InArte_2010-02

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€ 1,50 Rivista mensile a diffusione nazionale - anno VI - num. 02 - Febbraio 2010

Associazione di

Ricerca Culturale

e Artistica

Alle sorgenti dell'arte etrusca

Adolfo Wildt

Abu Dhabi, un'altra Bilbao?

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fOrme

Adolfo Wildt è uno dei testimoni di quell’arte visiona-ria, messa a servizio per affermare una concezione sofferta della realtà del mondo, che è cavallo tra re-alismo e simbolismo.Giovanissimo, passa per la bottega di Giuseppe Grandi, l’artista che più di chiunque altro aveva capito il messaggio di Medardo Rosso, e approda all’Accademia di Brera, da cui scappa dopo solo un anno, perché ambiente troppo rigido e poco incline ad esplorare la nuova espressività da cui il giovane era attratto, approittandone però per studiare da vi-cino i capolavori di Fidia e Michelangelo.Nel 1894, un incontro importante con Franz Rose, un magnate tedesco che diventa il suo mecenate, gli permette di entrare a contatto con il simbolismo

tedesco, che nella sua opera si mescola al graismo puro della Secessione Viennese.Ed è proprio quella linearità delicata che diventa su-bito la caratteristica maggiore della sua opera; egli incide i volti che scolpisce con una cura maniacale, che lo porta a scrivere nel 1921, nel suo scritto L’arte

del marmo, che la scultura non deve avere nulla a che fare con il pittoricismo, ma deve delineare alla perfezione i tratti, i volumi, perché solo essa esprime la vera natura della materia: “La scultura non è per

gli occhi, è per l’anima”.Questa cura gli fa creare dalla materia una perfe-zione tanto cristallina da far apparire le sue opere come avorio o ceramica, che nell’inseguimento del perfetto equilibrio tra i vuoti e i pieni lo porta a scava-

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Le maschere di marmo

di Adolfo Wildt

di Fiorella Fiore

re gli occhi, le narici, la bocca, rendendo i suoi volti maschere perfette della forma, come in Prigioni del 1915.Non vi è solo la ricerca della pura forma, ma anche quella dell’anima: nel 1918 Wildt scolpisce l’imma-gine di una Vittoria, per salutare l’Italia uscita dalla Guerra. Ma l’immagine che ne dà la scultore è mol-to lontana da quella di una Nike trionfatrice: quella di Wildt è una creatura senza corpo, il cui volto di bronzo, nero, cupo, si apre in un grido che non pare di né di gloria, né di gioia; gli occhi si chiudono in un dolore che è espressione soprattutto di lutto per le giovani viste perse. Come dice lo stesso artista, egli rivendicava a sé il “diritto di contorcere, di alte-

rare un organo, se questa alterazione darà al mio

lavoro un’espressione più forte. Io accresco un mu-

scolo al di là del normale, quando voglio esprimere

un sentimento che, nella gioia o nella sofferenza, è

anch’esso al di là del normale. […] Scolpire signiica immettere lo spirito nella materia”.La Vittoria è l’ultima opera che segna il passaggio dell’artista dall’espressionismo degli anni Dieci al classicismo degli anni Venti, in cui gli echi del pas-sato ellenista greco si mescolano alle immancabili inluenze simboliste.È il caso di opere come Testa della Madre del 1922, o la Santa Lucia del 1927.Nominato accademico d’Italia, l’artista scompare nel 1931, proprio durante l’allestimento di una sua per-sonale alla Quadriennale di Roma.