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In press – Approvato per Pubblicazione Rivista SSIS del Veneto 2/2009 Juliana Raffaghelli Università Ca’ Foscari di Venezia j.raff[email protected] Insegnare in Contesti Culturali Allargati Rappresentazioni Sociali, Discorso pedagogico e identità professionale degli insegnanti per il ripensamento dell’educazione interculturale ABSTRACT - Italiano Metafore di rottura, allargamento, espansione e attraversamento di confini, vengono adottate quotidianamente nei discorsi che fanno riferimento alla crisi che affrontano i sistemi dell’istruzione. Fra queste la pedagogia interculturale sembra di introdurre una risposta che non va ad occuparsi di un fenomeno puntuale all’interno di questo scenario critico (pedagogia dell’accoglienza), ma che potrebbe estendersi come forma di ripensamento di teoria e prassi educativa (Coulby, 2006; Borrelli, 2006; Portera, 2008). La professionalità degli insegnanti, al centro del dibattito di cambiamento educativo (Commissione Europea, 2007), si trova dinnanzi a una sfida che reclama una nuova attenzione ai saperi, ai contesti istituzionali, alla relazione con studenti e con colleghi (Favaro, 2002). Tale sfida impone una profonda riflessione sulla propria identità professionale, come processo di ripensamento del sé e l’alterità, ovvero via maestra per la riformulazione di pratiche pedagogiche, stando alle linee di ricerca sulla professionalità docente (Knowles, 1992; Connelly & Clandinin, 1999; in ambito europeo, Margiotta, 2007; Altet, Charlier, Paquay, Perrenoud, 2006; Beijaard, Meijer, Verloop, 2004; Bolivar Botía, Fernandez Cruz, Molina Ruiz, 2004). Ne consegue che una pedagogia interculturale può realizzarsi unicamente attraverso una professionalità che esperimenta la dimensione di sensibilità interculturale come strumento principe di ristrutturazione di processi di apprendimento e insegnamento in “contesti culturali allargati” –definiti come spazi di rinegoziazione di senso per comprendere e apprendere la differenza-. In questo articolo si presenta uno studio esplorativo delle rappresentazioni sociali degli insegnanti sull’intercultura, come metodo specifico (Moscovici, 1984; Flament & Rouquette, 2003, Elamé, 2007) che ha consentito di mappare un immaginario concettuale su pratiche pedagogiche(livello micro-sociale) legato a costellazioni identitarie degli insegnanti (livello psicologico). Tale esplorazione (strutturale-quantitativa e discorsiva-qualitativa) ha portato ulteriormente alla ricostruzione di uno schema analitico su come possono essere associati livelli di sensibilità interculturale nel docente, al tipo di discorso pedagogico e setting formativo adottato (dimostrante maggiore o minore apertura verso una pedagogia interculturale). ABSTRACT - English Metaphors of breaking, enlarging, expanding and crossing boundaries, are applied today to educational systems, regarding the deep crisis they are facing. Among these metaphors, intercultural pedagogy seems to introduce an answer that not only serves specific situations within this critical landscape (hosting immigration), but could also be considered as a way to rethink educational theory and practices (Coulby, 2006; Borrelli, 2006; Portera, 2008). Teachers’ professionalism is at the center of the debate about 1

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In press – Approvato per Pubblicazione Rivista SSIS del Veneto 2/2009Juliana RaffaghelliUniversità Ca’ Foscari di [email protected]

Insegnare in Contesti Culturali AllargatiRappresentazioni Sociali, Discorso pedagogico e identità professionale

degli insegnanti per il ripensamento dell’educazione interculturale

ABSTRACT - Italiano

Metafore di rottura, allargamento, espansione e attraversamento di confini, vengono adottate quotidianamente nei discorsi che fanno riferimento alla crisi che affrontano i sistemi dell’istruzione. Fra queste la pedagogia interculturale sembra di introdurre una risposta che non va ad occuparsi di un fenomeno puntuale all’interno di questo scenario critico (pedagogia dell’accoglienza), ma che potrebbe estendersi come forma di ripensamento di teoria e prassi educativa (Coulby, 2006; Borrelli, 2006; Portera, 2008). La professionalità degli insegnanti, al centro del dibattito di cambiamento educativo (Commissione Europea, 2007), si trova dinnanzi a una sfida che reclama una nuova attenzione ai saperi, ai contesti istituzionali, alla relazione con studenti e con colleghi (Favaro, 2002). Tale sfida impone una profonda riflessione sulla propria identità professionale, come processo di ripensamento del sé e l’alterità, ovvero via maestra per la riformulazione di pratiche pedagogiche, stando alle linee di ricerca sulla professionalità docente (Knowles, 1992; Connelly & Clandinin, 1999; in ambito europeo, Margiotta, 2007; Altet, Charlier, Paquay, Perrenoud, 2006; Beijaard, Meijer, Verloop, 2004; Bolivar Botía, Fernandez Cruz, Molina Ruiz, 2004). Ne consegue che una pedagogia interculturale può realizzarsi unicamente attraverso una professionalità che esperimenta la dimensione di sensibilità interculturale come strumento principe di ristrutturazione di processi di apprendimento e insegnamento in “contesti culturali allargati” –definiti come spazi di rinegoziazione di senso per comprendere e apprendere la differenza-. In questo articolo si presenta uno studio esplorativo delle rappresentazioni sociali degli insegnanti sull’intercultura, come metodo specifico (Moscovici, 1984; Flament & Rouquette, 2003, Elamé, 2007) che ha consentito di mappare un immaginario concettuale su pratiche pedagogiche(livello micro-sociale) legato a costellazioni identitarie degli insegnanti (livello psicologico). Tale esplorazione (strutturale-quantitativa e discorsiva-qualitativa) ha portato ulteriormente alla ricostruzione di uno schema analitico su come possono essere associati livelli di sensibilità interculturale nel docente, al tipo di discorso pedagogico e setting formativo adottato (dimostrante maggiore o minore apertura verso una pedagogia interculturale).

ABSTRACT - English

Metaphors of breaking, enlarging, expanding and crossing boundaries, are applied today to educational systems, regarding the deep crisis they are facing. Among these metaphors, intercultural pedagogy seems to introduce an answer that not only serves specific situations within this critical landscape (hosting immigration), but could also be considered as a way to rethink educational theory and practices (Coulby, 2006; Borrelli, 2006; Portera, 2008). Teachers’ professionalism is at the center of the debate about educational shifting (European Commission, 2007); it faces a challenge that claims for a new focus on knowledge, institutional contexts, relationships with students and colleagues (Favaro, 2002). This challenge imposes a profound reflection on the own professional identity, as a process of rethinking of the self and otherness; which i sto say, a via maestra to reformulate pedagogical practices, taking into account the research background on teachers’ professionalism (Knowles, 1992; Connelly & Clandinin, 1999; in ambito europeo, Margiotta, 2007; Altet, Charlier, Paquay, Perrenoud, 2006; Beijaard, Meijer, Verloop, 2004; Bolivar Botía, Fernandez Cruz, Molina Ruiz, 2004). It follows the consideration that intercultural pedagogy can be realized only through a professionalism that experiences the dimension of intercultural sensibility (Bennet, 1997) as main tool to restructure learning/teaching processes in “enlarged cultural contexts” –defined as workspaces to renegotiate sense and to “learn the difference”. A study on Social Representations of teachers on Interculturalism is introduced in this article. SR are considered an specific method (Moscovici, 1984; Flament & Rouquette, 2003, Elamé, 2007) to map conceptions on pedagogical practices (mirco-social level) that i sto be linked to teachers’ identity constellations (psychological level). This exploratorion (structural-quantitative and discursive-qualitative) has taken later to the reconstruction of an analytical scheme about how can be associated the several levels of teachers’ intercultural sensibility, to the type of pedagogical discourse and the learning settings adopted (more or less open towards an intercultural pedagogy).

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Sommario

1. La sfida educativa: (ri)conoscere il destino planetario.....................................................................32. La sfida educativa interculturale si plasma nell’identità professionale dell’Insegnante..................73. Un’indagine esplorativa: rappresentazioni sociali sull’intercultura, discorso pedagogico e setting formativo..............................................................................................................................................9

3.1. Metodologia: Analisi della Struttura della Rappresentazione Sociale sul concetto “Intercultura”..................................................................................................................................103.2. Risultati....................................................................................................................................11

Scheda analitica: Relazioni fra livelli di sensibilità interculturale (Bennet, 2004), tipo di discorso didattico, identità professionale, approccio alla diversità culturale nel contesto di apprendimento............................................................................................................................19

4. A modo di Conclusione.................................................................................................................204.1. Insegnare e Apprendere in contesti culturali allargati: nuovi percorsi identitari per la professionalità docente...................................................................................................................20

5. Bibliografia.....................................................................................................................................23

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1. La sfida educativa: (ri)conoscere il destino planetario Si reclama all’istruzione l’enorme compito di generare una società nuova, di promuovere una

competitività basata nella coesione sociale, quale è stato dichiarato negli obiettivi di Lisbona (Commissione Europea, 2000).

Si reclama ai sistemi educativi, la messa in atto di strategie formative, di dialogo degli attori sociali in processi di costruzione di senso comunitario, fuori e dentro all’aula, considerando la necessità di generare linee di intervento per una umanità più consapevole del proprio destino e delle opportunità esistenti nel concepire un nuovo modello di sviluppo: tale posizione è stata fondamentalmente raccolta dall’UNESCO (2003), attraverso il report conclusivo della presidenza di F. Mayor (1999)1

Che le politiche di internazionalizzazione siano di rilevanza per lo sviluppo dell’educazione lo si capiva già negli anni ’702. Da allora, lo sviluppo di quelle prime tendenze di cambiamento socio-economico verso la mondializzazione, si è verificato in modo intenso, molto più di quanto immaginabile, non essendo accompagnato con uguale forza di presenza dai sistemi educativi. Ma quale formazione, può veramente onorare l’ impegno odierno di cambiamento dei sistemi educativi? Non di certo quella che stenta a ritenere le persone all’interno del sistema scolastico, quella che fallisce essenzialmente nel convocare i lavoratori, quella che ha nulla significatività per i cittadini, raccogliendo in questa frase i diversi spazi nei quali la sostenibilità educativa avrebbe l’opportunità di essere affrontata. Il destino planetario3 del genere umano, del quale ci parla Morin (1999), 1 Non basta ripensare i valori che stanno alla base di un’educazione nuova, un’educazione per le persone che debbono affrontare un mondo cambiante: si tratta anche, come ci invita a pensare Federico Mayor, di pensare ad un altro mondo, di un mondo che fa fronte alle problematiche non soltanto dello sviluppo economico, ma anche della povertà e delle disuguaglianze, del conflitto, della devastazione ambientale. Questo autore vede l’educazione in chiave della sua efficacia: la pensa come una leva strategica per dare risposta ad un nuovo sviluppo. In un mondo in profonda crisi dei suoi modelli di riferimento –per il successo, per la crescita, per il comportamento delle società-, insomma, ai problemi globali bisogna dare risposte attraverso un’altra globalizzazione, quella della democratizzazione dell’educazione e l’interculturalità come asse della stessa, un’educazione dunque volta a capire la mondialità, i problemi dei rapporti fra Sud e Nord del mondo, la capacità di creazione di ricchezza non in termini materiali ma culturali attraverso la rivisitazione di una storia che è stata, tutto sommato, sempre storia di rapporti nel mondo –soprattutto negli ultimi ‘500 anni-, e le opzioni di futuro; Mayor parla così, e secondo il termine coniato nella dichiarazione di Copenaghen, nel 1995, di uno sviluppo umano. La linea di pensiero di Mayor da sicuramente continuità alla preoccupazione dell’innovazione nell’educazione, e di un’educazione per i talenti, ma aggiunge soprattutto approfondimenti per gli orizzonti educativi: se Delors aveva posto che occorre sviluppare talenti per cambiare il mondo, Mayor pone la questione di come possa e debba essere cambiato il mondo per essere all’altezza di uno sviluppo a misura di talenti. Esiste un traguardo dunque, un futuro che benché non sia scritto da nessuna parte e per questo non si possa prevedere, si deve comunque preparare, attraverso un nuovo contratto sociale, scientifico, etico, che interroga i parametri del benessere e della cosiddetta “ricchezza”.2 Cfr. il Rapporto Faure (1972), dove i sistemi educativi vengono fortemente questionati a livello della sua autoreferenzialità, in vista dell’incipiente fenomeno dell’esaurimento del modello industriale; e soprattutto per la mancanza di innovatività, richiamando a creare una nuova cultura dell’educazione con l’inclusione di tutte le “nuove” teorie delle scienze dell’educazione, aprendo la porta ad un graduale spostamento di prospettiva dall’insegnamento all’apprendimento nella programmazione educativa; delle scienze e tecnologie come fenomeni che si “sviluppano” attraverso l’educazione; e la considerazione fondamentale dell’educazione come componente di sviluppo della società, che non appartiene come fenomeno al solo ambito scolastico. Tutto questo dibattito viene riportato su una prospettiva internazionale, come uno dei focus del rapporto: l’imprinting di quegli anni dimostrano un’interesse sulla cooperazione allo sviluppo –e lo sviluppo stesso, basato sull’educazione, come diritto umano-. La cooperazione in materia di educazione, seguendo questa linea appena accennata, avrebbe tre principali forme: a) l’organizzazione di scambi di informazioni, allievi ed informazione scientifica per arricchire i metodi e contenuti dell’insegnamento; b) la promozione della pace e la comprensione internazionale attraverso l’educazione; c) l’aiuto dell’educazione nell’interesse dello sviluppo economico e sociale per i cosidetti “paesi in via di sviluppo”.3 E’ importante precisare come il termine “planetarizzazione” divenga più complesso e si scosti sostanzialmente dall’essere un semplice sinonimo di “globalizzazione”, poiché esso si delinea come termine radicalmente antropologico. Si parla per tanto di due processi di mondializzazione, di una duplice elica di mondializzazione, che sono il motore dello sviluppo umano: un processo di mondializzazione della dominazione, della colonizzazione e dell’espansione dell’Occidente; l’altro di mondialilzzazione delle idee umaniste, emancipatrici, internazionaliste, portatrici di una coscienza comune dell’umanità. Se il primo processo comincia come egemonia temuta, come tecnocraticismo che esclude, come dominazione che non attende logiche di armonizzazione della cultura, società ed ambiente in una logica

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sembra sia una realtà ignorata dai sistemi educativi, adottata irregolarmente dall’insegnamento. E che i sistemi educativi si accaniscano nell’insegnamento per “pacchetti” (di concetti, di principi, di regole o di fatti) o “per obiettivi”, o “per situazioni”, nella frammentazione infine della conoscenza (Margiotta, 1997) che è frammentazione disciplinare, e quindi frammentazione nel modo di conoscere la realtà che si insegna sin dai primi momenti, e che porta, indubbiamente, all’incapacità di vedere il destino dell’individuo come trama complessa e integrata ad un destino planetario.

Il registro che invece i sistemi educativi hanno della problematica, spesso viene denunciato come un’introduzione superficiale, volontaria –a seconda della lucidità degli insegnanti o comunità educative nel riconoscere la problematica e modi di affrontarla, come modi di vivere costruttivamente la propria realtà di pratica e di convivenza- ; tematiche, esperienze, idee, introdotte nel curriculum scolastico come oggetti estranei, come “giocatoli” che talvolta distolgono dal curriculum centrale. Si stenta però a vedere il raccordo, la trama, che una nuova nozione di sviluppo, richiede come cambiamento nei sistemi educativi.

Nella tabella I, vengono rappresentati quelli che potrebbero essere gli interventi di una educazione trasformativa, sulla base di un modello di l'educazione per una seconda mondializzazione. Tale introduzione si fa in base ad una comparazione di elementi fra il modello educativo presente, in forte crisi, ed un modello che riesca ad includere la problematica dell’educazione ad una nuova identità planetaria.

Tab. I: Cambiamento Educativo in Due dimensioni Educazione: fra l’era Industriale e la

Knowledge Society Educazione per l’era Planetaria

Strutturazione dei Processi educativi

Top down, dal centro alla periferia, dall'insegnante allo studente.

Bottom-up, Dialogico e reciproco, dalla comunità locale alla scuola.

Filosofie Potere di un gruppo dominante che impone normative e valori attraverso la didattica. Consenso “sottinteso”, etnocentrismo

Conflitto, posizionamento storico-critico (Bachelard), questionamento delle discipline e valorizzazione delle culture locali per la contestualizzazione dei saperi

Funzioni dell'educazione

Socializzazione e adattamento alle ideologie prevalenti

Risoluzione del conflitto con visibilità degli interessi rappresentati in una comunità

Tipo d'intervento educativo

Trasmissione della conoscenza a persone in modo che sappiano consumare le cose “giuste” riciclare, produrre meno rifiuti. Si apprende ad essere un “buon” consumatore. Nasconde o non promuove la visibilità dei rapporti Nord-Sud, tutti hanno la stessa possibilità di accesso all'informazione. L'intervento educativo promuove la passività, il “disempowering”

Coinvolgere le persone in un'azione collettiva di cambiamento e comprensione dei rapporti socio-economici planetari, delle relazioni di produzione Nord-Sud del mondo, dei poteri politici. L'intervento educativo promuove la competenza per la partecipazione allo sviluppo di sistemi/comunità con l'abilità di riconoscersi nella propria identità ambientale e culturale, ed ha quindi valenza di “empowerment”

Modo di azione Individualistico e riduzionista Collettiva, consapevole del contesto culturale e socio-economico.

Ruolo personale e sociale

Passivo; accettazione di chi si è e della propria posizione in un mondo non del tutto compresso.

Attivo; cambiamento delle relazione per cambiare se stessi, in una “cittadinanza planetaria”

Stato della società, l'ambiente e gli attori istituzionali/individuali

Statico Dinamico

Fonte: Adattamento e traduzione da D. Uzzell e N. Räthzel (2007)

Ora bene, osserviamo che un tale cambiamento nell’educazione come intervento umano, come dispositivo di socializzazione al centro dello sviluppo delle società, rispecchia l’importanza dei saperi e valori messi in gioco attraverso l’atto educativo. Quando diciamo dispositivo di socializzazione accogliamo la denuncia della scuola come spazio di riproduzione del potere, spazio di circolazione di discorsi dominanti e pratiche che addomesticano i gesti, tesi centrale del

di sviluppo lineare verso sempre più raffinati processi di produzione, tendenti a promuovere la ricchezza intesa in termini di accumulazione di patrimonio finanziario e materiale; il secondo processo tenta invece di capire queste tendenze in modo critico ed autocritico, per un rispetto culturale e di dialogo interculturale.

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sociologo Bourdieu (1970), nell’analizzare il concetto di habitus: una Scuola che insegna la Cultura generale, notoriamente, una costruzione del potere per unificare i gruppi sociali e quindi portare ad un determinato ordine sociale, necessario alla società industriale, alla fabbrica, al ritmo della macchina e ai grandi miti moderni quali i nazionalismi.

Dice Borrelli “La differenza fra il paradigma educativo egemone e il paradigma educativo interculturale (…)

è notevolissima(…)Il paradigma egemone propone una soggettivazione dell’Io su parametri culturali nazionali. Il paradigma interculturale propone invece, una risoggettivazione dell’Io come autoricostruzione nel confronto con se stesso, con l’esser-altro-da sé, o meglio: nell’autosperimentarsi ermeneutico recirpoco nei confronti dell’alterità” (Borrelli, 2006:5)

Cogliamo immediatamente come l’educazione interculturale, perché giustamente mette al centro del dibattito la necessità di ripensare identità culturali verso l’apertura del dialogo, non possa essere considerata semplice dimensione “tematica”, o area di intervento, ma come asse trasversale ad un nuovo paradigma educativo (Coulby, 2006; Portera, 2008)

Per R. Carneiro (2007), funzionario dell’UNESCO, la Learning Society richiede di spazi di apprendimento cui logiche spronano la partecipazione e la riconoscenza della diversità, come si mette in evidenza nello schema 1: Due forme per accedere alla conoscenza.

Fig. I: Due forme per accedere alla conoscenza

(adattamento dall’originale in inglese in R. Carneiro: The Big Picture, Understanding Learning and Metalearning changes, European Journal of Education, Vol 42, No. 2, 2007)

Il mondo che cambia, dunque, come abbiamo descritto, attraverso la globalizzazione e la post-modernità, richiede un altro tipo di menti e di pratiche, richiede dunque un’esperienza formativa attraverso diversi contesti e situazioni, lungo l’intero arco della vita. Una scuola dunque che non si vede come unico spazio di apprendimento, ma come contesto che si allarga e si unisce alla rete di contesti che parlano attraverso gli spazi formativi (Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio, 1995), dell’incrocio nel senso che il cambiamento dell’educazione possa essere portatore di risposte, di una nuova socializzazione all’identità planetaria, alla base di un modello di sviluppo sostenibile.

Controllo

Omogenizzazione dei discorsi,

conoscenza attraverso ripetizione

Frammentazione – Incapacità di

riconoscersi nei processi di

apprendimento

Partecipazione

Inclusione Diversità

Paura e Disagio nelle situazioni di

apprendimento

Speranza e coinvolgimento

Conoscenza generate da gruppi di potereCultura Generale

Conoscenza generate attraverso la

partecipazione ed il dialogo

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La sfida educativa letta attraverso l’approccio interculturale può essere dunque considerata in due livelli: il primo, indicante la necessità di navigare con successo i processi di internazionalizzazione e scenari cross-cultural, dove gli insegnanti e gli studenti che hanno attraversato frontiere nazionali possano ritrovare i contesti adeguati per considerare positivamente il panorama internazionale. Per esempio, ricerche recenti indicano come gli insegnanti internazionali stanno affrontando la problematica di un insegnamento efficace che ne faccia tesoro delle differenze cross-cultural (e.g. Kuhn, 1996; Woods, 2001; Fortuijn, 2002; Wu, 2002; Hutchinson, 2005; in Italia, Favaro & Luatti, 2004; Gobbo, 2000) Queste esperienze includono dalle differenze nell'organizzazione scolastica, all'enfasi posta sul contenuto, alla didattica ed i modelli di valutazione, ma soprattutto, ad una particolare attenzione sugli stili di comunicazione fra insegnanti e studenti nella valorizzazione della differenza e la ricostruzione narrativa del contesto di apprendimento ad ogni singolo percorso formativo, come spazio di negoziazione di senso (Borrelli, op.cit., 2006).

Un ulteriore esempio arriva dai processi di democratizzazione in tutto il mondo (i quali domandano maggiore sensibilità verso le necessità poste dai diversi studenti, l'inclusione ma anche l'ascolto). Di particolare rilevanza, inoltre, i grandi progetti di unificazione transnazionale (soprattutto quello europeo) che stanno generando una vera ingegneria per ripensare un modello identitario e culturale allargato da quello nazionale.

Il secondo livello di sfida, è relativo alla “navigazione” su scenari di differenze intra-nazionali. Questo può avvenire in diverse forme, includendo differenze fra regioni, etnie, religioni, e strati socio-culturali. Per esempio, un insegnante bianco/europeo che insegna in una scuola della periferia urbana affronterà sfide relative all’appartenenza da diverse nazionalità nella composizione della propria classe; sfida diversa, ma altrettanto impegnativa, quella dell’insegnante in ambito rurale, che deve puntare a valorizzare la cultura e lingua/dialetto locale, contrastanti in ogni caso con il discorso docente formato in base ad un curricolo nazionale, ad un progetto di nazione non sempre condiviso dalle minoranze.

Come vedono gli studenti immigrati l’insegnante portatore di un discorso professionale specifico che nel contempo è discorso dominante? Come cambia e si riformula l’identità dell’insegnante a contatto con il discorso altro, con le narrative della diversità?

E come vive diversamente l’intercultura un insegnante italiano di origini settentrionali, con relazione ad un insegnante cresciuto in un paesino del Sud italiano, in quanto le proprie costellazioni identitarie ruotano attorno ad esperienze, eventi e soprattutto processi di costruzione della rappresentazione di differenza che possono risultare fra loro molto distanti?

Alcuni studi in ambito americano (multicultural education) evidenziano come il modo nel quale sono cresciuti gli insegnanti ed hanno acquisito un’identità culturale che inquadra l’identità professionale può diversamente intralciare processi insegnamento efficaci (Atwter & Riley, 1993; Banks, 2004). In ambito italiano, questo è un aspetto da esplorare, poiché a tutt’oggi non vi sono linee di ricerca empirica sufficientemente sviluppate in materia di identità professionale e rappresentazione sociale dell’intercultura a seconda dell’estrazione sociale e culturale dell’insegnante, sebbene vi sia una grande abbondanza di studi sulla didattica interculturale, con modelli di intervento ormai assodati4

4 Già nel 2000, il Seminario della Commissione Nazionale Educazione Interculturale del MIUR (Papponi, Tosolini, 2001), emergeva l’itinerario di evoluzione degli interventi interculturali, da una fase empirica (anni ’80) di pedagogia della accoglienza, attraversando una fase pre-paradigmatica degli anni ’90-2000 (una delle “educazioni” da inserire come asse di riflessione in determinati momenti di sviluppo del curricolo), verso una fase paradigmatica non pienamente sviluppata, dove la scuola italiana intercetta il fenomeno spesso sulla base di progettualità che viene dall’alto (progetti europei) e spinte esterne (MIUR, ricerche); ma soprattutto –aspetto che verrà dibattuto in questo articolo- attraverso la vita degli insegnanti delle proprie iniziative di comprensione, esplorazione ed intervento sul

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La cruda realtà è che le relazioni interculturali immaginate come libere, costruttive, portatrici di bontà per chi ne partecipa, messe in evidenza nell’ambito della ricerca teorica sul contatto interculturale, possono essere più l’eccezione che non la regola (Demorgon, 2004)

2. La sfida educativa interculturale si plasma nell’identità professionale dell’Insegnante

Dinnanzi allo scenario di cambiamento educativo, il dibattito sulla professionalità degli insegnanti è caldissimo: la preoccupazione per il teachers’ professionalism (UNESCO, 2006, 2008; Commissione Europea, 2007 ; OCSE, 2005; nella letteratura di ricerca educativa anglofona, Goodson, 2003; Hargreaves, 1994, 1999, 2003; Little, 1994; nell'ambito nazionale italiano, Margiotta, 1997, 2005, 2007) viene collegata alla cooperazione multilaterale per il raggiungimento di identità sovranazionali (come il caso europeo), accompagnando quindi la pressione per attrezzare i cittadini di competenze miranti al pieno coinvolgimento in processi competitivi globali. Ma risulta inoltre fondamentale collocare gli insegnanti al centro del governo dei processi formativi in uno scenario di continui flussi migratori. Tutto ciò sta ad indicare come la diversità culturale e linguistica sia presente in modo da mettere in netta difficoltà il sapere monolitico finora proposto nei curricola nazionali. Di tale sapere, detto “incapsulato” (Engeström, Y. 1991), gli insegnanti sono visti come trasmettitori, tecnici, operatori, sembrando la grande sfida nella loro formazione, l'operare un passaggio ad un profilo sempre più elevato. In effetti, l’insegnante non può più rispondere ad un’ottica etnocentrica, statica, acritica, nell’insegnamento, dovendo invece incorporare le competenze comunicative, linguistiche, tecnologiche e gestionali per diventare un professionista dell’aula complessa, aperta alle culture, al contesto territoriale, all’entrata delle nuove tecnologie ed il web sociale. Tutte queste richieste creano le condizioni per un forte impatto sull’identità professionale: artefice di cambiamento, innovatore, tecnologo, comunicatore, progettista, insomma, una figura cui sapere è fortemente questionato dalla società, che ne indica la necessità di docenti professionisti, ma li ritiene non all’altezza del compito che li si vuole affidare (Margiotta, 1997; 2005, 2007). Una professione definita come “paradossale” (Hargreaves, 2003), poiché al centro di un “triangolo” di interessi in concorrenza: catalizzare le opportunità che la società della conoscenza genera, contrapporsi contro le minacce dell’esclusione, la sicurezza e la vita pubblica altrettanto create dalla società della conoscenza; e sviluppare e realizzare le aspettative educative sempre più alte, con metodologie efficaci ed a costo minimo (Hargreaves, 2003:10).

Attraverso quali processi formativi e quali spazi verrà a formarsi la nuova identità professionale dell’insegnante? Dai percorsi di inserimento della formazione nell'ambito universitario (universitisation) alle discussioni sull'internazionalizzazione , come logica pervasiva nella realtà dell'istruzione superiore, le successive riforme e policies per il miglioramento dei teachers' professionalism, non vedono ancora una configurazione definitiva della problematica.

Diventa centrale, nelle ultime ricerche sulla professionalità dell’insegnante, il costrutto “identità professionale”, considerando che lo stesso incardina negli ultimi anni la discussione sull’efficacia dell’agire professionale degli insegnanti (Knowles, 1992; Connelly & Clandinin, 1999; in ambito europeo, Beijaard, Meijer, Verloop, 2004; Bolivar Botía, Fernández Cruz, Molina Ruiz, 2004)

In effetti, nella società complessa odierna, l'identità non potrebbe essere vista come un concetto unitario e fisso ma come entità cambiante, costantemente riformulata in diversi contesti nei quali i soggetti vengono coinvolti. La grande discussione della psico-sociologia, con Giddens (1991) come una delle pietre miliari, introduce il concetto di cambiamento dal progetto di l'identità unica dell'era moderna, all'era post-moderna del sé fluido, come multidentità che si costruisce attraverso le narrazioni autobiografiche che i soggetti imbastiscono a seconda dei contesti (Beck, 2000). Secondo Hall (Hall, 2000:19) le identità sono punti temporanei di attaccamento alle posizioni soggettive che

contesto come modo di ricostruzione narrativa di una propria identità professionale in crisi.

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le pratiche discorsive costruiscono per noi tutti; mentre per McGuigan (1996) l'identità non può che essere intesa come concetto di sè portatore di diversi significati a seconda dei contesti (multi-accentual), mediato dalla storia in molte e complesse forme, dove l'individuo è in costante processo di divenire, incrementalmente ibrido. Ad ogni modo, viene enfatizzata la necessità di costruzione continua, che avviene non tanto attraverso l'agire ma soprattutto attraverso la costruzione narrativa che porta l'individuo a rassicurarsi sui propri valori, sulla propria essenza di entità nel mondo (Giddens, 1991; Bernstein, 1996; Goodson, 2003; Beck, 2008).

Inoltre, un filone di ricerca che si diversifica dalla precedentemente accennata dimensione socio-psicologica indicata come condizione post-moderna, partendo dalla psicologia del lavoro, ha dimostrato come diventare professionale sia un processo che accade in due piani (Hall, 1968). In primo luogo attraverso un livello strutturale, come l'educazione formale e l'abilitazione per l'entrata alla professione. In secondo luogo, attraverso un livello attitudinale e riflessivo, detto anche di concettualizzazione del sé (McGowen & Hart, 1990) come processo di creazione di senso, appropriazione e denominazione di aree di expertise collegate al proprio agire. Nonostante l'importanza estrema del primo livello, se il passaggio non accade nel secondo livello di costruzione soggettiva, l'individuo non porterà avanti una pratica riflessiva che porti all'autonomia e cambiamento verso la sempre migliore performance, ovvero realizzazione personale nel proprio operato (Kuzmic, 1994)

Coerentemente con questa evoluzione degli ambiti di ricerca sopra tratteggiati, nella ricerca sui processi di insegnamento e pratica docente, negli ultimi due decenni, il focus si è spostato dall'analisi sulle pratiche alla comprensione delle cognizioni e processi di pensiero/emozione sottostanti alla concezione della propria pratica educativa, con un coinvolgimento riflessivo sempre maggiore del docente. Questo spostamento di focus è stato rafforzato dagli sviluppi della psicologia cognitiva, nonchè dallo scenario epistemologico per le scienze umane e sociali. La cognizione e l'azione sono legate da un continuo feed-back, e da qui, la prima assunzione secondo la quale le cognizioni dei formatori nel pianificare la situazione educativa, incidono sulla pratica in aula (Teachers' Thought, Clarck & Peterson, 1986); tale linea si è sviluppata nello studio della conoscenza pratica degli insengnanti -teachers' practical knowledge, Shulman, 1975, 1986b, 1987; Grossman, 1989, 1990; Gudmunsdottir, 1991) che incide sulla pratica reale. Negli ultimi anni, la tendenza appena accennata si è andata sviluppando considerando l’unione intrinseca fra conoscenza personale ed identità (professionale), determinando un nuovo campo di ricerca (Clandinin & Connelly, 1999), dove i processi di “storytelling” portano alla costruzione della propria identità autobiografica, che è profondamente legata alla pratica5.

L'assunto di partenza, che guida la esplorazione presente in questo studio attraverso le rappresentazioni sociali e discorso degli attori coinvolti –insegnanti in processo di abilitazione, ma già coinvolti in esperienze di insegnamento nel territorio veneto- , è che l'identità professionale degli insegnanti, essendo sottoposta ad un contesto di grande cambiamento6 , soffre una grande pressione dinnanzi alla quale pochi insegnanti sono in grado di una ri-costruzione narrativa che possa evolversi in modo positivo, verso una logica di formazione della propria professionalità lungo tutto l’arco della vita (lifelong learning strategy). La problematica interculturale si propone quindi come problema del contesto complesso, e l’osservazione delle costellazioni identitarie attorno ad la rappresentazione sulla suddetta problematica, potrebbe fornire una mappatura chiara

5 In effetti, questa linea di ricerca è perfettamente coerente con quanto indicato da Bruner nel suo saggio “La cultura dell’Educazione” (1996): nella pratica pedagogica l’insegnante mette in gioco una pedagogia ingenua della quale punta a costruire un proprio universo di senso. 6 Come ho accennato all’inizio dell’articolo, processi di internazionalizzazione che generano aule “multiculturali” sia non solo per la presenza di bambini immigrati ma anche per la presenza di informazioni da ambiti al di fuori della scuola e del curricolo scolastico che cambiano drasticamente il grado di controllo e di sicurezza che il docente può avere nella situazione di conduzione dell’aula.

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sulle opportunità di sperimentazione, formazione ed intervento per l’implementazione di una pedagogia interculturale.

Punto successivamente a riflettere –attraverso il confronto del discorso degli insegnanti sul contatto con le culture altre, e la loro concezione del setting-aula e contesto di apprendimento- come gli insegnanti con una alta sensibilità interculturale –componente della propria costellazione identitaria-, dimostrino un discorso pedagogico maggiormente aperto alla partecipazione del discente, e creino situazioni di apprendimento (setting formativo) ricche, che aprono sempre il confine stretto del contesto di apprendimento scolastico (superando quindi l’incapsulamento culturale). Insegnanti che mostrano questo profilo, sono più in grado di pensarsi in modo flessibile, in un progetto di ricostruzione della propria vita (Beck, 2008) come teoria vivente emersa dalla propria riflessione sulla pratica ed il confronto con l’alterità estesa, in una sfera di realizzazione trasformativa di valori personali (McNiff, 2005;2007, sulla base della linea di pensiero di J. Habermas, 1980;1985). In pratica, ciò si traduce in critica, sperimentazione, creazione, e compartecipazione con alunni, colleghi e famiglie, di percorsi formativi che mirano alla rivoluzione del sistema scolastico.

Si conclude che la crisi di identità professionale nel docente può essere soltanto superata attraverso l’implementazione di un’idea di pedagogia interculturale, e quindi, arricchendo la propria sensibilità interculturale7 come via maestra per ripensare la propria professionalità (interculturale).

3. Un’indagine esplorativa: rappresentazioni sociali sull’intercultura, discorso pedagogico e setting formativo

L’indagine cui primi risultati vengono introdotti in questa sede è stata condotta durante i mesi di marzo-maggio 2008, all’interno dell’attività di formazione di dottorato (Scuola di Dottorato in Scienze della Formazione e della Cognizione). L’obiettivo era quello di fare un primo approccio empirico alla problematica della pedagogia interculturale, dal punto di vista della formazione degli insegnanti e delle prassi in atto nell’ambito considerato. L’ indagine quindi aveva un carattere esploratorio, ed è stata realizzata attraverso la somministrazione di 137 questionari e 12 interviste (5 insegnanti formatori, 7 insegnanti in servizio). I partecipanti a quest’indagine sono stati insegnanti in formazione iniziale (questionari), di qui un 83% con esperienza nell’insegnamento in modalità di supplenza; ed insegnanti formatori (interviste), con 10 a 20 anni di esperienza nella docenza. Il 79% del panel era composto da donne, in età comprese fra i 30-40 anni (insegnanti in formazione iniziale), e 40-55 anni (insegnanti formatori).

7 Utilizzerò in questa sede il costrutto “Intercultural Sensibility” sviluppato dal Intercultural Institute di Portland, Oregon, dal Prof. Milton Bennet ( 2004), poiché si tratta di un approccio che fa leva su un importante background di ricerca empirica. Una versione italiana di questi studi è stata sviluppata dalla Prof. Ida Castiglioni, dell’Università Milano-Biccoca, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, e presentata attraverso la sua opera “Comuniczione: Competenza e Pratica” (Carocci Editore, Roma, 2005).Questo approccio descrive i diversi modi con cui le persone possono reagire alle differenze culturali e il grado in cui esse si adattano agli stessi, attraverso una prospettiva che vorrei enfatizzare, diventa dinamica –ovvero, consente il pensare l’identità culturale come un processo di continuo miglioramento delle competenze per definirsi e definire il mondo attorno-. Esso utilizza sei fasi in una scala di adattamento culturale, dove dovrebbe essere l'obiettivo il raggiungere, attraverso il processo formativo (in questo caso, insistendo nell’esposizione a contesti culturali allargati) il più alto stadio. Le prime tre tappe sono etnocentriche, in quanto la propria cultura è collocata al centro delle percezioni dell’individuo. Muovendosi in avanti, la scala evolve in stadi etnorelativi, il punto di vista riesce ad essere decentrato, e quindi si accetta la costruzione della realtà come possibilità . Le fasi etnocentriche della scala di Bennet sono: Negazione, Difesa, Minimizzazione. Le fasi etnorelative sono: Accettazione, Adattamento, IntegrazioneQuesto approccio quindi apre una linea di ricerca empirica per accogliere la necessità di pensare il dialogo interculturale come processo di costruzione, e quindi la cultura come sistema aperto che può essere modificato attraverso l’interazione.

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Tutti i partecipanti erano al momento dell’indagine residenti nel Triveneto, con una distribuzione centrale nella provincia di Venezia (28%) , seguita dalla provincia di Treviso (21%), Vicenza (17%) Padova (12%), Verona (6%), Rovigo (4%), Belluno (4%); partecipanti provenenti da altre regioni (Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lombardia, Sicilia, Sardegna) rappresentavano soltanto il 5%8 .

La scelta del panel è da considerare “ragionata” e non a campione, tenendo conto che i partecipanti sono stati selezionati fra tutti i corsisti SSIS (Veneto) dell’Indirizzo Lingue Straniere e dell’Indirizzo Umanistico-Sociale (Classe di abilitazione Italiano, Storia, Geografia) in procinto di realizzare il tirocinio. Il progetto di ricerca è stato introdotto come parte dell’attività formativa del tirocinio, considerandolo un mezzo per attivare l’attenzione e sensibilità degli insegnanti su la tematica dell’intercultura in aula, quindi utile all’intervento formativo. Gli insegnanti formatori partecipanti alle interviste, sono stati invece sensibili alla tematica dato loro interesse di introdurre elementi innovativi nella pianificazione formativa degli insegnanti, con base nella ricerca (Teachers’ Research Based Training).

L’obiettivo dell’indagine esploratoria era quindi mirante non soltanto a raccogliere dati per la strutturazione di una ulteriore situazione di sperimentazione formativa in percorsi internazionali di formazione degli insegnanti, ma anche quello di per attivare processi di internationalization at home: modi di pensare e formare all’intercultura nell’ambito locale. Tale obiettivo consentiva quindi di pensare la ricerca come percorso di costruzione/intervento di una nuova realtà formativa, da un punto di vista deontologico, e giustificando quindi la caratterizzazione ragionata del panel.

3.1. Metodologia: Analisi della Struttura della Rappresentazione Sociale sul concetto “Intercultura”

La metodologia di analisi delle rappresentazioni sociali si basa nella teoria delle rappresentazioni sociali (RS) originariamente creata da Moscovici (1976), secondo la quale la rappresentazione della realtà è costruita semanticamente e condivisa socialmente. Egli sostiene che le rappresentazioni sociali sono la sintesi di valori condivisi che si basano su caratteristiche comuni, che trovano luogo nel psichismo dell’individuo. La RS può essere così considerata un elemento di articolazione fra il livello psicologico e sociale; come elemento centrale nella ricerca psico-sociale, poggia ormai su 40 anni di ricerca.

La rappresentazione sociale, è così un sapere ordinario che circola in un determinato gruppo umano, sapere creato dal basso o introdotto attraverso una appropriazione di discorsi tecnici e scientifici. La rappresentazione indica uno stato di codificazione e decodificazione su un determinato sapere nei gruppi umani, ed è per tanto, un concetto dinamico, una costruzione umana che non cessa di cambiare. Non è opinione né attitudine, ma l’espressione di un pensiero collettivo, che si traduce in atto ed in giudizio, che plasma quindi le pratiche degli attori sociali, ed è in questo senso che la rappresentazione sociale può diventare estremamente potente –per tanto, nel nostro gruppo di docenti, il modo in cui essi si rappresentano l’intercultura orienterà le prassi e i processi di generazione di senso, come narrative personali, di gruppo, istituzionali-.

Seguendo la metodologia di analisi delle RS proposta da Flament, C. & Rouquette. M.L. (2003), nel presente studio viene adottato un focus di esplorazione sulla rappresentazione presente e la propria struttura che essa adotta, anziché sul processo di nascita e sviluppo della stessa.

Lo studio strutturale delle rappresentazioni sociali richiede un’analisi quantitativa, che in questo caso è stata condotta attraverso questionario, nel quale come strumento centrale sono stati proposti i seguenti step:

8 3% dei dati è risultato mancante (non rispondenti o dato poco chiaro).

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- Una scala associativa (definizione del termine intercultura attraverso libera scelta di termini associati allo stesso);

- Una classificazione per gerarchizzazione degli item, mirante a distinguere, tra i termini prima scelti, un nucleo centrale nella struttura della rappresentazione e aspetti semantici periferici

- Una classificazione di valenza della rappresentazione, per capire il ruolo assegnato nel sistema strutturale (Negativa/Positiva)

Questa prima analisi è stata poi seguita da alcune interviste con osservatori privilegiati, con i quali è stata adottata la tecnica di esplorazione, durante il colloquio, dei significati assegnati a termini, non soltanto attraverso definizione e ri-definizione di concetti o affermazioni, ma anche attraverso l’utilizzo esempi, immagini mentali, racconto di critical incident. Eventualmente, è seguita una comunicazione via mezzi elettronici per dare continuità alla metodologia interrogativa di tipo qualitativo, e quindi approfondire la raccolta di elementi strutturanti della rappresentazione.

Questo studio può definirsi in ogni caso di carattere superficiale in relazione ad una metodologia di studio strutturale delle RS, ed ha un carattere iniziale a titolo esplorativo.

In una seconda fase dello studio, con base nello stesso questionario somministrato per l’analisi delle RS sull’intercultura, è stata esplorata la percezione degli insegnanti sulla propria identità professionale dinnanzi allo scenario dell’aula multiculturale e complessa: dalle opportunità formative per l’introduzione alla problematica, le proprie pratiche pedagogiche, alla concezione di didattica e apprendimento in chiave interculturale. Tali elementi sono stati ulteriormente studiati attraverso la metodologia dell’intervista.

Sia questionari che interviste si sono organizzate attorno ad alcune aree fondamentali di esplorazione:

- Dimensione I: Informazione Generale

Formulario di Consenso (privacy e uso dei dati per la ricerca) Informazione Personale (Età, Sesso, Residenza, Luogo di Nascita) Track-record (Tipo di Laurea ed Esperienza Professionale nell’Insegnamento)

- Dimensione II: Motivazione personale per l’Insegnamento, Visione della propria professionalità, Formazione per l’Intercultura nel contesto educativo.

- Dimensione III: Esperienze di esposizione a contesti culturalmente diversi (mobilità dell’insegnante all’estero)

- Dimensione III : Insegnare in Contesti Interculturali. Rappresentazione dell’insegnante sulla tematica

La rappresentazione sociale dell’intercultura - Applicazione di Griglia di rilevazione di concetti, centralità e valenza degli stessi, cfr. Flament, C. & Rouquette, M., 2003) Definizione attraverso una visione generale dei processi di insegnamento/apprendimento in contesti educativi e sociali multiculturali Critical Incident: racconto su una esperienza specifica scelta dall’insegnante con relazione ad un incidente (non specificato se positivo o negativo) critico che ha provocato la riflessione personale sulle pratiche pedagogiche in contesti multiculturali

L’elaborazione di dati presentata in questo articolo è parziale e verrà completata in una sede successiva.

3.2. Risultati

La mappatura della RS: elementi strutturaliEmerge in modo generale dalla realtà studiata, che la rappresentazione di intercultura è

variopinta, consistentemente con i risultati di G. Favaro et al. (2002), e che risponde soprattutto ad un discorso tecnico-politico ufficiale, non traducendosi in azioni pratiche quotidiane consistenti e

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mirate. Questo scenario aiuta a pensare come la tematica stia entrando nella concezione pratica della docenza non tanto come modo di operare, come metodologia, ma soprattutto come discorso generale ancora non riconducibile a pratiche soddisfacenti. Il risultato fra questa distanza che separa concezione e prassi, è frustrazione (non trovando punti di riferimento specifici); ma anche impegno e ricerca di nuovi modi di affrontare la problematica (nei casi in cui il docente ha le risorse personali e professionali per farlo, come vedremo più avanti).

In effetti, nella figura I osserviamo le diverse associazioni realizzate dai docenti sul termine intercultura, volutamente presentato in modo generico e senza alcuna definizione: il concetto è ben presente nel discorso degli insegnanti, ed ha predominantemente un senso positivo (Media di scelte positive 7,9/10). I termini “Extracomunitario”, “Disuguaglianze” e “Pregiudizio”, si collocavano in primo piano, con forte densità ed alta valenza negativa. Sebbene i termini a valenza negativa sono stati spesso scelti, non veniva ad essi dati una centralità essenziale; in effetti, la media di 4 nella scala di centralità sta ad indicare in primo luogo una caratterizzazione dell’elemento come necessario per definire la rappresentazione, ma non centrale. Intanto, gli elementi positivi, “Lingua Straniera”, “Crescita”, “Integrazione”, “Educazione”, “Cambiamento”, “Capacità di Relazionarsi”, “Tolleranza”, “Rispetto”, “Diversità”, “Conoscenza dell'altro”, hanno in media raggiunto una alta centralità -7,2-. Osservando la tabella II, Centralità dei Termini che definiscono la RS, osserviamo che i termini negativi mostrano valori più periferici con riguardo al campo di definizione della rappresentazione, e gli elementi positivi, più centrali. Fra i valori positivi, è interessante osservare come si delinea una tendenza che struttura la rappresentazione d’intercultura sulla quale avventuro alcune interpretazioni: il termine più centrale è “Tolleranza”, seguito da “Rispetto”, ed “Educazione”, a differenza da altri termini come “Integrazione” e “Cambiamento”; questa potrebbe essere considerata una indicazione di cautela e di visione delle relazioni fra culture come contatto, come ambito di riconoscimento della diversità (enfasi nella necessità di tollerare, rispettare) piuttosto che all’intraprendenza di percorsi di costruzione congiunta, tendenza che potrebbe essere maggiormente espressa da termini come “capacità di relazionarsi”, “cambiamento”, “integrazione” . Un luogo particolarmente difficile va riservato al termine educazione, poiché tale concetto può indicare una visione tradizionale, di assimilazione della cultura altra (istruzione), quanto la necessità di implementare il cambiamento sociale, inteso per l’intera società, attraverso l’opportunità unica di convivenza e di creazione di nuove realtà che gli spazi formativi potrebbero avere (formazione).

Per ultimo, la “Lingua Straniera”, viene vista in luogo più periferico, e questo potrebbe indicare uno spostamento dell’importanza delle lingue –e di percorsi formativi sulla lingua straniera- verso l’importanza di una più generale disposizione e di valori che consentono l’incontro e costruzione interculturale.

La rappresentazione di intercultura quindi può determinare, essendo altamente positiva, una forte motivazione degli insegnanti verso le pratiche positive, e le strategie per affrontare positivamente la problematica. Non può essere trascurato un altro elemento che emerge in un secondo momento dall’incrocio di questi dati con le interviste ed il racconto del critical incident: si osserva nel gruppo una forte idealizzazione che diventa difficile veder realizzata nelle pratiche quotidiane. Ne consegue che una tale rappresentazione viene spesso raccordata ad un senso di debolezza, di crisi, di difficoltà in aree del discorso degli insegnanti, nel proporsi come professionisti capaci di affrontare la tematica.

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Graf.1-Mappa della Rappresentazione: Istogramma di Frequenze di Scelta dei Termini

47

69

98

35

28

33

45

22 53

43

86

37

32

19

0 20 40 60 80 100

DensitàExtr

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ini

Mappa della Rappresentazione: Intercultura

Negativo

Positivo

Mappa di rappresentazione del termine “intercultura” in un gruppo di 137 insegnanti di Scuole del Veneto

Densità= N° di Frequenze x Termine SceltoTermine Scelto = Elementi strutturali della Rappresentazione

Valenza = Positiva accorpata 1° fase dello studio (+++, ++, +/-)Negativa accorpata 1° fase dello studio (- - -, - -)

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Graf.2 -Mappa della Rappresentazione (Grafico Radiale)

Mappa della Rappresentazione: Intercultura

0

20

40

60

80

100Extracomunitario

Disuguaglianze

Pregiudizio

Lingua Straniera

Crescita

Integrazione

EducazioneCambiamento

Capacità di Relazionarsi

Tolleranza

Rispetto

Diversità

Conoscenza dell'altro

NegativoPositivo

Tab.2: Centralità dei termini che definiscono la RappresentazioneProprietà di Diversità delle Risposte = (T/N) 0,501

N = Numero totale di Risposte 1289T = Numero di Risposte coincidenti 647

Valenza del Termine Centralità del Termine Scala 1-10Termini Positivi 7,2 (media su termini più scelti)

Tolleranza (9,3)Rispetto (9,1)

Educazione (8,5)Capacità di Relazionarsi (7,1)

Diversità (6,7)Crescita (6,5)

Cambiamento (6,2)Integrazione (5,9)

Lingua Straniera (5,4)Termini Negativi 4 (media su termini più scelti)

Extracomunitario (5,2)Diseguaglianze (4)

Pregiudizio (2,8)

I dati prima accennati indicano in ogni caso la instabilità della rappresentazione, la grande eterogeneità interna dei suoi contenuti, e la difficoltà di cogliere i numerosi sensi che circolano relativamente ad un termine che potrebbe racchiudere in sé tutto e il contrario di tutto. Seguendo Flament & Rouquette (2003), l’oggetto di questa rappresentazione potrebbe definirsi senza ombra di dubbio “polemico”. Questo da forza all’ipotesi di una pedagogia interculturale più presente nei discorsi ufficiali che nelle pratiche vere e proprie in aula.

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Identità Professionale e Discorso Pedagogico: ricostruzione qualitativa della RS

Per completare questo panorama dato dallo studio della rappresentazione di intercultura, sono stati confrontati i fabbisogni formativi e le esperienze all’estero degli insegnanti, ipotizzando che esse potessero risultare di fondamentale importanza nel predisporre l’insegnante ad una migliore visione delle pratiche in aule complesse, ed elemento centrale dei propri percorsi identitari. La tendenza che si è verificata, è stata quella di una maggiore mobilità all’estero da parte degli insegnanti di Lingue straniere con riguardo agli insegnanti dell’ambito umanistico. Il fatto può risultare banale, dato che necessariamente, data la materia insegnata, diviene necessario il percorso con stage formativo all’estero sia esso fornito dall’istituzione o procurato dallo stesso studente. Ciò che non è altrettanto banale, è come la letteratura in materia di competenza interculturale e di educazione interculturale sia partita principalmente dall’ambito disciplinare delle lingue straniere (Leclerq, 2003). Effettivamente, sono queste le aree del curricolo che si flessibilizzano e lasciano entrare, oltre la grammatica e la sintassi della lingua, aspetti delle culture altre, apportando l’elemento di internazionalizzazione. Stando a quanto affermato da Minello (2007), l’intercultura entra in aula soprattutto attraverso il metodo didattico, piuttosto che attraverso il contenuto.

Il punto di domanda cruciale, in questo caso, è: sono gli insegnanti di Lingue più predisposti al contatto con la diversità culturale per aspetti identitari correlati poi alla propria professionalità? Oppure è la disciplina che spinge il docente di lingue all’esposizione a contesti culturali nuovi? La questione va analizzata dovutamente in una sede ulteriore, poiché dal profilo e prassi nella didattica specifica delle Lingue Straniere se ne possono ricavare sicuramente insegnamenti per l’attivazione di una didattica interculturale in altre discipline. Ovviamente, queste mie interpretazioni sono superficiali e meritano uno studio accurato delle didattiche e della costituzione stessa delle trame di saperi e metodologie di ricerca delle diverse discipline.

Dalla riflessione fatta con alcuni dei docenti in sede di interviste, emerge che gli insegnanti provenenti dalle discipline umanistico-sociali sono quelli che affrontano percorsi più travagliati per accogliere dinamiche di insegnamento interculturale, no già dal metodo, ma dalla rivisitazione più profonda delle trame di saperi che costituiscono tali discipline, spesso intrappolate in dinamiche di etnocentrismo e addirittura razzismo (con l’esempio più banale dell’insegnamento della Storia o Geografia prima e dopo un conflitto bellico)

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Graf.3 – Esperienze all’Estero dei docenti per Area disciplinare d’Insegnamento9

Lingue Straniere

05

1015

2025

30

35

Esperienze all'Estero

Lingue Straniere

Scienze Umanistico-Sociali

Osservando le destinazioni degli insegnanti, possiamo concludere che sia per motivi economici, sia per motivi culturali le destinazioni più scelte sono sempre all’interno del proprio continente europeo e dell’UE allargata. In terzo luogo vi sono i paesi non UE sviluppati (simili per fattori di cultura globale di sviluppo) ed in coda i paesi in via di sviluppo. Le esperienze di contatto con culture diverse attraverso il viaggio –dove il docente si espone come “altro”- non implicano stando al dato empirico, una esposizione ai contesti culturali dai quali provengono gli studenti immigrati nelle aule italiane. Questo potrebbe essere ostacolo alla capacità di riconoscere e capire comportamenti, abitudini e caratteristiche culturali che potrebbero agevolare il dialogo interculturale. Il semplice fatto di viaggiare, in ogni caso, dovrebbe creare le condizioni per esporsi a “cultural clash”, e a rivedere la propria cultura da un punto di vista decentrato, che può portare ad una dimensione di “cultural awareness”. E’ chiaro che il recarsi a paesi extra-UE comporta costi e rischi che non tutti possono assumersi, e sta quindi a enti di governo ed ambiti di programmazione il fornire le opportunità per percorsi di mobilità mirati e tutelati con lo scopo di acquisire competenze interculturali.

Andando ad analizzare i fabbisogni formativi, emerge invece con chiarezza come gli insegnanti percepiscano l’importanza dell’apertura della propria formazione verso nuovi ambiti che consentano loro di sperimentare il contatto interculturale, l’esporsi alla diversità e viverla da diversi angoli: i programmi formativi non offrono, secondo questa rilevazione, opportunità mirate.

Graf.4- Esistenza di Opportunità Formative per la gestione dell’aula interculturale

9 Nel questionario è stato chiesto agli insegnanti la risposta libera. E’ stato operato un ulteriore accorpamento dei dati per semplificare l’analisi ed interpretazione dei dati. Le categorie di accorpamento definite sono state: Paesi UE (27 paesi UE secondo Allargamento 2007); UE allargata (Paesi che potenzialmente potrebbero far parte dell’UE, ovvero Croazia, Montenegro, Macedonia, Turchia, ma sono stati anche considerati paesi presenti nel continente europeo denominati da organismi internazionali “economie in transizione”, principalmente la Russia); fra i contesti in via di sviluppo , sono stati considerati paesi appartenenti al Sudamerica, Asia –escluso Israele e Giappone-, Africa) fra i paesi non-Ue sviluppati (cfr. definizione internazionale), sono stati considerati: Giappone, Israele, Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Canada). Tale accorpamento è molto discutibile (in quanto al giorno d’oggi si predilige un approccio di tipo “Nord”- “Sud” del mondo; la definizione data potrebbe effettivamente essere considerata non coerente con una visione interculturale. Ma l’analisi puntava soprattutto ad osservare in quale misura gli insegnanti avessero avuto esperienze in paesi da dove provengono i propri studenti immigrati (o contesti simili), poiché potrebbe essere indicatore di maggiore apertura/interesse verso contesti sociali e culturali molto diversi dal proprio.

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Esistenza di Opportunità Formative per l'Intercultura

9% 4%

24%

29%

34% Pienamente d'Accordo

Molto d'Accordo

D'accordo

Indifferente

Non d'accordo

Domanda posta all’Insegnante: Ritiene che nell’ambito dove Lei opera vi siano opportunità formative per il docente in ordine di implementare progetti di educazione interculturale come parte della propria pratica pedagogica?

Durante le interviste, quest’informazione è stata completata: i docenti formatori hanno segnalato insistentemente quanto la mancanza di una competenza interculturale possa diventare un problema, una volta che si entra nella propria realtà di classe multiculturale (difficoltà di gestione degli studenti stranieri e della gestione della classe, difficoltà con le famiglie della comunità, sofferenza professionale). Effettivamente, nelle aree aperte dei questionari è emerso fra i giovani insegnanti come spesso non esistano progetti adatti ad una strategia generale di attuazione della Scuola nel territorio, e come il singolo insegnante non sia quindi in grado di avere relazioni significative e soddisfacenti con i propri studenti stranieri, e con le loro famiglie: come far combaciare queste esperienze quotidiane, della pratica professionale, con il discorso ufficiale sulle bontà del contatto interculturale? Un chiaro esempio emerge dalla caratterizzazione dei critical incident: essi, nonostante essere stati presentati come un momento di riflessione sul contatto e convivenza con la diversità, sono stati considerati momento di racconto di situazioni negative. Riporto nella tabella sottostante alcuni esempi.

Tab.3 – Esempi di Titoli assegnati al “critical indicent”Esempi postiviTotale: 34

Esempi negativiTotale: 67

Ti capisco Innocenza violentaAffrontiamolo insieme Ma dai!Amicizia nuova Lingua impossibileVolare Un muro fra noiInverno ed Estate Non posso dirlo

Dare un titolo agli eventi critici sul trattamento della diversità nella pratica docente

Nella costruzione di un’identità professionale complessa, è emerso durante le interviste con gli insegnanti in servizio, un sentimento di crisi di motivazione e valorizzazione professionale: in molti casi essi non si sentono in grado di affrontare la complessità dell’aula multiculturale, non trovando gli strumenti specifici. Pervade quindi il sentimento di professionalità in crisi, dinnanzi al discorso ufficiale sul curricolo, le imposizioni istituzionali quotidiane da una parte, e questo immaginario dell’intercultural is beatiful, che impatta loro come rappresentazione di una impotenza, di una incapacità di gestire la complessità dell’aula, di una mancanza di bravura determinante spesso l’attaccamento al comportamento più sicuro: affidare il problema al laboratorio esterno, all’esperto, all’insegnante di sostegno, e aggrapparsi al curricolo, al programma, che fornisce sicurezza.

…E allora io vedo questo bambino che non riesce a seguire la classe, capisce? Ho provato, abbiamo fatto il primo giorno un momento di accoglienza con i compagni, sempre chiedo degli esempi…la geografia, come dici questo a casa, come vedete voi (…) e non riesco ad avere un approccio emotivo, lui non si muove da lì, non parla, manca spesso a

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scuola perché i genitori non lo mandano. Mi capisce che io sono una persona emotiva, affettiva, io ho sofferto… nella mia infanzia… che ci siamo trasferiti da Trapani qui in Veneto, ma ce l’ho fatta con sofferenza e con accettazione dell’altro. E allora io chiedo il sostegno perché lo voglio dentro questo bambino, ma non so più cosa fare…( Insegnante 2° Media, Italiano, Storia, Geografia)

…Ho fatto si corsi, li ho fatti anche all’Università, più in generale, pero la cosa è stata affrontata in qualche modo; ce ne sono diverse offerte, questa cosa qui dell’intercultura è un po’ dappertutto, adesso viene e mi ci parla Lei, la settimana scorsa c’ è stato l’operatore di (… Organizzazione non profit); pure per TV! Poi ci sono i progetti europei, ma di quelli se ne occupano i colleghi del gruppo Intercultura…c’è un gruppo qui a Scuola ma non so di preciso come si stianno muovendo, so che quando ho bambini stranieri con problemi io li oriento là da loro, credo che stiano facendo un buon lavoro(…)Io però mi sento a volte affogare in un mare di informazione, ma di preciso in aula non saprei come implementare, diciamo, un insegnamento così innovativo e interculturale. Una volta che è stato chiamato l’operatore per parlare del Sud del Mondo, poi fare intervenire più spesso lo studente straniero per partecipare…Magari chiamare i colleghi di lingue, per fare uno scambio, ma io ho già il curricolo da seguire, non è semplice (Insegnante 1° Media, Italiano, Storia, Geografia)

…Ma i ragazzi stranieri devono essere per forza inseriti in percorsi diversificati! Io ho avuto studentesse, ottime studentesse, …mi ricordo di preciso una ragazza rumena dell’anno scorso che l’ho portata alla maturità…, sono state eccezionali, certo con un buon supporto della famiglia, ed io mi sono impegnata a creare per loro percorsi mirati. Ma poi abbiamo queste ragazzine cinesi che non capiscono, continuano ad usare i verbi senza una coniugazione, come posso insegnare il latino in queste condizioni? Che cosa sarà dalla mia disciplina se inizio ad avere classi piene di ragazzi stranieri che non sono in grado di parlare italiano? Io non lo vedo male, l’introduzione di ambiti specifici per loro… (Insegnante di Latino e Italiano, Liceo Classico)

Gli insegnanti formatori, invece, proiettano nella propria figura come esperti formatori, una concezione positiva e costruttiva della propria pratica pedagogica che consente loro di rimodulare, sperimentare, e riflettere sui fatti quotidiani, con un approccio trasformativo che li protegge dalla sofferenza professionale. Ciò nonostante, essi hanno espresso momenti di disorientamento e dispersione poiché si stenta ad ottenere indizi chiari dal mondo accademico al quale incolpano di una grande produzione teorica che poco si sofferma sulle problematiche specifiche dell’aula multiculturale.

…Oggi siamo una società nella quale coesistono più comunità  e queste comunità devono confrontarsi quotidianamente. E’ pertanto necessario individuare un nucleo di valori condivisi e condivisibile che rappresenti il minimo comune denominatore capace di fungere da collante per queste diverse comunità e credo che in questo la scuola abbia una grossa responsabilità.

Come afferma R. è però necessaria una formazione interculturale degli insegnanti: ci vogliono delle competenze specifiche che comprendono una conoscenza profonda dei diversi contesti culturali.

A mio avviso, sino ad oggi, è mancato un adeguato piano di formazione in tal senso: anche se le SSIS si sono mosse in questa direzione dobbiamo tenere conto che il corpo docente italiano attualmente in servizio è solo in minima parte di provenienza “sissina”: mediamente l’età degli insegnanti ha un’età di 47 anni (è stata pubblicata recentemente una ricerca del Sole 24 ore) e per queste persone, per noi, non è stato predisposto un piano di aggiornamento/formazione in servizio…(Supervisore di Tirocinio e Formatore SOS 800)

…Una sfida non da poco! Ci proveremo, comunque. Tra progetti della scuola e dell'Università mi ritrovo sempre a condividere processi con docenti di altre culture. Dal punto di visto professionale può essere difficile per la diversità di competenze e la carenza di punti comuni di partenza. Dal lato emotivo invece è sempre un successo!... (Supervisore di Tirocinio e Tutor online SSIS)

…Se penso al tema dell'interculturalità mi risulta difficile arginare la faccenda al mio ruolo di docente, sono dinamiche sociali di ben più ampio respiro del contesto classe e del contesto scuola.Iinterculturalità significa ampliamento e intreccio delle dinamiche di causa-effetto. Non è più possibile spiegare le cose se non in termini di dinamiche globali e questo richiede una determinata sensibilità da parte di un docente. Dovrebbe esistere un posto, anche virtuale, in stile 2.0 dove i docenti di tutto il mondo possono trovare materiale, best practices, materiale e spunti capaci di sviluppare nuovi punti di vista, globali e senza un immediato giudizio sulle cose. Ma la domanda che mi frulla in testa è ..perchè un docente decide di aggiornarsi circa questa tematica? Che convenienza ha? (Docente partecipante a sperimentazione formativa europea)

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Andando ad analizzare le dinamiche che si giocano all’interno degli istituti nel pensare gli interventi dinnanzi alla problematica interculturale, emerge la mancanza di collaborazione con altri insegnanti, e di frequentazione di comunità di pari per la consultazione sulle problematiche in aula e loro risoluzione, tendenza che è da tempo denunciata come uno dei punti più deboli nella professionalità dell’insegnante.

Graf.5 – Gestire l’intercultura in classe

Gestire l'intercultura in classe

6%18%

35%13%

2%

5%

15%4% 2%

Collaborazione con colleghi

Collaborazione con il DirigenteScolastico

Collaborazione con Equipe Esperti

Collaborazione con genitori

Collaborazione allargata ad unarete istituzionale/comunitariapresente nel territorioAttraverso rif lessione personalesulla propria esperienza

Visione Umana, senso comune

Uso di bibliografia

Attività formativa a supporto dellaproblematica

Domanda posta all’insegnante: Come ha lavorato per l’introduzione della visione interculturale nelle proprie pratiche pedagogiche?

Quando si pensa ad altre professionalità (i.e. l’informatico), si riesce ad immaginare come la disciplina si costruisca sulla base della esplorazione sistematica o creativa dei problemi, in continua collaborazione o comunque frequentazione di comunità professionali –in rete- dove trovare risposta ai problemi, ma gli insegnanti partecipanti allo studio indicano di trovarsi spesso isolati, o comunque limitati da normative e tempi istituzionali.

La professionalità dell’insegnante viene quindi messa in difficoltà dall’elemento di estraneità (introdotto dallo studente straniero) al “come dovrebbe essere” la realtà di pratica. Come emerge dal discorso dei docenti formatori è chiaro che l’espansione dei contesti di pratica pedagogica, e la condivisione di conoscenza con altri docenti esperti può essere la via maestra per riportare al dibattito sulla cultura dell’educazione, e sul curricolo, gli elementi necessari per introdurre la tematica interculturale in aula (ed oltre). Elementi che spesso vengono caratterizzati come la presenza di studenti che apportano culture diverse al dialogo in aula, qualora essa avvenisse; ma noi vogliamo portare a pensare tali elementi come continui flussi di informazione, e soprattutto di comunicazione, con tradizioni di pensiero, valori e pratiche differenti. Questo vuol dire immaginare contesti di apprendimento allargati che consentono l’inclusione, e la partecipazione, non soltanto il contatto con la diversità.

Il panorama offerto dall’indagine sul campo è in ogni caso complesso, ed i livelli di considerazione della problematica possono essere catalogati in una progressione di disorientamento a buone prassi.

Come riassunto dei risultati e percorso di concettualizzazione ottenuti in questa indagine di organizzare i risultati dell’indagine in un quadro comparativo dove è stata schematizzato la rappresentazione del problema dell’intercultura in classe, tipo di discorso didattico, discorso

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sull’identità professionale ed approccio adottato verso la costruzione di un contesto di apprendimento inclusivo. Puntando alla chiarezza esplicativa dei risultati, essi sono stati collocati in relazione alla scala di Bennet di livelli di sensibilità interculturale. L’operazione è stata realizzata attraverso la definizione logica e concettuale, emergente dal discorso degli insegnanti sulla propria identità e le pratiche pedagogiche da loro stessi implementate.

Scheda analitica: Relazioni fra livelli di sensibilità interculturale (Bennet, 2004), tipo di discorso didattico, identità professionale, approccio alla diversità culturale nel contesto di apprendimento

Tab. 4: Scheda AnaliticaLivelli di Sensibilità Interculturale Tipo di Discorso

Didattico e ProfessionaleIdentità

ProfessionaleContesto di

apprendimento - Inclusione

NegazioneNon si è in grado di comprendere le differenze culturali. Gli indicatori sono benigni e stereotipi superficiali dichiarazioni di tolleranza. Questa fase è talvolta accompagnata da deficit di attribuzione di intelligence o di personalità culturalmente comportamento deviante.

Dicorso dominante, bassa frequenza di interazione con gli studenti stranieri.Il sapere non va costruito attraverso l’insegnamento: sapere e discorso scolastico si allineano con il discorso accademico

Crisi d’identità professionale non è presente, poiché non vi è una problematizzazione dell’inefficacia nei processi di insegnamento

Contesto Culturale di Apprendimento Chiuso, Cultura unica o centrale.Separazione, estirpazione del problema, assimilazione al contesto unico.Contesto Escludente Difesa

Si notano le differenze culturali, ma esse sono viste come differenze negative, poiché il processo di valutazione è effettuata per confronto con la propria cultura, percepita come corretta. Più grande la differenza, peggio viene percepita la cultura altra, e meglio la propria.

MinimizzazioneFase in cui le differenze culturali sono minimizzate, concentrandosi sulle analogie tra la propria cultura e quella altra, in presenza comunque di un punto di vista etnocentrico

Discorso dominante, l’interazione con gli studenti stranieri è basata sulla curiosità, sulla presentazione del caso “eccezionale” , esterno al sapere centrale impartito dal docenteIl sapere non va costruito attraverso l’insegnamento, ma si accettano gli interventi degli “esperti” come apertura alle “novità” del mondo esterno

La crisi d’identità professionale può semplicemente essere legata alla gestione di una complessità che non torna “come prima”, quindi esiste una percezione dell’inefficacia delle pratiche pedagogiche.La demotivazione può concludersi in apatia

Trattazione del problema come elemento estraneo all’identità culturale centrale, che può “ampliare” attraverso la curiosità, il contesto di apprendimento.Esclusione a seconda della capacità dello studente di creare percorsi virtuosi di inclusione nella cultura ospitante (narrativa “poetica” della diversità)

AccettazioneL'accettazione è raggiunta quando le differenze culturali non sono solo riconosciute ma vengono anche accettate come una soluzione alternativa del modo di organizzare l'esistenza umana

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AdattamentoLa fase di adattamento consente lo sviluppo di capacità di comunicazione che permettono e qualificano la comunicazione interculturale al fine di comprendere ed essere compreso tra i confini culturali

Discorso che si apre alla partecipazione dello studente nel setting delle situazioni di apprendimento.Il sapere può essere questionato e quindi è dinamico e distribuito

Forte crisi di identità nel riconoscere un sistema scolastico che preme verso un discorso unico.La demotivazione porta alla ricerca di nuove opportunità formative

Contesto culturale di apprendimento allargato, ma con forte focus nel sostenere la propria identità culturale (propria consapevolezza culturale; per esempio, il caso dell’identità europea)

IntegrazioneLa integrazione, si raggiunge quando si riesce ad internalizzare contesti di riferimento bi-o multiculturali. Il sé, integrato in tali contesti, riesce a percepirsi in processo di comunicazione con la cultura altra ed è aperto al cambiamento, come identità in transizione

Introduzione di processi collaborativi in aula, discorso didattico che consente sequenze discorsive di riformulazione dei problemi –inizio da parte degli studenti-.Il sapere, insegnandosi, si costruisce (Margiotta, 1997)

Forte crisi di identità nel riconoscere un sistema scolastico che preme verso un discorso unico.La demotivazione porta alla ricerca di nuove opportunità formative ma si apre, inoltre, una dimensione attiva di sperimentazione in classe –ricerca azione e riflessività-

Contesto culturale di apprendimento allargato,comprensione dell’identità culturale come un processo di continuo cambiamento, enfasi nel processo di costruzione narrativa dove le metafore qualificano il dialogo e la formazione di talenti.

4. A modo di Conclusione

4.1. Insegnare e Apprendere in contesti culturali allargati: nuovi percorsi identitari per la professionalità docente

L’obiettivo di quest’indagine esplorativa era quello cogliere la rappresentazione sul dramma quotidiano di una pratica professionale che cambia dinnanzi alla diversità in aula, pensando a quale modello formativo possa essere attivato in risposta al fabbisogno che emerge potenzialmente come risposta alla suddetta problematica.

Dinnanzi al duro racconto di difficoltà nel lavoro quotidiano, emerge con forza il modo entusiasta con il quale questi processi di apprendimento complessi motivano la sfida quotidiana di ripensamento delle proprie pratiche, in contesti sociali altamente complessi.

Ausubel (1963) in uno dei suoi più riconosciuti lavori “The Psychology of Meaningful Verbal Learning, formulò l’idea che gli esseri umani apprendono ciò che risulta loro significativo . Qualche anno dopo, J. Bruner (1973, 1986, 1990) sviluppò ulteriormente il concetto di significatività, inoltrandosi nell’ipotesi rivoluzionaria della continua ricerca del senso continua in ogni atto umano: la mente costruisce mondi.

I teorici dell’apprendimento sociale (A. Bandura) e storico-culturale ( L.Vygotskij), propongono che il senso, all’interno del processo cognitivo, viene creato dal contesto dato da un gruppo, comunità, ed infine società che evolve attraverso processi storici.

Per questa ragione, è plausibile che persone che provengono da contesti culturali diversi possano assegnare diversi significati alle stesse esperienze. Questo è quanto Ogawa (1989, citato da Hutchinson, 2006) aveva già intuito in relazione alla coesistenza di molteplici realtà; e quanto il più conosciuto contributo di Bruner aveva ulteriormente sottolineato come processo di costruzione di mondi a seconda delle menti che creano narrative sugli eventi10 (1990).

Realtà molteplici potrebbero essere create o evocate dall’uso di parole, del caricamento di sensi nuovi a parole condivise (Lemke, 1993). Inoltre, le realtà inventate sono parte, giustamente del problema della rappresentazione –dove diverse persone possono creare diverse impressioni di uno stesso problema o idea, ma esiste, attraverso questa struttura narrativa, una struttura micro-sociale che diventa immaginario collettivo, ovvero rappresentazione sociale, che ritorna sulla mente del

10 Si veda in particolare il capitolo “I mondi di Nelson Goodman”, nel suo “La ricerca del Significato”

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singolo.Sotto le nozioni di costruttivismo (particolarmente costruttivismo radicale come quello promosso

da Glaserfeld, 1989) diventa chiaro come l’insegnate può fornire una visione particolare, una metafora di realtà, una narrativa sul mondo che non necessariamente concorda con quella dei suoi studenti; ne consegue che la sua stessa concezione di intelligenza e di performance è profondamente influenzata da tale costruzione.

Gli insegnanti necessitano di acquisire ampia consapevolezza sulle suddette dimensioni del problema educativo e della propria pratica pedagogica. Per dare seguito, nell’ immediato, all’impostazione di un sistema di insegnamento che consideri la presenza di “diversi mondi” convivendo in uno stesso spazio di apprendimento –spazio della differenza-, e quindi, per consentire agli studenti di esprimere le proprie visioni di un siffatto spazio condiviso e negoziato.

Possiamo considerare le identità nei termini dell’esperienza delle relazioni: ciò che può accadere, accade attraverso un rapporto umano con il mondo e con gli altri. In questo senso, è fattibile pensare la problematica del dinamismo o la chiusura dell’identità culturale, a seconda delle caratteristiche che siamo in grado di assegnarle, ovvero di intenderla come entità che evolve piuttosto che come entelechia.

E’ qui che dobbiamo tornare alla storicità della cultura, entità che cambia ma non necessariamente “perde la memoria” di ciò che è stata. In effetti, il rifiuto che provoca la metafora del melting pot nella costruzione identitaria europea è proprio dato dalla minaccia che esso implica come operazione di cancellazione della memoria per puntare ad una costruzione generata nel futuro, in ciò che avverrà, piuttosto che ciò che è accaduto. Il melting pot propone un futuro senza memoria, un futuro con un unico –inventato- punto di partenza. La via dell’intercultura è quella di trovare spazio per una visione in mezzo tra questi due scenari, queste due dinamiche che muovono la riflessione e la costruzione di cultura, e quindi, i sistemi di insegnamento.

La costruzione della gran metafora dell’allargamento europeo, può essere sicuramente basata in tale processo di divenire storico, ma l’irrigidimento di questo racconto, lascia soltanto il passato, l’incapacità di evolversi. L’esperienza culturale è sempre l’esperienza che si gioca nel contatto con l’alterità, con la differenza. Se non c’è differenza, non c’è storicità, non c’è cambiamento culturale, non c’è evoluzione.

Nelle parole di Robins,

Non-Europe could now play a critical role in re-historicizing European culture. It affords the possibilità to expose the whole range of European experience, in depth, to other norms, other values, and perhaps other categories. And in certain cases, it also affords the possibility of seeing what may beachieved on the basis of those other norms and values. ( Robins, K., 1996: 82)

Questa l’essenza per ripensare i nuovi processi formativi, quali processi conversazionali fra le culture presenti nel setting formativo; questi processi, nel costruire conoscenza, costruiscono la storia e l’evoluzione di identità culturali in trasformazione.

Trasformazione che insiste sul contesto di apprendimento come non incapsulato (Engestrom, 1991) non governato unicamente dalle forze del curricolo nazionale, o comunque da forze di potere delimitate e chiare. Il contesto culturale allargato è il contesto di apprendimento liquido, che si presenta con confini imprecisi, che richiede uno sforzo di negoziazione continua di ruoli e funzioni –poiché il sapere può stare tanto dalla parte del formatore/insegnante quanto dal discente/studente- in una operazione di espansione del nucleo culturale che da vita alla relazione pedagogica. Come lo avesse intuito Freire (1971), uno spazio di valorizzazione delle culture di apprendimento di origine che si possono esprimere nella costruzione di nuove realtà possibili, nuovi mondi possibili. Per procedere in questa difficile operazione, è richiesta una professionalità che non riflette unicamente sulla pratica, ma riflette sul contesto, sull’alterità e sul sé, riconoscendolo come frutto di una

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particolare matrice culturale: questo è quanto emerso dall’analisi di dati di quest’indagine, a conferma di altre esperienze e ricerche.

Nell’enfatizzare, in questo articolo, la prospettiva di visione planetaria dell’educazione, si puntava a considerare come l’atto di apprendere la differenza portasse, insomma, a pensare alle similitudini umane che consentono l’incontro11. Pretendendo dimostrare quindi l’importanza della pedagogia interculturale non come provincia della pedagogia in generale, ma come ambito di ripensamento di pratiche. Ciò nonostante, la denominazione stessa di “interculturale” concentrata sullo scambio o intreccio (inter) fra enti (culture), con un focus sulla differenza, piuttosto che sulla costruzione, sembra reclamare un nuovo dibattito. Perché come il cambiamento educativo deve essere fondato sulla costruzione con base storica e presente della differenza, ma andando oltre, sembra che esso debba puntare al ritrovamento di metafore in grado di accomunare, di armonizzare culture in destini sempre più ampi.

Potremmo dare forse l’appellativo di “contesto culturale allargato” allo spazio che le suddette coordinate di negoziazione di senso vengono a creare, e dove l’azione di evidenza delle relazioni socio-culturali, più l’azione di scaffolding proviene dall’insegnante che è il responsabile dell’operazione di allargamento dei confini del contesto di apprendimento. Un contesto di apprendimento che non chiameremo più interculturale, poiché processo che viene definito attraverso la costruzione di metafore che superano le differenze, alla luce del dibattito sulle identità culturali. Contesto che invece, può essere indicato come contesto ibrido, fluido, che ammette in sé le culture , e per questo, allargato.

11 Cigdam Kagitcibasi (Report PERMIT project, in press, 2009) indica come vi sia stato un enorme dibattito sulle prospettive dell’universalismo ed il relativismo culturale, nel cercare fondamenti alle relazioni interculturali. Uno dei fattori che emerge di tale dibattito è che il cambiamento socio-culturale è altamente prevalente: per esempio con relazione alle abitudini della popolazione umana in aree urbane del mondo, che implica maggiori similitudini negli stili di vita, nelle competenze richieste per accedere al mondo del lavoro, nei processi di specializzazione tecnologica e l’uso del linguaggio. Enfatizzare la differenza unicamente può, dal punto di vista della ricerca empirica in psicologia cross-cultural, diventare un problema in ambito delle relazioni umane e particolarmente in educazione. La Prof. Kagitcibasi indica come già dalla scala Bogardus in Distanza sociale (1925), maggiore la differenza di un gruppo con riguardo ad un altro, maggiore il rifiuto fra i due. Ciò che è differente non è facilmente accettato, non si prova fiducia e per tanto una maggiore distanza sociale viene messa fra il sé e gli altri diversi. Per esempio negli studi pionieri di Malewska-Peyre (1980), si dimostrò come il pregiudizio in Francia verso gli immigranti Nordafricani, fosse più alto che nel confronto di immigrati Portoghesi, nonostante i primi parlassero il francese. Ciò era dovuto al fatto che i francesi percepivano i Nordafricani come più diversi da loro, che i portoghesi, europei. Questi risultati sono stati ulteriormente corroborati dalla ricerca. Kagitcibasi invita a lavorare sulla ricognizione delle similitudini, in modo equilibrato con le differenze, e di sottolineare, soprattutto, i criteri che rimandano alle similitudini che fanno gli umani, giustamente umani –come l’abitare il pianeta-.

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