da drenaggio lavaggio endo-retroperitoneale (metodo chiuso) o da ripetute esplorazioni chirurgiche (metodo aperto o laparostomico)

• Tardivi (oltre la IV settimana) indirizzati al trattamento di pseudocisti, ascesso pancreatico, fistole pancreatiche, stenosi coliche ecc.

La più frequente indicazione all’intervento è costituita dalla necrosi infetta la cui rimozione è perentoria.

Tempi dell’intervento di Necrosectomia e lavaggio • L’incisione di scelta è la laparotomia mediana xifo-pubica • Esplorazione della cavità addominale e campionatura a scopo batteriologico del liquido

libero, zone spia: radice del mesentere, recesso duodenale superiore, docce parietocoliche

• Ampia apertura del legamento gastrocolico a scoprire la retro cavità degli epiploon ed ampia manovra di Kocher

• Necrosectomia o Sequestrectomia con digitoclasia • Drenaggi di afflusso deflusso a livello della parete posteriore della testa e del corpo del

pancreas e della parete anteriore, se presenti colate dreggio a livello delle doccie parietocoliche.

• Open Packing (laparostomia) o Closed Packing A tutti i drenaggi utilizzati sono praticati una serie di fori che garantiscono lo scarico

del lavaggio e dell’intera raccolta lungo la completa estensione della stessa.

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Quanto descritto riguarda il drenaggio di una forma di malattia che coinvolga la totalità della ghiandola, il numero dei drenaggi potrà essere regolato in funzione dell’eventuale settorialità della pancreatite.

I lavaggi post-operatori hanno lo scopo di rimuovere i detriti necrotici residui o quanto si va maturando nel tempo tramite l’azione meccanica del liquido di perfusione. Al fine di evitare emorragie il lavaggio va iniziato 24 h dopo l’atto chirurgico e dev’essere sospeso 24h prima di ogni controllo radiologico Tac per evitare di evidenziare false raccolte residue. In funzione dell’estensione delle colate vengono utilizzati da 1 a 8 litri al giorno di soluzione fisiologica in infusione continua. Il lavaggio viene progressivamente ridotto e sospeso in funzione dell’andamento clinico del paziente e dei controlli Tac.

Le complicanze di tale intervento sono: • Le raccolte residue da trattare se possibile mobilizzando i drenaggi gia posizionati o per

via radiologica o mini-invasiva e in ultima analisi con chirurgia tradizionale • Le Fistole Pancreatiche o intestinali di varia natura per si cercherà prima una risoluzione

con approccio conservativo (incidenza tra il 15% ed il 76%) • Stenosi Intestinali • Emorragie sono la complicanza che più di ogni altra mette a repentaglio la vita del

paziente, sostanzialmente si tratta nella gran parte dei casi di emorragie venose a carico della vena mesenterica superiore o arteriose per rottura di pseudo aneurismi delle arterie gastroduodenale, splenica ed epatica. Il primo fattore responsabile è per azione litica degli enzimi pancreatici, poi per decubito dei drenaggi. Al trattamento chirurgico dovrebbe precedere l’esame angiografico con tentativo di embolizzazione.

• Deiscenze di ferita infezioni • Insufficienza Esocrina – Endocrina: i limitati studi sugli esiti funzionali a distanza hanno

offerto risultati disparati ma orientativamente si può ritenere che almeno la metà degli operati con necrosi superiore al 50% presenta un’insufficienza funzionale pancreatica clinicamente apprezzabile. L’insufficienza endocrina, espressa in franco diabete incide più frequentemente nella misura del 25-45% mentre quella esocrina è verificabile nel 10-25% degli operati.

La letteratura riporta percentuali di mortalità differenti a seconda delle tecniche utilizzate e del timing scelto anche se le più autorevoli si attestano rispettivamente: • Debridment chirurgico laparotomico della sola parte di ghiandola con evidenza TAC di

necrosi alla 4a settimana con posizionamento di duplice drenaggio (Penrose e Jackson-Pratt) riporta una mortalità del 6,2%

• Trattamento laparotomico con necrosectomia e posizionamento di drenaggi per lavaggio in continuo, riporta una mortalità del 10,6%

• Trattamento laparostomico con una media di reinterventi di 2,7 per paziente, riporta una mortalità variabile a seconda delle casistiche tra il 15-56%

Ovviamente un confronto diretto di questi dati sarebbe poco significativo, mancando un confronto tra casistiche omogenee dal punto di vista della classificazione di gravità della patologia.

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PANCREATITE CRONICA L’eziologia della pancreatite cronica è multifattoriale; circa il 65-70% dei casi sono

attribuiti all’abuso di alcool. Il trattamento di questa patologia comprende diversi approcci: conservativo,

endoscopico e chirurgico. Il trattamento primario della pancreatite cronica è indirizzato soprattutto alle complicanze di questa malattia che sono il dolore addominale, il malassorbimento, e il conseguente calo ponderale, il diabete, le pseudocisti, la trombosi della vena splenica con conseguenti varici gastriche e possibile sanguinamento, la stenosi della via biliare principale (colestasi), la stenosi e l’ostruzione duodenale e il cancro pancreatico. La scelta del trattamento dipende dall’entità di tali complicanze e dalle condizioni generali del paziente; alcuni pazienti possono essere trattati efficacemente in modo conservativo, mentre altri trovano vantaggio soltanto in un approccio operativo. Da qui l’importanza di una accurata valutazione del paziente che necessita di un team multidisciplinare, con una buona collaborazione.

Il trattamento conservativo rappresenta la prima linea terapeutica in quei pazienti con scarso dolore e sintomi soprattutto malassorbitivi (steatorrea), con supplemento di enzimi pancreatici.

Alcuni pazienti possono trarre beneficio dal posizionamento endoscopico di uno stent in caso di stenosi del coledoco. L’approccio endoscopico dovrebbe essere la prima scelta terapeutica in pazienti con una colestasi acuta prima di essere sottoposti all’intervento chirurgico. In caso di pseudocisti sintomatiche è possibile un tentativo di risoluzione endoscopica, tranne nel caso di cisti a contenuto emorragico, per il rischio di non riuscire a controllare un possibile sanguinamento. Comunque la risoluzione a lungo termine del dolore e il recupero del peso corporeo sono sicuramente migliori nei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico. TRATTAMENTO CHIRURGICO

Le procedure chirurgiche possono essere suddivise in due categorie: - Interventi di drenaggio: che hanno come razionale quello di preservare il parenchima

pancreatico funzionante per prevenire un’ulteriore perdita della funzione pancreatica. - Interventi resettivi: quando non c’è dilatazione del dotto pancreatico, quando la testa del

pancreas è aumentata di volume o vi è un sospetto di neoplasia pancreatica.

INTERVENTI DI DRENAGGIO La papillosfinterotomia è stata una delle prime procedure chirurgiche proposte per

pazienti con dilatazione del dotto pancreatico da presunta ostruzione o stenosi della papilla di Vater. Tale procedura era associata ad uno scarso successo a lungo termine per quanto riguarda il miglioramento della sintomatologia dolorosa, ciò ad indicare che una stenosi della papilla di Vater non è la causa del dolore nella pancreatite cronica, né la causa della dilatazione duttale.

Invece il drenaggio diretto duttale-enterico (intervento di Puestow e la sua modificazione da parte di Partington e Rochelle) ha mostrato dei risultati decisamente migliori. L’intervento di Puestow includeva la resezione della coda del pancreas con

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l’apertura del dotto pancreatico prossimalmente lungo il corpo pancreatico che veniva anastomizzato con il digiuno attraverso il confezionamento di un’ansa ad Y sec. Roux. Partington e Rochelle hanno modificato l’intervento di Puestow eliminando la resezione della coda del pancreas. Una più recente procedura chirurgica prevede l’apertura del Wirsung, anche quando è di calibro < 5 mm, con il confezionamento di una pancreatico-digiunostomia.

I vantaggi di questo tipo di interventi, derivanti dalla conservazione di parenchima pancreatico funzionante, sono una mortalità perioperatoria < 1% e una morbidità < 10% . Nel 30-50% dei pazienti trattati con queste procedure si è osservata una persistenza o recidiva della sintomatologia dolorosa in un follow-up prolungato (>5 anni). Inoltre i pazienti con un aumento di volume della testa pancreatica ma senza dilatazione del dotto pancreatico sembrano non trarre beneficio da questi trattamenti.

Un recente studio controllato e randomizzato ha dimostrato che in pazienti con un Wirsung dilatato a causa di un’ostruzione i migliori risultati si sono ottenuti con un intervento di drenaggio piuttosto che con il trattamento endoscopico. INTERVENTI RESTRITTIVI

Duodenocefalopancreasectomia (intervento di Kausch-Whipple): molti chirurghi ritengono che questo sia il gold standard per i pazienti affetti da dolore da pancreatite cronica, basandosi sul principio di Longmire secondo cui il responsabile della sintomatologia dolorosa starebbe nella testa del pancreas. Indicazioni: - Dotto pancreatico non dilatato ( < 6 mm misurato a livello del corpo ghiandolare) - Testa del pancreas aumentata di volume, spesso contenete cisti e calcificazioni - Dopo un inefficace intervento di drenaggio - Sospetto di neoplasia della testa del pancreas.

Dopo duodenocefalopancreasectomia più dell’80% dei pazienti presenta una risoluzione permanente del dolore, percentuale molto maggiore rispetto agli interventi di drenaggio. Nei centri specializzati e di maggiore esperienza il tasso di mortalità perioperatoria è molto basso ( < 2%) e la morbidità circa 40%. Svantaggi: possibilità di sviluppo di diabete, dumping sindrome, diarrea, ulcera peptica e dispepsia, esocrina ed endocrina insufficienza pancreatica.

Per ovviare a questi disturbi postoperatori è stata introdotta la tecnica con preservazione del piloro ( la dumping sindrome e le gastriti da reflusso biliare possono essere ridotte conservando la parte distale dello stomaco, il piloro e al prima porzione del duodeno). Ciò è associato ad un recupero del peso corporeo nel 90% dei pazienti ed una risoluzione duratura del dolore nel l’85-90% dei casi. Svantaggi: transitorio rallentamento dello svuotamento gastrico, rischio di colangiti. Recenti studi (livello di evidenza I e II) hanno confrontato la tecnica classica e quella con conservazione del piloro, senza però dimostrare reali vantaggi dell’una o dell’altra tecnica.

La duodenocefalopancreasectomia è stata originariamente introdotta per il trattamento della patologia maligna della testa del pancreas o periampullare e come tale è una resezione oncologica. Per una patologia benigna come la pancreatite cronica non c’’è alcuna ragione di asportare anche organi peripancreatici (la porzione distale dello stomaco, il

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duodeno e la parte distale del coledoco) che sono coinvolti solo secondariamente dal processo infiammatorio cronico. Da qui lo sviluppo di tecniche “organ-preserving”.

Resezione della testa pancreatica con conservazione del duodeno (intervento di Berger): si tratta di una resezione subtotale della testa del pancreas lasciando un piccolo margine di tessuto pancreatico associato al duodeno e contenente il coledoco distale; si lascia inoltre una pasticca di tessuto pancreatico a ridosso della vena cava durante l’asportazione del processo uncinato. Successiva ricostruzione su ansa ad Y sec. Roux. Basso tasso di mortalità (1%) e di morbidità (15%), inferiore a quello della duodenocefalopancreasectomia. Vantaggi: migliore recupero del peso corporeo, migliore tolleranza glucidica e maggiore capacità di secrezione insulinica rispetto alla duodenocefalopancreasectomia. Ma l’incidenza di sviluppo di diabete mellito nel follow-up a lungo termine è simile a quella seguente alla duodenocefalopancreasectomia (20%). Il 90% dei pazienti sottoposti a resezione della testa pancreatica con conservazione del duodeno hanno una risoluzione a lungo termine del dolore. La funzione endocrina sembra essere meglio conservata dopo resezione della testa pancreatica con conservazione del duodeno rispetto ai pazienti che non sono stati sottoposti all’intervento chirurgico , probabilmente grazie alla risoluzione dell’ostruzione e dell’ipertensione duttale.

Modificazioni di questa tecnica sono state fatte da Frey e Bern per ridurre il rischio di sanguinamento in caso di ipertensione portale.

Pancreasectomia distale (con conservazione della milza, quando possibile) 10% dei casi di pancreatite cronica: in caso di pseudocisti, fistole, stenosi del Wirsung e sospetto di neoplasia che interessano la coda del pancreas.

Pancreasectomia centrale: nei rari casi di pancreatite cronica focale e post-traumatica che coinvolgono la parte centrale della ghiandola. Solo in casi ben selezionati. Se la lesione non è ben enucleabile si procede o ad una duodenocefalopancreasectomia o ad una pancreasectomia distale, dipende dalla sede esatta della lesione. Ricostruzione su ansa ad Y sec Roux. Le maggiori complicanze sono le fistole pancreatiche e l’insufficienza pancreatica.

Pancreasectomia totale con autotrapianto di cellule insulari pancreatiche nel fegato: ancora in fase di studio.

In conclusione, non c’è ancora un accordo definitivo su quale sia il miglior trattamento della pancreatite cronica sintomatica.

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LA TERAPIA MEDICA DELLA PANCREATITE E FOLLOW-UP

Giovanni Fornaciari

U.O. Medicina IIIa e Gastroenterologia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

LA PANCREATITE ACUTA

Negli ultimi anni sono stati pubblicati molti articoli in merito alla terapia della pancreatite acuta (PA) ma la gran parte degli studi riguardavano il modello animale e solo in parte quanto viene dimostrato sull’animale è trasferibile nell’uomo. Inoltre nella PA, soprattutto nelle forme severe della malattia, è difficile pianificare studi clinici in grado di fornire risposte chiare dal punto di vista statistico in merito ai vantaggi di nuove terapie in precedenza validate con studi sperimentali. I principali campi di interesse sono costituiti, in questo ambito, non solo dalla ricerca di farmaci in grado di ridurre la “infiammazione” del pancreas, ma anche nella prevenzione della infezione che può insorgere sulla necrosi del pancreas e sul trattamento del dolore nella fase acuta e nella fase della ripresa della alimentazione. In questa relazione ci occuperemo solo della terapia medica della pancreatite acuta escludendo la terapia endoscopica e la nutrizione clinica già trattate da altri autori.

La PA può essere distinta in due forme:

• Forme lievi: costituiscono la maggioranza dei casi (70–80%) e si risolvono di regola in pochi giorni. Per questi casi il problema terapeutico più importante è riconoscere la eziologia per potere emendare la causa evitando, in questo modo, il rischio di recidiva. In questi casi la terapia non gioca un ruolo decisivo.

• Forme gravi: si associano a necrosi pancreatica più o meno estesa ed a complicanze locali ed extra-pancreatiche. In questi casi la gestione deve essere multidisciplinare coinvolgendo gastroenterologo, chirurgo, nutrizionista, endoscopista e radiologo.

La terapia, accanto al trattamento nutrizionale ed endoscopico, si fonda sui seguenti

presidi: • Terapia di supporto: per i problemi emodinamici (amine simpatico-mimetiche, inotropi

positivi oltre ovviamente alla reidratazione); • Terapia del dolore: possono essere impiegati FANS, tramadolo, oppiacei, meperidina; • Inibizione della secrezione gastrica: utile anche, unitamente al digiuno ed

all’aspirazione naso-gastrica, per ridurre la secrezione pancreatica. In generale vengono utilizzati gli inibitori della pompa protonica anche se la ranitidina sarebbe preferibile per la compatibilità con le miscele nutrizionali precostituite;

• Antiproteasici: oramai superato l’utilizzo della aprotinina l’unico farmaco oggi disponibile è il gabesato mesilato studiato, con risultati controversi, in alcuni trial. Una metanalisi del 2004 dimostra che il farmaco riduce la mortalità nelle sole forme gravi e pertanto le linee guida italiane, unitamente solo a quelle giapponesi per la verità, ne consiglia l’impiego con inizio precoce per un periodo massimo di sette giorni;

• Somatostatina ed octreotide: anche su questi farmaci non vi è consenso nelle varie metanalisi e linee-guida ma in generale il loro impiego non è raccomandato. Vi è solo qualche evidenza per il sottogruppo di pazienti con pseudocisti sintomatica allorché non vi è ancora la possibilità di sottoporre il paziente a intervento chirurgico;

• Antibiotici: anche in questo campo le opinioni sono divergenti. Da tutti gli studi emerge la utilità della terapia antibiotica allorché si evidenzia una infezione del tessuto

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pancreatico necrotico ma è meno definito il ruolo della profilassi antibiotica. Una recente metanalisi della Cochrane ha evidenziato che la profilassi antibiotica riduce la mortalità ma non la percentuale di infezione della necrosi o la necessità di intervento chirurgico. È stato però chiaramente definito che la profilassi antibiotica non presenta un rischio aggiuntivo (ad esempio di infezioni micotiche) e che, se la scelta viene posta, deve comunque essere iniziata appena possibile e proseguita per almeno una o meglio due settimane. I farmaci di scelta dovrebbero essere i carbapenemici (imipenem, meropenem) che sono risultati superiori alla pefloxacina e alla combinazione chinolonici + metronidazolo;

• Altri farmaci: l’atropina è controindicata. Un recente studio sulla profilassi con probiotici è risultato negativo (incremento della mortalità nel gruppo trattato) anche se i risultati nella pancreatite sperimentale sull’animale erano confortanti.

LA PANCREATITE CRONICA

La pancreatite cronica (PC) rimane un enigma nel campo della gastroenterologia sia per quanto riguarda la eziologia e la patogenesi (una larga parte delle PC non riconosce una genesi sicura), sia per quanto riguarda la diagnosi, sia infine per l’aspetto terapeutico. Non esiste infatti ovviamente una terapia eziologica anche se l’abbandono dell’abitudine etilica nella PC su base alcolica determina spesso un miglioramento del dolore. Inoltre nonostante l’importanza della malattia che presenta una prevalenza stimata fra lo 0.5 ed il 5% e lo sviluppo di nuovi farmaci, non esiste un chiaro consenso sul trattamento della PC. Anche per questo campo ci occuperemo solo della terapia medica attualmente disponibile.

La terapia della PC punta sui seguenti obiettivi:

• Controllo del dolore: difficile da acquisire anche perché la patogenesi non è completamente definita. Potrebbe essere legato ad infiammazione perineurale, a distensione dei dotti pancreatici o ad ostruzione dei medesimi;

• Miglioramento del malassorbimento: i principali problemi in questo senso sono costituiti dalla diarrea e dalla steatorrea. In ultima analisi però il principale obiettivo è costituito dall’arrestare il calo ponderale.

I farmaci che possono essere utilizzati per acquisire tali obiettivi sono i seguenti: • Analgesici: la maggioranza dei pazienti con PC ha dolore e necessita di terapia. Gli

analgesici oppiacei presentano la forte limitazione della dipendenza che insorge ben presto ma acquisire il controllo del dolore è la vera priorità. Se i farmaci non narcotici (FANS o paracetamolo) falliscono si può iniziare con il tramadolo che determina minore dipendenza. Utile anche l’associazione con antidepressivi; nelle forme avanzate, però, il ricorso agli oppiacei è una necessità

• Enzimi pancreatici: esiste una rationale per l’utilizzo di questi farmaci per ambedue gli scopi (controllo del dolore e miglioramento del malassorbimento). Infatti gli enzimi pancreatici possono inibire il feed-back che porta la colecistochinina (CCK), non più denaturata dalla tripsina, deficiente nella PC, ad indurre un incrementato output enzimatico peggiorando così il dolore. Solo gli enzimi pancreatici però non “enteric-coated” si sono rivelati utili per questo scopo in quanto i più moderni preparati “enteric-coated” non hanno dato risultati negli studi clinici. È pertanto necessario associare, a tali preparati un inibitore di pompa o un H2 antagonista per evitarne la degradazione gastrica e quindi la perdita dell’attività sul malassorbimento. I farmaci “enteric-coated” devono essere riservati alle forme di PC senza dolore. È attualmente in corso una revisione della Cochrane su questi farmaci;

• Blocco del plesso celiaco: viene eseguito sotto guida eco-endoscopica e si è rilevato utile nei casi di dolore refrattario;

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• Ocreotide: si è rivelato utile nel controllo del dolore nelle forme refrattarie ad altre terapie;

• Antiossidanti: vi sono alcuni dati non definitivi sull’utilizzo di selenio, metionina e vitamina C ;

• Antagonisti della colecistochinina: in studio la loxiglumide antagonista recettoriale della CCK. I risultati sono preliminari ma confermano l’importanza della CCK e del feed-back regolativo nel determinismo del dolore.