In viaggio verso lo Zavhan

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in viaggio verso lo Zavhan Storie di persone con disabilità in Mongolia Nicola Rabbi - Kanjano

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sceneggiatura di Nicola Rabbi (www.bandieragialla.it), disegni di Kanjano (www.kanjano.org) Dall'introduzione di Anna Maria Pisano, Presidente di AIFO. "Un fumetto disegnato splendidamente, spiegazioni brevi ed efficaci: il tutto situato in un grande Paese (uno dei più estesi del mondo), dove Aifo (http://www.aifo.it) porta avanti un Progetto di Riabilitazione su Base Comunitaria (RBC) che è diventato un esempio da imitare. Un Progetto che dal 1991 è cresciuto, interessando associazioni e strutture locali, università e ministeri, fino al governo ed è riuscito a cambiare veramente la situazione e la concezione della disabilità in Mongolia. Formazione e informazione a 360 gradi, col coinvolgimento di tutte le realtà sociali, interessamento dei giornalisti e dei media, gruppi di auto-aiuto, microcredito, portano a una reale inclusione e a un miglioramento dello stato sociale di migliaia di disabili. "

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Storie di persone con disabilità in Mongolia

Nicola Rabbi - Kanjano

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Kanjano (kanjano.org) è un disegnatore di fumetti siciliano dottore in filosofia. Disegna per raccontare storie degne di nota, agli adulti e ai bambini.

Nicola Rabbi, giornalista specializzato su temi sociali e nell’uso delle tecnologie digitali, lavora per Aifo e per il Centro Documentazione Handicap come addetto alla comunicazione.

IN VIAGGIO VERSO LO ZAVHANStorie di persone con disabilità in Mongolia

Soggetto e sceneggiatura: Nicola RabbiDisegni: Kanjano

Progetto grafico, lettering e copertina: Giuliano Cangiano

Stampa: Tipografia Me.Ca Recco (GE)

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in viaggio verso lo Zavhan

Storie di persone con disabilità in Mongolia

Nicola Rabbi - Kanjano

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Cari lettori, care lettrici, come presentare in modo facile, immediato i nostri Progetti? Come presentarli in un modo che tocchi la testa e il cuore e faccia capire la professio-nalità e la serietà dell’esecuzione e anche quanto sono importanti per la gente dal pun-to di vista umano e sociale? Come possiamo far vedere che con poco stiamo aiutando a cambiare in meglio tante vite? è la difficoltà di comunicare al meglio, di raccontare in modo adeguato le grandi capacità di sviluppo e le tante storie di uomini, donne, bambini che abbiamo incontrato e ai quali abbiamo dato una mano. Questo di Nicola Rabbi e Kanjano può essere veramente un metodo originale ed efficace. Un fumetto disegnato splendidamente, spiegazioni brevi ed efficaci: il tutto situato in un grande Paese (uno dei più estesi del mondo), dove Aifo porta avanti un Progetto di Riabilitazione su Base Comunitaria (RBC) che è diventato un esempio da imitare. Un Progetto che dal 1991 è cresciuto, interessando associa-zioni e strutture locali, università e ministeri, fino al governo ed è riuscito a cambiare veramente la situazione e la concezione della disabilità in Mongolia. Formazione e in-formazione a 360 gradi, col coinvolgimento di tutte le realtà sociali, interessamento dei giornalisti e dei media, gruppi di auto-aiuto, microcredito, portano a una reale inclusione e a un miglioramento dello stato sociale di migliaia di disabili. Non è sempre facile spiegare e richiamare l’attenzione su tutte queste realtà così im-portanti per fare una società più giusta e consapevole. Ma in questo fumetto i metodi della RBC sono resi facilmente comprensibili, raccontati attraverso storie da un giorna-lista che, pur restando obiettivo osservatore, guarda con coinvolgente simpatia e ammi-razione le persone che intervista in quest’affascinante Paese. La straordinaria matita di Kanjano lo accompagna creando suggestioni e facilitando, talvolta anticipando, le paro-le. Credo che questo gioverà non solo ai molti altri progetti per le persone disabili che Aifo promuove in India, Brasile, Africa, Cina, ma anche a una maggiore comprensione delle enormi possibilità di sviluppo che, con i dovuti adeguamenti alle situazioni locali, la RBC potrebbe avere in Italia e nei vari Paesi occidentali. Non concessioni ottenute quasi come un favore, ma diritti: una vera inclusione che la società attua per tutti i suoi membri, senza distinzione. è un altro passo verso una società che guarda al futuro, verso la costruzione di una “civiltà dell’amore”.

PresentazioneDi Anna Maria Pisano

Presidente AIFO

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La prima volta che incontrammo un ovoo fu al confine tra l’Arkhangai e lo Zavhan, due regioni nordoccidentali della Mongolia. Era stato costruito proprio a cavallo di un passo di montagna. Cominciava a imbrunire e il cielo era grigio. Nonostante fosse luglio la temperatura era di poco sopra lo zero. Ebe, il nostro autista, si fermò, scese dall’auto e si avviò verso un cumulo di pietre decorato con le tipiche sciarpe azzurre buddiste e da oggetti colorati non distinguibili in quella luce incerta. Unì le mani nella posizione della preghiera buddista e poi fece tre giri in senso orario intorno al cumulo, fermandosi ogni tanto per raccogliere delle piccole pietre che gettava sulla montagnola.Noi lo imitammo, più per cortesia che per convinzione, eppure, per quanto mi ri-guarda, quello fu il mio vero ingresso in Mongolia.

L’impegno ventennale di AifoLe storie che leggerete in questo libro, storie raccontate attraverso il fumetto, sono il risultato della collaborazione tra Aifo e il Centro Documentazione Handicap di Bologna. Le due organizzazioni nel corso degli anni hanno scritto l’una per l’altra nelle reciproche riviste, hanno partecipato a eventi comuni, appoggiato campagne di sensibilizzazione sulla disabilità. Questa collaborazione ha portato anche alla realiz-zazione di un corso di formazione, riguardante la comunicazione, rivolto ai respon-sabili di settore di Aifo, che il sottoscritto ha condotto nell’autunno del 2011.Una delle domande che ci si è posti durante corso, era come raccontare in modo adeguato ciò che Aifo fa nei paesi del sud puntando su strumenti di comunicazione diversi (articoli, servizi fotografici, video…) e sulla qualità e la cura del prodotto

Tre giri intorno all’ovoodi Nicola Rabbi

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informativo. Avevamo anche parlato della fase successiva, a come, cioè, il prodotto in-formativo poteva essere utilizzato tra i soci dell’associazione e promosso in generale verso le istituzioni, i donors, i semplici cittadini.Fu così una logica conseguenza l’idea di realizzare ciò di cui avevamo discusso nel corso di formazione, pensando al racconto di un progetto da scegliere nei paesi in cui era presente Aifo. La scelta del paese ricadde sulla Mongolia, un luogo dove l’ong lavora dal 1991 e dove è riuscita a fare riabilitazione su base comunitaria su tutto il territorio na-zionale coinvolgendo solo nel 2012 oltre 26 mila persone disabili. Ma come raccontare nel modo più completo questa situazione? Decidemmo di partire in due persone - e questo fu possibile soprattutto grazie a Francesca Ortali, responsabile progetti esteri di Aifo - io come giornalista e Salvo Lucchese come operatore, in modo da poter rac-cogliere le storie non solo attraverso delle parole ma anche attraverso delle immagini. Il frutto del nostro lavoro lo potete trovare nei brevi documentari caricati nel canale Vimeo (http://vimeo.com/aifo/videos) e nelle gallerie fotografiche su flickr (http://bit.ly/1fIDVRI); mentre il servizio giornalistico lo potete leggere nel numero 4 della rivista Accaparlante (www.accaparlante.it). Per ultimo abbiamo realizzato, grazie a Giuliano Cangiano, in arte solo Kanjano, questo fumetto che si basa sulle storie che abbiamo raccontato sia nei video che nei resoconti scritti, ma che, come abbiamo visto strada facendo, ha via via preso una sua fisionomia tutta originale visto che si tratta di un mez-zo espressivo del tutto diverso rispetto ai precedenti.Il libro inizia con un capitolo dedicato a un sintetico quadro storico, politico e sociale della Mongolia che è in assoluto uno dei paesi più originali del nostro pianeta. In suc-cessione trovate le storie di una persona disabile abitante a Ulaanbaatar, di un gruppo di mamme di bambini disabili della regione dello Zavhan e di una bag feldsher, una particolarissima infermiera che presta servizio a cavallo o su un cammello aiutando la popolazione nomade.In appendice sono pubblicate invece due sezioni che hanno una funzione più didattica; nella prima parliamo della Convenzione dell’Onu sui diritti delle persone disabili e nella seconda spieghiamo in cosa consista la Riabilitazione su Base Comunitaria (RBC).

In viaggio con Ebe e TukiDei 13 giorni, aeroporti esclusi, che abbiamo passato in Mongolia, sei ne abbiamo tra-scorsi a bordo di un fuoristrada Toyota, questo perché da Ulaanbaatar a Uliastaj, la capi-tale dello Zavhan dove eravamo diretti, i 1200 chilometri da percorrere solo in minima parte erano su strada asfaltata, ma spesso si trasformavano in strade di ghiaia e altre volte in semplici piste sull’erba. Avevamo però un autista d’eccezione, Ebe, che oltre ad essere uno dei coordinatori delle attività di Aifo, ha dimostrato una conoscenza dei luoghi veramente speciale. La prima volta che siamo saliti in macchina con lui, eravamo da poco atterrati all’aeroporto di Ulaanbataar, ci ha portato a casa di Bayaraa, il primo dei personaggi che troverete in questo libro. Bayaraa abita nella periferia della capitale che è circondata da una corona di gher, le tipiche tende mongole. In questa città che cresce di anno in anno ad un ritmo molto elevato, i nuovi arrivati si stabiliscono ai mar-gini della capitale e, dato che la terra non costa niente - lo spazio libero qui e come

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l’aria, senza fine - basta una semplice registrazione per avere diritto ad una certa metratura di terreno al cui interno gli immigrati erigono la loro tenda o a volte una casetta di legno. Bayaraa ci aveva accolto in un modo molto cordiale e fin dalle prime battute avevamo capito che era una persona con cui sarebbe stato facile costruire una buona intervista. Abbiamo conosciuto quel giorno solo un figlio, mentre nel secondo incontro, avvenuto dieci giorni dopo, abbiamo potuto conoscere la famiglia quasi per intero. Una famiglia molto unita. Il giorno dopo siamo partiti alla volta dello Zavhan e abbiamo viaggiato per quasi tre giorni di seguito. Uliastaj con il suo isolamento estremo ci è parso un luogo quasi incantato. Qui abbiamo incontrato prima Demchigsuren, un chirurgo e dirigente sanitario locale che ha sposato la causa della riabilitazione su base comunitaria e poi un gruppo di mamme che da una settimana viveva assieme a due specialiste di RBC per parlare dei loro figli disabili. Questa storia la conoscerete bene attraverso le tavole del fumetto che troverete nel libro; una cosa però non poteva rientrare nei disegni direttamente e allora la riporto con delle parole. Anche se eravamo in Mongolia, anche se le madri erano delle nomadi con una cultura e uno stile di vita quanto di più lontano da una madre occidentale e italiana, ho rivisto in loro lo stesso atteggiamento di cura, di partecipazione, di testardaggine e di resistenza (ma potrei continuare ancora a lungo con le precisazioni) che ho incontrato tante volte nelle mamme italiane che ho conosciuto lavorando con i disabili: erano le stesse persone ed erano trasportate dallo stesso amore verso i loro figli.In quei giorni abbiamo intervistato anche persone disabili adulte (non le troverete in questa pubblicazione, ma nei video e nel reportage) e abbiamo conosciuto la loro determinazione e la loro voglia di vivere come gli altri, di avere le stesse opportu-nità. In tutti questi incontri è stata fondamentale come interprete Tuki - anche lei responsabile delle attività di Aifo nel paese – ma anche come organizzatrice. Nel libro è presente invece un personaggio molto particolare, una bag feldsher, un’infer-miera a cavallo che abita in un’alta valle di montagna a qualche decina di chilometri da Uliastaj; in quel luogo regna il silenzio più assoluto, fatta eccezione per il sibilo del vento. Questo è stato un incontro difficile per il tipo di persona che ci siamo trovati di fronte, una donna molto competente e motivata ma anche riservata e taciturna; paradossalmente, se l’intervista è riuscita solo in parte (e lo potete constatare anche nel video), le emozioni che abbiamo provato in quella tenda con Munguntsetseg e la sorella (una signora anziana con problemi mentali), sono state molto intense e forse tramite il fumetto, abbiamo potuto dire qualcosa di più su questa persona veramen-te particolare (chissà se mai le arriverà tra le mani questo libro). A nord di Uliastaj si sale per una collina su cui sorge uno stupa, il monumento spirituale che rappresenta il corpo del Buddha. Si percorre un sentiero ripido che simbolizza a sua volta il percorso verso l’illuminazione e la liberazione. Ma io e Salvo abbiamo risalito la collina al tramonto e il sole stava calando rapido sulla valle im-mensa che si apriva davanti a noi. Alle nostre spalle le divinità, racchiuse nelle loro costruzioni bianche e azzurre, guardavano anche loro, con occhi ardenti, la valle. Stava facendo sera e il nostro lavoro era ormai finito: potevamo tornarcene a casa.

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La Mongolia è un paese immenso, è grande cinque volte l’Italia con una popolazione

al di sotto dei tre milioni di abitanti.

A sud c’è il deserto del Gobi men-tre a nord ovest vi sono regioni fredde e montuose, spesso rico-

perte di boschi di larici.

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è il paese meno abitato del mondo ma con un gran numero di animali. Cavalli, pecore, mucche, yak , cammelli e perfino orsi e leopardi delle nevi.

Le aquile da noi sono diffuse come i passeri in Europa.

Fa molto freddo per nove mesi all’anno, d’inverno le temperatu-

re scendono fino -60°.

Per fortuna sono rari gli Zud, ovvero gli inverni molto ne-vosi e tempestosi che portano alla morte

del bestiame.

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Questo paese è legato alla figura storica di Te-mujin, meglio noto come Gengis Khan (1162 - 1227)

che unì tutte le litigiose tribù mongole e conqui-stò il più vasto impero della storia dell’umanità.

L’impero si estendeva dalla Corea alla Polonia, dalla Siberia al Vietnam.

La Mongolia però venne per secoli dominata dai cinesi e solo nel 1921, grazie all’aiuto militare della Russia sovietica, ottenne l’indipendenza e divenne il secondo stato comunista del mondo.

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Rimase sotto l’influenza dell’Unione Sovietica

fino al 1990, anno in cui si tennero le prime ele-

zioni democratiche.

L’avvento dell’economia di mercato e la fine degli aiuti economici da parte della Russia portò

a un grande impoverimento della popolazione.

Gli aiuti internazionali finanziavano solo le imprese e le infrastrutture e i fondi per la protezione sociale erano ridotti. Aumentò la disoccupazione e il disagio sociale.

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A partire dal 2010 però la Mongolia sta conoscendo una rinascita economica. Il Pil nel 2011 è cresciuto del 17,5%, nel

2012 del 11,2%, nel 2013 del 16,8%.

Questa crescita economica è dovuta alle sue miniere di rame, oro e carbone,

tra le più grandi del mondo e che le han-no regalato il nomignolo di “Mine-Golia”.

Ma non è tutto oro quello che luccica: le disuguaglianze economiche sono enormi e il tasso di natalità si è abbas-sato da 7,33 figli per donna degli anni ‘70, all’ 1,87 di oggi.

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La Mongolia rimane comunque un paese pieno di giovani, come si nota passeggiando per UlaanBaatar, la capitale.

Nel giro di pochi anni la città è passata da mez-zo milione di abitanti a 1,5 milioni: il 40% dei mon-goli abita qui. E l’immigrazione sta continuando.

La popolazione nomade che si dedica alla pastorizia rappresenta solo il 25% dell’intera

popolazione ed è in continua diminuzione. Ma come sarà una Mongolia senza nomadi?

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Essere persone disabili in un paese in via di sviluppo non è facile e se questo paese è la

Mongolia, allora le complica-zioni aumentano.

una strategia che assegna al disabile un ruolo attivo nel-la propria emancipa-zione e che richiede una partecipazione

diversa alla comuni-tà che lo circonda.

Per conoscere da vicino come funziona questo tipo di riabilitazione e conoscere la storie delle persone coinvolte, abbia-mo intrapreso un lungo viaggio che ci ha

portato dalla vivace capitale UlaanBaatar a Uliastaj, capoluogo dello Zavhan. Ecco le

storie che abbiamo raccolto.

Da 23 anni l’Aifo lavora in collabo-razione con il governo locale per migliorare le condizioni di vita del-le persone svantaggiate attraverso

il metodo della Riabilitazione su Base Comunitaria (RBC),

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Gher district vengono chiamati i quartieri perife-rici di Ulaanbaatar e sono costituiti soprattutto dalle tipiche tende e da basse casette di legno.

Le gher ( le tende) non hanno l’acqua corrente e i servizi igienici e le strade

sono di terra

In una di queste gher abita Bayaraa con la moglie e due figli.

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Sono caduto come un sasso da quella scala…

era colpa mia, ma dovevo sistema-re quel tetto e la scala era corta…

così ne ho attacca-ta una all’altra…

Nel ’91, finita l’era socialista in Mongolia, arrivò l’economia di

mercato ed io persi il mio lavoro come tanti altri. Avevo tre figli

piccoli da mantenere e così trovai un’occupazione come muratore. La-

voravo in condizioni difficili.

… sono caduto giù come un sasso

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Per rimetterti in piedi devi farti operare e

l’operazione è piuttosto costosa...

Ma non ho soldi e poi dopo ritorno

come prima?

Con questa operazione ti

rimetterai in pie-di ma per cammi-nare dovrai usa-re degli ausili

Che senso ha continuare così… dottore, voglio fi-nirla, può farmi un’iniezione?

I soldi per l’operazione ar-rivano da una colletta che fanno i suoi ex compagni di scuola. L’operazione riesce

e dopo qualche mese Bayaraa ritorna nella sua gher.

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Non avevo voglia di nulla, non potevo muovermi, a cosa potevo servire?

Un giorno tutti i miei famigliari corsero fuori dalla tenda e si misero a urlare, non riuscivo a capire cosa fosse successo,

ma volevo saperlo subito.

Mi accorsi che potevo muo-vermi se lo volevo, uscii

dalla tenda e fuori vidi il…

Fuoco... le colline bruciavano...

era una spettacolo terribile ma anche bello.

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Era venuto il momento di fare qualcosa, dovevo trovare un la-voro, portare dei soldi a casa.

Perché non co-minci a disegnare

sul feltro?

Disegni dei motivi tradi-zionali mongoli che poi vendiamo al mercato.

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nel 2003 ad un anno dall’incidente cominciai a chiedere in giro dei soldi per iniziare questa attività.

Proposi al “Progetto ini-ziativa Gher” la mia idea di attività artigianale: piac-

que e mi finanziarono.

Cominciai a partecipare ai mercati, ai concorsi artistici e cominciai anche a

guadagnare e a farmi conoscere.

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Un giorno sentii parlare di questa organizzazione italia-na, Aifo, che finanziava progetti

come il mio, ma non sapevo come mettermi in contatto.

Finché il mio collega Oyungerel mi disse che aveva trovato il modo per parlare con quel-li di Aifo. Andammo da

loro, gli proponemmo il nostro progetto di

lavoro che venne appro-vato e finanziato con una

cifra consistente.

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Quando cominciai a frequen-tare Aifo mi accorsi però che loro non offrivano solo dei

contributi economici.

Conobbi Enhtuyia, il coordinatore lo-

cale del program-ma di riabilitazione comunitaria e rice-vetti delle nuove

cure all’ospedale.

In occasione della festa per i 15 anni di attività di

Aifo ricevetti anche un pre-mio per le mie

opere.

Presi parte ad un gruppo di riabilita-zione, frequentan-do tutte le loro

iniziative.

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Per chi non ha una disabi-lità come la mia, vivere è

più semplice. Per noi tutto è più complicato: muoversi liberamente in città, tro-vare un lavoro, avere una

vita sociale normale.

Le persone disa-bili come me che partecipano alla riabilitazione su base comunitaria hanno molte più occasioni per conoscere, in-formarsi, hanno più opportunità.

Eppure io sono fortunato rispetto a tutti quei disabili che vivono da soli questa con-dizione e che non hanno rapporti solidi con

l’esterno, che non sono organizzati.

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Dieci anni fa non si vedevano in giro per

Ulaanbaatar tante persone con stam-pelle o carrozzine.

Ora i disabili sono più visibili e la loro situazione sta mi-gliorando in città.

La gente comin-cia a sentirci in

un modo diverso e non ci evita.

Ma perché questo cambiamento di mentalità vada avanti, occorre sempre il lavoro di associazioni come Aifo e la partecipazione di noi disabili.

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Sto costruendo una casetta di mattoni ad un piano qua

fuori, ci saranno due stanze, una per lavorare e una per

la mia famiglia.

Poi farò anche un secondo piano dove potranno venire

ad abitare i miei figli.

Nella stanza di lavoro che avrò potrò coin-

volgere altre persone disabili ma anche persone semplicemente svantag-giate come gli alcolisti.

Voglio trasmettere le mie competenze agli altri, così anche

loro potranno lavorare.

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Lo Zavhan dista 1.200 chilometri dalla capitale Ulaanbaatar. La regione è grande tre volte e mezzo la Lombardia ed è abitata da circa 70 mila persone. Si viaggia per chilometri e non si incontra mai nessuno.

Uliastaj è il capoluogo dello Zavhan, è abitata da 17 mila persone. La citta-dina occupa un’estremità di un’immensa vallata. Tutto attorno le montagne.

Gli spazi sono così immensi e vuoti che Uliastaj sembra essere sospesa.

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in Mongolia i lottatori sono molti amati e capita di vedere delle statue a loro dedicate.

Le uniche strade asfaltate sono

quelle principali che collegano gli edifici pub-blici, tutto il

resto è in terra battuta.

Dall’alto la cittadina è dominata dallo stupa, il tempio buddista

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in questo edificio si sono date appunta-mento una quindicina di madri che hanno in comune una cosa: un

figlio disabile. il “Centro di riabili-tazione per bambini

disabili” è composto da una piccola pale-

stra e altri spazi che servono come la-

boratori e stanze da letto dove la madri

dormono con i propri figli per tutta la set-timana di formazione. L’arredamento e gli

strumenti sono ridotti all’essenziale.

Le madri hanno storie e situazioni differenti l’una dall’altra. Provengono da zone diverse, alcune di loro hanno viaggiato per 250 chilometri per arri-vare in questo centro; è l’unico in tutto lo Zavhan.

Vengono da cittadine e villaggi, altre sono nomadi e per loro avere cura di un figlio con dei problemi è ancora più difficile.

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i bambini hanno disabilità diverse; alcuni hanno pro-blemi motori, altri hanno problemi di tipo mentale

C’è anche una bambina bionda

con la sindrome di down che si

guarda attorno sospettosa

Per una settimana le mamme parleranno dei problemi dei figli a due specialiste e si confronteranno tra loro. È un momen-to importante di quella metodologia chia-mata RBC, Riabilitazione su Base Comunitaria.

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Galya è una fisiatra che ha ini-ziato a lavorare come medico

tradizionale ma dal 1991,

Altansetseg nel 1997 inizia a lavorare come fisioterapista in un asilo per bambini con pa-

ralisi cerebrale infantile;

dopo un corso organizzato da Aifo, è diventata un’esperta di ria-bilitazione su base comunitaria.

nel 1999 segue un training condot-to da un indiano che le insegna a fare riabilitazione con gli ausili

usando del materiale locale.

Le mamme spesso non sanno niente di riabilitazione, quali esercizi fare e quali ausili usare; quando vedono che i loro bambini stanno meglio capiscono che

gli ausili ortopedici sono utili.

Galya è una fisiatra piuttosto rara da trovare in Mongolia visto che la formazione del personale sanitario nel passato era fatta nelle scuole russe e in Russia la riabilitazione medica non prevede un la-

voro diretto sul paziente ma l’uso di apparecchiature.

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La legge di assistenza so-ciale mongola prevede alcune facilitazioni per le persone disa-bili nell’acquisto degli ausili, ma sono misure in-

sufficienti.

Aifo finanzia anche dei labo-ratori per costruire gli ausili

Due papà di bambini disabili aiutano un falegname a costruire un seggiolone per mangiare, una scrivania speciale, un

deambulatore, tutto in legno.

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Le mamme invece, dopo averne discusso, risolvono i proble-mi quotidiani dei propri figli a proposito di abbigliamento.

Vengono fatti abiti facili da togliere e da mettere; nei ve-stiti vengono inseriti tutori ri-gidi per facilitare i movimenti.

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La settimana di for-mazione sta volgen-

do al termine:

un esperto educa, i par-tecipanti si confrontano

e apprendono.

Sono contenta di come sono andate le cose; quando torneranno a casa queste madri

saranno loro stesse portatrici di quelle

tecniche e conoscenze che hanno appreso e

che potranno raccon-tare ad altre persone con problemi simili.

Fino ad oggi suo figlio rimaneva a casa, sdra-iato sempre sul letto, ma adesso lo potrà lasciare seduto su una sedia e

potrà uscire ad accudire gli animali con minore preoccupa-

zione.

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Vi sono però altri problemi un po’ più difficili da risolvere, quelli culturali e di accetta-

zione della disabilità;

durante questa settimana si lavora anche sulla presa di coscienza da parte dei ge-

nitori che i loro figli hanno precisi diritti.

Si tratta di far capire alle madri che è im-portante dare l’autonomia ai propri figli.

È importante l’inserimento dei bambini disabili nelle scuole ma gli insegnanti non sono

formati abbastanza e i bambini svantaggiati vengono presi in

giro dai compagni.

Aifo fa della formazione anche per gli insegnanti delle scuo-le della prima infanzia e per i

pediatri. Anche la loro cultura professionale deve cambiare.

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La settimana di training è finita e nell’ultimo incontro, i medici, i tecnici, i genitori con i famigliari si salutano in un clima festo-so, con la sensazione di aver fatto qualcosa di importante.

Poi i tecnici e i genitori risalgono su taxi collettivi o su macchine duramente provate per le strade malridotte e si di-sperdono per il territorio ancora selvaggio dello Zavhan.

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Non ci sono strade per raggiungere quella valle a nord ovest di Uliastai, ma

solo una ripida pista di erba.

Superato il passo, si apre la vasta valle punteggiata da po-che gher e da animali liberi.

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Munguntsetseg è una bag feld-sher, una specie di infermiera

che a cavallo si sposta per cu-rare la popolazione nomade.

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Bag in mongolo significa villaggio, feldsher invece non è traduci-bile se non con un generico “operatore sanitario”, ma è riduttivo.

Una figura di questo genere può esi-stere solo in questo paese immenso e dalle condizioni climatiche estreme.

Infatti solo il cavallo - e più a sud, nel deserto del Gobi, solo il cammello - può affrontare il ghiaccio e la neve superando queste pendenze.

Il governo la paga con uno stipendio di poche de-cine di euro al mese e le fornisce anche un’auto da usare d’estate, mentre d’inverno le dà un cavallo.

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In Mongolia esistono circa 1.400 feld-sher e devono servire un territorio ampio 1.565 mila chilometri quadrati.

Le feldsher prestano il pronto soc-corso, somministrano le medicine. Mun-guntsetseg conosce la medicina tradi-zionale mongola che impiega le erbe.

La sua figura è centrale nel sistema assistenziale mongolo poiché fa da connessione tra la popolazione nomade e le autorità sanitarie.

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Oltre al pronto soccorso, il mio compito è quel-lo di fare educazione sanitaria alle persone.

Ogni mese visito tutte le famiglie nomadi che se-guo. Controllo lo stato di salute delle donne

incinte, dei bambini e delle persone anziane.

Il 25 di ogni mese mi incontro con il medico del somon (il distretto) e lo aggiorno sulle

condizione di salute della mia comunità.

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Sono in continuo movimento e in caso di bisogno mi fermo nelle gher di chi

sta male e vivo con loro.

Di solito metto la mia tenda sem-pre al centro dell’area dove sono dislocate le famiglie.

Quando viene l’inverno mi sposto anch’io e se-guo gli altri nomadi.

Andiamo nelle gole di montagna, che sono più riparate e meno fredde del-le pianure esposte ai venti siberiani.

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Munguntsetseg è anche un pastore e come tut-ti i nomadi deve badare alle sue bestie.

Non vive da sola, ma assieme alla sorel-la che la aiuta nelle faccende domesti-

che e nella cura degli animali.

Sua sorella ha una storia particolare che vale la

pena di essere raccontata.

Tutto iniziò per lei un pomeriggio quando tornando nella sua tenda vide suo padre morire.

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Era una ragazzina brillante ma da quel giorno le sue facoltà mentali declinarono e si ammalò.

Nella maggior parte delle società le persone con problemi di salute mentale vengono chiuse in istituti.

Ma in questo caso ciò non avvenne. Munguntsetseg la tenne con sé.

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Ed è così che le due sorelle vivono assieme negli spazi immensi dello Zavhan.

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La convenzione dell’ONU

sui diritti delle persone disabili

approfondimenti

la RBC riabilitazione su base comunitaria

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Ma è una Convenzione che serve a tutti perché chiunque nella propria vita può trovarsi in momenti di difficoltà

e noi tutti siamo soggetti all’invecchiamento.

La convenzione dell’ONU sui diritti delle persone disabili

L’aspetto rivoluzionario di questa con-venzione è che si è passati da un ricono-scimento dei bisogni della persona con disabilità al riconoscimento dei loro diritti; in pratica dal 2007 la persona

con disabilità che abita in uno dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione deve chiedere solamente l’applicazione di di-

ritti che gli sono garantiti.

In questo modo si passa da

un modello medico che si

limita a curare una persona

disabile ad un modello so-

ciale basato sul rispetto

dei diritti e che valorizza

la diversità.

è stata approvata nel 2007 e interessa ben 1 miliardo di per-sone con disabilità ovvero il 14% della popolazione mondiale.

Page 58: In viaggio verso lo Zavhan

Cambia anche il concetto di

disabilità che non deriva da qualità oggettive della persona, dal suo deficit, ma deriva da come la so-

cietà garantisce il rispetto dei suoi

diritti.

Io sono una persona con

disabilità non perché ho

una sola gamba ma perché

di fronte a me ho una scala

inaccessibile e l’ente re-

sponsabile non l’ha reso

accessibile.

Anche nei paesi ricchi le condizioni sono difficili. Il 60% degli alunni con disabilità delle

scuole primarie fre-quenta classi o scuo-le speciali. In Europa 1.700.000 persone di-

sabili vivono in istituti.

L’80% delle persone con disabilità vive nei paesi poveri. Di questi solo il 2%

riceve un sostegno pubblico o privato; oltre il 90% non ha avuto un’educazione

formale, oltre l’80% è disoccupato.

Page 59: In viaggio verso lo Zavhan

La Convenzione presuppone l’inclusione delle persone con disabilità. L’inseri-mento invece è un approccio assisten-ziale; le persone con disabilità vengo-no inserite in luoghi speciali, separati.

L’integrazione garantisce i diritti delle persone con disabilità ma non

modifica le rego-le della società e delle istituzioni; si basa sulle risorse economiche dispo-

nibili, se queste non ci sono allora non si possono ricono-

scere i diritti.

La Convenzione invece parla di

inclusione ovvero il diritto di

essere incluso non dipende

dalle risorse disponibili.

Le persone con disabilità de-

vono avere un ruolo sociale

attivo e partecipano diretta-

mente soprattutto per gli

aspetti che li riguardano di-

rettamente.

Mainstreaming significa includere le persone con disabilità nelle politiche

ordinarie e i Paesi che adottano e rispettano la Convenzione devono adottare politiche mainstreaming.

Page 60: In viaggio verso lo Zavhan

La strategia della Riabilitazione su Base Comunitaria (RBC) è nata alcuni decen-ni fa, ma oramai è

considerata il modo migliore per assicu-rare l’inclusione e la partecipazione delle persone con disabi-lità nei diversi ambiti della vita. E’ uno ap-proccio basato sui

diritti umani.

con il termine riabilitazione s’intende non solo quella sanitaria ma una riabilitazio-ne che riguarda l’uomo in modo integrale, sotto ogni suo aspetto. Quindi oltre alla salute anche l’educazione, il lavoro e le relazioni sociali; del resto questi

sono i punti fondamentali su cui si basa l’RBC, a cui dobbiamo aggiungere l’empower-ment ovvero la presa di coscienza dei propri diritti.

La RBC è una me-todologia molto complessa che si adatta alle varie

culture in cui viene applicata.

la RBC riabilitazione su base comunitaria

Page 61: In viaggio verso lo Zavhan

Si, la RBC vede la persona nella sua globalità. non si può separare, ad esempio,

l’educazione dalla riabilita-zione, non dobbiamo occu-parci solamente di singoli ‘pezzi’ della persona, come

fanno gli specialisti.

è opinione diffusa nei Paesi industrializzati che

la RBC sia la maniera “povera” di fare riabi-litazione in Paesi dove non vi sono risorse

economiche, strumentali e umane sufficienti. In realtà le cose stanno

diversamente, l’approc-cio RBC si è emancipato

sempre più da una visione medica e quindi duale della disabilità (medi-

co-paziente), approdan-do al modello sociale della disabilità (comuni-

tà-persona).

Dal lavoro all’a-spetto sanitario, dalla partecipa-zione alla vita

quotidiana, allo sport, alla cultura

lo sforzo è di vedere tutte le cose insieme. La tecnologia e gli esperti non sono

sufficienti.

Page 62: In viaggio verso lo Zavhan

Kanjano (kanjano.org) è un disegnatore di fumetti siciliano dottore in filosofia. Disegna per raccontare storie degne di nota, agli adulti e ai bambini.

Nicola Rabbi, giornalista specializzato su temi sociali e nell’uso delle tecnologie digitali, lavora per Aifo e per il Centro Documentazione Handicap come addetto alla comunicazione.

IN VIAGGIO VERSO LO ZAVHANStorie di persone con disabilità in Mongolia

Soggetto e sceneggiatura: Nicola RabbiDisegni: Kanjano

Progetto grafico, lettering e copertina: Giuliano Cangiano

Stampa: Tipografia Me.Ca Recco (GE)

Le risorse umane, infatti, vanno iden-tificate dentro la comunità, includen-do i disabili stessi, le famiglie ed altre persone motivate. Il progetto tera-peutico della RBC va attuato il più

possibile dove la persona vive e ri-

guarda non solo la persona, ma anche e soprattutto la stessa comunità.

Il trasferimento di cono-scenze e competenze tecni-che dai professionisti agli

operatori renderà possibile il trattamento di varie tipo-logie di disabilità. Questo apporto di conoscenze

scientifiche riducono drasti-camente pregiudizi e tabù, fa-vorendo l’accettazione delle

persone con disabilità. ...La RBC incoraggia solo l’uso di metodi e tecniche semplici che siano efficaci e appropriate alla realtà economica e so-

cio-culturale locale.

Perché il pro-cesso riabilita-tivo raggiunga il suo scopo la comunità deve

essere diretta-mente coinvolta.

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This publication has been produced with the assistance of the European Union. The contents of this publication are the sole responsability of the authors and can in no way be taken to reflect the views of the European Union.

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Bayaraa dopo un grave incidente sul lavoro deve ricominciare una nuova vita. Sarà grazie alla ria-bilitazione su base comunitaria e all’incontro con Aifo che troverà lavoro come disegnatore su feltro. L’incontro di un gruppo di mamme nella remota re-

gione dello Zavhan per dare una risposta alle tante diffi-coltà che si incontrano ad avere figli con disabilità. La vita quotidiana di una bag feldsher, l’infermiera a cavallo che cura i nomadi nelle steppe.Attraverso il fumetto queste storie non sono più lontane da noi e ci insegnano qualcosa in più sui diritti delle persone disabili e a capire l’efficacia della riabilitazione su base comunitaria.