INDAGINE QUALITATIVA SULLA PROPENSIONE ALL’ATTIVITÀ …€¦ · fondamentali per la prevenzione...

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1 INDAGINE QUALITATIVA SULLA PROPENSIONE ALL’ATTIVITÀ FISICA IN CHI HA AFFRONTATO UN TRAPIANTO D’ORGANO a cura di FRANCESCA CONTI, FEDERICA MANZOLI, DANIELE PIROZZI – formicablu S.r.l. MANUELA TREROTOLA, DANIELA STORANI, FRANCESCA PUOTI, LIA BELLIS, ALESSANDRO NANNI COSTA – Centro Nazionale Trapianti 31 gennaio 2017

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INDAGINE QUALITATIVA SULLA PROPENSIONE ALL’ATTIVITÀ FISICA 

IN CHI HA AFFRONTATO UN TRAPIANTO D’ORGANO 

 a cura di 

FRANCESCA CONTI, FEDERICA MANZOLI, DANIELE PIROZZI – formicablu S.r.l. 

 

MANUELA  TREROTOLA,  DANIELA  STORANI,  FRANCESCA  PUOTI,  LIA  BELLIS,  ALESSANDRO 

NANNI COSTA – Centro Nazionale Trapianti  

 

 

 

31 gennaio 2017 

 

 

 

 

 

 

 

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Indice  

Introduzione  

1. Metodologia e campione  

2. Risultati: il punto di vista dei medici 

3. Risultati: il punto di vista dei pazienti 

4. Conclusioni e indicazioni operative 

5. Executive Summary 

Bibliografica 

Appendice 1 – Traccia di intervista ai medici 

Appendice 2 – Traccia di intervista ai pazienti trapiantati 

 

 

 

Trapianti e attività fisica 

Percezione, vissuto e attitudini dei pazienti trapiantati e dei loro medici 

Studi  scientifici  dimostrano  che  l’attività  fisica  nei  pazienti  trapiantati  migliora  la 

qualità della vita e la sopravvivenza dell’organo. È quindi fondamentale comunicare in 

modo efficace ai pazienti la necessità di fare movimento e fornire loro gli strumenti utili 

per poter accedere ai servizi. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Introduzione 

 

Da  dove  nasce  l’esigenza  di  indagare:  percezione,  vissuto  e  attitudine  dei  pazienti 

trapiantati e dei loro medici sul tema “Trapianti e attività fisica”. 

Un  adeguato  stile  di  vita,  una  dieta  equilibrata  e  un’attività  fisica  costante  sono 

fondamentali  per  la  prevenzione  di  malattie  cardiocircolatorie,  metaboliche, 

degenerative e tumorali e migliorano la qualità della vita. 

 

Oggi  esistono  evidenze  scientifiche  sull’efficacia  dell’esercizio  fisico  sia  nella 

popolazione generale sia nei soggetti affetti da patologie specifiche (Cartabellotta et al. 

2016). Promuovere  la cultura dell’attività  fisica e dello sport e  l’adozione di abitudini 

salutari aiuta a motivare i cittadini e i pazienti a mantenersi attivi durante tutta la vita e 

a raggiungere il proprio benessere fisico e psichico. 

A  livello nazionale,  le  Istituzioni e  le Regioni sono sempre più orientate a prescrivere 

l’attività  fisica per prevenire  l’insorgere di patologie e migliorare  la qualità di vita dei 

cittadini.  Il  Centro Nazionale  Trapianti  (CNT)  è  in  prima  linea  nella  promozione  del 

tema  Sport  e  Trapianti.  In  particolare  il  CNT  ha  avviato  nel  2008  il  progetto 

“Trapianto...  e  adesso  Sport”,  promosso  in  collaborazione  con  l’Istituto  Superiore  di 

Sanità, il Centro Studi Isokinetic, l’Università di Bologna e le Associazioni di settore con 

l’obiettivo di  coinvolgere  i  soggetti  trapiantati d’organo,  sportivi e non,  invitandoli a 

partecipare a iniziative sportive e a praticare un’attività fisica controllata. 

 

Nel 2010 il CNT ha disegnato un Protocollo di Ricerca per dimostrare scientificamente 

gli effetti dell’attività fisica sul trapiantato d’organo e  l’importanza dell’esercizio fisico 

come  “terapia”  post  trapianto.  È  partito  così  il Protocollo di Ricerca  “Trapianto…  e 

adesso sport” che è stato  il primo studio scientifico disegnato per misurare gli effetti 

dell’attività fisica nel paziente con trapianto di organo solido.  

 

L’obiettivo  principale  dello  studio  è  stato  quello  di  verificare  il  miglioramento  dei 

parametri biologici e  la condizione fisica del trapiantato e migliorare  la sopravvivenza 

dell’organo  trapiantato.  Un  effetto  non  secondario  dello  studio  è  stato  quello  di 

motivare  i pazienti coinvolti al ritorno a una vita piena e soddisfacente,  inducendoli a 

modificare  e  migliorare  il  proprio  stile  di  vita  per  accettare  il  cambiamento  e  il 

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trapianto.  Inoltre,  sono  state prodotte delle  linee guida  riconosciute e adottabili dal 

Sistema Sanitario Nazionale.  

I  risultati dello  studio hanno  confermato  l’ipotesi  che  l’esercizio  fisico  si  configura 

come un vero e proprio farmaco. 

 

Nel 2012 è nato  il progetto “Novecolli Life” con  l’obiettivo di verificare  l’andamento 

fisiologico della funzionalità renale in un gruppo di soggetti trapiantati a confronto con 

un gruppo di soggetti non trattati in relazione a una granfondo di ciclismo. 

 

I  gruppi  sono  stati  analizzati  il  giorno  prima,  subito  dopo  e  il  giorno  seguente  alla 

granfondo. I dati raccolti dal 2012 al 2014 hanno dimostrato che  i soggetti trapiantati 

in  buone  condizioni  di  allenamento,  ossia  che  nel  corso  dell’anno  svolgano  gli 

allenamenti necessari ad affrontare una gara agonistica, sono in grado di sopportare lo 

sforzo  richiesto  e  hanno  una  funzione  renale  del  tutto  sovrapponibile  a  quelli  di 

sportivi non trapiantati. 

 

Le evidenze scientifiche emerse nell’ambito del progetto “Trapianto... e adesso Sport” 

vanno  a  questo  punto  tradotte  in  prodotti  di  comunicazione  utili  a  informare  i 

pazienti trapiantati della possibilità e dell’importanza di praticare attività fisica. 

 

La ricerca che descriviamo in questo documento nasce dalla necessità di impostare una 

strategia  di  comunicazione  efficace,  realizzabile  solo  partendo  dall’ascolto  delle 

esigenze del target al quale ci si rivolge. 

I  risultati  saranno  utilizzati  per  realizzare  prodotti  di  comunicazione  mirati  a  far 

conoscere  l’importanza  terapeutica  dell’attività  fisica  in  fase  riabilitativa  e  nel 

trattamento delle malattie metaboliche nei pazienti trapiantati.  

Nel corso dello studio, la qualità del lavoro sul campo e dei dati raccolti hanno portato 

ad andare oltre a questo obiettivo:  l’analisi condotta vale non solo come base per  la 

comunicazione del CNT, ma anche come ricognizione sulla situazione  italiana  in tema 

di trapianti e attività fisica, utile per tutti gli stakeholder del settore. 

Infine,  la  scarsità di  studi di  tipo qualitativo  in  letteratura  (van Adrichem E.  J. 2016), 

verificata prima e durante  la progettazione e  la  realizzazione della presente  ricerca, 

dimostra non solo il valore funzionale, ma anche quello scientifico di questo report. 

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1. Metodologia e campione 

 

I  cittadini  trapiantati  sono  un  gruppo  sempre  più  numeroso  che  necessita  di 

mantenere  e  migliorare  la  qualità  della  propria  vita.  Perché  chi  ha  affrontato  un 

trapianto  possa  tornare  a  fare  movimento  servono  motivazione,  informazioni  e 

comunicazioni corrette. 

A partire da questo assunto, è  stata  condotta una  ricerca disegnata e  realizzata per 

indagare la percezione, il vissuto e le attitudini dei pazienti trapiantati e dei loro medici 

in merito alla pratica dell’attività fisica. 

Per  la progettazione dell’indagine sul campo e  l’analisi dei  risultati  si è  tenuto conto 

delle necessità di: 

1. costruire un quadro della percezione di alcuni medici trapiantologi e dello sport 

che hanno partecipato al progetto “Trapianti e… adesso sport” e di alcuni pazienti 

trapiantati su esperienze e idee legate a una buona comunicazione dell’argomento 

2. isolare gli elementi salienti per costruire una buona comunicazione. 

 

Per  le finalità di approfondimento della ricerca, si è privilegiato  il metodo qualitativo, 

applicato  attraverso  la  tecnica  dell’intervista  individuale  semi‐strutturata  (stesse 

domande aperte per tutti gli intervistati, cfr. Bauer e Gaskell 2000). 

 

Complessivamente,  nel  periodo  aprile  ‐  settembre  2016,  sono  state  realizzate  23 

interviste rivolte rispettivamente a un campione di 7 medici e 16 cittadini trapiantati.  

I pazienti sono stati selezionati in relazione al trapianto di tre organi solidi: rene, fegato 

e cuore. La scelta della tipologia di trapianto è stata  fatta  in accordo con  il CNT ed è 

stata dettata dalla maggiore frequenza di intervento rispetto ad altri trapianti d’organo 

solido. 

 

 

1.1 Il campione dei medici e gli obiettivi conoscitivi 

 

Per  il  reclutamento  dei  medici  si  è  tenuto  conto  della  necessità  di  coinvolgere 

trapiantologi, medici  dello  sport  e  psicologi  già  attivi  nell’ambito  del  protocollo  di 

ricerca  “Trapianti  e…  adesso  sport”.  In  questo modo  è  stato  possibile  analizzare  le 

esperienze di chi da anni lavora nel campo a stretto contatto con i pazienti e porta una 

conoscenza approfondita della pratica non solo medica, ma anche comunicativa ‐ verso 

e dal paziente e all’interno della comunità scientifica stessa.  

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Di seguito l’elenco dei medici intervistati: 

MEDICO  SPECIALIZZAZIONE  CENTRO DI APPARTENENZA 

dott. Vincenzo Tursi  Chirurgo Cardiologo  Centro Trapianti cuore Udine 

dott.sa Patrizia Burra  Chirurgo Epatologo  Centro Trapianti fegato Padova 

dott. Marco Senzolo  Complicanze malattie del fegato 

U.  O.  Gastroenterologia  Ospedale  di 

Padova 

dott. Giovanni Mosconi  Chirurgo Nefrologo  Ospedale di Forlì 

dott. Gianluigi Sella  Medico dello Sport  AUSL di Ravenna 

dott. Massimo Boffini  Chirurgo Cardiologo 

Città  della  Salute  e  della  Scienza  di 

Torino 

prof. Andrea Ermolao  Medico dello sport  Università degli Studi di Padova 

dott.sa Clara Travaglini  Psicologa  Centro Trapianti cuore Udine 

Tab. 1: Campione di medici intervistati 

 

Consolidati gli obiettivi di ricerca, è stata formulata  la traccia di  intervista, discussa  in 

presenza e via conference call  fra  il CNT e  le ricercatrici di  formicablu. Le bozze sono 

state  commentate  e modificate  dal  gruppo  di  lavoro,  fino  ad  arrivare  alla  versione 

definitiva riportata in appendice 1 (traccia di intervista ai medici). 

 

Il flusso degli argomenti trattati parte da un’introduzione sul tema di trapianti e sport 

nell’esperienza  professionale  dell’intervistata/o,  con  un  focus  particolare 

sull’opportunità  di  parlare  di  “sport”  o  “attività  fisica”;  affronta,  in  termini  prima 

generali  e  poi  specifici,  i  vantaggi  e  gli  ostacoli  nella  pratica  dell’attività  fisica  nei 

pazienti  (dall’attività del  centro  trapianti  secondo  il protocollo di monitoraggio post‐

trapianto alla presenza di strutture idonee, dal ruolo dei famigliari e delle associazioni 

alle  variabili  psicologiche  implicate);  arriva  all’approfondimento  di  cosa  e  come 

comunicare  ai pazienti,  in modo efficace, per  rendere più diffusa e praticata questa 

forma di terapia. 

 

In questo documento sono riportate le citazioni dei momenti più significativi delle varie 

interviste. Si è scelto di non  indicare da quale voce  in particolare sono espresse  idee, 

opinioni  e  suggerimenti.  Il motivo  è  la  sostanziale  coerenza degli  argomenti  raccolti 

nelle  interviste,  che  non  hanno  rilevato  posizioni  diverse  a  seconda  del  tipo  di 

specializzazione.  Unica  eccezione  è  la  psicologa  intervistata,  che  ha  mostrato  una 

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prospettiva  differente  e  di  grande  importanza  nell’affrontare  il  tema,  soprattutto  in 

relazione all’evoluzione emotiva dei pazienti.  

 

 

1.2 Il campione dei pazienti e gli obiettivi conoscitivi 

 

I  risultati  emersi  da  questa  prima  parte  dell’indagine  sono  stati  poi  utilizzati  per  la 

definizione  della  traccia  delle  interviste  per  i  pazienti.  La  traccia  definitiva 

dell’intervista ai pazienti è riportata in appendice 2 (traccia di intervista ai pazienti). 

 

Per  la  costruzione  del  disegno  di  ricerca  relativo  ai  pazienti  si  è  tenuto  conto  della 

popolazione complessiva (Fig. 1) di pazienti trapiantati di rene, fegato o cuore e delle 

seguenti variabili:  

provenienza geografica: regione di residenza (Nord, Centro, Sud).  

genere: uomo, donna 

fascia di età: 18‐30 anni; 31‐50 anni; 51‐70 anni 

tipologia di trapianto effettuato: rene, fegato, cuore. 

Tutti  i pazienti  selezionati per  l’indagine hanno affrontato  il  trapianto da almeno  tre 

anni.  Il  reclutamento dei pazienti è  stato  effettuato dal CNT  in  collaborazione  con  i 

Centri  Trapianto  regionali  di:  Lombardia,  Friuli  Venezia  Giulia,  Emilia  Romagna, 

Abruzzo, Lazio e Sicilia. Al fine di individuare i possibili partecipanti al progetto il CNT, 

in accordo con formicablu, ha definito  i criteri e  le variabili di selezione, chiedendo al 

Centro Trapianti di  riferimento di verificare  la disponibilità a partecipare al progetto 

dei pazienti in cura. Il nominativo dei pazienti che hanno espresso il proprio consenso a 

partecipare all’indagine conoscitiva, nonché il proprio consenso al trattamento dei dati 

personali, è  stato  trasmesso al CNT, che ha  trasferito  il nominativo a  formicablu per 

poter contattare i pazienti e intervistarli.  

I  dati  personali  dei  pazienti  che  hanno  partecipato  all’indagine  non  saranno  resi 

pubblici. 

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 Fig. 1 Trapianti da donatore – Dati ISTAT 2015 

 

Di seguito il campione di pazienti intervistati: 

 

CODIFICA  PROVENIENZA GEOGRAFICA  GENERE  ETÀ  TIPOLOGIA  DI 

TRAPIANTO 

Paziente 1  Lombardia  Uomo  18‐30  Rene 

Paziente 2  Friuli Venezia Giulia  Uomo  31‐50  Rene 

Paziente 4  Emilia Romagna   Uomo  51‐70  Rene 

Paziente 5  Abruzzo  Uomo  51‐70  Rene 

Paziente 6  Sicilia  Uomo  51‐70  Rene 

Paziente 7  Friuli Venezia Giulia   Donna  31‐50  Rene 

Paziente 8  Emilia Romagna   Donna  51‐70  Rene 

Paziente 9  Sicilia  Donna  51‐70  Rene 

Paziente 10  Lombardia  Uomo  31‐50  Fegato 

Paziente 12  Friuli Venezia Giulia  Uomo  51‐70  Fegato 

Paziente 13  Lazio  Uomo  51‐70  Fegato 

Paziente 14  Emilia Romagna  Uomo  18‐30  Fegato 

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Paziente 15  Sicilia  Donna  51‐70  Fegato 

Paziente 16  Sicilia  Uomo  18‐30  Cuore 

Paziente 17  Abruzzo  Uomo  51‐70  Cuore 

Paziente 18  Lombardia  Donna  31‐50  Cuore 

Tab. 2: Campione di pazienti intervistati* 

 

*In un caso, l’intervista si è svolta con la partecipazione del padre di un giovane paziente che ha risposto 

al telefono al suo posto ed è intervenuto frequentemente nell’intervista prendendo parola. 

 

Il  flusso  degli  argomenti  trattati  è  iniziato  da  una  parte  introduttiva  utile  a 

contestualizzare  l’argomento dell’attività  fisica e capire “come ci si prende cura di sé 

dopo il trapianto”.  

In seguito,  i  ricercatori hanno approfondito  i significati che  i pazienti attribuiscono al 

concetto di attività fisica, facendo attenzione a far emergere la differenza fra “attività 

fisica” e “sport” che potrebbero essere fraintesi in sede di comunicazione pubblica. Di 

seguito, è  stata  indagata  la  storia  “sportiva” degli  intervistati,  facendo  attenzione  al 

periodo  di  vita  precedente  al  trapianto  e  a  quello  successivo.  Sono  stati  esplorati  i 

motivi  per  praticare  e  non  praticare  l’attività  fisica,  con  attenzione  particolare  agli 

ostacoli  e  ai  modi  per  superarli.  È  stata  testata  la  reazione  nei  confronti  di  una 

prescrizione da parte del medico, alla pari delle terapie farmacologiche. Infine, è stato 

chiesto  quali  modalità  di  comunicazione  sono  usate  e  potrebbero  incoraggiare  i 

pazienti con trapianto a svolgere attività fisica, sia dal punto di vista dei contenuti da 

ribadire, sia delle forme (app, siti web, opuscoli). 

 

 

1.3 Analisi delle interviste 

 

Tutte  le  interviste  sono  state  registrate con  il consenso degli  intervistati,  trascritte e 

analizzate  tramite  il  software  ATLAS.ti  (http://atlasti.com/)  che  permette  l’analisi  di 

dati qualitativi segmentando i testi in base a categorie di significato date. 

I gruppi di  risposte  corrispondenti alle domande di  ricerca  sono  stati  creati  secondo 

“etichette”, attribuite ai segmenti di testo corrispondenti. 

In  seguito,  i  concetti emersi  sono  stati  interpretati e  commentati  alla  luce di  fattori 

importanti per  la buona comunicazione dell’argomento,  secondo  il  seguente  schema 

interpretativo: 

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 Fig. 2 Schema interpretativo delle interviste a medici e pazienti trapiantati 

 

Mentre  le  citazioni  dei medici  non  sono  seguite  dall’identificazione  del  rispondente,  per  i 

pazienti – così da  rimarcare  le differenze  fra  le diverse  tipologie – è  stata usata  la  seguente 

classificazione: 

numero 

organo 

età 

sesso 

zona geografica. 

Es. 13_Fegato_51‐70_U‐Centro 

 

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2. Risultati: il punto di vista dei medici 

 

2.1 L’esperienza dei medici intervistati sull’argomento trapianti e attività fisica 

 

I medici  che  hanno  partecipato  a  questa  indagine  hanno  tutti maturato  esperienza 

nell’ambito del protocollo di ricerca “Trapianti… e adesso sport” e sono sostenitori e 

testimoni dell’importanza della pratica dell’attività fisica sotto il profilo clinico.  

 

La  scelta  del  loro  profilo  e  il  loro  dichiarato  impegno  orientano  evidentemente  la 

lettura di opportunità e problemi  legati alla pratica dell’attività fisica. D’altra parte,  in 

quanto profondi conoscitori del panorama,  il  loro punto di vista esperto ha permesso 

di  articolare  le  interviste  in modo  efficace  e mirato  all’individuazione  di  problemi  e 

soluzioni  per  promuovere  al  meglio  l’AF,  all’interno  e  all’esterno  della  comunità 

medica. 

 

Un  aspetto  che  caratterizza  da  subito  i  loro  discorsi  è  la  necessità  di 

istituzionalizzazione  della  pratica  sportiva  sui  pazienti  trapiantati,  e  in  generale  nei 

pazienti cronici. 

 

È questo  il motivo che  li ha spinti a credere  in un progetto strutturato che comporta 

l’elaborazione di risultati scientifici ed è gestito a livello nazionale dal CNT. 

 

“Il progetto “Trapianti… e adesso sport” rappresenta un’opportunità per far conoscere al 

paziente  e  al  personale  medico,  specialmente  ai miei  giovani  collaboratori,  l’utilità 

dell’attività  fisica post  trapianto. Sono  convinta  che  l’esercizio  fisico debba  sempre più 

essere  considerato una prescrizione medica  al pari di una  terapia  farmacologica per  i 

pazienti trapiantati.” 

 

“Nel  nostro  centro  abbiamo  arruolato  quattro  pazienti  con  questo  studio,  con  ottimi 

risultati in termini di calo ponderale, qualità della vita e miglioramento degli esami bio‐

umorali.” 

 

“Con  il CNT abbiamo aderito al progetto  ‘Trapianto… e adesso sport’, ed è un qualcosa 

che  avevamo  voluto  fortemente  tutti  quanti,  o  meglio  un  certo  gruppo  di  medici 

specialisti  e  patologi  dei  trapianti.  Abbiamo  cercato  di  formulare  qualcosa  che  fosse 

strutturato. Il fatto che l’attività fisica finalmente entri anche nel concetto di uno studio, 

che venga randomizzato e dia risultati gestibili dal punto di vista scientifico, è un salto di 

qualità notevole nel mondo dei trapianti. Ci attendiamo dei risultati.” 

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“Per  noi  questo  progetto  è  stata  una  grossa  opportunità  perché  ha  poi  innescato, 

soprattutto in Emilia Romagna, la messa a punto di un modello che è stato recepito per 

essere applicato poi in altri ambiti specialistici (cardiologia, diabetologia) in cui l’attività 

fisica  è  risultata  come  un  beneficio  vero  e  proprio  per  l’evoluzione  della malattia  dei 

pazienti.”  

 

 

2.2 Sport e attività fisica: per una cultura della terapia post‐trapianto 

 

È  ampiamente  dimostrato  che  le  persone  sottoposte  a  trapianto  d‘organo  possono 

recuperare  una  buona  qualità  di  vita  e  l’attività  fisica  rappresenta  un  percorso  di 

recupero e benessere, ma anche un mezzo per  testimoniare  l‘efficacia del  trapianto. 

Riappropriarsi  della  funzionalità  del  proprio  corpo  dopo  un  trapianto  d‘organo 

rappresenta una tappa fondamentale. 

 

Fin dalla prima intervista a un medico pioniere della promozione dell’attività fisica per 

pazienti  trapiantati  è  emerso  come,  dal  punto  di  vista medico,  non  sia  opportuno 

parlare di “sport”, ma sia meglio riferirsi ad “attività fisica”. 

 

Nel parlare comune, in ogni caso, “fare sport” significa anche “fare movimento”, senza 

implicare necessariamente l’aspetto di una pratica complessa o agonistica.  

Questo  concetto  è  stato  in  seguito  approfondito  nelle  interviste  ai  colleghi,  così  da 

entrare nella  tematica  in modo  costruttivo e  riflettere  sulla  sua definizione  in modo 

approfondito. 

 

“Ci  portiamo  dietro  il  termine  “sport”  anche  per  il  tipo  di  nome  che  abbiamo  dato  al 

programma "Trapianti... e adesso sport". Noi non vogliamo che i pazienti facciano sport, 

ma attività fisica, quello che dobbiamo contrastare è la sedentarietà. È un concetto che 

nasce da un errore metodologico. Dall'attività fisica si può poi arrivare a fare sport, ma 

bisogna prima di tutto risolvere l'errore. In linea di massima, l'attività fisica regolare può 

essere  fatta  dalla  stragrande  maggioranza  dei  pazienti.  Pazienti  con  problemi 

cardiologici  in  atto  o  importanti  limitazioni  articolari.  Per  il  resto  tutti  possono  fare 

attività.” 

 

“Parliamo  sempre  di  attività  fisica  e  non  sportiva  perché  “sport”  è  una  parola  non 

adeguata a quello che vogliamo fare. È vero che esistono le Olimpiadi dei trapiantati, le 

gare  ciclistiche  e  di  sci  dei  trapiantati,  quindi  è  vero  che  c’è  un’attività  sportiva  nel 

mondo del trapianto, a tutti  i  livelli nazionali e  internazionali, ma ciò su cui puntiamo a 

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livello di medici  che  continuamente  vedono pazienti  in ambulatorio  e  reparto prima  e 

dopo  il  trapianto, quello  che deve entrare nella mentalità del medico  che  li  segue, è 

parlare di attività fisica…  

 

“Il primo step dovrebbe essere quello dell’attività fisica, cioè far comprende alle persone 

cosa  dovrebbero  fare  per  mantenere  il  peso,  insieme  a  un’alimentazione  adeguata. 

Mentre pochi possono chiaramente dedicarsi all’attività sportiva, che è diversa.” 

“Noi qui dobbiamo parlare di attività fisica e non sport perché  lo sport è già un’attività 

fisica fatta  in maniera organizzata, seguendo delle regole secondo una certa disciplina. 

Invece noi  intendiamo attività  fisica  in generale quindi qualsiasi movimento del nostro 

corpo che prevede l’aumento del consumo di ossigeno.” 

“Va  superata  la  sedentarietà,  fattore  di  rischio  molto  importante  per  lo  sviluppo  di 

patologie cardio‐vascolari perché  i  trapiantati hanno esperienza  importante  su questo; 

l'attività  fisica  regolare  sia per  la popolazione generale  che per pazienti  con patologie 

croniche ha risultati che si correlano a una migliore qualità di vita e aspettativa di vita. 

Per quello che riguarda la qualità di vita c'è una percezione dello stato di benessere e una 

riduzione  dei  fattori  di  rischio  come  le  infiammazioni  croniche  tipiche  dei  pazienti 

trapiantati. Non dimentichiamo che questi pazienti assumono  terapie  farmacologiche 

che  portano  ad  alterazioni  metaboliche  e  l'attività  fisica  regolare  migliora  le  loro 

condizioni.” 

 

In  fase  spontanea,  accanto  a  differenziare  fra  le  due  terminologie,  i  medici 

sottolineano come  le persone che sono state sottoposte a  trapianto d‘organo hanno 

dovuto rinunciare, spesso per lunghi periodi, a molti impegni della vita quotidiana e tra 

questi anche all’attività fisica. D’altra parte,  spesso i pazienti trapiantati soffrono della 

sindrome  metabolica  e  l’attività  fisica  è  il  mezzo  efficace  e  meno  invasivo  per 

contrastare molte disfunzioni. 

 

“La  sindrome  metabolica  si  manifesta  in  un’elevata  percentuale  di  pazienti  post 

trapianto,  con  un  interessamento  dell’organo  trapiantato  nel  20‐30%  dei  casi.  Tale 

prevalenza  sarà destinata ad aumentare ulteriormente,  in  relazione all’incremento dei 

trapianti per steatoepatite e per neoplasie del fegato correlate a NASH. Attualmente non 

vi  sono  terapie  farmacologiche  universalmente  raccomandate  per  la  steatosi  e  la 

steatoepatite,  specie  nei  pazienti  sottoposti  a  trapianto  di  fegato,  tranne  la 

combinazione  tra dieta e attività  fisica. Per  tali motivi,  ritengo  che  la  correlazione  tra 

trapianto e attività sportiva debba essere sempre più incoraggiata.” 

 

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“Si parte dall'attività di base che  le  linee guida mondiali danno, cioè un'attività di  tipo 

aerobico,  come  la  camminata  almeno  30‐40  minuti  al  giorno  almeno  tre  volte  alla 

settimana, come per i pazienti diabetici. Attività di tipo aerobico. Quest’attività aerobica 

può essere anche danza. Il progetto su cui noi abbiamo insistito negli ultimi anni è stato 

quello che associare all'attività aerobica anche esercizi di potenziamento muscolare che 

fanno parte , e devono far parte, di progetti  inseriti  in un network di collaborazione fra 

centri trapianto e centri di medicina dello sport e palestre certificate.” 

Dopo  un  trapianto  d‘organo  l‘obiettivo  da  perseguire  non  è  semplicemente 

“sopravvivere” ma “vivere”, il che comporta riacquistare una buona qualità di vita.  

Uno  dei  problemi  più  frequenti  è  l’aumento  di  peso,  che  comporta  una  maggior 

esposizione  al  rischio  cardiovascolare  e può  causare  l’insorgere di malattie  croniche 

come l’ipertensione o il diabete. La pratica dell’attività fisica comporta diversi vantaggi 

e non è sostituibile da pratiche farmacologiche. I risultati e i vantaggi però si misurano 

su tempi lunghi e analizzando un campione significativo di pazienti.  

“Il paziente con il trapianto è un paziente in cui abbiamo superato la malattia, abbiamo 

cambiato  qualcosa  nella  storia  naturale  della  malattia  del  fegato  perché  è  stato 

sostituito  un  organo.  Tutto  il  resto  dell’organismo  ne  trae  beneficio,  ma  non 

necessariamente ritorna a essere una persona che non ha dei problemi. Quindi il rischio 

di complicanze anche se minime chiaramente persiste. Ecco che  l’attività  fisica diventa 

non soltanto  la necessità per un concetto di salute che dobbiamo promuovere a  tutti  i 

livelli, ma una terapia che noi dovremmo  indicare al paziente trapiantato. Abbiamo  la 

percentuale  del  30%  dei  trapiantati  che  aumenta  di  peso,  il  40%  sviluppa  pressione 

arteriosa che prima non aveva, un altro 40% sviluppa  la sindrome metabolica, un 15% 

sviluppa  il diabete. È assurdo, dopo che salviamo  la vita a un paziente con  la cirrosi del 

fegato,  che  egli  –  un  po’  per  colpa  dei  farmaci  e  un  po’  perché  non  segue  le  nostre 

indicazioni – aumenti di peso, diventi  sedentario,  sviluppi  il diabete  e diventi  iperteso. 

Ecco  allora  che  non  abbiamo  ottenuto  un  ottimo  risultato.  Quindi  il  nostro  è  un 

problema medico e un problema sociale.” 

 

“Tutti dovrebbero fare attività fisica. Tutti dovrebbero godere di uno stato di salute che è 

legato a una corretta alimentazione. Che è legato al fatto di non aumentare di peso e di 

non sviluppare delle patologie che sono conseguenti a questo. E questo è un  livello che 

vale per i trapiantati come per un normale cittadino, la persona che non ha patologie. In 

aggiunta, chiaramente, il paziente con il trapianto è un paziente in cui abbiamo superato 

la malattia, abbiamo cambiato qualcosa nella storia naturale della malattia del  fegato 

perché è stato sostituito un organo, e tutto il resto però dell’organismo ne trae beneficio 

ma non necessariamente ritorna a essere una persona che non ha dei problemi.” 

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“Nel  trapianto  di  fegato  quello  che  si  rischia  è  che  nelle  complicanze  che  si  possono 

sviluppare  insorga  qualcosa  che  prima  non  c’era. Quindi  la  comparsa  di  ipertensione 

arteriosa, diabete, striatosi del fegato, aumento del colesterolo, aumento di peso. Tutti 

questi fattori, che prima non c’erano, ci preoccupano molto. Ecco perché a questo punto 

diventa  un  obbligo medico  prescrivere  un’attività  fisica  che,  al momento  attuale,  è 

l’unica  terapia  che  abbiamo.  Cioè  se  ci  fosse  un  farmaco  in  grado  di  risolvere  questa 

complicanza,  paradossalmente  potremmo  dire  ‘va  bene  non  è  necessario  puntare  su 

un’altra  terapia’. Ma  in questo caso  l’attività  fisica e  il calo ponderale è  l’unica arma 

che abbiamo.” 

 

“Un  paziente  trapiantato  tende  a  crescere  di  peso  e  avere  parametri  di  massa 

grassa/magra alterati.  Il  riuscire a  verificare  che  il  passaggio  dallo  stato  sedentario a 

quello attivo migliora questo parametro può essere  importante.  Il problema vero è che 

gli  outcome  più  importanti  che  cerchiamo  e  desideriamo,  cioè  sopravvivenza  del  rene 

trapiantato,  sopravvivenza  del  paziente,  incidenza  di  eventi  cardiovascolari,  cardiaci o 

neurologici, li possiamo vedere solo a distanza di anni e si perdono nella valutazione del 

singolo  paziente.  Questi  sono  solo  discorsi  che  possono  essere  sviluppati  nel  lungo 

periodo.” 

 

Sebbene  le  evidenze  scientifiche  abbiano  confermato  l’importanza  terapeutica 

dell’attività fisica per il trattamento post‐trapianto, l’importanza del “fare movimento” 

non  è  ancora  percepita  dalla  gran  parte  dei medici  come  fondamentale.  I medici 

intervistati  insistono  sulla  necessità  di  rinforzare  la  cultura  dell’attività  fisica  e 

suggeriscono  che  questa  vada  prescritta  come  un  farmaco  e  non  semplicemente 

consigliata. Emergono chiaramente il desiderio di formazione e la richiesta di messa in 

comune  di  messaggi  e  strumenti  che  dovrebbero  essere  forniti  a  tutti  i  medici. 

Sottolineano inoltre che la sedentarietà è un problema che non riguarda solo i medici, 

ma l’intera popolazione. 

“Cominciamo  da  un  dato  statistico:  il  30‐33%  della  popolazione  generale  riceve  dal 

proprio medico  il  consiglio di  fare attività  fisica. È una percentuale bassissima. Perché 

fondamentalmente non esiste una  cultura nel medico  che  riguarda  la promozione di 

stili di vita sani e soprattutto dell’attività fisica. Per il medico di medicina generale è più 

semplice  prescrivere  una  statina  o  un  altro  farmaco  piuttosto  che  incentivare  e 

prescrivere l’attività fisica. È evidente che il consiglio ‘ah devi fare attività fisica’ non ha 

un grande  impatto, quando  lo dicono. Bisognerebbe fare qualcosa di più organico, cioè 

proprio fare una prescrizione. Servono prescrizioni più che consigli.” 

 

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“A livello del medico la questione è culturale. Non è che uno possa essere contro l’attività 

fisica. È una questione di educazione del medico, quindi anche  il medico deve  seguire 

determinati  corsi  formativi  su quello  che deve  comunicare al paziente. Non  sempre  i 

medici sono capaci di comunicare. Possono avere anche  in mente questa cosa, ma non 

sempre sanno come comunicarla. Quindi, se arriva a  livello nazionale  il CNT e dice  ‘voi 

tutti  internisti,  cardiologi,  patologi,  nefrologi  ecc,  avete  un’informazione  comune  che 

dovete  tenere  in  considerazione:  qualsiasi  trapiantato  è  più  a  rischio  del  cittadino 

normale  di  sviluppare  questa  sindrome...’  quindi  è  informazione  e  educazione  del 

medico.” 

 

“Quando si sa che un paziente è trapiantato, gli allenatori delle palestre si spaventano. 

Quindi  l’impatto del trapianto di cuore è anche su chi deve gestire  l’attività sportiva. Si 

riscontrano difficoltà ad avere un certificato medico perché molto spesso i pazienti non 

sono  residenti nel posto dove  vengono operati  e  i  loro  cardiologi non  sono abituati 

rilasciare un certificato medico per l’attività sportiva.” 

 

 

2.3 I pazienti trapiantati 

 

Generalmente i pazienti arrivano al trapianto in condizioni di grave debilitazione fisica. 

Dopo  il  trapianto  si  può  riprendere  padronanza  del  proprio  corpo,  riacquisire 

un’autonomia a  cui  spesso era  stato necessario  rinunciare.  Il paziente è al  centro di 

tutto,  accompagnarlo  perché  possa  riacquisire  una  buona  qualità  della  vita  è  una 

priorità etica. 

 

“Noi abbiamo a che fare con pazienti che arrivano al trapianto  in condizioni veramente 

provate e quindi dopo  il  trapianto  riprendono una  vita praticamente normale e quindi 

anche  loro  sono abbastanza  stupiti del  fatto  che  ci  sia una  ripresa  così  importante. 

L’idea  che  l’attività  fisica  non  venga  rifiutata,  ma  incentivata  viene  colta  come  un 

aspetto estremamente positivo.” 

 

Ritornare a uno stile di vita attivo, non significa necessariamente fare sport, ma evitare 

uno stile di vita sedentario. La struttura di personalità dei pazienti è determinante ai 

fini  delle  possibilità  di  recupero  post  trapianto.  È  su  questo  fattore  che  si  colloca  il 

problema della gestione della comunicazione al paziente, argomento sul quale spesso i 

medici non sono formati e sui quali prodotti di comunicazione che aiutino i pazienti – 

così come la comunità medica – devono essere pianificati. 

 

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“L'ostacolo deriva moltissimo dalla  struttura di personalità del paziente.  Io non posso 

dire che c'è una situazione sovrapponibile a un'altra. Ognuno di loro ha un suo modo di 

affrontare  la  malattia,  il  trapianto  e  il  post.  Il  lavoro  da  fare  è  assolutamente 

personalizzato.” 

 

“Chiaramente, avendo la possibilità di conoscere la persona, con una valutazione pre‐

trapianto,  dal  punto  di  vista  psicologico,  possiamo  nel  seguito  far  leva  sui  fattori 

positivi.  Lavorando  su  quelli  si  riesce  a  superare  gli  ostacoli  che  sono  causati 

principalmente  dal  fatto  di  avere  vissuto  un  periodo  di malattia  importante,  a  volte 

un'insorgenza  improvvisa  del  problema  cardiaco,  assolutamente  mai  sospettata.  Nel 

momento  in  cui  il problema di malattia  viene  risolto, allora  si  lavora  sulla  ripresa  e  il 

recupero  di  una  qualità  di  vita  ottimale  sotto  tutti  i  punti  di  vista,  compreso  quello 

lavorativo. Una persona  che  tende a essere passiva,  lo è anche nel percorso di  cura e 

anche in quello ha bisogno di essere stimolata.” 

 

Quando non  ci  sono ostacoli di  tipo psicologico,  i  trapiantati  tendono a  tornare alle 

abitudini  che avevano prima della malattia. Al  contrario può accadere  che  i pazienti 

provati dalle difficoltà della malattia, dopo  il  trapianto  si  lascino andare e  sviluppino 

malattie che prima non avevano.  

 

 

2.4 Ostacoli clinici, prima e dopo il trapianto 

 

Gli  ostacoli  che  derivano  dal  quadro  medico  del  paziente,  così  come  l’età,  sono 

determinanti  nel  promuovere  il  tipo  e  la  quantità  di  attività  fisica  nei  pazienti 

trapiantati. L’abitudine prima del trapianto e l’età si confermano i principali fattori.  

 

In genere è più facile attivare un programma di sport con chi già lo praticava prima del 

trapianto.  La possibilità di  riprendere  le attività  che  si  facevano prima della malattia 

può essere una  leva su cui puntare per contrastare  la sedentarietà, ma soprattutto  la 

possibilità  di  tenere  sotto  controllo  le  conseguenze  del  trapianto  (farmaci)  è  un 

argomento molto efficace. 

 

“Di  solito  per  le  persone  che  facevano  attività  fisica  o  sportiva  prima  del  trapianto  è 

molto più semplice, nel senso che sono loro che chiedono quanto tempo dopo il trapianto 

possono riprendere. Noi ci siamo dati delle linee di comportamento: un paziente che ha 

un trapianto perfettamente riuscito senza complicanze, dopo sei mesi dal trapianto, per 

noi può riprendere con l’attività sportiva; a due anni da un trapianto senza complicanze il 

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paziente  può  fare  quello  che  vuole.  Può  riprendere  l’attività  sportiva  e  fare  attività 

agonistica, se non ha avuto complicanze.” 

“È evidente che dal paziente di 60 anni, che è arrivato provato al trapianto e che dopo il 

trapianto  sta  bene,  non  si  può  pretendere  che  faccia  una  grande  attività.  Comunque 

dopo  il  trapianto  queste  persone  stanno  mediamente  bene  e  quindi  cercano  di 

ritornare  a  una  vita  normale.  Sotto  casa mia  abita  un  trapiantato  di  22  anni  che  è 

tutt’altro che uno sportivo ma comunque fa di tutto: va a raccogliere i funghi…” 

 

I medici,  e  in  particolare  la  psicologa,  intervistati  sottolineano  la  necessità  di  non 

relegare  i  cittadini  trapiantati  in una  categoria omogenea:  i pazienti provengono da 

storie cliniche differenti e hanno età diverse. È importante tenere conto delle storie dei 

singoli.  

 

“Il nostro centro offre trapianti fino al settantesimo anno di età. Vediamo invecchiare la 

nostra popolazione e  l’età non facilita sicuramente,  inoltre  i pazienti, usando cortisone, 

non  sempre  hanno  un  sistema  osteo‐articolare  perfetto.  Ci  sono  anche  pazienti  che 

arrivano  in  una  situazione  terminale  prima  del  trapianto  importante,  quindi 

ricominciano piano piano.” 

 

“Il trapianto di fegato viene vissuto dal paziente con un’intensa carica emozionale. La 

buona  riuscita  del  trapianto,  il  recupero  di  una  buona  qualità  di  vita  riduce  la 

motivazione a  intraprendere attività fisica post‐trapianto.  In più a volte  le complicanze 

post  trapianto  (recidiva  della malattia  di  base,  complicanze  biliari,  rigetto,  neoplasie) 

possono  in  parte  distogliere  il  paziente  dalle  problematiche  dell’aumento  ponderale  e 

della dislipidemia.” 

 

Inoltre,  per  ciò  che  riguarda  gli  ostacoli  alla  ripresa  o  all’avvio  dell’attività  fisica,  la 

rilevanza del fattore psicologico è indubbia. In questo ambito rientrano due argomenti 

fondamentali:  la necessità di  riconquistare  fiducia nel proprio  corpo e  la difficoltà  a 

rendersi conto di non essere più malato. 

 

È il piano delle emozioni a contare di più e su questo devono essere creati messaggi e 

strumenti  che  le  affrontino  e  le  utilizzino.  L’attività  fisica  è  l’occasione,  secondo  i 

medici  intervistati,  per  aggiungere  all’esperienza  del  trapianto  un  benessere  attivo, 

oltre la cura farmacologica. 

 

“Nell'arco  del  primo  anno,  i  colloqui  sono  frequenti,  si  lavora  sul  ricostruire  un  buon 

equilibrio generale. Ci sono tanti aspetti importanti, come la ripresa dell'attività sessuale. 

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Anche su questo bisogna lavorare perché sono molto timorosi, pensano di star male. Per 

potergli far ritrovare la sicurezza di poter fare tutto bisogna lavorare molto su aspetti 

di personalità e carattere di ciascuno. Non posso dire che per ognuno si segua lo stesso 

percorso.  Ci  sono  quelli  più  positivi  e  molto  più  ottimisti  di  natura,  mentre  ci  sono 

pazienti che tendono ad avere un atteggiamento più passivo e hanno bisogno di essere 

stimolati e accompagnati di più.” 

“Molti trapiantati si sentono, cioè vengono ritenuti, persone ancora malate, fragili, che 

necessitano di essere custodite, soprattutto nel caso dei bambini (da parte dei genitori). 

E  questo  naturalmente  frena.  Non  possono  frequentare  posti  troppo  affollati  per  il 

problema delle infezioni dovuti al loro stato di immunosoppressione.” 

 

“La paura di fare sport dopo il trapianto per non peggiorare la funzione d’organo può 

essere  limitante per  il paziente.  In questo  contesto,  il manuale dell’allenamento dello 

sportivo trapiantato che è stato redatto dalla dottoressa Totti, edito dal CNT, è un ottimo 

strumento per guidare il paziente a fare un corretto esercizio. 

In alcuni casi si hanno delle complicanze  legate al trapianto, una controindicazione è se 

hanno magari ernie da ferita chirurgica, se hanno dovuto rioperare l’addome e lo sforzo 

fisico  può  avere  delle  complicanze.  Ma  questi  casi  non  sono  molti.  Dopo  un  anno 

dall’intervento non ci sono grosse controindicazioni dal punto di vista medico.” 

 

A questi ostacoli si aggiungono problemi di ordine economico e  logistico. Sebbene sia 

dimostrata l’efficacia terapeutica della pratica dell’attività fisica in fase post‐trapianto, 

questa non è ancora prescrivibile come terapia passata dal sistema sanitario nazionale 

(ticket), quindi i pazienti che vogliono praticare sport devono farsi carico di tutti i costi. 

 

“Il paziente che non ha mai fatto attività fisica fa un po’ di fatica a capire che deve farla 

come terapia. Nel momento  in cui decidiamo di fargli fare attività fisica e  il paziente  lo 

comprende, subentra un problema di  tipo economico. Nel senso che non abbiamo una 

disponibilità  dell’USL  che  dà questo  come  terapia. Per questo parlavo di  codice.  Se  il 

codice ci fosse e l’attività fisica venisse riconosciuta come una terapia, allora il servizio 

pubblico dovrebbe fornire questo con un ticket. Allora il paziente paga il ticket come lo 

paga per la fisioterapia e può fare attività fisica in palestra, nelle palestre convenzionate 

con l’USL o dell’USL. Siccome questo manca ancora ripieghiamo sulle palestre private che 

possono  andare  benissimo,  nel  senso  che  hanno  professionisti  e  laureati  in medicina 

dello sport, ma il costo è decisamente più alto.” 

 

 

 

 

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2.5 La ripresa dell’attività fisica: cosa si fa, dove si vive 

 

Il luogo dove vivono i pazienti non è considerato argomento particolarmente rilevante 

dai medici, mentre è molto articolato nel racconto dei pazienti. I singoli molto motivati 

riescono  in  ogni  caso  a  trovare  le  soluzioni, ma  per molti  la  logistica  e  le  difficoltà 

legate alla gestione del tempo sono fattori limitanti.  

 

“I maggiori ostacoli  sono di  tipo organizzativo nel  senso  che  i  nostri pazienti possono 

essere  in età  lavorativa e quindi devono conciliare  la ripresa di un’attività normale che 

comprende  anche  il  lavoro  con  la  possibilità  di  praticare  dello  sport.  Da  parte  del 

paziente c’è un’eccessiva preoccupazione nella possibilità di fare, il programma sport ha 

facilitato la comprensione del fatto che questi pazienti possono, più o meno liberamente, 

fare un po’ quello che vogliono.” 

 

“Di solito  il  freno è costituito dalla  lontananza del  luogo dove effettuare attività  fisica. 

Perché volendoci una  certa  regolarità questo presuppone  che 2‐3 volte a  settimana  la 

persona  possa  accedere  alla  struttura  dove  lavorano  professionisti  che  conoscono  le 

criticità delle persone trapiantate. Questa è una criticità perché non tutti abitano in una 

località in cui ce n’è una.” 

 

“Se  il paziente è determinato a seguire  il consiglio di  fare dell'attività  fisica, trova  la 

possibilità anche senza avere una palestra vicina. Se il paziente vuole, entra in gioco la 

volontà del singolo. Le strutture non possono essere sulla porta di casa. I nostri pazienti 

vivono anche  in piccoli paesi,  in  realtà dove  strutture  sportive  importanti non  ci  sono. 

Cosa  fanno  allora,  cercano  di  trovare  delle  alternative  o  si  spostano,  fanno  qualche 

chilometro in più.” 

 

Oltre  alla  differenza  fra  centri  abitati  grandi  e  piccoli,  una  sostanziale  disparità  si 

verifica fra il nord e il centro/sud dell’Italia: la disponibilità di strutture non è distribuita 

in modo omogeneo. 

I centri di eccellenza per i trapianti sono concentrati nelle regioni del Nord così come i 

medici che afferiscono al progetto “Trapianti e… adesso sport”. I pazienti che abitano 

nel  Centro  e  Sud  Italia  hanno meno  accesso  al  supporto  di medici  e  strutture  che 

agevolino  in modo  continuativo  la  pratica  dell’attività  controllata. Qui  può  risultare 

difficile anche solo ottenere un certificato medico per fare sport.  

Per quanto riguarda l’attività fisica, invece, i medici intervistati ritengono di poter dare 

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indicazioni  semplici  e  concrete  perché  i  trapiantati  di  tutta  Italia  possano  essere 

incentivati a fare movimento, indipendentemente dal luogo di residenza.  

Dare  un’indicazione  su  cosa  fare  e  con  quale  intensità  è  molto  importante  per  i 

pazienti, ma  spesso non è  sufficiente. Certamente  le evidenze  riportano  la maggiore 

efficacia dei percorsi seguiti dalla medicina dello sport.  

La soluzione proposta, allora, potrebbe essere  la prescrizione, affiancata da verifiche 

periodiche. 

 

“Per superare  le difficoltà  legate alla presenza di strutture è comunque possibile fornire 

indicazioni pratiche per fare attività fisica anche  in assenza di un tutoraggio.  In questi 

casi possiamo prescrivere un’attività svolta al di fuori delle strutture quindi possiamo dire 

‘camminata di 30 minuti 5 volte a settimana’, dicendo e spiegando l’intensità. Questo ci 

permette  di  coinvolgere  più  persone.  A  seguito  della  nostra  valutazione  facciamo  la 

prescrizione di un’attività.  Individuiamo determinate  frequenze  e  intensità di  lavoro e 

facciamo delle prescrizioni con durata, intensità e frequenza settimanale. Poi ci teniamo 

in contatto con la persona per adeguare il programma alle condizioni del singolo.” 

 

“Io consiglio a  tutte  le persone che ho  intorno di  fare movimento, cosa che è estesa a 

tutti, comuni, province, regioni. Cosa diversa è conciliare, prescrivere un esercizio fisico 

supervisionato,  sotto  la  egida  della medicina  dello  sport  e  palestre  certificate,  che 

richiede un’organizzazione logistica per cui oggi in Italia, sei o sette regioni ce l'hanno 

e le altre no.” 

 

“Il problema più grosso è quello di passare da un setting di cura supervisionato, che in 

letteratura  internazionale è quello  che  comporta  i migliori  risultati a breve, medio e 

lungo  termine,  rispetto ad altri approcci metodologici  che prevedono  la prescrizione 

ma  non  supervisionata  e  non  in  palestra  che  vada  ai  pazienti.  Le  singole 

raccomandazioni  del  tipo  "guarda  che  ti  devi  muovere  un  po'"  sembrerebbero  non 

efficaci in questo contesto. Quindi bisognerà individuare nei prossimi anni un passaggio 

di  setting  di  trattamento  da  una  supervisionata  a  una  prescritta,  verificata 

periodicamente presso centri trapianti o strutture correlate con i CT. La supervisionata è 

la migliore, ma costa, richiede un entourage organizzativo notevole. Bisogna cercare di 

capillarizzare questo attraverso prescrizioni che il paziente può fare a casa, con attività 

di  tipo  aerobico,  sempre  meglio  della  sedentarietà  che  caratterizza  questa 

popolazione.” 

 

Testata  l’efficacia della pratica,  i medici  sottolineano  l’esigenza di passare dalla  fase 

progettuale  a  quella  programmatica.  In  base  alle  evidenze  emerse  bisognerebbe, 

infatti, intraprendere azioni concrete per offrire ai pazienti trapiantati su larga scala 

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la  possibilità  di  praticare  attività  fisica  con  il  supporto  del  personale  medico.  Le 

soluzioni sono già presenti in alcune realtà come quella dell’Emilia‐Romagna.  

“È  importante  effettuare  il  passaggio  da  progetto  a  programma.  Finora  il  nostro  è 

stato uno  studio  sugli effetti che  l’attività  fisica poteva avere  sui  trapiantati.  I  risultati 

sono  stati  ottimi.  Abbiamo  visto  che  il metodo  funziona,  bisogna  applicarlo  su  larga 

scala. Ecco allora che  in Emilia‐Romagna stiamo  introducendo  la prescrizione di attività 

fisica nei trapiantati in quello che è la normale attività dei centri di medicina dello sport 

per  cui  senza  più  i  vincoli  dello  studio,  però  con  una  libertà  di  scelte  e  soprattutto 

prevedendo  tre percorsi: uno è quello dell’invio  in palestra dei  soggetti più a  rischio e 

fragili; un secondo con attività  fatte  in autonomia per quelle persone per  le quali non 

esistono quei fattori di rischio e ci siano limitazioni nella disponibilità delle strutture; e un 

indirizzo  di  tipo  sportivo,  anche  agonistico,  a  quelle  persone  che  vogliono  e  possono 

svolgere attività di sport vero e proprio.” 

 

La  frammentazione  delle  politiche  e  delle  condizioni  lavorative  nelle  varie  aree  si 

manifesta  nelle  citazioni  qui  sotto,  provenienti  da  medici  di  regioni  diverse  e 

fortemente contraddittorie: 

 

“Il nostro malessere è che non possiamo guardare avanti, cioè quello che facciamo viene 

fatto  sempre  con  dei  finanziamenti  che  sono molto  limitati  nel  tempo.  Ragioniamo  a 

livello di piano regionale di prevenzione che va dal 2014 al 2018, quindi non possiamo 

guardare  più  avanti  del  2018.  Quindi  in  questa  situazione  abbiamo  coinvolto  figure 

professionali  (laureati  in scienze motorie) che oggi giorno sono  indispensabili però non 

possiamo coinvolgerle senza dare uno sbocco nel futuro… Chiediamo di poter contare su 

un personale che sia qualificato e che è un plus valore che dobbiamo mantenere.” 

 

“Non  vedo  un  blocco  nei  confronti  delle  proposte.  Siamo  noi  che  dobbiamo  essere 

proattivi nelle  richieste. La nostra  regione  sostiene  l’attività dei  trapianti. Quindi  se ci 

fosse  qualcosa  ad  un  costo  non  esorbitante  non  vedo motivazioni  per  cui  non  possa 

sostenere un progetto del genere.” 

 

 

2.6 Il contesto sociale e famigliare 

 

Qualità della vita è anche poter tornare a svolgere per quanto possibile tutte le attività 

che  si  praticavano  prima  del manifestarsi  della malattia.  Dopo  il  trapianto,  inizia  il 

percorso  di  reinserimento  nella  società,  che  è  diverso  da  persona  a  persona  e  che 

cambia  nel  corso  della  vita.  In  questa  fase  può  essere  importante  trasformare  la 

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propria  esperienza  di  vita  in  una  testimonianza  da  portare  nelle  scuole  per 

sensibilizzare le nuove generazioni. 

 

“L’ambiente  sociale  è  fondamentale.  Distinguiamo  gli  adolescenti  dagli  adulti.  Per  i 

primi vale  il mondo della scuola. Per gli adulti c’è  l’ambiente  lavorativo. Quindi diventa 

fondamentale  fare  in  modo  che  il  paziente  ritorni  alla  sua  attività  lavorativa,  è  un 

obiettivo che rientra nel concetto della qualità di vita. Ci sono poi  le diverse dinamiche. 

La signora che ha fatto  la casalinga deve poter tornare a fare  la casalinga come prima, 

non  solo,  deve  sviluppare  delle  attività  proprie  di  vita  quotidiana  che  la  riportino 

possibilmente a una condizione di pre‐malattia. Quando ha decretato la definizione della 

qualità della vita,  l’OMS ha sottolineato che non è un concetto assoluto, ma relativo a 

quelle che  sono  le aspettative delle singole persone o categorie di persone. Quindi per 

noi è importante cercare di far recuperare quello che le persone hanno perso durante 

gli anni  in cui erano  in  lista d’attesa a causa della malattia, valutando categoria per 

categoria  quali  sono  le  necessità  per  la  società  e  quali  sono  le  necessità  personali: 

adolescenti, giovani adulti  e adulti, maschi  e  femmine hanno attese diverse.  Per  gli 

anziani,  ad  esempio,  che  erano  già  in  fase  di  pensionamento,  chiaramente  non  è 

importante l’inserimento nel mondo del lavoro, ma avere una produttività intellettuale o 

cognitiva che gli permetta comunque di vivere bene per altri vent’anni dopo il trapianto.” 

 

“È  fondamentale,  il  recupero  della  vita  di  società  fatta  al  di  fuori  dall'ospedale  dopo 

tanto tempo, la gente cambia dal giorno alla notte. Poterli aiutare a raggiungere livelli 

di integrazione buoni è fondamentale. Noi abbiamo tantissimi volontari che vanno nelle 

scuole, portano la loro esperienza, è terapeutico anche per loro perché elaborano ancora 

meglio.  Bisogna  farli  raccontare,  trasformare  il  loro messaggio  in  una  speranza,  un 

messaggio positivo.  Il  fatto di avere un'invalidità,  limita sul mondo del  lavoro. Per  loro 

sono  tante  le  difficoltà,  ad  esempio  per  i  frequenti  rinnovi  della  patente.  Chi  non  è 

autonomo  negli  spostamenti,  muore  di  inerzia.  La  cosa  fondamentale  è  dargli  la 

possibilità  di  raccontare  a  diversi  livelli.  Dal  personale medico  a  chi  non  sa  nulla  di 

trapianti, come gli studenti di scuola.” 

 

I  familiari  si  confermano  essere  profondamente  implicati  nelle  dinamiche  che 

riguardano la salute del paziente e hanno un ruolo determinante dopo l’intervento.  

 

“La famiglia è fondamentale in tutto il percorso. Ci serve molto sia come riferimento che 

come sostegno perché si lavora insieme su diversi aspetti. Può essere di sostegno per i 

rischi,  per  i  problemi,  sull'incoraggiamento.  Lavorare  con  persone  sole  è  molto  più 

difficile. La famiglia viene coinvolta in tutte le parti del percorso. Si fanno degli incontri e, 

quando  il  paziente  entra  in  lista,  viene  comunicata  anche  ai  familiari  l'esistenza  del 

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servizio psicologico,  in modo che possano  sempre  fare  riferimento a noi per  risolvere  i 

problemi.” 

 

Anche per quanto riguarda la pratica dell’attività fisica, il supporto del gruppo familiare 

è determinante per motivare e sostenere  i pazienti che a volte faticano a trovare del 

tempo per se stessi. La componente culturale è fondamentale, la pratica di attività può 

essere  ritenuta  pericolosa  o  declassata  al  livello  di  sfizio.  Per  questo  è  importante 

promuovere l’efficacia terapeutica dell’attività sportiva in senso culturale più ampio. 

 

“Il paziente,  insieme ai famigliari, tende a credere che  l'attività fisica possa comportare 

del danno,  sia all'organo  trapiantato  che all'equilibrio ha  raggiunto  faticosamente nel 

contesto di una malattia cronica. Questo è un ostacolo grosso che impatta con un centro 

di riferimento trapiantologico che non aiuta particolarmente a cambiare lo stile di vita.” 

“La  famiglia  ha  un  ruolo  importante  perché  deve  sostenere  la  persona  in  queste  sue 

attività  e  quindi  a  volte  può  avere  anche  un  ruolo  negativo  quando  adotta  un 

atteggiamento troppo protettivo per cui il paziente viene vissuto come malato e delicato. 

Però  diventa  basilare  quando  il  paziente  decide  di  intraprendere  un’attività  fisica  e/o 

sportiva per fargli da supporto. Noi abbiamo dei pazienti che fanno le gare di gran fondo 

in bicicletta e le famiglie sono sempre presenti. Sono esperienze alle quali partecipa tutta 

la famiglia.” 

 

“Poiché  fare  attività  fisica  in modo  regolare  richiede  tempo,  bisogna  che  nell’ambito 

della  famiglia  trovino  l’aiuto  a  ritagliarsi  momenti  per  praticare.  E  soprattutto  è 

importante che la famiglia capisca l’importanza che questo stile di vita ha nella salute 

della persona. Cioè è importante che capisca che non è uno sfizio ma è qualcosa che dà 

aiuto al paziente.” 

 

“Il  discorso  che  abbiamo  impostato  per  la  cultura  dell'attività  fisica,  che  si  sta 

diffondendo  nella  popolazione  generale,  se  questa  cultura  sfocia  in  comportamenti 

corretti,  allora  anche  le  famiglie  dei  trapiantati  miglioreranno.  Finché  non  è 

completamente così,  il  ruolo del medico deve compensare.  Il movimento è visto come 

pericolo se non ci credono.” 

 

 

 

 

 

 

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2.7 Il ruolo delle associazioni 

 

Le associazioni di pazienti hanno un ruolo importante nell’accompagnare i pazienti nel 

periodo post‐trapianto da diversi punti di vista: organizzativo  (presenza sul territorio, 

risorse  da  occupare  in  attività  ed  eventi),  consultivo  (portano  avanti  una 

comunicazione  tra  pari  evidentemente  efficace),  del  messaggio  (possiedono  la 

competenza derivante dall’esperienza condivisa). Inoltre, le associazioni potrebbero far 

pressione  a  livello  politico  per  il  riconoscimento  dello  sport  come  terapia  non 

farmacologica prescrivibile dal sistema sanitario nazionale. 

 

“Le associazioni dei pazienti hanno un ruolo  importantissimo perché sono dei veicoli di 

promozione  perché  quando  si mobilitano  ecco  che  l’informazione  passa  e  il  discorso 

dell’attività  fisica  come  strumento  di  terapia  riesce  a  essere  comunicato.  Poi 

l’associazione  è  importante  per  l’aspetto  organizzativo  cioè  il  fatto  di  coinvolgere  più 

pazienti trapiantati.” 

 

“La  trasmissione del messaggio da parte dei pazienti è molto  importante. Si potrebbe 

addirittura già anticipare il messaggio a chi è in lista e dire ‘guarda che quando verrai 

trapiantato non è finita dovrai prendere questi farmaci, fare  i controlli e fare attività 

fisica per  stare bene e mangiare bene’. Quindi  i pazienti e  le associazioni potrebbero 

avere un  impatto a  livello  sociale  e politico molto  più  forte di  noi medici.  Il politico  e 

l’Istituzione  che  si  trova  a  dover  decidere  di  prescrivere  l’attività  fisica  è  molto  più 

sensibile  al  paziente  che  a  noi  professionisti,  quindi  sarebbe  una  forza  enorme.  Con 

istituzioni mi riferisco al sistema sanitario e quindi ai governatori del sistema sanitario 

che potrebbero modificare a livello regionale soprattutto. Potrebbe essere un’iniziativa a 

livello  regionale  che  poi  si  fa promotrice di questo  e porta  l’esempio ad  altre  regioni, 

arrivando a inserire nelle prescrizioni del post trapianto l’attività fisica.” 

 

“L’associazione  cardio‐trapianti  è  molto  di  aiuto  anche  perché  sono  abituati  a 

organizzare  due  volte  all'anno  conferenze  e  piccoli  convegni  a  tema,  dove  chiamano 

relatori  esperti,  quasi  sempre  figure  mediche  e  anche  psicologi.  Si  tengono  molto 

aggiornati e  informati, una volta alla settimana vengono per aiutare  i nuovi pazienti 

trapiantati.  Sicuramente  per  noi  è  un  valido  aiuto.  Oltretutto  è  stimolante  per  loro 

perché  la stessa associazione    li coinvolge,  li aiuta ad avvicinarsi al mondo dello sport. 

Prendono loro i contatti e motivano il coinvolgimento.” 

 

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2.8 Il ruolo del medico di famiglia 

 

La comunicazione tra centri specialistici e medici di famiglia come attori importanti per 

la  promozione  dell’attività  fisica  nei  pazienti  trapiantati  presenta  ampie  aree  di 

miglioramento.  Centrale  è  la  necessità  di  promuovere  una  cultura  dell’importanza 

dell’attività fisica a livello terapeutico. Il medico dovrebbe essere formato e informato 

per  poter  assumere  una  funzione  rafforzativa  rispetto  al  suggerimento  di  praticare 

l’attività fisica che viene dai CT. 

 

“Il medico di famiglia dovrebbe essere  importante, però non viene sempre considerato 

tale. Il paziente inizia un percorso nel nostro ambito – valutazione, palestra – e il medico 

dovrebbe  essere  messo  a  conoscenza  di  questo  perché  dovrebbe  avere  anche  una 

funzione  rafforzativa.  Se  creassimo  una  rete  con  i  medici  di  base  avremmo  un 

interlocutore  che  rafforza  quello  che  diciamo  in  un  ambiente  specialistico.  Quindi 

dovremmo avere un’integrazione più forte con il medico di medicina generale, il quale è 

in rapporto con la famiglia. Quindi questo sarebbe il network che dovrebbe crearsi e ora 

non c’è.” 

 

“Il medico ha un'importanza notevole. Il problema è che nei tempi che ha a disposizione 

deve  già  guardare  i  farmaci,  la  glicemia,  non  sempre  può  avere  l'attenzione  per  gli 

aspetti dell'attività fisica. Dovrebbe essere preso l'esempio del fumo: come il medico dice 

ai  suoi  pazienti  di  smettere  di  fumare,  dovrebbe  consigliare  la  pratica  dell'attività 

fisica.” 

 

 

2.9  Verso una comunicazione efficace dell’attività fisica  

 

Nella narrazione mirata alla promozione dell’attività  fisica che vede coinvolti medici, 

cittadini con trapianto, famiglie e associazioni, gli elementi emersi finora non mostrano 

specifici aspetti innovativi, ma di certo permettono di inquadrare l’argomento in modo 

organico, utile a sviluppare una strategia di comunicazione efficace. 

E proprio su questo si è concentrata l’ultima parte delle interviste.  

 

I risultati si articolano su diversi  livelli, a partire dal fatto che  la buona comunicazione 

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parte  dal  dialogo  che  si  sviluppa  dall’interno  delle  equipe mediche  che  seguono  i 

pazienti.  

 

Si  mostrano  più  problematici  gli  aspetti  che  riguardano  la  comunicazione  nella 

comunità  medica  più  ampia,  dove  ancora  manca  una  visione  culturale  diffusa  su 

trapianti  e  attività  fisica.  O  forse,  meglio,  manca  l’abitudine  del  medico  di 

raccomandare l’attività fisica come forma di vera e propria terapia.  

 

Infine,  le  parole‐chiave  emerse  alla  domanda  “Qual  è  il  messaggio  principale  da 

veicolare  per  promuovere  l’attività  fisica?” mostrano  una  grandissima  variabilità  da 

medico a medico, e dai medici alla psicologa intervistata.  

 

Questo  accade  perché  accanto  all’importanza  di  tenere  in  considerazione  la 

soggettività del paziente, non bisogna dimenticare la soggettività dei caregivers, medici 

specialisti e famiglie inclusi.  

 

D’altra parte, se  le  loro esperienze singole riescono a confluire  in una storia comune, 

l’efficacia della comunicazione sarà rafforzata. I risultati di questa ricerca dovrebbero a 

nostro parere essere promossi non solo tra  i pazienti per  incoraggiare  la  loro attività, 

ma anche fra i caregiver stessi. 

 

 

2.9.1 La comunità medica: istituzioni e lavoro di gruppo 

 

“La comunicazione interna e la sensibilizzazione tra equipe e tra vari gruppi di ricerca sta 

progressivamente migliorando, anche in relazione ai buoni risultati raggiunti dai pazienti 

e alla sensibilizzazione della comunità scientifica.” 

 

La  promozione  di  stili  di  vita  corretti  nei  pazienti  trapiantati  parte  dal  lavoro 

dell’equipe  che  li  segue.  Se  la  comunicazione  interna  al  gruppo  è  efficiente,  anche 

l’aderenza a pratiche come  l’attività  fisica mostra di avere più  successo. Questo vale 

per  tutti  coloro  che  partecipano  al  processo  di  cura  e  recupero: medici,  infermieri, 

psicologi, famigliari e associazioni: la catena degli attori. 

 

Il punto di partenza si trova a livello strutturale nella collaborazione fra centri trapianti 

e centri di medicina dello sport ed è la base sulla quale costruire il concetto di attività 

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fisica come cura e quindi poterla promuovere diffusamente attraverso  lo  sviluppo di 

reti, metodi di valutazione e rafforzamento delle linee guida: 

 

“Quello che abbiamo fatto per facilitare, in questi anni, è creare collaborazioni fra centri 

trapianti  e  centri  di medicina  dello  sport,  come misura  strutturale. Questo modello  è 

sicuramente interessante e da ampliare alla scala nazionale.” 

 

“Forse un domani dare anche negli audit del CNT un punteggio relativo a quello che il 

CT  ha  fatto  per  impostare  una  rete  organizzativa  per  facilitare  l'attività  fisica  sul 

territorio  potrebbe  essere  un  vantaggio.  È  altrettanto  chiaro  che  non  è  il  medico 

trapiantologo  che  deve  prescrivere  l'attività  fisica,  i  banali  consigli  di  cercare  di  fare 

movimento  devono  essere  poi  osservati  in  un  protocollo,  accanto  a  tutti  gli  altri 

parametri e le problematiche che purtroppo ci possono essere.” 

 

“Bisogna lavorare sulle linee guida, che devono diventare ancora più stringenti in questo 

ambito.  Se  un domani  la  cultura  sfonda, non  è  escluso  che  si possano  fare  anche nei 

controlli  sull’attività  fisica  al  pari  di  quelli  che  si  fanno  regolarmente  presso  i  centri 

trapianti. Oltre alla pressione e alla frequenza cardiaca si potrà valutare anche il livello 

dell'attività  fisica  che  si  fa. Oggi non  ci  siamo ancora, ma può essere uno  strumento, 

anche per il CNT, per valutare l'aderenza e l'indicazione alle linee guida più avanzate su 

questo.” 

 

Sempre a livello strutturale, un argomento fondamentale è quello dell’integrazione fra 

gli  esperti  delle  diverse  discipline:  la  condivisione  delle  conoscenze  assicura  infatti 

l’efficacia della  comunicazione  interna e  tutta  la  filiera ne  trae  vantaggio.  L’ostacolo 

maggiore, così come avviene in tutti gli ambiti complessi, riguarda la buona riuscita di 

una vera e propria condivisione. “Il messaggio deve essere uniforme”: 

 

“La  gestione  del  trapiantato  deve  essere multidisciplinare,  quindi  l’integrazione  deve 

essere prima tra specialisti, cioè tra diverse discipline. È impensabile ritenere che solo 

uno  specialista  sia  in  grado  di  gestire  il  post  trapianto.  È  importante  credere 

nell’integrazione delle diverse discipline: chirurgo, nefrologo, cardiologo, anestesista. “ 

 

“Poi se arriviamo alla nostra, quella che chiamiamo epatologo dei  trapianti, e  le sarei 

grata  se  riportasse  questo  nome,  ha  questo  compito  di  integrare  se  stesso  come 

disciplina con le altre discipline. Ogni medico comunica nel suo modo, però il messaggio 

deve essere uniforme. Certo costa fatica perché vuol dire che ognuno deve lavorare per 

se  stesso,  riportare al gruppo quello  che  fa,  ridiscutere alcune metodologie, elaborare 

documenti.” 

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Si arriva qui al ruolo di coordinamento, mediazione, comunicazione istituzionale che il 

CNT  svolge  e  che  ha  bisogno  di  sostegno,  conoscenza  e  attività  di  comunicazione 

capillare su tutto il territorio nazionale: 

 

“Il mezzo più  efficace  secondo me  è una  sinergia  di  tutti gli operatori  e professionisti 

coinvolti  nella  gestione  di  questi  pazienti.  Cioè  se  il messaggio  che  parte  dal  centro 

nazionale trapianti, viene ribadito dal centro di medicina dello sport, questo è basilare. 

Ha autorevolezza se a me paziente viene detto dal CNT e  ribadito dal centro medicina 

dello sport. Quindi l’autorevolezza del CNT che ti dice ‘con l’attività puoi ridurre gli effetti 

negativi  dei  farmaci,  vedrai  che  starai  meglio,’  allora  il  paziente  trova  nel  CNT 

un’istituzione  che  crede  in  queste  attività  per  cui  una  sua  azione  ce  l’ha,  nel  vedere 

come  si  impegna,  come  si  organizza  (manifestazioni),  che  sia  presente  nei  giochi 

nazionali dei trapiantati.” 

 

“E ci sono differenze tra pazienti provenienti da centri trapianto diversi. Pensi che molti 

pazienti  si  sono  accostati  all’attività  fisica  per  sentito  dire.  Pazienti  che  parlando  con 

l’associazione hanno  sentito parlare del progetto  ‘Trapianti…  e allora  sport’,  lo hanno 

detto  al  centro  trapianti  di  riferimento  che  solo  in  questo  modo  ne  è  venuto  a 

conoscenza.” 

 

2.9.2 La comunicazione verso il paziente: mezzi e luoghi 

 

Alla  domanda  “Quali  sono  i  mezzi  più  efficaci  per  promuovere  l'attività  fisica  nei 

pazienti che hanno avuto un trapianto?”, le risposte sono molto varie a seconda di: 

momento del percorso clinico  già da prima del trapianto è necessario preparare 

il paziente a cosa verrà dopo attraverso il rapporto face‐to face 

stato psicologico   i pazienti necessitano di comunicazione prima di tutto chiara, 

priva di evocazioni e simbolismi e basata su metafore  

background culturale  per comprendere la varietà di fasce di età ed esperienze di 

vita  diverse,  bisogna  adottare modalità  di  comunicazione miste,  dal  face‐to‐face 

con gli esperti nel primo anno, fino a strumenti cartacei ed elettronici che veicolino 

tutti lo stesso messaggio di efficacia dell’attività fisica. 

 

 

“Senza  dubbio  la  comunicazione  frontale,  nel  breve  periodo,  è  il  momento  in  cui 

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esprimere dubbi, paure e, dal mio punto di vista, la possibilità di spiegare a fondo cosa 

significa fare attività fisica e dare tempo di acquisire l'importanza della pratica fisica.” 

“Anche  un  discorso  di  più  stretta  comunicazione  è  quello  della  brochure  dove  dare 

indicazioni  specifiche  su  ogni  ambito  per  chi  si  trova  nella  loro  situazione.  Per  loro  è 

importantissimo perché  la traccia negativa che  lascia  la malattia  li frena nel riprendere 

coraggio. Loro vengono da un'esperienza che li ha fatti stare sul filo. Dopo sono molto 

più protetti sia dalla famiglia sia da loro stessi. Fanno le cose se vengono rassicurati con 

chiarezza e hanno risposte a tutti i loro dubbi: solo allora si mettono in gioco.”  

 

“Nella mia palestra cambiano dei nomi scritti in grande sul muro così che ogni volta ci 

sia un messaggio. Come una volta c’era  ‘ogni scusa è buona’ e mi è rimasta  impressa. 

Bisogna  trovare  qualcosa,  a  mio  avviso,  non  soltanto  di  comunicazione  verbale.  Il 

volantino con tante  informazioni forse resta al 20%. Quindi farei un cartoncino con una 

scritta, come mettono  i nostri  istruttori per noi che ogni volta troviamo una scusa. Una 

parola sul cartoncino da consegnare al paziente.” 

 

I  luoghi  e mezzi  privilegiati  dove  diffondere  l’informazione  sono  variabili  a  seconda 

dell’età  e  della  fascia  culturale  dei  pazienti,  dalle  sale  di  attesa,  ai  siti  web,  alle 

applicazioni per smartphone: 

 

“Le sale di attesa sono un ricettacolo di informazioni che possono essere sia positive che 

negative. Sicuramente lo spirito giusto di un gruppo si vede anche in una sala d'attesa. È 

questa la comunicazione in cui il paziente crede di più.” 

 

“Può  essere  importante  avere  applicazioni  che  misurino  la  capacità  del  soggetto  a 

intraprendere  questa  attività,  ma  soprattutto  possono  essere  strumenti  che  lo 

incoraggiano a mettere in pratica quello che gli è stato consigliato. Inoltre, attraverso il 

monitoraggio  che  si  può  fare  attraverso  queste  applicazioni  possiamo  passare  da  un 

monitoraggio  del  paziente  che  va  oltre  ai  questionari  che  gli  si  sottopongono  ai 

controlli, molto meno  efficaci;  in  secondo  luogo  sono  di  stimolo  perché  si  vedono  i 

progressi in diretta, ci si sente monitorati e controllati.” 

 

“Prendendo  il  CNT  come  fonte  di  informazione migliore,  un  sito  di  informazione  può 

essere  bene  per  alcuni  pazienti, ma  insieme  a materiale  informativo  cartaceo  e  alla 

pubblicità  in TV e alla stampa  locale. Questi ultimi mezzi  funzionano molto soprattutto 

per i pazienti più avanti con l’età, più che dirgli di guardare un sito o dargli il fogliettino 

informativo. Sono quasi tutti pazienti sopra i 55 anni e trapiantiamo fino ai 70.” 

 

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Questi dati sono da incrociare con i dati che riguardano la penetrazione degli strumenti 

di comunicazione nella popolazione. 

Nel  leggere  i discorsi dei pazienti e dei medici  sui mezzi  che meglio  si adattano alla promozione  dell’AF  nella  particolare  fascia  di  pubblico  che  sono  i  cittadini  con trapianto,  è  bene  infatti  tenere  conto  di  alcuni  dati  sull’utilizzo  di  computer  e smartphone come veicoli di contenuti. Come  emerge  dai  dati  riassunti  qui  di  seguito,  la  penetrazione  di  questi  strumenti, nelle  diverse  fasce  di  età,  richiama  la  necessità  di mantenere  attivi  sia  strumenti  in presenza, come il dialogo diretto con i medici (che a sua volta richiama la necessità di costruire politiche di formazione e scambio continuo); sia minimi supporti cartacei da garantire presso i CT e le sale di attesa in particolare; sia occasioni di promozione in TV. La comunicazione via internet si mostra in crescita in tutte le famiglie italiane. È quindi necessario costruire una comunicazione differenziata nei mezzi e coerente nel messaggio.  In  questo  senso,  la  costruzione  di  “rime”  narrative  da  sviluppare  in racconti adatti ai diversi mezzi è fondamentale.  Secondo l’ultimo rapporto ISTAT su “Cittadini e nuove tecnologie” (2014):  

il  bene  tecnologico maggiormente  posseduto  è  il  cellulare  (93,6%  sull’intera popolazione)  

  

ha accesso a  Internet  il 64% della popolazione, con una sostanziale differenza fra le diverse fasce di età:  

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Secondo  il  rapporto  citato:  “il  web  si  sta  trasformando  sempre  più̀  in  una piattaforma applicativa condivisa, dove le informazioni possono essere non solo distribuite  ma  anche  create  ed  elaborate  collettivamente.  Rispetto  al  2013 cresce  l’uso  del  wiki  per  ottenere  informazioni  su  qualsiasi  argomento  (dal 58,7% al 60,8%) mentre decresce  la consultazione di  siti o di pagine web per avere  informazioni  su  merci  o  servizi  (dal  58%  al  51,7%)  o  per  cercare informazioni sanitarie (dal 49,6% al 42%). Considerando l’età degli utenti, l’uso del  wiki  prevale  nelle  fasce  giovanili  di  15‐24  anni,  anche  se  incrementi consistenti  si  sono  registrati nella  fascia di età più adulta dei 35‐44enni  (+2,9 punti percentuali)”.  

 

A questo dato è da aggiungere quello sul mezzo attraverso  il quale si accede a internet e ai suoi servizi.  Il più recente Eurobarometro sull’argomento (Special Eurobarometer 423. Cybersecurity, 2015 – dati 2014) riporta una notevolissima percentuale nell’utilizzo degli  smartphone  (68%  in  Italia,  con una  crescita del 41% rispetto al 2013). 

 

 

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2.9.3 Incentivare la pratica dell’attività fisica, elementi di contenuto 

 

Ai medici  intervistati  è  stato  richiesto  di  immergersi  in  una  situazione  fittizia,  nella 

quale  l’intervistatrice  è  una  paziente  trapiantata  ostile  all’attività  fisica  e  che  deve 

essere incoraggiata a intraprenderla. 

 

Emergono discorsi molto diversi l’uno dall’altro, una varietà di soluzioni che testimonia 

la possibilità di approcci e soluzioni di grandissima utilità per estrarre gli elementi del 

racconto che verranno poi tradotti in prodotti di comunicazione.  

I principali elementi di contenuto sono: 

 

La quotidianità 

“Tutti  gli  aspetti  della  quotidianità,  della  vita  sociale  del  paziente,  della  ripresa  del 

lavoro e del movimento fisico devono essere spigati, collocati nella giornata. All'inizio  i 

pazienti  sono  trattenuti dal  fatto di non  esagerare perché ancora  timorosi, quando  la 

traccia della malattia è molto viva, ma se li si aiuta, prendono fiducia e coraggio e fanno 

tutto, basta lavorarci insieme.” 

 

“Le chiederei come si sente durante il giorno, quanto attiva è, se esce, si muove o se sta a 

casa in divano. Comincio dallo stato di salute e dal sapere cosa fa il paziente durante il 

giorno, come si sente, come va.  ‘signora ha preso un po’ di peso? Mi raccomando che 

non va bene dopo il trapianto, infatti dall’ecografia si vede che il fegato è un po’ grasso, 

questo  può  alterare  la  sua  funzione’.  Poi  consiglierei  di  andare  fuori,  fare  delle 

passeggiate.  Qualche  volta  glielo  scrivo.  Qualche  volta  prescrivo  ‘esercizio 

cardiovascolare  con  frequenza  60‐70%  3‐4  volte  a  settimana  quaranta  minuti’,  poi 

spiego.” 

 

“Attività fisica non è andare  in palestra, non voglio mandarti  in palestra perché magari 

hai dei figli, una famiglia, hai mancanza di tempo sei tornata nella vita di tutti  i giorni. 

Però bisogna che  tu  in questa  tua giornata  ti  ritagli una mezz’ora di  tempo per  fare 

attività fisica.” 

 

 

Il farmaco buono 

“L’attività  fisica è uno stile di vita che è basilare per mantenere uno stato di salute sia 

nella  persona  normale  e  ancora  di  più  nel  paziente  trapiantato  che  ha  un  rischio 

maggiore di contrarre delle complicanze di tipo cardiovascolare.” 

 

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“Il punto sul quale batterei molto è  il fatto che tutte  le medicine che stai prendendo ti 

aiutano nell’evitare  il rigetto. Sono medicine che dovrai prendere per tutta  la vita ma, 

come tutte le medicine, hanno effetti collaterali anche molto seri che possono portarti 

alle modificazioni  del  tuo  assetto  che  diventano  un  grosso  rischio  cardiovascolare.  Se 

vuoi far sì che questi effetti siano ridotti  il più possibile devi fare attività fisica di tipo 

regolare.” 

 

La presentazione di modelli 

“Inizialmente  le  spiegherei  tutti  i  benefici  di  questo  in maniera  chiara. Una  volta  che 

vedo che la resistenza rimane, la porterei a vedere come altri hanno fatto un percorso 

virtuoso. Vedendo altri  che hanno  fatto  lo  stesso  tipo di percorso di  cura  i pazienti  si 

rassicurano.” 

 

La provocazione 

“Che  lei ha deciso di correre un rischio  importante che andava corso perché bisognava 

risolvere  un  problema  gravissimo,  che  è  fortunata  perché  non  tutti  riescono  ad  avere 

quest’opportunità e che per una questione solo di suo  interesse deve riprendersi  la sua 

vita normale perché altrimenti non avrebbe avuto senso  fare tutto quello che è stato 

fatto.” 

 

“Ha fatto tanto finora,  lei sa quello che ha passato, cerchiamo di non rovinare  il fegato 

nuovo.” 

 

La possibilità di fare quello che prima non si poteva  

“Poi ci sono altri vantaggi, che forse sono anche più immediati per il paziente: il paziente 

sta meglio, aumenta l’autostima. Ci sono pazienti che, nella stragrande maggioranza dei 

casi, arrivano da anni e anni di malattia che  li ha costretti a una vita che dal punto di 

vista dell’attività  fisica ne era completamente priva. Per cui  il praticare attività  fisica è 

fare cose che prima non si potevano fare.” 

 

La salute a partire dai dati. E dal crederci 

“Le  mostro  i  suoi  esami  e  le  dico  che  se  riesco  a  farla  muovere  posso  migliorare 

determinati parametri  che  riguardano  il  suo  rene,  la  sua qualità di vita,  cerco di  farla 

parlare  con  persone  che  credono  in  questo  e  che  lo  fanno  già.  Però  lottiamo  tutti  i 

giorni con pazienti che non fanno quello che viene consigliato. Si parte dai dati, si parla 

di dati oggettivi. Le dico: guarda che questo  in  letteratura mondiale si correla con uno 

stato di salute e benessere generale così.” 

 

Fit‐Tracker 

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“Ci  sono  delle  applicazioni  per  il  conteggio  calorico,  per  i  conta  passi,  i  tracker  da 

utilizzare per le persone non sportive che vogliono fare attività fisica. Potresti dirgli ‘noi 

abbiamo un progetto, ti diamo  il fit‐tracker, guarda quanto potrebbe essere una buona 

idea per quelle persone che possono usare questi strumenti’. Potrebbe essere utile.” 

 

Il medico comunica il miglioramento 

“Bisogna comunicare il miglioramento, non lasciare che siano i pazienti da soli a vedere 

che stanno migliorando. gli specialisti glielo devono spiegare.” 

 

 

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3. Risultati: il punto di vista dei pazienti 

 

Dopo  il  trapianto  i  pazienti  sono  sottoposti  a  terapie  farmacologiche  e  controlli 

costanti.  Gestire  il  post‐trapianto  richiede  un  impegno  importante  anche  sotto  il 

profilo psicologico. Accettare la donazione di un organo è complesso. 

Nello schema interpretativo che guida la lettura dei risultati delle interviste ai pazienti, 

il  fattore  motivazione,  radicato  proprio  sul  piano  psicologico,  è  stato  collocato 

all’esterno delle cinque caselle che servono a suddividere gli elementi della narrazione 

su trapianti e attività fisica.  

Questa scelta e  le diverse modifiche fatte allo schema  interpretativo stesso nel corso 

della creazione del data set dei pazienti sono il frutto dell’elaborazione dei dati raccolti 

durante le interviste ai medici e, in particolare, durante l’intervista alla psicologa.  

L’elemento motivazionale è stato approfondito durante tutto  il corso delle  interviste. 

In particolare, emerge nella fase “di riscaldamento”, a inizio dei colloqui, nella fase che 

abbiamo chiamato “stare bene dopo  il  trapianto” e che  si è  tradotta nella domanda 

“mi dica tre cose che fa per mantenersi in salute”.  

Inoltre, il fattore motivazionale è stato approfondito attraverso le domande riguardanti 

i benefici derivanti dall’attività  fisica  e  in quelle  che  riguardano  il messaggio  che  gli 

intervistati considerano  importante per promuovere  l’attività  fisica nelle persone che 

come loro devono affrontare o hanno appena affrontato il trapianto. 

Cominciamo dall’analisi della prima domanda “di riscaldamento”. 

 

 

3.1 L’esperienza dei pazienti: mantenersi in salute dopo il trapianto 

 

“Il  paziente  trapiantato  ha mille  sfaccettature,  nel  senso  che  io mi  reputo  fortunata 

perché ho una bella famiglia, un bel lavoro, un insieme di cose che mi realizzano. Ma c'è 

gente che ha grandi problemi. Ecco a livello psicologico non sono caduta in depressione, 

ma  conosco  tanta  gente  che  lo  è.  Ogni  trapiantato  ha  una  storia  alle  spalle,  ha  un 

contatto con  il trapianto diverso. Perché non è  facile accettare  il trapianto, è una cosa 

bellissima  però  è  difficile  da  gestire.  Io  un  giorno  ero  con  le mie  colleghe,  stavamo 

scherzando  'eh  attenzione,  attenzione  siamo  solo  femmine',  e  io  dico  'attenzione 

attenzione  siamo …  (incomprensibile ma  riferito  al  trapianto)'  quindi  ci  scherzavo  su. 

Però ho visto che  la cosa  le ha un po’ scosse, quindi si figuri e  loro sapevano benissimo 

che sono trapiantata. Però questa cosa le ha stranite…” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

 

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“Anche perché psicologicamente è  forte avere un  trapianto, non è una cosa così che si 

dice ‘faccio il trapianto e sto bene’. Devi accettarlo anche mentalmente. All’inizio io non 

lo accettavo perché pensavo a quest’organo estraneo che avevo dentro. Poi con  l’aiuto 

del dott. Volpe, numero uno per me perché è stato un aiuto psicologico, si sedeva sul mio 

letto e diceva  ‘lei sta bene,  lei deve uscire perché  lei è stata  incinta. Quando aveva suo 

figlio se lo sentiva suo, e così deve sentirsi l’organo’. E oggi dico che è stato un angelo dal 

cielo che mi ha fatto stare bene. Poi anche qui a Canicattì ho avuto l’aiuto psicologico del 

mio patologo che mi diceva ‘signora lei ce  la farà, starà bene’. Io grazie a Dio sto bene. 

Oggi sono diventata nonna, faccio qualunque cosa: vado al mare, tutto, vado a ballare, 

non  ho  problemi  di  niente.  Il  decorso  è  stato  difficile,  però  poi  è  andato  tutto  bene.” 

(15_Fegato_51‐70_D_Sud) 

 

Alimentazione e movimento sono  i  fattori citati quando si parla di cosa bisogna  fare 

per  mantenersi  in  forma  dopo  l’intervento.  Accanto  alla  consapevolezza  condivisa 

dell’importanza  attribuita  a  questi  fattori  emergono  il  senso  di  soddisfazione  o 

sconfitta in relazione a ciò che il paziente riesce a fare.  

 

“Mangiare  bene,  bere molto  e  fare movimento,  attività  fisica,  che  sono  poi  l’abc  del vivere bene di qualsiasi persona.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) 

 

“Sto attento un po’ a mangiare a bere, un po’ a  tutto ecco. Si adesso mi hanno messo 

anche un po’ a dieta perché sto ingrassando un po’ troppo. Sono un pensionato ma ogni 

tanto  faccio  qualcosa,  faccio  il  lavoro  nelle  vigne  così  per  passare  un  po’  di  tempo.” 

(4_Rene_51‐70_U_Nord) 

 

“Partiamo  dal  presupposto  che  non  seguo  alla  lettera  le  cose  che  dovrei  fare.  So  che 

sbaglio però cerco un po’ di non farmene troppo appesantire  la cosa,  la condizione. So 

che c’è gente che prende la cosa molto rigidamente e seriamente. Io non è che la prendo 

alla  leggera  però  comunque  cerco  ogni  tanto  di  togliermi  qualche  sfizio.  Comunque 

sicuramente le cose principali sono il mangiare bene, il mangiare giusto, gli alimenti che 

servono…” (1_Rene_18‐30_U_Sud) 

 

“Faccio  pilates  due  volte  la  settimana,  giocavo  a  tennis ma  recentemente  ho  un  po’ 

rallentato.  Però  le  premetto  che  oltre  al  trapianto  sono  stata  operata  di  laparocele  e 

questo un pochino mi  limita di più  rispetto al  trapianto… Naturalmente evito gli  sport 

traumatici, ho sempre sciato ma adesso evito comunque. Poi vado a camminare  tutti  i 

giorni, non credo sia considerato uno sport. Poi nuoto ma non in piscina per il problema 

delle infezioni, quindi evito le piscine.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) 

 

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La  struttura psichica del paziente ha un  ruolo determinante  rispetto alla  capacità di 

rispondere  in  modo  positivo  all’esperienza  di  vita  della  malattia.  La  possibilità  di 

tornare  a  un’esperienza  di  vita  completa  incide  qualitativamente  sul  suo  mondo 

interiore  e  in  questo  senso  il  recupero  dell’attività  lavorativa  ha  un  ruolo  molto 

importante. 

 

“Ho dovuto usufruire della  legge del prepensionamento.  Lo  Stato aiuta perché  ti dà  il 

bonus per andare  in pensione prima, ma non  lavorare più, essere  inattivo è  terribile. 

Anche se hai un figlio che ha un’attività commerciale non lo puoi aiutare perché ti fanno 

una  multa.  Non  posso  nemmeno  lavorare  in  una  onlus.  Fare  volontariato. 

Psicologicamente sarebbe un toccasana.” (7_Rene_31‐50_D_Nord) 

 

“Sarà sfortuna ma ho trovato sempre dei diffidenti perché dicono ‘tu non sei al cento per 

cento quindi non mi puoi rendere come uno che mi sta bene. Non sei sempre disponibile 

perché  magari  hai  visite,  controlli,  stai  un  po’  male  ogni  tanto.”  (17  Cuore_51‐

70_U_Centro) 

 

 

3.2 “Muoversi” – significati, valori nell’esperienza dei pazienti 

 

L’argomento  dell’attività  fisica  per  ciò  che  riguarda  il  suo  significato  calato 

nell’esperienza  dei  pazienti,  in  termini  di  conoscenza  e  valori  è  stato  indagato 

chiedendo loro cosa significa fare sport e cosa praticare attività fisica. 

Mettendo  a  confronto  le  risposte  di  tutti  gli  intervistati,  la  distinzione  tra  le  due 

pratiche emerge  in maniera piuttosto chiara.  In modo altrettanto evidente affiora un 

punto comune tra sport e attività fisica ed è rappresentato dal beneficio che si ottiene 

quando si riesce a fare movimento. 

 

Sport e attività fisica 

La differenza appare chiara ai pazienti, che confermano di essere più propensi all’AF 

che allo “sport”. 

 

“Fare attività fisica e sport sono cose diverse. Devo fare attività fisica per tenere l’organo 

allenato. Continuo a  fare  sci da  fondo  ed  escursionistico, ma  sempre  in  compagnia di 

amici perché da solo non vado.” (17 Cuore_51‐70_U_Centro) 

 

“Fare sport mi viene  in mente una società sportiva, un gruppo di persone, mentre  fare 

attività è più facile pensare al singolo che fa qualcosa.” (2_Rene_31‐50_U_Nord) 

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“Fare sport ha significato sempre sport a  livello agonistico. Attività  fisica è attività per 

cercare di mantenere un po’ in forma il corpo ma nient'altro.” (6_Rene_51‐70_U_Sud) 

 

Il lavoro come attività fisica 

Avere  svolto  lavori pesanti prima del  trapianto,  in professioni  come  il muratore e  la casalinga, vale come attività fisica “reale” secondo i rispondenti.   

Benefici 

I  maggiori  benefici  si  trovano  nell’area  del  benessere  più  che  della  salute.  Fare 

movimento è sentirsi bene con sé stessi, “normali”: 

 

“Fare sport significa stare bene con me stessa e con gli altri. Unita al movimento e quindi 

lo scarico di tensione ecc.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

 

“Al di là per la salute, fare sport vuol dire anche stare bene con se stessi.” (18_Cuore_31‐

50_D_Nord) 

 

“…Un rapporto solo con me stessa e  la natura, non con gli altri. Ho bisogno di staccare 

dagli altri, ho bisogno di un momento con me stessa. Ho bisogno di fare qualcosa per me 

e con me, avere un momento solo per me.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

 

“Quando faccio attività fisica, nonostante tutta la fatica e il soffrire facendo determinati 

esercizi, ad esempio  in palestra, una  volta  che  finisco  torno a  casa e mi  sento bene e 

appagato sia dal punto di vista fisico che morale.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) 

 

“Ti senti proprio  in forma. Un esempio stupido di oggi: sono andato  in un negozio dove 

c’erano due rampe di scale. Le ho fatte senza problemi e il ragazzo che era con me aveva 

il fiatone.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord) 

 

“Benefici  fisici  sinceramente…  sono  più mentali  i  benefici.  Cioè  io  dallo  sport  traggo 

beneficio mentale,  nel  senso  che mi  sfogo, mi  piace  farlo. Mi  dà  sensazioni  positive”. 

(8_Rene_51‐70_D_Nord) 

 

“Intanto  a  livello  di  ripresa  di  tono  muscolare,  di  fiato.  E  poi  soprattutto  a  livello 

psicologico, mi  sono  risentito  una  persona  quasi  normale.  Il mio  desiderio  forse  era 

determinato da voler tornare come prima, alla normalità”.(13_Fegato_51‐70_U‐Centro) 

 

 

 

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3.3 Cosa fanno i pazienti prima e dopo il trapianto 

 

La propensione allo sport si conferma molto legata alle abitudini che il paziente aveva 

prima della malattia.  L’attività  fisica più praticata è  il  camminare.  La propensione al 

muoversi è spesso associata alla pratica di hobby. 

 

“Adesso che ho  il bambino corro  tutto  il giorno perché è nella  fase del camminare, del 

correre… Dopo  il trapianto  la vita sicuramente è migliorata perché ho quattro rampe di 

scale per arrivare a  casa e  se prima  le  facevo  in due  volte, ora  le  faccio anche  con  le 

borse della spesa. Si andava  in montagna, poi sono rimasta  incinta, nel 2014, quindi  le 

camminate  in montagna  sono diminuite perché non è  che  vai  con un bambino di due 

anni, però io sono sempre stata sportiva.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) 

 

“Ho  ricominciato  con  la  bicicletta  subito.  Andavo  in  bicicletta  anche  prima  di  fare  il 

trapianto e non stavo bene… però ripeto quella più che sport era attività. La usavo per 

fare un giretto, per fare movimento. E poi (dopo il trapianto) piano piano sempre con la 

bicicletta. E poi ho voluto iniziare a correre e piano piano ho fatto prima piccole parti del 

lungo mare,  poi  sempre  di  più  finché  sono  riuscito  a  farlo  tutto  intero.  Poi mi  sono 

comprato  la  bici  da  corsa  per  andare  anche  sulle  colline  del  paese.”  (14_Fegato_18‐

30_U_Nord) 

 

“Onestamente  ostacoli  non  ne  ho  avuti. Al  di  là  che  sono  sempre  stato  uno  sportivo, 

quindi  nella  mia  testa  è  sempre  stata  un’attività  ricreativa  di  mia  preferenza. 

Naturalmente  dopo  il  trapianto  ero  debilitato  e mentre  nella  testa  pensavo  di  poter 

riprendere più velocemente mi sono accorto che dovevo andare un po’ più calmo. Però è 

stata  l’unica  cosa. E poi  lo  sport è attività  sana,  fa bene allo  spirito, all’animo. Poi  se 

alcune persone non  sono mai  state  sportive, o qualcuno è obeso o non ama  la  fatica, 

sono casi che esistono ma non è il mio. (13_Fegato_51‐70_U‐Centro) 

 

“Devo  farla  come  profilassi,  abitudine  consigliata  dopo  il  trapianto.  Prima  non  ne 

facevo  perché  lavoravo  ed  ero  troppo  impegnato.  Ora  faccio  un’ora  di  tappeto  al 

giorno. Invece altri giorni faccio bicicletta e quando il tempo è bello faccio passeggiate a 

passo  svelto.  Fare  sport  è  farlo  con  passione,  fare  cose  che  si  sono  sempre 

desiderate.”(17 Cuore_51‐70_U_Centro) 

 

“Durante  la  giornata,  siccome mi  hanno  regalato  un  cane,  lo  porto  a  passeggio.  E’ 

questo  il mio passatempo. Lo porto  in giro. Camminate  lunghe assai. Non mi stanco. E 

poi  lavoro, mi accompagna mio padre  in macchina. Le camminate  le  faccio certe volte 

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con  il  cane  e  certe  volte  con  gli  amici.  Poi  amo  il  mare,  ma  non  nuoto  molto.” 

(16_Cuore_18‐30_U_Sud) 

 

“Ma  io  essendo  che mi muovo  a  casa, mi  sento  sempre  con  energia. Anche  ho  una 

casetta in campagna, impasto, faccio il pane, le pizze, mi piace. All’inizio del trapianto ho 

avuto problemi alle gambe, poi però mi sono ripresa bene.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud) 

  3.4 Gli ostacoli alla pratica dell’attività fisica  In  fase  spontanea,  i maggiori  ostacoli  individuati  dagli  intervistati  si  raccolgono  in quattro aree principali, correlate fra di loro.   Blocco interiore I primi  ad emergere  sono  gli ostacoli di  tipo psicologico,  l’atteggiamento difficile da modificare, ma  interessante  dal  punto  di  vista  della  costruzione  del messaggio  da veicolare  per  incoraggiare  i  pazienti.  Nonostante  il  nostro  campione  non  sia significativo  e  possa  soltanto  indicare  una  tendenza  nella  popolazione  dei  cittadini trapiantati,  i  meno  motivati  a  causa  di  un  “blocco  interiore”  e  di  una  mancanza profonda  di motivazione,  addirittura  con  radici  “genetiche”  (“non  è  nel mio DNA”), sembra che  siano  soprattutto  i  rispondenti più anziani e comunque chi abita al Sud, senza differenze rilevanti fra uomini e donne.  

“Un  ostacolo  può  essere  una  sorta  di  blocco  interiore  nella  persona,  ed  è  forse  il  più grande  ostacolo.  Anche  come  ti  senti  in  quel  momento,  come  stai.”  (1_Rene_18‐30_U_Sud)  “Fisicamente  si  sta bene ma magari qualcosa  rimane. Gli ostacoli possono essere  solo quelli. Ci si  lascia andare psicologicamente,  ‘non ce  la  faccio’, ci si  lascia andare con  la mente. L’apatia di una persona.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud) 

 “Comunque lo sport secondo me giova moltissimo perché fa circolare il sangue. Solo che non me la sento, è inutile. Io me ne accorgo subito quando sto fermo il diabete mi va su, invece camminando mi si abbassa notevolmente. Allora dovrei fare nuoto, adesso che è estate,  ho  la  barchetta. Ma  tutti  gli  sport  vanno  bene,  solo  che  bisogna metterli  in pratica, solo che manca l’input.” (12_Fegato_51‐70_U_Nord) 

 “È  più  a  livello  psichico.  Certo  gli  immunosoppressori  sono  pesanti ma  è  più  a  livello psichico.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

 “Il nefrologo mi aveva detto appena trapiantata la prima volta, nella primissima visita di controllo ‘guarda per te andrebbe benissimo fare ginnastica’. Anche perché a causa del 

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cortisone  ci  si  gonfia.  E  allora  io  dicevo  ‘sto  peso, mi  pesa,  l’unica  è  andare  a  fare ginnastica’. Però tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.” (7_Rene_31‐50_D_Nord)   “No, non mi piace. Solo a piedi. Il medico mi dice di fare tranquillamente ma a me non va tanto.” (16_Cuore_18‐30_U_Sud)  “Se io avessi avuto per la testa di fare attività fisica mi sarebbe giovato tanto è solo che sono un po’ poltrone. Infatti ogni volta che vado dal dottore mi dice sempre ‘cammina cammina’ e poi esco fuori e non cammino più. Mi ha detto ‘ma non lo vedi che pancia hai?’  E  allora  cosa  devo  fare.  Piuttosto  mi  tengo  la  pancia.”  (12_Fegato_51‐70_U_Nord) “Il mio medico me l’ha detto un sacco di volte ‘vada in palestra’ perché sono ingrassata un po’ anche a causa dei  farmaci. Purtroppo dopo  il trapianto ho preso qualche chilo ma sono i farmaci, non ci posso fare niente.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud)  “Non è nel mio DNA.” (12_Fegato_51‐70_U_Nord) 

 L’età Il secondo fattore evidentemente discriminante è l’età, non soltanto per gli intervistati più anziani, ma anche per  i giovani che hanno conosciuto altre persone con trapianto nella  fase  più  vicina  all’evento  e  sottolineano  loro  stessi  questo  fattore.  Si  tratta insomma di un  fattore non modificabile, ma  sopravvalutato  alla  luce delle evidenze scientifiche.  Io non rischio (di più) Il terzo gruppo di ostacoli risiede nella paura di incorrere in incidenti, limitatamente ad alcune attività. Anche in questo caso, l’esperienza del singolo e soprattutto l’abitudine precedente a praticare una determinata attività fisica giocano un ruolo rilevante.  

“Quello che non riesco a fare come sport perché ho paura delle cadute è la bicicletta, di rompermi  il femore. Può avvenire anche con  lo sci di fondo ma  in quello riesco a  livello psicologico. Dopo una malattia entriamo tutti in un’altra fase. Quello che succede a una persona “normale”, dopo un trapianto diventa tutto più complicato. Aspetto che ci siano belle giornate, senza vento. Altrimenti non vado. Qualsiasi  raffreddore spaventa e non c’è molta forza come prima.” (17 Cuore_51‐70_Centro)  “Avrei  la  bicicletta  ma  non  mi  fido  in  paese  perché  sono  dei  guidatori  selvaggi.” (7_Rene_31‐50_D_Nord)  “Fondamentalmente  la  variazione  della  terapia  nel  caso  dover  essere  operata…  La variazione della terapia non è mai una bella cosa. Non sono sicura ma mi sembra di aver capito  che  nel momento  in  cui  vai  a  variare  la  terapia  rischi  anche,  ci  sono  dei  rischi concreti,  quindi  questo  si mi  blocca.  Non  farei mai  sport  traumatici  per mettermi  a rischio.  La  piscina  loro mi  hanno  detto  che  dal  punto  di  vista  igienico  non  è  indicata quindi la evito.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) 

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 “So che ho un organo che mi garantisce al 90 per cento una vita degna di essere vissuta, so quanto ho penato per averlo... La bicicletta stessa, può provocare  irritazione. C'è un insieme di cose che non fai.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

 “A me è successo quando ero molto giovane, avevo 25 anni. Magari una persona di una certa età, non intendo per forza anziana. Uno che ha 45‐50 anni con una famiglia non va a rischiare. A me hanno sempre detto ‘mi raccomando, non cadere’. Può succedere, però a 30 anni sono solo e non mi voglio chiudere in casa. Una persona, invece, che ha 10‐15 anni più di me dice ‘chi me lo fa fare a rischiare’.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord) “Sono stata leggermente più sfortunata, o fortunata, sono stata trapiantata abbastanza giovane. Io vedo che ci sono molte persone che non hanno la mia età, che sono un po’ più anziane quindi lì secondo me diventa più complicato.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) 

 Uno scopo nella vita Infine,  più  complesso  è  il  legame  fra  lo  stato  emotivo  e  di  salute  che  può  frenare l’attività fisica e gli aspetti sociali che influiscono sulla vita dei pazienti quali l’inattività lavorativa dopo un trapianto. Questa mancanza è vissuta come un ostacolo generale al  benessere  e  richiama  negli  intervistati  la  necessità,  da  parte  delle  istituzioni,  di investire su questo  fattore. Ancora una volta, questo dato viene sottolineato da due pazienti del Centro‐Sud.  

 “Sono d'accordo sulla necessità di fare attività fisica, anche se penso che un trapiantato dovrebbe prima avere  il  lavoro, essere  impegnato con qualcosa. Perché moltissimi non hanno  uno  scopo  nella  vita.  Se  hanno  uno  scopo  nella  vita  allora  l'attività  fisica  è  la ciliegina, può completare  la cosa. Certo  lo sport aiuta moltissimo a tornare a essere se stessi però è essenziale il lavoro o comunque uno scopo reale.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

  3.4.1 Ostacoli clinici  Gli ostacoli clinici dichiarati dai pazienti con trapianto sono quelli elencati dai medici. Nel  racconto  dei  primi,  però,  la  contestualizzazione  nella  vita  privata  produce  una narrazione che aiuta a intravedere soluzioni e a raccontarle con le loro stesse parole. I gruppi di ostacoli clinici individuati sono tre:  Effetti delle cure e stanchezza In  questo  gruppo  rientrano  gli  effetti  dei  farmaci  che  sono  fra  le  ragioni  sostanziali della nostra  ricerca: se da una parte vi è  la necessità di mitigare gli effetti secondari delle medicine assunte dai pazienti trapiantati, dall’altra le loro controindicazioni sono dichiarate  essere  la  causa  del  non‐fare  attività  fisica.  La  conseguenza  più marcata, unitamente  allo  stile  di  vita  dovuto  alla  routine  quotidiana  e  agli  impegni  è  la stanchezza: 

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“L’unico ostacolo  che mi  viene  in mente è alcune  volte  la pigrizia dettata dalla  fatica. Magari visto che tra le varie cose della malattia c’è un’anemia di sottofondo che porta a una fatica… e questo a volte magari abbassa un po’ lo stimolo a fare qualcosa. Quando però  si  riesce  a  superare  questa  cosa  si  può  entrare  in  un’abitudine  di  attività.” (2_Rene_31‐50_U_Nord) 

 “La  palestra  qui  in  paese  c'è, ma  non  ci  vado  perché  quando  prendo  le medicine mi danno sonnolenza. Alle 8 del mattino e della sera le prendo e mi viene sonnolenza e non mi riesce alle volte di andare in giro. Delle volte mi addormento sul tavolo.” (4_Rene_51‐70_U_Nord)  “Benefici  fisici  quand’ero  giovane  c’erano,  adesso  un  po’ meno.  È  più  faticoso  adesso avere benefici fisici. Cioè la tonalità muscolare che ho perso facendo per 7 anni una dieta ipoproteica si vedono.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)  “Un po’ per gli orari e un po’ per mancanza di energia, non riesco. Nel senso che alla sera sono stanco.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord)  “L'iniziare a muoversi è antipatico, sono lenta nei movimenti perché sono sempre stanca. Questa è una cosa che ho da dopo il trapianto, non solo io ma anche altri, siamo stanchi più degli altri,  cioè mi alzo  stanca, quindi  iniziare a muovermi è un po’ antipatico, mi scoccio. Però dopo dai, è bello.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

 Ostacoli fisici In generale, e in sintonia con i risultati delle interviste ai medici, i pazienti più giovani e quelli con esperienza di attività  fisica prima del trapianto non riportano ostacoli  fisici particolari, mentre  per  quelli  più  anziani  e  non  praticanti  prima  della malattia,  gli ostacoli clinici rappresentano l’impossibilità totale di fare attività.   

“Camminare  non  posso  tanto  perché mi  fa male  il  ginocchio.  A  lavorare  non  posso lavorare...  giro  un  po’,  niente  di  particolare.  Lavorare  non  ce  la  faccio.  Se  faccio  un lavoretto in piedi mi stanco subito. Siccome ho perso pure l’allenamento. da 5‐6 anni, da quando sono andato  in pensione. Prima  facevo  il muratore, un mestiere pesante. Sono andato  in pensione nel 2013. Ho un ginocchio  che non  funziona. Operarmi non posso perché  il  dottore  ha  detto  che  non  posso  rischiare  per  il  trapianto.”  (5_Rene_51‐70_U_Centro)  “Non faccio attività perché  le ginocchia non mi reggono, mi hanno operato  in una e mi hanno messo la protesi e vado avanti fin tanto che posso.” (4_Rene_51‐70_U_Nord)  “La  paura.  Sì,  quella  sì  perché  negli  ultimi  12  anni  ne  ho  viste  di  brutte  a  parte  il trapianto. Sono stato operato per un aneurisma cerebrale prima del trapianto, nel 2004. Il trapianto è stato nel febbraio 2013. Dal 2004 al 2013 come sport attivo, mi dedicavo con mio figlio alle gare radiocomandate. Dopo l'intervento di aneurisma durante il quale 

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ho  perso  la  vista  da  un  occhio  per  un  anno  non  riuscivo  a  dormire  disteso,  terribile. Adesso ho recuperato.”(6_Rene_51‐70_U_Sud) 

 Altre malattie Non  solo  le  conseguenze  fisiche  di  un  trapianto,  per  il  quale  vengono  segnalate differenze che  influenzano  la pratica dell’AF  in accordo con quanto già analizzato nei discorsi  dei  medici,  ma  anche  comorbidità  come  il  laparocele  possono  limitare  la tipologia  di  attività.  Questo  fattore  può  essere  limitante  ma,  di  nuovo,  fattori motivazionali  come  una  situazione  personale  di  particolare  responsabilità  come l’essere  genitori  o  forti  passioni  sportive  antecedenti  al  trapianto,  giocano  da facilitatori dell’impegno fisico:  

“Allora un ostacolo alla ripresa… a parte che ho avuto un virus, ma no, non ce ne sono stati perché sono da mettere  in conto gli acciacchi del primo anno. Perché dicono che è normale, praticamente dicono che tutti  i virus  in giro  li becchi tu.  Io  li ho presi, quindi all’inizio non è stato un avvio molto facile, dopo invece siamo partiti e siamo andati alla grande.  La  prova  è  che  abbiamo  un  bimbo  di  due  anni  che  non  doveva  esserci.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)  “Anche  il  ballo  latino,  è  sempre  stata  la mia  passione  e  continuo  a  farlo.  Dopo  il trapianto ho  chiesto  il permesso al medico  e ho  iniziato a giocare a  tennis. Avevo un amico  che  era  disponibile,  abbiamo  iniziato  piano  piano,  mi  divertivo.  Poi  vabbè  è subentrato il laparocele. Quelle cose lì pongono naturalmente dei limiti, no cavallo o sci, perché mi  rendo  conto  che  se mi  faccio male, devo  sospendere  la  terapia, prendere  il cortisone, ecc.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)  “Le  conseguenze  si  sono  sentite  un  po’  più  in  là,  perché  ho  un  laparocele  per  cui  ho lasciato lo yoga e ho preferito le camminate in attesa di fare un intervento perché questa cosa non mi permette di muovermi bene.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)  “Il  nuoto mi  sono  proposta  di  farlo  però  ho  sempre  la  paura  che  l'acqua  contenga microbi,  batteri.  Perché  c'è  gente  prima  e  dopo.  Sono  andata moltissime  volte  nella piscina qui vicino ma non mi sono mai sentita tranquilla al cento per cento. Il mare idem. La ginnastica con animali quindi lo sport con cavalli, anche qui i batteri fanno un po’ da padroni per cui è un po’ problematica la cosa. Allora cerchi il posto dove magari non ci sono  tutti  questi  problemi,  cerchi  uno  sport  in  sicurezza  e  non  è  sempre  facile  tra l'altro.  Io  sono  con  gli  immunosoppressori molto  forti  e  questo mi  blocca  parecchio.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

  3.4.2 Ostacoli di tipo organizzativo  La mancanza di tempo dovuta all’attività  lavorativa è  il maggiore ostacolo alla pratica dell’attività fisica. Un secondo fattore rilevante è la vicinanza di una palestra, che in 

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condizioni  come  quelle  di  pazienti  con  lavori  impiegatizi  e  in  località meno  servite, sembra  influire. Come per  il resto, sono  i pazienti più avanti con  l’età e al Centro Sud ad addurre l’organizzazione come ostacolo.  Avere acquisito  l’importanza dell’attività fisica come terapia diventa allora un ricordo superficiale  di  quando  si  è  stati  consigliati  dal  medico  di  praticarla.  Su  questo  è necessario  lavorare  in  termini  di  comunicazione  efficace,  basandola  sul  dato  e sull’autorevolezza dell’emittente. “Basta sapersi organizzare”, dice un intervistato:  

“Basta sapersi organizzare. È molto semplice come risposta però io ritengo che se uno fa un lavoro come il mio, abbastanza impegnativo, praticamente non ho orari. Ma io se una mattina non voglio andare a  lavorare sto a casa. Naturalmente per un  impiegato è più difficile. Perciò avere delle  strutture, delle palestre  vicino  casa  è molto positivo. Poi  ci sono quelli che la mattina si svegliano presto e vanno a correre, per questo dico sapersi organizzare.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro)  “Ho visto dei volantini ma io per primo so che mi farebbe bene fare attività fisica. Sono il primo a dirlo ma non riesco a praticarla. L’unico problema è che devo  lavorare.  I primi anni  siamo anche  riusciti a uscire quell'oretta a  camminare però da  tre anni abbiamo ritirato quest'attività,  l’edicola, ed è tre anni che non riusciamo, pochissimo. Lavoriamo dalla mattina alla sera, senza giorni di riposo. E non ci sono strutture vicine né a casa né al  lavoro. Magari più avanti. È  sempre un discorso di organizzazione.”  (10_Fegato_31‐50_U_Nord)  “Se  io avessi  tempo andrei  in palestra. Ma mi manca perché  la mattina devo pulire,  il pomeriggio magari  c’è mio marito  e  andiamo  fuori.  Preferisco  stare  in  famiglia  che andarmene in palestra.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud)  “Non riesco a  lasciare quel carico di  lavoro a mia moglie per staccarmi e andare a fare sport. Mi sento in colpa, è più una cosa di questo tipo.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord)  “Io  sono  fortunato  perché  mediamente  almeno  metà  pomeriggio  sono  libero  quindi riesco  a  svolgere  attività  fisica  facilmente.  Per  chi magari  ha  orario  spezzato  e  una famiglia diventa più difficile.” (2_Rene_31‐50_U_Nord)  “Sono una pensionata e ho tempo. Le persone più giovani lavorano e sono più occupate di me (difficoltà a trovare persone per tennis). C’ho pensato di  iscrivermi nei circoli e  lo farò.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) 

 Soltanto in un caso, viene lamentato il timore da parte del personale di una palestra, rientrato grazie ai certificati medici portati dalla paziente:  

“Prima  c'è  stato  lo yoga.  Io  frequentavo  il  centro yoga ma non mi volevano accettare perché l'idea del trapiantato fa un po’ paura. Perché possono succedere delle cose, vieni visto come un diverso,  in senso positivo trattato con  i guanti gialli. Ma ho spiegato, ho 

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portato  certificati  che  dicevano  che  potevo  fare  queste  cose  e mi  hanno  accettato.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

  3.5 Il luogo dove si vive e l’offerta del territorio  Il  luogo dove vivono gli  intervistati è considerato  importante; il peso che viene dato a questo fattore è comprensibilmente maggiore di quello riferito dai medici. Rilevanti  rimangono  le  differenze  dell’età: mentre  per  i  più  giovani  questa  variabile conta di meno, i più anziani lamentano maggiormente la carenza di strutture.  Notevole è la differenza fra chi vive in una città grande o nelle vicinanze e nei centri più piccoli e isolati.  

“Se si abita in un centro un po’ più grande, vai fuori cammini ma se non c’è il parco vicino devi adeguarti a camminare mezz’ora  in macchina. In quel caso  l’unica è  la palestra. Io abito in un paesino. Qui ci sono dei campi, vai dentro in una stradina ed esci dall’altra. È importante  dove  abiti.  In  un  paesino  come  il  mio  hai  tutti  i  posti  per  muoverti  e camminare.” (7_Rene_31‐50_D_Nord)  “Dove abito  io mi verrebbe difficile perché comunque abito  in un paese e magari non ci sono  i  posti  adatti  piuttosto  che  se  abitassi  in  centro  a  Milano  con  parchi  e  zone pedonali/ciclabili.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)  “La palestra, non è tanto  lontana, ma comunque bisognava prendere  l’auto. E forse,  la non costanza è dovuta anche a quello perché ogni volta che  ti dovevi muovere dovevi prendere la macchina e arrivare al paesetto qui vicino. Io ho sempre guidato. Non è che sia un ostacolo è che dopo un po’ la strada ti blocca, ti annoia stare li ‘mi devo cambiare, preparare, monta in auto, vai in palestra’.” (7_Rene_31‐50_D_Nord) 

 La presenza di risorse naturali, come nel caso della montagna o del mare, così come la presenza  di  palestre  accessibili  si  confermano  essere  facilitatori,  complementari  al lavoro di base svolto dai CT, dai medici e dai caregiver.   

“Dipende  sempre dalla persona.  Se hai  lo  stimolo basta poco per  superare  la barriera dello spazio. Quindi magari io esco di casa, vicino ho una pista ciclabile. È una questione di volontà. Quindi  il  luogo aiuta ma se c’è  la volontà si  fa comunque.”  (14_Fegato_18‐30_U_Nord)  “I vantaggi di vivere  in montagna sono tanti,  l’aria è pura. Però è  lontano da tutto, per andare  alla  palestra  più  vicina  ti  devi  organizzare,  fare  chilometri.  Per  questo  ho comprato un tappeto, una cyclette. Devi fare sport  in maniera  isolata. Non c’è  il tennis. Devi  andare  a  trenta  chilometri  per  farlo.  Però  puoi  fare  passeggiate,  corse.  Ci  sono sentieri tracciati bene.” (17 Cuore_51‐70_Centro) 

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“Appena mi hanno dato l’ok siamo andati subito. Dopo se parliamo di andare in palestra, io vivo in un paesino di montagna sperduto… ma torno a dire che se vuoi fare ginnastica anche se  fai  le scale dieci volte è come se  facessi  lo step  in palestra. Cioè se uno vuole fare sport non ci sono scuse, si trova un modo. Sicuramente uno  in città è obbligato ad andare  in  palestra  o  cercare  dei  posti  diversi.  Io  qua  invece  apro  la  porta  e…” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)  “Le piscine me le hanno sconsigliate. Pista ciclabile fantastica. Sì, non solo per me, anche mia mamma tutti  i giorni prende  la bicicletta e va a Modena. Va anche  in palestra mia madre, si vicino casa. Poi io faccio pilates a qualche chilometro da qui. Sì, mi sposto con l’auto.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)  “Forse  la motivazione  vera è  solo una, un grandissimo amore del mare.”  (6_Rene_51‐70_U_Sud)  “Se  io  vivessi  in  città morirei  completamente.  Io  vivo  in un piccolo borgo, abbastanza attrezzato, con aria  respirabile, diciamo che ho un po’  tutto. Anche  se  il piccolo borgo magari non mi offre  la palestra buona ho una piscina soltanto, magari con più piscine potrei avere più possibilità. Diciamo che dipende.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)  “Io so un po’  isolato perché vivo  in un paesino a 1300 metri,  in Abruzzo, predomina  la stagione  invernale. Se c’è  troppo  freddo non esco perché ho paura di ammalarmi.”(17 Cuore_51‐70_Centro) 

 

Si  rileva  anche  la  consapevolezza  del  ruolo  dei  Centri  trapianti,  che  sono  i  più riconosciuti  dal  punto  di  visto medico ma mai  indicati  come  responsabili  di  compiti organizzativi per ciò che riguarda l’AF. I riferimenti, in questo caso, sono Asl e Comune.  

“Noi pazienti proveniamo da regioni diverse. Secondo me è proprio la persona che deve trovare  la  voglia  di  fare.  Il  centro  trapianti  ti  può  invogliare,  ti  può  dare  dei suggerimenti  su  cosa  fare  ma  non  può  organizzare  tutto;  possono  frequentare  la palestra solo quelli che abitano vicini.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)  “Tipo  di  servizi  offerti  dal  territorio.  Sinceramente  non  sono  mai  andata  a  vedere. Dall’Asl, essendo  fuori dal mondo, non  lo cerco. Lo cerchi dove vuoi con chi vuoi, con  i tuoi tempi.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) 

 “Penso  sia  più  il  comune. Magari  fare  una  palestra  in  ogni  comune  sarebbe  ottimale senza  dover  passare  nel  paesetto  a  fianco.  La  piscina  anche. Mi  piaceva  [andare  in palestra],  però  comunque  15‐20  km  da  fare  avanti  indietro,  magari  d’inverno...” (7_Rene_31‐50_D_Nord)  “Modena è molto attiva da questo punto di vista. L’Emilia‐Romagna da questo punto di vista ha molto da donare, basta  solo volerlo  fare.  Io dove vivo  sono molto  fortunata.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) 

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3.6 Il ruolo della famiglia  Nei  racconti  delle  esperienze  di  trapianto,  il  ruolo  della  famiglia  è  prioritario,  come ricordano anche  i medici e  la psicologa  intervistati nella prima  fase della  ricerca. Nel periodo  post‐trapianto,  per  tutta  la  vita  del  paziente,  il  ruolo  della  famiglia  nel benessere generale dei pazienti continua a incidere anche nell’incoraggiare alla pratica dell’attività fisica. Viene sottolineato  il  lavoro di preparazione al trapianto svolto dai CT e dal personale medico in generale. Per questo, ricollegandosi agli interventi dei medici, è importante svolgere  un’azione  di  preparazione  all’attività  fisica  post‐trapianto  anche  con  i famigliari.  

“Quando ti mettono in lista ti chiedono com’è la famiglia, se vai d’accordo, perché serve dopo  il trapianto, quando ti fa male tutto e hai bisogno. Poi se sei un tipo che reagisce ok, altrimenti hai bisogno di qualcuno che ti tira su. Perché comunque il dolore è forte e hai  bisogno  di  qualcuno  che  ti  dica  ‘dai  alzati, muoviti’  altrimenti  staresti  sdraiato.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)  “Per quanto  in ospedale sia stato  trattato bene, stare a casa è diverso. Chiaramente a casa ho creato un po’ di confusione, dovevo mangiare  in un certo modo, per andare  in bagno  dovevo  essere  accompagnato. Ma  io  credo  che  rientrare  in  famiglia abbia  un effetto terapeutico.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro) 

 Le  caratterizzazione di  come  la  famiglia  incida nella pratica dell’attività  fisica è  stata suddivisa per  tendenze,  a  seconda delle  condizioni materiali e del peso  attribuito  al ruolo delle persone vicine.  Lo faccio per voi e con voi La  pratica  dell’attività  fisica  viene  svolta  essendo  incoraggiati  dai  famigliari  o  per incoraggiarli di fronte a una situazione emotiva difficile:  

“Quando  sono  andata  al  trapianto  i  miei  figli  piangevano  e  io  gli  dicevo  ‘non  vi preoccupate perché  io  torno’. Sapevo  tutto  il decorso della malattia, ho  lavorato come tecnico di laboratorio analisi, perciò sapevo quando gli esami andavano male. Conoscevo la mia malattia. La mia  famiglia mi ha dato  tanto aiuto perché erano  sempre vicino a me. Questo ti aiuta molto. Perciò quando tu ti  imponi di stare bene,  io ora faccio tutto, anche lo sport.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud)  “Ho mio marito che è un vigile del fuoco e ha molto tempo libero: usciamo e andiamo a fare  passeggiate.  Anche  in  riva  al mare mi  faccio  delle  lunghe  passeggiate  con mio marito. Anche lui mi invoglia, usciamo, andiamo per negozi.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud) 

   

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Guarda che ti controllo Trasversalmente al  luogo,  la  funzione di  controllo dei  famigliari è  importante  sia nel facilitare, sia nell’ostacolare l’attività fisica.  Per ciò che riguarda l’età, anche in questo caso si nota una corrispondenza fra quanto già  analizzato  nei  discorsi  dei medici  e  nei  racconti  dei  pazienti:  per  i  più  giovani  i genitori possono essere di ostacolo, mentre nel caso dei più anziani sono altri i fattori che  incidono,  come  per  esempio  la  compagnia  di  un  coniuge  o  dei  figli  durante l’attività fisica.  

“La  mia  famiglia  è  super  apprensiva.  Quando  ho  preso  la  lavatrice  non  la  potevo spostare, mia madre:  ‘no  tu  non  devi,  sei  stato male’.  Sono molto  apprensivi  e  non vogliono  che  faccia  sport.  Quando  la  dottoressa  mi  ha  detto  che  dovevo  dimagrire andavo da solo a correre, poi ora ho iniziato ad andare con un vicino di casa. Ma anche la bicicletta  l’ho  fatta sempre da solo. Un mio amico va  in palestra ma  io non sono da palestra. Non mi va di stare lì a tirare su un peso dieci volte. Secondo me lo sport è altro.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord)  “Quando non spinge al movimento, quando tiene tutto sotto una campana di vetro  'no non fare questo perché altrimenti'… ecco in quel caso fanno un danno enorme e creano degli  handicappati,  dei  trapiantati  che  non  si  godranno  assolutamente  la  vita.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)  “I miei famigliari mi incoraggiano e vengono con me. Anche mia moglie è appassionata di passeggiate. Io prima pensavo solo a lavorare, e ora… Mio figlio telefona ogni giorno per sapere se ho fatto attività, per tenere allenato l’organo.” (17 Cuore_51‐70_Centro)  “Mio padre mi controllava a occhio il peso, e poi mi sono comprata una bicicletta perché il nefrologo era fissato con le biciclette che però non uso da un po’ per il laparocele, ma forse perché mi sono fissata anch'io.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

 Nessuna influenza Quando  non  viene  dichiarata  alcuna  influenza  da  parte  della  famiglia,  ritorna  la prevalenza  del  fattore  psicologico,  di  spinta  individuale  al  non‐fare;  l’assenza  della famiglia o  la presenza di una struttura parentale dove  l’individuo è  in qualche modo marginalizzato sono fattori disincentivanti.  

“Magari sì, ti spronano a fare qualcosa ma è comunque una cosa che è sempre partita da me.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) 

 “Anche  con  mia  figlia  abbiamo  cominciato  qualche  volta  a  camminare  ma  poi  ho mollato, poi ripreso, poi ho mollato un’altra volta. Ma ho altro da fare piuttosto. Quando passa e mi dice ‘mamma andiamo a farci un giro a piedi’, le dico ‘mi dispiace non posso, devo  fare altro’. A me piacerebbe  camminare. Ho  fatto  tanti anni di  camminate dalla 

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stazione  all’ospedale  avanti  indietro.  Solo  che  adesso  un  po’  per  il  dolore,  un  po’  che faccio tanta fatica, mi blocco.” (7_Rene_31‐50_D_Nord)  “C'ho mia mamma e nove fratelli, tutti qui in zona. Ma lavorano tutti, poi sono sposati.” (4_Rene_51‐70_U_Nord) 

 È nel mio DNA Il parere di chi  fa attività  fisica e afferma che  fare movimento è “nel proprio DNA” è perfettamente  complementare  quello  di  chi  si  dichiarava  non  portato  “per  natura”, motivo  che  mette  in  tutta  evidenza  l’influenza  di  cosa  è  sentito  “naturale”  o “innaturale”  nella  nostra  cultura.  La  presenza  di  famigliari  che  hanno  contribuito all’educazione al movimento è allora di peso.  

“No, nel  senso che credo di essere autonoma. Non  credo di avere avuto bisogno della famiglia per fare sport. Sicuramente mi avrebbero incoraggiato perché mia madre ha 75 anni e va  in palestra. Forse è nel Dna. Ero già auto motivata, anzi da giovane ho  fatto molte attività.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)  “Lo sport non è mai stata una cosa di famiglia.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord)  “Se  ti  ritrovi  in un  contesto  familiare  in  cui  tutti  sono  salutisti  e  ci  tengono al proprio benessere, fanno attività.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)  “Mio marito pesa 130 kg, l’ho messo a dieta. Non bisogna mai lasciarsi andare nella vita. Possiamo controllare alimentazione, muoversi, sport. I miei figli fanno ginnastica, vanno in palestra.” ((15_Fegato_51‐70_D_Sud) 

  3.7 Il ruolo delle associazioni  Le associazioni non sembrano  influire nella pratica dell’attività  fisica.  In questo caso  i racconti dei pazienti non corrispondono all’importanza data a questo stakeholder nel discorso dei medici. Grande peso ha invece la variabile geografica. Soprattutto al Sud o nei centri più piccoli e  isolati  viene  lamentata  la mancanza  di  un  contatto  con  altri  pazienti  nelle  stesse condizioni per condividere problemi e opportunità.  

“No, non sono entrato in contatto con altri pazienti. Cioè, se era, era proprio qualcosa di casuale che capitava al momento. Però non mi sono mai rapportato con qualcuno al di fuori dell’ambito ospedaliero. Penso che, considerato che quando mi sono ammalato ero molto  giovane,  credo  sarebbe  stato  molto  utile  approcciarsi  con  altri  coetanei.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)  

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“No, no, non ne conosciamo e non ne frequentiamo”. E al Centro trapianti gliene hanno parlato? “No”. (16_Cuore_18‐30_U_Sud)  “Qui non  si organizza assolutamente niente. Non esistono  completamente. Non  siamo molti trapiantati, non c'è contatto  tra di noi.  Io  li  incontro gli altri trapiantati al centro trapianti  quando  vado  a  farmi  il  controllo,  ma  anche  lì  non  c'è  molto  contatto.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)  “Non  sono entrato  in contatto. Quando vado a  fare  i controlli  incontro più o meno gli stessi pazienti, però non  sono mai  entrato  in  contatto, non ne  conoscevo  l’esistenza.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro) 

 Indipendentemente  dalla  regione  di  residenza,  la  lontananza  dalla  sede  è  la motivazione per non frequentare associazioni e gruppi di pazienti.  

“Quando  ero  in  ospedale  ho  conosciuto  il  responsabile  [dell’associazione]  ma  noi abbiamo  un’ora  e mezza  per  arrivare  a  Bergamo  e  quindi  non  partecipo  a  tutte  le riunioni. Leggo magari quando vado a  fare  la visita  tutto quello che c’è stampato, ma non partecipo perché sono lontana.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) 

 “Ho  conosciuto una  signora.  Le avevo  proposto  ‘facciamo  insieme’,  solo  che  lavora  in casa per il marito e non ha tempo libero. Anche lei è di qualche paese più in là. Qua non conosco nessuno che sia stato trapiantato.” (7_Rene_31‐50_D_Nord)  “In Abruzzo è carente. Io sono iscritto a quello di Roma, sono organizzati molto bene, ma sono  quattro  ore  di  macchina.  Qui  associazioni  di  malati  non  ce  ne  sono,  mentre potrebbe aiutare. Vedo che loro fanno molte attività per la promozione delle donazioni, anche nelle scuole.” (17 Cuore_51‐70_Centro) 

 Rimane, per tutti, la necessità di azioni, eventi, gruppi che facilitino la condivisione. 

 “Associazioni  dei  pazienti…  Non  l’ho  mai  cercata,  non  ho  mai  detto  ‘ho  bisogno’. Pensando in generale sicuramente potrebbe avere un ruolo positivo per quelle persone a cui manca un certo stimolo da sé a fare qualcosa.” (2_Rene_31‐50_U_Nord)  “Mia moglie cerca sempre di convincermi ad andare in parrocchia, ma le dico di lasciarmi in pace.” (17 Cuore_51‐70_Centro)  “Anche solo il fatto di vedersi oltre al contesto ospedaliero che non dev’essere per forza il fatto di fare l’attività fisica. Quindi più dal punto di vista del morale [sostegno emotivo] sarebbe positivo.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) 

 “Sono socia di un’associazione... un paziente della dialisi ha fondato quest’associazione per aiutare  i pazienti, per avere agevolazioni. Però no, non mi sono  interessata, non ho parlato.” Se vicino a  lei ci  fosse un’associazione con altri pazienti potrebbe  invogliarla? 

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“Si magari un gruppetto con gli stessi problemi, dove ti puoi confrontare”. (7_Rene_31‐50_D_Nord) 

  3.8 Il ruolo dei medici  Nel corso delle interviste sono stati approfonditi sia il ruolo dei medici specialisti nella pratica dell’attività  fisica sia quello dei medici di medicina generale, per capire quale ruolo hanno e potrebbero  rivestire e quali  sono  i punti di  forza e di debolezza nella relazione tra loro e con i pazienti. Il ruolo che  i medici specialisti rivestono nel guidare  i pazienti alla pratica dell’attività fisica è risultato fondamentale, sono la loro competenza e autorevolezza a guidare sia coloro  che  non  avevano  esperienza  di  attività  fisica  prima  del  trapianto,  sia  i  più intraprendenti, già motivati ed esperti. Un  fattore  di  successo  della  collaborazione  è  l’avere  affrontato  il  tema  dell’attività fisica già in fase di preparazione al trapianto.  

“Queste cose  le avevo chieste al professore che mi aveva fatto  l'intervento. Questa era una discussione che avevamo già fatto nel primo trapianto, avevamo già discusso delle paure e lui mi aveva detto che non c'era nessun problema e che potevo anche andare a cavalcare volendo senza nessun problema. Mi diceva non ti preoccupare perché sarà una vita normale.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)  “Quando  ho  qualche  problema  mi  rivolgo  direttamente  per  qualsiasi  cosa  ai  medici dell’ospedale del trapianto. Per qualsiasi cosa ecco, nel dubbio, so che sono competenti. Il medico di base mi serve per le ricette, per qualche  impegnativa, piccole cose. Quando c’è  qualcosa  di  un  po’  più  impegnativo  mi  rivolgo  direttamente  in  ospedale.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord) 

 Decisamente non rilevante è  il ruolo dei medici di medicina generale, che per tutti gli intervistati non sono punto di riferimento per l’attività fisica.  Il motivo  principale  è  la mancanza di  competenza  specifica  loro  attribuita:  poiché  a livello strutturale  il  loro ruolo deve essere generalista,  la possibilità e  l’opportunità di praticare l’attività fisica per un paziente “speciale” come quello trapiantato esulano dal loro compito.   Questa  evidenza  è  da  ricollegare  ai  risultati  delle  interviste  ai medici,  che mettono l’accento sull’aspetto culturale attorno a questo tipo di terapia: se al MMG è affidata la prescrizione dei  farmaci per  tutta  la popolazione dei pazienti,  inclusi quelli “speciali” come  i pazienti cronici trapiantati, questo dimostra che  il concetto che  l’attività fisica sia un vero e proprio  farmaco non è ancora penetrato nella sua comunità.  I pazienti, dal  canto  loro,  lo  confermano  riflettendo  –  e  giustificando  –  questa  mancanza (culturale) di competenza. 

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“È  difficile  conoscere  il  paziente  trapiantato,  cioè  non  è  una  cosa  di  tutti  i  giorni  che permette  al  medico  di  famiglia  di  avere  una  memoria…  Magari  tra  vent'anni  sarà diverso, avremo più possibilità e studi. Il lavoro che sta facendo lei magari un medico su dieci  lo  leggerà e si  farà  le ossa, quindi avrà una memoria non storica ma si baserà su quella per poter lavorare con un paziente. Altrimenti è difficile dire delle cose che poi non si sa cosa può succedere.  Fra  i  vari  specialisti  centra  ben  poco  a  parte  scrivere  ricette  perché  quando  io  ho bisogno  di  qualcosa  ho  bisogno  sempre  del  medico  che  mi  ha  trapiantato  o  del nefrologo. Il medico di base ha una formazione non completa per me. Anche quando mi prescrive qualsiasi cosa, anche un antidolorifico o antibiotico, so che prima di prenderlo devo chiedere se posso allo specialista.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)  “Il  medico  di  base?  Il  medico  specialista?  Io  devo  dire  più  dal  punto  di  vista  dello specialista perché dal mio medico di base  vado  se ho  l’influenza ma  se ho bisogno di altro vado dal nefrologo.  Il nefrologo sì, può aiutare a dare una spinta.”  (1_Rene_18‐30_U_Sud)  “Con il medico di famiglia dopo che sono stato male non c’ho avuto più niente a che fare. Secondo me i medici di famiglia ormai non servono più a nulla. Non sanno neanche loro chi sei. Quindi non credo possano darti una mano. Non vorrei essere troppo brutale nella mia affermazione.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord)  “ll medico del paese non era specializzato nel seguirmi. Siamo pazienti un po’ particolari e mi ha sempre dirottato a Roma, dove c’è un ottimo day hospital, anche con supporto psicologico. A livello di medico di base no, invece.” (17 Cuore_51‐70_Centro)  “l medico di famiglia non  lo sento quasi mai perché a parte  il problema specifico, di cui parlo con  il nefrologo, non ne ho quindi, a parte  le ricette mediche, non  lo sento quasi mai.  Con  il  nefrologo  ho  la  visita  regolare  una  volta  al mese,  facciamo  controlli  ed esami.” (2_Rene_31‐50_U_Nord)  “Ci vado se mi viene l’influenza così, che capisco che è un’infezione normale, altrimenti il riferimento è sempre l’ambulatorio trapianti e anche lì diciamo che c’è un bel turn‐over. Vanno tutti in pensione, però so che se avessi bisogno ci sono.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) 

 Consolidato il fatto che il parere dello specialista supera quello del medico generico, la relazione con  i pazienti risulta particolarmente efficace  fra coloro che dichiarano una maggiore abitudine allo sport prima del trapianto e fra più giovani; in altri casi, il ruolo attivo può essere proprio del paziente stesso e lo specialista valida le sue proposte.  Al  contrario,  l’autorevolezza  dello  specialista,  in  mancanza  di  una  cultura  del movimento, rimane senza effetto.  

“Tanto però conta di più la testa del paziente. Loro sono bravissimi, ti dicono, ti spiegano il motivo, ti  invogliano anche però dopo se  il paziente decide per non fare o per stare a 

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casa  a  non  fare  niente,  allora  in  quel  caso  è  la  testa  del  paziente.”  (7_Rene_31‐50_D_Nord)  “Dopo  il  trapianto  ho  chiesto  il  permesso al medico  e ho  iniziato a giocare  a  tennis.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)  “Ero  io  che  chiedevo  i  permessi  e mi  venivano  concessi. Diciamo  che  per  l’effetto  dei medicinali  che  portavano  aumento  di  peso  ma  anche  glicemia  e  colesterolo,  veniva consigliato assolutamente il movimento. Però camminate così, non attività sportiva. Cioè loro si limitavano a dire di camminare molto durante la settimana, di fare cyclette o tapis roulant, ma non di andare a  tennis. Erano  i miei  interessi personali  che poi  saltavano fuori e chiedevo il permesso.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)  “Io meno  vedo  l’ospedale  e meglio  sto.  Prendo,  toccata  e  fuga.  Lui mi  dice  ‘hai  fatto questo, hai fatto quello’ io dico non ho fatto niente, non mi interessa. È come il motore della macchina. Se uno  lo  tocca ogni cinque minuti non andrà mai,  lascia che  faccia  la sua strada no?” (12_Fegato_51‐70_U_Nord) 

 3.8.1 Prescrizione  Legato all’argomento del ruolo dei medici è quello della prescrizione dell’attività fisica. Una  domanda  su  questo  è  stata  formulata  in  particolare  per  ascoltare  la  voce  dei partecipanti sull’utilità e l’efficacia di questa modalità, considerata da alcuni dei medici intervistati come la soluzione per consolidarla definitivamente, alla luce delle evidenze scientifiche, come terapia. Nonostante non esista al momento la possibilità di prescrizione vera e propria, circa la metà dei pazienti  (senza  la possibilità di una  chiara  identificazione di  caratteristiche come  l’età,  la residenza, o  l’esperienza pregressa) racconta di documenti scritti  in cui l’attività fisica viene consigliata dallo specialista.  

“Ha ricevuto una prescrizione? Sì perché dopo il trapianto mi sono ritrovato in un periodo in cui non facevo nulla e avevo messo su del peso che non mi faceva bene.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)  “Mi dicevano di camminare anche se quando facevo delle visite c’era scritto passeggiare o fare quello che mi sentivo.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) 

 La seconda metà, invece, dichiara di non avere ricevuto alcuna indicazione cartacea.  

“Non ho avuto una prescrizione perché conoscendomi sapeva che avrei  fatto… gli unici consigli erano di non esagerare, mi diceva di non affaticarmi perché l’organo è nuovo per me e per l’organismo.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro)  

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“No questo tipo di  indicazione scritta non  l’ho mai avuta. Quando mi chiedevano  ‘cosa fai’ spiegavo loro le varie cose e dicevano ‘bene bene’.” (2_Rene_31‐50_U_Nord)  “No  scritta  non  l’ho  avuta,  una  cosa  verbale.  ‘Un’oretta  di  camminata  al  giorno’.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord) 

 Interessante notare che il riferimento a uno scritto lasciato dal medico non emerga in fase spontanea. Causa potrebbe essere quella dell’abitudine a  ricevere prescrizioni o promemoria  da  parte  di  qualsiasi medico.  Certo  è  che  la  cultura  dell’attività  fisica come terapia si conferma assente anche da questo punto di vista.  Quando  sollecitati, gli  intervistati ne  riconoscono  l’utilità per una migliore aderenza, pazienti “resistenti” a parte:  

Secondo  lei  sarebbe  utile  una  prescrizione  da  parte  del medico  di  cosa  può  fare  in termini di attività fisica (ad esempio una certa quantità di camminata al giorno)? “Ah sì, questo sì.” (5_Rene_51‐70_U_Centro)  “Sì,  credo  che  alla  fine  sarebbe  molto  utile  perché  presenterebbe  in  maniera  più pressante  la  necessità  di  fare  attività  presentandola  come  parte  della  terapia.” (6_Rene_51‐70_U_Sud)  “Magari  lo  farei per  i primi giorni. Mi dispiace per me perché non riesco a mettermi  in mente che andrebbe meglio fare qualcosa.” (7_Rene_31‐50_D_Nord)  “Carlo [il medico specialista di riferimento dell’intervistato] me  lo dice sempre, sa come sono fatto e conoscendomi sa di parlare con il vento. Ogni volta che vado a farmi la visita il  medico  ospedaliero  mi  scrive  sempre  sulla  carta  ‘mezz’ora  di  camminata  veloce’. Durante la visita che faccio mi danno tre fogli: l’ultimo sono le medicine, il primo cosa ho avuto, il secondo è come sto. Ogni volta c’è scritto che dovrei fare camminate mezz’ora al  giorno.  Ma  io  cammino  ma  mica  calcolo  quanto.  Sono  sempre  in  movimento comunque  tutto  il  giorno.  Quando  mi  muovo  mi  va  giù  la  glicemia,  sto  bene.” (12_Fegato_51‐70_U_Nord) 

  3.9 Le fonti informative oggi  Nell’analizzare quali sono le fonti informative utilizzate fino al momento dell’intervista, il  medico  specialista  si  conferma  essere  risorsa  primaria  in  quanto  soggetto competente e depositario della fiducia del paziente. Ne deriva la necessità di rafforzare le  risorse  attorno  alla  comunità  medica,  supportando  misure  di  comunicazione  e rafforzando il sostegno ai centri trapianti – che seguono i pazienti e li possono guidare in questo tipo di pratica – anche dal punto di vista di cosa e come comunicano. In  secondo  luogo,  e  all’opposto  nel  quadro  degli  attori  e  delle  modalità  di comunicazione, si trovano  la televisione, che su un gruppo di pazienti  in una fascia 

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di  età  alta  costituisce  un  punto  di  riferimento  importante  nel  panorama mediatico. Minore riferimento, e con una differenza tendenziale fra pazienti che vivono  in centri grandi e piccoli, viene fatto a Internet, eventi e materiale cartaceo.   Il medico come prima fonte  Coerentemente con quanto rilevato a proposito del rapporto fra pazienti e specialisti, la base di fiducia e il rapporto personale risultano le ragioni perché, nella narrazione su trapianti e attività fisica, il medico rimanga di riferimento prioritario. 

 Quali sono le fonti attraverso le quali è venuto a conoscenza dell’argomento trapianti e attività  fisica?  “Il medico  specialista.  Sinceramente non  sono  venuto a  scoprire queste cose da opuscoli o altro.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)  “Il medico, il nefrologo. Il ruolo del medico secondo me è fondamentale.” (5_Rene_51‐70_U_Centro)  “Medici? Sì, la cyclette e il tappeto me l’hanno consigliato loro. Mi hanno detto mezz’ora di  tappeto  e  la  cyclette un’ora.  Lo  faccio  regolarmente. Quando  c’è bel  tempo  esco  e faccio passeggiate molto lunghe.” (17 Cuore_51‐70_Centro)  “Il medico sicuramente, sia il mio nefrologo che il medico della struttura dove ho fatto il trapianto. Il medico di base non tanto. Il mio nefrologo era un amante dello sport attivo quindi sapeva di cosa parlava.” (6_Rene_51‐70_U_Sud)  “ll nefrologo era fissato con le biciclette che però non uso da un po’ per il laparocele, ma forse perché mi sono fissata anch'io. E mi spingevano a muovermi e a non avere una vita sedentaria.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)  “Quando c’hanno chiamato per partecipare alla festa della mamma, allora siamo scesi. Ma per  le piccole  riunioni non vai. Poi  io quando  scendo a Bergamo  faccio  sempre un salto a salutare, per cui se c’è qualcosa vengo a saperlo dai dottori e dalle  infermiere.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) 

 La televisione Nel contesto di un paese che si affida ancora grandemente alla televisione come mezzo di  comunicazione  (l’ultimo  rapporto  Auditel  disponibile  riporta  un  totale  di  quasi 26.000.000  di  spettatori  in  fascia  serale  nel  mese  di  ottobre  2016: http://www.auditel.it/media/filer_public/24/b6/24b68739‐6c4d‐4045‐b334‐e9a8e1d0attività  fisicad5/sintesi_mensile_10_ottobre_2016.pdf),  la  pervasività  di questo mezzo è dimostrata anche dai racconti dei pazienti con trapianto. Come dimostrano  le citazioni scelte e riportate qui sotto,  l’efficacia sta sia nel tipo di informazione (i contenuti scientifici in trasmissioni dedicate, soprattutto per il pubblico maschile), sia nelle modalità di trasmissione (ad esempio,  le testimonianze di pazienti trapiantati che raccontano delle loro esperienze sportive). 

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“Dell’attività  fisica  anche  attraverso  la  tv  quando  vedi  alcuni,  la  ragazza  che  dopo  il trapianto è andata alla maratona. Quindi già ancora prima di essere messa  in  lista sai che dopo  il trapianto puoi… certo se uno  lo fa a sessant’anni uno magari dice  ‘aspetta’ ma se lo fai da giovane uno prova a fare tutto quello che prima non ha fatto. Altre fonti no.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)  “Ho  seguito molte  trasmissioni  scientifiche perché erano diversi anni che  sapevo che  il mio fegato non stava bene.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro)  “Molto la televisione, seguo i programmi scientifici.” (5_Rene_51‐70_U_Centro)  “Io  devo  dire  che  in  tv,  non  ero  ancora  trapiantata,  ho  scoperto  che  esiste  anche  la nazionale dei  trapiantati di diversi  sport. Hanno  intervistato una  signora  che era nella nazionale  di  pallavolo  di  trapiantati.  Poi  non  mi  sono  mai  informata  più  di  tanto.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) 

 Internet e Social network Nelle dichiarazioni dei pazienti  alla domanda  “dove ha  sentito parlare di  trapianti  e attività  fisica  finora?”,  il riferimento a  internet è scarso, ma rilevante soprattutto per chi abita fuori dai centri cittadini e per i più giovani  

“Per conto mio, un po’ sul Web. Quando ho fatto il primo trapianto mi hanno dato delle indicazioni generali  scritte. C’era  scritto un po’ di  tutto, dalla dieta… qualcosa parlava anche di attività fisica.” (2_Rene_31‐50_U_Nord)  “Ci  sono molte  esperienze  di  trapiantati. Ci  sono  varie  associazioni. Dove  trovo molto riscontro  sono  i  social,  ci  scambiamo  idee. Ho  visto  anche  persone  che  fanno  attività sportiva molto forte. C’è un amico che abita a trenta chilometri, non l’ho mai conosciuto di persona ed è meglio così per non rischiare di dirsi sempre  le stesse cose. Lui riesce a fare attività molto impegnative. Il trapianto non lo blocca, dipende molto dal paziente.” (17 Cuore_51‐70_Centro) 

  Materiale cartaceo Soltanto  in  un  caso  viene  fatto  riferimento  a  dépliant  e  volantini  per  promuovere attività quali passeggiate, biciclettate, mentre  la presenza di materiale cartaceo nelle sale di attesa, snello e da tenere sotto mano è particolarmente apprezzata.  

“Quando ero  in ospedale ho visto dei volantini per delle passeggiate  in montagne e mi sembra un’ottima cosa. Poi ho visto  i volantini della biciclettata, da fare tutti  insieme.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord) 

   

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3.10 Per una comunicazione efficace: i mezzi  Una  volta  ascoltata  l’esperienza  degli  intervistati  per  ciò  che  riguarda  le  loro  fonti informative sull’attività fisica, si è rivolta a  loro  la domanda su cosa è auspicabile per rafforzare la comunicazione in questo ambito. Nuovamente, è importante il contatto con il Centro trapianti e i medici specialisti, ma emergono nettamente le attività di gruppi e associazioni, così come i social network. Il contatto fra pari è il mezzo di comunicazione migliore.  Non  si  fa  mai  riferimento  a  Internet  in  senso  generico,  mentre  rimane  forte  il riferimento alla tv, ma sempre per ascoltare le storie e le interviste a medici e pazienti. Ciò che emerge come più efficace è infine la necessità di un’integrazione ragionata fra i  vari  mezzi.  Dalle  citazioni  emerge,  infatti,  che  ogni  mezzo  di  comunicazione  ha potenzialità da cogliere. Anche alla luce dei dati sull’utilizzo dei mezzi di comunicazione spiegati è il legame fra le varie forme della comunicazione a meritare una riflessione e a portare a una proposta finale, come mostrato nelle conclusioni di questo capitolo.  Social network Il riferimento a questo tipo di contenitore mediatico è presente fra i più giovani (ma è in crescita nelle  fasce di età più elevate come dimostrato dalle più recenti rilevazioni ISTAT  e  dall’Eurobarometro,  come  rilevato  in  2.9.2)  ed  è  particolarmente  utile  per entrare in contatto con i pari e conoscere eventi e iniziative.  

“Penso  siano  quelle  le  cose  più  efficaci  (social  media)  e  poi  tramite  social  media organizzare delle giornate o incontri in cui si fa dell’attività tutti insieme con persone che hanno avuto problemi di vario tipo. O magari solo con trapiantati di rene così si ha modo di  rapportarsi  con  persone  che  hanno  la  tua  stessa  esperienza.  Il mezzo  della  tv  sta perdendo credibilità perché ormai, ad esempio, una volta si parlava in due di cucina ora sono 40mila. Per cui un giorno uno ti dice non mangiare la carne, poi un altro giorno no il latte... La  tv sta perdendo un po’ di credibilità. Un messaggio su Facebook, se  fatto da una  pagina  certificata,  è  credibile.  Dev’essere  qualcosa  con  credibilità.”  (1_Rene_18‐30_U_Sud)  “Credo  che  ormai  la  soluzione  più  rapida  a  tutto  sia  internet.  Credo  possa  aiutare  a divulgare queste informazioni con i social, ad esempio Facebook e Instagram sono le vie più rapide adesso.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord)  “Sempre più persone usano social media, siti web. Ci sono pagine su Facebook, dove si trovano, chiedono consigli, si scambiano esperienze.” (2_Rene_31‐50_U_Nord)  “Io  ho  creato  un  gruppo  su  Facebook  dove  i  trapiantati  parlano  di  se  stessi,  conta parecchia gente. Quando l'ho fatto io era il primo, poi man mano ne sono sorti altri che parlano bene o male della stessa cosa,  il trapianto come argomento principale. Ci sono anche associazioni  che entrano a  far parte ma  il gruppo è  libero nel  senso  che  si può 

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instaurare qualsiasi discussione. Ma è un gruppo vecchio perché ha 6 anni. Ci sono altri gruppi nuovi. Non ha più la valenza che aveva cinque anni fa.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

 

Il gruppo Grandissimo consenso fra i pazienti più avanti con l’età ottiene la possibilità di scambio in  presenza,  indipendentemente  da  altri  fattori  quali  l’abitare  in  una  città  grande  o piccola o vivere in una regione del Nord, Centro o Sud. Il  gruppo  costituisce  un  importante  fattore motivazione  alla  pratica  dell’AF  e,  nella dinamica della condivisione, risulta una evidente area di opportunità. Questo risultato apre la riflessione su cosa i Centri trapianti, così come le istituzioni locali, possono fare per facilitare questi incontri.  

“Parlare delle proprie esperienze. Io ogni tanto quando vado a fare le visite di controllo e trovo altri pazienti, posso promuovere quello che faccio, far vedere che sono una persona che ha vissuto e sta vivendo questo tipo di attività e che sono uno di quelli che ne trae beneficio. Perché sa, ci scambiamo le nostre esperienze.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro)  “Secondo me  bisogna  creare  dei  gruppi  di  ritrovo  dove  fare  attività  di  sport,  anche all’interno del  centro  trapianti. Non  so  se  c’è ancora. Era una  convenzione  fra  l’Asl di Roma  e  un  centro  trapianti.  E  poi  bisognerebbe  intervistare  i  trapiantati.  Si  devono sentire  i trapiantati, soprattutto per chi non può più  lavorare come me.” (17 Cuore_51‐70_Centro)  “Io  direi  un  gruppetto  di  persone  che  si  trovano,  che  fanno  la  loro  attività  fisica, dopodiché magari ritrovarsi a parlare.!” (7_Rene_31‐50_D_Nord)  “Stamattina  ero  in  ambulatorio  e  sentivo  parlare  i  signori  trapiantati  di  recente  che anche  loro  sottolineavano molto  l’importanza  di  andare  a  camminare.”  (8_Rene_51‐70_D_Nord) 

 Risultato è che l’area di maggiore opportunità non si colloca nella scelta di un mezzo o dell’altro, ma nella possibilità della loro integrazione. Ricalcando la narrazione dei medici e dei pazienti, la strategia mediatica più efficace si colloca  nella  possibilità  di  partire  dai  medici  e  dai  centri  trapianti,  attraverso informazioni  sintetiche,  rafforzando  la  presenza  di  materiali  già  esistenti  sui  siti istituzionali, facilitando la partecipazione a gruppi di scambio sia in presenza (eventi e iniziative), sia attraverso i social network.  

“Magari  anche  una  volta  che  ha  fatto  un  trapianto  nell’ambito  delle  visite,  tramite  i dottori dare dei depliant o dei siti dove andare a leggere.”(18_Cuore_31‐50_D_Nord)  “L’attività fisica dovrebbe essere  insegnata come terapia. Io so che devo prendere due compresse e un'ora di questo tipo d'esercizio e quello. E a fine mese bisogna dire quali esercizi,  raccontandoli  o  registrandoli.  Dopodiché  a  questo  punto  le  associazioni  con 

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gare, che coinvolgono trapiantati e famiglie. Perché sappiamo benissimo che se ci sono gare vengono coinvolte moltissime persone. Quindi utilizzare  il centro  trapianti che nel post trapianto comincia con la terapia e poi andare avanti.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) 

  3.11 Per una comunicazione efficace 2: i messaggi   Coerentemente con le interviste ai medici, per capire insieme ai pazienti quali sono le leve  comunicative migliori  per  trasmettere  il messaggio  dell’utilità  e  della  fattibilità dell’attività fisica, l’ultima parte delle interviste a questi ultimi è stata introdotta con le domande: “Qual è  il tipo di messaggio più adatto per veicolare  l’esigenza di praticare l’attività fisica in pazienti come lei?” e “Se dovesse raccomandare a un/a suo/a amico/a che ha avuto un trapianto che è importante l’attività fisica, cosa gli/le direbbe?”. Le risposte si concentrano attorno ad alcuni filoni narrativi, qui dispiegati, che mettono l’accento su diversi attori e tempi delle storie personali:  Il percorso di ognuno di noi Raccontare  la varietà di  storie, mostrare diverse persone di età e genere diversi,  su “sfondi” diversificati (una grande città, una montagna, una camminata sulla spiaggia).  Molti  intervistati  trovano  nel  racconto  della  loro  esperienza,  spesso  segnata  da  un “prima” e da un “dopo”, il messaggio da portare per incoraggiare all’AF. Gli esempi  riportati qui  sotto  sono  la base per  i percorsi narrativi da  realizzare nelle diverse forme, dai video ai testi scritti, per promuoverla. La soggettività di ciascuno è usata per mettere in comune esperienze che vanno tutte dalla malattia alla possibilità di rinnovamento.   

“Non  riesco a  capire  cosa possa provare una persona  che non ha avuto quello  che ho avuto  io,  cioè  credo  che  le  cose  bisogna  viverle  in  prima  persona  altrimenti immaginiamo, supponiamo, crediamo...” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro)  “Non nascondo il fatto che al mio primo tentativo di corsa ho avuto i lacrimoni perché mi sono sentito normale. Mi sono sentito una persona normale. I goccioloni non li ho avuti quando ho ricominciato a mangiare ma quando ho ripreso a muovermi. Lo sport conta eccome.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord)  “Già prima di essere messa  in  lista sai che dopo  il trapianto puoi... certo se uno  lo fa a sessant’anni magari dice ‘aspetta’, ma se lo fai da giovane uno prova a fare tutto quello che prima non ha fatto. I dottori dal momento che vedono che va tutto bene… in reparto c’era una cyclette e mi dicevano ‘quando vuoi vai a pedalare, quando vuoi cammina’. Ti sforzavano  subito  loro  a  camminare  e  fare movimento. Quindi  già  da  quando  ero  in ospedale  ti  facevano  camminare  loro…  i giri  che ho  fatto  in quel  reparto. Quindi  sono loro che ti stimolano subito a muoverti anche perché ti devi abituare… ad esempio per me questo cuore nuovo batteva forte per come ero abituata con il mio. Quindi ho dovuto camminare per abituarmi al nuovo battito.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) 

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“Quando  fai un  trapianto e sei  in un  letto, vedi che sei un corpo  inerme. Allora questo dovete dire alle persone, ‘quando siete a letto, avete un corpo, delle gambe che devono camminare, perciò  lo sport vi può aiutare  in questo’. Tu sei morta e sei  rinata. Con  il trapianto di  fegato è tutto diverso.  Io sono cambiata  in alcune cose,  in meglio. Magari prima  avevo  problemi  a  parlare  con  delle  persone  che mi  intimorivano,  ora  no  sono molto schietta. Forse perché appunto sono rinata. Ho una nuova vita, è una nuova vita. Sono entrata in ospedale che avevo gli ultimi due giorni di vita e mi sono resa conto che stavo morendo. Quando una passa da  ‘sto morendo’ poi arriva  l’organo, allora  rifletti ‘ma io ho le gambe per camminare, devo reagire’. Perciò questo dovete dire alle persone trapiantate, che si devono muovere, si devono riattivare, che  il  loro corpo non è morto ma è rinato.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud)  “Correre, fare sport ti farebbe ritornare la persona che eri. È brutto dire normale perché non siamo persone normali, però torneresti  la persona di prima.  Io vabbè non bevo più alcol però  tutto quello  che  facevo prima  lo  faccio anche adesso. È proprio per  sentirsi normali.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord)  “Riappropriarsi di  un po’  di  sicurezza  perché all’inizio  si  è un po’ bloccati.  E quindi  lì l’informazione è fondamentale e importante. È importante che arrivi questo messaggio, ma soprattutto dai medici. Perché all’inizio si è molto cauti. La fiducia la si acquista nel tempo.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) 

 

 Evidenze: i benefici Confermando  le  evidenze  e  il messaggio  portato  dai materiali  prodotti  dal  CNT,  in molte  delle  risposte  dei  cittadini  trapianti,  emerge  la  necessità  di  unire  gli  effetti benefici a  livello  fisico con quelli a  livello psicologico.  Il movimento diventa allora sia terapia “fisica”, sia motivazione per recuperare su diversi fronti della vita personale.  

“Con un po’ di attività fisica la vita è decisamente migliore. Se io sono un impiegato, non facendo  attività  fisica,  sto molto  seduto  e  sento  la  differenza  tra  quando  non  faccio niente e quando riesco a fare attività fisica. La differenza si sente subito.” (2_Rene_31‐50_U_Nord)  “Subito dopo il trapianto c’è un beneficio psicologico, da quando riesci a stare meglio dal punto di vista motorio, ti senti più sciolto, un benessere. Peccato si possa fare solo col bel tempo. Quando non posso fare all’aperto uso la cyclette, il tappeto, ma è più noioso rispetto all’aria aperta. Il beneficio è soprattutto psicologico. Nello sport si può trovare una motivazione perché alla mia età, ho sessant’anni, mi hanno fatto lasciare il lavoro perché  implicava un’attività  fisica che non mi è più permessa. Allora si  recupera con quello che faccio ora che sono a casa.” (17 Cuore_51‐70_Centro)  “È importante arrivare a prendere meno farmaci possibili e l’attività fisica ci dà questa grossa possibilità, e poi diventa un modo anche per non sentirsi diversi, handicappati, per  recuperare un po’ di  sé. Perché  la dialisi è veramente devastante  sia dal punto di 

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vista fisico che psichico. Nel momento in cui hai questa grandissima fortuna di avere un organo per  il  trapianto, è un’opportunità che non va sprecata. E  l’attività  fisica c’aiuta moltissimo,  sia  nei  primi  tempi  in  cui  prendi  farmaci  in  quantità  industriale,  per contrastare  farmaci  ed  effetti  negativi,  che  dopo  per  migliorare  l’umore  e riappropriarsi piano piano delle proprie capacità fisiche.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) 

  Il limite: corpo e tempo Un tema ricorrente, già ampiamento esplorato nella  letteratura, è  il superamento dei limiti posti dalla malattia prima del trapianto.   

“Dopo tutto quello che una persona ha passato, dopo tanti divieti e limiti che ci danno sia nel modo di mangiare sia nel modo di fare, comunque dopo un po’ arriva  il bisogno diciamo che parte dentro sé.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)  “È  sempre qualcosa  che deve partire da dentro  la persona,  è una  cosa  che  va oltre  il parere medico.  Deve  sempre  partire  da  dentro,  cioè  non  bisogna  darsi  dei  limiti.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)  “Sono  sempre  stata una  che  se  ci  impiego due ore  impiego due ore,  se  ce ne  impiego quattro ne  impiego quattro. Sono sempre stata abituata a fare tutto  logicamente con  i miei tempi. Credo che ti venga anche la curiosità di voler vedere fino a che limite arrivi adesso, almeno per me è stato così. Penso che tutte  le persone che fanno un trapianto vogliano vedere fino a dove si possono spingere.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)   “Ci sono state anche cose che da malata di cuore non ho potuto fare, invece adesso con il trapianto nessuno me lo vieta. Faccio l’esempio stupido, se prima un gioco di Gardaland non  potevo  farlo,  ora  posso.  Cioè,  nel  senso  uno  può  essere  stato  condizionato  da piccolo,  ‘no tu non giochi a pallavolo perché…’, dopo  il trapianto dici  ‘adesso ci provo’. Cioè,  è  vero  che  lo  sport  aiuta  soprattutto  chi  da  piccolino  è  sempre  stato  limitato. Invece avendo un cuore che funziona può provare a fare cose che prima non riusciva.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) 

  I modelli e gli esempi: vieni con me In diversi casi, gli intervistati spostano l’efficacia della comunicazione dal contenuto del messaggio all’emittente, sia esso il gruppo dei pari o un modello di sportivo che viene da un’esperienza di malattia simile:  

Cosa direbbe a una persona trapiantata per convincerla a praticare attività fisica? “Vieni con me. Cercherei non di straparlare ma di convincerlo un po’ a provare quantomeno. E credo che potrebbe sortire un certo effetto perché  sono una persona che ha vissuto  la stessa esperienza.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro)  

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“Poi c’è stato un calciatore trapiantato di fegato e subito dopo è andato a giocare. Più testimonianza di lui. Quando ho sentito di questo ragazzo sono stata felicissima, perché subito si ritorna alla vita.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud)  “Ho  visto  come  un  calciatore,  Abidal,  è  riuscito  addirittura  a  tornare  a  giocare  nel Barcellona quindi non una squadretta.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord)  “Gli direi, più importante è per te, per mantenerti in forma: più si ha cura di noi, più si va avanti perché le medicine che prendiamo, se non le bilanci con una buona attività fisica, sono controproducenti. Bisogna fare dei paragoni, per portare la persona a volersi bene senza mai forzare. Gli esempi servono per non forzare  la persona stessa. L’attività deve essere  fatta  per  star  bene,  diventa  controproducente  forzare  e  voler  pretendere.”  (17 Cuore_51‐70_Centro)  “Direi  di  provare  e  di  farsi  aiutare  da  qualcuno  perché magari  in  gruppo  è  più  facile riuscire a  fare qualcosa. “Cerca  la motivazione con qualcuno vicino”. L’associazione dei pazienti, o sportiva, qualcuno che conosce che fa attività.” (2_Rene_31‐50_U_Nord)  “Guarda  più movimento  fai  più  lavori  di muscoli,  il  sangue  gira meglio  e  veramente funziona.  Starai meglio. Direi  subito  ‘guarda mi aggiungo anch’io, andiamo  insieme’.” (7_Rene_31‐50_D_Nord) 

  

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4. Conclusioni: costruire una narrazione su  trapianti e attività  fisica per 

diffonderne la pratica 

 

4.1 Sport e attività fisica due concetti distinti un solo risultato: tornare a stare bene 

 

Le evidenze scientifiche dimostrano che  l’esercizio  fisico si configura come un vero e 

proprio farmaco. Le  interviste realizzate a medici e pazienti sottolineano  l’importanza 

di promuovere  l’attività  fisica  intesa come “fare movimento” e non necessariamente 

come “sport” che può assumere il significato di una pratica complessa o agonistica.  

 

La  predisposizione  allo  sport  è  particolarmente  evidente  in  pazienti  che  già  lo 

praticavano  prima  della  malattia  per  chi  invece,  e  sono  la  maggioranza,  non  era 

abituato  a  fare  attività  il  riuscire  a  esercitare  uno  sport  è  più  difficile. Di  contro  la 

possibilità di praticare attività fisica è potenzialmente alla portata di tutti, per questo è 

necessario  insistere  sull’importanza  di  fare  movimento.  I  pazienti  meno  propensi 

all’esercizio  fisico  sono proprio quelli che più necessitano di azioni di comunicazione 

mirate.  

 

Dalla narrazione di medici e pazienti affiora in modo molto evidente un punto comune 

tra  sport  e  attività  fisica  ed  è  il  beneficio  che  si  ottiene  quando  si  riesce  a  fare 

movimento. 

 

 

4.2 Gli attori principali 

 

L’emittente  più  accreditato  nella  fiducia  dei  pazienti  sono  i  medici  specialisti.  La 

promozione di stili di vita corretti nei pazienti trapiantati parte dal  lavoro dell’equipe 

che  li  segue.  Se  la  comunicazione  interna  al  gruppo è efficiente,  anche  l’aderenza  a 

pratiche come l’attività fisica mostra di avere più successo.  

 

La  cultura  dell’attività  fisica  come  forma  di  vera  e  propria  terapia  non  è  ancora 

sufficientemente  diffusa  nella  comunità  medica  più  ampia.  I  medici  intervistati 

manifestano  il desiderio di  formazione  richiedono  la messa  in comune di messaggi e 

strumenti  che  dovrebbero  essere  forniti  a  tutti  i medici.  Sottolineano  inoltre  che  la 

sedentarietà  è un problema  che non  riguarda  solo  i pazienti  trapiantati, ma  l’intera 

popolazione. 

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Altra  fonte di riferimento  importante per  i pazienti è  lo scambio di testimonianze tra 

pari,  i  messaggi  provenienti  da  chi  ha  vissuto  in  prima  persona  l’esperienza  del 

trapianto sono particolarmente efficaci. 

 

Nel  periodo  post‐trapianto,  per  tutta  la  vita  del  paziente,  il  ruolo  della  famiglia  nel 

benessere generale dei pazienti continua a  incidere anche nell’incoraggiare  la pratica 

dell’attività fisica. Quando i familiari sono molto apprensivi possono essere di ostacolo 

alla pratica dell’attività fisica. 

 

Le  associazioni  sono  importanti  per  le  azioni  di  lobby  che  possono  portare  avanti. 

Un’alleanza con  le associazioni di pazienti potrebbe essere utile per  fare pressione a 

livello politico affinché  la pratica sportiva possa essere riconosciuta come una vera e 

propria terapia, prescrivibile dal sistema sanitario nazionale. 

 

4.3 Fattori motivanti e demotivanti 

 

Il fattore motivante più significativo per i pazienti consiste nella possibilità di tornare a 

riappropriarsi del proprio corpo e  riacquisire una buona qualità della vita. La pratica 

dell’attività  fisica per  tenere sotto controllo  le conseguenze del  trapianto  (farmaci) è 

l’argomento più efficace. 

 

Per ciò che riguarda gli ostacoli alla ripresa o all’avvio dell’attività fisica, la rilevanza del 

fattore psicologico è indubbia.  

 

In questo ambito rientrano due argomenti fondamentali:  la necessità di riconquistare 

fiducia nel proprio corpo e  la difficoltà a rendersi conto di non essere più malati. È  il 

piano  delle  emozioni  a  contare  di più  e  su  questo  devono  essere  creati messaggi  e 

strumenti  che  le  affrontino  e  le  utilizzino.  L’attività  fisica  è  l’occasione,  secondo  i 

medici  intervistati,  per  aggiungere  all’esperienza  del  trapianto  un  benessere  attivo, 

oltre la cura farmacologica. 

 

In fase spontanea,  i maggiori ostacoli  individuati dai pazienti  intervistati si raccolgono 

in  tre  aree  principali,  correlate  fra  di  loro.  La  prima  riguarda  un  ostacolo  di  tipo 

psicologico, il più difficile da modificare, ma anche il più interessante dal punto di vista 

del messaggio da veicolare per incoraggiare la pratica. Nonostante il nostro campione 

non  sia  significativo  e  possa  soltanto  indicare  una  tendenza  nella  popolazione  dei 

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cittadini  trapiantati,  i  meno  motivati  a  causa  di  un  “blocco  interiore”  e  di  una 

mancanza  profonda  di  motivazione  (“non  è  nel  mio  DNA”)  sembra  che  siano 

soprattutto  i  rispondenti  più  anziani  e  comunque  chi  abita  al  Sud,  senza  differenze 

rilevanti  fra  uomini  e  donne.  In  questo  gruppo  di  ostacoli  rientrano  gli  effetti  dei 

farmaci che sono fra  le ragioni sostanziali della nostra ricerca: se da una parte vi è  la 

necessità  di  mitigare  gli  effetti  secondari  delle  medicine  assunte  dai  pazienti 

trapiantati, dall’altra le loro controindicazioni sono dichiarate essere la causa del non‐

fare attività fisica. La conseguenza più marcata, unitamente allo stile di vita dovuto alla 

routine quotidiana e agli impegni è la stanchezza. 

 

Il secondo gruppo di ostacoli risiede nella paura di incorrere in incidenti, limitatamente 

ad  alcune  attività.  Anche  in  questo  caso,  l’esperienza  del  singolo  e  soprattutto 

l’abitudine  precedente  a  praticare  una  determinata  attività  fisica  giocano  un  ruolo 

rilevante.  

 

Il terzo fattore evidentemente discriminante è l’età, non soltanto per gli intervistati più 

anziani, ma anche per i giovani che hanno conosciuto altre persone con trapianto nella 

fase più vicina all’evento e sottolineano loro stessi questo fattore. Si tratta insomma di 

un  fattore non modificabile,  largamente  condiviso, ma  sopravvalutato alla  luce delle 

evidenze scientifiche. 

 

Più  complesso è  il  legame  fra  lo  stato emotivo e di  salute  che può  frenare  l’attività 

fisica  e  gli  aspetti  sociali  che  influiscono  sulla  vita  dei  pazienti  quali  l’inattività 

lavorativa dopo un trapianto. Questa mancanza è vissuta come un ostacolo generale al 

benessere  e  richiama  negli  intervistati  la  necessità  di  investire  in  pianificazione  e 

risorse su questo argomento.  

 

In generale, e in sintonia con i risultati delle interviste ai medici, i pazienti più giovani e 

quelli con esperienza di attività  fisica prima del trapianto non riportano ostacoli  fisici 

particolari, mentre  per  quelli  più  anziani  e  non  praticanti  prima  della malattia,  gli 

ostacoli clinici  rappresentano  l’impossibilità  totale di  fare attività. Avere svolto  lavori 

pesanti prima del trapianto,  in professioni come  il muratore e  la casalinga, vale come 

attività fisica “reale” secondo i rispondenti.  

 

La mancanza di tempo dovuta all’attività lavorativa è il maggiore ostacolo. Un secondo 

fattore rilevante è la vicinanza di una palestra, che in condizioni come quelle di pazienti 

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con  lavori  impiegatizi  e  in  località meno  servite,  sembra  influire.  Come  per  il  resto, 

sono ancora i pazienti più avanti con l’età e al Centro Sud ad addurre l’organizzazione 

come ostacolo. 

 

Il  luogo dove vivono gli  intervistati è considerato  importante; il peso che viene dato a 

questo fattore è comprensibilmente maggiore di quello riferito dai medici. 

Rilevanti  rimangono  le  differenze  dovute  all’età:  mentre  per  i  più  giovani  questa 

variabile conta di meno, i più anziani lamentano maggiormente la carenza di strutture.  

Notevolissima è  la differenza  fra  chi  vive  in una  città  grande o nelle  vicinanze e nei 

centri più piccoli e isolati. 

 

La presenza di risorse naturali, come nel caso della montagna o del mare, così come la 

presenza  di  palestre  accessibili  si  confermano  essere  facilitatori,  complementari  al 

lavoro di base svolto dai Centri Trapianto, dai medici e dai caregiver.  

 

Oltre  alla  differenza  fra  centri  abitati  grandi  e  piccoli,  una  sostanziale  disparità  si 

verifica  fra  il Nord e  il Centro/Sud dell’Italia:  la disponibilità di  strutture non  sembra 

essere distribuita in modo omogeneo. 

 

 

4.4 Costruire una comunicazione efficace – indicazioni operative 

 È  necessario  costruire  una  comunicazione  differenziata  nei  mezzi  e  coerente  nel messaggio.  In  questo  senso,  la  costruzione  di  “rime”  narrative  da  sviluppare  in racconti adatti ai diversi mezzi è fondamentale. 

 Elementi di contenuto Gli elementi di contenuto  sui quali  lavorare  sono  riferibili a  linee narrative che  sono 

state  costruite  unendo  gli  stimoli  tratti  dalle  interviste  ai  medici  e  dai  racconti  e 

suggerimenti dei pazienti. 

 

Emerge  in modo  evidente  che  l’attività  fisica più praticata  e  accessibile  a  tutti  è  il 

camminare.  Bisogna  camminare,  fare movimento  ritagliandosi  qualche minuto  per 

arrivare a far diventare l’attività fisica un’abitudine e un piacere. 

 

La quotidianità: è la tematica che fa leva più di tutte sui fattori organizzativi, prioritari 

per coloro che tendono a non trovare  la spinta necessaria a  inserire  l’AF nella  loro 

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giornata.  In  questo  senso,  “istruzioni  per  l’uso”  chiare  e  operative  date  dal medico 

nella  fase post‐trapianto e durante  le visite di controllo,  rafforzate da altri strumenti 

comunicativi quali siti web, video, pagine Facebook, App per smartphone, possono  in 

primis chiarire ai pazienti cosa possono e devono fare e dare loro una cadenza. 

 

Il farmaco buono: grazie alle evidenze scientifiche che collocano  l’attività  fisica  fra  le 

terapie  non  farmacologiche,  il  messaggio  degli  effetti  della  stessa  sui  parametri 

biomedici e il come si possono ottenere è un argomento prioritario. 

 

I  modelli:  spostando  l’efficacia  della  comunicazione  dal  contenuto  del  messaggio 

all’emittente,  sia  esso  il  gruppo  dei  pari  o  un  modello  di  sportivo  che  viene  da 

un’esperienza di malattia simile, rassicurano i pazienti. La logica del simile del quale ci 

si può fidare prevale. 

 

Le  evidenze:  i medici  le  portano  –  e  le  devono  portare  ‐  con  numeri  e  statistiche, 

spiegando  le  performance  dei  pazienti  non  solo  come  consiglio  per  stare  bene, ma 

come  riscontro  che mostra  in modo  chiaro  il miglioramento  (o  il  peggioramento);  i 

pazienti le portano con la loro esperienza (si torna qui ai modelli), che unisce gli effetti 

benefici a  livello  fisico con quelli a  livello psicologico.  Il movimento diventa allora sia 

terapia “fisica”, sia motivazione per recuperare la propria individualità su diversi fronti 

della  vita  personale,  sia  in  termini  qualitativi  (cosa  si  è  tornati  a  fare,  cosa  si  è 

ottenuto),  sia  in  termini  quantitativi  (quanto  si  sta meglio  in  termini  di  parametri 

biomedici. 

 

Il limite e la normalità 

Un tema ricorrente, già ampliamento esplorato nella letteratura, è il superamento dei 

limiti posti dalla malattia prima del trapianto. 

I  maggiori  benefici  si  trovano  nell’area  del  benessere  più  che  della  salute.  Fare 

movimento significa per  i pazienti  raggiungere un benessere che va oltre  i parametri 

medici e significa “ritorno alla normalità”. 

 

Fit tracker: un modo efficiente di visualizzare i dati, le evidenze, i propri progressi sono 

le  applicazioni  per  smartphone, mezzo  in  crescita  e  sempre  più  diffuso  anche  nelle 

fasce  di  età medie.  Una  applicazione  approvata  e  promossa  dal  Centro  Nazionale 

Trapianti  potrebbe  costituire  un  buon  mezzo  per  facilitare  l’aderenza  a  praticare 

attività fisica.  

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I target della comunicazione 

 

Il paziente trapiantato è al centro  

Il target che ha più bisogno della comunicazione è quello dei pazienti trapiantati e  in 

particolare  il gruppo rappresentato dalle persone che non erano abituate a fare sport 

prima  della  malattia,  è  soprattutto  a  loro  che  bisogna  comunicare  l’importanza 

terapeutica del praticare attività fisica 

 

La comunità medica 

Coerentemente  con  i  discorsi  raccolti  nelle  altre  parti  delle  interviste,  la  buona 

comunicazione  per  promuovere  l’aderenza  all’attività  fisica  nei  pazienti  trapiantati 

parte  dal  dialogo  che  si  sviluppa  dall’interno  delle  equipe mediche  che  seguono  i 

pazienti e che viene loro restituito nel rapporto personale diretto, face‐to‐face.  

 

Il fattore più problematico in questa area è, secondo i medici intervistati, la mancanza 

di  una  visione  culturale  diffusa  su  trapianti  e  attività  fisica. O  forse, meglio, manca 

l’abitudine del medico di  raccomandare  l’attività  fisica come  forma di vera e propria 

terapia.  

 

Argomento prioritario è quello dell’integrazione fra gli esperti delle diverse discipline: 

la  condivisione  delle  conoscenze  assicura,  infatti,  l’efficacia  della  comunicazione 

interna e tutta  la filiera ne trae vantaggio.  Il messaggio, perciò, deve essere uniforme 

ed esteso a tutta la comunità. 

Per questo che i risultati di questa ricerca dovrebbero a nostro parere essere promossi 

non solo tra i pazienti per incoraggiare la loro attività, ma anche fra i caregiver stessi. 

 

Dal medico al paziente 

Il  momento  dove  la  comunicazione  più  efficace  si  realizza  è  quella  fra  medico  e 

paziente, tenendo in considerazione: 

momento  del  percorso  clinico   già  da  prima  trapianto  è  necessario  preparare  il 

paziente a cosa verrà dopo 

stato  psicologico   necessitano  di  comunicazione  prima  di  tutto  chiara,  pulita  da 

evocazioni e simbolismi e basata piuttosto su metafore semplici 

background culturale  per comprendere  la varietà di  fasce di età ed esperienze di 

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vita diverse, bisogna adottare modalità di comunicazione miste, dal face‐to‐face con il 

personale specializzato nel primo anno dopo  il trapianto, fino a strumenti cartacei ed 

elettronici  che  veicolino  tutti  lo  stesso messaggio  di  efficacia  dell’attività  fisica  nel 

periodo  in  cui  il  contatto  con  il  paziente  si  riduce  e  si  entra  nella  fase  di 

“mantenimento”. 

 

L’emittente 

Per ciò che riguarda l’emittente privilegiato della comunicazione, si conferma il ruolo di 

coordinamento,  mediazione,  comunicazione  istituzionale  che  il  Centro  Nazionale 

Trapianti svolge e che ha bisogno di sostegno, conoscenza e attività di comunicazione 

capillare su tutto il territorio nazionale. 

 

I mezzi e gli strumenti della comunicazione 

I  luoghi  e mezzi  privilegiati  dove  diffondere  l’informazione  sono  variabili  a  seconda 

dell’età  e  della  fascia  culturale  dei  pazienti,  dalle  sale  di  attesa,  ai  siti  web,  alle 

applicazioni per smartphone. 

 

L’efficacia  sta  sia  nel  tipo  di  informazione  (i  contenuti  scientifici  in  trasmissioni 

televisive  dedicate,  soprattutto  per  il  pubblico  maschile),  sia  nelle  modalità  di 

trasmissione (ad esempio, le testimonianze di pazienti trapiantati che raccontano delle 

loro esperienze sportive). 

 

La  strategia  più  efficace  è  la  necessità  di  un’integrazione  ragionata  fra  i  vari mezzi. 

Dalle  interviste emerge,  infatti,  che ogni mezzo di  comunicazione ha potenzialità da 

cogliere.  

 

È  il  legame  fra  le  varie  forme  della  comunicazione  a  dover  essere  integrata  in 

un’unica narrazione che diventi trama comune. 

 

Nella definizione della strategia di comunicazione bisogna  tenere sempre presente  la 

frammentarietà  della  situazione  sanitaria  a  livello  nazionale  e  quindi  è  opportuno 

privilegiare  i mezzi di  comunicazione  con diffusione  capillare  capaci di  raggiungere  i 

cittadini  indipendentemente  dalla  regione  di  residenza.  La  televisione  e  internet 

rappresentano in questo senso i canali da privilegiare. 

   

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Executive Summary  Incentivare  la  pratica  dell’attività  fisica  nella  crescente  popolazione  dei  cittadini 

trapiantati è una  sfida necessaria  che  coinvolge quattro attori principali:  i pazienti,  i 

medici e i caregiver che li seguono e il Centro Nazionale Trapianti.  

Nell’ambiente dove si incontrano, si frequentano e si lasciano questi gruppi di attori è 

necessario progettare e allestire la sceneggiatura della buona comunicazione. 

Da qui è nata la ricerca su “Percezione, vissuto e attitudini dei pazienti trapiantati e dei 

loro medici”, concepita per  indagare gli elementi della narrazione sull’attività  fisica e 

da questi pianificare  i contenuti e  le azioni della comunicazione. Una comunicazione 

efficace non può  infatti prescindere dall’ascolto delle esperienze e delle proposte del 

target al quale ci si rivolge. 

 

Nel  corso  dello  studio,  la  qualità  del  lavoro  sul  campo  e  dei  dati  raccolti  hanno 

permesso di andare oltre questo obiettivo: l’analisi condotta vale non solo come base 

per la comunicazione del CNT, ma anche come ricognizione della situazione italiana in 

tema di trapianti e attività fisica, utile per tutti gli stakeholder del settore. 

 

I risultati dimostrano  l’urgenza di  intraprendere azioni per  la promozione dell’attività 

fisica  come attività praticabile dalla grande maggioranza dei pazienti  trapiantati, alla 

luce delle due maggiori aree di opportunità individuate:  

un rafforzamento della comunicazione verso i pazienti in modo integrato, dalla 

modalità  face‐to‐face  ‐  a  partire  dalla  preparazione  pre‐trapianto,  alla 

valorizzazione  delle  attività  fra  pari  condotta  dalle  associazioni,  ai mezzi  di 

comunicazione  generalisti  e  attraverso  modalità  customer‐driven  come  le 

applicazioni per smartphone 

una migliore gestione della comunicazione interna alla comunità dei caregivers, 

che porti a una maggiore diffusione della cultura dell’attività fisica a partire dal 

fatto che ne sono loro i primi promotori. 

 

Il  ruolo del Centro Nazionale Trapianti  rimane  fondamentale per  il coordinamento di 

queste azioni di comunicazione. 

 

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Struttura della ricerca  

Per  approfondire  percezione,  vissuto  e  attitudini  dei  pazienti  trapiantati  e  dei  loro 

medici  in relazione alla pratica dell’attività fisica si è privilegiato un metodo di ricerca 

qualitativo, applicato attraverso la tecnica dell’intervista individuale semi‐strutturata. 

Complessivamente,  nel  periodo  aprile  ‐  settembre  2016,  sono  state  realizzate  23 

interviste  rivolte  rispettivamente a un  campione di 7 medici e 16 pazienti.  I  risultati 

delle interviste ai medici trapiantologi e dello sport, condotte per prime, hanno portato 

al consolidamento della traccia di intervista ai pazienti, selezionati a seconda del tipo di 

trapianto ricevuto: rene,  fegato e cuore. Un’ulteriore  intervista a una psicologa di un 

Centro trapianti ha arricchito il campione. 

 

I  risultati  evidenziano  cinque  aree  di  interesse,  come  rappresentato  nello  schema 

interpretativo che ha guidato la lettura dei risultati qui sotto. 

La narrazione su trapianti e attività fisica, nella sua declinazione in forme e contenuti, 

ha come protagonisti pazienti, medici, famigliari, associazioni di volontariato e si fonda 

su temi che determinano  i fattori “materiali”, quali  il tipo di trapianto e  la condizione 

generale  del  paziente,  le  differenze  geografiche,  gli  aspetti  organizzativi  come  la 

presenza di strutture nel territorio per agevolare  la pratica o  la prescrizione da parte 

dello specialista. 

Sul livello emotivo, il fattore motivazionale guida l’aderenza o meno alle indicazioni dei 

medici. 

Dal mix di questi fattori derivano le aree di opportunità e gli ostacoli. 

 

  

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La scarsità di studi come quello che leggete, verificata prima e durante la progettazione 

e  la realizzazione della ricerca (van Adrichem E. J. 2016), così come  la solidità del suo 

disegno e  la coerenza dei  suoi  risultati, dimostrano non  solo  il valore  funzionale alla 

preparazione di attività concrete di comunicazione di questo  report, ma anche  il suo 

valore scientifico. 

 

 

 

 

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TEMI 

 

Attività fisica e trapianti: significati e azioni 

Il punto di vista dei medici:  cultura e procedure  Il  tema  della  diffusione  di  una  pratica  come quella  dell’AF  come  terapia  non  ha  una matrice  meramente  bio‐medica,  ma  anche sociale: mentre lo studio dei parametri medici non  lascia dubbi sulla sua efficacia,  le variabili organizzative  e  culturali,  sia  all’interno  della comunità medica che negli assetti  regionali e di  diffusione  della  cultura  del  movimento, devono  diventare  tema  di  politiche multisettoriali efficaci.  I  medici  affermano  la  necessità  di istituzionalizzazione  della  pratica  dell’attività fisica  per  i  pazienti  trapiantati,  e  in  generale per  i  pazienti  cronici,  alla  luce  degli  effetti secondari  dei  farmaci  immunosoppressori  e della  comparsa  di  ipertensione,  diabete, aumento  del  colesterolo,  aumento  di  peso, che  compromettono  lo  sforzo  dei  centri trapianti e dei cittadini trapiantati stessi.   

Ecco  perché  a  questo  punto  diventa  un obbligo medico  prescrivere  un’attività  fisica che,  al  momento  attuale,  è  l’unica  terapia che abbiamo. Se ci fosse un codice e  l’attività fisica venisse riconosciuta  come  una  terapia,  allora  il servizio pubblico dovrebbe fornire questo con un ticket. (medico trapiantologo) 

 Emergono  chiaramente  il  desiderio  di formazione  e  la  richiesta  di  condividere messaggi e strumenti fra tutti i medici, medici di medicina generale inclusi.   Così come  in molti altri settori della sanità, si conferma  la  disomogeneità  fra  Nord  e Centro‐Sud Italia.  

Il punto di vista dei pazienti: l’individuo e la sua esperienza  L’età,  la struttura di personalità dei pazienti, la loro abitudine all’attività fisica precedente al  trapianto  e  il  loro  status  socio‐culturale sono  la base della motivazione a praticarla o meno.   I  pazienti  esplicitano  la  necessità  di riconquistare fiducia nel proprio corpo, come risposta alla difficoltà a rendersi conto di non essere  più  malati  e,  allo  stesso  tempo,  di costituire un’eccezione.  Alimentazione  e  movimento  sono  i  fattori citati quando si parla di cosa bisogna fare per mantenersi in forma dopo l’intervento.  L’attività  fisica  è  l’occasione  per  aggiungere all’esperienza  del  trapianto  un  benessere attivo,  da  legarsi  al  piano  delle  emozioni dell’individuo  e  in  base  al  quale  devono essere  attivati  strumenti  e  creati  messaggi che le affrontino e le utilizzino.   L’attività  fisica  più  praticata  è  il  camminare. La  propensione  al  muoversi  è  spesso associata alla pratica di hobby, elemento che richiama la necessità di meglio comunicare la funzione  di  vera  e  propria  terapia  che l’attività fisica costituisce.  Gli  intervistati  riconoscono  l’utilità  della prescrizione per una migliore aderenza, ma  il riferimento a uno  scritto  lasciato dal medico non  emerge  in  fase  spontanea:  la  cultura dell’attività  fisica  come  terapia  si  conferma assente anche da questo punto di vista.  

 

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Attività fisica o sport? 

I medici tendono a dare molta importanza alla differenza tra i due modi di chiamare la 

stessa  necessità  di  promuovere  il  movimento  come  terapia  non  farmacologica. 

Comunicare  in modo univoco è  infatti  importante perché tutta  la comunità scientifica 

svolga un’azione coordinata nella sua promozione.  

Se  l’attività  fisica  è  terapia  che  può  essere  praticata  dalla  maggior  parte  della 

popolazione  dei  trapiantati,  la  normalità  che  deve  ad  essa  essere  legata  stride  con 

l’accezione agonistica dello “sport”, meno adatto a pazienti piuttosto avanti con l’età e 

con esperienze disuniformi in termini di educazione al movimento. 

 

Diversi tipi di trapianti 

Il  tipo di  trapianto non  sembra pesare particolarmente  fra  i  fattori motivazionali che 

spingono i pazienti a praticare o meno l’attività fisica. 

In  alcuni  casi,  nei  racconti  dei  pazienti,  emergono  ostacoli  di  tipo  fisico  propri  di 

trapianti diversi e in ogni caso superabili se il fattore motivazionale prevale. 

 

 

ATTORI 

 

I medici 

Quando  la  comunicazione  interna  al  gruppo di  cura  è  efficiente,  anche  l’aderenza  a 

pratiche come l’attività fisica mostra di avere più successo. Questo vale per tutti coloro 

che partecipano al processo di cura e recupero, medici, infermieri, psicologi, famigliari 

e associazioni: la catena degli attori. 

Il  ruolo  che  i  medici  specialisti  rivestono  nel  promuovere  l’adesione  alla  pratica 

dell’attività  fisica  da  parte  pazienti  trapiantati  è  fondamentale,  sono  la  loro 

competenza  e  autorevolezza  a  guidare  sia  coloro  che  non  avevano  esperienza  di 

attività  fisica  prima  del  trapianto,  sia  i  più  intraprendenti,  già motivati  ed  esperti.  I 

medici specialisti e lo staff dei centri trapianti sono i primi comunicatori. 

 

Decisamente non rilevante è  il ruolo dei medici di medicina generale, che per tutti gli 

intervistati non sono punto di riferimento per l’attività fisica.  

Il motivo  principale  è  la mancanza di  competenza  specifica  loro  attribuita:  poiché  a 

livello strutturale  il  loro ruolo deve essere generalista,  la possibilità e  l’opportunità di 

praticare  l’attività  fisica per un paziente  “speciale”  come quello  trapiantato  esulano 

dalla loro valutazione e dai loro consigli. 

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Prescrizione 

Legato all’argomento del ruolo dei medici è quello della possibilità che  l’AF sia 

oggetto  di  prescrizione.  Mentre  i  medici  intervistati  sono  propensi  a 

considerarla  soluzione  “strutturalmente”  utile  per  incentivare  all’aderenza,  i 

pazienti  non  riportano  esperienze  in merito, ma  confermano  che  sarebbe  di 

sicura  guida  nell’incentivarli  o  regolare  le  loro  abitudini  in  questo  ambito  di 

cura. 

 

Le associazioni 

Fra gli altri attori, le associazioni si mostrano più rilevanti nel racconto dei medici che in 

quello dei pazienti. Grande peso  sembra avere  la variabile geografica:  soprattutto al 

Sud o nei centri più piccoli e  isolati viene  lamentata  la mancanza di un contatto con 

altri pazienti nelle stesse condizioni per condividere problemi e opportunità. 

I  medici  sottolineano  invece  come,  all’interno  delle  associazioni  e  grazie  a  loro,  i 

pazienti possano diventare cittadini attivi nel chiedere politiche che li tutelino. 

 

Quindi i pazienti e le associazioni potrebbero avere un impatto a livello sociale e 

politico molto più forte di noi medici. Il politico e l’istituzione che si trova a dover 

decidere di prescrivere l’attività fisica è molto più sensibile al paziente che a noi 

professionisti, quindi la posizione delle associazioni avrebbe una forza enorme. 

 

La famiglia 

Il supporto del gruppo familiare è determinante per motivare e sostenere i pazienti. 

La matrice culturale di provenienza è  fondamentale:  la pratica di attività può essere 

ritenuta pericolosa o declassata al livello di hobby o addirittura pericolosa e per questo 

è  importante promuovere  l’efficacia  terapeutica dell’attività sportiva  in senso ampio, 

condividendo  evidenze  e  inserendo  esplicitamente  i  famigliari  nei  contenuti  dei 

prodotti comunicativi. 

 

 

 

 

 

 

 

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Ostacoli alla pratica dell’attività fisica 

I fattori che ostacolano la motivazione dei pazienti nell’aderire alla pratica dell’attività 

fisica si articolano su diversi livelli: organizzativo, psicologico, fisico e sociale. 

Rendere  conto  dei  primi  è  utile  per  costruire  le  leve  di  comunicazione  utili  a 

incoraggiare a trovare lo spazio “quotidiano” per fare attività fisica. 

Isolare e analizzare  i secondi, a  livello psicologico, serve a  individuare punti  focali sui 

quali  concentrare  l’attenzione  del messaggio  da  veicolare  in  fase  di  pianificazione  e 

gestione della comunicazione. 

Restituire  come  gli  ostacoli  di  carattere  fisico  vengono  raccontati  dai  pazienti  stessi 

aiuta a integrare il racconto specialistico dei medici. 

Riportare  gli  ostacoli  di  carattere  sociale  serve  a  individuare  soluzioni  di  indirizzo 

politico che non sono oggetto diretto di questo rapporto, data anche la limitatezza del 

campione preso in esame, ma che sono invece da tenere in debita considerazione per 

la pianificazione futura del Centro Nazionale Trapianti.  

 

Aspetti organizzativi 

La mancanza di tempo dovuta al  lavoro è  il maggiore ostacolo alla pratica dell’attività 

fisica. Ulteriore fattore rilevante è la vicinanza/lontananza di una palestra, che sembra 

influire  in condizioni come quelle di pazienti con  lavori  impiegatizi e  in  località meno 

servite. Come per le altre variabili, sono gli intervistati più avanti con l’età e residenti al 

Centro‐Sud ad addurre l’organizzazione come ostacolo effettivo. 

Notevole è la differenza fra chi vive in una città grande o nelle sue vicinanze e chi nei 

centri  più  piccoli  e  isolati,  dove  sono  le  risorse  naturali  (sentieri, mare)  ad  offrire  il 

setting elettivo.  Inoltre,  la  frammentazione delle politiche di  incentivo e  le condizioni 

lavorative nelle varie regioni è dichiarato come fattore più o meno critico dai medici e 

si manifesta, indirettamente, nei racconti dei pazienti. 

 

Blocco interiore 

Per  ciò  che  riguarda  gli  ostacoli  di  tipo  psicologico  i meno motivati  a  causa  di  un 

“blocco  interiore” e di una mancanza profonda di motivazione (“non è nel mio DNA”, 

dichiara  più  di  un  intervistato)  sembra  siano  soprattutto  i  rispondenti  più  anziani  e 

comunque chi abita al Sud, senza differenze rilevanti fra uomini e donne.  

 

 

 

 

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Ostacoli fisici 

Per ciò che riguarda gli ostacoli di tipo fisico, un gruppo consistente di intervistati cita 

la  paura  di  incorrere  in  incidenti.  Anche  in  questo  caso,  l’esperienza  del  singolo  e 

soprattutto  l’abitudine precedente a praticare una determinata attività  fisica giocano 

un ruolo rilevante.  

Un ostacolo  consistente  è  l’età. Anche  se  si  tratta di un  fattore non modificabile,  è 

evidente la possibilità di calibrare l’attività fisica a seconda delle caratteristiche di tutti 

gli  individui.  In  questo  senso  si  può  concludere  che  il  pericolo  di  incidenti  sia 

decisamente sopravvalutato dai pazienti intervistati più avanti con l’età. 

Inoltre,  sempre dal punto di vista degli ostacoli  fisici  citati,  l’assunzione di  farmaci e 

uno stato complessivo di debolezza sono argomenti forti nei racconti di alcuni. 

 

Base culturale 

Gioca sicuramente un importante ruolo il livello socio‐culturale.  

Non avendo informazioni dettagliate sotto questo profilo per ciò che riguarda il nostro 

campione, comunque troppo limitato per trarre conclusioni definitive, è utile tenere in 

considerazione i dati disponibili sulla popolazione estesa. Il più recente rapporto ISTAT, 

sugli  "Aspetti  della  vita  quotidiana"  (2014)  dichiara  che  la  popolazione  che  pratica 

attività  fisica  in  età  adulta  e  in  particolare  nella  fascia  di  età  più  interessante  per  i 

trapianti (45‐64) è rappresentata da  laureati per  il 42%, da diplomati per  il 29,4%, da 

possessori  di  licenza media  il  17,7%.  Più  basso  è  il  livello  di  scolarizzazione meno 

vengono considerati prioritari fattori come l’attività fisica. 

 

Inattività lavorativa 

Più  complesso è  il  legame  fra  lo  stato emotivo e di  salute  che può  frenare  l’attività 

fisica  e  gli  aspetti  sociali  che  influiscono  sulla  vita  dei  pazienti  quali  l’inattività 

lavorativa dopo un trapianto. Questa mancanza è vissuta come un ostacolo generale al 

benessere e richiama la necessità di investire in attenzione e risorse su questo fattore.  

 

L’Italia divisa in due 

Le  differenze  fra  le  politiche  regionali  si  delinea  netta.  Nonostante  il  nostro  studio 

qualitativo  possa  solo  costruire  tendenze,  la  rispondenza  rispetto  ai  parametri  di 

valutazione della qualità di vita, della partecipazione e dell’efficienza dei servizi nelle 

diverse aree del nostro paese trova riscontro nelle  interviste fatte sia ai medici che ai 

pazienti per ciò che riguarda le strutture di supporto ai malati cronici. 

 

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Conclusioni: costruire contenuti e forme di comunicazione efficaci  Per una  comunicazione efficace, differenziata nei mezzi e  coerente nel messaggio, è necessario distinguere fra  i due piani del contenuto e della forma e concentrarsi sulle peculiarità degli attori, destinatari ed emittenti. 

 Elementi di contenuto Gli elementi di  contenuto  sui quali  lavorare  sono  riferibili a  linee narrative  costruite 

unendo gli stimoli tratti dalle interviste ai medici e ai pazienti: 

 

Camminare:  emerge  in modo  evidente  come  l’attività  fisica  più  praticata  e 

accessibile. 

 

Quotidianità:  è  la  tematica  che  fa  leva  più  di  tutte  sui  fattori  organizzativi, 

prioritari per coloro che  tendono a non  trovare  la spinta necessaria a  inserire 

l’AF nella loro giornata. In questo senso, “istruzioni per l’uso” chiare e operative 

date  dal  medico  nella  fase  post‐trapianto  e  durante  le  visite  di  controllo, 

rafforzate  da  altri  strumenti  comunicativi  quali  siti  web,  video,  pagine 

Facebook,  App  per  smartphone,  possono  in  primis  chiarire  ai  pazienti  cosa 

possono e devono fare e dare loro una “cadenza”. 

 

Farmaco buono: grazie alle evidenze  scientifiche che collocano  l’attività  fisica 

fra  le  terapie  non  farmacologiche,  il messaggio  degli  effetti  della  stessa  sui 

parametri biomedici e il come si possono ottenere è un argomento prioritario. 

 

Modelli: spostando l’efficacia della comunicazione dal contenuto del messaggio 

all’emittente, sia esso  il gruppo dei pari o un modello di sportivo che viene da 

un’esperienza di malattia  simile,  i modelli  rassicurano  i pazienti. La  logica del 

simile del quale ci si può fidare prevale. 

 

Evidenze:  i medici  le portano – e  le devono portare ‐ con numeri e statistiche, 

spiegando le performance dei pazienti non solo come consiglio per stare bene, 

ma  come  riscontro  che  mostra  in  modo  chiaro  il  miglioramento  (o  il 

peggioramento);  i  pazienti  le  portano  con  la  loro  esperienza  (si  torna  qui  ai 

modelli),  che  unisce  gli  effetti  benefici  a  livello  fisico  con  quelli  a  livello 

psicologico. Il movimento diventa allora sia terapia “fisica”, sia motivazione per 

recuperare  la  propria  individualità  su  diversi  fronti  della  vita  personale,  in 

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termini  qualitativi  (cosa  si  è  tornati  a  fare,  cosa  si  è  ottenuto)  e  in  termini 

quantitativi (quanto si sta meglio in termini di parametri biomedici). 

 

Limite  e  normalità:  un  tema  ricorrente,  già  ampliamento  esplorato  nella 

letteratura, è il superamento dei limiti posti dalla malattia prima del trapianto. I 

maggiori benefici si  trovano nell’area del benessere più che della salute. Fare 

movimento  significa  per  i  pazienti  raggiungere  un  benessere  che  va  oltre  i 

parametri medici e significa “ritorno alla normalità”. 

 

Fit  tracker:  un  modo  efficiente  di  visualizzare  i  dati,  le  evidenze,  i  propri 

progressi sono  le applicazioni per smartphone, mezzo  in crescita e sempre più 

diffuso anche nelle fasce di età medie. Un’applicazione approvata e promossa 

dal  Centro  Nazionale  Trapianti  potrebbe  costituire  un  buon  mezzo  per 

facilitare l’aderenza a praticare attività fisica.  

 

 

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Catena di attori 

Il paziente trapiantato è al centro  

Il target che ha più bisogno della comunicazione è quello dei pazienti trapiantati 

e in particolare il gruppo rappresentato dalle persone che non erano abituate a 

fare  sport prima della malattia, è  soprattutto  a  loro  che bisogna  comunicare 

l’importanza terapeutica del praticare attività fisica 

 

La comunità medica 

Coerentemente con i discorsi raccolti nelle altre parti delle interviste, la buona 

comunicazione  per  promuovere  l’aderenza  all’attività  fisica  nei  pazienti 

trapiantati parte dal dialogo che si sviluppa dall’interno delle equipe mediche 

che  seguono  i  pazienti  e  che  viene  loro  restituito  nel  rapporto  personale 

diretto, face‐to‐face.  

Il  fattore  più  problematico  in  questa  area  è,  secondo  i medici  intervistati,  la 

mancanza di una visione culturale diffusa su trapianti e attività  fisica. O  forse, 

meglio, manca  l’abitudine  del medico  di  raccomandare  l’attività  fisica  come 

forma di vera e propria terapia.  

Argomento  prioritario  è  quello  dell’integrazione  fra  gli  esperti  delle  diverse 

discipline:  la  condivisione  delle  conoscenze  assicura,  infatti,  l’efficacia  della 

comunicazione  interna e tutta  la filiera ne trae vantaggio. Il messaggio, perciò, 

deve essere uniforme ed esteso a tutta la comunità. 

Per  questo  i  risultati  di  questa  ricerca  dovrebbero  a  nostro  parere  essere 

promossi non solo tra i pazienti per incoraggiare la loro attività, ma anche fra i 

caregiver stessi. 

 

Dal medico al paziente 

Il momento dove la comunicazione più efficace si realizza è quella fra medico e 

paziente, tenendo in considerazione: 

‐ momento  del  percorso  clinico    già  da  prima  trapianto  è  necessario 

preparare il paziente a cosa verrà dopo 

‐ stato psicologico  i pazienti necessitano di comunicazione chiara, pulita da 

evocazioni  e  simbolismi  e basata piuttosto  su  strategie  retoriche  semplici 

(metafore e paragoni comunemente in uso) 

‐ background  culturale   per  comprendere  la  varietà  di  fasce  di  età  ed 

esperienze  di  vita  diverse,  bisogna  adottare  modalità  di  comunicazione 

miste, dal face‐to‐face con il personale specializzato nel primo anno dopo 

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il  trapianto,  fino  a  strumenti  cartacei  ed  elettronici  che  veicolino  tutti  lo 

stesso messaggio di efficacia dell’attività fisica nel periodo in cui il contatto 

con il paziente si riduce e si entra nella fase di “mantenimento”. 

 

L’emittente:  si  conferma  il  ruolo  di  coordinamento,  mediazione, 

comunicazione  istituzionale che  il Centro Nazionale Trapianti svolge e che 

ha bisogno di sostegno, conoscenza e attività di comunicazione capillare su 

tutto il territorio nazionale. 

 

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La forma: mezzi e strumenti  

I  luoghi  e mezzi  privilegiati  dove  diffondere  l’informazione  sono  variabili  a  seconda 

dell’età  e  della  fascia  culturale  dei  pazienti,  dalle  sale  di  attesa,  ai  siti  web,  alle 

applicazioni per smartphone. 

Altro  fattore  fondamentale  è  la  frammentarietà  della  situazione  sanitaria  a  livello 

nazionale,  che  richiama  la  necessità  di  privilegiare  i  mezzi  di  comunicazione  con 

diffusione capillare, capaci di raggiungere  i cittadini  indipendentemente dalla regione 

di residenza. 

 

In questa diversità, per definire in modo efficace la strategia di comunicazione del CNT, 

è  necessario  che  le  varie  forme  della  comunicazione  possano  veicolare  un’unica 

narrazione, diventando trama comune. 

 

Le  forme  di  comunicazione  attraverso  le  quali  adattare  questa  trama  e  che  si 

suggeriscono a conclusione di questa analisi sono: 

 

‐ individuale, attraverso attraverso un’app dedicata a marchio CNT in cui trovare 

informazioni di base e tenere monitorata la propria attività fisica 

 

‐ generale, attraverso la televisione e internet, per le quali è possibile continuare 

il  discorso  cominciato  con  i  protagonisti  del  webdoc  “Di  nuovo  in  pista”  e 

utilizzare i suoi personaggi costruendo un dialogo con storie “meno eccezionali” 

ma proprio per questo efficaci nel diffondere l’idea che l’attività fisica è cura. 

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Bibliografia  Bauer, M. e Gaskell, G.  (eds.), 2000. Qualitative Researching with Text,  Image and Sound. A 

Practical Handbook, Sage, London  Cartabellotta  et  al.  (2016).  Efficacia  dell’esercizio  fisico  nei  pazienti  con  patologie  croniche, Evidence 8(9)  EU (2015). Special Eurobarometer 423. Cybersecurity (dati 2014).  ISTAT (2014). “Aspetti della vita quotidiana", indagine http://www.istat.it/it/files/2014/12/Cittadini_e_nuove_tecnologie_anno‐2014.pdf?title=Cittadini+e+nuove+tecnologie+‐+18%2Fdic%2F2014+‐+Testo+integrale.pdf  Van  Adrichem  et  al.  (2016).  Perceived  Barriers  to  and  Facilitators  of  Physical  Activity  in Recipients  of  Solid  Organ  Transplantation,  a  Qualitative  Study.  Plos  One, http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0162725 

 

 

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Appendice 1 

Traccia di intervista ai medici trapiantologi e dello sport 

 

Obiettivo di questa parte è di introdurre l’argomento trapianti e sport secondo l’esperienza 

singola dell’intervistato 

 

Mi  racconta  in  un  minuto  la  sua  esperienza  professionale  nell’ambito  dei  trapianti  e 

l’argomento sport? 

 

È importante che l’intervistatrice segni le parole chiave che vengono da questo racconto su un 

foglio durante  la  risposta: durante  tutta  l’intervista  si potranno usare  i “ganci” derivanti per 

approfondire le varie sezioni della traccia. 

 

Riprendere il racconto approfondendo i seguenti punti: 

 

Nel corso dell’intervista  ritorneremo sugli argomenti sui quali  le chiedo un  riscontro ora, ma 

per introdurre le chiedo, in sintesi: 

Quali sono i maggiori vantaggi che derivano dal praticare movimento/sport nei suoi pazienti? 

Quali sono i maggiori ostacoli? 

Quali  sono  i  protagonisti  (es.  il  personale  medico,  il  paziente  stesso  e  la  sua  esperienza 

pregressa, i famigliari)? 

 

Parte 2: I fattori di influenza          30 min. 

 

Questa parte ha l’obiettivo di capire quali sono gli ostacoli alla pratica sportiva nei vari tipi di 

pazienti a seconda della loro esperienza pregressa, del luogo dove vivono, del tipo di servizi 

ai quali hanno accesso, della  rete  famigliare e di  tutte  le altre variabili emerse nella parte 

precedente. A partire dagli ostacoli e dai motivi di resistenza: come superarli? 

 

 

In generale 

Riprendendo quanto mi ha sintetizzato sopra, vorrei approfondire con lei quali sono gli ostacoli 

alla  pratica  dello  sport  nei  pazienti  trapiantati  e  quale  invece  il  modo  di  superarli  è  così 

promuoverla efficacemente 

 

 l’intervistatrice scrive su un foglio tutti gli ostacoli che emergono e tiene l’elenco pronto per 

la domanda alla sezione 3 

 

 

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Come influiscono i seguenti fattori 

 per ciascun elemento seguente, l’intervistatrice approfondisce il ruolo e il modo di influire  

PER CIASCUNA RISPOSTA VANNO CHIESTI SEMPRE UN ESEMPIO POSITIVO E UNO NEGATIVO 

 

Ostacoli clinici (nei suoi pazienti, quali sono i casi in cui NON si può fare sport e qual è la scala 

di attività che si possono intraprendere) 

 

Pratica dello sport prima del trapianto 

 

Luogo: ci sono differenze fra i pazienti che vivono in regioni diverse? 

 

Quali sono gli ostacoli dal punto organizzativo? Ad esempio  la vicinanza strutture alla propria 

abitazione, al proprio lavoro, tempi a disposizione diversi fra chi lavora e chi è disoccupato  

 

 lasciare libero l’intervistato di aggiungere fattori organizzativo‐logistici ed approfondire. 

 

Tipo di  servizi offerti dal  territorio  (se  risposte  tipo  “nessuno”, o emergono poche evidenze, 

chiedere come l’intervistato si immagina il processo di avvicinamento del paziente alla pratica 

sportiva tramite gli enti/servizi regionali) 

 

Associazioni dei pazienti   

 

La  famiglia  (dopo  avere  approfondito  tutti  gli  elementi  che  emergono  spontaneamente, 

chiedere come si fa, nella pratica, a sensibilizzare i famigliari) 

 

In particolare, che ruolo ha  il medico nell’incoraggiare (o scoraggiare) alla pratica sportiva/al 

movimento? 

 

Parte 3: Comunicare trapianti e sport        20 minuti 

 

In questa parte si esplorano attori, contenuti e modalità della comunicazione per diffondere 

una migliore cultura dell’attività sportiva fra i pazienti trapiantati e, in secondo luogo, nella 

comunità scientifica e nelle istituzioni 

 

Obiettivo  di  quest’ultima  parte  dell’intervista  è  capire  come  promuovere,  attraverso  la 

comunicazione, la cultura dell’attività sportiva fra i pazienti trapiantati e, in secondo luogo, fra i 

suoi colleghi medici. 

 

 

 

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Comunicazione interna 

Partiamo proprio dalla comunicazione interna, fra medici, quali sono secondo lei i modi in cui si 

potrebbe  diffondere  maggiormente  (l’esempio  negativo  è  il  fatto  che,  durante  i  convegni 

specialistici sui trapianti, si tenda a disertare le sessioni su trapianti e sport). 

1a. Come intitolerebbe un suo intervento a un convegno su trapianti, sport  e COMUNICAZIONE 

dove, per una volta, i suoi colleghi medici italiani affollano la sala. 

 

Istituzioni 

Cosa fanno oggi e cosa potrebbero fare le istituzioni (regioni, assessorati) nel proporre l’attività 

sportiva come terapia non farmacologica? 

 

Pazienti 

3a. Quali  sono  i mezzi  più  efficaci,  secondo  lei,  per  promuovere  l’attività  fisica  nei  pazienti 

trapiantati (fatte salve le cautele dovute agli ostacoli clinici)? 

3b. Qual è il messaggio principale da veicolare? 

3c. Per ultima cosa, provi a  immaginare che  io sia un paziente  trapiantato che non ne vuole 

sapere di  fare  sport a causa dei diversi ostacoli  individuati prima  (riprendere  l’elenco  scritto 

all’inizio della sezione 2 della traccia). Per ciascuno mi convinca che devo fare sport. 

 

 

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Appendice 2 

Traccia delle interviste individuali ai pazienti trapiantati 

 

Introduzione – 5 min.     

Presentazione da parte di chi conduce l’intervista: lavoro in un’agenzia che si occupa di comunicazione scientifica. Io e i miei colleghi ci occupiamo molto di salute sotto vari aspetti e in questi mesi collaboriamo con il Centro Nazionale Trapianti per conoscere l’esperienza di medici e pazienti trapiantati per ciò che riguarda l’argomento “Trapianti e attività fisica”.  Abbiamo scelto persone con esperienza di trapianto per capire meglio quali sono le idee, le abitudini, i suggerimenti che hanno a proposito e per questo siamo arrivati a lei. Chiarire che alla base sono stati individuati criteri come l’età o il tipo di trapianto e casualmente lui/lei è rientrato in questa selezione.  Vorrei audio‐registrare l’intervista che stiamo per fare. So che ha già dato il suo consenso a farlo. L’intervista rimarrà anonima e i dati che useremo serviranno solo ai fini della ricerca. Non ci sarà alcun giudizio su quello che dirà, né valutazione per ciò che riguarda il suo stato di salute.  La mia intervista serve a capire a fondo cosa significa per una persona che ha avuto un trapianto di … (specificare il tipo di trapianto) che cosa significa per lei l’argomento dell’attività fisica, per rendere il messaggio che riguarda l’opportunità di praticarla efficace e ben comunicato.  Partiamo…   Parte 1: “Muoversi” – significati, valori         20‐25 min.  

Obiettivo di questa parte è di inquadrare l’argomento dell’attività fisica per ciò che riguarda il suo significato calato nell’esperienza del paziente, in termini di conoscenza e valori  

  1.1 Mi dica tre cose che fa per mantenersi in salute 

 1.2 Cosa significa per lei “fare sport?”? 

Lasciare l’intervistata/o libera/o di esprimersi. Quando gli argomenti spontanei sono esauriti, chiedere:  

1.3 E cosa significa per lei “fare attività fisica”?  

1.3. Approfondire eventuali elementi emersi in modo incompleto, facendo attenzione a far emergere la differenza fra “attività fisica” e “sport” 

 1.4 Aveva un’esperienza di attività fisica prima del trapianto? 

  TENERE IN CONSIDERAZIONE CHE CI SONO RILEVANTI DIFFERENZE FRA I DIVERSI TIPI DI TRAPIANTO: mentre i pazienti con trapianto di cuore difficilmente hanno avuto esperienza di attività fisica, più probabilità c’è per quelli di rene e 

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fegato. Stessa attenzione per le persone anziane, che difficilmente hanno un passato “sportivo”. 

 1.5 Per chi pratica attività fisica:  

1.5a Mi racconti come ha ricominciato dopo il trapianto 1.5b Quali sono i maggiori benefici che ha notato praticando?  

Fare attenzione ai seguenti elementi PER RIPRENDELI POI NELLA SEZIONE SUCCESSIVA 

attori (indicazione del medico specialista, del medico di base, supporto di parenti e amici) 

questioni organizzative (es. presenza di una palestra vicina, di un gruppo al quale unirsi per camminare, ecc.) 

presenza di una indicazione scritta da parte del medico  1.6 All’inizio mi ha detto che non pratica attività fisica. Cosa la trattiene? (eventualmente ribadire all’intervistata/o che non è questione di giudizio!) 

 Anche in questo caso, fare attenzione ad elementi quali:  

questioni organizzative (es. presenza di una palestra vicina, di un gruppo al quale unirsi per camminare, andare in bici, ecc.) 

attori (mancanza di indicazioni da parte dei medici) 

supporto di parenti/amici (es. “nessuno in famiglia pratica sport”)  PER RIPRENDELI POI NELLA SEZIONE SUCCESSIVA. 

 FARE ATTENZIONE ALLE DIFFERENZE FRA PAZIENTI CON DIVERSI TIPI DI TRAPIANTI! 

       Parte 2: Driver e ostacoli          20 min.   

Questa parte ha l’obiettivo di approfondire cosa frena e cosa potrebbe incoraggiare la pratica dell’attività fisica nei pazienti 

 Ora le leggo una frase pubblicata sul sito del Centro Nazionale Trapianti e sulla quale vorrei che ragionassimo insieme [se intervista in presenza, stampare in carattere leggibile prima dell’intervista e tenerlo sotto:   

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Oggi è ampiamente dimostrato che gli individui che sono stati sottoposti a trapianto di organo possono recuperare una buona qualità di vita e da sempre l’attività fisica rappresenta, per molti trapiantati, un percorso di recupero e benessere, ma anche un mezzo per testimoniare l’efficacia del trapianto.  Riappropriarsi della funzionalità del proprio corpo dopo un trapianto d’organo rappresenta una tappa fondamentale e praticare un’attività fisica contribuisce notevolmente a raggiungere questo obiettivo. Lo sport può, quindi, fungere da terapia ed è fondamentale anche per sentirsi meglio a livello psichico. Esistono numerose attività che possono essere praticate per svago dai trapiantati, come il nuoto, il jogging, la ginnastica, lo sci di fondo. 

 2.1 Riprendendo quanto mi ha detto finora, vorrei approfondire con lei quali sono gli ostacoli alla pratica dell’attività fisica per lei e quale invece il modo di superarli è così promuoverla efficacemente   l’intervistatrice scrive su un foglio tutti gli ostacoli che emergono e tiene l’elenco pronto per la domanda alla sezione 3  2.2 Come influiscono i seguenti fattori 

 per ciascun elemento seguente, l’intervistatrice approfondisce il ruolo e il modo di influire  PER CIASCUNA RISPOSTA VANNO CHIESTI SEMPRE UN ESEMPIO POSITIVO E UNO NEGATIVO 

 a. Ostacoli clinici  

  b. Luogo dove si abita [qui notare se ci sono differenze fra i pazienti che vivono in 

regioni diverse]  

c. Ostacoli organizzativi? Ad esempio la vicinanza strutture alla propria abitazione, al proprio lavoro, tempi a disposizione diversi fra chi lavora e chi è disoccupato    lasciare libero l’intervistato di aggiungere fattori organizzativo‐logistici ed approfondire. 

 d. Tipo di servizi offerti dal territorio (se risposte tipo “nessuno” o emergono poche 

evidenze, chiedere come l’intervistato si immagina il processo di avvicinamento del paziente alla pratica sportiva tramite gli enti/servizi regionali)  

e. Associazioni dei pazienti    

f. La famiglia   

g. In particolare, che ruolo hanno: a. il medico specialista  b. Il medico di famiglia 

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nell’incoraggiare (o scoraggiare) alla pratica sportiva/al movimento?  

Per chi pratica:  ha avuto una prescrizione da parte del medico?  

Per chi non pratica:  sarebbe utile una prescrizione da parte del medico di cosa può fare in termini di attività fisica (ad esempio una certa quantità di camminata al giorno)? 

  Parte 3: La comunicazione        15 min  

Questa  parte  serve  a  convogliare  i  risultati  raccolti  nelle  due  fasi  precedenti  in  ottica  di promozione dell’attività fisica attraverso canali e contenuti appropriati 

 a.  Quali sono  le fonti attraverso  le quali è venuta/o a conoscenza dell’argomento trapianti e 

attività fisica? (medico trapiantologo, psicologo, medico di base, materiali forniti dal Centro Trapianti – CT, siti web, associazioni di pazienti) 

b.  Quali  sono  i mezzi  più  efficaci,  secondo  lei,  per  promuovere  l’attività  fisica  nei  pazienti trapiantati (fatte salve le cautele dovute agli ostacoli clinici)? E per lei in particolare?  

3.3. Qual è il messaggio principale da veicolare? 3.4 Per ultima cosa, se dovesse raccomandare a un/a suo/a amico/a che ha avuto un trapianto che è importante l’attività fisica, cosa gli/le direbbe?