Indicatori di risultati dei Poli di Innovazione

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Indicatori di risultati dei Poli di Innovazione

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QI10Indicatori di risultati intermedi

per misurare la performance di Distretti Tecnologici e Poli di Innovazione

QI11Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

Rubbettino

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Il Progetto “Sostegno alle politiche di ricerca e innovazione delle Regioni” è finanziato a valere sulle risorse del PON Governance e Assistenza Tecnica 2007-2013 – Fondo Europeo di Sviluppo Regionale.Il Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica e l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione ne coordinano le attività.

Presidenza del Consiglio dei MinistriAgenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazioneVia Camperio, 1 - 20123 Milanohttp://www.aginnovazione.gov.itDirettore: Dr. Mario Dal Co@: [email protected]

Progettazione e coordinamento

Indice

QI10 Indicatori di risultati intermedi per misurare

la performance di Distretti Tecnologici e Poli di Innovazione

Prefazione di Andrea Bonaccorsi 13

Introduzione 17Glossario 21

1. Obiettivi e percorso 251. Obiettivo: la “costruzione di indicatori

di risultati intermedi” 252. L’articolazione del percorso 28

2. Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza 311. Lo strumento di analisi: gli indicatori intermedi 312. L’oggetto dell’analisi: gli Intermediari della

Conoscenza 383. I Distretti Tecnologici e i Poli di Innovazione 43

3.1 I Distretti Tecnologici (DT) 433.2 I Poli di Innovazione (PI) 463.3 DT e PI: analogie e differenze 50

3. La griglia di indicatori di risultato intermedi 53

1. Costruire una griglia di indicatori di risultati intermedi: una riflessione guidata per step 531.1 STEP 1: gli obiettivi di policy 571.2 STEP 2: la tipologia di Intermediario 591.3 STEP 3: gli obiettivi specifici di policy 591.4 STEP 4: la fase del ciclo di vita

dell’intermediario 621.5 STEP 5: il modello di governance

dell’intermediario 631.6 STEP 6: il settore industriale e l’ambito

applicativo di riferimento 662. Una griglia di indicatori di risultato intermedi

per la definizione degli obiettivi e la misurazione della performance dei Distretti Tecnologici e dei Poli di Innovazione 712.1 Dimensioni e contenuti della griglia 712.2 La griglia di indicatori di risultati intermedi 76

Conclusioni 83Bibliografia 85

QI11 Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

Prefazione di Andrea Bonaccorsi 95

Introduzione 97

1. Obiettivi del gruppo di lavoro 101

2. Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo 1031. Le politiche pubbliche in ricerca e innovazione 1032. Assicurare la valutabilità degli interventi di

sostegno a ricerca e innovazione (estratto dalla presentazione del Prof. Guido Pellegrini nell incontro dell’11/10/2010) 105

3. Metodologie per la valutazione delle politiche pubbliche: riferimenti operativi comunitari ed internazionali 110

4. Metodologie per la valutazione delle politiche pubbliche e casi di valutazione regionale 113

5. La Valutazione delle politiche di Ricerca e Innovazione della regione Sardegna 118

3. Uno schema di guida alla valutazione d’impatto delle politiche di ricerca e innovazione in 4 step (estratto dalla presentazione UVAL all’incontro del 1 dicembre 2010) 121

4. Temi emersi dal dibattito e direzioni proposte per approfondimenti futuri 131

5. Bibliografia e link a siti e documenti di interesse 137

QI10 Indicatori di risultati intermedi

per misurare la performance di Distretti Tecnologici e Poli di Innovazione

Sommario QI10

QI10 Indicatori di risultati intermedi per misurare

la performance di Distretti Tecnologici e Poli di Innovazione

Prefazione di Andrea Bonaccorsi 13

Introduzione 17Glossario 21

1. Obiettivi e percorso 251. Obiettivo: la “costruzione di indicatori

di risultati intermedi” 252. L’articolazione del percorso 28

2. Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza 311. Lo strumento di analisi: gli indicatori intermedi 312. L’oggetto dell’analisi: gli Intermediari della

Conoscenza 383. I Distretti Tecnologici e i Poli di Innovazione 43

3.1 I Distretti Tecnologici (DT) 433.2 I Poli di Innovazione (PI) 463.3 DT e PI: analogie e differenze 50

3. La griglia di indicatori di risultati intermedi 53

1. Costruire una griglia di indicatori di risultato Intermedi: una riflessione guidata per step 531.1 STEP 1: gli obiettivi di policy 571.2 STEP 2: la tipologia di Intermediario 591.3 STEP 3: gli obiettivi specifici di policy 591.4 STEP 4: la fase del ciclo di vita

dell’intermediario 621.5 STEP 5: il modello di governance

dell’intermediario 631.6 STEP 6: il settore industriale e l’ambito

applicativo di riferimento 662. Una griglia di indicatori di risultato intermedi

per la definizione degli obiettivi e la misurazione della performance dei Distretti Tecnologici e dei Poli di Innovazione 712.1 Dimensioni e contenuti della griglia 712.2 La griglia di indicatori di risultati intermedi 76

Conclusioni 83Bibliografia 85

13Prefazione

Prefazione

Una parte importante nelle politiche di ricerca e innovazione delle Regioni si svolge non attraverso il supporto diretto agli attori locali (sinteticamente: imprese da una parte, univer-sità ed enti di ricerca dall’altra), ma attraverso il supporto a soggetti intermediari della conoscenza.

Questi sono rappresentati da tipologie largamente diffuse a livello internazionale, sia sotto forma di operatori puntuali (parchi scientifici e tecnologici, incubatori, Industrial Liaison Office, Technology Transfer Office, centri servizi, BIC) che di forme di coordinamento territoriale tra soggetti eterogenei (cluster, poli di innovazione, poli di competitività, distretti tecnologici). In Italia la famiglia dei soggetti intermediari si è arricchita nell’ultimo decennio, spesso attraverso l’uso dei Fondi Strutturali, di nuove tipologie, come i distretti tecnolo-gici, i poli di innovazione, i laboratori misti pubblico-privati.

Il razionale per il supporto a questi soggetti è chiaro e condiviso: i processi di innovazione sono sistemici e inte-rattivi e richiedono la complementarità tra attori eterogenei, che operano con forme di conoscenza, incentivi e criteri di prestazione profondamente differenziati. I soggetti interme-diari si fanno dunque carico di produrre beni collettivi per i quali esistono economie di scala e di scopo (tipicamente, informazione e conoscenza locale) e di trasformare in modo produttivo la conoscenza disponibile, soprattutto colmando le distanze tra imprese e sistema pubblico della ricerca. Di

14 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

fatto, in tutti i paesi avanzati le politiche per l’innovazione hanno riconosciuto il carattere sistemico delle interazioni e hanno favorito una ricca ecologia di soggetti intermediari.

Dove stanno i problemi in Italia? Si riassumono in due elementi: primo, nel nostro sistema tutta l’area della inter-mediazione di conoscenza, con rare eccezioni, si svolge nel perimetro diretto o indiretto dell’intervento pubblico; secon-do, l’assenza di linee chiare di selezione e di orientamento ai risultati hanno consentitola comparsa di casi di rentseeking. I soggetti intermediari si trovano in molti casi in condizione di sfruttare la propria posizione centrale ed il supporto delle istituzioni per generare rendite di posizione ed assorbire ri-sorse, senza essere sottoposti a incisivi processi di valutazio-ne. La mancanza di un’attenta valutazione, oltre a consentire l’insorgere di sprechi e distorsioni, impedisce di stimarne l’incidenza in rapporto ai casi virtuosi, che pure esistono.

La risposta di molti stakeholder consiste in una drastica semplificazione: basta risorse agli intermediari, concentria-mo tutto sulle imprese oppure sulla ricerca pubblica.. Ma si tratta di una reazione impaziente e semplicistica che rischia di sacrificare le esperienze positive emergenti e previene le possibilità di imparare ad attuare questa strategia con suc-cesso. Occorre invece distinguere il grano dal loglio, separare la intermediazione produttive e creativa da quella inerziale e parassitaria.

Non è possibile svolgere questo compito delicato at-traverso schemi di incentivo che assegnano risorse, spesso ingenti, sulla base di programmi di azione a medio-lungo termine, monitorabili solo sull’avanzamento della spesa e valutabili solo a consuntivo. Quando si scopre l’inefficacia dell’intervento è troppo tardi. I responsabili avranno sempre buoni argomenti per dimostrare che l’inefficacia non è do-vuta alla loro incompetenza ma alla presenza di circostanze avverse (che naturalmente abbondano sempre). All’ammi-nistrazione, stretta tra l’insoddisfazione per i risultati e la impossibilità di chiudere strutture dotate di personale, non

15Prefazione

resta che gestire un processo di negoziazione prevalente-mente politico.

Gli schemi di supporto che hanno accompagnato nel nostro paese i soggetti intermediari non si sono dimostrate adeguate a seguire le regole del corretto policy design, che richiederebbe di tenere in conto le asimmetrie informative e l’importanza dei processi di apprendimento.

Occorre dunque cambiare registro, progettando politi-che che adottino il concetto di “multistadio”, di “indicatori di impatto” (outcome indicators) e di “indicatori di risulta-to intermedi”. Si tratta in altri termini di disegnare schemi competitivi nei quali ai soggetti vincitori si chieda di condi-videre un vettore di obiettivi (realistici ma sfidanti), con una adeguata scalettatura temporale, affidando a soggetti terzi indipendenti la verifica del raggiungimento degli obiettivi e condizionando la erogazione dei finanziamenti al progresso nei risultati.

In questo modo si selezionano già ex ante gli operatori migliori, perché solo chi ha maturato un apprendimento sul campo è in grado di stimare il rischio dell’insuccesso e di assumersi l’onere del raggiungimento di obiettivi. La condivi-sione degli obiettivi mitiga anche il rischio morale, che deriva dal fatto che il soggetto finanziato, in assenza di indicatori intermedi, non si ritiene responsabile del raggiungimento del risultato finale. Naturalmente vi è il rischio di una nu-merologia astratta, che crea ostacoli burocratici invece che processi di apprendimento. Ma vi sono opportuni antidoti.

Il Gruppo di lavoro di cui si presenta in questa sede il Quaderno ha esaminato le più innovative esperienze delle Regioni italiane. Sotto il coordinamento di Tito Bianchi e Marco De Maggio i partecipanti hanno poi sviluppato delle griglie di indicatori, controllando accuratamente la coeren-za con i principi generali della costruzione di indicatori di ricerca e innovazione, alla luce della letteratura. In questo percorso hanno collaborato non solo dirigenti regionali ma anche numerosi operatori di soggetti intermediari locali e

16 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

regionali. L’uso di indicatori intermedi richiede professiona-lità più elevate nella amministrazione e può innescare anche per questa via forti elementi di miglioramento.

Ne è emerso uno strumento di lavoro indispensabile a tutte le amministrazioni regionali (mi permetterei di dire, anche nazionali) che vogliano cambiare registro.

Andrea BonaccorsiCoordinatore scientifico del Progetto

17Introduzione

Introduzione1

1. Alla stesura del presente Rapporto, a cura dei coordinatori Tito Bianchi e Marco De Maggio del DPS-MISE, ha collaborato Andrea Filippetti.

L’idea guida del Progetto “Sostegno alle Politiche di Ricerca e Innovazione delle Regioni” muove da due constatazioni: la significativa consistenza delle risorse destinate alle Poli-tiche di Ricerca e Innovazione delle Regioni, che rende le aspettative nazionali e comunitarie relative all’attuazione della programmazione in corso particolarmente ambiziose; ed i numerosi elementi di complessità ed incertezza, legati alle condizioni di bassa prevedibilità, che accompagnano i processi di innovazione, e che espongono la loro attuazio-ne al rischio di ridotta efficacia ai fini dell’incremento della competitività dei territori interessati.

Entrambe le constatazioni trovano piena espressione nelle forme di policy che si sono venute affermando con sempre maggiore forza negli anni più recenti, con il gra-duale spostamento dell’attenzione del decisore pubblico dagli interventi mirati a correggere i fallimenti di mercato (tipicamente attraverso il finanziamento alle attività di Ri-cerca e Innovazione con forme di incentivo alle imprese) alle strategie di di intervento nei fallimenti di sistema, prin-cipalmente attraverso il sostegno alla collaborazione tra gli attori dell’innovazione del territorio (imprese, università, centri di ricerca), ricorrendo anche a forme organizzative

18 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

create ad hoc e spesso con un orizzonte temporale indefinito, che assumono a loro volta il ruolo di entità di policy e di ulteriori agenti dell’innovazione.

È il caso dei Distretti Tecnologici, dei Poli di Inno-vazione, delle Piattaforme tecnologiche, dei Laboratori Pubblico-Privati, forme di “intermediari della conoscenza” (d’ora in poi IC) non nuove nel panorama internazionale, ma che in Italia non hanno ancora consolidato una ade-guata esperienza nell’utilizzo di strumenti di monitorag-gio e valutazione.

È proprio sui Distretti Tecnologici (d’ora in poi DT) e sui Poli di Innovazione (d’ora in poi PI) che si concentra l’atten-zione del presente lavoro. Questi due strumenti di policy, nati con obiettivi diversi, seppur mantenendo alcune differenze significative, hanno finito nel tempo per assomigliarsi. En-trambi gli strumenti sono stati pensati per favorire processi di aggregazione territoriale di attori (imprese, università, centri di ricerca) al fine di favorire l’innovazione, il trasferi-mento di tecnologie, la diffusione di conoscenza, e incidere sulla capacità dei territori di far fronte alla crescente com-petizione internazionale.

Si tratta di strumenti di policy complessi, orientati a in-tegrare a livello territoriale:

– le risorse e i soggetti, pubblici e privati, del sistema dell’innovazione, indirizzandoli verso gli ambiti tecno-logici ritenuti strategici per lo sviluppo del territorio;

– le attività di Ricerca di base, industriale, di trasferimento tecnologico e di formazione di capitale umano qualifi-cato;

– le politiche di attrazione di capitali dall’esterno e di in-sediamento di realtà imprenditoriali research-oriented.

Il recente Programma Nazionale della Ricerca 2011-2013 ri-badisce la centralità strategica di PI e DT tra gli strumenti di policy, e “la necessità dell’integrazione dell’attività di valuta-zione nell’operatività degli strumenti individuati in relazione

19Introduzione

agli obiettivi intermedi e/o annuali, assegnati agli strumenti suddetti” (pag. 36)2.

Ed è proprio questo l’obiettivo del Gruppo di Lavoro 5 (GdL5) “Costruzione di Indicatori di Risultato Intermedi”, che mira a tradurre in strumento operativo la raccomanda-zione alla sperimentazione di forme di policy che adottino il principio della condizionalità.

La griglia di indicatori di risultati intermedi, che il grup-po di lavoro ha costruito in modo condiviso, sulla base di una riflessione guidata, si propone di fornire tanto agli In-termediari della Conoscenza quanto alle Amministrazioni responsabili di queste politiche un menù di opzioni su cui concordare gli obiettivi intermedi da raggiungere e tra cui selezionare gli indicatori utili a monitorarne l’effettivo rag-giungimento, al fine di minimizzare il rischio di fallimento, abbandono e revoca dei progetti cofinanziati.

Il presente documento è suddiviso in 3 parti ed è orga-nizzato come segue.

La prima parte – paragrafi 1, 2, e 3 – comprende la de-scrizione in dettaglio dell’obiettivo del GdL5, e del percorso che ha condotto il gruppo alla definizione della griglia degli indicatori.

Nella seconda parte – paragrafi 4, 5 e 6 – si introducono i concetti di base della tematica. In particolare, nel paragrafo 4 vengono introdotti i requisiti e le caratteristiche degli indica-tori; nei paragrafi 5 e 6 si descrivono i soggetti “intermediari della conoscenza” oggetto di osservazione, i DT e i PI. Per approfondimenti su questi temi si rimanda alla opportuna letteratura tecnica e scientifica, di cui si indica in bibliografia una selezione di riferimenti.

La terza parte contiene una sezione operativa, a cui può fare direttamente riferimento il lettore interessato esclusi-vamente alla consultazione della griglia degli indicatori. Il

2. MIUR, 2011.

20 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

paragrafo 7 illustra la logica per step della costruzione del-la griglia di indicatori per un generico IC e si presenta nel dettaglio la griglia pensata per i DT ed i PI con una guida all’utilizzo.

Il Gruppo di lavoro che si è riunito intorno a questa te-matica, è composto da 63 iscritti, e vede rappresentate le seguenti Regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Pie-monte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto, Provincia Auto-noma di Trento.

Il lavoro ha beneficiato della condivisione di alcune si-gnificative esperienze regionali utili alla individuazione delle problematiche legate alla misurazione della performance degli IC, e al confronto sui metodi per la definizione della griglia di indicatori di risultato intermedi. Si ringraziano in particolare: la Dott.ssa Eva Milella, Amministratore Delegato del Distretto Tecnologico IMAST (Ingegneria dei Materiali polimerici e compositi e STrutture) della Regione Campania; il Dott. Stefano Marastoni, Responsabile dell’Area Politiche per il Trasferimento Tecnologico dell’ARTI (Agenzia Regio-nale per la Tecnologia e l’Innovazione)della Regione Puglia; il Dott. Giovanni Amateis, della Direzione Attività Produt-tive, e il Dott. Daniele Rinaldi, della Direzione Innovazione, Ricerca ed Università, della Regione Piemonte; il Prof Luigi Bignardi, Amministratore Delegato del Distretto Tecnolo-gico It.QSA (Innovazione Tecnologica, Qualità e Sicurezza degli Alimenti ) della Regione Abbruzzo.

Il percorso intrapreso, grazie alla costante ed attiva par-tecipazione dei componenti del gruppo, si è adattato ad un aggiornamento costante degli obiettivi conoscitivi, sulla scorta delle esigenze espresse, dei contributi raccolti e delle differenti prospettive emergenti nell’ambito delle attività del gruppo.

21Introduzione

GlossarioAddizionalità (principio di addizionalità comunitario)

Il principio di addizionalità stabilisce che, per assicurare un reale impatto economico, gli stanziamenti dei Fondi Strutturali non possono sostituirsi alle spese pubbliche dello Stato membro (L’art. 15 del Regolamento CE n.1083/2006).

Centri per l’innovazione e il trasferimento tecnologico

Strutture di natura pubblica, privata o mista, che a fronte della domanda di innovazione delle imprese, mettono a disposizione un set articolato di servizi, tecnologie e conoscenze che costituisce l’offerta di innovazione disponibile (RIDITT, 2005).

Condizionalità Gli aiuti “condizionati” consistono invece in finanziamenti concessi sotto condizione. La condizionalità, definita dal programmatore, ha l’obiettivo di controllare gli incentivi per diffondere una logica di risultato.

Cluster Gruppo di imprese appartenenti ad uno specifico territorio che beneficiano di economie di agglomerazione grazie alla circostanza di condividere input produttivi, processi di produzione, mercato del lavoro, e generali condizioni di contesto.

Distretto tecnologico

Aggregazioni sistemiche a livello territoriale tra istituzioni della ricerca, Universita e sistema delle imprese, guidate da uno specifico organo di governo, per sollecitare la cooperazione e le sinergie nello sviluppo di uno specifico ambito di specializzazione (PNR. p. 36).

Impatto (indicatori di)

Misurano gli effetti aggregati dell’intervento di policy sui destinatari diretti e indiretti.

Industrial Liaison Office

Gli Industrial Liaison Office sono strutture universitarie create con l’obiettivo di– avviare sistematici rapporti con il tessuto economico e

produttivo locale ed in particolare con le PMI, al fine della diffusione dei programmi e dei risultati di ricerca delle Università;

– promuovere idonee forme di cooperazione con il tessuto imprenditoriale al fine della risoluzione delle problematiche correlate anche al trasferimento tecnologico ed al sostegno degli spin-off3.

3. (DM 5 agosto 2004, n.262; vedi anche http://www.ricercaitaliana.it/ilo.htm)

22 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

Intermediari della conoscenza

Strumenti organizzativi e operativi funzionali all’integrazione degli interventi della ricerca (PNR)

Laboratorio pubblico-privato

Strumenti di policy rappresentati da “forti concentrazioni di competenze scientifico-tecnologiche, di alto potenziale innovativo, che si caratterizzino per una organica collaborazione tra imprese industriali e mondo della ricerca pubblica”4.

Output o realizzazione (Indicatori di)

Misurano il livello di realizzazione di un intervento. In genere si esprimono in termini di unità fisiche, occupazionali o finanziarie.

Outcome o risultato (Indicatori di)

Misurano gli effetti auspicati, ma eventuali, riconducibili all’intervento con particolare riferimento per i suoi beneficiari.

Piattaforma tecnologica

Strumenti di policy pensati a livello europeo e nazionale, promuovono la collaborazione fra le Amministrazioni, il Sistema della Ricerca pubblico e privato e le imprese. Esse individuano scenari di sviluppo tecnologico di medio e lungo periodo e le priorità tematiche, e identificano gli strumenti di implementazione; si confrontano con le esperienze analoghe sviluppate a livello comunitario ed internazionale, promuovono la messa in rete e il coordinamento nazionale degli attori della Ricerca, dei distretti ad alta tecnologia e dei poli di eccellenza relativi a tematiche convergenti anche nell’ottica della interdisciplinarietà dell’approccio scientifico.

Polo di innovazione

Aggregazioni territoriali di operatori economici e attori della ricerca, raggruppano e collegano, su una ben definita frontiera tecnologica, le competenze/strutture gestite da una pluralità di istituzioni, incoraggiando l’interazione intensiva, l’uso in comune di installazioni, lo scambio di conoscenze ed esperienze, la messa in rete e la diffusione delle informazioni (PNR p. 36)

4. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 2005. “Decreto Direttoriale 14 marzo 2005 n. 602/Ric”; vedi anche: http://www.ricercai-taliana.it/lab_pubb_priv.htm.

23Introduzione

Programma Nazionale della Ricerca

Il Programma Nazionale della Ricerca (PNR) è il documento programmatico del MIUR, contenente il quadro della situazione del settore della ricerca scientifica e tecnologica italiane, nonché gli indirizzi e le proposte del Governo. Il PNR agisce come componente strutturale di politica economica, puntando sulla progressiva integrazione tra offerta e domanda di ricerca, sulla costruzione di una rete di piattaforme e infrastrutture tecnologiche aperte al contributo e alla partecipazione del sistema produttivo, sull’incremento di redditività degli investimenti in ricerca5.

5. vedi http://www.istruzione.it/web/ricerca/pnr).

25Obiettivi e percorso

1.1. Obiettivi e percorso

1. Obiettivo: la “costruzione di indicatori di risultati intermedi”

Cosa intendiamo per “costruzione” di indicatori di risultati intermedi

La generale finalità di Progetto, di facilitare l’attuazione della programmazione delle Politiche di Ricerca e Innovazione nelle Regioni, si declina per il Gruppo di Lavoro 5 nell’obiettivo di definire una metodologia per la costruzione di indicatori di risultati intermedi in grado di misurare la performance di particolari Intermediari della Conoscenza (IC) che

– svolgono attività di ricerca e innovazione caratterizzate da elevata complessità (e.g. pre-incubazione di nuove im-prese innovative, incubazione e accelerazione, techno-logy audit/assessment di piccole imprese, networking e collaborazione tra ricerca e impresa)1;

1. Le politiche di Ricerca e Innovazione sono per loro natura generalmente caratterizzate da significativi livelli di: a. Incertezza, con particolare ri-ferimento agli esiti e ai ritorni economici degli interventi; b. Orizzonte temporale esteso: i risultati dell’attività di ricerca (spesso intangibili) si manifestano spesso a distanza di molto tempo dall’avvio degli interventi e possono produrre effetti che, a loro volta, si estendono su più anni o di cui non si prevede un termine; c. Complementarietà: i nessi causali fra l’avvio degli interventi delle policy di R&I e i cambiamenti (positivi o negativi) nella condizione dei destinatari target sono in genere particolarmente complessi da cogliere e comprendere: ciò ne rende difficile la misurabilità.

26 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

– si configurano come strumenti di policy la cui attuazione non ha durata circoscritta, e sono rappresentati da orga-nizzazioni, generalmente di tipo pubblico-privato, atti-vate a livello territoriale per la gestione ed integrazione di attività di ricerca e innovazione (DT, PI, Piattaforme tecnologiche, Laboratori Pubblico-Privati)

La messa a punto di questa metodologia risponde alla du-plice esigenza di definire obiettivi intermedi per attività e strumenti di policy, e proporre allo stesso tempo modalità di misurazione del loro raggiungimento, dalla cui applicazione deriverebbero dei benefici apprezzabili in termini di

– apprendimento: tutti i soggetti coinvolti nelle politiche di ricerca e innovazione sono impegnati in processi di ap-prendimento istituzionale (policy learning) e collettivo; in particolare i processi di apprendimento stimolati dalla con-divisione di obiettivi intermedi, nel confronto con obietti-vi finali predeterminati, delle politiche, possono innescare meccanismi virtuosi di revisione delle stesse politiche;

– trasparenza: obiettivi intermedi concordati ed espliciti semplificano la osservabilità delle politiche e potenziano la capacità di monitoraggio da parte dei policy makers in relazione alla loro attuazione;

– efficienza nell’impiego delle risorse pubbliche: la misu-razione della capacità dei soggetti intermediari di rag-giungere obiettivi di breve, medio e lungo periodo è utile a graduare l’erogazione delle risorse finanziarie in proporzione alla effettiva capacità di impiego, e a condi-zionare il supporto pubblico all’effettivo raggiungimento dei risultati attesi.

L’adozione di indicatori intermedi è di fondamentale impor-tanza per implementare il principio di condizionalità: condi-zionare il supporto finanziario al raggiungimento di obiet-tivi condivisi, misurabili attraverso indicatori, delegandone opportunamente l’osservazione a parti terze indipendenti,

27Obiettivi e percorso

permette di passare da politiche che compensano lo sforzo degli attori (effort-based) a politiche che premiano il risultato (outcome-based).

Non è infatti più sufficiente limitarsi ad apprezzare lo sforzo progettuale degli attori coinvolti nella policy: occorre porre maggiore attenzione agli aspetti dell’implementazione degli strumenti attuativi, valorizzando l’output conseguente all’intervento. Le politiche devono essere sempre più orientate al risultato e dotarsi degli strumenti necessari a riconfermare il sostegno alle sole iniziative che hanno dimostrato le mi-gliori performance.

In questa prospettiva, si è ritenuto opportuno, invece che predisporre indicatori isolati, proporre un percorso meto-dologico per la progettazione di schemi/griglie di indicatori, i quali potrebbero accrescere l’efficacia dei meccanismi di condizionalità che legano l’impiego delle risorse in campo con la capacità di ottenimento dei risultati annunciati.

In fase preliminare, alla luce delle finalità indicate, e in considerazione della eterogeneità dei destinatari, i com-ponenti del gruppo di lavoro hanno definito i principi generali cui ispirarsi nella costruzione della griglia di in-dicatori:

– Comprensibilità, – Semplificazione amministrativa, – Facilità di raccolta delle informazioni, – Affidabilità ai fini del finanziamento pubblico delle ini-

ziative, – Indipendenza e autonomia nella produzione dei dati;

e si sono riservati di condurre una riflessione sulle pos-sibili forme di accompagnamento dei soggetti beneficiari verso il raggiungimento dei risultati previsti, attraverso il supporto di esperti esterni indipendenti che svolgano attività di valutazione in itinere dei progetti. Prevedere

28 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

simili forme di tutoraggio esterno sarebbe particolarmen-te utile per progetti di ricerca piuttosto complessi la cui realizzazione è prevista in prevista in periodi pluriennali, attraverso la successione di diversi programmi di attività.

2. L’articolazione del percorso

L’idea di assistere le amministrazioni nella identificazione di indicatori, che consentano di verificare in corso d’opera l’efficienza e la performance delle numerose e differenti tipo-logie di IC, sconta una generale difficoltà legata alla marcata eterogeneità che caratterizza le istituzioni e le organizzazioni appartenenti a questa ampia categoria. Non è facile pensare ad una batteria unica di indicatori avente carattere di gene-ralità.

Le stesse espressioni, Distretto Tecnologico, Polo di In-novazione, Parco Scientifico, Laboratorio Pubblico-Privato, utilizzate dalle politiche per la ricerca, non corrispondono sempre ad altrettante distinte forme di collaborazione tra imprese ed enti di ricerca o diffusione delle tecnologie, e fra questi e gli enti pubblici che li sostengono. Occorre anche studiare accuratamente una modalità per la rilevazione delle informazioni di base per il calcolo di questi indicatori, che ne assicuri l’affidabilità e l’imparzialità. Nell’articolare il per-corso di lavoro si è tenuto conto delle esigenze informative emergenti all’interno del gruppo.

A tale proposito sono state approfondite, in ordine, le problematiche legate agli indicatori, con particolare rife-rimento alla loro natura, ai requisiti ed ai rischi di mani-polazione; allo stesso modo si è avvertita l’esigenza di una ricostruzione delle principiali forme organizzative assunte da entità di policy oggetto di analisi - gli IC - che andasse al di là delle denominazioni che adottano, ma che corrispondesse alle loro caratteristiche sostanziali.

29Obiettivi e percorso

Figura 1 - L’articolazione del percorso

Si è in ultimo proceduto alla definizione di una modalità di costruzione della griglia di indicatori di risultato intermedi, come un menù di soluzioni tra cui selezionare un set di indicatori appropriato per misurare la performance degli IC in funzione dei loro specifici obiettivi e caratteristiche.

Secondo l’impostazione seguita, la qualità della batteria di indicatori scelta non può giudicarsi in astratto, ma è fun-zione del livello di condivisione e negoziazione di obiettivi tra policy maker, beneficiari, enti gestori di tali organizza-zioni.

Il lavoro del gruppo è stato organizzato per assicurare un processo di apprendimento graduale degli strumenti meto-dologici utili al conseguimento degli obiettivi prefissati. Le riunioni di lavoro sono state quindi programmate intorno alla sequenza di temi sotto indicata

– lo strumento di analisi: gli indicatori intermedi – l’oggetto dell’analisi: gli IC

30 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

– il metodo: una riflessione guidata alla costruzione della griglia di indicatori di risultato intermedi

per i quali si rimanda ai paragrafi successivi del presente Rapporto.

31Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza

2.2. Gli indicatori e gli intermediari

della conoscenza

1. Lo strumento di analisi: gli indicatori intermedi

L’utilizzo degli indicatori come strumento di supporto all’at-tività di valutazione ha avuto negli ultimi anni un interesse crescente, di pari passo con lo spostamento dell’attenzione ai risultati (outcome) nell’attività di valutazione delle politiche. In un recente Report “Outcome Indicators and Targets – To-wards a Performance Oriented EU Cohesion Policy”1 si legge: “il punto di partenza di una approccio orientato ai risultati è la fissazione ex-ante di indicatori di risultato chiari e misura-bili”. La scelta degli indicatori per misurare i risultati gioca un ruolo centrale.

L’Italia ha affinato questi strumenti a partire dagli anni ’90, soprattutto nella strategia di sviluppo per il Sud. Una serie di indicatori territoriali sono stati predisposti all’in-terno del Quadro Comunitario di Sostegno 2000-2006 per la valutazione delle politiche. Per un approfondimento sul tema degli indicatori (logica, metodologia, e prassi) rimandiamo ai riferimenti in nota2.

1. Barca e McCann, 2011.2. Per l’esperienza italiana si veda: Barca et al. 2011; Marchesi at al. 2011;

Rinaldi e Fiorentini, 2007. A livello di istituzioni europee si veda: Barca e McCann, 2011; Commissione Europea, 2007. Per la metodologia sulla costruzione di indicatori sintetici si veda: http://composite-indicators.jrc.ec.europa.eu/; Commissione Europea, 2011; Archibugi et al. 2009; OECD, 2008. Per un testo metodologico si veda Lippi, 2007.

32 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

Di seguito, in breve, alcune considerazioni sugli indica-tori utili per la comprensione del documento.

A. Per garantire la verificabilità dei risultati occorre de-finire obiettivi chiariPer garantire la verificabilità dei risultati, nel corso della

progettazione di un intervento di ricerca e innovazione è di fondamentale importanza definire in modo esplicito e con assoluta precisione gli obiettivi generali della policy. Spesso le politiche pubbliche non definiscono con sufficiente chiarezza gli obiettivi (intermedi, generali, specifici) che si propongono di ottenere, ed la loro vaga definizione rende difficile verificarne l’effettivo raggiungimento ed evidenziarne eventuali conflitti. Come già sottolineato (Bonaccorsi, 2009), “è necessario che i bandi siano scritti in modo da veicolare un messaggio chiaro. In particolare, devono essere esplicitate in maniera trasparente le finalità, gli obiettivi e le regole connesse. Occorre premettere ad ogni bando un articolo 1 scritto con grande accuratezza” (p. 111).

Inoltre la policy deve stabilire in modo esplicito, fin dall’inizio, un chiaro orizzonte temporale degli interventi e di conseguenza di realizzazione degli obiettivi.

Una chiara definizione degli obiettivi si può conseguire attraverso:a. un’articolazione gerarchica degli obiettivi, che nel caso

delle politiche di ricerca e innovazione può essere rap-presentata a titolo esemplificativo secondo la sequenza– visione (e.g. “Regione 2020: verso un nuovo modello

di sviluppo”);– obiettivi generali (e.g. “aumentare il peso dei settori

innovativi sull’economia della regione”);– obiettivi specifici (e.g. “aumentare il numero e la qua-

lità delle nuove iniziative imprenditoriali nei settori ad alta tecnologia”);

33Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza

– sotto-obiettivi (e.g. “aumentare l’offerta di capitale di rischio”, “razionalizzare le strutture di incubazione”, “valorizzare la ricerca delle università” etc.);

b. la definizione di un congruo orizzonte temporale di rag-giungimento degli obiettivi;

c. la verifica ex ante di interdipendenze e conflitti tra obiet-tivi.

B. La costruzione di indicatori adeguati è una questione di metodoSotto l’aspetto operativo la definizione di indicatori pone

diverse questioni metodologiche.Innaznzitutto è necessario considerare il rischio di una

possibile “manipolazione”, sia da parte di chi li propone, sia di chi è chiamato ad applicarli. In secondo luogo, oc-corre verificare il possesso di determinate proprietà che ne legittimino sia la condivisione all’interno del sistema dei soggetti interessati, sia l’applicazione nel contesto di riferi-mento. Inoltre è utile tener presente che non ogni sistema di rilevazione sintetica delle informazioni si può definire tecnicamente “indicatore”.

Nella misurazione dei fenomeni si possono distinguere tre insiemi di strumenti di rilevazione sintetica delle in-formazioni:– Descrittori: sono elementi che descrivono alcuni aspetti

della realtà senza aggiungere elementi di interpretazione. Possono essere soggetti a problemi tecnici e di misu-razione (es. errori) ma in generale non sono soggetti a problemi rilevanti di interpretazione.

– Marcatori: sono elementi utilizzati come approssima-zione di fenomeni che non possono essere misurati di-rettamente.

34 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

– Indicatori: sono costrutti che definiscono esplicitamente la relazione tra informazione quantitativa e proprietà non osservabili. Gli indicatori richiedono il riferimento ad un elemento di confronto (benchmark) o ad una sca-la. Infine sono soggetti a processi continui di validazione e confronto con altri elementi di descrizione della realtà.

In generale, nella costruzione di indicatori occorre far ri-ferimento ad un set di requisiti che essi devono possedere per essere considerati indicatori di qualità; ci riferiamo in particolare a:

– Semplicità – Facilità di comunicazione – Condivisione nel sistema degli attori – Stabilità nel tempo – Robustezza – Natura sistemica

Con riferimento all’obiettivo del gruppo di lavoro, per la definizione di indicatori intermedi specifici per gli IC devono essere necessariamente prese in considerazione le seguenti dimensioni: Attori - Attività - Legami tra attori (indicatori relazionali), con riferimento all’oggetto dell’analisi; Output (realizzazione) - Outcome (risultato) - Impatto, con riferi-mento alla prospettiva di analisi, essendo queste 3 tipologie intese come una gerarchia di effetti delle politiche.

35Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza

Figura 2- Indicatori intermedi per gli IC: sei dimensioni

Fonte: ns. adattamento da Ufficio di Statistica del Canada (Canada Statistics)

Infine, nell’utilizzo di indicatori è utile ricordare che: – nessun indicatore è obiettivo: riflette inevitabilmente un

modello concettuale (anche implicito); – nessun indicatore è neutrale: può influenzare il compor-

tamento degli attori sociali; – ogni indicatore ha associato il suo “gioco strategico”: gli at-

tori sociali adattano i comportamenti allo scopo di trarre vantaggio dall’utilizzo degli indicatori;

– sono possibili effetti inattesi ed anche effetti perversi.

Per tali motivi gli indicatori devono essere periodicamente soggetti a revisione e aggiornamento.

Di seguito riportiamo un esempio di tipologie di indicatori per l’innovazione tratto da un Documento di Programmazio-

36 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

ne della Regione Piemonte3. Vedremo come, per lo scopo del presente lavoro, non saranno utilizzati indicatori di impatto.

Tabella 1 – Tipologie di indicatori di innovazione

Indicatori di impatto

• Produttività delle PMI• Bilancia dei pagamenti tecnologica• Esportazioni specializzate e hi-tech nette• Quota di esportazioni tecnologiche• Quota sul totale delle Forze Lavoro della occupazione

nel settore manifatturiero ad alta e medio-alta tecnologia• Quota sul totale delle Forze Lavoro della occupazione nel

settore dei servizi ad alta e medio-alta tecnologia• Capacità innovativa della PA, delle Università e delle

Imprese (spesa per attività di ricerca in% del PIL)

Indicatori di risultato

• Produttività innovativa dei progetti (domande di brevetto sul totale di progetti di ricerca)• Incidenza delle imprese innovatrici• Intensità brevettuale• Incidenza delle imprese che hanno introdotto innovazioni di prodotti e/o di processo• Competitività, tasso di incremento del fatturato delle

imprese che hanno introdotto innovazioni in seguito al POR• Quoziente di addetti alla Ricerca e Sviluppo• Capacità brevettuale, brevetti ad alta tecnologia depositati all’EPO per milione di abitanti

Indicatori di

realizzazione

• Numero di programmi di RST condivisi tra PMI, altri soggetti imprenditoriali e istituti di ricerca• Posti di lavoro creati nell’ambito dei progetti di ricerca finanziati dal Programma• Numero di interventi di sostegno relativi ai poli di innovazione finanziati• Numero di progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale presentati da PMI• Posti di lavoro creati nell’ambito dei progetti di sviluppo

innovativo delle PMI finanziati dal Programma• Numero di progetti di R&S industriale e sperimentale

presentati dalle PMI per lo sviluppo di dispositivi ecoinnovativi

Fonte: ns. adattamento da Rinaldi e Fiorentini, 2007

3. Rinaldi e Fiorentini (2007).

37Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza

Per facilitare la costante rilevazione di informazioni at-traverso l’applicazione degli indicatori, e valutare l’esigenza o l’opportunità di una loro revisione, l’amministrazione re-sponsabile dovrebbe anche dotarsi di adeguati strumenti in-formatici (cosiddetti “cruscotti”), consultabili sia dall’interno che dall’esterno, in grado di mettere in evidenza lo stato e le evoluzioni dei principali indicatori, e di produrre una repor-tistica sintetica sulla performance delle policy monitorate.

Box 1 - Un utile eserizio

Un utile esercizio

Nella costruzione degli indicatori è di fondamentale impor-tanza garantire che sia rispettata la coerenza fra ciò che gli indicatori intendono misurare e l’obiettivo del policy maker.Dal momento che è difficilmente eliminabile il rischio di possibili manipolazioni opportunistiche tanto nella loro costruzione quanto nella loro applicazione, è utile esercitarsi a riconoscere tali rischi nella progettazione del sistema degli indicatori.Nell’ambito delle attività del gruppo di lavoro 5 è stato proposto ai partecipanti dia. ipotizzare un caso di valutazione reale di un interme-

diario della conoscenza;b. scegliere uno o più indicatori ritenuti utili alla misurazio-

ne del raggiungimento di altrettanti obiettivi intermedi;c. indicare per ciascun indicatore la logica dell’intervento

che si intende analizzare, i rischi e gli effetti indesiderati da tenere sotto controllo, la procedura per la raccolta delle informazioni utili all’applicazione dell’indicatore, secondo lo schema che segue:

Indicatore Logica dell’intervento

Rischi ed effetti indesiderati

da tenere sotto controllo

Procedura ed aspetti

metodologici

38 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

2. L’oggetto dell’analisi: gli Intermediari della Conoscenza

Per spiegare il ruolo degli IC si ricorre generalmente a due filoni di ricerca, riconducibili alle teorie dello sviluppo locale e dell’innovazione.

Il primo si riferisce alle cosidette “economie di agglome-razione”. Si definisce cluster un gruppo di imprese localiz-zate in un determinato territorio che traggono vantaggio dalla circostanza di condividere input produttivi, processi di produzione, e mercato del lavoro. All’inizio del XX se-colo l’economista inglese Alfred Marshall sosteneva che l’importanza dei cluster per lo sviluppo di un territorio derivasse dalla compresenza di una serie di attori collegati nel processo di produzione e scambio. Negli anni ’80, Mi-chael Porter riconduceva il vantaggio competitivo di una nazione alla specializzazione spaziale, ossia alla presenza di particolari cluster di imprese. Questo concetto ha avuto una continua evoluzione, arricchendosi di significati sempre più ampi, e declinandosi in modo differente nella definzione di varie forme organizzative su scala territoriale, come i Di-stretti Industriali in Italia, o i Poli di Crescita e Competitività in Francia4.

Il secondo filone a cui ricondurre il ruolo degli IC si ri-trova nella letteratura sull’innovazione. La natura sistemica dell’attività innovativa è stata declinata dapprima nei Sistemi Nazionali di Innovazione5 e più di recente nei Sistemi Regio-nali di Innovazione6. La teoria che ne è alla base evidenzia l’importanza dell’interazione tra attori locali nell’attività in-novativa, includendo imprese, centri di ricerca, associazioni intermedie e istituzioni locali.

4. Becattini, 2000; Perroux, 1955.5. Lundvall, 1992; Nelson, 1993.6. Vedi Iammarino e McCann, 2006; Cooke, 2001; Howells, 1999; Evange-

lista, 2007.

39Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza

All’interno del quadro complesso tracciato dai due ap-procci, è emersa un’ampia categoria di entità strumentali di policy che possono essere generalmente definite come IC, classificate in modo diverso a seconda della loro funzione specifica.

In alcuni casi si è posto in evidenza, come funzione ca-ratterizzante l’attività degli IC, il trasferimento tecnologico, che interessa piccole e grandi imprese, ma anche attori della ricerca, come parte di iniziative di policy, con compiti di: identificazione dei partner; identificazione della tecnolo-gia; scelta dei fornitori; servizi di assistenza di natura con-trattuale. In altri casi è stato posto in evidenza il ruolo di intermediazione, o di bridging institution. In questo senso gli IC si pongono come organizzazioni che supportano e trasformano le relazioni tra attori eterogenei del territorio in reti o sistemi di innovazione. Tale funzione è stata ribadita nell’attuale PNR2011-2013, con riferimento sia ai PI che ai DT. Per quanto riguarda i primi, si esplicita che i poli “raggrup-pano e collegano, su una ben definita frontiera tecnologica, le competenze/strutture gestite da una pluralità di istituzioni, incoraggiando l’interazione intensiva, l’uso in comune di in-stallazioni, lo scambio di conoscenze ed esperienze, la messa in rete e la diffusione delle informazioni” 7. Per quanto riguarda i DT, il PNR rimarca l’obiettivo degli stessi di svolgere il ruolo di coordinatori di imprese, istituzioni, e infrastrutture in un luogo fisico ad elevata contiguità.

Nell’attività del gruppo di lavoro non è stata tracciata una tassonomia esaustiva delle categorie di soggetti/enti/inter-venti, che si è preferito indicare con l’espressione “IC”; ma si è scelto di prestare particolare attenzione alla categoria cui fa riferimento il Programma Nazionale della Ricerca 2011-2013 con il titolo di “strumenti organizzativi e operativi funzionali all’integrazione degli interventi della ricerca”.

7. MIUR, 2011, pag. 37.

40 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

Questi strumenti sono indicati come la risposta all’esigen-za di far fronte alla principale debolezza del sistema dell’in-novazione, a livello non solo nazionale, ovvero la difficoltà di creare stretti rapporti di collaborazione e di co-creazione di conoscenza tra attori della Ricerca e mondo industriale, obiettivo divenuto prioritario in seguito alla constatazione che “il processo classico, nel quale l’innovazione deriva in modo lineare e sequenziale dalle attività di Ricerca e Sviluppo, non è più attuale. L’attività di Ricerca (e Sviluppo), infatti, anche a li-velli di eccellenza, non è in sé sufficiente a garantire la diffusione dell’innovazione nel sistema economico e sociale. L’innovazione scaturisce da un approccio di tipo imprenditoriale, dall’incontro di più competenze, dall’interazione tra imprese, mondo della Ricerca e istituzioni. Un approccio che si realizza in un’ottica di sistema, con una organizzazione o una rete in grado di sup-portare i processi di innovazione e trasferimento tecnologico e al tempo stesso di garantire il migliore impiego delle risorse. Le politiche per il sostegno della Ricerca e dell’innovazione in Italia, e in particolare il precedente PNR, hanno dato vita a una serie di strumenti ed esperienze volti a integrare e promuovere i tre fattori chiave del processo innovativo relativi alla generazione, diffusione e valorizzazione della conoscenza”8.

Nello stesso documento, tali strumenti sono stati sud-divisi in tre classi, Distretti ad Alta tecnologia (o DT), Poli di Eccellenza (o PI), Piattaforme Tecnologiche Nazionali, rappre-sentative degli strumenti di maggior rilievo per le politiche di R&I di questa programmazione.

Anche se le attività del GDL 5 guardano con particola-re interesse ai primi due strumenti (DT e PI), l’esigenza di cogliere le differenze tra le varie categorie di IC ha stimola-to la definizione di un metodo analitico che ne facilitasse la classificazione, identificandoli e distinguendoli attraverso un esercizio di “posizionamento”.

8. MIUR, 2011.

41Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza

Per elaborare un framework semplice di posizionamento degli IC sono state individuate alcune dimensioni descrit-tive dell’IC riferite tanto a caratteristiche strutturali degli IC, (e.g. stabilità nel tempo dell’intermediario, natura della partecipazione dei soggetti aggregati), quanto alle attività (e.g. natura dell’attività prevalente, presenza o assenza di un focus settoriale). Senza pretesa di completezza, l’esercizio è servito a stimolare la riflessione sull’eterogeneità degli IC.

La rappresentazione grafica che segue può agevolmente chiarire l’approccio:

Figura 3 - Framework concettuale di posizionamento degli Intermediari della Conoscenza

Occorre notare che, mentre alcune di queste dimensioni possono essere utilizzate come criteri di scelta degli indica-tori più adatti allo specifico intermediario, perché coerenti con le sue caratteristiche, in altri casi ciò non è possibile.

42 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

Figura 4 - Dimensioni e indicatori

Ad esempio, la dimensione “attività-obiettivo” ben si presta a fornire un criterio di scelta degli indicatori di monito-raggio della performance più opportuni a seconda della posizione assunta dallo specifico intermediario oggetto dell’analisi. Nell’esempio grafico (figura 4) si rappresenta un caso in cui è possibile che l’intermediario della cono-scenza – in quanto strumento di policy – sia indirizzato verso un’attività prevalente di ricerca e innovazione, op-pure di trasferimento tecnologico e servizi di assistenza alle imprese; alternative che si pongono agli estremi di un continuum di infinite combinazioni tra le attività indicate, ma da cui discendono differenti modalità di misurazione della loro performance.

Un framework semplice come quello descritto può guida-re una prima riflessione verso la produzione di una tassono-mia di tipologie di IC; la costruzione di un set di indicatori che possono misurare caratteristiche reali dei diversi inter-mediari; e la rilevazione di possibili associazioni fra tipologie di intermediari e indicatori ad esse più appropriati.

43Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza

3. I Distretti Tecnologici e i Poli di Innovazione

3.1 I Distretti Tecnologici (DT)

I DT hanno assunto in anni recenti una posizione di parti-colare centralità strategica nell’ambito delle politiche per la ricerca e l’innovazione.

Intesi come strumenti di politica industriale, sono stati adottati in Italia a partire dal 2004, in risposta all’impatto del processo di globalizzazione su molte specializzazioni manifatturiere dell’economia nazionale, e con il supporto delle risorse finanziarie ad hoc destinate dal CIPE a valere sul Fondo Aree Sottoutilizzate del MEF. Nel “Programma Nazionale della Ricerca 2005-2007”9 si trova un riferimento per una “definizione della strategia generale per la creazione di DT regionali e istituzione dei primi DT di interesse regionale di Torino, Napoli, Padova, Modena, Milano, Catania, Roma” (pag. 11)10.

Il DT nasce come risposta alla necessità di maggiore inte-grazione tra i soggetti della ricerca e innovazione in un terri-torio, in una prospettiva che trova un indiscusso riferimento in letteratura nell’approccio della Teoria della Tripla Elica11. Sempre nel PNR 2005-2007 si legge che “la priorità più rile-vante per una politica dei DT in Italia, è quella di accelerare la collaborazione tra diversi soggetti istituzionali nell’ambito di una forte collaborazione pubblico-privato, sorretta da un processo di intesa istituzionale tra amministrazioni centrali, regionali e locali”. Altrettanto esplicito l’altro obiettivo “di promuovere e di stimolare un processo competitivo tra regioni

9. Si vedano anche l’art. 56 della Legge Finanziaria 2003-2005, e il D.P.C.M. 7 Aprile 2003.

10. Per una panoramica dei Distretti Tecnologici in Italia ed una bibliografia dedicata è possibile consultare il sito http://www.distretti-tecnologici.it/home.htm.

11. Per un approfondimento sull’approccio teorico, si veda Etzkowitz, H., Leydesdorff, l., (2000)

44 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

per creare in numerose aree del Paese poli di ricerca e di inno-vazione di eccellenza a livello internazionale con la finalità di accelerare il processo di trasferimento tecnologico e lo sviluppo di progetti condivisi tra i vari attori del sistema scientifico e dell’innovazione italiano” (pag. 41).

Emergono quindi già prima del 2005 i tre obiettivi ca-ratteristici dei DT, che possono riassumersi in:a. integrazione degli attori pubblico e privato, incluse le isti-

tuzioni, in una visione sistemica dell’attività di ricerca e innovazione (vedi ad esempio i riferimenti alla letteratura sui sistemi regionali si innovazione)12;

b. trasferimento tecnologico;c. inserimento dei sistemi di innovazione locale nei circuiti

della conoscenza globali, in un’ottica glocal13.

Come sottolineato da Bonaccorsi e Nesci14, i DT non sono organismi di ricerca, e quindi soggetti dotati di infrastrutture, laboratori e ricercatori; al contrario, devono essere intesi co-me mediatori del rapporto pubblico-privato nell’esecuzione di progetti di ricerca; come broker, soggetti di interfaccia che riducono la distanza tra organismi di ricerca, imprese e istituzioni (bridging the gap).

Diversamente dagli incentivi per ricerca, oppure dagli incentivi diretti alle imprese per attività di innovazione, la politica di sostegno ai DT rientra nella politica industriale. Pertanto, il conseguimento degli specifici obiettivi di policy è difficilmente misurabile sulla base della sola produzione di brevetti e di pubblicazioni scientifiche.

Lo strumento DT ha una ben definita dimensione ter-ritoriale, che vede nel territorio non il mercato di approv-vigionamento delle risorse produttive o di riferimento dei prodotti delle imprese aggregate; ma il perimetro del mercato

12. Vedi nota n. 12.13. Bathelt et al., 2004; OECD, 2011.14. Bonaccorsi e Nesci, 2006.

45Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza

del lavoro cui attingere le competenze necessarie alle proprie attività, e lo spazio delle ricadute economiche e sociali della propria missione. La dimensione territoriale di questo stru-mento richiede dunque la valutazione degli effetti sul terri-torio, ad esempio in termini di collaborazioni tra industria e università, nascita di nuove imprese, attrazione di capitali esteri. Inoltre, esiste una chiara aspettativa in ordine alla cre-azione di “capitale sociale”, espresso in termini sia di densità e qualità di relazioni, che di pervasività dell’“atmosfera” col-laborativa, produttiva e di tensione all’innovazione basata sulla fiducia15.

Il Programma Nazionale della Ricerca 2011-2013 pone nuova enfasi sul ruolo dei DT, definiti come “Distretti ad alta tecnologia”, nell’ambito dell’integrazione tra ricerca pubblica e privata, nonché dell’internazionalizzazione (pag. 8). Anche in questo caso si tende ad operare una distinzione tra ricerca knowledge driven che si svolge nelle università e nei centri di ricerca, e il ruolo dei DT. Questi ultimi ri-entrano, assieme alle “Piattaforme tecnologiche nazionali” e ai “Poli di eccellenza nazionale”, tra gli strumenti volti a promuovere i tre fattori chiave del processo innovativo relativi alla generazione, diffusione e valorizzazione della conoscenza16.

A conferma di una maturata consapevolezza della na-tura dello strumento, nel PNR 2011-2013, si definisce anche il significato della “specializzazione” del DT, chiarendo che

15. Per un recente contributo sul capitale sociale anche in relazione al Mez-zogiorno vedi De Blasio e Sestito, 2011.

16. Di seguito si esplicita anche l’obiettivo di questi strumenti: “L’obiettivo di questi strumenti è, quindi, di generare un sistema che permetta di inte-grare, anche a livello territoriale e con riferimento agli ambiti tecnologici prioritari, tutte le risorse e tutti i soggetti, pubblici e privati, sviluppando in modo integrato le attività di Ricerca fondamentale, industriale, di trasferimento tecnologico e di formazione del capitale umano, assicu-rando al contempo il raggiungimento di una massa critica e di livelli di eccellenza nazionale e internazionale” (PNR 2011-13, pag. 35).

46 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

l’ambito specifico di specializzazione debba rientrare tra le tecnologie chiave abilitanti, e non invece tra i settori di spe-cializzazione produttiva che avevano caratterizzato i Distretti Industriali.

Nel corso dell’attività del gruppo di lavoro, le testimo-nianze relative a differenti Agenzia Regionale per la Tecno-logia e l’Innovazione (ARTI)17 della Regione Puglia, hanno rappresentato contribuiti significativi alla progettazione della griglia di indicatori contenuta nel presente documento.

3.2 I Poli di Innovazione (PI)

Come per i DT, il PNR 2011-2013 individua i PI - definiti Poli di Eccellenza - tra gli strumenti organizzativi ed operativi funzionali all’integrazione degli interventi della Ricerca in ambito nazionale e internazionale. Vale la pena riportare per intero la descrizione fornita nel PNR (pag. 37)18:

I Poli di eccellenza raggruppano e collegano, su una ben definita frontiera tecnologica, le competenze/strutture gestite da una pluralità di istituzioni, incoraggiando l’interazione intensiva, l’uso in comune di installazioni, lo scambio di co-noscenze ed esperienze, la messa in rete e la diffusione delle informazioni. Essi sono coordinati da un consorzio di imprese, Università, Enti di Ricerca e altri soggetti pubblici e privati e affrontano tecnologie che diventano sempre più complesse e interdisciplinari. Spesso, tale interdisciplinarità trova la sua

17. L’Agenzia ARTI della Regione Puglia ha condotto nel periodo 2010-11, su mandato della Regione, un’attività di monitoraggio dei Distretti Tec-nologici presenti sul territorio regionale. L’analisi realizzata, un’esperien-za inedita di valutazione comparativa dei DT di una Regione dell’area Obiettivo Convergenza, è stata messa a disposizione del gruppo di lavoro nella sua versione preliminare; ed ha rappresentato una base essenziale per l’approfondimento sulle problematiche e le soluzioni collegate alla costruzione di indicatori per la misurazione della performance dei DT. Cfr. ARTI (2011).

18. MIUR, 2011.

47Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza

massima espressione in alcuni settori della Ricerca pubblica, mentre il settore industriale, per diverse ragioni può trovarsi in evidente difficoltà. Per favorire la Ricerca tramite collabo-razioni pubblico-privato e rafforzare ulteriormente il trasfe-rimento tecnologico, le attività dimostrative e la formazione, i centri di eccellenza devono, perciò, essere mantenuti aperti alle industrie, ma sviluppare collegamenti nazionali e inter-nazionali basati sulle competenze scientifiche e collegarsi a presenze industriali di dimensioni e qualità tali da potersi configurare come propulsori della Ricerca applicata e dello svi-luppo industriale. Dal punto di vista organizzativo, ricalcano in struttura e organizzazione i distretti ad alta tecnologia ai quali si rimanda per la definizione dei contenuti dell’azione e delle forme di sostegno pubblico.

La descrizione dello strumento, oltre ad esprimere una prospettiva più attenta ai settori industriali, fa riferimento anche agli elementi utili alla valutazione dei PI, che indica in termini di pubblicazioni, brevetti, spin-off, collaborazioni e reti internazionali acquisite, personale di qualità interna-zionale attratto.

Sebbene abbiano avuto un riconoscimento ed una sistema-tizzazione nel recente PNR, le politiche a sostegno dei PI sono state avviate già da qualche anno in Italia. L’esempio concreto di PI creati in una regione italiana, come nel caso del Piemon-te dove ad oggi esiste un sistema di 12 PI in fase di ulteriore espansione, può essere utile a chiarirne strategia ed obiettivi19.

I Poli di Innovazione in Piemonte

Nel caso del Piemonte, una delle regioni italiane in cui la politica dei PI ha avuto la sua espressione più significativa, è interessante vedere come la normativa regionale abbia

19. Consultabili al sito http://www.regione.piemonte.it/innovazione/poli-di-innovazione.html.

48 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

configurato questi strumenti di policy, rendendone ampia e complessa la missione.Nel 2008 la Giunta della Regione Piemonte ha identi-ficato alcuni domini tecnologici e una o più aree terri-toriali di riferimento nei diversi settori. Ha proceduto con l’identificare i soggetti gestori dei Poli, attraverso un bando per la costituzione, l’ampliamento e il fun-zionamento dei PI, aperto a settembre 2008 e concluso a novembre 2008. In questa fase i soggetti candidati a diventare soggetti gestori hanno presentato un dossier di candidatura contenente anche una prima compagine di potenziali soggetti aggregati e una proposta di piano di attività del polo.I poli sono stati definiti “strutture di coordinamento siner-gico tra i diversi attori del processo innovativo caratteristico di uno specifico dominio tecnologico e applicativo e di messa a disposizione di servizi ad alto valore aggiunto e di infra-strutture per l’innovazione”20.Di seguito si elencano gli obiettivi primari:– recepire e interpretare le esigenze tecnologiche delle im-

prese, con lo scopo di indirizzare, su specifici problemi tecnologici rilevanti, le azioni regionali di sostegno alla ricerca e all’innovazione;

– favorire la condivisione della conoscenza e la conver-genza degli investimenti su nuove traiettorie di svilup-po di prodotti o servizi innovativi, nonché contribuire al trasferimento intersettoriale di conoscenza tecno-logica;

– favorire l’investimento e l’utilizzo in comune di instal-lazioni, attrezzature di laboratorio ed in generale infra-strutture di ricerca, sperimentazione, prova e certifica-zione nonché asset innovativi intangibili;

20 Deliberazione della Giunta Regionale 5 maggio 2008, n. 25-8735.

49Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza

– favorire la mobilità del capitale umano tra imprese o tra sistema della ricerca ed imprese, nonché l’attrazione di risorse umane particolarmente qualificate;

– favorire la partecipazione delle imprese alle comunità ed alle reti internazionali di ricerca scientifica ed indu-striale più avanzate nello specifico dominio tecnologico applicativo;

– favorire l’accesso delle imprese, in particolare le piccole e medie, alle fonti della conoscenza scientifica e tecno-logica di interesse industriale;

– mettere a disposizione servizi specialistici ad alto valore aggiunto atti a promuovere e favorire l’appropriazione del valore dell’innovazione da parte delle imprese ap-partenenti al polo;

– favorire l’accesso delle piccole e medie imprese appar-tenenti al polo alle risorse comunitarie nel campo della ricerca, sviluppo ed innovazione;

– recepire e interpretare le esigenze formative delle im-prese, con l’obiettivo di migliorare le competenze tec-nologiche e manageriali delle imprese associate al polo, indirizzando su specifici fabbisogni le azioni di sostegno regionale;

– favorire lo sviluppo di nuova imprenditorialità, anche attraverso l’utilizzo di soggetti e strutture specializzati nell’attività di incubazione;

– favorire i processi di internazionalizzazione delle impre-se associate al polo, anche attraverso azioni collettive di promozione e marketing di prodotto;

– favorire l’attrazione di investimenti produttivi sul ter-ritorio regionale, in relazione alle specifiche tematiche di interesse dei poli.

In una delibera successiva5 si esplicitano i contenuti dei servizi all’innovazione:

50 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

• servizi relativi ai brevetti ed agli altri diritti di proprietà industriale (consulenza specialistica per la concessione, il riconoscimento e la difesa del diritto);

• servizi di consulenza in materia di innovazione (con-sulenza gestionale, finanziaria, assistenza tecnologica, consulenza in tema di commercializzazione dei diritti di proprietà intellettuale e di accordi di licenza, consulenza sull’uso delle norme);• servizi di supporto all’innovazione (ricerche di mercato, foresight tecnologico, accesso alla rete estesa della cono-scenza mediante azioni di brokeraggio tecnologico con-dotte a livello globale, mediante azioni di problem solving cooperativo, etichettatura di qualità, test e certificazione).

3.3 DT e PI: analogie e differenze

Come già anticipato, pur nascendo distinti per obiettivi, specializzazione e modalità di implementazione, DT e PI rappresentano oggi linee di intervento assimilabili sotto più punti di vista, avendo nel tempo perso di significatività al-cune delle differenze iniziali che marcavano la morfologia e la strategia dei due strumenti.

È il caso della dimensione “internazionale”, elemento ca-ratterizzante dei DT, coerentemente con il paradigma “glo-cal” cui si sipirano, riconosciuta col passare del tempo anche ai PI, come è evidente dalla lista di obiettivi sopra riportata relativamente al Bando della Regione Piemonte.

L’enfasi dei PI sulle tecnologie digitali trova nella realtà una traduzione meno rigorosa che nella teoria, essendo stati creati e sostenuti PI basati su tecnologie “dure”. Per riferirci ancora al Piemonte, è il caso dei PI su nuovi materiali, ener-gie rinnovabili, meccatronica e tessile. Specularmente, i DT hanno consolidato le specializzazioni negli ambiti applicativi delle tecnologie digitali, come nei casi del “Distretto Tec-

51Gli indicatori e gli intermediari della conoscenza

nologico per i beni e le attività Culturali del Lazio” (DTC) del Lazio e il Distretto delle Tecnologie Digitali (DITEDI) In Friuli.

In linea con quanto detto sopra, nell’esperienza della Regione Piemonte si è rilevato come “da una visione ini-ziale molto rigida di pertinenza dei domini tecnologici di appartenenza si sia passati ad un favorevole ricorso alla tra-sversalità, stimolando le attività interpolo (finalizzate anche a individuare aree comuni di azioni e ad evitare duplicazioni di iniziative)”21.

Sostanziali differenze tra DT e PI si rilevano ancora oggi nella governance. I soggetti gestori dei DT sono solitamente delle persone giuridiche che possono svolgere specifiche at-tività tanto di supporto alle aziende associate al DT, quanto di impresa verso l’esterno. Invece i gestori dei PI presentano una certa variabilità quanto a dimensione, attività e struttura-zione. In alcuni casi, quando questi soggetti coincidono con i parchi tecnologici, capitalizzano una maggiore esperienza e capacità operativa in attività di internazionalizzazione, net-working per le imprese, trasferimento tecnologico, offerta di servizi e tutela della proprietà intellettuale.

Nel caso dei PI bisogna inoltre considerare che una larga parte dell’attività svolta riguarda la predisposizione di pro-getti da presentare alla Regione nell’ambito dei programmi annuali.

Anche a questo proposito il PNR sostiene che i PI “dal punto di vista organizzativo, ricalcano in struttura e organiz-zazione i distretti ad alta tecnologia ai quali si rimanda per la definizione dei contenuti dell’azione e delle forme di sostegno pubblico” (p. 37).

La rilevazione delle analogie e differenze tra i due stru-menti di policy ha determinato nell’attività del gruppo di

21. Si desidera ringraziare il Dott. Giovanni Amateis e il Dott. Daniele Rinal-di della Regione Piemonte per la collaborazione ed il prezioso contributo alla elaborazione di questa sezione.

52 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

lavoro tematico la scelta di costruire una unica griglia di indicatori di risultato intermedi per DT e PI piuttosto che due griglie dedicate. La scelta ha tenuto conto anche della tendenza, dovuta all’autonomia regionale su questi temi, alla declinazione di questi strumenti in forme sempre più etero-genee. Si è creduto quindi che una griglia unica, ma flessibile ed adattabile a circostanze diverse, fosse più efficace di due strumenti distinti.

53La griglia di indicatori di risultati intermedi

3.3. La griglia di indicatori di risultati intermedi

1. Costruire una Griglia di Indicatori di Risultato Intermedi: una riflessione guidata per step

La griglia di indicatori di risultato intermedi intende costi-tuire un cruscotto operativo

a. pensato per diverse categorie di destinatari – Pubblica Amministrazione, – valutatore esterno (consulente alla programmazione o

alla valutazione), – soggetto attuatore - gestore o associato ad un intermediario;

b. in risposta a due principali esigenze: – definire in modo condiviso obiettivi intermedi, – selezionare opportuni indicatori per la misurazione della

performance.

c. il cui ambito di applicazione è costituito dagli “IC”1, inten-dendo con tale espressione entità di policy che

– rappresentano strumenti delle politiche pubbliche di Ri-cerca e Innovazione di carattere sistemico,

1. Per coloro i quali cominciassero a leggere il documento da questo pun-to per IC intendiamo in particolare distretti tecnologici (DT) e poli di innovazione (PI) (si veda anche il Glossario nel primo paragrafo per le definizioni).

54 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

– si configurano generalmente come aggregazioni pub-blico-private, gestite secondo modalità organizzative di varia complessità,

– possono svolgere un ampio spettro di attività, che va-ria da servizi per l’innovazione, alla ricerca applicata, al trasferimento tecnologico, al collegamento tra ricerca e impresa, alla creazione di spin-off e nuove imprese.

Agli indicatori si attribuiscono tipicamente le funzioni di monitoraggio e misurazione, non propriamente di valuta-zione. Ma particolare complessità del nostro proposito, con riferimento alla produzione di uno strumento di condivi-sione sia degli obiettivi che degli indicatori per misurarne il raggiungimento, e la particolare natura delle politiche og-getto di analisi, ha comportato l’adozione di una logica di carattere valutativo.

Nella ricerca dell’approccio da utilizzare, si è scelto di mutuare dalla prospettiva di Alberto Martini2 la definizione di valutazione, intesa come “attività tesa alla produzione si-stematica di informazioni per dare giudizi su azioni pubbliche, con l’intento di migliorarle”; e di considerare le cinque logiche valutative a cui fa riferimento, individuate sulla base delle seguenti dimensioni:

– finalità che motiva l’adozione di un approccio – sfida cognitiva sottesa – strategie di analisi utili ad affrontare tale sfida – possibili applicazioni dell’approccio individuato

Alla luce di questa schematizzazione, si è ritenuto opportuno soffermarsi sulla seconda tipologia di logica valutativa, rap-presentata dalla parola chiave “management”, riconosciuta come la più utile a supportare la costruzione della griglia di indicatori per gli IC (Tabella 2).

2. A. Martini, M. Sisti (2009), “Valutare il successo delle politiche pubbliche”, Cap 1.1 “Una definizione di valutazione”, Il Mulino ed.

55La griglia di indicatori di risultati intermedi

Tabella 2 - Cinque logiche valutative

Si valuta per Parola chiave Il giudizio nasce dal Utilizzatori

Allocare le risorse tra le possibili alternative

Choice Confronto tra oggetti simili su vari criteri di

comparazione

Coloro che devono decidere l’assegnazione delle risorse

Migliorare il funzionamento delle organizzazioni

Management Confronto tra la performance osservata e una performance ideale

Dirigenti e responsabili dell’organizzazione

Rendere conto dello sforzo compiuto per mantenere le

promesse

Accountability Confronto tra quanto è stato fatto e gli impegni che

erano stati assunti

Sponsor, livelli di governo superiore, elettori, cittadini

Apprendere l’utilità delle soluzioni adottate

Learning Confronto tra le ipotesi sulle quali si fonda

l’intervento e quanto è realmente accaduto

Attori interessati a risolvere il problema collettivo oggetto della politica

Stimolare la partecipazione e motivare gli attori verso

uno scopo comune

Empowerment Confronto tra ciò che si sta realizzando e

una ricostruzione delle aspettative e dei bisogni di

una comunità

Comunità di persone partecipanti dell’intervento

Fonte: Martini e Sisti “Valutare il successo delle politiche pubbliche”, 2009.

Tale logica valutativa – management – rappresenta un ap-proccio utilizzato per esprimere una valutazione in merito alla gestione delle organizzazioni. Rientra in questa fattispe-cie l’esigenza di valutare un intermediario nella sua capacità di gestione (e.g. efficienza del soggetto gestore dell’inter-mediario, come nel caso della società consortile che tipi-camente gestisce un DT) e nella capacità di raggiungere i propri obiettivi (efficacia). L’obiettivo in questo caso è quello di produrre un giudizio comparativo tra risultati potenziali e reali di un’organizzazione.

L’attività valutativa che segue la logica MANAGEMENT si realizza in cinque fasi principali:1. individuazione degli aspetti (dimensioni) dell’agire

dell’organizzazione che si ritiene utile tenere sotto controllo,

2. definizione delle variabili (indicatori) capaci di de-scrivere la performance dell’organizzazione per ogni aspetto individuato,

56 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

3. determinazione dei valori desiderati (standard),4. raccolta dei dati per ricavare il valore da associare a

ciascun indicatore,5. interpretazione delle deviazioni della performance os-

servata dagli standard.

Seguendo questa logica occorre procedere alla definizione delle dimensioni della struttura e dell’attività degli IC che vogliamo osservare, e sulla base delle quali vogliamo poter stabilire degli obiettivi; e alla individuazione delle variabili capaci di descrivere la loro capacità di raggiungere questi obiettivi e sulla base delle quali costruire gli indicatori.

Per quanto riguarda le dimensioni di analisi, le questioni ritenute di primaria importanza emerse nell’ambito dell’at-tività del gruppo di lavoro sono:

– Quali dimensioni occorre considerare per misurare la per-formance di DT, PI, e di altri IC?

– Qual è il livello di eterogeneità di questi soggetti? – Quali sono gli elementi distintivi che descrivono ognuna

di queste tipologie di intermediari?

Per ciò che attiene la scelta degli indicatori da utilizzare per misurare la performance degli IC, le prime questioni discus-se all’interno del gruppo di lavoro sono:

– Gli indicatori generalmente utilizzati per misurare gli esiti delle attività di ricerca e innovazione (input e output), sono in grado di descrivere queste dimensioni?

– In che modo possono selezionarsi indicatori validi per qualsiasi tipo di intermediario?

Muovendo dalle premesse e dalle domande suindicate, si è deciso di disegnare una metodologia di costruzione della griglia di indicatori pensata come una riflessione guidata e articolata in sei step successivi e secondo un processo itera-tivo, in considerazione del livello di complessità dell’oggetto

57La griglia di indicatori di risultati intermedi

della nostra analisi, delle peculiarità delle varie tipologie di intermediario, e delle differenti circostanze/condizioni che possono determinare la significatività dell’informazione rac-colta con l’uso degli indicatori selezionati (Figura 5).

Lo schema della metodologia rappresenta una riflessione guidata, ed è stato progettato in modo da permettere, per ogni intermediario oggetto di osservazione, l’individuazione degli elementi descrittivi caratteristici (strategici, strutturali e opera-tivi), e di raffinare step by step la costruzione degli indicatori più adatti a misurarne la capacità di conseguire i propri obiettivi.Figura 5- La costruzione della griglia di Indicatori di Risultato Intermedi:

1.1 STEP 1: gli obiettivi di policy

Il punto di partenza della riflessione guidata è costituito dagli obiettivi generali di policy, quelli a cui si riferiscono gli IC nel complesso, come strumenti di policy di carattere sistemico.

Question 1: A quali obiettivi generali di policy risponde la creazione ed il consolidamento degli intermediari della co-noscenza?È possibile rintracciare gli obiettivi generali di policy a diver-si livelli di governo (regionale, nazionale, europeo), attraver-

58 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

so la ricostruzione dei quadri strategici e programmatici cui tali strumenti si riferiscono. Indichiamo a titolo di esempio il livello di governo associato ai possibili riferimenti alla stra-tegia di policy in materia di R&I:

– Europa - Europe 20203

– Italia – Programma Nazionale della Ricerca (PNR)4

– Regioni - APQ, Piani Operativi Regionali (POR FESR – FSE)

Tipici, tra gli obiettivi generali di policy nel caso degli IC: – favorire la crescita sostenibile basata su un’economia della

conoscenza e dell’innovazione; – incrementare e consolidare le attività di ricerca, sviluppo

e innovazione, e incoraggiare la commercializzazione delle idee innovative;

– accrescere la competitività dei territori in settori indu-striali e aree tecnologiche prioritarie in modo da favorire la creazione di posti di lavoro ad elevato valore aggiunto e contenuto di conoscenza, con particolare riguardo al contributo delle PMI;

– qualificare e valorizzare il capitale umano.

Figura 6 - I primi 3 step della metodologia

3. http://ec.europa.eu/europe2020/index_it.htm4. MIUR, 2011.

59La griglia di indicatori di risultati intermedi

1.2 STEP 2: la tipologia di Intermediario

Il secondo passo corrisponde alla individuazione della cate-goria cui l’intermediario appartiene secondo la tassonomia emergente a livello nazionale sulla base tanto delle prassi che delle convenzioni istituzionali.

Question 2: A quale categoria appartiene l’Intermediario oggetto della valutazione?

Sulla base della letteratura, con riferimento alle politiche nazionali, dei documenti programmatici e delle fonti norma-tive, tra gli IC di cui si ha riscontro sono presenti:

– Distretti Tecnologici o ad Alta Tecnologia – Poli di Innovazione – Parchi Scientifici e Tecnologici – Incubatori – Piattaforme Tecnologiche – Centri per il Trasferimento Tecnologico o Centri servizi – Centri di Ricerca d’Eccellenza – Technology Transfer Office (TTO) – Industrial Liaison Office (ILO)

Per ognuna delle tipologie indicate si potranno indivi-duare, in relazione agli obiettivi specifici, alle caratteri-stiche organizzative, alle modalità di partenariato su cui si fondano, dimensioni di analisi differenti, in ragione delle differenti modalità di misurazione dell’efficienza ed efficacia, nel rispetto delle tipicità e dei vincoli cui sono sottoposte.

1.3 STEP 3: gli obiettivi specifici di policy

Ad ogni tipologia di intermediario sono associati obiettivi specifici di policy; anche quelli comuni a più tipologie di intermediario possono essere attribuiti con diversa intensità a seconda della tipologia di intermediario trattato. Discende da questa constatazione la

60 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

Question 3: A quali obiettivi specifici risponde l’Intermediario oggetto di valutazione?

Con riferimento ai due principali intermediari cui que-sto lavoro si riferisce, DT e PI, tra gli obiettivi specifici più caratteristici troviamo

– Imprenditorialità Innovativa: incubazione di nuove imprese high-tech, nascita di nuove imprese ad alto contenuto tecnologico (spin-off dal mondo della ri-cerca pubblica);

– Integrazione della Ricerca pubblico-privata: potenzia-mento/miglioramento e creazione di cluster, reti, ag-gregazione sistemica a livello territoriale tra istituzioni della ricerca, Università e sistema delle imprese (DT);

– Cooperazione e scambio: supporto all’interazione in-tensiva, uso in comune di installazioni, creazione e scambio di informazioni, conoscenze ed esperienze, messa in rete e diffusione delle informazioni tra una pluralità di istituzioni (PI, Parchi scientifici);

– Trasferimento tecnologico: gestione dell’insieme di at-tività finalizzate a valutare, proteggere e commercializ-zare tecnologie sviluppate nell’ambito dei progetti di ricerca condotti dalle Università e dai Centri di Ricer-ca, dall’identificazione di nuove tecnologie, alla loro protezione attraverso il deposito di brevetti, modelli, disegni, marchi e copyright, al trasferimento vero e proprio tramite la cessione dei diritti di sfruttamento dei trovati ad aziende esistenti o la creazione di nuove imprese basate sulla stessa;

– Servizi di supporto all’Innovazione: migliorare la capa-cità innovativa del sistema delle imprese, supportare e accompagnare l’attività innovativa delle imprese (in-novation audit, audit tecnologico, fattibilità tecnico-economica e valutazione dell’impatto dell’innovazio-ne, ricerca partner tecnologici, supporto all’attività di

61La griglia di indicatori di risultati intermedi

I primi 3 step sono utili a definire le dimensioni di analisi e le categorie di indicatori su cui articolare la misurazione della performance degli IC. Dallo step successivo la riflessione guidata si sofferma sugli elementi che, a partire dalla tipolo-gia di intermediario, possono determinare la significatività o il peso da attribuire ai singoli indicatori, come la fase del ciclo di vita, il modello di governance, il settore o l’ambito applicativo di riferimento (Figura 7).

Figura 7 - Dalla “logica valutativa” al “fine tuning” degli indicatori

commercializzazione e validazione di idee imprendi-toriali innovative, certificazione, benchmarking);

– Internazionalizzazione: favorire i processi di interna-zionalizzazione delle imprese, migliorando la capacità di attrazione di investimenti e talenti;

– Attrazione di capitali: attrazione di capitali e finanza privata

– Capitale Umano: creazione ed attrazione di capitale umano qualificato, formazione nella ricerca e on-the-job

62 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

1.4 STEP 4: la fase del ciclo di vita dell’intermediario

Una corretta misurazione della performance dell’IC deve tener presente la fase del ciclo di vita in cui l’intermediario si trova al momento dell’osservazione, da cui dipenderà la scelta degli indicatori e l’interpretazione dell’informazione ottenuta attraverso la loro applicazione. L’operatività di un’or-ganizzazione complessa, come può essere quella di un DT, e di conseguenza la sua performance, varieranno in modo significativo tra gli anni della genesi, e la fase della maturità in cui il consolidamento della compagine ed il regime delle attività può garantire maggiore efficienza di gestione ed ef-ficacia di azione.

Question 4: In quale fase del suo ciclo di vita si trova l’Inter-mediario al momento della misurazione?

Definiamo per semplicità 3 fasi del ciclo di vita dell’in-termediario, ponendo particolare attenzione ai suoi primi anni ed ai limiti di cui deve avere consapevolezza l’analista che procederà ad un monitoraggio della performance nei primi anni dalla sua costituzione.

Fase 1: Costituzione (0 – 3 anni)Si ritiene che al termine del primo triennio non ci sia ancora una reale performance da monitorare, e che l’a-nalisi debba limitarsi ad una considerazione degli aspetti legati alla:

– coerenza degli obiettivi con le strategia di sviluppo a livello europeo, nazionale, regionale;

– congruenza con la struttura del sistema innovativo territoriale;

– capacità (tecniche, economico-finanziarie) dei com-ponenti;

– capacità (tecniche, economico-finanziarie) del sog-getto gestore.

63La griglia di indicatori di risultati intermedi

Può essere utile chiarire con un esempio concreto che anticipa alcuni degli indicatori presenti nella griglia. Nel caso di un DT che ha tra i suoi obiettivi quello di attrarre investimenti diret-ti dall’estero, è evidente come sia improprio valutare questa attività nei primi tre anni di vita. Un simile obiettivo appare chiaramente orientato al medio e lungo periodo. Similmente, un indicatore che misura il numero di spin-off può essere più opportunamente utilizzato nel medio e lungo periodo. Altre attività invece, come ad esempio i servizi alle imprese e le at-tività di promozione possono senz’altro essere valutate anche nel breve periodo, ad esempio nei primi 3 anni di vita.

1.5 STEP 5: il modello di governance dell’intermediario

Gli IC possono assumere un’ampia varietà di forme, organiz-zative e giuridiche. A ognuna di esse si associano particolari

Fase 2: Consolidamento (3 – 5 anni)Oggetto di misurazione in questa seconda fase possono essere (anche se non in tutti i casi)

– la performance, con particolare riferimento agli aspetti legati all’efficienza di gestione;

– i risultati di breve periodo, laddove la particolare na-tura delle attività dell’intermediario lo consentano.

Fase 3: Potenziamento (oltre 5 anni)La fase 3 è quella che si estende dal potenziamento della struttura, ove non se ne prevedesse una trasformazione o la cessazione, alla maturità. È la fase in cui vengono meno gli ostacoli ad un regolare monitoraggio

– della performance; – dei risultati a medio-lungo periodo; – degli effetti anche indiretti della propria attività, at-

traverso l’utilizzo di adeguati indicatori di impatto.

64 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

regimi di autonomia, regole di comportamento dei soggetti che vi si associano o con cui collaborano o interagiscono, competenze o vincoli con riferimento alla gestione di par-ticolari attività o processi. Ad ognuna di esse si associa un caratteristico modello di governance, a volte imposto dalla tipologia stessa di intermediario, a volte prescelto. La forma giuridica ed il modello di governance possono condizionare la significatività di alcune dimensioni di analisi e l’opportu-nità o meno di utilizzo di alcuni indicatori.

Question 5: Che forma presenta l’Intermediario? Secondo qua-le modello di governance opera?

Come anticipato la forma giuridica e il modello di gover-nance per un Intermediario possono variare tra soluzioni caratterizzate da differente livello di strutturazione, rigidità, complessità, durata prevista. Dalla soluzione adottata di-scendono le caratteristiche dello schema di funzionamento dell’Intermediario.

Tra i diversi aspetti da prendere in considerazione nel rispondere alla domanda 5, assume particolare rilevanza l’e-sistenza o meno di un Soggetto Attuatore o Soggetto Gestore, il grado di distinzione e di autonomia rispetto al soggetto IC, la sua particolare natura, la sua funzione e la sua rilevanza strategica e operativa, al punto da rendere utile, a seconda dei casi, una specifica valutazione.

Considerando ad esempio i DT ed i PI, si possono rav-visare a questo livello differenze determinanti.

Il Distretto Tecnologico opera in genere secondo due mo-dalità costitutive:

– la Società consortile: con il contratto di consorzio ex art. 2602 c.c., più imprenditori pongono in essere un’organizzazione comune per la disciplina o lo svol-gimento di determinate fasi delle rispettive imprese. Mancano gli elementi caratteristici delle società: non

65La griglia di indicatori di risultati intermedi

svolge un’attività d’impresa, ma mette in comune sin-gole fasi parziali delle attività delle imprese consorziate partecipanti, oppure realizza un coordinamento delle attività delle singole imprese. L’organizzazione comune può assumere la forma di una società di tipo commer-ciale che svolge un’attività per i consociati e non ha necessariamente scopo di lucro;

– la Cabina di regia regionale o organismo regionale, in-dividuato quale soggetto attuatore (ad esempio Aster coordina il DT in Emilia Romagna ed è esso stesso un consorzio tra enti pubblici, regione, università, camere di commercio etc.)

Il Polo di Innovazione utilizza in alternativa alla forma della società consortile quella dell’associazione tempora-nea di impresa o di scopo: l’associazione temporanea è un istituto che prevede la redazione di un contratto con il quale più imprese conferiscono ad una di esse detta ca-pogruppo un mandato di rappresentanza nei confronti della committenza. Le caratteristiche dimensionali della capogruppo possono determinare le entità e le tipologie di aiuti di cui può beneficiare, quindi il livello ed i target di performance cui ambire.

Per le tipologie il cui modello di governance prevede una chiara distinzione tra soggetto gestore (es. sociatà consortile) e soggetti associati (imprese, università, centri di ricerca), come nel caso dei DT, tale distinzione può comportare l’in-dividuazione di dimensioni di analisi nettamente differenti per i due livelli di analisi.

Al livello del soggetto gestore possono essere considerate le seguenti dimensioni di analisi:

– Efficienza di gestione, sostenibilità e governance;

66 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

– Qualità e dimensione dell’offerta di servizi di supporto all’innovazione;

– Capacità di collaborazione, networking e partnership; – Capacità di attrazione di capitali da altre regioni o

dall’estero; – Livello di qualificazione del capitale umano generato; – Qualità e dimensione del trasferimento tecnologico; – Capacità di stimolo della imprenditorialità, con parti-

colare riferimento a quella innovativa e derivante dalla valorizzazione economica della ricerca.

Al livello dei soggetti associati, le più opportune dimensioni di analisi saranno:

– Intensità delle attività di innovazione delle imprese; – Capacità di generare opportunità di nuova occupa-

zione, con particolare riferimento al capitale umano qualificato e della ricerca;

– Livello di internazionalizzazione dei mercati di rife-rimento.

Nella realtà quanto più marcata è l’autonomia del soggetto gestore rispetto all’Intermediario, tanto più netta sarà la di-stinzione tra indicatori che fanno rifermento solo al soggetto gestore oppure solo alle imprese associate o consorziate. Ad esempio, indicatori che si riferiscono a dimensioni quali l’ef-ficienza di gestione o la sostenibilità nel tempo saranno rife-riti al soggetto gestore; mentre indicatori come la capacità di esportare dei soggetti associati, prevalentemente ad imprese.

1.6 STEP 6: il settore industriale e l’ambito applicativo di riferimento

In logica sequenza con lo step 5, e con riferimento alla mi-surazione della performance al livello dei soggetti associati

67La griglia di indicatori di risultati intermedi

all’IC, una considerazione a parte merita il settore industriale in cui tali imprese operano, e più in generale la specializza-zione dell’intermediario, in relazione con l’ambito di appli-cazione delle tecnologie abilitanti di riferimento.

Question 6: In quale(i) settore(i) industriale operano le imprese appartenenti all’Intermediario oggetto della valutazione?

La letteratura sull’innovazione ha ampiamente dimo-strato come le caratteristiche dell’attività di ricerca e inno-vazione possono essere profondamente differenti tra settori industriali e relativi regimi tecnologici associati ai settori. Da questa constatazione è derivata l’esigenza di operare un tentativo di distinguere gli effetti attesi dalle attività di inno-vazione tra settori industriali differenti. Si è ritenuto oppor-tuno procedere ad una classificazione dei settori seguendo una tassonomia elaborata da Keith Pavitt alla University of Sussex nel 1984 e più volte ripresa ed estesa al settore dei servizi negli ultimi anni5.

La tassonomia di Pavitt è una classificazione dei settori in-dustriali compiuta sulla base delle fonti e della natura delle opportunità tecnologiche e delle innovazioni, dell’intensi-tà della ricerca e sviluppo (R&D intensity), e della tipologia dei flussi di conoscenza (knowledge). Successivamente tale classificazione è stata ampliata e aggiornata tenendo conto di due cambiamenti significativi: (i.) la crescita del settore delle ICT; (ii.) la crescita del settore dei servizi (vedi Ta-bella 3 per le fonti).

5. Pavitt, 1984.

68 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

Tabella 3 - I raggruppamenti settoriali nella tassonomia di PavittSupplier dominated

Dominate dai fornitoriScale intensive

Ad intensità di scalaSpecialised suppliers

Fornitori specializzatiScience based

Basati sulla scienza

• Tessile• Calzature• Alimentari e bevande• Carta e stampa• Legname• Commercio ingrosso e

dettaglio• Hotel e catering• trasporti

• metalli di base• autoveicoli a motore• intermediazione

finanziaria e attività di supporto

• assicurazione e fondi • pensione

• macchine agricole e industriali• macchine per ufficio• strumenti ottici, di precisione

e medici• settore immobiliare• affitto macchinari e strumenti• altre attività di supporto alle

imprese

• Chimica• Farmaceutica• Elettronica• ICT• Ricerca e sviluppo

Fonte: Evangelista, 2000; Archibugi, 2001; Miozzo e Soete, 2001.

Pavitt individua quattro macro raggruppamenti settoriali (vedi Tabella 3):1. supplier dominated;2. scale intensive;3. specializaed suppliers;4. science-based

Pur considerandone i limiti - soprattutto in termini di de-terminismo rispetto alle condizioni dinamiche ed incerte del cambiamento tecnologico e dell’innovazione nei settori industriali - l’utilizzo di questa tassonomia ha il vantaggio di raggruppare nelle quattro categorie i settori industriali che presentano caratteristiche omogenee dal punto di vista delle attività innovative. Le imprese che appartengono ai settori compresi in una categoria presentano quindi delle simila-rità nel loro modo di svolgere innovazione, con particolare riferimento a (Tabella 4):

– dimensione media delle imprese; – obiettivi dell’innovazione; – fonte esterna di innovazione; – fonte interna di innovazione; – appropriabilità; – barriere all’entrata.

69La griglia di indicatori di risultati intermedi

Tabella 4 - Dimensioni dell’attività innovativa nelle quattro categorie della tassonomia di Pavitt

Dimensione media delle

imprese

Obiettivi dell’attività innovativa

Principale fonte esterna di

innovazione

Principale fonte interna

di innovazione

Grado diappropria-

bilità

Barriere all’entrata

Supplier dominatedDominate

dai fornitori

Media/piccola

Riduzione dei costi

Innovazione incorporata negli input

Economie di apprendimento Bassa Basse

Scale intensiveAd intensità di scala

Media/grande

Riduzione costi e innovazione

di prodotto

Relazione con i fornitori R&S Media Medie

Specialised suppliersFornitori

specializzati

Piccola Innovazione di prodotto

Relazione con gli acquirenti

Economie di apprendimento Alta Medie

Science basedBasati sulla

scienza

Piccola/grande

Innovazione di prodotto e processo

Relazioni con centri di ricerca

e università

R&S Alta Molto elevate

Fonte: Evangelista, 2000; Archibugi, 2001; Miozzo e Soete, 2001.

Sulla base della tassonomia di Pavitt, è stata elaborata una rap-presentazione approssimativa della propensione verso processi tipici dell’innovazione (investimento e conduzione di attività di R&S, intensità brevettuale, rapporti con le attività e centri di ricerca, attività di ricerca), come ulteriore supporto all’orienta-mento ai fini di una scelta degli indicatori maggiormente adatti a monitorare lo specifico intermediario oggetto di analisi.

Tabella 5 - Propensione verso attività innovative nelle 4 categorie della tas-sonomia di Pavitt

Spese inR&S Brevetti

Rapporti con universitàe centri di ricerca

Attivitàdi ricerca

Supplierdominated Bassa Bassa Bassa Bassa

Scaleintensive Medio-alta Medio-bassa Bassa Media

Specializedsupplier Medio-bassa Medio-bassa Medio-bassa Media

Sciencebased Elevata Elevata Elevata Elevata

Fonte: nostra elaborazione

70 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

È opportuno fare alcune osservazioni con riferimento ai li-miti e alle evidenze che discendono dall’adozione di questa tabella nell’attività di misurazione della performance.

Innanzitutto in termini di comparabilità tra le perfor-mance di diversi DT: la tabella suggerisce infatti la difficol-tà di comparare IC che ricadono in diverse categorie sulla base di indicatori tipici dell’attività innovativa. A titolo di esempio, un confronto di un distretto tecnologico nel cam-po dell’agroalimentare come nel caso del DT della regione Abruzzo, con un distretto che opera in settori ad elevata tecnologia sulla base di indicatori quali i brevetti o la spesa in R&S sarebbe inopportuno.

In secondo luogo, i DT e i PI, che si caratterizzano per una specializzazione tecnologica (tecnologie abilitanti) e non settoriale, possono rilevare vari livelli di eterogeneità di com-pagine, a seconda del numero di settori in cui le imprese associate operano. Nei casi in cui il regime di intersettorialità sia particolarmente accentuato, come ad esempio nel caso del distretto tecnologico “IMAST” in Campania6, diventa poco agevole individuare la categoria di riferimento del quale il distretto rientra; in altri casi, riferibili ad esempio ai DT e ai PI dell’agroalimentare, è possibile l’utilizzo della tassonomia sulla base dei settori industriali più rappresentati nell’aggre-gazione, può essere un elemento in più di approssimazione alla misurazione veritiera della performance dell’IC.

La tabella riportata rappresenta quindi uno strumento ulteriore di “fine tuning”, per affinare dove possibile, la se-

6. Il Distretto Tecnologico campano IMAST ha partecipato alle attività del GDL5 presentando il proprio modello organizzativo e le prassi con-solidate di autovalutazione, che prevedono una accurata e periodica misurazione della performance. Il Distretto, specializzato nelle tecno-logie dei materiali polimerici e compositi e strutture, aggrega imprese appartenenti ai settori aerospaziale, navale, automotive, biomedicale, elettronica polimerica e costruzioni civili. Alcuni degli indicatori conte-nuti nel presente lavoro sono stati costruiti a partire dalle scelte tecniche di misurazione operate dal Distretto campano.

71La griglia di indicatori di risultati intermedi

lezione degli indicatori in base alle caratteristiche dell’in-termediario oggetto dell’analisi. Su quest’ultimo punto ci soffermeremo in seguito nell’illustrazione della griglia.

2. Una griglia di indicatori di risultato intermedi per la definizione degli obiettivi e la misurazione della performance dei Distretti Tecnologici e dei Poli di Innovazione

2.1 Dimensioni e contenuti della griglia

In questo paragrafo si presenta il “menù di opzioni” per la definizione degli obiettivi e la misurazione della perfor-mance dei DT e dei PI sotto forma di griglia di indicato-ri di risultato intermedi. Si tratta del risultato del lavoro dell’intero gruppo riunito intorno alla tematica, che ha operato una sintesi dei diversi contributi sviluppati a par-tire dalla proposta elaborata dall’Agenzia Regionale per la Tecnologia e l’ Innovazione (ARTI) della Regione Puglia7 per la valutazione dei DT pugliesi, attraverso un processo di condivisione e revisione, nelle riunioni Gdl 5, come in sessioni di lavoro a distanza abilitate dall’uso della piatta-forma online Huddle.

La selezione degli indicatori confluiti nel menù ha inteso conciliare l’esigenza di standardizzazione della misurazione

7. Il lavoro svolto dall’ARTI, e condiviso nell’ambito del GDL5 grazie alla collaborazione del Dott. Stefano Marastoni, si articola in 9 misurazioni, una per ogni “area di performance” del DT osservato, basate su una com-plessa triangolazione di dati ottenuti attraverso l’analisi dei documenti (amministrativi, strategici, informativi) dei DT, le interviste e le visite in loco presso le strutture. Attraverso una tecnica di scaling messa a punto dall’Agenzia, ad ogni misurazione corrisponde un giudizio valutativo (su scala 0 – 3) che permette di ricavare un indice ponderato sintetico della performance per ogni DT. Cfr. ARTI (2011).

72 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

con il rispetto della reale eterogeneità dei soggetti interme-diari oggetto di osservazione.

La prima sezione, OBIETTIVI, traduce le scelte operate nei primi 3 step della metodologia, indicando le categorie di obiettivi generali e specifici di policy, e proponendo per ogni obiettivo i possibili indicatori e le variabili utili a costruirli.

La griglia è stata costruita partendo dall’individuazione delle “dimensioni di analisi”.

Sono state definite le seguenti dimensioni: – Efficienza di gestione, sostenibilità e governance – Servizi di supporto alle imprese – Attrazione di capitali – Occupazione – Collaborazione, networking e partnership – Capitale umano – Trasferimento tecnologico – Imprenditorialità – Ricerca – Innovazione – Internazionalizzazione

Tali dimensioni sono state poi articolate in dimensioni spe-cifiche, ad ognuna delle quali far corrispondere almeno un indicatore.

Ad esempio, la dimensione “servizi di supporto alle im-prese” è stata suddivisa in 4 dimensioni specifiche:

– Audit tecnologico – Alta formazione – Marketing – Gestione e tutela della proprietà intellettuale

Ad ogni dimensione specifica di analisi è stato poi associato uno o più indicatori, riportando le variabili da utilizzare per la loro costruzione. Ad esempio, nel caso della dimensione

73La griglia di indicatori di risultati intermedi

specifica “audit tecnologico” l’indicatore rilevato è “la quota di imprese (soci) che ha usufruito di servizi di audit tecnologi-co”, mentre le variabili associate all’indicatore sono (i.) lista imprese che hanno fruito del servizio; (ii.) numero totale di imprese associate al distretto.

La seconda e la terza sezione, NOTE e RISCHI, rispon-dendo alla logica dell’esercizio riportato in box 1, sono pen-sate per rendere espliciti i rischi di manipolazione e di rilascio di informazione non veritiera che possono derivare dall’ap-plicazione dell’indicatore, e ad esprimere dei commenti sulle modalità di rilevazione oltre che sulle circostanze che pos-sono condizionarne l’uso. Ad esempio, un indicatore che misuri l’efficienza di gestione del soggetto gestore di un DT in termini di “variazione di unità del personale” potrebbe veicolare un’informazione veritiera ma dal significato ambi-guo, potendo rappresentare questa variazione una situazione di inefficienza piuttosto che di efficienza.

Altri tipi di rischi sono associati all’influenza di fattori indipendenti, ovvero estranei al controllo diretto del DT. Ad esempio la dinamica dell’occupazione può risentire forte-mente del ciclo economico generale o di situazioni congiun-turali sfavorevoli che insistono in uno specifico territorio.

Infine alcuni indicatori, per esempio il “numero di riu-nioni effettuate” possono presentare rischi di comportamenti opportunistici nella misura in cui il soggetto monitorato, es-sendone a conoscenza, possa intervenire sul valore associa-to alla variabile considerata; in questo caso aumentando in modo strumentale il numero delle riunioni, non tenendo conto dei loro esiti e del livello di partecipazione.

La quarta sezione, RAGGRUPPAMENTO DI SETTORE, si riferisce alla Tassonomia di Pavitt, ed è composta da 4 colonne, una per ognuna delle quattro categorie individuate dall’auto-re, tenendo conto dei successivi sviluppi del framework sulla base delle fonti e della natura delle opportunità tecnologiche e delle innovazioni, dell’intensità della ricerca e sviluppo, e della tipologia dei flussi di conoscenza (vedi tabella 3).

74 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

Come già sottolineato, l’introduzione di questa categoria nasce dall’esigenza di tenere conto del ruolo che i settori industriali giocano nelle caratteristiche delle attività di in-novazione tecnologica e di ricerca delle imprese. Il “raggrup-pamento di settore” viene quindi utilizzato come criterio per dare maggiore enfasi ad alcuni indicatori in funzione del raggruppamento.

Resta inteso che questa ulteriore modalità di fine-tuning è intesa fornire esclusivamente un’indicazione di massima sugli indicatori che meglio si prestano a valutare la perfor-mance degli IC in funzione delle caratteristiche industriali delle imprese aggregate. L’analista potrà valutare la coerenza di tale logica caso per caso, a seconda del livello di interset-torialità dell’IC, e del numero di settori interessati e della rilevanza numerica dei raggruppamenti.

La quinta sezione, CICLO DI VITA, si riferisce alla fase di sviluppo in cui si riconosce il soggetto intermediario os-servato; distingue 3 fasi, una riferita alla creazione/nascita (0 – 3 anni circa), una allo sviluppo (3 – 5 anni circa), ed una al consolidamento (dopo i 5 anni).

Come già sottolineato la suddivisione in anni del ciclo di vita viene qui suggerita prendendo spunto dalle esperienze italiane. Bisogna naturalmente tenere conto della possibili-tà – quanto mai auspicabile – che i tempi dell’attuazione delle politiche che si traducono in questi strumenti si riducano, per tenere il passo con l’accelerazione del cambiamento tec-nologico e dell’innovazione. Anche in questo sarà l’analista a valutare la rispondenza dei periodi qui indicati con la realtà oggetto dell’osservazione.

All’interno di ogni dimensione di analisi possono essere presenti indicatori adeguati a misurare la performance del Soggetto Gestore o in alternativa dei Soggetti Associati all’In-termediario, ovvero le imprese che ne fanno parte. Per ope-rare una distinzione relativa all’ambito di applicazione degli indicatori, la sesta sezione, MODELLO DI GOVERNANCE, distingue in due colonne con un contrassegno il riferimento

75La griglia di indicatori di risultati intermedi

all’uno o agli altri. In questo modo è possibile selezionare gli indicatori relativi alla performance del soggetto gesto-re o dell’insieme dei componenti dell’IC in funzione della prospettiva di analisi che si sta adottando, potendo questi indicatori essere comunque utilizzati in modo integrato per meglio rispondere alle esigenze conoscitive (misurazione) e propositive (selezione degli obiettivi) dell’IC.

76 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

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77La griglia di indicatori di risultati intermedi

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***

X

78 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

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***

***

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X

79La griglia di indicatori di risultati intermedi

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80 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

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81La griglia di indicatori di risultati intermedi

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82 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

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*X

83La griglia di indicatori di risultati intermedi

Conclusioni

Il contributo che il gruppo di lavoro tematico ha voluto mettere a disposizione del decisore pubblico, delle ammini-strazioni regionali e degli stessi IC, ha natura metodologica. Consiste nel tracciare una guida concettuale per la definzione e per la stessa revisione di obiettivi di breve, medio, lungo periodo, ambiziosi ma ragionevoli, adeguati a diverse tipo-logie di IC che operano nelle regioni italiane; e un menù di opzioni nell’ambito del quale selezionare i modi più adeguati per misurarne il raggiungimento.

Gli indicatori presentati sono il risultato ultimo di un percorso logico e metodologico che ha permesso di consi-derare, in estrema sintesi, il contesto e la natura dei soggetti le cui caratteristiche, attività e performance, sono oggetto di misurazione.

Si tratta del prodotto del lavoro condiviso di una moltepli-cità di attori, coinvolti a vario titolo nelle politiche di ricerca e innovazione; in questo senso, il set ampio e dettagliato di indicatori presentato parrebbe aver superato in questo pro-cesso, proprio grazie alla eterogeneità nella composizione del gruppo, una prima validazione. Ogni indicatore è una sinte-si densa, che ha richiesto una riflessione approfondita e uno sforzo di comparazione tra gli elementi teorici e strategici de-scrittivi dei fenomeni osservati, e la varietà dei casi concreti delle realtà regionali.

Alcune brevi considerazioni conclusive, con riferimento ai principi che hanno guidato il lavoro del gruppo nella de-finizione di questo strumento operativo, possono renderne più agile l’uso.

Parlare di “menù di opzioni” significa ricordare che, per una efficace attività di monitoraggio di un IC, NON devono necessariamente essere utilizzati TUTTI gli indicatori pro-

84 qi10 - Indicatori di risultati intermedi

posti, né tantomeno devono essere prese in considerazione tutte le dimensioni di analisi.

In secondo luogo, la griglia di indicatori NON è stata intesa come un SET DEFINITIVO di modalità di misura-zione. Si considera auspicabile qualsiasi ulteriore confron-to, a partire dalla metodologia proposta, per l’elaborazione di indicatori ulteriori, soprattutto se richiesto da situazioni specifiche; così come l’attenzione alla loro revisione a partire dalla considerazione dei rischi cui il loro utilizzo espone.

La tavolozza di indicatori proposti è stata pensata per fornire temi di confronto per una PIATTAFORMA DI DIA-LOGO tra le parti, per agevolare processi di concertazione in cui gli IC possano esprimersi sulla scelta sia degli obiettivi intermedi che degli indicatori, secondo modalità già adotatte in alcune Regioni d’Italia8.

In ultimo, con riferimento ai benefici di una giusta concertazione e di una corretta misurazione in termini di apprendimento istituzionale, si raccomanda l’affidamento della misurazione a valutatori indipendenti, sia singoli pro-fessionisti che comitati/nuclei di valutazione istituiti ad hoc, perché forniscano alle amministrazioni nazionali e regionali un parere motivato circa il raggiungimento di obiettivi in-termedi concordati.

Gli IC a cui il gruppo di lavoro si è dedicato rappresen-tano certamente sistemi territoriali complessi.

Osservare un sistema complesso è operazione non ba-nale, che richiede la capacità di riconoscere non solo le ca-ratteristiche e i processi che definiscono ed interessano gli elementi che lo compongono; ma anche di saper cogliere le interdipendenze tra questi, ed i meccanismi che spingono tali sistemi verso (o lontano da) un equilibrio, in questo caso in grado di produrre valore per il territorio, in termini di innovazione e di competitività. Il primo passo verso que-

8. Per un approfondimento sull’approccio adottato dalla regione Piemonte con riferimento ai bandi per i PI si veda Bonaccorsi, 2009.

85La griglia di indicatori di risultati intermedi

sta osservazione è necessariamente la misurazione di ciò che concretamente avviene al livello del singolo elemento, indispensabile e propedeutica all’analisi complessiva del fe-nomeno.

Bibliografia

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QI11 Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

Sommario QI11

QI11 Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

Prefazione di Andrea Bonaccorsi 95

Introduzione 97

1. Obiettivi del gruppo di lavoro 101

2. Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo 1031. Le politiche pubbliche in ricerca e innovazione 1032. Assicurare la valutabilità degli interventi

di sostegno a ricerca e innovazione (estratto dalla presentazione del Prof. Guido Pellegrini nell incontro dell’11/10/2010) 105

3. Metodologie per la valutazione delle politiche pubbliche: riferimenti operativi comunitari ed internazionali 110

4. Metodologie per la valutazione delle politiche pubbliche e casi di valutazione regionale 113

5. La Valutazione delle politiche di Ricerca e Innovazione della regione Sardegna 118

3. Uno schema di guida alla valutazione d’impatto delle politiche di ricerca e innovazione in 4 step (estratto dalla presentazione UVAL all’incontro del 1 dicembre 2010) 121

4. Temi emersi dal dibattito e direzioni proposte per approfondimenti futuri 131

5. Bibliografia e link a siti e documenti di interesse 137

95Prefazione

Prefazione

Il ruolo della valutazione in una concezione moderna delle politiche pubbliche è acquisito da tempo. Nella pratica, tut-tavia, vi sono ancora molti ostacoli, di natura sia politica che tecnica. Sul piano politico la distinzione tra definizione dei grandi obiettivi e sviluppo degli interventi, tra programma-zione e implementazione, tende sovente a regredire in un “ritorno della politica” che chiede più margini di autonomia e discrezionalità, spesso da gestire attraverso processi centra-lizzati di scambio politico. In questa prospettiva la autonomia della amministrazione viene ridimensionata e la valutazione viene concepita come una appendice inevitabile ma fastidio-sa, oppure come uno strumento mediatico di supporto alle politiche, di conferma ed enfatizzazione delle scelte compiu-te. In questo modo si sterilizza la capacità della valutazione di fornire elementi di apprendimento istituzionale.

Sul piano tecnico ci sono oggettive difficoltà a valutare le politiche di ricerca e innovazione. Tali difficoltà intrinseche sono dovute alla estesa e differenziata scala temporale degli effetti, alla natura sistemica e non lineare dei meccanismi causali in gioco, alle condizioni di rischio e incertezza in cui operano gli attori, alla presenza di asimmetrie informative e cognitive tra amministrazioni pubbliche e attori e a fenomeni pervasivi di cattura del regolatore.

Queste difficoltà sono magnificate nel caso delle Regioni, non solo perché la scala territoriale crea problemi analitici peculiari (ad esempio: come separare gli effetti delle politiche

96 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

regionali da quelli di scala nazionale? come tenere conto degli spillover locali?), ma anche per la minore dotazione di risorse per gli studi valutativi e per la difficoltà, soprattutto per le Regioni più piccole, di costruire campioni di osser-vazioni sufficientemente ampi da poter essere trattati con metodi rigorosi.

Il Quaderno che viene qui presentato, all’interno del Progetto Sostegno alle Politiche di Ricerca e Innovazione delle Regioni, contribuisce a far avanzare grandemente lo stato dell’arte. Il Quaderno si basa sulle attività di un Gruppo di lavoro, coordinato da Tito Bianchi e Marco De Maggio, composto da dirigenti regionali e di agenzie di supporto al-le politiche, nonché da studiosi, che si è posto il problema di come portare alla scala delle Regioni, con un approccio realistico, le migliori esperienze internazionali. Il Gruppo ha beneficiato della esperienza dei coordinatori nell’ambito UVAL e del ruolo del Dott. Bianchi nella progettazione e implementazione del sistema valutativo del Quadro Strate-gico Nazionale (QSN).

Ne è uscito un documento agile, che dopo una accurata ricostruzione metodologica fa tesoro di alcune esperienze regionali di particolare interesse e presenta un manuale ope-rativo.

Non ci sono scorciatoie rispetto alla necessità di impian-tare una radicata cultura della valutazione, fatta di compe-tenze tecniche, condivisione di obiettivi professionali, circuiti virtuosi tra svolgimento di esercizi puntuali, apprendimento dagli errori e revisione in sede politica. È la migliore risposta alla richiesta, ormai comprensibilmente impaziente, di effi-cacia e di efficienza nell’uso delle risorse pubbliche.

Andrea BonaccorsiCoordinatore scientifico del Progetto

97Introduzione

Introduzione1

1. Alla stesura del presente Rapporto, a cura dei coordinatori Tito Bianchi e Marco De Maggio del DPS-MISE, ha collaborato Andrea Filippetti.

La valutazione di impatto degli interventi pubblici è al cen-tro del confronto europeo sulla politica di coesione e del dibattito italiano sulla politica regionale di sviluppo. Mentre in passato gli sforzi di valutazione si sono concentrati pre-valentemente su caratteristiche di processo, più di recente è emersa la necessità, anche nell’ottica di migliorare l’efficacia di nuovi interventi, di valutare ex post quali effetti, positivi e negativi, previsti o inattesi, gli sforzi di policy abbiano pro-dotto. L’attività di valutazione rappresenta inoltre uno stru-mento strategico per processi di apprendimento istituzionale che, soprattutto a livello locale, sono un fattore chiave nelle politiche di coesione europee.

Si tratta di un cambiamento di rilievo nelle pratiche va-lutative, che richiede lo sviluppo e l’acquisizione, da parte in-nanzitutto delle Amministrazioni impegnate nell’attuazione delle politiche, di nuove competenze e capacità. Nella filiera delle politiche di sviluppo regionale, l’Italia si è da tempo do-tata di un assetto istituzionale e tecnico in grado di sostenere tale cambiamento: i Nuclei di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici; la loro Rete; il Sistema Nazionale di Valutazione (cui partecipano, con il coordinamento dell’U-VAL, ISFOL, INEA, Dipartimento per le Pari Opportunità e i Nuclei di Valutazione); il Progetto NUVAL attuato dal

98 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica con il Dipartimento Funzione Pubblica. Tale sistema è oggi in grado di accompagnare le Amministrazioni nell’adozione di standard più elevati nelle loro pratiche valutative.

La valutazione degli effetti degli interventi pubblici rea-lizzati è oggi sempre più frequentemente chiamata in causa nella discussione sulla qualità delle politiche pubbliche con particolare riferimento a quelle di sviluppo regionale. In que-sto senso il Quadro Strategico Nazionale 2007-2013 (QSN) ha richiesto alle Amministrazioni di predisporre Piani di valutazione in cui indicare le valutazioni sugli effetti prodotti dalle politiche pubbliche. A questi stessi fini, il progetto per il sostegno alle politiche di ricerca ed innovazione delle regioni finanziato dal PON Governance e Assistenza tecnica gestito dal Dipartimento per lo Sviluppo e la coesione del MISE, in collaborazione con l’Agenzia per lnnovazione, anche se nel più ristretto ambito settoriale delle politiche di promozione della ricerca ed innovazione, ha voluto dedicare una parte consistente delle sue attività al rafforzamento delle pratiche di misurazione dei risultati e di valutazione. Nell’ambito di questo progetto uno specifico Gruppo di Lavoro si è dedi-cato a diffondere fra le amministrazioni regionali metodi e pratiche robuste e d’avanguardia in materia di valutazione d’impatto delle politiche di ricerca e innovazione industriale, che offrano una guida operativa a chi si svolge questa com-plessa e delicata funzione. Questo report sintetizza alcuni dei risultati del lavoro di questo gruppo.

Nel definire l’attività di valutazione oggetto dei lavori di questo tavolo, appare importante operare una distinzione iniziale tra misurazione dei risultati e valutazione di impatto. Infatti, nella valutazione della politica regionale comunita-ria dei passati periodi di programmazione, la valutazione di efficacia della policy è stata a volte erroneamente confusa con la misurazione dei risultati attraverso indicatori di rea-lizzazione, risultato e impatto. Quest’approccio consiste nella verifica degli andamenti di variabili obiettivo pre-definite ex

99Introduzione

ante (indipendentemente dal fatto che si tratti di realizzazio-ne e/o di risultato) per cogliere la loro eventuale evoluzione nella direzione desiderata. Anche nel caso delle variabili di impatto, tuttavia, per il loro collegamento solo limitato ed indiretto con gli effetti degli interventi posti in campo, il semplice monitoraggio di questi indicatori non ci informa sul contributo della politica al loro cambiamento, né suggerisce di per sé interpretazioni di qualunque genere riguardo alle scelte ed alle circostanze che lo influenzano.

Viceversa, la valutazione di impatto (o valutazione degli effetti) esamina l’effetto delle politiche al netto dalle altre concause. È con i metodi della valutazione che è possibile dire qualcosa circa i funzionamenti dei legami causali fra politiche, altre circostanze concomitanti, e variabili di in-teresse pubblico. Tra le varie metodologie esistenti per la valutazione dell’impatto delle politiche, il Rapporto Barca ha dedicato un’attenzione prioritaria all’approccio controfat-tuale, sia ex-post che ex-ante, nella convinzione che questo metodo offra una base più solida su cui fondare la risposta ad alcune domande valutative fondamentali che riguardano l’efficacia degli interventi.

In particolare: “Il compito di apprendere che cosa fun-zioni (valutazione dell’impatto) è il compito più complesso e deve rivestire un ruolo centrale in queste politiche. Se la valutazione di impatto viene svolta secondo una visione pro-spettica, cioè disegnandola ex-ante, nello stesso momento in cui si programma e disegna l’intervento, essa può non solo facilitare la verifica dei risultati prodotti ma può anche avere un importante ruolo di disciplina: orientando l’attenzione sugli obiettivi e rendendo trasparenti i criteri di scelta dei beneficiari […] Nel campo della valutazione di impatto, i risultati più promettenti provengono tuttavia da una famiglia di metodi sviluppati negli ultimi anni e definiti complessiva-mente “controfattuali”, che mirano a valutare l’impatto degli interventi stimando quali sarebbero stati i risultati nel caso in cui gli interventi non avessero avuto luogo”.

100 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

Per motivi metodologici, nei fatti le valutazioni di im-patto di tipo controfattuale hanno riguardato nella grande maggioranza dei casi le politiche di trasferimento diretto alle imprese che funzionano a bando o a “sportello”. È importante però aprire la possibilità di condurre valutazioni d’impatto anche su politiche della ricerca incentrate sull’offerta, sull’in-termediazione di servizi, o che si attuano attraverso soggetti misti pubblico-privati, visto il peso anche economico impor-tante che stanno assumendo. In questo caso non saranno i metodi controfattuali di tipo statistico, le cui linee generali si andranno ad esporre più oltre, ad essere applicati, ma il principio controfattuale generale che è alla base di qualunque attività di valutazione di efficacia. Questo impone di confron-tare i risultati che sono effettivamente realizzati negli ambiti investiti dalla policy, con uno scenario ipotetico costruito anche in modo speculativo, che descrive le condizioni che si sarebbero potute realizzare senza intervento pubblico o attraverso impieghi alternativi delle risorse.

101Obiettivi del gruppo di lavoro

1.1. Obiettivi del gruppo di lavoro

L’intento iniziale di questo gruppo di lavoro era duplice:1. Rafforzare le competenze delle amministrazioni e la lo-

ro comprensione di pregi e difetti di ciascun metodo di valutazioni di impatto, al fine di diffondere ed affermare pratiche di valutazione più rigorose.

2. Rafforzare la committenza in termini della sua capacità di esprimere e rivolgere ai valutatori le domande conosciti-ve più rilevanti, evitando che l’oggetto della valutazione sia esclusivamente determinato da aspetti metodologici in cui hanno maggiore competenza i valutatori.

Il programma di lavoro che il GdL 6 si è dato, ha consenti-to di offrire supporto agli interventi regionali delineando e rafforzando un quadro concettuale e operativo in merito alla valutazione di impatto producendo:

• Un repertorio ragionato di alcune significative valuta-zioni disponibili a livello regionale

• Una rassegna di strumenti e metodologie adottate a li-vello internazionale che consente di individuare modelli di riferimento alternativi ispirati alle migliori esperienze con riguardo alla valutazione d’impatto;

• Indicazioni per l’adozione di metodi per la valutazione d’impatto che siano appropriati alle diverse circostanze e richieste conoscitive, che scaturiscano dagli esempi presi in considerazione, dalle esercitazioni svolte in occasione

102 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

delle riunioni, e dall’esame dei vantaggi e dei limiti di ciascuno

I destinatari dell’attività sono dirigenti e funzionari di Am-ministrazioni nazionali e regionali con competenze nei settori dello Sviluppo Economico, Istruzione Formazione e Ricerca, del monitoraggio e della valutazione di politiche.

103Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo

2.2. Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo

I lavori del gruppo hanno seguito un ordine funzionale a favorire l’assorbimento del materiale presentato ed a met-tere in condizione ciascuno dei partecipanti di contribuire le conoscenze in proprio possesso. I contenuti presentati e condivisi nel gruppo vengono però qui ri-organizzati se-condo una sequenza più adatta ad essere fruibile in forma di documento, organizzata in quattro sezioni che, rispetti-vamente, si fanno carico di:• offrire un brevissimo inquadramento delle politiche pub-

bliche in ricerca e innovazione;• illustrare come sia possibile facilitare la valutabilità del-

le politiche messe in campo intervenendo fin dalla loro impostazione o disegno iniziale;

• fornire alcuni riferimenti internazionali, comunitari e italiani di pratiche di valutazione di politiche per la ri-cerca e l’innovazione;

• fornire elementi di guida per la valutazione d’impatto delle politiche di ricerca e innovazione attraverso semplici passi che accompagnano le principali fasi della loro impostazione.

1. Le politiche pubbliche in ricerca e innovazione

Durante la prima fase, il lavoro è stato organizzato tenendo conto delle differenti esigenze conoscitive dei partecipanti e della natura della valutazione delle politiche di R&I.

104 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

In generale c’è un ampio consenso circa il legame tra ricerca, innovazione tecnologica, e crescita economica e della produttività. La letteratura ha anche sostenuto come si può verificare un livello sub-ottimale in investimenti in ricerca e innovazione da parte del settore privato. Questo chiama in gioco un ruolo prominente per le politiche pubbliche in questo settore. Tuttavia, investimenti pubblici in ricerca e innovazione non determinano automaticamente le condi-zioni per la crescita economica. Anche la politica pubblica è infatti ‘fallibile’ se non si tengono in considerazione una serie di considerazioni1.

Innanzitutto, gli investimenti in ricerca pubblici hanno un impatto positivo in termini di crescita solitamente nel lungo periodo. Similmente, politiche rivolte al miglioramen-to del capitale umano hanno effetti sulla produttività sempre nel lungo periodo.

Secondo, la spesa pubblica in R&S ha un impatto nella misura in cui le imprese, e il territorio, fanno investimen-ti complementari. Solo in questo modo le imprese hanno la possibilità di beneficiare degli effetti positivi degli inve-stimenti pubblici. Un altro elemento centrale, enfatizzato dall’approccio sistemico all’innovazione, è il ruolo delle isti-tuzioni. Queste, sia a livello nazionale che locale, possono agire da opportunità oppure da freno per la trasformazione dei risultati degli investimenti pubblici in R&S.

Terzo, la spesa pubblica può concretizzarsi in forma di sussidio diretto o credito d’imposta. La letteratura ha dimo-strato che la spesa pubblica può essere soggetta a mancanza di addizionalità, ossia che i suoi effetti possono non essere addizionali. In pratica, le imprese che ricevono fondi pubblici per la ricerca possono essere indotte a sostituire fondi propri con quelli pubblici senza modificare i propri comportamenti di spesa. Questo si configura come un fallimento della po-

1. Questo paragrafo attinge da Bonaccorsi (2009).

105Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo

litica pubblica, laddove quest’ultima aspira a incoraggiare le imprese a intraprendere progetti di ricerca che altrimenti non avrebbero intrapreso, in genere a causa del loro elevato livello di rischiosità.

Gli incontri del gruppo hanno offerto l’occasione per fornire riferimenti bibliografici, strumenti pratici e riferi-menti operativi a livello extra nazionale e nazionale. Inoltre sono state individuate alcune aree di approfondimento su cui concentrarsi nel prosieguo del progetto ed in vista di sue eventuali riproposizioni future.

2. Assicurare la valutabilità degli interventi di sostegno a ricerca e innovazione (estratto dalla presentazione del Prof. Guido Pellegrini nell incontro dell’11/10/2010)

Perché valutare la spesa in R&S?Non sorprende, data l’entità della spesa pubblica coin-

volta, che l’efficacia delle politiche di incentivazione alla R&S sia stata soggetta a molteplici studi di valutazione, più che per altre categorie di aiuto pubblico. Come abbiamo già anticipato, la valutazione è uno strumento che consente di attivare processi di apprendimento istituzionale, imparando dal passato e migliorando l’efficienza e l’efficacia delle misure.

La valutazione di impatto di tali politiche rimane tuttavia estremamente complessa: sia per un insieme di problemi me-todologici che verranno di seguito discussi, sia per la neces-sità di un accurato sistema di monitoraggio e di acquisizione di dati. L’attività di monitoraggio deve riguardare:• l’entità dei sussidi erogati• il sistema di selezione ed erogazione degli incentivi,• le caratteristiche delle imprese destinatarie di aiuti, ma

anche delle imprese facenti domanda ma non ammesse all’incentivo

• le performance delle stesse in relazione alla loro profit-tabilità e alla produzione di innovazione e ricerca.

106 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

Il problema della valutazione degli incentivi riguarda sia che cosa valutare sia il come farlo. Il primo aspetto concerne la scelta della variabile rispetto alla quale misurare l’efficacia degli incentivi; il secondo come separare gli effetti degli in-centivi da quello degli altri fattori che influenzano il processo di produzione di ricerca e innovazione.

Entrambe le informazioni sono fondamentali per la de-terminazione di un disegno di valutazione: possiamo ottene-re una valutazione corretta se ex ante sappiamo che cosa va-lutare, quale metodo utilizziamo, e quindi complessivamente quali saranno le informazioni necessarie per la valutazione dell’intervento.

Valutazione della R&S: che cosa valutare (e quali variabili utilizzare)

Come sostenuto nell’introduzione, l’attività di valuta-zione va tenuta concettualmente distinta dalla misurazione dei risultati attraverso indicatori. La scelta delle variabili e degli indicatori da utilizzare per l’attività di valutazione co-stituiscono un primo passo, da programmare ex-ante, nel definire l’attività di valutazione che, ricordiamo, ha come finalità quella di esplorare il nesso causale tra l’intervento di policy e il loro effetto sulle variabili prestabilite.

Per quanto riguarda l’attività di R&S, gli effetti degli in-centivi possono essere valutati:• sia rispetto all’input del processo innovativo (ovvero

la spesa in R&S e l’acquisizione di innovazione da parte dei soggetti agevolati);

• sia rispetto al suo output, nella forma di nuovi pro-dotti o nuovi processi. In questo caso ricade anche la valutazione degli effetti dinamici delle politiche tecno-logiche, in particolare nella loro capacità di modificare, nel medio-lungo periodo, i risultati economici delle imprese agevolate nonché, in un periodo ancora più lungo, di determinare spill-over positivi nel territorio di riferimento.

107Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo

In entrambi i casi, la stima dell’addizionalità è lo scopo cen-trale: additività sia di input, quando la spesa netta in R&S privata, al netto del sussidio, è maggiore di quella che sarebbe stata in assenza di sussidio; sia di output (es. i brevetti legati alla componente addizionale del sussidio).

Si può immaginare, per semplicità, che le decisioni di in-vestimento in R&S di un’impresa avvengano in due fasi: nella prima l’impresa decide, sulla base delle proprie conoscenze e capacità, quanto investire; nella seconda vengono prese le decisioni su come finanziare l’investimento. Se l’impresa non ha vincoli finanziari, potrà finanziare la spesa sia con sussidi pubblici (preferibili perché hanno un minore costo per l’im-presa), sia con fondi interni o esterni. In questo caso se l’im-presa riceverà un sussidio ridurrà la quota di finanziamento proprio: l’incentivo pubblico quindi spiazza completamente la spesa privata, senza che vi sia un effetto addizionale com-plessivo sulla spesa. Se invece l’impresa ha vincoli finanziari, ovvero non può finanziarsi (completamente) con fondi in-terni o esterni, l’incentivo pubblico porta direttamente ad un aumento “addizionale” di spesa. Dato che entrambe le tipo-logie di imprese (con o senza vincoli finanziari) richiedono l’incentivo pubblico, l’impatto netto complessivo dipende dal loro peso e da come sono distribuiti gli investimenti nei due gruppi, ed è questione risolvibile solo empiricamente. Ad esempio, in un recente studio2 sugli incentivi pubblici per la R&S emerge come il programma esaminato ha avuto un impatto trascurabile sull’attività di R&S delle imprese di maggiori dimensioni, mentre per quelle più piccole gli incentivi avrebbero indotto un aumento dell’attività in R&S, di un ammontare pari al livello del sussidio.

Di seguito si riportano alcuni indicatori di input e output più frequentemente presi in considerazione3:

2. Bronzini e Iachini (2011).3. Vedi anche Barca e McCann (2011).

108 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

Indicatori di input:• Spesa in R&S totale-sussidio• Innovazione acquistata o spese in innovazione (varia-

mente definita)• Spesa in R&D rapportata al fatturato• Attività di ricerca variamente rilevata• Qualificazione del personale

Indicatori di output:• Numero di brevetti• Profittabilità• Mortalità• Crescita nell’occupazione• Crescita del fatturato• Crescita dimensionale (altre variabili)• Internazionalizzazione

Valutazione della R&S: il metodo controfattuale4

Una corretta valutazione degli effetti degli incentivi in R&S richiede di determinare lo scenario controfattuale, ovvero quello che le imprese avrebbero fatto in assenza di sussi-dio. Immaginiamo di poter effettuare un esperimento, se-lezionando in maniera casuale da un universo di imprese un gruppo a cui viene erogato un sussidio (i trattati) e uno senza (il gruppo di controllo). Il procedimento di selezione casuale garantisce che, in media, le caratteristiche dei due gruppi siano, ex ante, uguali. In questo caso l’effetto del sus-sidio sulla spesa in R&S sarà misurato come differenza tra l’ammontare medio della spesa nel gruppo dei trattati ed in quello dei non trattati, che rappresenta il controfattuale.

Purtroppo la possibilità di effettuare un esperimento è quasi sempre inesistente, e il ricercatore è costretto, basan-

4. Sul metodo controfattuale vedi anche Martini (2006); Marchesi et al. (2011).

109Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo

dosi su studi osservazionali, a riprodurre il più fedelmente possibile un esperimento casuale. Il problema principale è che il gruppo delle imprese trattate presenta in genere ca-ratteristiche diverse da quelle delle non trattate: sia perché esiste spesso un processo di selezione che sceglie i progetti sulla base di qualche criterio (qualità, fattibilità, rilevanza, obiettivi); sia perché le stesse imprese si auto-selezionano nel momento della richiesta di finanziamento pubblico.

La presenza di selezione viene controllata tramite l’uso di appropriati disegni quasi-sperimentali. Una tecnica usata in diversi studi è quella di matching, che si basa sull’ipotesi che la presenza di selezione possa essere eliminata controllando le variabili osservabili. Sotto questa ipotesi è possibile costru-ire un campione di controllo partendo dalle caratteristiche pre-trattamento del gruppo delle imprese trattate.

Una diversa tecnica di valutazione di tipo controfattua-le di recente interesse è il Regression Discontinuity Design. Una interessante applicazione è contenuta nel lavoro di De Blasio, Fantino e Pellegrini (2010), che sfrutta l’inaspettata discontinuità nell’erogazione degli incentivi del FIT (Fon-do per l’innovazione tecnologica) dovuta a una imprevista mancanza di fondi. Il lavoro confronta gli investimenti delle imprese agevolate con quelle delle imprese che avevano fatto domanda ma non hanno potuto ricevere gli incentivi per l’interruzione nei finanziamenti.

Valutazione della R&S: conclusioniUn aspetto essenziale nella programmazione delle attività

di valutazione è quello di identificare ex ante le variabili di risultato e gli indicatori su cui fare la valutazione, nonché le variabili che verranno utilizzate per correggere dalla se-lezione. In particolare, per poter utilizzare correttamente il metodo controfattuale occorre identificare ex ante il gruppo dei trattati, ma anche quello dei non trattati. In questo caso è essenziale avere disponibilità delle graduatorie, perché chi ha fatto domanda ma non è trattato è il migliore soggetto

110 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

per il campione di controllo. I casi in cui si utilizzano i sog-getti, sia finanziati che non finanziati derivanti dai processi di selezione (es. bandi) possono essere particolarmente frut-tuosi. In questo modo infatti si evita il problema di dover confrontare i soggetti trattati con soggetti scelti tra coloro che non hanno fatto domanda al bando. È probabile infatti che le imprese che partecipano ai bandi per i sussidi per la ricerca e innovazione siano quelle caratterizzate da maggior dinamismo, motivazione e attitudine all’innovazione. Questo rende il confronto con le imprese che non hanno fatto do-manda al bando particolarmente delicato dal punto di vista della correttezza metodologica.

3. Metodologie per la valutazione delle politiche pubbliche: riferimenti operativi comunitari ed internazionali

La diffusione ed il ruolo dell’attività di valutazione in Euro-pa è particolarmente influenzata dall’apparato dell’Unione Europea per la valutazione dei Fondi Strutturali. Qui di se-guito si passano in rassegna alcune importanti pubblicazioni europee ed extra-europee che sono state proposte al GdL sul tema della valutazione.

a) RTD Evaluation Toolbox – Assessing the Socio-Eco-nomic Impact of RTD Policies5

Questo Rapporto, pubblicato nel 2002 dal Joint Research Centre – IPTS della Commissione Europea, è stato preparato da una serie di studiosi per valutare l’impatto socio-eco-nomico della politica di Ricerca and Sviluppo Tecnologico (RTD). È stato concepito come una ‘scatola degli attrezzi’ che presenta con esempi concreti i diversi approcci e metodo-logie di valutazione, discutendone i relativi punti di forza e

5. Institute for Prospective Technological Studies (2002).

111Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo

limitazioni, analizzandoli nei rispettivi contesti di policy. In sintesi il documento contiene:• 11 strumenti utilizzabili (Indagini tecnologiche, Modelli

microeconomici, Modelli macroeconomici e simulazio-ni, Analisi della produttività, Gruppi di controllo, Analisi costi-benefici, Panel di esperti e peer review, Interviste e studi di caso, Analisi dei network, Studi di previsione, Benchmarking):

• I modelli macro e le simulazioni che riguardano l’impatto finale

• I modelli micro che riguardano gli effetti sui settori (con metodo controfattuale) e le analisi di produttività che esaminano gli effetti sull’economia

• I gruppi di controllo sui partecipanti e la analisi costi benefici sull’efficienza del programma

• Interviste e studi di caso che analizzano i fattori endoge-ni, panel di esperti e peer review per la qualità scientifica e tecnica

• L’analisi di network che esamina la cooperazione, mentre le analisi tecnologiche si concentrano sulle potenziali distorsioni, e infine metodi di previsione, prospettiva e benchmark che riguardano la visione.

Questo rapporto offre una guida estremamente pratica alla scelta dei metodi valutativi in rapporto agli strumenti di policy.

b) Smart innovation: a guide to evaluation programmes6

Questa Guida è stata pubblicata nel 2006 per la DG Impresa e Industria. Lo scopo è quello di fornire un manuale per coloro che utilizzano valutazione e monitoraggio nel contesto di pro-grammi di innovazione. A tal fine è stato strutturato secondo una serie di domande-risposte che affrontano i seguenti temi:

6. Louis Lengrad, PREST e ANRT (2006).

112 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

• La natura dell’innovazione e le particolarità della valu-tazione in questo settore

• I diversi approcci possibili• L’insieme delle metodologie accompagnate da una di-

scussione sull’impatto• Una discussione sull’utilizzo dei programmi di valuta-

zione dell’innovazione

Articolato in termini di brevi domande-risposte rappre-senta uno strumento agile e pragmatico orientato a chi deve disegnare un programma di valutazione delle poli-tiche di innovazione.

c) INNOAppraisal7

Questo Rapporto è stato pubblicato nel 2010 nell’ambito del progetto Pro Inno Europe con lo scopo di contribuire a chiarire in che modo l’attività di valutazione è utilizzata in Europa nell’ambito delle politiche per l’innovazione. Il rapporto analizza diverse pratiche di valutazione con diversi approfondimenti e studi caso di valutazione in alcuni paesi. Il rapporto analizza in particolare:• Le caratteristiche dell’attività di valutazione in Europa• Le determinanti delle pratiche di valutazione, qualità e

conseguenze• L’utilità della valutazione• L’impatto della valutazione• La ‘behavioural additionality’• Una serie di casi studio a livello paese in Austria, Ger-

mania, Regno Unito, vari Paesi Mediterranei.

Questo rapporto offre spunti interessanti per la valu-tazione di progetti di tipo collaborativo nell’attività di R&S nel V e VI Programma Quadro.

7. Commissione Europea (2009).

113Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo

d) Performance Story ReportUn contributo originale e innovativo è il “Performance

Story Report” pubblicato nel 2009 a cura del governo austra-liano nel contesto della gestione delle risorse naturali. Un performance story report è un giudizio riguardo il progresso verso un obiettivo di gestione naturale delle risorse. La gui-da contiene una procedura step-by-step per sviluppare un performance story report, in questo caso nel contesto della gestione delle risorse naturali. Tuttavia è senz’altro possibile mutuarne l’approccio per altri tipi di attività di valutazione.

L’obiettivo di questo strumento è quello di fornire i se-guenti elementi:• Una visione del progresso fatto• Indizi su cosa sta funzionando e cosa non sta funzionando• Un breve programma dei risultati raggiunti• Una comprensione dei legami tra investimenti fatti e

risultati in diversi momenti dello svolgimento del pro-gramma

• Informazioni sulle strategie future

I performance story report, seppur variando nei conte-nuti e nel format, hanno la caratteristica di essere con-cisi e semplici da leggere. Risultano quindi indicati per diffondere un messaggio semplice agli stakeholders per creare un sostegno al contributo di una specifica politica rispetto agli obiettivi iniziali.

4. Metodologie per la valutazione delle politiche pubbliche e casi di valutazione regionale

Due contributi metodologici per la valutazione delle po-litiche pubbliche

In questo paragrafo presentiamo nella prima parte due contributi metodologici per la valutazione delle politiche pubbliche. Nella seconda parte vengono invece discusse tre

114 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

attività di valutazione condotte in Italia a livello regionale, interessanti poiché adottano diversi approcci.

1) Il primo documento (Approccio alla valutazione degli ef-fetti delle politiche di sviluppo regionale) è stato pubblicato nel 2011 nella Collana Materiali Uval, a cura di Marchesi, Tagle e Befani8. Il volume presenta approcci diversi, ma non incompatibili nella loro applicazione: possono, anzi, essere combinati in vario modo per rispondere con più puntualità a specifiche domande valutative. Tutti i contributi presenta-ti nella pubblicazione sono approcci di valutazione ex post degli effetti degli interventi pubblici.

Nel Rapporto si sottolinea come i diversi approcci non siano da intendersi in contrapposizione, ma al contrario complementari: “Chi legge con attenzione tali contributi po-trà inoltre agevolmente rilevare come tali approcci siano in molti casi fra loro tutt’altro che alternativi. Se è vero, infatti, che rispondono a domande di valutazione (in parte) diverse, è altrettanto vero che su una politica o su un intervento si possono porre più e diverse domande di valutazione. Ciò può implicare l’opportunità dell’utilizzazione di diversi approcci per la valutazione della stessa politica o dello stesso intervento confrontandone (o integrandone) poi i risultati (ad esempio attraverso la tecnica cosiddetta della “triangolazione”)”.

In particolare il volume affronta le seguenti tematiche:• La valutazione degli effetti delle politiche regionali• La valutazione controfattuale• La valutazione basata sulla teoria• L’approccio realista alla valutazione degli effetti• La valutazione partecipata

2) Un ulteriore approfondimento delle tematiche si può ri-trovare nel manuale Metodi per valutare il successo di una

8. Marchesi et al. (2011).

115Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo

politica pubblica a cura di Alberto Martini e Marco Sisti9, che si concentra sul tema dell’implementazione (come sinonimo di attuazione e di realizzazione) e su quello di effetto (sinoni-mo di impatto o outcome). Obiettivo specifico del rapporto è di rispondere ad uno specifico quesito operativo: ‘quali effetti ha prodotto l’implementazione di una determinata politica pubblica?’ In termini metodologici il testo si sofferma sui diversi approcci empirici alla valutazione:• Il metodo controfattuale• I metodi di regressione e variabili strumentali• Gli indicatori di impatto• La valutazione realista

Tre attività di valutazione nelle regioni italianeI tre contributi presentati in questa sezione si differen-

ziano tra loro in termini di metodologia adottata. Nel primo caso, in Toscana, è stato adottato il metodo controfattuale. Nel caso del Piemonte l’attenzione si è spostata sui proces-si e l’implementazione della politica attraverso un’analisi principalmente qualitativa. Infine il caso della Sardegna rap-presenta un caso in cui sono stati utilizzati diversi approcci metodologici in una logica di triangolazione.

1) Lo studio Analisi e valutazione delle politiche di sostegno alle imprese artigiane della Toscana è stato realizzato sotto il coordinamento di un apposito Comitato presieduto da Unioncamere Toscana e pubblicato nel 2007. L’indagine è una valutazione di impatto di interventi finanziari a favore dell’artigianato per incentivi alle imprese tramite contributi finanziari. Tali contributi sono finalizzati all’erogazione di finanziamenti a favore delle imprese artigiane e delle PMI sulla base di specifici programmi di sviluppo articolati set-torialmente e territorialmente.

9. Martini e Sisti (2009).

116 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

Il metodo utilizzato è quello del controfattuale. Vengono messe a confronto le performance delle imprese agevolate (in termini di fatturato e occupazione), e delle imprese non agevolate dall’altro. L’analisi dell’andamento del fatturato e del numero di dipendenti, nel periodo che inizia e si conclu-de dopo la realizzazione dell’intervento mostra infatti che le imprese beneficiarie registrano risultati mediamente più favorevoli rispetto alle imprese non beneficiarie.

Come noto, per operare con l’analisi controfattuale occor-re individuare il gruppo di beneficiari (imprese che ricevono il finanziamento) e comparare la performance delle loro variabili di risultato con il gruppo di controllo (imprese con caratteri-stiche simili che non hanno beneficiato del finanziamento). Il gruppo di beneficiari è in questo caso costituito da 371 imprese. L’individuazione del gruppo di controllo costituisce di fatto il momento più delicato di tale analisi. L’estrazione di un gruppo di controllo è stato ottenuto partendo dall’universo delle im-prese toscane che non hanno beneficiato del finanziamento. La selezione è avvenuta tenendo conto delle caratteristiche pre-trattamento di un sottoinsieme di imprese beneficiarie. Il campione delle imprese non beneficiarie è stato ottenuto attraverso una procedura in due fasi. Si sono innanzitutto escluse le imprese beneficiarie. Dalle imprese rimanenti si è estratto un campione di imprese non beneficiarie attraverso la metodologia del Propensity Score.

2) Il secondo contributo proposto è il Rapporto di valuta-zione della L.R. 4/2006 – Sistema regionale per la ricerca e l’innovazione della Regione Piemonte redatto a cura del Nucleo di Valutazione e della Direzione “Innovazione, Ricer-ca ed Università”, Settore “Ricerca, Innovazione e Competi-tività” pubblicato nel 2010. Il Rapporto di valutazione della Legge Regionale n. 4 del 30 gennaio 2006 si articola in due documenti (parti) strettamente interdipendenti:• prima parte: “Relazione finale delle attività: proposte e

raccomandazioni”

117Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo

• secondaparte:“Descrizionedelcontestoregionaledipolicy a supporto della ricerca scientifica”.

Le attività di analisi hanno riguardato, in particolare i se-guenti aspetti:• l’esame delle azioni di valutazione intraprese nella sele-

zione ex-ante rispetto all’implementazione delle varie iniziative (ritenendole, per loro natura, determinanti ai fini del successo delle stesse iniziative, nonché foriere di input sui soggetti coinvolti e sui processi attivati);

• il confronto tra risorse richieste e risorse erogate (con-siderato un indicatore di pertinenza e di coerenza delle misure e di capacità di indirizzo dei flussi finanziari);

• l’applicazione dei diversi strumenti rispetto agli obiet-tivi indicati (intesa come una verifica di coerenza in particolare rispetto ai vincoli che da tali strumenti de-rivavano);

• la visione complessiva di sistema generatasi a seguito delle, anche se non esplicite, interazioni reciproche tra i diversi interventi.

Le raccomandazioni riguardano il processo di stesura del Programma, la sua struttura e articolazione, la gestione delle procedure e delle informazioni, varietà, efficacia ed efficienza degli strumenti impiegati ed alcuni commenti sul processo valutativo. Il Documento presenta poi specifiche conside-razioni sui due strumenti maggiormente analizzati, i Poli di innovazione e le Piattaforme tecnologiche.

L’insieme delle raccomandazioni che il NdV suggerisce può essere riassunto su tre principali aspetti:• il suggerimento di una diversa modalità di program-

mazione degli interventi che sia in grado di articolare il livello di programmazione negoziata con l’esercizio dell’attività valutativa e il sostegno generalizzato alla policy, anche attraverso azioni di contesto funzionali al consolidamento della dimensione di sistema;

118 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

• ilrilevanteproblemadellaproduzioneegestionedelleinformazioni relative alla programmazione e alla valuta-zione, che deve essere dinamica, partecipata e sostenere il percorso di monitoraggio e valutazione senza costringere quest’ultima ad un ruolo improprio;

• il progressivo spostamento dalla selezione (dei temi, dei soggetti, dei progetti) a quello del risultato e dell’impatto atteso, possibilmente provando a destrutturare i contri-buti derivanti dal singolo progetto in un insieme di risul-tati identificabili, unitamente ai tentativi di cumulabilità e finalizzazione dei risultati individuali o diversamente aggregati verso percorsi applicativi e di valorizzazione.

5. La Valutazione delle politiche di Ricerca e Innovazione della regione Sardegna

La ricerca valutativa condotta dal Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti pubblici della Regione Autonoma della Sardegna, si pone come obiettivo quello di valutare gli effetti prodotti dalle politiche regionali in tema di ricerca ed innovazione tecnologica sviluppate in un periodo suffi-cientemente ampio, che va dal 1994 al 2006. In particolare la ricerca valutativa mirava a rispondere alla seguente doman-da: Quali sono stati i principali effetti prodotti dalle politiche regionali in tema di ricerca ed innovazione tecnologica? Tale domanda è stata ulteriormente suddivisa in 8 domande va-lutative specifiche.

Nella ricerca sono stati utilizzati sia metodi qualitativi che quantitativi distinguendo tra ambiti della ricerca: 1) la ricostruzione della politica regionale; 2) la valutazione dei risultati conseguiti; e 3) l’analisi della domanda di innova-zione. Per ricostruire le dinamiche della politica regionale sono state condotte interviste a esperti accompagnate da analisi documentali dei principali atti di programmazione. Per quanto concerne gli altri due ambiti - la valutazione dei

119Sintesi dei risultati dei lavori del gruppo

risultati conseguiti, e l’analisi della domanda di innovazio-ne - sono stati usati sia metodi qualitativi che quantitativi, quali analisi dell’Innovation Scoreboard e analisi mediante modello macroeconomico settoriale di tipo CGE. Inoltre, è stata commissionata un’indagine mediante questionario ad un campione stratificato di 700 imprese sarde ed è stata condotta un’analisi input-output.

In particolare, per quanto riguarda il primo ambito di ricerca - la ricostruzione della politica regionale in tema di ricerca e innovazione tecnologica - sono state svolte alcune interviste a testimoni privilegiati e sono stati analizzati i prin-cipali documenti di programmazione per i periodi 1994-1999 e 2000-2006. Nel caso del secondo ambito di ricerca - la valutazione dei risultati conseguiti - sono stati analizzati i risultati prodotti dalle politiche regionali, con particolare riferimento a quelli risultanti dal funzionamento e dall’o-peratività delle nuove infrastrutture create nel periodo in esame, ed ai risultati raggiunti dalle imprese beneficiarie dei servizi e dei contributi erogati. In questo caso è stata uti-lizzata un’analisi quantitativa utilizzando due banche dati contenenti dati a livello di impresa, dati sulla spesa in R&S delle imprese provenienti dall’Istat, nonché i risultati del Regional Innovation Scoreboard, un indicatore composito di innovazione elaborato dalla Commissione Europea a li-vello regionale in tutta Europa. A questo tipo di analisi si è aggiunta un’elaborazione di un modello macroeconomico di tipo “equilibrio economico generale” utilizzando tabelle input-output e l’analisi dei moltiplicatori della Matrice di contabilità Sociale (SAM) della Sardegna.

121Uno schema di guida alla valutazione

3.3. Uno schema di guida alla valutazione

d’impatto delle politiche di ricerca e innovazione in 4 step

(estratto dalla presentazione UVAL all’incontro del 1 dicembre 2010)

Negli incontri del GdL 6 è stata proposta e discussa una serie di indicazioni di carattere operativo e pragmatico per l’impostazione della valutazione di impatto delle politiche di ricerca e innovazione. Questo set di indicazioni ha soprat-tutto lo scopo di porre l’attenzione sugli snodi decisionali più importanti a cui l’amministratore pubblico è tenuto a dedicare una riflessione consapevole, per le conseguenze che essi hanno sulla qualità delle attività valutative realizzate.

Le indicazioni sono articolate nei seguenti 4 step, cor-rispondenti, più o meno, a diversi momenti decisionali da affrontare in sequenza temporale nell’impostazione e con-duzione delle attività di valutazione. Alla radice di ciascuna valutazione da condurre c’è l’individuazione di una chiara domanda conoscitiva ancora inevasa, che delimita le attivi-tà da svolgere e i metodi più adatti. Al fine di semplificare al massimo l’esposizione, l’esame delle scelte alternative in tema di valutazione viene effettuato anche attraverso l’uso di esempi stilizzati, che non esauriscono in alcun modo la gamma delle tematiche o delle domande di valutazione di possibile interesse.

Step 1. Proprietà di una domanda di valutazioneÈ importante apprezzare le differenti proprietà di do-

mande di valutazione formulate in modo differente, sapendo che per sfruttare i vantaggi collegati ad alcune di esse, può essere in alcuni casi necessario rinunciare ad altri. Ciascuna

122 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

concreta domanda andrà quindi valutata in relazione alle seguenti proprietà:• Utilità-rilevanza - risponde ad esigenze di decisione del

committente o delle politiche;• Valutabilità - esistono metodi che consentono di dare ad

essa una risposta persuasiva;• Condivisione - corrisponde ad esigenze conoscitive dif-

fuse nel sistema;• Dettaglio - consente più chiaro controllo di qualità sull’o-

perato del valutatore.

Un criterio guida per la definizione delle domande è rappresen-tato dall’identificazione di temi riguardanti le politiche, su cui sarebbe importante sapere di più. Dove cercare i temi di mag-gior interesse? In questo senso è importante sottolineare che la definizione delle domande di valutazione non è materia di competenza esclusiva degli specialisti della valutazione, ma compito tipico del policy-maker pubblico. Un suggerimento operativo è quello di guardare vicino, con un’attenzione alle controversie, per esempio: giornali, convegni, comitati di sorveglianza, discussioni nei posti di lavoro.

Un esercizio banale, ma in alcuni casi utile, può essere quello di prendere un tema di discussione e trasformarlo in una frase che termina con un punto interrogativo. Ad esem-pio, riguardo al tema di dibattito: “L’efficacia delle politiche per la ricerca” una domanda può essere la seguente:

“I progetti finanziati nel periodo di programmazione XY sono stati efficaci?”

Gli argomenti usati nel dibattito - la diagnosi del problema e le teorie interpretative prevalenti - guidano la specificazione delle domande. Ad esempio in Italia tra i temi di discussione si annoverano senz’altro i seguenti:• La spesa privata per ricerca in Italia è troppo bassa nel

confronto internazionale;

123Uno schema di guida alla valutazione

• Inparticolareleimpresedipiccoladimensionesotto-investono in ricerca rispetto a quanto sarebbe desidera-bile a livello di sistema;

• I rapporti fra PMI e università sono difficili per una dif-ferenza culturale che li separa

I termini di questo dibattito aiutano a specificare il concetto di “efficacia”, e quindi le richieste che facciamo alla valuta-zione. Ciò può condurre a revisionare la domanda di valu-tazione nella seguente domanda:

“le politiche per la ricerca della regione sono in grado di attivare capitali privati, in particolare di PMI?”

L’effettiva specificazione della domanda di valutazione tiene conto di altri elementi. In particolare: a) delle finalità che si perseguono nel caso specifico; b) del grado di conoscenza già diffusa nel sistema sul problema e su ciò che funziona per risolverlo; c) dei principali soggetti interessati ai risul-tati della valutazione (stakeholders nell’interesse dei quali è stata intrapresa). Il box di seguito illustra una lista di alcune classificazioni possibili fra domande valutative.

Box 1 Classificazione delle domande di valutazione

Fase della policy oggetto d’indagine• Le strategie• I processi• I risultati (oggetti-soggetti)

Finalità• di trasparenza• di rendicontazione• di indirizzo di scelte• di apprendimento

124 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

Tipo di domanda:• Funziona o no?• Per chi e in che condizioni/circostanze funziona?

Tipo di risposta attesa• SI-NO• Numerica (percentuale)• Articolata e discorsiva

Attingendo dalla lista precedente, in funzione delle finalità e del contesto si può quindi addivenire a domande di valuta-zione di tipo differente. Ad esempio, una domanda generica del tipo “l’intervento ha funzionato o meno”, se ci si attende una risposta numerica con un’attenzione rivolta ai risultati, può diventare:

“Le imprese destinatarie di finanziamenti per la ricerca hanno una propensione più elevata a fare domanda di brevetto rispetto alle altre?”

Oppure in un altro caso in cui la finalità riguarda l’indirizzo di scelte di policy, l’attenzione è posta sui processi interni e ci si attende una risposta articolata e discorsiva, la domanda diventa la seguente:

“Da cosa dipende la difficoltà delle politiche di incenti-vazione della ricerca privata delle imprese, a raggiungere le PMI?”

Step 2 - Dalle domande ai metodiIn generale, più un’ipotesi di ricerca è chiara e dettagliata,

più la domanda può specificarsi a livello tale da poter essere ridotta ad un’indagine quantitativa. Ad esempio, in presenza di un’ipotesi di lavoro che si chiede se e in che misura pro-getti di ricerca di grandi dimensioni hanno maggior proba-

125Uno schema di guida alla valutazione

bilità di produrre innovazioni di impatto elevato, è possibile derivare una domanda estremamente precisa:

Domanda: Esiste una correlazione fra la dimensione dei progetti di ricerca finanziati (da qualunque fonte) nel periodo di programmazione X, ed il valore complessivo dei brevetti registrati dai destinatari dei finanziamenti?

Un controesempio potrebbe essere l’ipotesi di verificare se i tentativi di offrire attività di ricerca collettivamente a gruppi di PMI attraverso laboratori e centri di ricerca consortili, non funzionano per via delle difficoltà nel garantire l’appropria-bilità delle eventuali innovazioni a ciascuna impresa a titolo individuale. In questo caso la domanda potrebbe essere più generica:

Domanda: Quali circostanze consentono alle PMI di fare ricerca in forma associata o consortile?

La tipologia di domanda di valutazione ha poi una relazione anche con i metodi da utilizzare per l’attività di valutazione. Ad esempio, i metodi usati possono guardare a:• Una variabile esplicativa: gli incentivi per le imprese sono

tanto più efficaci quanto più elevato il livello di istruzione del titolare?

• Un numero chiuso di variabili esplicative: La dimensione di partenza, il livello di istruzione del titolare, e la vici-nanza alle reti di trasporto, influenzano l’efficacia degli incentivi sulle imprese che li ricevono?

• Un insieme aperto di variabili: Quali caratteristiche delle imprese aumentano la probabilità che l’incentivo che esse ricevono raggiunga gli obiettivi che si prefigge? …(even-tualmente segue elenco aperto delle variabili “sospette”).

Un aspetto a cui guardare per capire punti di forza e debo-lezza di un metodo di valutazione è poi il numero di casi

126 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

presi in esame. Un metodo che prevede un numero basso di casi studiati consente di affrontare domande “aperte”, che non predefiniscono le variabili esplicative. Al contrario, un numero elevato di casi studiati, per via di una tendenza verso la rappresentatività, ha il vantaggio di dire qualcosa di più provato riguardo alle variabili esplicative preventivamente individuate. Un metodo che prevede un numero basso di casi studiati, in casi particolari, può consentire anche di ri-vedere i concetti che sono porti inizialmente di guida alla valutazione come quello di efficacia, o le modalità previste di misurazione dei risultati

Nel campo della ricerca-innovazione sono particolar-mente utili metodi di valutazione d’impatto che abbiano le seguenti caratteristiche:• che non giudichino sulla base di performance medie, ma

valorizzino gli estremi positivi della distribuzione;• che premino (e perciò incoraggino) l’assunzione di rischi

da parte degli attori del sistema innovazione1;• che mettano in luce come elevate percentuali di fallimen-

to di progetti sono un dato positivo per un programma o strumento.

Step 3 - Dai metodi all’organizzazione della singola va-lutazione

Nella programmazione dell’attività di valutazione gioca un ruolo centrale anche la gestione degli incarichi di valuta-zione, la quale va spesso decisa caso per caso, sulla base della natura della domanda. Le principali decisioni da prendere sono tre: 1) i tempi previsti per la ricerca e per la consegna dei risultati; 2) l’affidamento a società di mercato o svolgi-mento all’interno dell’amministrazione; 3) i meccanismi a garanzia della qualità.

1. Perrin (2002).

127Uno schema di guida alla valutazione

Tempi previsti per la ricerca e per la consegna dei risultati: i criteri di scelta• Le valutazioni ex-post, volte a stimare i risultati o gli

impatti raggiunti, richiedono di aspettare che questi si manifestino completamente. Questo è un problema per le politiche di ricerca che spesso rappresentano investi-menti a lungo termine

• La necessità di indirizzare specifiche scelte di policy spes-so condizionano la tempistica della consegna

• Il piano di valutazione ha la funzione di prevedere quan-do le valutazioni saranno avviatee perciò influenza la tempistica e la sequenza delle attività

L’affidamento di incarichi di valutazione: i criteri di sceltaAlcune considerazioni rappresentano punti di riferimen-

to per la decisione tra modalità alternative di svolgimento delle attività: all’interno o all’esterno.• La funzione di valutazione non è completamente ester-

nalizzabile.• L’affidamento a società esterna NON richiede inferiori

competenze all’amministrazione, che rimane interamen-te responsabile per l’interfaccia tecnica: in particolare per individuazione di una chiara domanda, per la gestione tecnica, per la garanzia della qualità.

• Esistono modalità miste in cui la valutazione è condotta da organismi interni (es. nuclei di valutazione) ma si avvale, a titolo individuale, di esperti.

• Non esistono metodi talmente complessi da non poter essere spiegati e discussi dai valutatori con i committenti esperti del settore ricerca.

Meccanismi per la garanzia della qualità: i criteri di sceltaMentre sono diversi i meccanismi possibili, la ratio è la

stessa per tutti: il responsabile o committente della valuta-zione non possiede in genere il tempo o le competenze per stabilire se il prodotto rispetta standard scientifici di affi-

128 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

dabilità. Ci si può quindi rivolgere a tre soggetti: il nucleo di valutazione (ove esista), uno steering group della speci-fica valutazione appositamente nominato, o una expertise esterna reclutata ad hoc. In tutti i casi è fondamentale la indipendenza fra valutatore e soggetto incaricato di questa meta-valutazione.

Step 4 - Monitoraggio, diffusione, utilizzo dei risultatiCome già enfatizzato sopra, l’attività e i dati di monito-

raggio, o la misurazione di indicatori da sé non costituiscono la valutazione. Costituiscono invece un ingrediente che la valutazione deve utilizzare ed interpretare. I sistemi di mo-nitoraggio possono monitorare/misurare diverse dimensio-ni dell’attività sotto osservazione. Ad esempio il sistema di monitoraggio unificato del QSN misura l’attività di ricerca in giornate uomo (indicatore di realizzazione). Quanto alle politiche per la ricerca e innovazione, tra gli “indicatori con target del QSN” c’è invece il rapporto spese di ricerca delle imprese/PIL, con target concordati regionali e per macro-area. In generale dunque, un investimento nella produzione di dati o indicatori è di interesse della valutazione che li use-rà. Per queste ragioni, come già sottolineato, è importante fissare già in fase di programmazione della politica variabili e strumenti che siano poi reperibili in fase di monitoraggio e valutazione (es. presenza di dati secondari prodotti dagli istituti ufficiali di statistica come le spese in R&S a livello regionale).

Per quanto concerne la diffusione dei risultati della valu-tazione non è sufficiente prevedere, come molte volte accade, di risolvere la questione con un’indicazione di massima del tipo “sarà data la massima diffusione…”. È possibile, invece, prevedere un grado di diffusione differenziata: pubblica per alcune valutazioni, interna per altre, più delicate, a tutela dell’indipendenza del valutatore. In questo senso anche in questo caso è importante stabilire in anticipo, nel piano o nel mandato specifico di valutazione, tempi e modalità di

129Uno schema di guida alla valutazione

diffusione, ad esempio attraverso seminari, conferenze stam-pa con date previste, etc. In altri casi, sarebbe consigliabile esprimersi nel piano nel senso di prevedere un diritto espli-cito per il pubblico di accedere al rapporto di valutazione.

Infine per quanto riguarda l’utilizzo dei risultati della valutazione, in generale l’utilizzo non può essere garantito. A volte si tende a dare un’importanza eccessiva alle indica-zioni o raccomandazioni (l’ultimo paragrafo del rapporto di valutazione), ipotizzando che debbano essere necessaria-mente incorporate nelle successive scelte di policy. Tuttavia occorre evidenziare come un rapporto le cui raccomanda-zioni non sono state utilizzate dal committente non è uno spreco di risorse. Gli stessi committenti della valutazione a volte attribuiscono troppo valore alle raccomandazioni, sopravvalutandone l’affidabilità. Altre viene considerato in modo troppo circoscritto il possibile valore che può derivare dalla valutazione, laddove ci si aspetta che il contributo di conoscenza all’interno dei rapporti di valutazione si localizzi solo nella sezione dedicata alle raccomandazioni di policy. Al contrario, i momenti decisionali su cui le valutazioni possono influire sono imprevedibili ex-ante, così come le forme di conoscenza utile alla decisione pubblica che possono deri-vare dalal valutazione.

131Temi emersi dal dibattito

4.4. Temi emersi dal dibattito e direzioni proposte per approfondimenti futuri

La valutazione delle politiche per la ricerca e l’innovazione risente dell’ampiezza e dell’incertezza dei confini di questo ambito di intervento pubblico. Infatti, i metodi considerati generalmente più affidabili per la valutazione si applicano con profitto solo ad un sottoinsieme delle politiche in oggetto e precisamente a quelle che promuovono gli investimenti in ricerca o sviluppo industriale attraverso trasferimenti diretti alle imprese. A questo genere di politiche che si attuano at-traverso selezioni competitive di progetti d’impresa è infatti possibile applicare metodi statistici piuttosto rigorosi, che consistono in sostanza nel confrontare i risultati ottenuti dalle imprese finanziate con scenari alternativi ipotetici rico-struiti in modo speculativo (c.d. metodo controfattuale) che descrivono come il mondo avrebbe potuto essere in assenza di quell’intervento. Le politiche, tuttavia, comprendono an-che interventi di un genere molto diverso e che oggi sono in forte espansione sulla scorta di una teoria che configura l’innovazione non più come frutto di un processo solo in-terno a ciascuna impresa, ma come risultato di scambi e relazioni fra soggetti di natura diversa. Si tratta di politiche che consistono nel finanziamento di organismi pubblico-privati polifunzionali, che erogano una gamma di servizi sempre diversa fra cui trasferimento tecnologico, incuba-zione d’impresa, assistenza alla brevettazione, etc. Questo genere di politiche si presta molto meno ad essere valutata con metodi controfattuali di tipo statistico.

132 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

In queste condizioni, alcuni dei ragionamenti che spesso vengono svolti, e degli indirizzi che è possibile offrire all’attivi-tà di valutazione sulle politiche di innovazione, coprendo solo metodi controfattuali di tipo statistico, corrono il rischio di riferire alla totalità delle politiche quello che riguarda solo una parte di esse. Concentrarsi solo su uno dei metodi di valuta-zione possibili - l’approccio controfattuale - porta a trascurare molte delle esigenze conoscitive che il policy-maker oggi si trova ad esprimere. Il sostegno pubblico all’innovazione che viene erogato in collaborazione tra lo Stato e le imprese e/o i centri di ricerca che si vogliono sostenere, richiede anch’es-so di venire valutato in misura proporzionale all’importanza crescente che esso occupa all’interno delle politiche.

Dalle discussioni del gruppo di lavoro sulla valutazione d’impatto delle politiche di ricerca emergono confermati una serie di orientamenti già ampiamente condivisi, ma che si auspica che divengano patrimonio comune delle ammi-nistrazioni incaricate di gestire le politiche di sostegno alla ricerca e sviluppo a livello regionale:• Le esigenze conoscitive del finanziatore pubblico devo-

no prevalere su altre considerazioni di tipo tecnico o metodologico nel determinare le attività di valutazione da svolgere. A guidare i temi di valutazione scelti devo-no essere quindi le carenze informative sulle politiche finanziate, con particolare riguardo per i risultati e gli impatti, unitamente alle esigenze di indirizzo delle poli-tiche presenti e future.

• Visto che diversi metodi di valutazione posseggono punti di forza e debolezza, e considerata la varietà delle poli-tiche di sostegno all’innovazione, ne deriva la necessità di selezionare il metodo di valutazione in relazione alla domanda ed all’oggetto della valutazione stessa. Non esistono quindi metodi in assoluto superiori agli altri.

• È invece chiara l’esigenza di adattare i metodi seguiti dalla valutazione all’oggetto e all’obiettivo della valuta-zione, il che richiede che i committenti della valutazione

133Temi emersi dal dibattito

posseggano le nozioni base sulle alternative possibili ed i vantaggi relativi di ciascuna.

• È necessario innestare la valutazione nella filiera dell’am-ministrazione delle politiche per la ricerca e sviluppo, aggiungendola alle attività previste e necessarie per una loro corretta attuazione. A questo proposito è importante prevedere la raccolta dei dati necessari alla valutazione già nella fase di definizione della politica o strumento, come si sostiene con riguardo ai metodi controfattuali statistici nel par. 3.2 di questo scritto, e come è emerso dai lavori del gruppo di lavoro sulla valutazione ex-ante di queste politiche.

• L’applicazione di metodi diversi alla medesima domanda valutativa può accrescere l’affidabilità dei risultati della valutazione. A questo proposito la triangolazione me-todologica costituisce un approccio efficace poiché ve-rifica in che misura un risultato resta valido utilizzando diverse metodologie di analisi. Un esempio al riguardo può essere offerto dal già citato risultato emerso da una valutazione condotta dalla Banca d’Italia1 secondo la quale gli incentivi alla ricerca e innovazione erogati in favore delle grandi imprese non generano addizionalità. La conferma di questo risultato attraverso l’utilizzo di altri strumenti di analisi, es. interviste dirette o studi di caso, renderebbe più robusto tale importante risultato.

• La qualità dei risultati della valutazione viene promossa, oltre che dall’utilizzo di metodi validi e adatti alla do-manda, dall’impostazione di meccanismi istituzionali di tutela della qualità stessa, nonché dalla trasparenza con cui i metodi utilizzati vengono documentati.

Al di là delle indicazioni di cui ai punti precedenti, valide per l’attività di valutazione generale, alcuni indirizzi specifici

1. Bronzini e Iachini (2011).

134 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

sono emersi con riguardo alle politiche per l’innovazione e la ricerca. Vale la pena ribadire che nel caso della valutazione delle politiche di promozione dell’innovazione ci troviamo di fronte ad un’attività che presenta delle particolarità: l’innova-zione è un’attività per natura rischiosa, incerta, di tipo trial and error, e infine che richiede tempo per dare dei risultati. Da ciò deriva che la maggior parte dei tentativi di innovare devono, per definizione, fallire.

Quest’elemento peculiare comporta implicazioni cruciali in termini di valutazione. Si pensi ad esempio alla differenza con gli interventi materiali di tipo infrastrutturale, che non implica (o almeno non dovrebbe implicare!) la possibilità di un fallimento. Il combinato disposto di rischiosità e fallimen-to dovrebbe essere tenuto in considerazione nell’attività di valutazione. Ad esempio, valutare l’efficacia di una politica di sostegno all’innovazione prendendo come indicatore la media delle innovazioni generate o la percentuale di progetti che hanno generato innovazione può essere fallace per due ragioni. In primo luogo, perché in questo modo si premiano quegli interventi di policy che verosimilmente hanno genera-to innovazione meno rischiosa. In altri termini si premiereb-bero innovazione incrementali che, molto probabilmente, le imprese avrebbero condotto anche in assenza di policy. Tassi di successo delle ricerche industriali finanziate che risultino essere troppo elevati, possono essere giudicati negativamente in un contesto di rischio ed incertezza quale quello del tipo di innovazione che dovrebbe essere incoraggiato dalle po-litiche pubbliche.

In secondo luogo, un approccio alla valutazione che pre-mi le percentuali o medie elevate retroagisce negativamente sull’efficacia delle politiche future. Nel momento in cui la politica richiede risultati immediati e percentuali di successo elevato il rischio è che si finisca per incentivare/incoraggiare innovazione a basso rischio, meramente incrementale, di breve termine, o, peggio ancora, già nei fatti assicurata alle imprese che la propongono per il finanziamento. In definiti-

135Temi emersi dal dibattito

va, il rischio concreto è quello di sostenere con politiche pub-bliche innovazione non addizionale, contravvenendo quindi al principio di addizionalità che caratterizza questo tipo di politiche. Vale infine la pena di incoraggiare il policy maker a non temere il fallimento dell’attività innovativa. Nella realtà vi è apprendimento anche nel caso dei fallimenti. Le imprese imparano moltissimo dai loro errori e tentativi infruttuosi. Molto spesso progetti nuovi trovano la loro genesi nel fal-limento di progetti precedenti, a volta anche molto diversi, che la politica pubblica è quindi interessata ad incentivare.

Dai lavori del gruppo emerge quindi la necessità di porre attenzione sulla scelta della variabile di risultato da adottare come guida della valutazione, indipendentemente dai metodi scelti per la valutazione. Nel caso della ricerca e innovazione, a questa scelta deve essere dedicata una riflessione attenta che coinvolga non solo i valutatori di professione, ma anche l’am-ministrazione che è responsabile di raggiungere gli obiettivi che si è posta nel campo della R&I, e che perciò rappresenta il soggetto più indicato per interpretare le forme più adatte di misurazione del loro grado di raggiungimento. Se è ve-ro che spesso i dati disponibili possono rappresentare delle proxies imperfette dei fenomeni di innovazione vera che si vorrebbe cagionare attraverso le politiche pubbliche, è bene che i limiti delle variabili di risultato scelte per la valutazione siano conosciuti, anche per essere mitigati nell’interpreta-zione dei risultati.

Nella pratica, le variabili legate alla competitività del-le imprese possono essere quelle di più facile misurazione, ma è bene ricordare che la ratio economica per sostenere finanziariamente l’investimento di singole imprese risiede proprio della capacità di questi investimenti innovativi di generare esternalità, che questa variabili non colgono. Varia-bili che misurano l’innovatività di regioni e territori, d’altra parte, pur avendo la proprietà di catturare una certa quota delle esternalità generate dall’attività innovativa di singole imprese, hanno limiti. Il principale consiste nel fatto che la

136 qi11 - Valutazione di impatto: metodi ed esperienze

dinamica di questi indicatori, dipendendo da innumerevoli variabili e circostanze, è difficilmente riconducibile all’effetto di specifici interventi pubblici. L’obiettivo non può essere dunque di individuare uno o più indicatori che misurano in modo ottimale gli esiti attesi dalle politiche, ma di adottare quegli indicatori che meglio contemperano i limiti ed i van-taggi di ogni variabile, in corrispondenza delle domande di valutazione specifiche che guidano ogni attività o mandato di valutazione.

137Bibliografia e link a siti e documenti di interesse

5.5. Bibliografia e link

a siti e documenti di interesse

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Finito di stampare nel mese di maggio 2012da Rubbettino print

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QI volumi pubblicati

QI00 L’Italia dei Mille Innovatori, stampato nel maggio 2011 (disponibile on line)

QI01 Efficienza e privato nella sanità italiana, stampato nel dicembre 2011 (disponibile

on line)

QI02 L’informatica a scuola, stampato nel dicembre 2011 (disponibile on line)

QI03 I percorsi dell’innovazione nelle regioni italiane (disponibile on line)

QI04 Politiche ricerche e innovazione regioni (disponibile on line)**

QI05 Selezione ex ante dei progetti di ricerca industriale (disponibile on line)**

QI06 Energie rinnovabili ed efficienza energetica, stampato ad aprile 2012 (disponibile

on line)*

QI07 Mappatura e miglioramento dei processi di selezione nei bandi di ricerca indu-

striale (disponibile on line)**

QI08 Gli appalti pre-commerciali per il finanziamento dell’innovazione nelle regioni,

stampato nel maggio 2012 (disponibile on line)**

QI09 Foresight tecnologico a livello regionale, stampato nel maggio 2012 (disponibile

on line)

QI10 Indicatori di risultati intermedi per misurare la performance di distretti tecno-

logici e Poli di innovazione, stampato nel maggio 2012 (disponibile on line)

QI11 Valutazione di impatto: metodi ed esperienze, stampato nel maggio 2012 (di-

sponibile on line)

* da giugno disponibile on line in lingua inglese

** Collana del Progetto Sostegno alle politiche di ricerca e innovazione delle Regioni

Via Camperio 1, 20123 Milanowww.aginnovazione.gov.it