Indice Introduzione - puntacampanella.org · 1.6 La capacità di carico di una destinazione...

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1 Indice Introduzione pag. 6 Capitolo I Turismo e Ambiente 9 1.1 Turismo e Ambiente: conflitto o complementarietà ?“ 9 1.2. La pianificazione dello sviluppo turistico 18 1.3 Aree Protette: tra conservazione e fruizione 23 “soft” dell’ambiente naturale. 1.4 Aree Protette ed economia 27 1.5 Il modello del ciclo di vita di una destinazione 36 turistica. 1.6 La capacità di carico di una destinazione turistica 42 Capitolo II Il sistema della protezione ambientale in Italia 47 2.1 Patrimonio naturale e Aree Protette 47 2.2 Normativa Ambientale - finalità e ambito del 48 legge quadro sulle aree naturali protette 2.3 Le Aree Marine Protette come occasione per la 51 protezione e la gestione delle nostre coste. 2.4 Evoluzione della politica di tutela ambientale 57 Capitolo III Case history: l’Area Marina Protetta “Punta Campanella” 68 3.1 Il contesto ambientale dell’Area Marina 68 Protetta (A.M.P.) 3.2 Finalità istitutive dell’Area Marina protetta 72 3.3 Punta Campanella: esperimento di gestione delegata. 74 3.4 Iter legislativo di istituzione dell’A.M.P. e 75 organi della Riserva 3.5 Decreto istitutivo dell’AMP e sua modifica “ 76 3.6 Analisi della realtà turistica dell’area 80 3.7 Zonizzazione dell’A.M.P. 84 3.8 AMP: dalla tutela ambientale allo sviluppo 86 economico sostenibile. 3.9 Applicazione del ciclo di vita di una destinazione “ 88 turistica a Punta Campanella Capitolo IV Interventi finanziari a sostegno dello sviluppo 93 ecosostenibile 4.1 PIT “Punta Campanella” 93 4.2 SFOP: interventi comunitari a sostegno del settore “ 104 pesca 4.3 POR Regione Campania: misure a favore “ 108 delle Aree Naturali Protette. 4.3.1 Misura 1.9 “ 108 4.3.2 Misura 1.10 “ 110

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Indice Introduzione pag. 6 Capitolo I Turismo e Ambiente “ 9 1.1 Turismo e Ambiente: conflitto o complementarietà ?“ 9 1.2. La pianificazione dello sviluppo turistico “ 18 1.3 Aree Protette: tra conservazione e fruizione “ 23 “soft” dell’ambiente naturale. 1.4 Aree Protette ed economia “ 27 1.5 Il modello del ciclo di vita di una destinazione “ 36 turistica. 1.6 La capacità di carico di una destinazione turistica “ 42 Capitolo II Il sistema della protezione ambientale in Italia “ 47 2.1 Patrimonio naturale e Aree Protette “ 47 2.2 Normativa Ambientale - finalità e ambito del “ 48 legge quadro sulle aree naturali protette 2.3 Le Aree Marine Protette come occasione per la “ 51 protezione e la gestione delle nostre coste. 2.4 Evoluzione della politica di tutela ambientale “ 57 Capitolo III Case history: l’Area Marina Protetta “Punta Campanella” “ 68 3.1 Il contesto ambientale dell’Area Marina “ 68 Protetta (A.M.P.) 3.2 Finalità istitutive dell’Area Marina protetta “ 72 3.3 Punta Campanella: esperimento di gestione delegata. “ 74 3.4 Iter legislativo di istituzione dell’A.M.P. e “ 75 organi della Riserva 3.5 Decreto istitutivo dell’AMP e sua modifica “ 76 3.6 Analisi della realtà turistica dell’area “ 80 3.7 Zonizzazione dell’A.M.P. “ 84 3.8 AMP: dalla tutela ambientale allo sviluppo “ 86 economico sostenibile. 3.9 Applicazione del ciclo di vita di una destinazione “ 88 turistica a Punta Campanella Capitolo IV Interventi finanziari a sostegno dello sviluppo “ 93 ecosostenibile 4.1 PIT “Punta Campanella” “ 93 4.2 SFOP: interventi comunitari a sostegno del settore “ 104 pesca 4.3 POR Regione Campania: misure a favore “ 108 delle Aree Naturali Protette. 4.3.1 Misura 1.9 “ 108 4.3.2 Misura 1.10 “ 110

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4.3.3 Misura 1.11 “ 111 Capitolo V Il Pescaturismo “ 114 5.1 Effetti derivanti dallo sviluppo del Pescaturismo “ 118 5.2 Normativa in materia di Pescaturismo “ 119 5.3 Ittiturismo: un’occasione per la rivitalizzazione “ 122 e la valorizzazione del patrimonio abitativo esistente nelle aree protette 5.4 Confronto tra Pescaturismo e Agriturismo “ 123 5.5 Il pescaturismo e la riduzione dello sforzo di “ 127 pesca Appendice al Capitolo V Pescaturismo: l’esperienza italiana “ 130 1. Imprese italiane impegnate nel Pescaturismo “ 130 2. Pescaturismo in Penisola Sorrentina: “ 131 l’attività della Cooperativa Ulixes 3. Potenzialità e opportunità del Pescaturismo in “ 133 Penisola Sorrentina 4. Problematiche connesse con lo svolgimento della “ 139 attività di Pescaturismo Conclusione “ 148 Bibliografia “ 151

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Introduzione Qualsiasi attività svolta dall’uomo comporta, inevitabilmente, una trasformazione dell’ambiente. Tra queste il turismo, la cui pratica, in seguito alle conquiste sociali del secolo passato, è divenuta un fenomeno sociale esteso a strati sempre più ampi della società, ha come risorsa di base l’ambiente. Lo sviluppo turistico, anche se incoraggiato come modalità per uno sviluppo economico “facile”, ben presto ha manifestato anche i suoi effetti negativi, talvolta destinati a durare ben più a lungo dei benefici apportati. Esso ha trasformato intere regioni giungendo, talvolta, a devastare ecosistemi naturali e ad alterare prezioso equilibri. Paradossalmente, esso ha contribuito a ricreare quel disordine e quell’artificialità a cui si desidera sottrarsi godendo di un periodo di vacanza, e in questo modo, a distruggere le risorse su cui il turismo stesso si basa. Nonostante questo quadro piuttosto negativo, non sempre il rapporto tra turismo e ambiente si configura in modo così problematico. Talvolta il turismo contribuisce alla tutela e alla valorizzazione delle risorse naturali come nel caso dell’istituzione di Aree Naturali Protette. Tuttavia la natura estremamente complessa del fenomeno turistico impone che, nello sviluppo di un territorio a fini turistici, si abbandoni una certa improvvisazione, in favore di un’attenta pianificazione che tenga conto delle molteplici interrelazioni che caratterizzano il turismo da un punto di vista ambientale, ma anche economico, sociale e culturale, che consideri la capacità di accoglienza di ciascuna località e che, di conseguenza, renda possibile anche limitare lo sviluppo turistico quando i costi che esso impone, superino i benefici apportati, sia per la popolazione ospitante, che per i turisti stessi (capitolo 1). Le Aree Naturali Protette, istituite al fine di preservare preziosi ecosistemi, in zone ad alto potenziale turistico, rispondono proprio a tale esigenza di pianificazione dello sviluppo turistico in un’ottica di sostenibilità. La tutela e la preservazione delle risorse diviene, allora, non fine a se stessa, ma strumentale ad uno sviluppo economico e sociale “responsabile” che guardi anche al futuro. Rilevante, a tale riguardo, è il ruolo degli Enti Locali, chiamati a favorire uno sviluppo economico basato sulle reali potenzialità e sulle necessità dei territori direttamente amministrati. Ed è per tale motivo che oggi si tende ad affidare ad essi anche la gestione delle Aree Naturali Protette (capitolo2). Nel capitolo 3 ho riportato l’esperienza, avviata qualche anno fa, dell’Area Marina Protetta “Punta Campanella” che abbraccia un territorio complesso come quello della penisola Sorrentina. La finalità dell’istituzione di quest’area protetta, in una destinazione già turisticamente sviluppata, è quella di promuovere un turismo più rispettoso dell’ambiente e la diffusione di attività ecocompatibili intorno ad esso. L’Area Marina Protetta, nonostante le controversie e le difficoltà incontrate e, in parte, già superate, si presenta come stimolo per una nuova progettualità sostenuta dai fondi messi a disposizione dall’Unione Europea per le Aree Protette (capitolo 4). Numerosi sono i progetti, in parte in attesa di realizzazione, per intraprendere delle attività economiche che rispettino i principi istitutivi dell’Area Protetta; in particolare il “pescaturismo” e l’”ittiturismo”, si configurano come attività caratterizzate da un lato, da un ridotto impatto ambientale, e dall’altro, dalla capacità di apportare benefici economici all’area (capitolo 5).

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Capitolo I 1.1 Turismo e Ambiente: conflitto o complementarietà? Il prodotto turistico è, per sua natura, estremamente composito e complesso. In particolare, nell’ambito di esso, la componente spaziale e quella territoriale rivestono un ruolo estremamente rilevante, esse caratterizzano il prodotto turistico molto più degli altri beni di consumo. L’offerta turistica di una località non può essere “consumata” altrove ma la fruizione deve avvenire nel luogo stesso di “produzione”. Ha senso, allora, parlare del prodotto turistico come una combinazione del “place product” (ossia l’insieme degli elementi territoriali quali risorse di base, organizzazione dell’ospitalità e servizi complementari a quelli strettamente turistici), con gli elementi attinenti al viaggio tra la località di origine e quella di destinazione. In quest’ottica i turisti possono essere definiti come dei “place consumers”, ed il processo di pianificazione e organizzazione del territorio diviene assimilabile al processo produttivo. Dunque è possibile rilevare, in un’ottica di sviluppo turistico, l’importanza dell’ambiente nel senso più ampio, che non consideri soltanto le risorse naturali o culturali del luogo, che pur rappresentano le condizioni necessarie per lo svolgimento dell’attività turistica, ma tutto l’insieme dei servizi di alloggio e di ristorazione presso la destinazione e nelle aree di transito, gli elementi di accesso ad essa, le infrastrutture (trasporti, forniture di energia elettrica, acqua, telecomunicazioni ecc.), oltre che la popolazione residente, chiamata ad interagire con i turisti. 1 Il turismo e tutte le attività ad esso collegate, proprio per la rilevanza che la componente territoriale riveste in essi, si inseriscono in un contesto ambientale che ne risulta inevitabilmente modificato in tutti i suoi aspetti, da quello strettamente naturale, a quello sociale e culturale. In passato il fenomeno turistico veniva studiato e analizzato solo in quanto modalità attraverso la quale assicurare lo sviluppo economico dell’area interessata. Negli anni più recenti, invece, è cominciata ad affiorare, anche negli economisti, una maggiore sensibilità verso i problemi ambientali causati dal turismo, al punto da configurarsi un rapporto di tipo conflittuale tra turismo ed ambiente. Alcuni studiosi si sono soffermati sulla complessa relazione che può instaurarsi tra turismo e ambiente; G.Budowski, in particolare, ha teorizzato tre differenti forme di interrelazione: • la coesistenza • il conflitto • la simbiosi2 Nel primo caso, nella realtà piuttosto raro, si ipotizza una sorta di isolamento delle due attività, nel senso che il turismo si svolge con poche e trascurabili connessioni con l’ambiente. Il secondo tipo di relazione è quello che si riscontra normalmente, infatti il turismo, come qualsiasi attività economica, ed anzi in modo particolare, in quanto l’ambiente naturale è il fondamento stesso del prodotto turistico, può provocare fenomeni di degrado ambientale. Il terzo tipo di relazione configura un tipo di integrazione positiva tra turismo ed ambiente. Esempio di questo tipo di relazione è il caso in cui il turismo contribuisce ad attuare programmi di conservazione ambientale in particolari aree che divengono, così, oggetto di attrazione di numerosi turisti. E’ il caso dei parchi, delle riserve terrestri e delle aree marine protette, argomento che costituisce oggetto di approfondimento del seguente lavoro. In ogni caso, è necessario attuare una opportuna pianificazione dello sviluppo turistico, al fine di ottimizzare l’utilizzazione dello spazio nelle sue dimensioni ambientale, sociale ed economica ed evitando, o almeno, limitando l’insorgenza di fenomeni negativi che derivano dallo sviluppo stesso. Nella realtà si assiste a situazioni in cui l’attività turistica coesiste con altre tipologie di attività produttive. A tal proposito è da precisare che qualsiasi attività produttiva svolta dall’uomo necessita di risorse che vengono prelevate dall’ecosistema e impiegate nei diversi processi tecnologici. Tali risorse possono 1 G.Aswoth e B.Goodall, Marketing Tourist Places, Routledge, London, New York, 1990 2 G.Budowski, Tuorism and Environmental Conservation: conflict, coexistance or symbhiosis?,Environmental Conservation, 1976, pp.27-29

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essere destinate sia alla produzione industriale che a quella turistica, per cui la produzione dei due settori viene a dipendere rispettivamente dalla quantità di risorse utilizzate in essi. Concentrando l’analisi sul settore turistico, si può osservare come la produzione di beni e servizi turistici in un’area avvenga, generalmente, incidendo sulla qualità delle risorse ambientali, nel senso che maggiori volumi produttivi determineranno un impiego più elevato di risorse e quindi una riduzione del loro livello qualitativo, dovuta anche all’inquinamento, spesso di tipo diffuso, causato da tali attività. È possibile, allora, individuare la frontiera delle possibilità produttive del settore turistico (HK) (Fig.1), quale luogo dei punti che rappresenta tutte le combinazioni possibili tra beni/servizi e qualità dell’ambiente dove la produzione turistica, si svolge. Sugli assi vengono rappresentati rispettivamente i beni e servizi (BS) e la qualità delle risorse ambientali (QA), la frontiera è ottenuta tenendo conto sia delle possibilità tecnologiche presenti nel sistema economico, che delle preferenze dei consumatori.

QA

BS

K

H

Fig.1 La curva assume un andamento di tipo classico, concavo verso l’origine degli assi. Esso sta ad indicare una relazione inversa tra la quantità di beni e servizi prodotta e la qualità dell’ambiente. Tale andamento è giustificato, inoltre, dal fatto che in un ambiente molto inquinato e con forte disponibilità di beni e servizi (punto H) ogni spostamento di potenzialità tecnologiche e risorse produttive a favore della qualità dell’ambiente consentirà un guadagno molto più che proporzionale rispetto alla perdita di beni e servizi, per il principio della produttività marginale decrescente.3 Tuttavia, in relazione alla natura dell’attività turistica, è necessario fare un’ulteriore considerazione, in particolare si può notare come, condizione per cui un’area risulti in grado di attrarre dei visitatori, sia la presenza di un livello minimo di qualità delle risorse ambientali. Conseguenza di ciò è che l’attività turistica non potrà svilupparsi in un territorio dove non sia assicurato almeno tale livello di qualità ambientale. Graficamente avremo che OH sarà il limite inferiore di qualità dell’ambiente che risulti compatibile con la gestione turistica del territorio (Fig.2).

3 G. Calzoni, Principi di economia dell’ambiente e di gestione turistica del territorio , F. Angeli, 1988, p. 84

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BS

H QA

Fig.2 Nel caso del turismo naturalistico, ed in particolare per la domanda di turismo che si svolge alle aree naturali protette, avremo che il punto H sarà più spostato verso destra lungo l’asse delle ascisse in quanto, in questo caso, i visitatori saranno particolarmente attenti alla qualità ambientale, essi si recheranno in quell’area proprio perché un parco non può che essere “garanzia” di elevata qualità ambientale. L’inserimento dell’attività turistica in un determinato contesto economico comporta, senza dubbio, un aumento della disponibilità di beni e servizi fruibili, ma in generale si può ipotizzare che esso instauri quel rapporto conflittuale con le risorse ambientali di cui parlava Budowski4, tale per cui si potrà arrivare ad una riduzione del livello qualitativo delle stesse. In termini grafici ciò si tradurrà in uno spostamento verso l’alto della frontiera delle possibilità produttive, per l’aumentata disponibilità di beni, ed in un suo arretramento verso sinistra, ad indicare una riduzione della qualità delle risorse ambientali interessate dal fenomeno turistico (Fig.3). Per far fronte a tale situazione sarebbe necessaria un’adeguata attività di pianificazione turistica, che preveda, tra l’altro, la creazione di infrastrutture ed interventi di promozione dei beni e servizi turistici; questa potrebbe contribuire, certamente, ad espandere la frontiera sul lato che indica la qualità delle risorse ambientali.5 Il punto d’intersezione tra le due curve tenderà a posizionarsi tanto più in basso, quanto minore sarà l’impatto negativo che l’attività turistica determina sull’ambiente.

4 Budowski, op. cit. 5 Berardi S., Appunti relativi al corso di Programmazione dello Sviluppo e assetto turistico del territorio, Assisi 2000

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BS

H

K QA

H'

K 'O

Fig.3 L’andamento della curva sarebbe, certamente, diverso se la relazione tra turismo ed ambiente fosse di “simbiosi” anziché di tipo conflittuale. La creazione di parchi ed aree naturali protette, realizzando interventi di tutela e conservazione delle risorse ambientali, rappresenta situazioni in cui lo sviluppo turistico non solo consente di intervenire per tutelare tali risorse, ma favorisce, al tempo stesso, un incremento della qualità di esse, affinché possano mantenere il loro valore e la loro attrattività turistica nel tempo. Il recupero di centri storici a fini turistici, la valorizzazione di antichi borghi disabitati a scopo ricettivo, il restauro di opere d’arte, di monumenti, la protezione di una fascia di costa e azioni di rimboschimento sono soltanto alcuni degli innumerevoli esempi di situazioni in cui l’attività turistica funge da stimolo per il miglioramento della qualità delle risorse dell’ambiente inteso in senso ampio. Graficamente ciò si traduce in una traslazione verso l’alto della frontiera delle possibilità produttive (Fig.4). Ciascun punto della nuova frontiera corrisponde ad una quantità superiore di beni e servizi di cui si può fruire in un’area naturale protetta, unita, allo stesso tempo, ad una migliore qualità delle risorse ambientali del luogo.

BS

H

K QAO

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Fig.4 1.2 La pianificazione dello sviluppo turistico La complessità che caratterizza il fenomeno turistico, le sue numerose interrelazioni a livello sociale, culturale, economico e ambientale implicano la necessità di adottare la prospettiva di un prodotto turistico globale. Pianificare lo sviluppo turistico di un territorio significa, allora, tenere conto, contemporaneamente, di tutte queste componenti in un’ottica di lungo periodo, prefigurando anche gli effetti che lo svolgimento dell’attività turistica può avere su ciascuna di esse. Lo sviluppo turistico di un territorio spesso è stato incentivato senza considerare le conseguenze del fenomeno dal punto di vista ambientale, sociale e culturale che, invece, a lungo andare, incidono gravemente sull’attrattività del territorio stesso, minando alla base le condizioni che permettono lo svolgimento dell’attività turistica. Dopo aver assistito alle conseguenze, talvolta devastanti, del turismo di massa, risultato proprio di questa tendenza, è apparsa la necessità di provvedere ad una corretta pianificazione dell’utilizzo turistico di un territorio che risulti dotato di risorse di base capaci di attirare dei visitatori, al fine di ottimizzare l’utilizzazione dello spazio nelle sue dimensioni ambientale, sociale ed economica, evitando o cercando di limitare l’insorgere di fenomeni negativi dovuti allo sviluppo stesso. L’approccio che attualmente viene adottato nella pianificazione turistica, come anche in altri tipi di sviluppo, è quello basato sul conseguimento di uno sviluppo sostenibile. La sostenibilità è diventata un esplicito obiettivo di molte politiche ambientali, in particolare a partire dal rapporto Bruntland,6 anche se già dei piani turistici precedenti prendevano in considerazione la problematica della conservazione delle risorse. Nella pianificazione turistica un approccio basato su uno sviluppo sostenibile appare particolarmente appropriato, proprio in relazione alle peculiarità di tale attività che è strettamente legata all’ambiente naturale ed all’eredità storica e culturale del luogo. Il degrado o la distruzione di queste risorse riduce la capacità d’attrazione delle aree, fino a far cessare l’attività turistica stessa. Il turismo sostenibile si configura, invece, come un modello di sviluppo economico volto a: • migliorare la qualità della vita della comunità ospitante; • fornire ai visitatori un’esperienza di elevata qualità; • mantenere buona la qualità dell’ambiente a cui sono legati sia la comunità locale che i visitatori. Se da un lato l’attività di pianificazione del turismo deve basarsi su un approccio di tipo sostenibile, dall’altro si rileva come sia la pianificazione stessa che diventa il presupposto per7 conseguire la sostenibilità dello sviluppo, garantendo la conservazione delle risorse ambientali e storico-culturali. Nell’ottica di realizzare uno sviluppo turistico sostenibile emerge, con evidenza, il ruolo positivo che possono svolgere enti di natura pubblica che sono chiamati ad assicurare, data la rilevanza degli interessi coinvolti, la corretta gestione del territorio. Tuttavia l’obiettivo di uno sviluppo turistico sostenibile si ritiene sia conseguibile solo con il coinvolgimento della comunità locale nel processo di pianificazione e di sviluppo, assicurando che la gran parte dei benefici derivanti dal turismo rimangano all’interno dell’area. Oggi, il concetto di “sviluppo sostenibile” è al centro di numerosi dibattiti, talvolta si giunge ad abusare di questa definizione o quanto meno si tende ad attribuire, troppo facilmente, l’aggettivo “sostenibile” a varie iniziative nella ricerca di consenso, talvolta, di natura politica, facendo leva su una ormai accresciuta sensibilità ambientale del grande pubblico.

6 Comm. Mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, Our common future, London Oxford University Press, 1987 7 Berardi, op. cit.

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Vari studiosi hanno affrontato il tema dello sviluppo sostenibile; a mio avviso non esiste un metodo o una formula che ci consenta di definire, una volta per tutte, cosa sia sostenibile e cosa non lo sia. Lo sviluppo sostenibile rappresenta piuttosto una visione globale del concetto di sviluppo, una strategia che si articola a diversi livelli: esso, in sintesi potrebbe essere definito come una forma di sviluppo non solo economico, ma anche sociale, in cui la crescita economica avviene entro i limiti delle possibilità ecologiche degli ecosistemi e della loro capacità di soddisfare i bisogni delle generazioni future. Poiché lo sviluppo economico dipende dallo stock di risorse naturali della terra, mantenerne la riproducibilità rappresenta la chiave per la sostenibilità. Tale riproducibilità viene mantenuta solo da un uso razionale delle risorse che tenga conto dei meccanismi di funzionamento degli ecosistemi e in generale delle capacità di carico ambientali (in senso ampio). Ne deriva che lo sviluppo sostenibile non è semplicemente protezione ambientale, ma un concetto nuovo di crescita economica, tale da garantire giustizia ed opportunità per tutti e non solo per pochi privilegiati, senza distruggere le risorse naturali del pianeta e le sue capacità di carico. E' un processo in cui le politiche dei vari settori come quello economico, commerciale, energetico, agricolo, turistico, industriale, ecc. sono fatte in modo da creare uno sviluppo che sia economicamente, socialmente ed ecologicamente sostenibile, uno sviluppo che non è finanziato dall'indebitamento, sia esso in termini economici, sociali o ecologici. Gli estremi entro cui si muove l'accezione di sviluppo sostenibile vanno da un livello minimo (sostenibilità "debole") in cui il concetto di sostenibilità è riferito alla sfera strettamente economica, per cui devono essere assicurati almeno pari livelli di consumo procapite per le presenti e per le future generazioni ad un livello massimo secondo il quale occorre assicurare non solo i livelli di consumo umano, ma anche la stabilità degli ecosistemi8. E' evidente quindi come esistano diverse teorie e punti di vista riguardo allo sviluppo sostenibile. Un elemento è però unanime, lo sviluppo è sostenibile quando è self-reliant, cioè non dipende dalla presenza di un continuo input dall'esterno sia di finanze che di assistenza, è pensato e implementato con la partecipazione locale, rispetta la cultura e le tradizioni della gente, ed è adatto all'area a cui si applica tenendo conto dei suoi particolari problemi e potenzialità. Lo sviluppo sostenibile perciò è una strategia per affrontare i temi dello sviluppo e dell'ambiente. Da questo consegue che è necessario un approccio globale e preventivo piuttosto che settoriale e curativo. Perciò non basta una buona normativa, in cui comunque i singoli provvedimenti devono essere coerenti tra loro e rispecchiare un comune disegno strategico, ma occorrono anche la volontà politica e la capacità culturale di coinvolgere e di convincere le popolazioni verso la costruzione di nuovi stili di vita.9 1.3 Aree protette: tra conservazione e fruizione “soft” dell’ambiente naturale Le Aree Naturali Protette, espressione visibile di una nuova modalità di fruizione turistica del territorio, assumono tra le proprie finalità proprio quella della realizzazione di uno sviluppo sostenibile per le zone interessate, esse sono luoghi privilegiati per la sperimentazione di un’attenta pianificazione dello sviluppo turistico, che concili le esigenze della tutela dell’ambiente e dell’identità culturale del luogo, con quelle dello sviluppo economico. L’istituzione di un’area naturale protetta comporta una serie di vincoli nell’utilizzo delle risorse, che solo in apparenza possono sembrare un ostacolo allo sviluppo economico. La regolamentazione di alcune forme d’uso è ovviamente finalizzata ad evitare uno sfruttamento eccessivo e ad assicurare che l’uso delle risorse sia sostenibile, tale cioè da consentire alla risorsa stessa di rinnovarsi. Le aree protette possono conservare al loro interno un patrimonio genetico di grande valore; esse, inoltre, con il loro patrimonio storico, culturale e naturalistico svolgono una funzione educativa fondamentale, i cui benefici sono difficilmente quantificabili.

8 Pearce D., Turner K., Economics of Natural Resources and the environment, New York, 1990 9 Riva A.,“Progettiamo il futuro” di Educazione ambientale, supplemento a “Legambiente notizie”, n.8 anno VII 15/10/96

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Sulla base di ciò, le aree protette possono divenire uno strumento efficace per realizzare la conservazione della biodiversità e per potenziare lo sviluppo sostenibile. Per quanto riguarda quest’ultimo tema, afferma Carlo Alberto Graziani, presidente del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, “ occorre risolvere il conflitto tra esigenze diverse: quelle di tutela ambientale e quelle dello sviluppo, il problema della sostenibilità ci pone di fronte ad una questione che va risolta non nel segno della supremazia di un’esigenza rispetto a un’altra e neanche del compromesso, ma nel senso di una ricerca di una sintesi ad un livello più alto... dove la tutela, la più rigorosa possibile, è intrinsecamente compatibile, con un alto livello di sviluppo compatibile (che non è solo economico, ma è anche e prima di tutto sociale, civile, culturale).10 A conferma di ciò, laddove gli enti locali e i gestori dei parchi naturali sappiano coniugare la conservazione degli ecosistemi con una loro fruizione turistica “soft”, le aree protette potrebbero diventare delle importanti risorse rinnovabili per le economie locali creando occupazione, posti di lavoro e ricchezze ben più sostenibili e durature nel tempo della speculazione edilizia. E’ necessario ed urgente, ad oggi, procedere, con la politica intrapresa dal Ministero dell’Ambiente ad un generale riordino e rivalorizzazione del patrimonio turistico naturale italiano. Con questa affermazione, implicitamente ritorno al ruolo che, in questo senso, rivestono le aree naturali protette, dove si punta sempre più sul recupero delle abitazioni degradate e abbandonate, specie nell’entroterra, e sulla salvaguardia idrogeologica dell’ambiente. Ne sono un esempio i numerosi borghi e centri abitati “dimenticati” dallo sviluppo economico, che si trovano all’interno o nelle vicinanze del territorio italiano incluso nelle aree protette. Dopo iniziali resistenze, il turismo verde ha dimostrato, in numerosi casi, di essere capace di attrarre visitatori che con la loro domanda di servizi ad alto tasso di occupazione hanno saputo risollevare le sorti di economie strutturalmente deboli. Tale domanda ha portato a preziosi interventi di recupero del patrimonio abitativo tradizionale e della stessa economia locale, specie quella contadina che si è convertita al biologico. Questo turismo si sta dimostrando estremamente attento alla qualità dell’ambiente tanto da essere in grado di orientare e condizionare gli stessi atteggiamenti degli operatori e degli enti locali. Esso potrebbe rappresentare, se sostenuto e appoggiato, una reale alternativa capace di coniugare i desideri del turista e le aspettative economiche dei locali con il rispetto degli equilibri ecologici.

10 Graziani C.A., Riflessioni sul codice delle aree naturali protette, in Parchi, rivista del Coordinamento nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali, n.16, Ottobre 1995, pp. 15-18

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1.4 Aree Protette ed Economia E’ necessario, però, rilevare come nella realtà siano pochi i casi di aree protette sia terrestri che marine dove si sia riusciti a coniugare la conservazione dell’ambiente con le esigenze di sviluppo socio-economico locali in un’ottica di sostenibilità. Nell’ambito del dibattito riguardo la politica di protezione dell’ambiente spesso è emersa la convinzione che tra le finalità delle comunità locali e quelle delle aree protette vi sia un rapporto di tipo conflittuale. Ciò dimostra come probabilmente abbia agito una convinzione diffusa secondo la quale tra gli interessi (e le culture) dei sistemi sociali locali e quelli degli spazi naturali protetti non avrebbe potuto esserci alcuna possibilità di incontro. Risultato immediato di questo assetto è stato quello della separazione: la gestione delle aree protette, soprattutto quella dei parchi nazionali, ha sottolineato troppo spesso la regolazione ed il controllo ponendo ai margini le comunità locali con le loro esigenze di sviluppo economico. Una nuova prospettiva è parsa invece delinearsi all’orizzonte delle politiche pubbliche ambientali, quella della sostenibilità ambientale dello sviluppo socio-economico che potrebbe addirittura ribaltare questa reciproca diffidenza e mutua esclusione. Tale riorientamento ha in sé tutte le potenzialità per esaltare la collaborazione dei due gruppi di interesse che vengono individuati, da un lato, nelle comunità locali e, dall’altro, nelle aree protette e negli organi gestori. Tale collaborazione porta con sé elementi positivi per entrambi: le strutture locali interne o limitrofe alle aree che devono “dinamicamente” essere conservate possono trarre sostanziali benefici economici da questa nuova alleanza mentre, ed occorre sottolineare, le aree protette possono utilmente avvalersi del coinvolgimento attivo delle popolazioni locali nei loro processi di pianificazione e gestione. Appare ovvio che il controllo delle attività di protezione debba rimanere all’interno dell’area protetta ma questa autonomia deve valorizzare al massimo la gestione come spazio di rapporto “interattivo”. In tale prospettiva si può affermare un interesse reciproco nelle azioni volte all’affermazione dello sviluppo locale ambientalmente sostenibile che genera reddito e occupazione. Una volta riconquistata una fiducia reciproca tra le istituzioni del parco e quelle delle comunità locali si potrà realizzare quella che viene definita una gestione congiunta. Si tratta di una forma di partenariato che conferisce alle popolazioni un senso di coinvolgimento e di padroneggiamento della situazione certamente di difficile realizzazione ma che può condurre a risultati indubbiamente innovativi di governo locale e di governo delle aree protette. Considerando la situazione italiana, in cui è ancora presente un rapporto conflittuale tra le due istituzioni, è possibile osservare la rilevanza di tale messaggio. Nel nostro paese si è ormai risolto il conflitto riguardo la stessa istituzione delle aree protette le quali si avviano verso una lenta ma sicura affermazione politica, amministrativa e sociale, ma il conflitto con le comunità e le amministrazioni permane e non sarà facile gestirlo, soprattutto se prevarranno mentalità ormai obsolete e metodi autoritari da parte di entrambi i gruppi di interesse. Ora il conflitto, piuttosto, va spostandosi sui problemi della gestione delle aree protette e sui problemi dello sviluppo socio-economico locale, tutto ciò costituisce, sicuramente, un avanzamento radicale nel dibattito pubblico italiano sulle aree protette perché si è superata una fase di aspri confronti e soprattutto perché sono ormai rari coloro che rimettono in discussione la finalità fondamentale di uno spazio protetto: quella della conservazione della natura. Tutto ciò è segno di una crescente attenzione verso le comunità locali sempre più coinvolte e artefici dello sviluppo economico locale.11 E’ questo un modo di pensare e di agire che, sul piano delle politiche pubbliche, si riconosce nell’approccio “bottom- up” allo sviluppo sosteni bile del turismo e che privilegia il livello locale in modo che le aree di destinazione dei flussi turistici si identifichino con i sistemi locali dove, per così dire, hanno sede le risorse turistiche. In sostanza si tratta delle aree di attrazione dei visitatori. Non si fa qui riferimento, ovviamente, soltanto allo spazio fisico turistico, che pure appare rilevante, poiché nelle destinazioni turistiche noi troviamo le comunità locali 11 A questo riguardo c’è da registrare un nuovo orientamento nello studio e nella prassi delle attività turistiche che, nella letteratura straniera, va sotto il nome di Tourism Destination

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con le loro strutture sociali e politico- amministrative e con le loro organizzazioni economiche, ma dunque all’intero ventaglio degli attori locali. Occorre, inoltre, sottolineare che le “destinazioni” turistiche presentano una varietà molto ampia di caratteristiche distintive che costruiscono quella che si potrebbe chiamare identità locale turistica. Un’area costiera avrà allora un’identità ambientale e sociale diversa da quella di un’area montana, così come un parco nazionale avrà i propri caratteri distintivi rispetto ad una città d’arte. Sul piano della considerazione scientifica come sul piano pratico- operativo l’insistenza sul livello locale del turismo comporta delle scelte: il livello micro più che il livello macro delle scelte, l’attenzione mirata verso le risorse locali più che verso le risorse nazionali ed internazionali, il livello locale della pianificazione turistica prima di quello, pur necessario, della pianificazione nazionale, la gestione dei flussi turistici a livello locale più che l’organizzazione sociale dei visitatori “alla fonte”, cioè, a livello della domanda. Ma le ragioni, insieme, culturali e strutturali, che hanno determinato questa rinnovata attenzione per sistemi turistici locali sono indubbiamente e principalmente da ricercare nella crescente consapevolezza degli impatti ambientali del turismo. In sostanza la qualità ambientale di un’area turistica si inserisce sempre più nella qualità delle risorse turistiche che essa offre ad una clientela che fruisce con sempre più consapevolezza del luogo turistico. Ma tale qualità ambientale si pone in rapporto diretto con la qualità e la quantità dei visitatori. Da qui la rilevanza di un management turistico centrato sulla dimensione locale e quindi sulle aree della destinazione turistica. Le Aree Naturali Protette, create e gestite per difendere le peculiarità paesaggistiche, ambientali nonché economiche di determinati luoghi, minacciate dal degrado, possono ben identificarsi con una tipologia di pianificazione del territorio ed in particolare del fenomeno turistico che privilegia il livello locale. In esse, a partire dalle emergenze ambientali e, a seconda delle caratteristiche del territorio, compreso il grado di antropizzazione dell’area, vengono determinate le modalità di protezione e di fruizione dell’ambiente naturale. Dunque, nelle Aree Naturali Protette, dove la dimensione locale assume un’importanza fondamentale, una oculata gestione che veda una operosa collaborazione tra le comunità locali e gli organi preposti alla tutela del territorio, in vista del raggiungimento di uno scopo comune, può costituire una condizione favorevole per l’attuazione di quello che viene definito uno sviluppo locale ambientalmente sostenibile. Ciò è quanto affermato anche a livello internazionale in documenti di ampio spessore tra cui Parks for Life12 uno dei molti piani regionali elaborati dalla Commissione per i Parchi Nazionali e le Aree Protette (CNPPA). Il piano d’azione europeo, pubblicato nel 1994, precede di molto gli attuali dibattiti italiani e fornisce le linee di condotta che, per quanto generali, colgono con chiarezza l’essenza dei problemi e delle politiche, soprattutto delle politiche locali. Pur nella sua generalità tale documento non si esime dal fornire indicazioni concrete che già in molte aree protette internazionali sono state sperimentate.13 Altro importante documento è la Carta Europea del turismo sostenibile nelle aree protette, anch’essa rientra nel programma Parks for Life dell’UICN e nelle priorità mondiali ed europee espresse dalle raccomandazioni dell’Agenda 21, adottate durante il Summit della Terra a Rio nel 1992, e dal V programma comunitario di azione per lo sviluppo sostenibile. La carta è stata elaborata e firmata da un gruppo formato da rappresentanti europei delle aree protette, del settore turistico e dai loro partners. Essa si conforma ai principi enunciati dalla Carta mondiale del turismo sostenibile, elaborata a Lanzarote nel 1995. La Carta impegna i firmatari ad attuare una strategia a livello locale in favore di un “turismo sostenibile”, definito come “qualsiasi forma di sviluppo, pianificazione o attività turistica che rispetti e

12 IUCN Commission on Natural Parks and Protected Areas, Parks for Life. Action for Protected Areas in Europe, Gland, Switzerland, International Union for Conservation of Nature and Natural Resources 1994 13 Beato F., Parchi e società, Liguori, 1999, pp.22-30

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preservi nel lungo periodo le risorse naturali, culturali e sociali e contribuisca in modo equo e positivo allo sviluppo economico e alla piena realizzazione delle persone che vivono, lavorano e soggiornano nelle aree protette” 14 Aderire alla Carta significa rispettare l’approccio strategico dello sviluppo turistico sostenibile e definire un programma di attività contrattuali per e con il territorio e le imprese firmatarie. Significa, dunque, realizzare una diagnosi, consultare e coinvolgere i partners, stabilire gli obiettivi strategici, assegnare i mezzi necessari, realizzare un programma di azioni e valutare i risultati. Per l’area protetta tale approccio si traduce nella realizzazione di una diagnosi del territorio in termini di problemi ed opportunità allo scopo di definire l’orientamento turistico più adeguato per il territorio nel suo insieme. Per l’impresa turistica o l’organizzatore di viaggi la diagnosi verte sulla propria attività ed è volta ad analizzare la compatibilità della propria offerta con gli obiettivi del territorio e con le aspettative della clientela. I firmatari della Carta aderiscono all’etica del turismo sostenibile ossia si impegnano affinché il turismo contribuisca nel modo migliore alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio locale. Si impegnano, inoltre, ad adottare un’etica commerciale e un’etica dell’accoglienza promuovendo un turismo “per tutti”. L’area protetta, con l’adesione alla Carta, sceglie di perseguire lo sviluppo turistico privilegiando la coerenza delle azioni condotte sul suo territorio operando nell’ottica del lungo periodo nonché l’azione concertata e la condivisione delle responsabilità per rafforzare l’efficacia della propria missione a difesa dell’ambiente. L’adesione alla Carta presenta numerosi vantaggi per l’area protetta quali la possibilità di: • distinguersi a livello europeo come territorio speciale in materia di turismo sostenibile; • lavorare meglio con i propri partners coinvolgendo i professionisti del turismo nella propria politica; • influenzare lo sviluppo del turismo sul proprio territorio con la creazione di prodotti turistici autentici, di qualità, realizzati nel rispetto dell’ambiente; • rafforzare la propria attività di sensibilizzazione dei visitatori; • favorire sul proprio territorio uno sviluppo socio-economico nel rispetto dell’ambiente; • dotarsi di appositi strumenti per monitorare e valutare la politica turistica condotta; • rafforzare la credibilità della propria missione nei confronti dell’opinione pubblica e dei propri finanziatori. L’istituzione che gestisce l’area protetta metterà a punto una strategia articolata in un programma di azioni, con esso si fissa l’impegno dei diversi partners per il raggiungimento di obiettivi prioritari per l’area protetta quali: il miglioramento della qualità dell’offerta turistica, la creazione di un’offerta turistica specifica, la sensibilizzazione del pubblico sui temi ambientali, la formazione degli attori locali sul tema dello sviluppo sostenibile, la conservazione e il miglioramento della qualità della vita degli abitanti con la difesa e la valorizzazione del loro patrimonio naturale, culturale, storico; sarà previsto il monitoraggio dell’affluenza turistica, l’area protetta si impegnerà a promuovere nuove forme di occupazione favorendo la pluralità e l’integrazione sociale. 1.5 Il modello del ciclo di vita di una destinazione turistica Come ho già detto, talvolta risulta necessario porre dei limiti allo sviluppo turistico di un’area a causa degli effetti negativi causati dall’interazione tra l’attività turistica e l’ambiente naturale, economico e sociale in cui essa si svolge. Lo sviluppo turistico di un’area e dunque il numero di turisti che ad essa si rivolge è però destinato a subire un processo di autolimitazione indipendentemente da vincoli e regolamentazioni di varia natura. Ad un certo momento si può notare come l’attrattività turistica di un’area vada diminuendo a causa di fattori quali l’evoluzione dei gusti, delle motivazioni, delle abitudini

14 Federazione italiana dei Parchi e delle Riserve Statali, Carta Europea del turismo sostenibile nelle Aree Naturali Protette, 2000, pp.3-7

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e del comportamento di spesa dei visitatori. Questo processo può essere studiato ricorrendo al modello del ciclo di vita del prodotto che descrive l’evoluzione di un prodotto, espressa in termini di dinamica del volume di vendite nel tempo, attraverso le fasi di introduzione, crescita, maturità, declino. A queste fasi spesso si aggiunge una quinta fase di ripresa, con la quale ha inizio un nuovo ciclo, grazie ad un rinnovamento del prodotto e, quindi, all’aggiunta di caratteristiche distintive che rendono il prodotto appetibile per nuovi utilizzatori. Le destinazioni turistiche seguirebbero un ciclo evolutivo molto simile a quello dei prodotti industriali al punto che è stato teorizzato, da Butler15, il modello del “ciclo di vita di un’area turistica”, anch’esso determinato da fattori quali i prezzi e le tendenze nelle abitudini di acquisto dei consumatori. L’andamento del numero delle visite viene descritto mediante una funzione logistica, che evidenzia chiaramente i momenti di transizione tra le diverse fasi (Fig.5). Così come per qualsiasi prodotto, il ciclo di vita di una destinazione turistica ha inizio con l’esplorazione da parte di un numero ristretto di visitatori attratti dalle bellezze naturali e/o culturali del luogo. In questa fase la mancanza di servizi e strutture turistiche adeguate limita il numero dei turisti. La seconda fase è quella del coinvolgimento, essa è caratterizzata da una crescita costante del numero dei visitatori grazie alle iniziative dei residenti volte alla predisposizione di servizi turistici e alla diffusione dell’immagine del luogo come meta turistica. Nella terza fase, di sviluppo, si assiste ad alti tassi di crescita delle visite. Anche l’organizzazione del turismo nell’area si modifica tanto da essere affidata a strutture esterne all’area perché più efficienti e innovative nella gestione della domanda. Il turismo assume un ruolo predominante nell’economia del luogo, ma in tale fase sono frequenti processi che alterano il carattere della destinazione e che ne causano, di fatto, il declino. L’elevata frequentazione e la popolarità della meta turistica possono causare il manifestarsi di alcune problematiche dovute al sovrautilizzo e al deterioramento delle sue componenti. Nella fase di maturità il numero assoluto di visitatori aumenta ma, a tassi sempre più contenuti. Nella fase di stagnazione la destinazione ha raggiunto i livelli massimi di visite e non è più percepita come attrazione. Segue, infine, la fase di declino, durante la quale i visitatori cominciano a diminuire, preferendo altre mete. La domanda stanziale tende, quindi, ad essere sostituita dall’escursionismo e dalle visite del fine settimana. In questa fase l’intervento del pianificatore pubblico, attraverso opportune politiche di rinnovamento, può invertire la tendenza, dando il via a una nuova fase di sviluppo. In particolare, ad esempio, la decisione di istituire un’area naturale protetta, con il ripristino della qualità delle risorse ambientali, potrebbe costituire una modalità per evitare il definitivo declino dell’area dal punto di vista turistico, favorendo lo sviluppo di un nuovo tipo di turismo.

15 Butler R.W., The concept of a tourist area cicle of evolution: implication for management of resource, Canadian Geographer 24, 1980, pp.5-12

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Numerodi turisti

Tempo

EsplorazioneSviluppo

Maturità

Stagnazione

Rinnovamento

Declino

Curva teorica del ciclo di vita di una destinazione turistica

Fig.5 Il modello proposto ha suscitato pareri favorevoli per la sua estrema semplicità e intuitività, basate sull’evidenza che ogni prodotto adottato dai consumatori ha una vita limitata e che i profitti derivanti dalla vendita variano a seconda della fase di vita del prodotto, con riferimento alla quale vanno, quindi, impostate le politiche di vendita. Ma proprio questa estrema semplicità, nonché la generalità che caratterizza il modello sono alla base di alcuni pareri discordi, in particolare perché si è rilevato che non sempre le curve dei volumi di vendita di molti prodotti coincidano con la curva logistica teorica; diviene, quindi, impossibile utilizzare il modello come strumento previsionale a causa delle sostanziali differenze tra le destinazioni turistiche (geografiche, culturali, sociali, ambientali, di mercato ecc.). Tali diversità fanno sì che, per ciascuna destinazione, si possa tracciare una curva, rappresentativa del peculiare ciclo di vita di quella meta turistica e per tale motivo non estendibile alle altre. Al modello si attribuisce, in tale ottica, soltanto una funzione descrittiva, in grado di sintetizzare i molti fattori che concorrono allo sviluppo di una destinazione turistica. A conferma di ciò si può osservare come la definizione della forma grafica del ciclo di vita del prodotto debba tener conto delle specificità del mercato in cui esso viene immesso, allo stesso modo è necessario precisare il concetto di prodotto al quale si applica il modello, se generico oppure specifico. Anche dopo aver individuato il prodotto bisogna conoscerne le diverse componenti che, soprattutto nell’ambito del turismo, sono molteplici e di diversa natura. Così come sottolineano Gordon e Goodall (1992), concentrando l’analisi alternativamente sui monumenti, sull’ambiente, sui servizi turistici di una destinazione si possono individuare tre diversi modelli del ciclo di vita, la scelta di uno di essi condizionerà la scelta e la messa a punto delle politiche di gestione e di controllo.16 Il modello proposto, forse troppo semplicisticamente, assume come determinante del ciclo di vita di una destinazione il numero di turisti che vi si recano in un certo orizzonte temporale. Un’analisi più approfondita richiede che si analizzi, oltre alla domanda, anche le componenti dell’offerta turistica quali: le strutture ricettive, i trasporti, le risorse naturali e culturali del luogo e, quindi, il loro andamento nel tempo. La considerazione di queste componenti contribuirà, sicuramente, alla diversificazione dell’andamento del grafico che rappresenta il ciclo di vita. Analizzando, ad esempio, un fattore 16 Costa P.e Manente M., Economia dell’ambiente, TCI 2000, pp.199-203

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determinante dell’attrattività turistica di un’area quale la qualità ambientale, si avrà che mentre, nella fase di sviluppo, il numero di turisti continua ad aumentare a tassi elevati, la qualità delle risorse naturali, invece, comincia a subire un processo di degrado a causa dei fenomeni di congestione e di sovrautilizzo innescati dall’elevato numero di visitatori. La funzione che rappresenta la qualità ambientale comincerà, pertanto, a partire da tale fase, a decrescere (Fig.6). Ancora diverso, e con riferimento a questi aspetti, sarà l’andamento della curva del ciclo di vita di un’area naturale protetta di cui mi occuperò, in particolare, nel capitolo 3 relativo all’Area Marina Protetta di Punta Campanella.

TempoQualità ambientale

Numero di turisti

Numerodi turisti

Qualità ambientale

Fig.6 1.6 La Capacità di Carico di una località turistica Se, con gli opportuni adattamenti alle caratteristiche specifiche dell’area e delle componenti del sistema turistico che in essa è presente, lo studio del ciclo di vita di una destinazione costituisce uno strumento pianificatorio dello sviluppo turistico di un territorio; accanto ad esso, il calcolo della capacità di carico potrebbe servire, a sua volta, a valutare l’opportunità di determinati interventi. Essa può essere definita come “il massimo numero di turisti che una destinazione può sopportare (massimo livello d’uso), oltre il quale gli impatti si traducono in un danno fisico, economico, sociale netto”. Tale distinzione fa si che si possano individuare vari tipi di capacità di carico e precisamente: • la capacità di carico fisica (o ecologica) quale limite oltre il quale le risorse naturali e/o culturali della destinazione risultano danneggiate; • la capacità di carico economica, limite superato il quale la qualità della vita nella destinazione si riduce drasticamente, al punto che la domanda si contrae; • la capacità di carico sociale, come limite oltre il quale le altre funzioni sociali ed economiche dell’area risultano danneggiate provocando il degrado nella qualità della vita della popolazione ospitante. La massima capacità di accoglienza per una località sarà, dunque, il vincolo più stringente, ossia, quello che per primo diviene attivo tra quello sociale, economico e fisico. Ciascuna capacità di carico, e soprattutto il raggiungimento del loro limite massimo, può essere espressa in termini di costi e benefici: mentre il superamento della capacità di carico fisica comporta soltanto costi, talvolta considerati infiniti, per il recupero della risorsa, i benefici di tipo economico raggiungono il loro valore massimo qualora si supera il limite della relativa capacità, la differenza tra costi e benefici segnala un’eccedenza dei primi quando, infine, il limite del terzo tipo di capacità viene superato.

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Da ciò segue che il turismo, in termini di impatto economico, fisico e sociale, è all’origine di varie tipologie di costi e di benefici che si manifestano dove esso ha luogo, essi possono essere espressi in termini monetari oppure presentare il carattere di esternalità. Naturalmente la loro effettiva manifestazione e la loro caratterizzazione dal punto di vista qualitativo e quantitativo dipenderanno dal contesto territoriale in cui essi si generano.17 Tra i benefici derivanti dal turismo possiamo individuare: 1. l’incremento di reddito che si può registrare nell’area; 2. la possibilità di occupazione per gli addetti; 3. il miglioramento della qualità della vita per la popolazione ospitante che può usufruire dei servizi realizzati con gli investimenti destinati al turismo; 4. lo sviluppo di reti formali e informali con gli organismi di gestione delle principali compagnie internazionali e, dunque, il potenziamento della competitività dell’area. Analogamente i costi di cui il fenomeno turistico impone l’onere sono: 1. costi per attività promozionali e pubblicitarie; 2. costi per incentivi diretti ai turisti e ai produttori turistici; 3. costi per il mantenimento degli attrattori turistici 4. maggiori costi per la produzione dei servizi pubblici utilizzati dai turisti; 5. costi derivanti da problemi di distribuzione del reddito; 6. costi derivanti dall’aumento generalizzato dei prezzi; 7. costi di specializzazione monoculturale e di spiazzamento di altre attività economiche desiderabili. Ricollegandoci al ciclo di vita di una destinazione turistica si può osservare come ogni fase di esso si caratterizzi per soglie specifiche di capacità di accoglienza. Nella fase di esplorazione, ad esempio, la capacità di carico economica e fisica rimangono molto alte, la capacità di carico sociale, invece, potrebbe subire delle limitazioni a causa della mancanza di infrastrutture. Nella fase di stagnazione, con un‘offerta infrastrutturale adeguata, potrebbero cominciare a manifestarsi anche gli effetti economici negativi legati al degrado della qualità ambientale. In ciascuna delle fasi, dunque, l’attività turistica apporta benefici e/o impone dei costi. L’analisi della situazione in cui un’area si trova, con il riconoscimento dei benefici e/o dei costi che si manifestano in essa, costituiscono utili strumenti descrittivi per la pianificazione dello sviluppo turistico di un territorio, in quanto il pianificatore potrebbe utilizzare tali dati per la presa di decisioni come, ad esempio, quella relativa al tentativo di prolungare le fasi in cui i benefici derivanti dall’attività turistica siano superiori ai relativi costi.

17 Paolo C. e Manente M., op. cit.

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Capitolo II Il sistema della protezione ambientale in Italia 2.1 Patrimonio naturale e aree protette Attraverso il sistema dei parchi e delle riserve sono sottoposti a specifica tutela oltre 3.041.000 ettari di territorio, oltre il 10,09% della superficie totale della penisola. Le aree protette, in sistemi territoriali ed economici ad elevato impatto sulla natura e sull’ambiente, sono indispensabili per la difesa della biodiversità, per la conservazione di specie animali e vegetali, di valori paesaggistici, di equilibri idrogeologici ed ecologici che sarebbero altrimenti gravemente compromessi. Altro ruolo della aree naturali protette, non meno importante della tutela ambientale, è quello di essere veicolo e luogo di sperimentazione di una equilibrata gestione del territorio, per costruire e soprattutto mettere in pratica una reale ed attuale idea di sviluppo sostenibile, la nuova sfida che si pone di fronte alla società del terzo millennio. 18

18Ostellino I.“Il ruolo delle aree protette nella nostra cultura”, Parchi n.22, sett-dic 1997, pp.15-17

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2.2 Normativa ambientale: finalità e ambito della legge quadro sulle Aree Naturali Protette La questione della tutela ambientale è talmente ampia ed investe tanti ambiti, al punto che risulta difficile stabilire i soggetti o i livelli di governo in capo ai quali possa essere riconosciuta una qualsiasi competenza in materia. Inoltre, la localizzazione dell’interesse e il livello di tutela appropriato sono spesso sovranazionali, collocandosi a livelli addirittura superiori a quello dell’UE, in quanto coinvolgono interessi dell’intera popolazione mondiale. La tutela ambientale taglia in orizzontale le competenze attribuite ai vari livelli di governo, anche in materie che non siano quelle strettamente ambientali. Per quanto riguarda l’esperienza italiana, la tutela dell’ambiente naturale, che spesso si estrinseca nella istituzione di aree naturali protette in luoghi di particolare pregio, che risultino sottoposti a forti sollecitazioni da parte di attività umane, è regolata dalla Legge quadro sulle aree protette del 6 dicembre 1991, n.394. La legge in questione ha un obiettivo ambizioso: creare e gestire un grande sistema nazionale di aree protette, che porti l’Italia al livello dei Paesi più avanzati. Si tratta dunque di una legge che ha l’ambizione di dar vita ad una strategia integrata per il governo e la valorizzazione delle risorse naturali. Accanto alla tutela dei valori strettamente naturalistici, la legge si prefigge anche la preservazione delle attività tipiche del luogo. La legge indica un “dominus”, il Ministero dell’Ambiente, cui riferisce tutta la responsabilità del sistema, forzando in alcuni casi l’assetto dei poteri tra governo centrale e autonomie locali. Al Ministero vengono posti precisi obblighi, soprattutto in tema di programmazione, al fine di garantire la qualità e l’efficacia delle politiche attuate. Un disegno così ampio ed ambizioso non poteva non incontrare grandi difficoltà nella pratica e, in effetti, il processo di attuazione della legge si è rivelato molto complesso e contrastato a cominciare dalla esigenza di “attrezzare” il Ministero per lo svolgimento dei compiti affidatigli. Oltre a ciò, le tradizionali lentezze burocratiche e l’eccesso di centralizzazione pesano sugli iter attuativi.19 La legge di cui sopra detta i principi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese, in attuazione degli articoli 9 e 12 della Costituzione. Essa è suddivisa in quattro titoli: 1.Principi generali 2.Aree naturali protette nazionali ed organi di gestione 3.Aree naturali protette regionali 4.Disposizioni finali e transitorie Nei Principi generali viene data la definizione giuridica di Patrimonio Naturale costituito da “le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico”. I territori nei quali siano presenti i valori indicati sono sottoposti ad uno speciale regime di tutela e di gestione allo scopo di perseguire, in particolare, le seguenti finalità: • conservazione di specie animali o vegetali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di biotopi, ecc.; • applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo ed ambiente naturale; • promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili; • difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici. I territori sottoposti a tale regime di tutela e gestione costituiscono le Aree Naturali Protette, aree dove possono essere promosse la valorizzazione e la sperimentazione di attività produttive compatibili. 2.3 Le Aree Marine Protette come occasione per la protezione e la gestione delle nostre coste

19 Signorino Mario, “L’attuazione della legge Quadro”, Parchi, n. 15- giugno 1995 pp. 13-15

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Il nostro paese, con il suo ambiente naturale, appare fortemente condizionato dalla sua posizione geografica. Il mare è una risorsa inestimabile dell’Italia. Le coste marine sono un sistema di pregio mondiale per la loro estensione (quasi 8000 chilometri), per la ricchezza e la varietà di specie animali e vegetali, per la presenza di testimonianze storiche e archeologiche, per le peculiarità paesaggistiche, per la profonda influenza che, per secoli e ancora oggi, esercitano sulla cultura, sulle abitudini e sull’economia italiane. Nell’ultimo secolo questo immenso patrimonio è stato aggredito dall’inquinamento, dalla speculazione edilizia e da numerose attività economiche e industriali. L’impetuosa crescita della pressione demografica, l’industrializzazione, l’agricoltura intensiva hanno fortemente influito sugli scarichi che arrivano direttamente o indirettamente sulla fascia costiera. Oltre a ciò, la diffusione di impianti industriali, le metropoli costiere, i traffici marittimi pericolosi, lo sfruttamento a fini energetici dei fondali marini, la pesca incontrollata e la cementificazione selvaggia della costa hanno assai aggravato le condizioni qualitative del nostro mare. Soprattutto se si considera che il Mediterraneo è un bacino semichiuso, dove il ricambio delle acque avviene a scadenze secolari. Nonostante ciò, resta tuttora significativo il valore ecologico della fascia costiera italiana, risorsa fondamentale dell’industria turistica su cui si imperniano decisive opportunità di futuro e di occupazione. Per fermare il degrado occorre investire per la tutela e il recupero delle nostre risorse ambientali costiere, depositarie di valori unici ed irripetibili in grado di competere nel quadro della moderna globalizzazione.20 Si rende sempre più necessaria un’attenta politica di tutela dell’ambiente marino. Il mare si gestisce soprattutto proteggendo il confine con la terra emersa e pianificando razionalmente la distribuzione delle attività umane. Esso è un ecosistema complesso non meno della terraferma; nel sistema terra-mare la fascia costiera si presenta come luogo critico per la gestione delle risorse. La gestione razionale dell’ambiente è fondamentale per poter utilizzare efficacemente le sue risorse, conservandolo per le generazioni future. Per far fronte a tale situazione e, soprattutto, per rafforzare le azioni di gestione dell’ambiente costiero, è molto importante istituire aree naturali protette, cioè zone in cui l’ambiente viene conservato nel miglior modo possibile. Le Aree Marine Protette (A.M.P.) “sono costituite da ambienti marini dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche, con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine e costiere e per l’importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed economica che rivestono.” 21 Queste iniziative di tutela ambientale si rendono necessarie sia per evitare lo sfruttamento indiscriminato delle risorse biologiche, sia per finalità turistiche- ricreative, data la crescente richiesta di “naturalità” da parte del popolo dei vacanzieri. Dall’analisi di numerose esperienze in campo internazionale, è possibile affermare che le aree protette marine rivestono un ruolo molto importante nella gestione dell’ambiente costiero. Se correttamente gestite, esse possono contribuire al mantenimento dell’equilibrio e della produttività degli ecosistemi marini, possono difendere habitat critici, preservare la biodiversità, e contribuire anche all’uso sostenibile delle zone costiere, intendendo con ciò l’utilizzazione degli ecosistemi e delle loro risorse biologiche in maniera razionale, limitandosi a prelevare una parte della produzione e lasciando integra un’adeguata quantità di individui in grado di riprodursi e moltiplicarsi”.22 Le finalità principali che conducono alla creazione di aree protette marine possono essere riassunte in questo modo:

20 Ronchi. E., Coste e Aree marine protette, in L’Ambiente informa , Mensile di informazione a cura del Ministero dell’Ambiente, n.3-1998 pp.25 21 Legge n.979 del 31/12/1982 Titolo V, art.25 22 Diviacco G. “Occuparsi degli Ambienti costieri”, in Modus Vivendi, n.5 giugno 1999 pp.33-35

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• protezione dei valori biologici ed ecologici (questo appare come lo scopo principale dell’istituzione di un’area marina protetta). • ripristino, mantenimento ed incremento dei valori biologici ed ecologici che sono stati ridotti o comunque danneggiati da attività umane. • promozione dell’uso sostenibile delle risorse. • monitoraggio, ricerca, educazione e addestramento, per approfondire le conoscenze sull’ambiente marino costiero. • creazione di forme di ricreazione e turismo compatibili con la salvaguardia dell’ambiente. Queste motivazioni evidenziano il ruolo delle A.M.P. nei confronti della “componente antropica” per quanto riguarda la regolamentazione delle attività umane e gli sforzi progettuali necessari per perseguire le finalità suindicate. Infatti, l’istituzione di un’area protetta non implica solo l’introduzione di vincoli o limitazioni nell’uso delle risorse ambientali, ma anche la valorizzazione delle peculiarità naturali o paesaggistiche e l’individuazione di nuove opportunità economiche. Questo si raggiunge anche attraverso un’appropriata zonazione, a sua volta risultato della corretta stima delle variabili ambientali ed antropiche (Tunesi & Diviacco ’93). Per questi motivi le A.M.P. possono promuovere l’integrazione tra le esigenze di protezione ambientale e quelle di sviluppo, assicurando un miglioramento nella qualità della vita delle popolazioni rivierasche e la diffusione di una più profonda conoscenza e di un maggior rispetto dei sistemi naturali, evitando la nascita di tensioni e di conflitti d’interesse. L’istituzione di un’area marina protetta necessita di un’approfondita conoscenza delle caratteristiche ecologiche e degli aspetti socioeconomici. Solo attraverso la comprensione di questi fattori è possibile conciliare gli interessi della conservazione con quelli dello sviluppo delle ecomomie locali, adattando le strategie di sviluppo e gestione alle caratteristiche dei singoli biotopi. In particolare si può affermare che il successo e il corretto funzionamento dell’Area Marina Protetta dipende dal livello di coinvolgimento locale. Questo si deve manifestare sia nella fase istitutiva che in quella gestionale e dipende dall’opera di sensibilizzazione da seguire con cura sin dall’inizio.23 Per quanto riguarda la zonazione, essa viene in genere formulata seguendo lo standard previsto dalla ex Consulta per la difesa del mare, del ministero dell’Ambiente. L’A.M.P. viene suddivisa in tre distinte zone, soggette a un differente regime di tutela : • zona “A” di riserva integrale • zona “B” di riserva generale • zona “C” di riserva parziale La zona di riserva integrale è l’area caratterizzata dal maggior grado di tutela, in quanto da preservare nella sua integrità. In questa zona viene pertanto vietata qualsiasi forma di intervento, sfruttamento o uso produttivo. L’accesso è consentito solo per attività scientifiche o didattiche, previa autorizzazione rilasciata dall’Ente Gestore. Nelle due zone di riserva generale e di riserva parziale sono consentite e graduate le attività economiche tradizionali, altre attività vengono invece regolamentate. Limiti e divieti nelle diverse zone sono esattamente definiti e individuati, di volta in volta, dai decreti istitutivi delle A.M.P., che tengono conto delle peculiarità, caratteristiche e necessità di ciascuna. Nel pianificare delle Aree Marine Protette in Italia, bisogna comunque considerare l’elevato grado di antropizzazione del profilo costiero, che rende unico il caso italiano rispetto alle altre realtà europee o extraeuropee. Per questi motivi, tutti gli interventi mirati alla protezione dell’ambiente marino devono, nel nostro paese, essere inseriti in un insieme di azioni ampie ed opportunamente programmate, finalizzate alla gestione razionale della fascia costiera. Tutto al fine di una protezione ambientale non fine a se stessa,

23 Tunesi-Villa-Di Sciara, “Strumentazioni Scientifiche di supporto alla decisione nella pianificazione di A.M.P”, ICRAM, 2000.

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ma inserita in programmi gestionali, i quali permettano la convivenza delle esigenze naturalistiche con quelle socioeconomiche.(Diviacco ’99) 2.4 Evoluzione della politica di tutela ambientale In questi ultimi anni la sensibilità e la consapevolezza dell’impatto fortemente negativo che molte attività umane hanno sull’ambiente si sono notevolmente accresciute sia da parte dell’opinione pubblica in veste di consumatori, che si dimostra sempre più attirata da ambienti e da prodotti che conservino intatte le loro caratteristiche naturali, sia da parte degli organi preposti alla gestione del territorio, mediante l’istituzione di aree naturali protette. Dal 1991, anno dell’entrata in vigore della Legge n.394 sulle aree naturali protette, numerosi passi avanti sono stati compiuti in questo senso. Se nel dicembre 1993, come appare dalla tabella 1, il numero delle aree sottoposte a tutela, nelle varie tipologie, ammontava a 445, per un totale di 2.148.278 ettari, corrispondenti al 7,13% della superficie nazionale; negli anni seguenti la politica di tutela delle risorse ambientali ha, come ho già detto, subito ulteriore impulso. Tabella 1

Elenco ufficiale delle aree naturali protette Al 21 dicembre 1993 in ettari Aree Numero Ettari % superficie

nazionale % aree protette

Estensione media

Parchi nazionali 17 1.380.089 4,58 64,24 81.182 Riserve nat.statali terrestri 140 78.718 0,26 3,66 562 Riserve marine statali 7 Parchi naturali regionali Riserve nat. Regionali

75 172

617.859 62.853

2,05 0,21

28,76 2,93

8.238 365

Zone umide di importanza Internazionale

34 8.759 0,03 0,41 258

Totale

445

2.148.278

7,13

100

4.827

Fonte: Legambiente, Rapporto Ambiente Italia 1994 Nel 1998 il territorio sottoposto a tutela è stato ampliato di circa 75.000 ettari con l’istituzione di nuovi parchi terrestri e di 8 nuove aree marine protette. A questo riguardo è possibile affermare che in Italia l’esigenza della gestione razionale dell’ambiente marino è stata ufficialmente recepita nel 1982, con l’approvazione della Legge 4124e della legge 97925, mentre da ultima è intervenuta la legge 426 del 1998. Mentre nella prima le azioni di salvaguardia sono finalizzate alla conservazione e allo sviluppo delle risorse e al ripopolamento delle aree marine, volendo creare delle aree dove, accanto alla tutela strettamente ambientale, si persegua comunque un obiettivo di sviluppo economico attraverso attività ecocompatibili, la seconda ha invece voluto rappresentare uno strumento per attuare una politica di protezione del mare nel suo insieme e per prevenire danni elle sue risorse. La legge 979 prevede che l’istituzione delle aree marine protette avvenga con decreto del Ministero dell’Ambiente, di concerto con il Ministro della marina mercantile, la proposta per l’istituzione delle stesse spetta alla Consulta per la difesa del mare dagli inquinanti tenendo conto del parere degli enti

24 Legge n. 41/82 “Piano per la razionalizzazione della pesca marittima” 25 Legge 979/82 “Disposizioni per la difesa del mare”

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locali (comuni e regioni) interessati. Anche in questo caso sembra sussistere la competenza statale in materia di istituzione di aree marine protette, tuttavia la stessa legge 979 dimostra come ciò non pregiudichi le competenze delle regioni, infatti, all’art.27 si afferma che il decreto istitutivo della riserva determina, oltre alla superficie e alle finalità, anche il regime di tutela, attraverso limitazioni o autorizzazioni allo svolgimento di determinate attività. Per la gestione dell’area sono previste due modalità: la concessione ad enti pubblici, istituzioni scientifiche, associazioni riconosciute o cooperative oppure tramite l’Ispettorato centrale per la difesa del mare. La vigilanza è affidata proprio a quest’ultimo che può ricorrere alle Capitanerie di Porto presso le quali è istituita una Commissione di riserva che partecipa alla gestione dell’area. La legge prevede, tra l’altro, l’istituzione di riserve marine in 20 località costiere di particolare pregio naturalistico. Ciò ha costituito un fatto altamente positivo, nonostante però l’applicazione pratica abbia rivelato ritardi e difficoltà a causa della complessità dell’iter burocratico e della difficoltà nel far accettare, in tempi brevi, situazioni nuove e talvolta ritenute scomode, soprattutto a livello locale. Nel 1991, si è giunti alla approvazione della tanto attesa Legge quadro sulle aree protette n.394. Essa costituisce un’ulteriore passo avanti nella gestione dell’ambiente marino. La Legge 394 fornisce un nuovo elenco di aree marine da tutelare con le stesse modalità previste dalla Legge 979 mancando, però, in questo caso il parere di Regioni ed enti locali e dunque a conferma del carattere centralista che viene attribuito alla legge. Inoltre la legge quadro precisa il regime di tutela per le A.M.P., a differenza della legge 979 che lasciava tale facoltà al decreto istitutivo, prevedendo però, anche la possibilità di adottare dei regolamenti più dettagliati relativamente a ciascuna singola area, in ragione delle specificità locali, includendo eventuali deroghe, mediante un regolamento approvato dal Ministro dell’Ambiente. Quanto alla gestione delle zone protette, la legge quadro non apporta variazioni rispetto all’assetto precedente e così essa è affidata all’Ispettorato centrale per la difesa del mare con le competenti Capitanerie di Porto, restando la possibilità di affidare la gestione ad enti pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni riconosciute tramite una convezione stipulata dal Ministero dell’ambiente (Art.19). La stessa vigilanza resta affidata alle Capitanerie di Porto. Vengono, poi, individuate altre 26 aree di reperimento per l’istituzione di aree protette oltre a quelle già riconosciute dalla legge 979/82, pur restando tale potere in capo alla Consulta per la difesa del mare (art.36). Da ciò è possibile comprendere come la legge 394/1991 non abbia innovato in modo particolare il regime delle aree protette, come invece si attendeva e sperava da più parti, merito della suddetta legge è piuttosto quello di aver proposto un nuovo assetto definitorio per le riserve marine, in particolare viene posta l’attenzione sul solo valore naturalistico ed ambientale del sito da proteggere, quanto all’economia e le relative attività, esse saranno consentite ed eventualmente valorizzate qualora compatibili con il conseguimento del primario obiettivo della salvaguardia delle risorse naturali. Analizzando, però, i risultati conseguiti praticamente nella attuazione delle normative di cui ho parlato, è possibile constatare come questi siano insoddisfacenti, talvolta proprio a causa di una grave inattuazione delle stesse, infatti, non in tutte le zone individuate come aree di reperimento sono state realizzate aree marine protette. Dal 1991, anno dell’entrata in vigore della legge quadro sulle aree naturali protette, la politica di tutela ambientale è stata caratterizzata da una costante evoluzione, questa non riguarda soltanto le cifre ma gli stessi strumenti normativi; infatti il D.Lgs. 31/3/98, n.112 e la legge 9 dicembre 1998 n.426 “Nuovi interventi in campo ambientale” hanno apportato rilevanti modifiche alla legge 394 del 1991 in particolare per quanto riguarda il procedimento di istituzione delle aree naturali protette. La legge quadro affidava al Comitato per le aree naturali protette il compito di individuare le aree da tutelare. L’istituzione avveniva, per i parchi, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell’Ambiente sentite le Regioni interessate; per le riserve, invece, mediante decreto del Ministro dell’ambiente, sentite le Regioni. Il decreto n. 112 e la legge n.426 hanno delineato un nuovo sistema, innanzitutto la individuazione preliminare delle zone da tutelare non avviene più per mezzo del

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programma triennale, esso stesso soppresso, ma spetta allo Stato in ragione della rilevanza nazionale del compito, con il parere favorevole della Conferenza unificata. La legge 426, inoltre, prevede il rafforzamento funzionale e lo snellimento procedurale degli Enti parco e l’introduzione di modelli di gestione coordinata delle aree naturali. Per quanto riguarda le aree marine protette, anche in questo ambito, vengono registrate importanti novità. La legge integra ulteriormente l’elenco delle A.M.P. e introduce altre modificazioni alla normativa vigente come la soppressione della Consulta per la difesa del mare, le cui funzioni vengono trasferite al Ministero dell’Ambiente. Per l’istruttoria preliminare relativa all’istituzione delle A.M.P., la legge prevede la costituzione di una Segreteria tecnica per le aree marine protette, composta da 10 “esperti di elevata qualificazione” presso l’Ispettorato centrale per la difesa del mare. La Commissione di riserva, già prevista dalla l.979, è, ora, istituita presso l’ente cui è delegata la gestione dell’area. I compiti di vigilanza restano alle Capitanerie di Porto cui, si affiancano le polizie degli enti locali cui spetta la gestione delle aree. La vera innovazione apportata dalla legge 426, quella destinata ad incidere profondamente sul regime delle aree protette e soprattutto ad accendere un vivo dibattito che, ancora oggi perdura, è il trasferimento dei compiti gestionali agli Enti pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni ambientaliste, possibilità considerata solo remotamente dalla precedente normativa. Questa legge ha contribuito ad allargare il divario, dal punto di vista gestionale, tra parchi terrestri e aree marine protette. Nei primi risulta forte la presenza statale negli organismi stessi che sono chiamati a gestire il territorio protetto, per le A.M.P. la legge 426 ha creato una nuova modalità di gestione che vede protagonisti gli Enti Locali pur nel rispetto degli indirizzi di politica ambientale nazionale. Tutto ciò fa si che la gestione dei parchi terrestri sia rivolta principalmente alla protezione delle risorse naturali, la situazione opposta si verifica per le A.M.P. nelle quali la tutela ambientale risulta strumentale allo sviluppo socio- economico del territorio interessato. Condizione affinché ciò si verifichi è, a mio avviso, proprio l’affidamento della gestione delle A.M.P. a quegli organismi che, per loro natura e ruolo, sono maggiormente coinvolti e attenti alle esigenze delle popolazioni locali. Gli Enti locali, in veste di gestori di aree particolari come le A.M.P., caratterizzate da enormi potenzialità di sviluppo, ed allo stesso tempo da fragili equilibri che occorre salvaguardare, possono assicurare la necessaria rapidità procedurale e la capacità di mediare tra gli interessi delle varie parti sociali che svolgono le proprie attività economico- produttive nel territorio sottoposto a tutela. Inoltre penso che l’affidamento dei compiti gestionali alle amministrazioni locali possa costituire un valido esperimento in controtendenza rispetto all’accentramento dei poteri che ha caratterizzato, per anni, il governo italiano ed in special modo la politica ambientale. Certamente la sfida è ardua in quanto gli Enti locali non sempre dispongono di risorse e capacità atte allo scopo, ma con le necessarie dotazioni essi potrebbero assicurare uno sviluppo economico che parta dalle esigenze e dalle reali potenzialità delle realtà interessate, lontano da una logica assistenzialista e centralista. Ciò risulta particolarmente vero nell’ambito delle A.M.P., laddove lo sviluppo ha come motore la straordinaria dotazione di risorse naturali che opportunamente gestite e valorizzate potrebbero assicurare la crescita economica anche di quelle aree da sempre prive di infrastrutture quali le regioni del Meridione d’Italia. Come risultato di questa politica, oggi la percentuale di territorio protetto risulta essere del 10,09% per un totale di 3.041.000 ettari di territorio sottoposti a regime di tutela. Nel corso degli ultimi anni è stato molto valorizzato il ruolo delle Regioni nella istituzione e nella gestione dei parchi e delle riserve statali. Con l’approvazione del Programma stralcio di tutela ambientale, il Ministero dell’Ambiente ha previsto il finanziamento di azioni che vedono come protagonisti le Amministrazioni regionali, gli Enti locali e quelli gestori delle aree protette. Obiettivi privilegiati di queste azioni sono, in particolare, la valorizzazione delle economie locali, la conservazione dei valori naturali e il recupero delle aree minacciate. Queste politiche, che possono essere definite “di

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sistema”, tendono ad esportare corrette metodologie di gestione del territorio al di fuori delle aree protette, per consentire lo sviluppo di corridoi ecologici che colleghino tra loro i parchi e le riserve. Rilevante, in tale prospettiva, appare la creazione di una Rete Ecologica Nazionale come strumento di programmazione ambientale integrata per orientare la nuova politica di governo del territorio verso la gestione di processi di sviluppo, integrandoli con le specificità ambientali delle varie aree. La rete ecologica si configura, dunque, come un mezzo per interrelazionare e connettere ambiti territoriali dotati di una maggiore presenza di naturalità, recuperando e riducendo tutti quegli ambienti dispersi nel territorio la cui permanenza è condizione necessaria per il sostegno di una diffusa e diversificata qualità naturale del nostro Paese.

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Capitolo III Il caso dell’Area Marina Protetta “Punta Campanella” L’Area Marina Protetta di Punta Campanella è stata istituita con Decreto del Ministero dell’Ambiente del 12/12/1997, in Conformità a quanto previsto dalla legge 979/1982 e dalla legge quadro sulle aree protette 394/1991. L’area protetta include la fascia costiera che, da Sorrento, giunge a Positano, la zona interessata è sede di un ben sviluppato turismo stagionale che assicura un adeguato benessere economico alle popolazioni locali. Tuttavia, l’elevata stagionalità del fenomeno turistico, con un’elevata concentrazione delle presenze soprattutto nel periodo primaverile ed estivo, rende necessario un intervento integrato, che consenta il mantenimento dei valori ambientali e quindi della qualità del mare e allo stesso tempo l’allargamento della base di stabile occupazione con azioni che contribuiscano allo sviluppo di un nuovo tipo di turismo più rispettoso dell’ambiente e che porti all’allungamento della stagione turistica. 3.1 Il contesto ambientale dell’A.M.P. L’Area Marina Protetta “Punta Campanella” ricade in un ambito di interesse turistico internazionale le cui notevoli bellezze naturali e paesaggistiche sono note in tutto il mondo al punto da attirare, ogni anno, notevoli flussi di visitatori. Ed è proprio il fatto di essere inclusa in un territorio già turisticamente sviluppato e ampiamente popolato che caratterizza in modo peculiare l’area protetta in questione, e che la rende quasi unica nel confronto con le altre aree naturali protette. Spesso, infatti, con l’istituzione di un’area protetta si intende evitare una certa marginalizzazione del territorio, nonché perseguire lo sviluppo turistico dello stesso. Nel caso di Punta Campanella lo sviluppo turistico ha ormai raggiunto una fase di maturità al punto che, tra turismo ed ambiente, comincia a configurarsi un rapporto piuttosto problematico, tale da mettere in serio pericolo la conservazione di questo patrimonio inestimabile. Nonostante i numerosi attacchi alle risorse naturali dell’area, ai quali il fenomeno turistico non è certamente estraneo, l’ambiente naturale dove ha sede l’area protetta conserva ancora quelle caratteristiche che rendono la Penisola Sorrentina meta ambita di milioni di turisti ogni anno, in particolare l’ambiente marino con la sua ricchezza di specie animali e vegetali uniche nel Mediterraneo. Con l’istituzione dell’A.M.P. Punta Campanella si è cercato di rispondere all’esigenza di costruire e mettere in pratica un nuovo modo di fare turismo e, quindi, un modello di utilizzo delle risorse che sia più consapevole e meno distruttivo. Un nuovo tipo di sviluppo che porti alla riconversione delle attività di sfruttamento intensivo, tra le quali la pesca sotto costa praticata con attrezzi che hanno un pesante impatto sull’ambiente, incentivando la creazione di nuove opportunità lavorative nei settori di pescaturismo, ittiturismo, escursionismo in barca, subacqueo e terrestre, promozione di marchi di qualità e rivalutazione dei prodotti tipici locali artigianali. Si tratta di pianificare nuovamente lo sviluppo turistico dell’area in un’ottica di integrazione e di cooperazione tra i diversi comparti che assicurano i servizi turistici ai visitatori, facendo leva anche su una più stretta collaborazione tra l’organizzazione turistica pubblica e gli imprenditori privati e puntando maggiormente su un turismo di qualità. Finora la popolazione locale si è trovata quasi a subire il fenomeno turistico, soprattutto nel periodo estivo quando esso assume i caratteri di un turismo di massa, certamente esso ha apportato possibilità occupazionali per l’area ed un certo benessere economico, ma talvolta concentrato nelle mani di pochi imprenditori al punto che la maggioranza degli abitanti avverte maggiormente i disagi causati dal turismo, piuttosto che i vantaggi sotto il profilo della vivibilità della penisola. La creazione dell’area protetta dovrebbe contribuire, a mio avviso, a favorire lo sviluppo di un nuovo tipo di turismo, certamente non un turismo di massa, più attento alla qualità ambientale e maggiormente distribuito nell’arco dell’anno, i cui benefici economici siano distribuiti più equamente all’interno della società ospitante. Per far ciò è necessario coinvolgere, a partire dalla fase pianificatoria, tutti gli attori locali, in modo che questi si sentano protagonisti dello sviluppo e della gestione del proprio territorio. In

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questo modo, a partire dal riconoscimento della vocazione turistica del territorio e delle opportunità ad essa legate, il fenomeno turistico potrebbe essere un fattore aggregante all’interno della società. Già da tempo si pensava alla creazione di un’area marina protetta che abbracciasse il territorio della Penisola Sorrentina. Nel 1987 fu realizzato lo studio di fattibilità del Parco Marino di Punta della Campanella. Nel 1991, all’approvazione della legge quadro sulle aree naturali protette, fece seguito l’istituzione di altre 24 riserve e del Parco Marino della penisola di Punta della Campanella e dell’isola di Capri. Il 12 dicembre 1997, infine, fu varato il Decreto di istituzione della Area Marina Protetta Punta Campanella. Data la caratterizzazione dell’area, che vede la presenza di una forte pressione antropica sul territorio, si è proposto di creare un parco marino a fini multipli. Vi sono, infatti tre categorie di parchi : Riserva integrale: quando occorre preservare la biodiversità e ripopolare la costa, con una pressione antropica ridotta. La natura, in questo caso, riesce ad autogestirsi. Parchi a fini multipli: dove sussiste un’elevata pressione antropica, che è intervenuta modificando la struttura della costa. In tal caso gli equilibri naturali vengono disturbati. Le diverse professioni e l’insediamento edilizio in questo caso devono esistere, ma è necessario che non si svolgano in concorrenza con la natura. Aree di tutela biologica: quando occorre proteggere temporaneamente aree colpite o minacciate dal degrado. 3.2 Finalità istitutive dell’A.M.P. Data l’analisi del territorio della Penisola Sorrentina, si è ritenuto che un parco marino a fini multipli presentasse numerosi vantaggi quali: • la valorizzazione del sito come risorsa, dato il miglioramento dell’ambiente a terra e a mare. Le risorse produttive naturali si incrementano e così anche i terreni e gli immobili che si trovano in un’area protetta acquistano maggior valore. Le aree subacquee, con la risoluzione delle emergenze floro- faunistiche, contribuiscono alla valorizzazione del sito, consentono anche la rivalutazione della piccola pesca costiera, che è stata praticamente tagliata fuori dalla pesca fatta con strascico e cianciole; • la valorizzazione dell’immagine del luogo, in quanto il parco renderà la zona turisticamente più attrattiva. Sviluppo delle attività del terziario e dei servizi in particolare con la riconversione di attività marginali in attività più redditizie; • infine il contributo all’educazione del cittadino al rispetto del territorio in cui vive, con la nascita di una nuova sensibilità ambientale, data dalla consapevolezza che la qualità della vita di ciascuno è una conseguenza diretta della qualità dell’ambiente in cui si vive. Gli obiettivi che, dunque, si intende conseguire con l’istituzione di questa riserva sono : • la protezione ambientale dell’area interessata; • la tutela e la valorizzazione delle risorse biologiche e geomorfologiche della zona; • la divulgazione e la diffusione della conoscenza di tematiche relative all’ecologia e alla biologia dell’area protetta anche attraverso escursioni subacquee, programmi di studio, conferenze, vacanze studio, ecc.; • la promozione di uno sviluppo socio-economico compatibile con la rilevanza naturalistico- paesaggistico dell’area, anche privilegiando attività locali preesistenti. 3.3 Punta Campanella: esperimento di gestione delegata Oggi, grazie al decentramento di funzioni e competenze che lo Stato trasferisce agli Enti Locali e secondo gli indirizzi della già citata legge 426, si consente che la gestione dei Parchi Marini sia affidata ai Comuni. L’esempio dell’Area Protetta “Punta Campanella”, è emblematico, in quanto la gestione è stata affidata ad un consorzio di sei Comuni (Massalubrense, Piano di Sorrento, Positano, S.Agnello,

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Sorrento e Vico Equense). Questo consorzio è stato salutato con grande fervore negli ambienti ministeriali, in quanto, rappresenta il primo esempio di gestione delegata così articolata e sicuramente, relativamente alle aree marine protette, l’attenzione nazionale è rivolta proprio a tale realtà. E’ innegabile, dunque che la nascita di questo consorzio ha significato un momento di maturità politica, visto anche il contesto sociale in cui si opera pieno di contraddizioni e di fenomeni campanilistici. La scelta del Ministero dell’Ambiente di affidare la gestione dell’AMP “Punta Campanella” al Consorzio permette, oggi, un confronto ed un dibattito diretto tra i partecipanti di questa nuova esperienza. L’impegno del Governo e degli Enti Locali, l’attenzione dell’associazionismo ambientalista e una nuova visione di sviluppo del mondo della pesca e delle categorie produttive legate al mare, potranno senza dubbio costruire un modello integrato ambiente- economia emblematico per tutte le Aree Marine Protette d’Italia.26 3.4 Iter legislativo di istituzione dell’A.M.P. e organi della Riserva Il percorso legislativo che ha portato all’istituzione e alla nascita del consorzio di gestione dell’AMP “Punta Campanella”, è: • Legge 979 del 31/12/1982; • Decreto del Ministero dell’Ambiente del 12/12/97; • Convenzione tra i Comuni del Consorzio 10/08/98 • Convenzione tra il Ministero dell’Ambiente ed il Consorzio del 06/11/98 Sono organi della Riserva: • il Consorzio dei Comuni che comprende: - Assemblea dei Sindaci - Consiglio di Amministrazione • la Commissione di Riserva • il Comitato Consultivo Tecnico- Scientifico. Attualmente manca il Comitato Consultivo Tecnico- Scientifico, di nomina ministeriale. 3.5 Decreto istitutivo dell’AMP e sua modifica Il decreto istitutivo dell’A.M.P., nel rispetto delle leggi 979/1982 e 394/1991, contiene la delimitazione dell’area sottoposta a tutela e la sua zonizzazione distinguendo tra Zona A di Riserva integrale, Zona B di Riserva generale e Zona C di Riserva parziale. Questa fase è una delle più delicate nell’istituzione di una A.M.P., le regolamentazioni ed i vincoli alle varie attività che, normalmente, vengono svolte nella zona, causano l’insorgere di contrasti ed incomprensioni che spesso sfociano in una aperta opposizione alla creazione dell’area protetta. Al fine di pervenire ad una mediazione tra le esigenze delle parti direttamente interessate il decreto stesso, all’art. 8, dà la possibilità all’Ente Gestore di proporre delle modifiche alla zonizzazione. Anche nel caso di “Punta Campanella” non sono mancate simili difficoltà e il consorzio a cui è affidata la gestione dell’area protetta, sfruttando proprio questa facoltà, all’inizio del 1999 ha presentato al Ministero una proposta di modifica del decreto istitutivo. Si è giunti a tale proposta mediante una concertazione tra tutte le parti sociali interessate quali ambientalisti, operatori delle pesca, della nautica da diporto e albergatori. La proposta di modifica è stata approvata dalla Commissione di Riserva e dalla Segreteria Tecnica del Ministero dell’Ambiente. Le norme e i vincoli così come modificati sono contenuti in un nuovo decreto del 13 giugno 2000.

26 Simioli Alberico, Relazione introduttiva all’A. M.P. Punta Campanella, Massalubrense, 2000

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L’approvazione di quest’ultimo costituisce, nello scenario nazionale delle A.M.P., un passo fondamentale, in quanto rappresenta il primo caso di modifica di un decreto istitutivo di un’A.M.P. Si è giunti ad esso mediante una serie di fasi che, a partire dalla proposta di modifica avanzata dal Consorzio di gestione dell’Area Marina Protetta Punta Campanella, nell’ottobre 1999 e dalla relazione di istruttoria preliminare svolta dagli esperti della Segreteria tecnica per le aree protette marine sulla suddetta proposta di modifica, attraverso il parere favorevole della stessa e della Commissione di riserva, si è giunti all’accordo siglato presso il Ministero dell’Ambiente dal direttore generale dell’Ispettorato centrale per la difesa del mare ed i rappresentanti del Consorzio di gestione nel dicembre 1999, seguito dal parere favorevole, espresso in data 16 marzo 2000, dalla Conferenza Unificata. Una volta individuata la zonizzazione si deve procedere alla messa a punto del Regolamento per l’attuazione del Decreto. L’organo preposto alla formazione del regolamento è l’Ente gestore; nel caso di Punta Campanella il Consorzio di Comuni non ha ancora presentato tale documento, che è in fase di costituzione. Questo documento indicherà tutte le regole di funzionamento dell’Area Marina Protetta e sarà approvato dal Ministero dell’Ambiente e dalla Commissione prima di divenire, esso stesso, decreto. Oggi l’iter che viene seguito nella istituzione di un’A.M.P. può essere così riassunto: in seguito alla individuazione dell’area di reperimento a mezzo delle leggi 394 e 979, ossia di una porzione di territorio costiero che presenta particolari caratteristiche dal punto di vista ambientale e non solo, il Ministero dell’Ambiente stanzia dei fondi. Il primo passo consiste in uno studio di fattibilità dell’Area Protetta, questo è, essenzialmente, un’analisi scientifica e socio- economica, per verificare che vi siano tutte le condizioni per la creazione dell’area protetta. A tale scopo vengono stipulate apposite convenzioni con degli Istituti di ricerca, i risultati di tale studio vengono presentati all’ICRAM, l’Istituto Centrale per la Ricerca applicata al Mare, che sulla base di essi decide la vincolistica e la zonizzazione dell’area, in questo modo si giunge al decreto istitutivo che verrà attuato mediante il Regolamento da parte dell’Ente gestore. In precedenza la valutazione scientifica e quella socio- economica relative alla istituzione di un’area marina protetta erano oggetto di studi separati, nel caso di Punta Campanella si è proceduto, inizialmente ad uno studio scientifico affidato al CLEM, tale analisi è sembrata bastare al Ministero per giungere al decreto istitutivo nel dicembre 1997. In seguito l’Ente Parco ha condotto uno studio socio- economico che ha portato, insieme ad una concertazione con le varie parti sociali interessate, alla richiesta di modifica del decreto e alla successiva approvazione del nuovo decreto il 13-06-2000. Al fine della messa a punto del regolamento attuatore del decreto, che stabilisca le modalità di funzionamento dell’area protetta, sono stati condotti altri studi, in particolare il Censis ha condotto uno studio sul diporto nella zona interessata da cui sono emersi alcuni dati interessanti riguardo la situazione socio- economica della Penisola Sorrentina. 3.6 Analisi della realtà turistica dell’area L’Ente gestore dell’Area Marina Protetta Punta Campanella ha commissionato al Censis una indagine riguardo il Diporto, che comprendesse anche un’analisi della realtà sociale ed economica del territorio. Da questo studio emerge l’enorme potenzialità turistica della penisola Sorrentina. L’area marina è situata, infatti, nella più grande area di destinazione turistica del mondo; secondo il Piano Blu delle Nazioni Unite il numero di turisti sulle coste del Mediterraneo passerà nel 2025 ad una cifra compresa tra i 180 ed i 340 milioni. L’Italia, nell’ambito dell’Europa Meridionale, si colloca tra le località con il più alto flusso di visitatori, al secondo posto dopo la Spagna, e precedendo Austria e Francia. La lieve flessione registrata nel 1996 è stata seguita da un immediato recupero al punto che il settore ha chiuso, nel 1998, con un rialzo del 2%. Lo stesso, analizzando il trend del comparto ricettivo alberghiero negli ultimi anni, risulta che la crescita delle presenze è stata continua.

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Dai dati ufficiali risulta che la Campania, che ospita l’area marina protetta, dispone di un’offerta turistica caratterizzata da 1.418 esercizi alberghieri (4,2% di quelli presenti sul territorio nazionale) per un totale di 88.291 posti letto (5%) e 175 esercizi extralberghieri (contro i 2.374 complessivamente presenti in Italia) per un totale di 66.991 posti letto. La regione campana risulta essere, in special modo la penisola Sorrentina, una delle destinazioni preferite dal turismo marittimo, ed anzi, la destinazione principale per i visitatori provenienti da Argentina e Stati Uniti. In particolare la parte di penisola Sorrentina che rientra nell’area protetta è uno dei poli di maggiore attrazione turistica della Campania. La presenza di numerose strutture ricettive (14,4% dei posti letto in esercizi alberghieri e complementari dell’intera regione) nonché la consistenza delle presenze (19% delle presenze regionali) rendono testimonianza dell’enorme potenzialità turistica del territorio. Confrontando l’offerta ricettiva dei comuni si può desumere che Sorrento e S.Agnello presentano la maggiore offerta di posti letto nel comparto alberghiero, nel settore extralberghiero accanto, a Sorrento, figura, invece, Positano. Mentre quest’ultimo presenta un trend positivo di presenze annue, lo stesso non può dirsi per le altre località che mostrano, negli esercizi complementari una flessione talvolta notevole. A ragione della sua posizione geografica, l’A.M.P. è facilmente accessibile soprattutto via mare, i collegamenti principali che servono la penisola sono rappresentati dalle linee che collegano Sorrento a Napoli, a Castellamare di Stabia e a Capri. L’area è caratterizzata dalla presenza di una struttura viaria principale, la B145 che, parallela alla costa, si dipana dall’autostrada A3 nei pressi di Pompei, mettendo in rete tutti i comuni della riserva, per poi ricongiungersi all’autostrada dopo aver superato Amalfi e Maiori. Parallela alla B145 corre la rete ferroviaria che giunge fino a Sorrento lasciando fuori i comuni di Massalubrense e Positano. Per il trasporto aereo, l’aeroporto più vicino è lo scalo napoletano di Capodichino che dista mediamente 50 Km dall’area Sorrentina. In conclusione, Sorrento è il comune che risulta maggiormente raggiungibile, nel complesso la zona, però, non è servita molto efficientemente dal sistema dei trasporti. Si prospettano così due sistemi locali di attrazione turistica, da una parte Sorrento, con i comuni circostanti e dall’altra Positano più a est sul golfo di Salerno, in effetti le località che esercitano una maggiore attrazione turistica sono Sorrento e Positano, che, considerando anche indicatori economici e demografici, figurano come i comuni la cui supremazia è incontestabile rispetto agli altri. Analizzando gli indicatori demografici si può tracciare l’andamento della popolazione tra il 1995 e il 1998 che presenta un trend positivo in tutti i comuni, in controtendenza rispetto ai valori regionali. In particolare Vico Equense risulta il comune più popolato in ragione anche della maggiore estensione territoriale, mentre Positano è il comune con il valore più basso. Il tasso di crescita naturale si presenta, comunque, inferiore alla media regionale anche se positivo. Complessivamente il livello di istruzione risulta essere positivo, soprattutto in rapporto ai valori regionali. Più dell’80,6% della popolazione è in possesso di un titolo di studio con l’eccezione di Massalubrense con un valore di poco più basso. Analizzando la distribuzione del reddito, Sorrento è il comune i cui abitanti dispongono di un reddito maggiore e, dunque, di maggiore possibilità di consumo seguito da Meta e Piano di Sorrento, ultimo è ancora Massalubrense. Il tessuto produttivo locale si presenta piuttosto dinamico con una crescita delle imprese, tra il 1991 e il 1997, in taluni casi esponenziali. 27La concentrazione maggiore di imprese è nei comuni di Sorrento, Vico Equense e Piano di Sorrento, nelle altre località la crescita numerica di insediamenti produttivi è comunque soddisfacente. Il settore economico che annovera più addetti è il commercio, seguito da quello degli alberghi e ristoranti e dall’industria, questo è valido per tutti i comuni tranne Sorrento e Positano che presentano un numero maggiore di addetti nel settore della ricettività alberghiera e della ristorazione. 27 CENSIS, “Il Diporto a Punta Campanella”, I rapporto intermedio, marzo 2000

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3.7 Zonizzazione dell’A.M.P. L’area marina protetta di Punta Campanella è situata tra il Golfo di Napoli ed il Golfo di Salerno. La punta estrema della penisola Sorrentina, che divide i due golfi, da cui prende il nome l’intera area protetta, Punta Campanella, fronteggia l’isola di Capri. I chilometri di costa interessata dalla riserva sono 30 suddivisi nelle zone A, B e C. La zona A di Riserva integrale comprende: le aree circostanti lo scoglio di Vetara, la secca a ponente delle isole Li Galli e l’area che circonda lo scoglio Vervece La zona B di Riserva generale comprende: l’area compresa tra l’estremo sud della Cala di Mitigliano e il lato nord della Punta di Montalto, inclusa l’area di Mortelle; l’area compresa tra lo scoglio di Scruopolo, isola di Isca includa, a la punta a ponente della Grotta Matera. In tale zona sono, inoltre, previsti due corridoi. La zona C di Riserva parziale comprende: l’area compresa tra Capo Sorrento e l’estremo sud della Cala di Mitigliano, escludendo lo scoglio del Vervece. L’area compresa tra il lato nord della Punta di Montalto, esclusa l’area di Mortelle, e lo scoglio Scruopolo. L’area compresa tra Grotta Matera e Punta Germano (vedi cartina a pagina seguente). Come ho già detto, la zonizzazione e i vincoli istituiti con il decreto del 12/12/97 sono stati oggetto di modifica su richiesta dell’Ente gestore della riserva marina. Il nuovo decreto, in particolare, ha modificato la perimetrazione delle diverse zone e il regime dei vincoli. In particolare nella zona A, di riserva integrale è vietata ogni tipo di attività come la navigazione, la balneazione ed ogni tipo di pesca. Sono consentite, invece, con l’autorizzazione dell’Ente gestore, le immersioni per finalità di ricerca scientifica e per scopi didattici. Nella zona B, di riserva generale sono vietati la navigazione di natanti non autorizzati e l’ancoraggio libero, la pesca sia sportiva che professionale mentre è consentita la navigazione di barche a motore per visite guidate anche subacquee, l’accesso libero di natanti soltanto nei corridoi predisposti dall’Ente gestore, la balneazione e le immersioni guidate, è permesso, inoltre, l’ormeggio nelle zone appositamente predisposte e la pesca professionale con gli attrezzi della piccola pesca regolamentata dall’Ente stesso. Nella zona C di riserva parziale, in ragione del minor grado di tutela che caratterizza l’area sono consentite tutte le attività già permesse nella zona B inoltre, è possibile esercitare la pesca professionale da parte dei pescatori residenti nell’area e la pesca sportiva autorizzata. 3.8 A.M.P.: dalla tutela ambientale allo sviluppo economico sostenibile L’A.M.P. “Punta Campanella”, come ho già detto, è una Riserva a fini multipli, in cui la natura e l’uomo devono coesistere in perfetta simbiosi; sicuramente la riserva potrebbe portare ad un recupero di quell’ambiente che è stato deturpato e depredato dei suoi equilibri, ma significa innanzitutto l’inizio di una nuova era di grande crescita culturale. Le aree marine protette, ovunque, sono osteggiate e contrastate perché, spesso, considerate solo come strumento per porre delle limitazioni alle attività economiche locali, ma oggi esse sono una realtà su cui lo stato punta per la riqualificazione del territorio nazionale e per la costruzione di un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Anche nel caso di Punta Campanella non sono mancate opposizioni per cui risulta evidente la necessità di un cambiamento di mentalità perché si diffonda nell’opinione pubblica la convinzione che realizzare un’area protetta non significa solo promuovere la tutela, ma favorire anche nuove opportunità occupazionali in una nuova ottica di sviluppo sostenibile. In quest’ottica occorre, innanzitutto, ristrutturare e razionalizzare le attività imprenditoriali che insistono lungo la costa come: stabilimenti balneari, ristoranti, ormeggi, pesca etc., e

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poi bloccare sul nascere quelle che non risultano compatibili con l’obiettivo di tutela ambientale, promuovendo, invece, nuove attività eco- compatibili28 L’Area Marina Protetta di Punta Campanella è stata istituita con legge dello Stato e con un decreto di attuazione del Ministero dell’Ambiente. Mentre tale decreto non contiene esplicito riferimento al controllo dell’inquinamento facendo propri, piuttosto, i principi che assicurino la protezione e il ripristino delle condizioni ottimali dell’ambiente marino, è apparso chiaro al consorzio di gestione che non è possibile esercitare un Parco Marino e assicurare il conseguimento degli obiettivi predisposti dalla legislazione, in un mare inquinato. Il Decreto comprende, invece, tra i suoi obiettivi quello di contribuire allo sviluppo socio- economico dell’area. Il consorzio vede nel parco un’occasione per un’azione integrata, coordinando contemporaneamente le attività di mappatura dell’inquinamento, di assistenza ai comuni nell’attuazione di un programma di disinquinamento degli scarichi fognari ed il sostegno alle PMI che operano nel contesto del Parco per il finanziamento di nuove iniziative. 3.9 Applicazione del modello del ciclo di vita di una destinazione turistica all’Area marina Protetta Punta Campanella. In relazione a quanto affermato nel primo capitolo, con riferimento al ciclo di vita di una destinazione turistica, può risultare interessante tentare di individuare, nel caso dell’Area Marina Protetta Punta Campanella, l’andamento assunto dalla funzione. Come noto, l’area protetta è inserita in un territorio, di notevole interesse turistico tale da attirare, ogni anno, milioni di visitatori. I dati dello scorso anno confermano la presenza di 2 milioni e 650 mila turisti, numero che, nel corso degli anni, è aumentato in modo esponenziale con un notevole incremento degli arrivi e delle presenze.29 Secondo le previsioni, inoltre, il numero di turisti è destinato ad accrescersi ulteriormente nei prossimi anni. Sulla base di questi dati, e ipotizzando la costanza di altri elementi quali: la qualità ambientale, le strutture ricettive, i trasporti e gli altri servizi complementari a quelli strettamente turistici, nonché la vivibilità dell’area, secondo il modello del ciclo di vita di una destinazione turistica, l’area in questione si troverebbe ancora nella fase di sviluppo (Fig.2) in relazione al numero dei visitatori che sceglieranno la località come meta delle proprie vacan-

N u m e r o d iv i s i t a t o r i

T e m p o

ze grazie alla capacità di attrarre turisti da tutto il mondo, alla vici,nanza di luoghi altrettanto noti come l’isola di Capri, Pompei, la Costiera Amalfitana che fanno della destinazione luogo privilegiato per un 28 Simioli Alberico, “Relazione introduttiva all’A.M.P. Punta Campanella” Massalubrense, 2000 29 Siniscalchi A., Turismo e soggiorno: nuovo commissario, Il Mattino, domenica 4 febbraio 2001

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periodo di soggiorno. Se, come emerge dal numero di visitatori, l’area non sembra ancora pervenire ad una fase di maturità, diversa è la situazione per quanto concerne l’ambiente e la qualità delle risorse naturali, su cui si basa l’attrattività turistica dell’area. Queste comincerebbero a risentire del peso esercitato dalla consistente massa di turisti che, in taluni casi, tende al raggiungimento del limite massimo di capacità di accoglienza dell’area. Pertanto le risorse naturali si avvierebbero gradualmente verso una fase di maturità e quindi di declino. Analogamente a quanto visto in precedenza, rappresentando graficamente la qualità ambientale della destinazione ci troveremo di fronte ad una situazione caratterizzata da una riduzione piuttosto drastica di tale valore (Fig.3).

Numero d i v i s i ta tor i

T e m p o

Qual i tà ambientale

Figura 3 L’istituzione dell’Area Marina Protetta “Punta Campanella” ha, tra le sue finalità, la preservazione e la valorizzazione del patrimonio naturalistico dell’area per prevenire uno stato di degrado irreversibile dell’ambiente. Dal punto di vista grafico ciò si traduce nel tentativo di evitare che la curva che rappresenta la qualità ambientale, as-suma un andamento discendente in quanto ciò porterebbe inevitabilmente ad una situazione in cui la vocazione turistica dell’area sarebbe gravemente compromessa. Nel caso di Punta Campanella e, in generale, per tutte le aree naturali protette, il ripristino delle condizioni qualitative dell’ambiente naturale e il mantenimento, nonché il miglioramento, di esse nel futuro, sono alla base delle azioni condotte all’interno di tali aree. Ciò determinerà, nella prima fase della vita di un’area protetta, un miglioramento della qualità dell’ambiente, (primo tratto della curva rappresentata in figura 4); l’obiettivo sarà quello di giungere ad un elevato livello qualitativo che risulti anche stabile nel tempo. Esiste inoltre la possibilità, di un ulteriore incremento futuro della qualità delle risorse fisiche presenti, grazie alla messa a regime di meccanismi di controllo e di gestione attuabili all’interno di un’area protetta, con la partecipazione della popolazione residente e con l’avvento di una turismo che sia realmente sostenibile in relazione alle specifiche caratteristiche del territorio (fig.4).

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Figura 4 La qualità ambientale in un’Area Naturale Protetta

Tempo

Qualitàambientale

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Capitolo IV Interventi finanziari a sostegno dello sviluppo ecocompatibile 4.1 Progetto integrato territoriale “Punta Campanella” Il Consorzio, quale organo di gestione dell’AMP, ha predisposto una bozza di progetto che si caratterizza per un approccio integrato alla soluzione dei problemi ambientali ed allo sviluppo di un turismo sostenibile nel rispetto dei requisiti richiesti per i Progetti Integrati Territoriali così come esposti nel POR della regione Campania. Il Progetto Integrato o Progetto Integrato territoriale (PIT) è una modalità operativa di attuazione del principio di integrazione dei Fondi Strutturali, e viene identificato come un "insieme di azioni intersettoriali, strettamente coerenti e collegate tra di loro, che convergono verso il conseguimento di un comune obiettivo di sviluppo del territorio" e " giustificano un approccio attuativo unitario". Si tratta di un progetto di finanziamento per le attività del Parco e per quelle che potranno svilupparsi intorno ad esso in modo che queste possano avvalersi dei Fondi Regionali 2000-2006, messi a disposizione dalla Comunità Europea (Agenda 2000). Il Consorzio suddivide il Programma in due Misure ed in relative Operazioni: Misura 1: Sostegno generale allo sviluppo e alla gestione dell’area marina protetta e interventi mirati al controllo ed alla riduzione delle fonti di inquinamento locale biologico chimico e visivo. Questo piano di disinquinamento locale, pur non agendo sulle grandi fonti di inquinamento marine regionali (Sarno e Sele), potrà sicuramente incidere sulla qualità ambientale dell’area. Misura 2: Interventi a sostegno dello sviluppo di piccole e medie imprese che operino nel settore del turismo e dei servizi associati direttamente ed indirettamente all’esistenza e all’esercizio della riserva Marina. Per il raggiungimento degli obiettivi contenuti nella misura 1 sono previste attività di formazione per gli imprenditori locali, un programma di divulgazione delle finalità dell’area protetta presso la popolazione residente, la costruzione di strutture fisse e mobili di sostegno al Parco e recuperi ambientali. Al fine del controllo e della riduzione delle fonti di inquinamento locali è previsto, innanzitutto, un programma di mappatura dell’inquinamento e di assistenza ai comuni per operare il disinquinamento della zona e, infine, la creazione di un consorzio per la ricerca scientifica. La misura 2 ha come obiettivo prioritario il sostegno all’imprenditoria locale, in particolare alle piccole e medie imprese legate all’esistenza dell’area protetta. In primo luogo vengono previste attività di formazione per gli imprenditori locali quali visite a Parchi Marini di altri paesi, al fine di trarre utili suggerimenti e idee per le proprie attività, la creazione di servizi turistici su piattaforme mobili e pontili di attracco per imbarcazioni sprovviste di motore. Attività di promozione di prodotti caratteristici quali: studi propedeutici alla realizzazione di impianti di produzione di spugne e coralli, la creazione di una linea di prodotti ittici con marchio di qualità. Incentivazione di attività turistiche compatibili con le finalità dell’area marina protetta quali Pescaturismo, Ittiturismo e centri di immersione. Promozione dell’artigianato tipico, della moda e dell’agricoltura biologica locale. Tale approccio vede il Consorzio come una figura centrale per l’attuazione delle misure previste, che agisca in modo indipendente nella corretta gestione del parco. Il Consorzio di Gestione, da parte sua, prevede di associare all’operazione partners privati, piccole e medie imprese, e per la parte relativa al disinquinamento altri comuni della Costiera Amalfitana e Meta di Sorrento non rientranti nel Consorzio. In questa sede mi soffermerò prevalentemente sulla Misura 2 per sottolineare come una riserva naturale, marina o terrestre, possa rappresentare un strumento di sviluppo economico e, dunque una opportunità di sviluppo per le zone interessate, soprattutto per le regioni, come quelle dell’Italia Meridionale, che soffrono di carenze strutturali e abbisognano di creare un proprio tessuto produttivo e

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imprenditoriale, che permetta anche la diversificazione dell’economia di quelle aree eccessivamente dipendenti dal turismo, attività che apporta sicuramente numerosi benefici, ma che impone il pagamento di un alto prezzo in termini ambientali ed espone l’economia a tutti i rischi di un’economia monocolturale. Nell’ambito della Misura 2, infatti, il sostegno alle PMI impegnate in attività turistiche tradizionali non è oggetto di questo programma. Le attività classiche, alberghiere e di ristorazione, mentre non assicurano una occupazione continua e stabile degli addetti, possono portare, se non opportunamente regolate, ad un aumento indiscriminato del solo turismo stagionale che sottopone le risorse ambientali a forti sollecitazioni anche se per brevi periodi. Il tipo di attività contenute nel programma, invece, si svilupperebbero intorno all’area marina protetta rispettandone i principi di salvaguardia dell’ambiente marino e costiero. Esse potrebbero contribuire ad allungare la stagione turistica con l’introduzione di attività nuove e opportunamente mirate ad attirare un nuovo tipo di turismo più rispettoso delle risorse naturali, ed allo stesso tempo potrebbero garantire l’utilizzo turistico di tali risorse, opportunamente conservate e migliorate dalla stessa esistenza del parco. Da ciò si evince come l’istituzione di una riserva, talvolta voluta proprio a causa della consapevolezza del degrado ambientale innescato dall’attività turistica, possa essere, essa stessa, attraverso la tutela delle risorse naturali che ne costituiscono il presupposto, un mezzo per garantire la prosecuzione dell’attività turistica, ovviamente in una nuova ottica di rispetto ambientale. La Misura 2 risulta coerente con i principi di integrazione e partenariato previsti dalla legislazione comunitaria e, implicitamente, con il rispetto della qualità dell’ambiente e dei processi tendenti a conservarne e migliorarne le risorse, senza incidere negativamente sul progresso socio-economico degli abitanti e degli imprenditori. L’organo di gestione del parco, nella forma consortile, è vicino ai cittadini e agli imprenditori ed appare come l’organizzazione che, al meglio, possa interpretarne i bisogni. Ciò è vero sia grazie alla rappresentanza dei Comuni nell’Ente, sia alle finalità dell’Area Protetta, che incidono direttamente e indirettamente sulle attività imprenditoriali della zona. Nell’ambito delle attività che costituiscono le operazioni della Misura 2 approfondirò, in particolare, l’analisi relativa a Pescaturismo ed Ittiturismo, in quanto, a mio avviso, esse possono contribuire maggiormente al conseguimento delle finalità istitutive dell’AMP. Queste attività comporteranno la riduzione del carico di pesca e dunque un minor prelievo di risorse contribuendo alla ricostituzione degli stocks ittici e delle rare risorse biologiche che caratterizzano il tratto di mare e di costa interessati. L’Ittiturismo e la Pescaturismo combinano, inoltre, una nuova forma di integrazione del reddito degli addetti al comparto della pesca e a quello della ricettività turistica. La legislazione vigente già prevede un sostanziale appoggio a questo tipo di attività con specifiche fonti di finanziamento. Inoltre, nell’approccio integrato che costituisce il principio alla base della Misura, si è ritenuto opportuno prevedere anche la possibilità di finanziamento tramite fondi strutturali, con il coordinamento del Consorzio gestore. Questa strategia consentirà, tra l’altro, anche la rivalutazione degli antichi borghi marinari, testimoni di un’epoca e di una tradizione che vanno scomparendo, oggi in stato di semi abbandono e la rivitalizzazione di attività quali ad esempio l’artigianato tipico, prodotti ittici di qualità, locande ecc. Un contributo significativo per il sostegno al Pescaturismo può venire dalle regioni, che sono chiamate a governare l’attività di pesca in modo sempre crescente. A conferma di ciò, molteplici aspetti attuativi dello SFOP, il Regolamento attuativo con il quale la Comunità Europea trasferisce i fondi alle regioni nell’ambito del sostegno alla pesca, fanno capo alle Regioni stesse. L’intervento delle Regioni si sostanzia nella predisposizione di documenti programmatici: i POR ed i complementi di programma. Affinchè Pescaturismo ed Ittiturismo siano oggetto di specifici interventi è necessario che essi siano compresi in questi documenti.

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Le Regioni hanno comunque la possibilità di definire con proprie leggi e norme attuative misure di supporto al pescaturismo: la promozione, la realizzazione di un’offerta regionale, l’integrazione con altre attività. In quest’ottica i PIT potrebbero costituire degli strumenti importanti per sviluppare il pescaturismo e l’ittiturismo, avendo come finalità principale la crescita occupazionale dell’economia locale e la generazione di effetti moltiplicatori tra cui la capacità di attivare risorse economiche private. Per quel che riguarda lo stato di attuazione di tali progetti è necessario dire che la regione Campania non ha ancora presentato i bandi di concorso per ottenere i finanziamenti in quanto non si è ancora provveduto, a livello comunitario, all’approvazione dei Complementi di Programmazione, atto preliminare affinché la regione possa provvedere, con i bandi, all’assegnazione dei finanziamenti. Nonostante ciò, molte attività previste nelle misure di cui sopra, utilizzando dei fondi del Ministero dell’Ambiente, sono state comunque svolte. In particolare è stato iniziato ed è ancora in corso un Progetto di Educazione Ambientale incentrato sull’Area Marina Protetta; la prima fase, che ha visto la partecipazione di 10 operatori provenienti da associazioni ambientaliste per l’effettuazione di 212 incontri nelle scuole del comprensorio, è terminata e per l’anno scolastico in corso se ne prevedono altri 200. Analogamente il Ministero ha approvato un progetto relativo al Pescaturismo da attuare per la prossima stagione estiva 2001. Nell’ambito della ricerca scientifica è stato approvato un progetto per il monitoraggio dei fondali marini e il censimento degli stocks ittici presenti lungo la costa, allo scopo di valutare la qualità ambientale dell’area, stabilire, così, lo sforzo di pesca sostenibile e individuare percorsi subacquei possibili. La ricerca è coordinata dall’Università Federico II di Napoli con la collaborazione di vari istituti di ricerca. Con il supporto dell’Università di Genova si è studiata la fattibilità di un progetto per un impianto di produzione di spugne. Anch’esso è stato approvato e finanziato e la commercializzazione di questi organismi sarà affidata in gestione a cooperative di pescatori locali. Numerose sono state le attività di Divulgazione svolte con campagne di informazione attraverso radio e giornali a diffusione nazionale, partecipazione a varie trasmissioni televisive riguardanti la realtà di Punta Campanella e del suo territorio, l’allestimento di un sito internet, la realizzazione di un video ed altro materiale promozionale e una vasta campagna di sensibilizzazione e informazione, con raccolta di firme, sul danno provocato dalla raccolta del dattero di mare. Un altro importante strumento finanziario è costituito da “Sviluppo Italia” l’agenzia nazionale per lo sviluppo economico e imprenditoriale del Mezzogiorno e delle altre aree svantaggiate del Paese. Sviluppo Italia è impegnata per lo sviluppo economico e l’innovazione in tutti i settori, dall’Industria all’Artigianato, dall’Agricoltura al Turismo, dai Servizi all’Ambiente ed utilizza varie linee d’intervento privilegiando le ditte individuali. Uno degli strumenti utilizzati da Sviluppo Italia per promuovere l’imprenditorialità giovanile in tali aree è la legge n.608 del 1996 “Prestito d’onore”. I destinatari dei benefici previsti da tale legge sono i disoccupati di età superiore ai 18 anni residenti nelle zone dell’Obiettivo I. Le iniziative possono riguardare qualsiasi settore per un investimento complessivo pari a 50 milioni una parte dei quali vengono erogati a fondo perduto e la parte restante da restituire a condizioni privilegiate. Durante la fase di avvio sono previsti dei servizi gratuiti di assistenza e consulenza tecnica da parte di organismi specializzati (tutor). Un giovane residente nel territorio dell’AMP Punta Campanella ha pensato, sfruttando la possibilità di accedere ai finanziamenti di Sviluppo Italia, di creare una propria attività imprenditoriale che avesse sede nel territorio dell’area protetta. Il Pescaturismo è sembrata immediatamente essere l’attività più adatta. Nello scenario costituito dall’AMP, che ha sede in Penisola Sorrentina, tale attività risulta estremamente coerente con le esigenze di tutela ambientale e di sviluppo ecosostenibile per la tipologia di pesca che viene praticata, particolarmente leggera e caratterizzata da un basso impatto ambientale.

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Egli, al fine di ottenere i finanziamenti per intraprendere tale attività, ha presentato la domanda di ammissione alle Agevolazioni previste dall’art.9 septies della legge 28 novembre 1996 n. 608 nell’ambito del progetto della società Sviluppo Italia, denominando l’iniziativa: “Pescaturismo nel canto delle Sirene” e prevedendo un investimento pari a 50 milioni di lire da impiegare per l’acquisto di una imbarcazione con licenza per la pesca e la necessaria attrezzatura. Dopo aver dimostrato di possedere tutti i requisiti per l’ottenimento del finanziamento e aver presentato il progetto dettagliatamente, dimostrando la validità dell’iniziativa anche dal punto di vista finanziario il progetto è stato approvato ed egli ha ottenuto il finanziamento per intraprendere il pescaturismo. Il progetto che si sta realizzando ha il merito, secondo la mia opinione, di mettere in pratica tale nuova idea di sviluppo per le particolari caratteristiche dell’attività che verrà svolta, il Pescaturismo che approfondirò in seguito. Inoltre questa esperienza, per ora unica in Italia potrebbe costituire un incoraggiamento per altri che volessero intraprendere attività imprenditoriali ecocompatibili nelle aree protette, utilizzando i finanziamenti e l’assistenza messi a disposizione da Sviluppo Italia per le regioni comprese nell’Obiettivo I.

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4.2 Sfop: interventi comunitari a sostegno del settore pesca Nell’ambito del governo del mare, l’attività di pesca ha un particolare significato culturale, sociale ed occupazionale, e può ancora dare un senso alle comunità dei pescatori che caratterizzano molti borghi italiani, e non solo per continuare a mantenere e valorizzare un particolare legame con la tradizione. A tale riguardo è estremamente importante che il Ministero dell’Ambiente, negli ultimi decreti istitutivi, abbia riconosciuto le attività di pesca, escluso il traino ed altri attrezzi che alterano i fondali, pienamente compatibili con l’istituzione di un’Area Marina Protetta. In questo modo nelle zone “B” e “C” può svolgersi liberamente il mestiere di pescatore, tra i più antichi, tradizionali e qualificanti di questa località. Le zone “A” di conservazione integrale, invece, dovrebbero essere considerate anche come zone di ripopolamento delle risorse ittiche, ed in questo senso valutate al momento della perimetrazione. Le marinerie delle A.M.P. sono composte quasi esclusivamente da addetti alla piccola pesca. Il settore, però, investito in questi ultimi anni da una crisi di riconversione, abbisogna di una politica organica della pesca soprattutto nell’ambito di queste particolari realtà della costa italiana Si tratta di porre in essere azioni che comportino innovazione, anche tecnologica, valorizzazione dei prodotti e soprattutto meccanismi che garantiscano la partecipazione dei pescatori alla vita e alle decisioni dell’Ente Gestore. L’urgenza di intervenire in questo modo per la regolamentazione ed il sostegno del settore in questione è stato avvertito anche a livello comunitario, nell’ambito dei Fondi Strutturali Europei con la predisposizione di alcune misure inserite nello SFOP, il regolamento che interessa il settore pesca. Le misure che rilevano, in particolare, sono due: la 4.22 e la 4.23. Misura 4.22: “Interventi a sostegno dell’acquacoltura, della maricoltura, della piccola pesca costiera e adeguamento delle strutture portuali ” Le difficoltà, registrate negli ultimi anni in Campania, dovute soprattutto alla bassa redditività e dunque alla ridotta capacità di anticipazione di capitali da parte degli addetti, unite alla carenza di adeguate infrastrutture, rendono evidente la necessità dell’intervento pubblico sia a sostegno degli investimenti privati che per la creazione di adeguate infrastrutture. Lo sviluppo delle suddette attività, oltre che essere opportunità economiche ed occupazionali in aree tradizionalmente vocate alla pesca, potrebbe contribuire ad aumentare l’offerta dinanzi ad una domanda sempre crescente di prodotti ittici. Gli investimenti proposti mirano sia ad una qualificazione produttiva degli impianti già esistenti, in termini di ridotto impatto ambientale e diversificazione produttiva, che al potenziamento vero e proprio del settore. La misura è articolata in sei sottomisure che, nel complesso, sono volte al raggiungimento di alcuni obiettivi specifici di riferimento, quali: il rafforzamento della competitività delle strutture e lo sviluppo di imprese economicamente valide nel settore, l’affermazione dell’acquacoltura e della maricoltura, il miglioramento delle attrezzature dei porti di pesca, l’adeguamento ed il potenziamento delle strutture per la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti. Misura 4.23: “Interventi di contesto ed a sostegno dell’adeguamento infrastrutturale del settore della pesca.” La misura prevede una serie di azioni che vanno ad integrare e a dare continuità alla strategia di intervento a livello produttivo. Obiettivo della misura è quello di incidere sul carattere fortemente artigianale del settore tramite azioni di promozione e valorizzazione del prodotto locale. Sono altresì previsti interventi di adeguamento delle attrezzature stesse ( destinati alle imbarcazioni da pesca di lunghezza inferiore ai 12 metri) al fine di migliorare le condizioni sanitarie e lavorative, favorire la riconversione verso tecniche di pesca più selettive e verso il pescaturismo, organizzare la catena di produzione, trasformazione e commercializzazione nel modo più efficiente possibile, favorire la formazione e la riqualificazione professionale. Come è evidente quest’ultima misura contiene un esplicito riferimento all’attività di pescaturismo, in quanto modalità attraverso la quale assicurare il conseguimento di alcuni degli obiettivi specifici di riferimento quali: il conseguimento di un equilibrio duraturo tra le risorse alieutiche e lo sfruttamento delle stesse riducendo, in tal modo, lo sforzo di pesca e favorendo, invece, la riproduzione sotto costa

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delle specie ittiche, la riconversione degli operatori, la valorizzazione dei prodotti della pesca e il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi a favore delle imprese di pesca, infine la possibilità di sviluppare un nuovo tipo di turismo sostenibile legato al mondo della pesca che apporti benefici economici nonché una crescita culturale e una maggiore sensibilità verso le problematiche di questo mondo.

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4.3 P.O.R. Regione Campania: misure a favore delle Aree Naturali Protette La regione Campania, nell’ambito del processo di programmazione per accedere ai finanziamenti comunitari previsti dai Fondi Strutturali Europei ha predisposto il POR 2000-2006. Con riferimento al I asse prioritario di riferimento, quello relativo alle Risorse Naturali, le misure del POR che prevedono degli interventi anche nelle Aree Marine Protette sono le 1.9, 1.10, 1.11. I Fondi strutturali interessati sono il FERS per le prime due misure ed il FSE per l’ultima, mentre il settore di intervento è costituito per tutte le misure dalla Rete Ecologica. Misura 1.9- Recupero, Valorizzazione e Promozione del Patrimonio storico- culturale, archeologico, naturale, etnografico e dei centri storici delle Aree Protette e dei Parchi Regionali e Nazionali. Obiettivi specifici di riferimento della misura sono: • negli egli ambiti marginali con sottoutilizzazione delle risorse: migliorare la qualità del patrimonio naturalistico e culturale, riducendone il degrado ed accrescendone l’integrazione con le comunità locali in un’ottica di tutela, sviluppo compatibile, migliore fruizione e sviluppo di attività connesse, come fattore di mobilitazione e stimolo allo sviluppo locale; • negli ambiti con sovrautilizzo delle risorse: recuperare gli ambiti compromessi a seguito di usi impropri e conflittuali; regolare gli usi e la pressione sulle risorse; accrescere l’offerta di beni e servizi finalizzati alla qualità ambientale ed alla corretta fruizione ambientale delle risorse, in un’ottica di promozione dello sviluppo; • in generale: promuovere la capacità della Pubblica Amministrazione di intervenire per la conservazione e lo sviluppo; promuovere la rete ecologica come infrastruttura di sostegno dello sviluppo compatibile e come sistema di offerta di beni, risorse e valori. La finalità della misura è la valorizzazione delle risorse immobili dei parchi e delle altre aree protette per innescare processi di sviluppo sostenibile basati sulla conservazione delle risorse naturali. Creare le condizioni di base per lo sviluppo, nella logica dei sistemi locali naturalistici, di microfiliere imprenditoriali locali. Sviluppare modelli gestionali delle risorse naturali con forte indotto occupazionale. Promuovere la domanda di turismo verde e di prodotti tipici locali. Sono previsti interventi per la tutela, il recupero e la valorizzazione del patrimonio paesaggistico- ambientale delle aree interessate. Marketing, animazione socio-culturale, sensibilizzazione naturalistico- ambientale e promozione di prodotti tipici. Nei parchi regionali e nazionali la misura sarà attuate esclusivamente mediante progetti integrati territoriali. Nelle altre aree protette mediante progetti monosettoriali relativi alla tutela del bene ad alla sua fruizione mediante interventi leggeri ad elevata sostenibiltà ambientale. Misura 1.10- Sostegno allo sviluppo di micro-imprenditorialità nei parchi regionali e nazionali Finalità della misura è sostenere lo sviluppo di microfiliere imprenditoriali nell’ambito dei sistemi locali naturalistici nei settori dell’artigianato tipico, delle piccola ricettività turistica e della ristorazione, dei servizi turistici, del piccolo commercio. Sostenere lo sviluppo dei servizi di accoglienza nelle aree protette. La misura prevede un regime di aiuto per le piccole imprese artigianali, turistiche e dei servizi turistici delle aree interessate, per la creazione di nuove attività e per la riqualificazione e/o l’ampliamento di attività in essere nei settori suddetti. La tipologia di programmazione richiesta è, anche in questo caso, integrata, per gli interventi nei parchi, e monosettoriale nel caso delle altre aree protette. Misura 1.11- Promozione di una forza lavoro competente e di nuova imprenditorialità a supporto della protezione e valorizzazione del territorio e dello sviluppo di attività produttive nelle aree protette. Gli obiettivi specifici di tale misura sono analoghi a quelli della misura 1.9.

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Finalità della misura è la promozione di interventi volti al rafforzamento delle competenze degli operatori ambientali per la protezione ed il monitoraggio; favorire la diffusione della cultura ambientale, la conoscenza e l’uso responsabile del territorio e lo sviluppo sostenibile attraverso il decollo di iniziative imprenditoriali; migliorare l’occupabilità in un settore con forti potenzialità si sviluppo. Sono previste azioni per la formazione di nuove figure professionali e la riqualificazione degli addetti del settore, delle forme di tutoring per la creazione d’impresa mediante attività di promozione e marketing, studi e iniziative per il rafforzamento dei legami tra sistema produttivo regionale e i mercati internazionali. Anche in tal caso la programmazione è di tipo integrata e/o monosettoriale. I soggetti beneficiari finali di tali misure sono Parchi Nazionali e Regionali insieme agli Enti Gestori delle aree protette. Quanto alla tipologia di programmazione richiesta, come appare esplicitamente, nei Parchi regionali e nazionali le misure saranno attuate mediante progetti integrati territoriali, mentre per le altre aree protette, incluse le A.M.P., vengono richiesti progetti monosettoriali. Ciò prefigura una chiara disparità di trattamento tra i Parchi e le aree protette, nel primo caso con i progetti integrati territoriali le imprese o i soggetti che volessero intraprendere delle attività e richiedere dei finanziamenti per esse sono messi in grado di competere con altri soggetti soltanto nell’ambito del territorio del parco stesso. Nel caso delle aree protette i progetti monosettoriali obbligano ad una competizione allargata all’intero territorio regionale, con evidente svantaggio per le imprese che operano in tali ambiti che avranno, oggettivamente, minori possibilità di accedere ai finanziamenti previsti. Si auspica, quindi, una revisione delle metodologie di programmazione per le aree protette per dare uguali opportunità di sviluppo anche a tutte quelle attività compatibili, che potrebbero essere svolte, se opportunamente sostenute almeno nel periodo di avviamento, nelle A.M.P.

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Capitolo V Il Pescaturismo Nell’ottica della politica di tutela ambientale voluta sia dal governo italiano che dalla Unione Europea, si è assistito, negli ultimi anni, ad un improvviso aumento del numero delle Aree Marine Protette istituite (attualmente 16). Dinanzi a tale situazione la figura professionale del pescatore si trova a far fronte alla necessità di rinnovamento attraverso l’implementazione di attività eco e socio compatibili, come il pescaturismo. L’attività rappresenta una proposta innovativa per rispondere all’esigenza di diversificazione di parte delle attività di pesca, in particolare all’interno delle aree marine protette, riqualificando una quota di mercato turistico in parte esistente e creandone una aggiuntiva particolarmente interessante rispondendo all’esigenza di politiche che rispettino i principi di un “turismo responsabile” Il concetto di “turismo responsabile” nasce da nuove esigenze di valorizzazione e riscoperta della realtà sociale ed ambientale dei luoghi più suggestivi e delle antiche tradizioni della cultura del nostro paese. Si vuole offrire al visitatore la possibilità di inserirsi in maniera armonica nel contesto preesistente senza alterarne le preziose particolarità. Gli usi e le tradizioni legati alle marinerie italiane possono offrire nuove possibilità di rilancio di questo settore, rispondendo contemporaneamente alle politiche europee di razionalizzazione dello sforzo di pesca.30 Il pescaturismo è l’attività esercitata dai pescatori professionisti che, attraverso un apposito certificato rilasciato dalla Capitaneria di Porto, sono autorizzati ad imbarcare a bordo dei propri pescherecci gruppi di turisti per una giornata di svago all’insegna del mare e della pesca. Il pescaturismo si inserisce, dunque, in una serie di iniziative finalizzate alla definizione di una più organica politica sul mare ed una rinnovata valorizzazione delle sue potenziali risorse e rappresenta uno strumento per coniugare l'incredibile richiamo delle bellezze naturali e della cultura tradizionale dell’ambiente costiero con le conoscenze territoriali ed il fascino ambientale del mondo peschereccio. Gli obiettivi che questa attività si prefigge di raggiungere sono diversi: innanzitutto una fonte di reddito aggiuntivo a quanto viene ricavato dalla vendita del pescato; una riduzione nel prelievo delle risorse ittiche; la diffusione verso un più vasto pubblico di conoscenze riguardanti il mare, le specie ittiche e gli ambienti costieri; la sensibilizzazione dell'opinione pubblica sui problemi che i pescatori affrontano giorno per giorno. Il Pescaturismo nasce ufficialmente in Italia, su proposta del movimento cooperativo, nel 1992 per creare un’occasione di integrazione di reddito per i pescatori, in particolar modo per gli operatori della piccola pesca, maggiormente colpiti dalla ristrutturazione del settore. In breve, la normativa offre la possibilità ai pescatori professionisti di imbarcare a scopo turistico-ricreativo persone interessate ad entrare in contatto ravvicinato con il mondo della pesca, la sua cultura, l’ambiente in cui si svolge, le sue attività e le tecniche usate, analogamente a ciò che avviene da anni per l’agricoltura con l’agriturismo. L’AGCP Pesca, l’Associazione Generale delle Cooperative della Pesca ha creato, inoltre, un marchio “Pescaturismo” la cui gestione è stata delegata al Consorzio italiano Servizi Pesca e Acquacoltura, nella gestione del marchio questo consorzio ha cercato di svolgere un’opera di sensibilizzazione sugli operatori verso questa nuova impresa e di promozione mediante la redazione di dépliant, di video e di altro materiale informativo. Fino ad oggi il settore alieutico, e con esso l’intera filiera ittica, hanno scontato un generale isolamento da altre aree economiche. Tra queste il turismo è una delle attività principali attraverso le quali è possibile realizzare la diversificazione economica delle zone costiere dipendenti dalla pesca e, in taluni casi, riconvertire professionalmente i pescatori colpiti dal processo di ristrutturazione del settore. La legge n.41/82, “Piano per la razionalizzazione dello sviluppo della pesca marittima”, aggiornata con l’introduzione dell’articolo 27-bis dalla legge n.165/92 ed il D.M. attuativo del 19/6/92, introducendo e regolamentando il pesca-turismo in Italia, hanno quindi ufficializzato l’entrata nel circuito turistico del comparto della pesca. Rispetto alla qualità normalmente offerta dai servizi turistici, in particolare nelle 30IDRA p.s.c.r.l, “Pescaturismo: la nuova frontiera del turismo responsabile”, novembre 2000

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regioni meridionali, il turismo marittimo ha quindi, oggi, l’opportunità di arricchirsi di contenuti innovativi grazie ad un’attività ricca di valenze educative e di sensibilizzazione ambientale, che ha lo scopo di avvicinare il grande pubblico al mondo della pesca. Il grande afflusso turistico che ogni anno si registra nelle località marittime, rende con maggiore chiarezza l’idea di quanto sia grande l’interesse della gente per il mare e per quanto la vita nelle località marinare propone. Fino ad oggi, però, l’offerta del turismo marittimo non ha minimamente considerato il mondo della pesca soprattutto perché l’offerta specifica da parte dei pescatori ancora non presenta i requisiti di qualità richiesti dai tour operators. D’altro canto in passato lo stesso comparto, in quanto dedito solo ad attività produttive, si era raramente rivolto al turismo con proposte concrete. Anche questa ragione contribuisce a spiegare le difficoltà incontrate dal pescaturismo nei suoi primi anni di attività e la bassa quota di mercato coperta attualmente dall’esiguo numero di imprese operative. 5.1 Effetti derivanti dallo sviluppo del Pescaturismo Lo sviluppo di questa attività sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, può comportare vantaggi significativi, che non riguardano esclusivamente il settore alieutico e il suo indotto. La pesca può trarre utilità non solo dai già citati effetti economici ed occupazionali diretti ai pescatori professionisti, ma anche dalla possibilità di coinvolgere personale non imbarcato, rientrante a vario titolo nella filiera della pesca, nella gestione dei rapporti con i turisti. Altro beneficio atteso riguarda la riduzione dello sforzo alieutico, non solo ai fini della ricostituzione degli stocks ittici e quindi della salvaguardia ambientale, ma anche ( se il fenomeno acquisisse caratteri meno marginali) per il maggior valore unitario dei prodotti ittici derivante dalla riduzione dell’offerta. I pescatori, inoltre, possono beneficiare per primi, in termini di sicurezza e comfort, dell’adeguamento delle imbarcazioni alle insorgenti esigenze. Di tali ammodernamenti si avvantaggia, ovviamente, anche l’industria cantieristica e quella degli equipaggiamenti per la pesca e la navigazione. A ciò bisogna aggiungere la possibile creazione di sinergie, per fini promozionali, con le strutture ricettive e ristorative: queste infatti possono trarre utilità dal rilancio del turismo marittimo- costiero determinato dalla diversificazione dell’offerta e dalla qualità globale del servizio. Infine i pescatori possono acquisire nuova professionalità assumendo il ruolo di custodi e divulgatori delle tradizioni e della cultura marinara: lo stretto rapporto instaurabile con i turisti e la conoscenza più approfondita delle attività alieutiche può quindi servire anche a sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi che oggi affliggono il mondo della pesca. Nonostante le potenzialità descritte, che lo renderebbero un valido strumento al servizio della pesca e non solo, ancora oggi il pescaturismo stenta a decollare registrando successi solo in poche realtà della costa italiana. 5.2 Normativa in tema di Pesca-turismo Norme in materia di Pesca-turismo sono dettate dalla legge 17 febbraio 1982 n.41 “Piano per la razionalizzazione e lo sviluppo della pesca marittima” così come modificata dalla legge 165/92 che introduce l’art.27 bis. Le norme di attuazione dell’art.27-bis sono contenute nel Decreto Ministeriale del 19 giugno 1992. Da ultimo è occorso il Decreto 13 aprile 1999, n.293 “Regolamento recante norme in materia di disciplina dell’attività di pescaturismo, in attuazione dell’art.27-bis della legge 17 febbraio 1982, n.41, e successive modificazioni.” Recenti modificazioni sono, inoltre, contenute nelle circolari ministeriali del Marzo e Luglio 2000, che permettono l’estensione dell’attività in questione, rispettivamente alle imbarcazioni inferiori alle tre tonnellate di stazza lorda e alle ore notturne. Il decreto 293 all’art.1 definisce il pescaturismo come “ le attività intraprese dall’armatore singolo, impresa o cooperativa di nave da pesca costiera locale o ravvicinata, che imbarca sulla propria unità persone diverse dall’equipaggio per lo svolgimento di attività turistico ricreative.”

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In particolare tra le iniziative di pescaturismo rientrano: • lo svolgimento di attività pratica di pesca sportiva mediante l’impiego degli attrezzi di pesca sportiva previsti dallo stesso decreto. • lo svolgimento di attività turistico- ricreative al fine della divulgazione della cultura del mare e della pesca, quali brevi escursioni lungo le coste, osservazione delle attività di pesca professionale, ristorazione a bordo o a terra. • lo svolgimento di attività finalizzate alla conoscenza e alla valorizzazione dell’ambiente costiero, delle lagune costiere ed eventualmente delle acque interne, nonché ad avvicinare il pubblico al mondo della pesca professionale. Il Decreto 293 elimina alcune delle restrizioni che caratterizzavano lo svolgimento della pescaturismo nella precedente normativa, in particolare è, ora, possibile svolgere tale attività anche in ore notturne e durante tutto l’arco dell’anno invece dei precedenti quattro mesi da giugno a settembre. Inoltre, viene ora autorizzato l’imbarco di minori di anni 14 se accompagnati da persona di maggiore età, sono state introdotte semplificazioni rispetto alle condizioni meteomarine in cui è consentito operare ed è concessa l’autorizzazione ad esercitare mediante l’utilizzo di navi non superiori ai 10 t.s.l. acquisite a tale esclusivo fine. L’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di pescaturismo viene rilasciata dal capo del compartimento marittimo del luogo di iscrizione della nave, il quale fissa anche il numero di persone imbarcabili, nel massimo di 12 persone. L’ottenimento dell’autorizzazione è subordinato al rispetto delle norme relative alla dotazione di mezzi di salvataggio per tutte le persone imbarcate e del materiale sanitario indicato dalla normativa. L’esercente tale attività è tenuto, al fine dell’ottenimento dell’autorizzazione, ad aggiornare la documentazione relativa alla sicurezza per ciascun anno di esercizio. 5.3 Ittiturismo: occasione per la rivitalizzazione e valorizzazione del patrimonio abitativo esistente nelle aree naturali Un’importante novità collegata alla Pescaturismo è l’Ittiturismo che trova una sua prima definizione normativa nel disegno di legge di riforma della pesca marittima (legge 963/65) approvato dalla Commissione Agricoltura del Senato, che lo definisce come “attività di ricezione ed ospitalità esercitata attraverso l’utilizzo della propria abitazione, o struttura appositamente acquisita da destinare e vincolare esclusivamente a questa attività, e l’offerta di servizi collegati. L’Ittiturismo può essere svolto in diretto rapporto con il pescaturismo ed in rapporto di complementarietà rispetto alle attività prevalenti di pesca, acquacultura e lavorazione artigianale del prodotto ittico. Possono svolgere attività di ittiturismo, allo scopo di agevolare la diminuzione dello sforzo di pesca, i pescatori professionisti, autonomi o associati in cooperativa, dei caratisti e proprietari armatori imbarcati su navi da pesca.” L’Ittiturismo è, dunque, un’attività di ospitalità esercitata dai pescatori professionisti, attraverso l’utilizzo delle proprie abitazioni adeguatamente ristrutturate o appositamente acquisite. In questo modo è possibile valorizzare il patrimonio abitativo già esistente e talvolta soggetto a degrado come quello degli antichi borghi marinari. Si profila la possibilità di una imponente opera di risanamento e ristrutturazione di importanti edifici di particolare valore storico e culturale nonché di abitazioni tipiche di pescatori che ben si integrano con l’ambiente circostante, senza aggiungere nuove costruzioni al patrimonio esistente. 5.4 Confronto tra Pescaturismo e Agriturismo Un settore che per molti aspetti può essere associato al pescaturismo, in particolare per quanto riguarda la tipologia di utenti, è l’agriturismo, anche se quest’ultimo può vantare una tradizione ormai consolidata ed è ben conosciuto dal grande pubblico.

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In tal senso risulta interessante mettere a confronto la normativa che disciplina entrambi i settori anche se, ad una articolata normativa in materia di agriturismo corrisponde, per alcuni aspetti, una più carente legislazione in materia di pescaturismo Le attività svolte nel settore dell’agriturismo prevedono: ospitalità stagionale in edifici appartenenti al fondo ed in aree destinate a campeggio, ristorazione con alimenti prodotti all’interno dell’azienda o di tradizione locale, organizzazione di attività ricreative o culturali. Per attività pescaturistica si intende, invece, il trasporto di passeggeri- turisti non facenti parte dell’equipaggio, l’organizzazione di attività turistico- ricreative quali brevi crociere, battute di pesca sportiva ecc. La normativa che disciplina l’agriturismo prevede il divieto di ricevere ospiti privi di documento di identificazione, stabilisce un numero massimo di clienti che possono usufruire, insieme, dell’ospitalità dell’azienda in base alle dimensioni del fondo ed altri parametri. La norma consente che tale attività possa essere svolta durante tutto l’anno. Analoghe limitazioni sono state stabilite dalla disciplina che regola l’attività di pesca-turismo. Ad esempio il numero massimo di passeggeri imbarcabili viene determinato dal capo del compartimento marittimo in funzione dei requisiti tecnici dell’imbarcazione; a bordo devono essere presenti le previste dotazioni igienico-sanitarie e apposite attrezzature di salvataggio. Altre limitazioni sono state abolite dall’ultimo decreto in materia del 23/08/99 n.293. In materia di integrazione tra attività principale e secondaria per l’agriturismo vale la regola che l’attività agricola debba essere comunque prevalente rispetto al resto con riferimento a: rapporto tra tempo e lavoro impiegato dall’imprenditore o dalla sua famiglia nello svolgimento dell’una o dell’altra attività, al fatturato annuo, al divieto di costruire altri edifici, all’obbligo di utilizzare, per la ristorazione, prevalentemente prodotti propri o comunque locali. Nel pescaturismo l’attività prevalente resta la pesca professionale anche perché quest’ultima può essere svolta unicamente da professionisti del settore pur in presenza di passeggeri a bordo. La vigilanza sul rispetto delle norme in materia di agriturismo è di competenza delle Regioni, ognuna delle quali è dotata di una propria legislazione in attuazione della legge quadro nazionale del 1985. Le autorizzazioni sono concesse dai Comuni. La legge n.537 del 1993 prevede la possibilità, per gli imprenditori, di autodenunciare l’inizio dell’attività per mezzo di apposita autocertificazione Le autorità competenti hanno facoltà di effettuare verifiche una tantum. La vigilanza in materia di pesca-turismo è affidata alle Autorità Marittime. Il capo del compartimento marittimo, nella cui giurisdizione è iscritta l’imbarcazione, rilascia anno per anno le autorizzazioni per lo svolgimento dell’attività, subordinate alle verifiche effettuate, sempre annualmente, dal RINA. La legge n.284 del 1991 ha liberalizzato le tariffe in agriturismo. Le aziende hanno l’obbligo di comunicare alle APT le tariffe entro il termine del 31 luglio-30 settembre con la possibilità di aggiornarle entro il mese di marzo di ogni anno. Le imprese pescaturistiche devono, invece, far pervenire le tariffe all’ufficio di iscrizione dell’imbarcazione entro il termine determinato da quest’ultimo. Per quanto concerne l’aspetto assicurativo, le aziende agrituristiche provvedono a stipulare specifiche polizze a copertura delle attività svolte. In questo ambito operano le associazioni agrituristiche che propongono alle aziende associate contratti assicurativi sulla base di convenzioni stabilite con le compagnie. Anche per le imprese agrituristiche è, ovviamente consigliabile assicurarsi contro possibili incidenti e rischi che possono interessare i passeggeri- turisti a bordo. Alcune Capitanerie rendono obbligatoria l’assicurazione e molte stanno provvedendo in tal senso. Inoltre alcune di esse, all’atto del rilascio del certificato di Pescaturismo, richiedono all’armatore il rilascio di una specifica dichiarazione di manleva che solleva l’autorità marittima da qualsiasi responsabilità civile e penale rispetto agli incidenti che potrebbero verificarsi a bordo a danno dei passeggeri.

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In termini di disciplina fiscale le aziende agrituristiche fanno riferimento alla legge n.413 del 1991 che ha istituito uno specifico regime forfetario ai fini dell’IVA e delle imposte del reddito che però non viene applicato alle cooperative e alle società. È comunque previsto che l’imprenditore possa rinunciare a questa facoltà e optare per la tassazione normale. Per l’attività di pescaturismo vigono le disposizioni generali in materia fiscale con l’applicazione dell’aliquota IVA (attualmente al 20 per cento), considerato che le imprese del settore non offrono i servizi di ospitalità alberghiera previsti, invece, in agriturismo. 5.5 Pescaturismo: attività sostenibile Come ho già detto l’attività di pescaturismo consiste nell’ospitare dei turisti a bordo di imbarcazioni dedite alla pesca professionale e la normativa, nella fattispecie, prevede che il numero massimo di persone ospitate non sia superiore a 12 compreso l’equipaggio. Al fine di ottenere l’autorizzazione da parte del Registro Italiano Navale (RINA) a poter ospitare il massimo numero di persone imbarcabili l’imbarcazione deve essere almeno di lunghezza non inferiore a 11 m ed una stazza lorda non inferiore a 6 ton. Un’imbarcazione avente le caratteristiche su descritte, normalmente, in assetto di pesca cala in mare, giornaliermente, circa 120 “pezzi” di reti. Un “pezzo” di rete, unità di misura utilizzata dalle marinerie locali, ha una lunghezza pari a 80 m., per cui 120 pezzi di rete hanno una lunghezza di circa 9.600 m. di reti. Il quantitativo di pescato giornaliero è stimabile tra i 20 ed i 30 Kg per un guadagno tra le £.600.000 e £.1.000.000 in dipendenza della qualità delle specie pescate. Quando la stessa unità di pesca è dedita all’attività di pescaturismo per motivi di sicurezza, di spazio e di tempo potrà trasportare e bordo e quindi calare in mare al massimo 12 “pezzi” di reti per cui si avrà una diminuzione del 90% delle reti calate. Lo sforzo di pesca, che viene generalmente calcolato in base alla stazza lorda dell’imbarcazione, subisce un drastico ridimensionamento; anche se la stazza dell’imbarcazione rimane la stessa, in pratica è come se essa venisse ridotta in quanto la presenza dei turisti fa si che per motivi di spazio le reti trasportate siano di meno, inoltre anche il tempo dedicato alla pesca si riduce sensibilmente in quanto i pescatori saranno impegnati ad illustrare le loro tecniche di pesca ai turisti e nella somministrazione, ad essi, del pesce cucinato. Inoltre la durata di una giornata di pescaturismo è inferiore a quella di una normale battuta di pesca. Se ciò dimostrerebbe come il pescaturismo sia effettivamente una attività sostenibile, in relazione all’esigenza di preservare le risorse ittiche costiere da un prelievo indiscriminato, dal punto di vista economico esso si può ben definire come un’attività di integrazione del reddito dei pescatori considerando che normalmente il prezzo del biglietto è di £.80.000 a persona e che dunque, durante una giornata di pescaturismo, è possibile un guadagno pari, se non superiore, a quello derivante dalla sola attività di pesca. I pescatori, inoltre, non rinunciano alla loro professione che continueranno ad esercitare professionalmente, e che continuerà ad essere la fonte primaria di reddito visto che l’attività di pescaturismo resta un’attività stagionale.

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Appendice al Capitolo VI Pescaturismo: l’esperienza italiana 1. Imprese italiane impegnate nel Pescaturismo Oggi, trascorso più di un anno dalla pubblicazione del decreto 293 in tema di pescaturismo, è possibile fare un primo bilancio dell’attività nel nostro paese e rilevare anche le difficoltà incontrate dagli operatori nell’adeguarsi ed intraprendere il pescaturismo. Non esistono, purtroppo, statistiche ufficiali sulle imbarcazioni aderenti, ma presso il Comando generale della Capitaneria di Porto sono state registrate circa 330 richieste di autorizzazione per il pescaturismo. Le imbarcazioni registrate fino al 1998 sono 19.638.31 Bisogna considerare, però, che da una recente indagine presso gli associati a Lega Pesca è risultato che, essendo il 2000 il primo anno di attività in seguito alla pubblicazione del decreto n.296 del 13 aprile 199932, che ne definisce le nuove modalità, molti operatori, pur avendo fatto richiesta della licenza, non hanno intrapreso attivamente il pescaturismo riservandosi di cominciare in futuro. Soltanto una parte di essi, e in maggioranza a causa di impedimenti burocratici, hanno realmente potuto intraprendere l’attività nella stagione primaverile/estiva del 2000. Ancora meno sono riusciti ad ottenere un bilancio di entrate in attivo, ammortizzando i costi iniziali, che per alcuni hanno raggiunto cifre ragguardevoli (fino a 200 milioni) per l’adeguamento della imbarcazione e di avvio generale dell’attività. 2. Pescaturismo in Penisola Sorrentina: l’esperienza della cooperativa Ulixes In Campania esistono imprese che si occupano di Pescaturismo nelle marinerie di Torre Annunziata e nella istituenda Area Marina Protetta dell’isola di Ischia, il GAL di Amalfi, inoltre, utilizza varie imbarcazioni per questa attività. La sola esperienza di Pescaturismo in Penisola Sorrentina è stata avviata, nella stagione estiva 2000, dalla cooperativa Ulixes, che, costituitasi nel febbraio 1999, ha come oggetto sociale proprio lo svolgimento di attività di pesca professionale, pescaturismo, ittiturismo ed attività ad esso collegate. La cooperativa ha riconvertito all’attività di pescaturismo, svolta con attrezzi selettivi, due imbarcazioni tra quelle gestite, una precedentemente dedita allo “strascico” ed un’altra al “cianciolo” e prevede, visto anche l’interesse mostrato dagli operatori turistici verso questa nuova ed unica attività per la penisola, di destinare al pescaturismo altre imbarcazioni, in modo da soddisfare le richieste degli operatori che richiedono servizi per grossi numeri di persone. Altra attività che la cooperativa intende intraprendere è l’Ittiturismo che permetterebbe la ristrutturazione e la valorizzazione di numerosi piccoli borghi marinari in stato di decadenza da trasformare in tipiche abitazioni a scopo turistico. Essa ha, quindi, presentato un progetto integrato di ittiturismo e pescaturismo che include le attività di pesca, ospitalità e degustazione di antiche ricette nelle case di pescatori che si trovano in questi particolari borghi. Anche nell’ambito della Spongicoltura, la cooperativa ha inoltrato, presso il Ministero delle Politiche Agricole e forestali, un progetto sperimentale per un impianto di allevamento di spugne marine autoctone che ha già superato sia l’istruttoria scientifica che quelle amministrativa. La coop. Ulixes ha preso parte, inoltre, a numerose manifestazioni, come il Programma di interventi di pulizia e disinquinamento dell’AMP “Punta Campanella”, l’edizione 2000 della manifestazione “Goletta Verde” di Legambiente e dell’ “Operazione Spiagge e Fondali Marini” la coop.Ulixes ha fornito le proprie imbarcazioni per le operazioni in mare. Le iniziative di promozione intraprese sono state la partecipazione alle trasmissioni televisive di “In viaggio con Sereno Variabile” e “Lineablu” alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole e

31 dati IREPA, 2000. 32 Gazzetta Ufficiale n. 197 del 25 agosto 1999

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Forestali, Alfonso Pecorario Scanio ed ha prodotto, con la collaborazione finanziaria di alcuni operatori turistici due depliants pubblicitari relativi all’attività di pescaturismo. 3. Potenzialità e opportunità del Pescaturismo in Penisola Sorrentina La Penisola Sorrentina, sede dell’area marina protetta Punta Campanella e già meta turistica rinomata, offre numerose opportunità per lo sviluppo delle attività di pescaturismo ed ittiturismo. Durante la scorsa stagione soltanto due imbarcazioni sono state adibite al pescaturismo, ma si è registrato un crescente interesse nel mondo della pesca, per cui già dalla primavera 2001 si potrà contare su una flotta più nutrita e, quindi, su un’offerta più consistente. Il pescaturismo costituisce, a tutti gli effetti, una nuova tipologia di “prodotto turistico” destinato ad un particolare target di clienti, che si può essenzialmente riconoscere negli ecoturisti e negli amanti del mare. Essi sono innanzitutto persone che abbisognano di tutta una serie di sevizi: dall’alloggio alla ristorazione e tutti i servizi complementari di cui si ha necessità durante un periodo di permanenza fuori casa. Si capisce, allora, come sia possibile creare delle integrazioni e delle sinergie con gli altri comparti dell’offerta turistica presenti nella zona: alberghi e strutture ricettive extra-alberghiere, in particolare si è pensata una possibile cooperazione con gli agriturismi locali essendo, la clientela di queste strutture, simile, per caratteristiche e aspettative, ai turisti che chiedono di vivere l’esperienza della pescaturismo. Il comparto extra-alberghiero anche potrebbe essere valorizzato, in particolare le seconde case disabitate per lunghi periodi e le abitazioni degli antichi borghi marinari, dando impulso all’ittiturismo: l’attività di ospitalità dei turisti nelle case dei pescatori, opportunamente adattate a rispondere alle necessità dei turisti. La giornata tipo che un turista vive a bordo nell’esperienza della pescaturismo prevede l’uscita al mattino per ritirare le reti calate la sera prima e per godere della sorpresa del pescato, l’avventura continua nella navigazione durante la quale si parteciperà alle varie operazioni di pesca sotto la guida esperta dei pescatori per poi finalmente poter gustare il frutto del proprio lavoro secondo la ricette più gustose della tradizione locale. Gli ospiti potranno ammirare l’unicità del paesaggio costiero: i piccoli anfratti, le insenature scavate nella roccia dalla paziente tenacia del mare e le splendide baie nelle quali è possibile fare il bagno per poi addentrarsi a scoprire le mille varietà e colori della flora mediterranea: dal giallo della fioritura della ginestra al verde dell’uliveto terrazzato degradante verso il mare, segno del lavoro dell’uomo che è riuscito a domare l’asprezza del territorio costiero e ad adattarlo al proprio lavoro. Condizione per cui i visitatori possano vivere una tale esperienza è che la situazione meteo-marina sia favorevole, durante il periodo invernale non sarà possibile immergersi per cui sarà necessario organizzare accuratamente ogni momento che i turisti vivono a bordo in modo che l’esperienza risulti indimenticabile per essi. Agli emozionanti istanti della pesca con la scoperta degli impensabili trucchi messi in pratica dai pescatori si potrà alternare dei momenti in cui il pescatore si fermerà a raccontare ai turisti i segreti della propria arte, per trasmettere l’antica sapienza degli uomini di mare che va, oggi, perdendosi nelle frenesia della vita quotidiana. La giornata può, quindi trasformarsi in un’unica e piacevole esperienza formativa e di accrescimento culturale in particolar modo se a bordo vi sono dei bambini per i quali questi momenti possono essere preziosi per crescere in una corretta educazione ambientale, oltre che per sorprendersi dinanzi alle meraviglie del mare. La costa ed il mare dell’A.M.P. Punta Campanella offrono uno spettacolo suggestivo dal punto di vista paesaggistico, ma alle bellezze naturalistiche si aggiungono le preziose testimonianze delle antiche civiltà che hanno popolato questi luoghi nel corso dei secoli. Sulla Punta della Campanella sorgeva il tempio che i greci dedicarono ad Athena, dea della sapienza e dell’ingegno. Ancora oggi è possibile leggere, incisa in una parete calcarea, una epigrafe in lingua osca che ricorda i nomi dei meddikes che ne ordinarono la costruzione.

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In epoca romana la penisola era sede di eleganti ville patrizie di cui, lungo la costa, è possibile ammirare i ruderi che riportano ad un epoca di antichi splendori. Nei tratti sporgenti della costa, inoltre, sorgono ancora i resti delle antiche torri di avvistamento utilizzate anticamente per prepararsi alle invasioni dei nemici provenienti dal mare. La Penisola è anche terra di miti, all’eroe dell’Odissea e alle sue peregrinazioni nel ritorno ad Itaca da Troia sono legati gli isolotti “Li Galli”(antiche Sirenuse). Da qui le Sirene, avendo cercato invanamente di attirare Ulisse, si sarebbero gettate in mare ed i loro corpi sarebbero stati trasportati una a Terina (Ligeia), una a Punta Licosa (Leukosia) e l’altra a Napoli (Parthenope). La leggenda vuole che sia stato proprio Ulisse ad ordinare la costruzione del tempio alla dea Athena. Nel corso della storia questi luoghi sono stati visitati, ammirati e poi agognati e ricordati negli scritti e nelle memorie di numerosi artisti e scrittori che hanno trascorso anche brevi periodi in Penisola Sorrentina, da qui una opportunità che potrebbe essere affiancata al Pescaturismo: i turisti potrebbero rivivere le stesse emozioni ripercorrendo i luoghi che, tanto, hanno colpito e suggestionato tali personaggi, assistendo a delle rappresentazioni dei tempi passati e prendendo parte, essi stessi, alla messa in scena di tempi andati ma che, tuttavia hanno fatto si che oggi noi siamo un popolo con un ricco patrimonio culturale. Tutto ciò potrebbe avvenire secondo la formula già consolidata dei Parchi Letterari. Altra sorprendente esperienza che può essere offerta ai visitatori è quella della pesca notturna, si parte al volgere del tramonto per assistere, alla luce delle Lampare, ai particolari tipi di pesca che si svolgono di notte come la pesca “ al totano”, dove l’enorme luce utilizzata dai pescatori a simulare la luce del sole, attira in superficie i pesci che vengono, in tal modo, catturati da questi. Le acque che lambiscono la penisola sono popolate da numerosi branchi di delfini e allora, di notte, sarà ancora più suggestivo assistere alle allegre acrobazie ed ascoltare i suoni di questi pesci che fanno festa dinanzi al lauto pranzo che si prospetta e che contenderanno con i pescatori i quali saranno, certamente, meno contenti di dividere con loro il frutto delle proprie fatiche. Si potrà fare il bagno al chiaro di luna per poi terminare la serata con una gustosa cena a bordo dell’imbarcazione. Attività complementari al pescaturismo potrebbero essere dei corsi di cucina, dove degli chefs professionisti mettano a disposizione la loro esperienza, insegnando ai turisti le ricette più indicate per ciascuna specie di pesce perché tutto il gusto ne venga esaltato secondo la tradizione culinaria locale. Si potrebbe insegnare ai visitatori le varie tecniche di trasformazione del pescato in modo che, al termine del soggiorno, essi possano portare con loro il risultato del loro lavoro e mantenere sempre vivo il ricordo dei momenti vissuti con i pescatori. In questo modo potrebbe essere creata una linea di prodotti ittici conservati, garantita da un marchio di qualità, da commercializzare presso i clienti che già hanno vissuto l’esperienza del pescaturismo e presso altri canali tradizionali, in questo modo sarebbe possibile creare un rapporto duraturo e continuo con tali clienti che hanno già sperimentato la passione e la gentilezza d’animo della gente di mare, nonché la genuinità della produzione artigianale locale. 4. Problematiche connesse con lo svolgimento dell’attività di Pescaturimo Nel corso dell’ultimo convegno sul pescaturismo, organizzato da Lega Pesca, e tenutosi a Portonovo di Ancona il 17 novembre 2000, si è discusso dello stato di avanzamento dell’attività concentrando l’attenzione anche sulle problematiche riscontrate; gli operatori del settore si sono dati appuntamento, insieme ai rappresentanti delle associazioni di categoria e del governo, per redigere un documento comune nel quale esporre le proprie preoccupazioni e le richieste di interventi legislativi che vadano a modificare l’attuale normativa ritenuta piuttosto restrittiva e vincolante per gli esercenti tale attività nonché lacunosa nella regolamentazione di molti aspetti connessi con le attività di pescaturismo ed ittiturismo.

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Il decreto 293 del 13 aprile 1999, firmato dal Ministero per le Politiche agricole di concerto con il ministero dei Trasporti e della Navigazione, apporta notevoli modifiche alla disciplina del pescaturismo, come ho già detto, nel senso di rendere più agevole l’attività sia per gli operatori che per gli utenti del servizio. Se, quindi, è chiara la volontà di fare del pescaturismo un’attività di integrazione del reddito per gli addetti al settore pesca e si è dato nuovo impulso al settore, rimangono, tuttavia, alcuni limiti e contraddizioni da risolvere. In primo luogo all’articolo 4, comma I è possibile leggere : “...le cooperative di pesca e le imprese di pesca, in relazione alle esigenze di riconversione delle attività di pesca ed in considerazione dei problemi occupazionali e sociali connessi, possono essere autorizzate ad esercitare l’attività di pesca-turismo, mediante utilizzazione di navi non superiori a 10 tonnellate di stazza lorda acquisite a tale esclusivo fine” Al comma II del medesimo articolo si legge invece : “Il regime di cui al primo comma non si applica alle navi di nuova costruzione che non abbiano avuto il nulla osta per l’iscrizione quale nave da pesca nel pertinente registro.” In tale articolo è ben visibile una contraddizione: mentre si dà al pescatore la possibilità di integrare il proprio reddito con attività che diversificano la pesca pur nel rispetto ambientale ed in armonia con le tradizioni locali ( comma I), si pongono allo stesso serie restrizioni per l’ottenimento dell’iscrizione al registro quale nave da pesca (comma II). Inoltre, le nuove opportunità che si danno al mondo della pesca in ambito turistico- ricettivo dovrebbero essere mirate al contenimento dello sforzo di pesca e non ad aumentare il numero delle licenze disponibili. La previsione dell’articolo 4 con la designazione di nuove licenze, invece, rende possibile l’incremento potenziale dello sforzo di pesca, che certamente non è l’obiettivo di promozione dell’attività di pescaturismo, considerando anche che è necessario che la flotta italiana venga ridimensionata per rispondere ai dettami comunitari. Ancora, l’articolo 5, comma III afferma che: “ il capo del compartimento marittimo, in sede di rilascio dell’autorizzazione, fissa il numero massimo di persone imbarcabili, nel numero massimo di 12, attenendosi anche alle indicazioni del Registro navale italiano.” Viene posto, qui, un ulteriore vincolo all’attività, in particolar modo per quelle imbarcazioni le cui dimensioni consentirebbero di ospitare a bordo ben più di 12 persone. Tale provvedimento impedisce un’adeguata redditività per queste imbarcazioni, le dimensioni di queste, infatti, impongono altissimi costi di ammodernamento e rendono quindi penalizzante per gli addetti alla pesca intraprendere questa attività. A ciò si aggiunge il complesso iter burocratico che un’impresa deve affrontare per intraprendere la pescaturismo. In particolare: il permesso necessario è rilasciato dal Capo del Compartimento marittimo nella cui giurisdizione è iscritta l’imbarcazione, che rilascia un “Certificato Pescaturismo” a seguito della presentazione di alcuni documenti quali : 1.copia delle annotazioni di sicurezza dell’unità rilasciata dalla Capitaneria di Porto 2.copia della prova di stabilità e/o copia della stabilità occasionale rilasciata dal RINA. 3.copia delle annotazioni di sicurezza finalizzate esclusivamente all’esercizio della pescaturismo rilasciata dalla Capitaneria. Il rilascio del Certificato è subordinato alla prova di stabilità effettuata dal RINA. Il Capo del Compartimento, in sede di rilascio dell’autorizzazione, fissa il numero massimo di persone imbarcabili a seconda dell’unità che viene stabilito sulla base delle indicazioni del RINA. La domanda deve contenere l’indicazione delle tariffe che si intendono praticare. Vige l’obbligo di aggiornare la documentazione relativa alla sicurezza e, in caso di modificazioni delle caratteristiche tecniche dell’unità, di presentare nuova domanda di autorizzazione.

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E’ inoltre necessario che al momento dell’imbarco venga compilato un registro con i nominativi dei turisti presenti a bordo. Tale registro costituirà in alcuni casi un documento utile per identificare i turisti imbarcati a fini assicurativi. Da tutto ciò è possibile rilevare una delle principali difficoltà rilevate dagli operatori, ossia il sovrapporsi di competenze tra Registro navale e Capitaneria di Porto per il rilascio dell’autorizzazione, che tende a complicare burocraticamente le pratiche, a dilungare i tempi e ad incrementare i costi di gestione a svantaggio soprattutto delle imbarcazioni di dimensione ridotte. Una volta fatta domanda per il Certificato la capitaneria ha 10 giorni per fare richiesta di intervento al RINA in merito alle prove di stabilità. Queste vengono eseguite sulla base di “Tabelle di Armamento”, spesso accade che esse consentano un numero superiore alle 12 unità per le persone da imbarcare, tuttavia tale limite non può essere superato in quanto stabilito dal decreto, anche se da esso discende, spesso l’impossibilità ad operare per le grosse imbarcazioni da pesca, dal momento che il ricavo ottenuto dalle 12 quote previste di partecipazione risulta essere insufficiente a coprire i costi di gestione di un’escursione in mare di diverse ore, senza considerare la recente crisi per il caro petrolio. Oltre a ciò talvolta appaiono poco chiari i criteri seguiti per la valutazione della stabilità e soprattutto si registra una scarsa uniformità a livello nazionale. Inoltre il tempo medio per l’ottenimento del Certificato di pescaturismo è di 40 giorni.33 L’attività di Pescaturismo prevede la possibilità di espletare la ristorazione a bordo o a terra (art.1 lett.b), a questo riguardo il decreto risulta lacunoso, mancando l’indicazione della normativa cui far riferimento. Tale tematica risulta di particolare importanza date le caratteristiche strutturali delle imbarcazioni che, solitamente non presentano ampi spazi per la preparazione delle vivande, pur vigendo la normativa Europea dell’HACCP, a presidio del rispetto di tutte quelle condizioni igienico- sanitarie e del controllo di tutte quelle fasi critiche nella ristorazione. Dal seminario è emerso che il decreto 293 ha sicuramente il merito di aver creato le basi e le condizioni operative affinché tale attività possa, oggi, concretamente svilupparsi. Tuttavia sono emerse numerose difficoltà inerenti la normativa stessa, rimangono molti punti ancora oscuri in essa che sarebbe opportuno puntualizzare in un regolamento di attuazione, in cui si deve: 1. chiarire la normativa cui far riferimento per la ristorazione a bordo e/o a terra dell’art.1 lettera b), tenendo conto delle differenze tra le due tipologie e permettendo con la licenza di pescaturismo di far degustare, in analogia a quanto previsto per l’agriturismo, a terra il pescato; 2. autorizzare l’espletamento del pescaturismo in ore notturne, prescindendo da quanto disposto dall’art.5 primo comma, lettera c) del DM 22 giugno 1982, qualora l’attività di pesca si protragga per un tempo inferiore alle 24 ore, come già previsto nota esplicativa del MIPAF del 13 luglio 2000 prot.n.602020; 3. chiarire e riformulare il contenuto dell’art.4 in quanto, così come riportati i comma 1 e 2, sono contrastanti; 4. rendere omogenei, a livello nazionale, i criteri per la valutazione della stabilità delle imbarcazioni richiedenti le autorizzazioni per l’esercizio del pescaturismo. La valutazione del Rina, inoltre, si dovrebbe attenere ai criteri della sicurezza in mare e della stabilità dell’imbarcazione prescindendo dal limite numerico di persone imbarcabili imposto dal decreto; 5. aumentare il numero delle persone imbarcabili qualora le caratteristiche strutturali delle imbarcazioni lo consentano, considerando anche che per la conduzione dell’imbarcazione da pesca si necessita di un Capo barca ed un motorista abilitati e quindi potrebbe essere concesso un’autorizzazione all’ampliamento del servizio (Navigazione) in cui è inquadrata l’imbarcazione;

33 N. Lucantoni P. Richard, “Pescaturismo: il presente, quale futuro?” Portonovo di Ancona 17/11/2000

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6. equiparare la validità dell’autorizzazione all’esercizio del pescaturismo alla durata delle annotazioni di sicurezza per il pescaturismo a meno che non si verifichino modificazioni delle caratteristiche tecniche dell’unità; 7. per le imbarcazioni che non hanno l’obbligo del VHF, permetterne l’utilizzo di uno portatile senza richiedere il nominativo internazionale e tutti gli adempimenti connessi a quello fisso; 8. prevedere un inquadramento fiscale per il pescaturismo ed in analogia all’attività di pesca, mantenere l’aliquota IVA al 10%; 9. sancire l’obbligatorietà della polizza assicurativa, sensibilizzando le agenzie assicurative alla predisposizione di una polizza ad hoc. Con la soluzione di tali problematiche e predisponendo un progetto unitario di sviluppo e promozione dell’attività, il pescaturismo nel futuro potrà, soprattutto nelle AMP, costituire fonte di reddito integrativo al comparto. Risolvere i problemi innanzi esposti, significa, inoltre, creare l’impianto normativo per lo sviluppo dell’Ittiturismo, di cui tanto si parla ma di cui non si creano i presupposti per la realizzazione.34

34 Alberico Simioli, Relazione sul Pescaturismo, novembre 2000

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CONCLUSIONE L’ambiente e la sua tutela sono, oggi, al centro di numerosi dibattiti sia nel mondo scientifico che in quello economico e, nella ricerca di possibili soluzioni al degrado delle risorse naturali, si tende a colpevolizzare quelle attività ritenute responsabili di causare danni irreversibili agli ecosistemi naturali. Il turismo è una di queste; la pratica turistica, se sviluppata oltre certi limiti, fa in modo che si instauri qual rapporto conflittuale con l’ambiente e che i costi, non solo di natura economica indotti da essa, giungano a prevalere sui benefici che normalmente ci si attende dal turismo come attività economica. Diverso sarebbe il caso in cui lo sviluppo turistico fosse attentamente pianificato ed adattato alle caratteristiche del territorio, in questo caso potrebbe addirittura configurarsi un rapporto simbiotico tra turismo ed ambiente, come avviene, ad esempio, nelle Aree Naturali Protette, dove il turismo contribuisce alla tutela e alla valorizzazione delle risorse naturali. Tuttavia, oggi, la regolamentazione di alcune forme di utilizzo del territorio, come l’istituzione di un’area naturale protetta viene, spesso, considerata solo come modalità per limitare lo sviluppo economico. A questo riguardo ho ritenuto opportuno riportare l’esperienza di Punta Campanella per sottolineare, ancora una volta, come un’A.M.P. apporti, oltre alle numerose regolamentazioni e vincoli allo svolgimento delle tradizionali attività economiche e produttive, (causa di aspre polemiche connesse con la istituzione di un’A.M.P.), anche innumerevoli possibilità di occupazione e di sviluppo per l’economia dell’area interessata. Eppure, sovente, si stenta a comprendere, a partire, purtroppo dalle stesse classi politiche, tale possibilità. Si incontrano grandi difficoltà in tal senso perché, a mio avviso, è necessario operare un cambiamento di mentalità, una crescita culturale che permetta di pensare alla parola “sviluppo” senza richiamare alla mente quel concetto tradizionale di crescita economica che si basa esclusivamente sul “consumo” delle risorse dell’ambiente naturale in una logica egoistica che pone il benessere individuale al di sopra di tutto. A tale visione, oggi, deve subentrarne un’altra che contribuisca a smantellare le posizioni di potere consolidate nell’egoismo e nell’avidità di chi vuole avere sempre di più, una visione che allarghi gli orizzonti temporali e che permetta di pensare ad uno sviluppo economico che soddisfi, certamente al meglio, le esigenze delle generazioni presenti, ma che sia “responsabile” anche per quelle future, che non comprometta in modo irreversibile l’ambiente naturale in cui queste vivranno; che garantisca un ambiente sano a cui le generazioni future avranno diritto analogamente a quelle presenti. Penso, che a Punta Campanella, vi siano tutte le potenzialità per operare questo cambiamento, e soprattutto, le condizioni perché dalla teoria si possa passare alla “pratica” di uno sviluppo sostenibile. L’idea di trattare, in questo lavoro, della realtà di Punta Campanella mi ha entusiasmato sin dall’inizio perché potrei essere, io stessa, coinvolta nel processo di cambiamento in quanto legata alla penisola Sorrentina sin dalla nascita e parte di quella nuova forza imprenditoriale che crede sia possibile operare questa svolta ed è pronta a mettersi in causa, con la consapevolezza delle proprie potenzialità, ma anche delle problematiche da affrontare, convinti che, comunque, ne valga la pena.

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