INCHIESTA Un mestiere in mano - Valorizzatidi tonno e pistacchi, uno strudel di mele servito in alta...

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138 DOVE MARZO - 2016 DOVE MARZO - 2016 139 Carlo Baroli, 32 anni, laurea in economia e commercio: lavora nell'azienda di famiglia, che produce calzature su misura, a Gargallo (Novara). È la frase dei padri che questi figli hanno ascoltato. Prima, però, si sono laureati, hanno girato il mondo e sono tornati più digitali che mai alle loro terre. Hanno tutti meno di 35 anni. Ecco quattro (belle) storie di artigiani 3.0 di E RIKA R IGGI foto di B EPPE C ALGARO E P IERGIORGIO P IRRONE INCHIESTA Un mestiere in mano m aker digitali, eroi del business on line, paladini del virtuale? Cercateli altrove. I protagonisti del viag- gio - reale - che vi invitiamo a intraprendere sono auten- tici come i luoghi in cui lavorano, nel cuore delle Dolo- miti o a pochi chilometri dal Teatro Greco di Siracusa. Sono concreti come i prodotti che realizzano: siano scar- pe su misura, un gioiello fatto a mano, un vasetto di crema di tonno e pistacchi, uno strudel di mele servito in alta montagna. Oggetti da guardare, saggiare, comprare diret- tamente in loco, se si vuole. Carlo, Elisabetta, Pierpaolo e Fabio sono quattro ragazzi italiani che hanno ereditato un mestiere, sia quello dei padri o di un “nonno” adottivo che gliel’ha insegnato. Quattro artigiani, dunque, tutti un- der 35, che conoscono l’universo globalizzato, spersona- lizzato e multiforme, e scelgono di tornare al loro mondo, locale, noto e semplice: dove la vita è scandita da ritmi antichi, il vicino di laboratorio parla un dialetto familiare e ci si saluta per nome, sicuri di rivedersi. “Ragazzi di paese, certo, ma tutt’altro che provinciali”: così li pre- senta Marina Puricelli, docente all’Università Bocconi di Milano, che alle storie loro e di altri coetanei con la stessa sana intraprendenza ha dedicato un libro, Il futuro nelle mani (riquadro a pag. 140). Abbiamo ripercorso alcu- ne tappe del suo viaggio, incontrato i ragazzi e provato a fotografare l’Italia che abitano e che li abita. Perché se “sono cittadini del mondo, sono forti soprattutto della loro identità”, spiega Puricelli. “Radicati sul territorio, conoscono i mercati globali e hanno imparato a decli- nare in modo contemporaneo la tradizione ereditata”. Questa dote nel combinare mondo e paese è la caratteri- stica vincente della stirpe dei nuovi giovani artigiani. Così li racconta anche Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato: “Grazie alle tecnologie, hanno impa- rato a fare in modo nuovo mestieri antichi. E sono in grado di condurre la loro attività in un contesto globa- le, vincendo la sfida del passaggio generazionale”. Una fase, quella della transizione nella gestione, che nell’ar- co di dieci anni (2006-2016) coinvolge, in Italia, più di un’impresa a conduzione familiare su quattro (27,3 per cento), al ritmo accelerato di 53 microimprese al giorno (elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat). In questo momento cruciale nella vita di un’azienda la sfi- da è saper adeguare l’attività ai tempi senza, da un lato, tradire la vocazione di famiglia e, dall’altro, cadere preda delle mode. Per esempio? Curando la filiera dei materiali utilizzati, automatizzando alcune fasi del lavoro, valoriz-

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Carlo Baroli, 32 anni, laurea in economia e commercio: lavora nell'azienda di famiglia, che produce calzature su misura, a Gargallo (Novara).

È la frase dei padri che questi figli hanno ascoltato. Prima, però, si sono laureati, hanno girato il mondo e sono

tornati più digitali che mai alle loro terre. Hanno tuttimeno di 35 anni. Ecco quattro (belle) storie di artigiani 3.0

di E r i k a r i g g i

foto di B E p p E C a l g a r o E p i E r g i o r g i o p i r r o n E

INCHIESTA

Un mestiere in mano

maker digitali, eroi del business on line, paladini del virtuale? Cercateli altrove. I protagonisti del viag-

gio - reale - che vi invitiamo a intraprendere sono auten-tici come i luoghi in cui lavorano, nel cuore delle Dolo-miti o a pochi chilometri dal Teatro Greco di Siracusa. Sono concreti come i prodotti che realizzano: siano scar-pe su misura, un gioiello fatto a mano, un vasetto di crema di tonno e pistacchi, uno strudel di mele servito in alta montagna. oggetti da guardare, saggiare, comprare diret-tamente in loco, se si vuole. Carlo, elisabetta, Pierpaolo e Fabio sono quattro ragazzi italiani che hanno ereditato un mestiere, sia quello dei padri o di un “nonno” adottivo che gliel’ha insegnato. Quattro artigiani, dunque, tutti un-der 35, che conoscono l’universo globalizzato, spersona-lizzato e multiforme, e scelgono di tornare al loro mondo, locale, noto e semplice: dove la vita è scandita da ritmi antichi, il vicino di laboratorio parla un dialetto familiare e ci si saluta per nome, sicuri di rivedersi. “Ragazzi di paese, certo, ma tutt’altro che provinciali”: così li pre-senta Marina Puricelli, docente all’Università Bocconi di Milano, che alle storie loro e di altri coetanei con la stessa sana intraprendenza ha dedicato un libro, Il futuro nelle mani (riquadro a pag. 140). Abbiamo ripercorso alcu-

ne tappe del suo viaggio, incontrato i ragazzi e provato a fotografare l’Italia che abitano e che li abita. Perché se “sono cittadini del mondo, sono forti soprattutto della loro identità”, spiega Puricelli. “Radicati sul territorio, conoscono i mercati globali e hanno imparato a decli-nare in modo contemporaneo la tradizione ereditata”. Questa dote nel combinare mondo e paese è la caratteri-stica vincente della stirpe dei nuovi giovani artigiani. Così li racconta anche Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato: “Grazie alle tecnologie, hanno impa-rato a fare in modo nuovo mestieri antichi. e sono in grado di condurre la loro attività in un contesto globa-le, vincendo la sfida del passaggio generazionale”. Una fase, quella della transizione nella gestione, che nell’ar-co di dieci anni (2006-2016) coinvolge, in Italia, più di un’impresa a conduzione familiare su quattro (27,3 per cento), al ritmo accelerato di 53 microimprese al giorno (elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat). In questo momento cruciale nella vita di un’azienda la sfi-da è saper adeguare l’attività ai tempi senza, da un lato, tradire la vocazione di famiglia e, dall’altro, cadere preda delle mode. Per esempio? Curando la filiera dei materiali utilizzati, automatizzando alcune fasi del lavoro, valoriz-

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zando i prodotti attraverso la giusta comunicazione. “Per allargare gli orizzonti, le dimensioni di un’impresa non sono più un vincolo: per vendere all’estero basta un sito web. Così l’imprenditore può restare artigiano e approfit-tare di quella stratificazione di capacità, risorse umane e materiali, che esiste solo in certe zone d’Italia, e che è la forza del made in Italy”, sottolinea Fumagalli. Come nel turismo, così in economia, “il nostro plus di italiani è la varietà”. I caruggi di Genova o la vista sul lago d’orta, come un paio di calzature o di orecchini fatti a mano: gli uni e gli altri si fanno notare per il loro essere unici, inimi-tabili, simboli di un mondo autentico, a cui somigliano.

Conserve di SiciliaI Drago lo fanno dal 1929 e da quattro generazioni.

È Pierpaolo, classe 1982, ultimo custode dell’azienda di famiglia, a pochi chilometri da Siracusa, a spiegare perché il loro “tonno in scatola” è diverso e unico: “Lo sfilettiamo a mano, con il coltello, e lo cuociamo in acqua e sale, come si fa in casa e come non fanno le multinazionali, mantenendone così inalterate le qualità organolettiche: per questo è un’eccellenza”. Se steriliz-zazione, etichettatura, imballaggio automatici sono oggi necessari e il recupero dello scarto della lavorazione (utilizzato come biomassa, grazie alla collaborazione con il Politecnico di Milano) è una buona idea, è il culto della tradizione a fare la fortuna dei suoi prodotti ittici conservati: tonno, ma anche sgombro, spada, salmone, creme di tonno all’arancia (“la più amata”), al pistac-chio, al pomodoro secco. “Il nostro nome è associato a questo territorio e ai suoi sapori: nonostante le difficoltà che lavorare in Sicilia comporta, a partire dai trasporti, non potremmo farlo da nessun’altra parte”. Nelle celle frigorifere a meno 22 gradi sono immagazzinati pesci non solo del Mediterraneo. Ma “la sfilettatura”, spiega con orgoglio Pierpaolo, “avviene per mano di persone che lo fanno anche da 20 anni”. Leggi: artigiani. Alla parete dell’ufficio dei drago, accanto alla mitica foto di un peschereccio di famiglia, il Santa Margherita, cedu-to alla fine della Seconda guerra mondiale per smina-re il porto di Palermo, è esposta la curiosa evoluzione del logo: una volta era un dragone cinese, poco utile a raccontare un prodotto che punta sulla lavorazione in Italia. Non sono dettagli. “oggi siamo presenti sugli scaffali della grande distribuzione, esportiamo in 18 Pa-esi, lo chef stellato Francesco Patti ha studiato una serie di ricette con il nostro tonno”, dice con comprensibile orgoglio Pierpaolo, valigia sempre pronta e la sveglia che suona presto. “Almeno un paio di settimane al mese sono alle prese con aerei e jet lag. Quando sono in Si-cilia? Mi alzo comunque alle cinque. La mattinata fa la giornata: lo diceva mio nonno, lo dico io”.

Elisabetta Comotto, 30 anni, nel suo laboratorio di oreficeria, nel centro storico di Genova.

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Fatto a mano in Piemonte Tra i laghi Maggiore e d’orta, in posizione ideale per

la puntatina curiosa del turista di passaggio, sorge Gar-gallo: “1.600 anime, ci si conosce tutti”, racconta Carlo Baroli, classe 1984, produttore di scarpe con una lau-rea in economia e il polso della situazione. “Abbiamo la presunzione di essere maestri in quello che facciamo e contiamo su una clientela molto di nicchia”, spiega, riferendosi a svizzeri e olandesi, tedeschi e milanesi che fanno visita alla sua azienda e che, per avere le calzature “su misura” e personalizzate Goodyear (il calzaturificio Cesare Baroli 1947 produce anche per conto terzi), pa-gano dai 400 ai 2.000 euro, e oltre. “Rileviamo le misu-re del piede, il cliente può scegliere ogni dettaglio, dalla pelle ai quartini ornamentali. Può vedere in tempo reale sul computer come verrà, e avrà la sua scarpa nel giro di un mese. Ma in qualche occasione abbiamo fatto mira-coli, consegnando molto prima”, sorride, evidentemente

soddisfatto del mestiere acquisito e di come ha saputo rinnovarlo. “La nostra è una filosofia che non può essere comunicata con la pubblicità tradizionale”, spiega. Non a caso, dopo la partecipazione per diversi anni al fioren-tino Pitti, Cesare Baroli 1947 ha abbandonato le fiere di settore: “Per capire quale sia il valore aggiunto del nostro cuoio, solo italiano, della fodera naturale e della nostra doppia cucitura, metodo blasonato che risale al 1800, chiediamo al cliente di venire a trovarci”, spiega. L’onli-ne, in questo caso, non basta a rendere l’idea, ma certo è utile a diffondere l’invito. Tecnologia e aggiornamento continuo sono però indispensabili, anche in fase produt-tiva: “Utilizziamo sistemi automatizzati per il taglio dei materiali e lo scatolamento, software tridimensionali per la prototipazione e il lancio della commessa ai macchinari in laboratorio, colle ad acqua senza solventi per ridurre l’impatto ambientale”. I giovani di famiglia che lavorano in azienda - a partire dal fratello gemello di Carlo - sono tutti laureati in economia o in ingegneria, hanno viaggiato

Mani operose.1-3. Calzaturificio

Cesare Baroli 1947.2. Conservificio

Drago Sebastiano.4. Laboratorio orafo

Comotto Gioielli.

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ll futuro nelle mani (Egea, 2016, 19,90 €) è, dice il sottotitolo, un Viaggio nell’Italia dei giovani artigiani, dal Trentino alla Sicilia. Marina Puricelli, docente all’Università Bocconi (insegna Fondamenti di Organizzazione presso il Dipartimento di Management e Tecnologia), ha incontrato una trentina di “imprenditori maratoneti”, come li chiama. Non startupper centometristi, quindi, ma uomini e donne, tutti under 40, che hanno ereditato un mestiere e, qualche volta, un’azienda, e lo hanno adattato al 2016 senza tradirne la vocazione artigianale. Da Alberto Di Marco, che produce speciali impasti per la pizza, a Luca Torresi, che fa cover per l’iPhone biodegradabili, a Priscilla Occhipinti, della distilleria Nannoni, che ha messo a punto una linea di grappe: tante le storie raccontate da Puricelli (con il supporto, relativamente alla parte che riguarda Veneto, Trentino e Valle d’Aosta, del professor Paolo Preti). Spunti per guardare l’Italia da una prospettiva nuova. E positiva.

Artigiani antichi e nuovi

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e viaggiano. Ma c’è una cosa - un gusto - che li accomuna, e vale anche per i genitori: “L’odore del cuoio e delle pelli: durante la settimana non ce ne accorgiamo per quanto ci siamo immersi. Lo risentiamo solo il lunedì, quando tor-niamo al lavoro. ed è un’emozione tutte le volte”.

L’arte dell’oreficeria genovese

elisabetta Comotto non aveva un’azienda di famiglia alle spalle. Ma ha incontrato un uomo che ha fatto le veci del nonno che non ha avuto, e le ha insegnato il mestiere. Trent’anni, un’infanzia alle periferie di Genova, a Sestri Ponente, Comotto qualche anno fa ha seguito un corso per imparare la lavorazione dei gioielli in filigrana e poi ha cominciato a bussare. La caccia al tirocinio l’ha portata, 17enne, di fronte alla porta di Massimo Sasso, non a caso in via degli orefici. “Un vero artista”, come lo racconta lei: “Sempre allegro e sempre in tuta, visto che è anche maestro di karate, mi ha insegnato quello che so”. “Lui e la moglie mi hanno accolto nel loro Scagno di Fràveghi (“studio degli orafi”, in genovese), mi hanno coinvolto nei loro siparietti, riempito la testa di aneddoti in dialetto stretto, e mi hanno dato fiducia”. dopo il tirocinio, Sasso

l’ha assunta, poi l’ha resa sua socia, infine le ha ceduto il laboratorio. oggi elisabetta propone i suoi gioielli in boutique anche fuori Genova e ha assunto una dipenden-te. Un dolce alla Pasticceria dei Caruggi (in vico San Mat-teo) per iniziare la giornata, la pausa pranzo in palestra, ogni tanto qualche sfilata di moda: elisabetta è padrona del suo piccolo mondo, vitale e scattante, in uno spazio dall’atmosfera antica. “Merito dei macchinari, che risal-gono al 1500”, dice. “di moderno qui non c’è niente”. Banchetto, laminatoio, casseforti e vetrine zeppe di mo-delli: qui nascono i suoi gioielli. Sia i prototipi, stampabili e riproducibili, anche in argento, sia i pezzi unici, che possono costare fino a 20 mila euro. Sono solo due stanze in un vicolo, a due passi da piazza de’ Ferrari. “Il laboratorio è al primo piano, ma dall’altra parte della stra-da c’è un bassorilievo del 400”, racconta. “Molti turisti ammirano quello e poi allungano l’occhio, mi vedono e, qualche volta, salgono”. Altrimenti? “C’è Internet”.

Un rifugio in TrentinoA 2.000 metri d’altezza, al confine tra Trentino e ve-

neto, si possono fare incontri sorprendenti. A servire uno strudel con ricetta “della mia nonna ottantenne” o un bic-chiere di Pavana o di enantio, “tra i vitigni più antichi,

DITTA DRAgO SEbASTIANO I prodotti drago sono in vendita anche nelle principali catene di supermercati e in enoteche e gastronomie selezionate. Indirizzo: via Stentinello 10A, contrada Targia, Siracusa.Web: dragoconserve.com.

CESARE bAROLI 1947Calzature artigianali. Il punto vendita aziendale è aperto da lunedì a venerdì (9-12, 15-18), e il sabato mattina (9-12). Indirizzo: via Umberto Primo 18, Gargallo (No).Web: cesarebaroli.it.

COmOTTO gIOIELLI Laboratorio artigiano orafo.Indirizzo: via degli orefici 6/6, Genova. Web: comottogioielli.com.

CApANNA pASSO VALLESRifugio familiare con cucina di montagna.Indirizzo: loc. Passo valles 2, Tonadico (Tn).Web: passovalles.com.

da poco riscoperti”, può essere Fabio Cemin, 25 anni, con i fratelli Chiara e Walter rappresentante della quar-ta generazione dei proprietari della Capanna Passo Valles. La famiglia è composta da sette persone, ovvero i sette abitanti – che vivono qui tutto l’anno - di Passo valles. Tra loro, appunto, Fabio: diploma da sommelier, quattro anni passati in Inghilterra, dove torna spesso per perfezionarsi, ha scelto di fare tesoro di quello che ha imparato fuori e di portarlo a casa. “All’estero conosco-no Roma e Firenze, se dici Trentino ti guardano inter-rogativi”. difficile da digerire per uno con la sua indole, nato e cresciuto in questo luogo un po’ sperduto, intenso e romantico delle dolomiti: “Io so come far conoscere questo territorio, proprio perché sono stato altrove”. Sapori e riti, camminate e storia: il rifugio, 12 stanze, un ristorante e una veranda riparata dal vento, è un punto di riferimento “per quanti vogliono riavvicinarsi alla monta-gna, sempre più spesso giovani”, spiega Fabio. Chi cerca camminate sfiancanti, tortelli di patate e lunghe serate a giocare a carte bevendo grappe alle erbe, non rimane de-luso. “da noi si fa vita sobria”, racconta, “ma è garantito il wi-fi e la ricerca sulle materie prime è scrupolosa”. Con-dotta con una mentalità da globetrotter. In altre parole (le sue): “I piedi sono radicati a Passo valles, ma la testa pensa internazionale”.

Tonno, scarpe, gioielli e capanne

1-2. Pierpaolo Drago, classe

1982, alla guida dell'azienda di

famiglia che produce conserve

ittiche nel siracusano.

3. Fabio Cemin, 25 anni, della

Capanna Passo Valles, a Tonadico,

in Trentino.

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