in questo numero · tempo doppio». Tutti cominciano a lavorare come dannati per risparmiare tempo....

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Foglio di formazione e informazione per i volontari dell’Associazione Maria Immacolata Anno VII - n.20 GIUGNO 2007 Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005 in questo numero EDITORIALE G uarire “il tempo”. Lasciarsi guarire dal “tempo”. Il tempo, come la parola, interseca la nostra salute, il nostro benesse- re. Non possiamo non prenderlo in conside- razione. Dobbiamo renderci conto di ciò che è o non è, dà o toglie. Questa nostra società nasconde il tempo sotto un gran darsi da fare. Sente che il tem- po le sfugge, ne intravede l’importanza ma non si ferma a considerarlo, a valutarlo per renderlo evento etico - esistenziale. Sa anche che è troppo poco e rischioso lasciar- lo alla pura valutazione dell’efficienza. Tut- tavia ci si sottrae alla regola del tempo con l’arroganza di chi si sente padrone di esso: fare e dire quello che si vuole e piace. Guai a chi lo impedisce. È la proclamazione della propria deresponsabilizzazione davanti al tempo. Invece, uscire da questo senso di potenza significa usare bene del tempo, in pacatezza, e percepirlo come il compimento di un disegno che sta all’origine e dà i riferi- menti per un vivere veramente libero e in pace. È questo “il tempo che non è il nostro tempo” (Thomas Stearns Eliot). Il discorso sul tempo poi riveste un ruolo non secondario per guarire dalle ansie, dal- le tensioni, dagli stress, dal non senso della vita. Quando è accettato come un tempo dato, è più facile, a me pare, dedicarsi total- mente al momento presente. Al contrario chi è schiavo del tempo ha disimparato a viverlo nella sua singolarità come vocazio- ne propria davanti a Dio e agli uomini. La Chiesa stessa è in affanno nell’inseguire il tempo dell’uomo moderno, nel tentativo di aiutarlo a dare un senso al suo tempo. Una preghiera sistematica e ben radicata, che trova la sua guida nella direzione spiri- tuale (penso al valore che ha avuto nei seco- li la regola benedettina e la concezione del tempo dei monaci), può essere determinan- te per mettere ordine nelle cose del tempo. C’è un diffuso senso efficientistico della preghiera, della predicazione e delle cele- brazioni: solo quelle che piacciono, che affa- scinano giustificano la partecipazione. Si perde così il rapporto con il tempo liturgico che è manifestazione del Dio che salva. Faccio ora un accenno al tempo in famiglia e nella malattia. La concezione corretta del tempo e la sua gestione rigorosa possono preservare e sanare la famiglia. Come vivia- mo il tempo in famiglia? Da che cosa è riem- pito? Che posto occupano i rapporti inter- personali, le relazioni, la comunicazione, gli aiuti? A ben pensarci è la concezione di uomo e di famiglia che dà garanzia alla società civile. E il rapporto tempo – malattia necessita di una robusta spiritualità e di guide sicure per affrontare quel senso di spreco o peggio di disgrazia. Ci si chiede come uscire al più presto da questo non senso del tempo della malattia per sé e per i propri familiari in quanto è un impedimento al lavoro, al divertimento, alla vacanza e assorbe una quantità di soldi per l’assistenza. Talvolta invece c’è un diffuso senso di fru- strazione perché altri si appropriano del tuo tempo condizionandolo in maniera subdo- la. Credi di essere libero e di scegliere. Ma sono gli altri a farti scegliere a trattenerti nei loro obbligati recinti, anche di pensiero. Noi vogliamo attraverso queste pagine offrire un’ulteriore occasione per riflettere e pensare e chissà, forse, anche valutare e sta- bilire un nuovo rapporto con il nostro tem- po. Infatti il tempo, “che scorre inesorabile e severo/ in me come sabbia di clessidra” (Francesca De’ Manzoni Boschini), chiede di riconciliarci con la vita che ognuno di noi conduce. don Carlo Stucchi Nota: Invito alla lettura del testo Nella dimensione del tem- po dei monaci: come vivere il tempo di Anselm Grun Ed Queriniana 2006 Nel prossimo numero La Guarigione: la Meta I l vespro ricorda che, con Cristo vera luce che illumina le nostre tenebre, il centro della vita non è il lavoro ma è Dio.“Gli antichi cantavano che Cristo, con la sua morte, trasforma il tra- monto in aurora” (o.p. pg 28) Che significa que- sto se non che Cristo trasforma la vecchiaia in vita nuova, ti fa vivere dentro la malattia con pen- sieri e sentimenti di attesa di un nuovo. La poten- za della fede trasforma il tempo che finisce e lo apre a orizzonti nuovi. Come è distante questa percezione del tempo dalla frenesia della vita quotidiana! I l libro Momo di Michael Ende è alla base di una fortunata serie della televisione tedesca. Momo è un’orfanella che vive ai margini della città, tra le rovine di un teatro, dove compaiono cupi signo- ri che illudono e convincono gli spettatori a depositare il loro tempo presso la banca del tempo il cui motto è: «Il tempo risparmiato è tempo doppio». Tutti cominciano a lavorare come dannati per risparmiare tempo. I cupi signori non riescono però a sedurre Momo che viene trasportata dalla tartaruga Cassiopeia nel regno di Hora, il difensore del tempo. Quando Momo torna dagli uomini, è ormai troppo tardi: tutti sono diventati schiavi del tempo.

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Foglio di formazione e informazione per i volontari dell’Associazione Maria Immacolata

Anno VII - n.20 GIUGNO 2007

Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005

in questo numero

EDITORIALE

Guarire “il tempo”. Lasciarsi guarire dal“tempo”. Il tempo, come la parola,

interseca la nostra salute, il nostro benesse-re. Non possiamo non prenderlo in conside-razione. Dobbiamo renderci conto di ciò cheè o non è, dà o toglie.Questa nostra società nasconde il temposotto un gran darsi da fare. Sente che il tem-po le sfugge, ne intravede l’importanza manon si ferma a considerarlo, a valutarlo perrenderlo evento etico - esistenziale. Saanche che è troppo poco e rischioso lasciar-lo alla pura valutazione dell’efficienza. Tut-tavia ci si sottrae alla regola del tempo conl’arroganza di chi si sente padrone di esso:fare e dire quello che si vuole e piace. Guai achi lo impedisce. È la proclamazione dellapropria deresponsabilizzazione davanti altempo. Invece, uscire da questo senso dipotenza significa usare bene del tempo, inpacatezza, e percepirlo come il compimentodi un disegno che sta all’origine e dà i riferi-menti per un vivere veramente libero e inpace. È questo “il tempo che non è il nostrotempo” (Thomas Stearns Eliot).Il discorso sul tempo poi riveste un ruolonon secondario per guarire dalle ansie, dal-le tensioni, dagli stress, dal non senso della

vita. Quando è accettato come un tempodato, è più facile, a me pare, dedicarsi total-mente al momento presente. Al contrariochi è schiavo del tempo ha disimparato aviverlo nella sua singolarità come vocazio-ne propria davanti a Dio e agli uomini. La Chiesa stessa è in affanno nell’inseguireil tempo dell’uomo moderno, nel tentativodi aiutarlo a dare un senso al suo tempo.Una preghiera sistematica e ben radicata,che trova la sua guida nella direzione spiri-tuale (penso al valore che ha avuto nei seco-li la regola benedettina e la concezione deltempo dei monaci), può essere determinan-te per mettere ordine nelle cose del tempo.C’è un diffuso senso efficientistico dellapreghiera, della predicazione e delle cele-brazioni: solo quelle che piacciono, che affa-scinano giustificano la partecipazione. Siperde così il rapporto con il tempo liturgicoche è manifestazione del Dio che salva.Faccio ora un accenno al tempo in famigliae nella malattia. La concezione corretta deltempo e la sua gestione rigorosa possonopreservare e sanare la famiglia. Come vivia-mo il tempo in famiglia? Da che cosa è riem-pito? Che posto occupano i rapporti inter-personali, le relazioni, la comunicazione, gliaiuti? A ben pensarci è la concezione di

uomo e di famiglia che dà garanzia allasocietà civile.E il rapporto tempo – malattia necessita diuna robusta spiritualità e di guide sicureper affrontare quel senso di spreco o peggiodi disgrazia. Ci si chiede come uscire al piùpresto da questo non senso del tempo dellamalattia per sé e per i propri familiari inquanto è un impedimento al lavoro, aldivertimento, alla vacanza e assorbe unaquantità di soldi per l’assistenza.Talvolta invece c’è un diffuso senso di fru-strazione perché altri si appropriano del tuotempo condizionandolo in maniera subdo-la. Credi di essere libero e di scegliere. Masono gli altri a farti scegliere a trattenerti neiloro obbligati recinti, anche di pensiero. Noi vogliamo attraverso queste pagineoffrire un’ulteriore occasione per riflettere epensare e chissà, forse, anche valutare e sta-bilire un nuovo rapporto con il nostro tem-po. Infatti il tempo, “che scorre inesorabile esevero/ in me come sabbia di clessidra”(Francesca De’ Manzoni Boschini), chiededi riconciliarci con la vita che ognuno di noiconduce.

don Carlo Stucchi

Nota: Invito alla lettura del testo Nella dimensione del tem-po dei monaci: come vivere il tempo di Anselm Grun EdQueriniana 2006

Nel prossimo numero

La Guarigione:la Meta

Il vespro ricorda che, con Cristo vera luce cheillumina le nostre tenebre, il centro della vita

non è il lavoro ma è Dio. “Gli antichi cantavanoche Cristo, con la sua morte, trasforma il tra-monto in aurora” (o.p. pg 28) Che significa que-sto se non che Cristo trasforma la vecchiaia invita nuova, ti fa vivere dentro la malattia con pen-sieri e sentimenti di attesa di un nuovo. La poten-za della fede trasforma il tempo che finisce e loapre a orizzonti nuovi.Come è distante questa percezione del tempodalla frenesia della vita quotidiana!

Il libro Momo di Michael Ende è alla base di unafortunata serie della televisione tedesca. Momo

è un’orfanella che vive ai margini della città, tra lerovine di un teatro, dove compaiono cupi signo-ri che illudono e convincono gli spettatori adepositare il loro tempo presso la banca deltempo il cui motto è: «Il tempo risparmiato ètempo doppio». Tutti cominciano a lavorarecome dannati per risparmiare tempo. I cupisignori non riescono però a sedurre Momo cheviene trasportata dalla tartaruga Cassiopeia nelregno di Hora, il difensore del tempo. QuandoMomo torna dagli uomini, è ormai troppo tardi:tutti sono diventati schiavi del tempo.

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ASCOLTami n.20 - giugno 2007 - pag. 2

parliamo di...

Ipassi che seguono sono tratti da un testo checi ha già suggerito spunti e riflessioni nei

numeri dedicati alla compassione. Gli autorimettono a fuoco un’idea cruciale per la nostraesistenza: il senso di limite che condiziona eincombe sulle nostre vite è legato al tempo eall’impazienza. A ben vedere senza il vincolodel tempo non percepiremmo la nostra vita eogni attimo di essa come qualcosa di effimero,sfuggente, che ci lascia talvolta un senso diinquietudine interiore e di insoddisfazione. Lamalattia, una posizione sociale che non soddi-sfa, l’attesa per il compiersi di un evento, illavoro che assorbe gran parte delle nostreenergie non sarebbero un problema se ciascu-no di noi avesse a disposizione, davanti a sé,un tempo illimitato. Viceversa tutto ciò cheriduce l’orizzonte temporale ancora a nostradisposizione per fare, costruire, amare, cam-biare cose o consentire il realizzarsi di eventi èpercepito come un “problema”. La pazienza èciò che cambia radicalmente la nostra perce-zione del tempo e il senso della nostra esisten-za. Se la vita interiore dell’uomo è improntataalla pazienza, ogni momento è vissuto comeimportante perché denso di significato. Ciòche conta non è la lunghezza della vita ma lasua pienezza.

Il tempo dell’orologio è quel tempo linea-re col quale si misura la nostra vita in unitàastratte, che appaiono sugli orologi daparete, sugli orologi da polso o sui calen-dari. Queste unità di misura ci dicono ilmese, il giorno, l’ora e il secondo in cui citroviamo e decidono per noi quanto pos-siamo ancora parlare, ascoltare, mangiare,cantare, studiare, pregare, dormire, giocareo fermarci. Le nostre esistenze sono domi-nate dai nostri orologi. In particolare, èenorme la tirannìa legata alla durata del-l’ora. Vi sono ore di visita, ore terapeuti-che, e persino ore felici. Senza esserne pie-namente consapevoli, le nostre emozionipiù intime sono spesso influenzate dal-l’orologio. (…)Il tempo dell’orologio è il tempo esterno, iltempo che ha in sé un’oggettività rigida espietata. Il tempo dell’orologio ci porta achiederci quanto tempo vivremo ancora, e

LA PAZIENZA: IL TEMPO DELL’INTERIORITÀ

E DELLA PIENEZZA

se “la vera vita” non ci è già passata accanto.Il tempo dell’orologio ci fa sentire delusidell’oggi e sembra suggerire che forsedomani, la settimana prossima o l’annoventuro qualcosa accadrà veramente. Iltempo dell’orologio continua a dirci: ”Pre-sto, affrettati, il tempo passa velocemente,forse ti perderai la cosa più vera! Affettati asposarti, a trovare un lavoro, a visitare unpaese, a leggere un libro, a laurearti … Cer-ca di profittare di tutto, prima di trovartifuori tempo”. Il tempo dell’orologio ci fasempre partire da un luogo, alimenta l’im-pazienza e impedisce di stare insieme inmodo compassionevole.

L’impazienza ha sempre qualcosa a chefare col tempo. Quando siamo impazientinei riguardi di un oratore, vorremmo chela smettesse di parlare o che passasse adaltro argomento. Quando siamo impa-zienti verso i bambini vorremmo che lasmettessero di piangere, di chiedere ungelato o di correre attorno. Quando siamoimpazienti con noi stessi vorremmo cam-biare le nostre cattive abitudini, portare a

termine un compito prestabilito o proce-dere più in fretta. Qualunque sia la naturadella nostra impazienza, vogliamo liberar-ci dallo stato fisico o mentale in cui ci tro-viamo e cambiare al più presto possibile:“Aspetto qui già da un’ora e il treno nonarriva ancora… Questo sermone non fini-sce mai… Quanto ci manca ad arrivare?”.Queste espressioni tradiscono l’inquietu-dine interiore che spesso dimostriamo agi-tando un piede sotto il tavolo, intreccian-do nervosamente le dita o soffocando lun-ghi sbadigli. In sostanza l’impazienzasignifica sperimentare un momento divuoto, di inutilità e di mancanza di signi-ficato: significa voler sfuggire al qui e oraappena possibile.Talvolta le nostre emozioni sono dominatein modo così totale dall’impazienza chenon riusciamo più a dare un significato almomento presente.

I momenti di pazienza – invece – sonomomenti in cui abbiamo un’esperienzamolto diversa del tempo: è l’esperienza delmomento come un momento pieno, ricco,

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pregnante. Un’esperienza siffatta ci fa desi-derare di rimanere dove siamo e di profit-tarne pienamente. In qualche modo sappia-mo che quel momento contiene ogni cosa: ilpassato, il presente e il futuro, il dolore e lagioia, l’attesa e la realizzazione, il cercare eil trovare. I momenti di pazienza possonoessere molto diversi l’uno dall’altro; posso-no accadere quando stiamo semplicementeseduti accanto al letto di una persona mala-ta e ci rendiamo conto che lo stare insieme èla cosa più importante. Possono accaderementre siamo impegnati nel solito compitoe improvvisamente riconosciamo che è bel-lo semplicemente essere vivi e lavorare.Possono avvenire mentre ci troviamo nellatranquillità di una chiesa e ci rendiamo con-to in modo inatteso che tutto è presente quie ora. Ricordiamo questi e altri momentisimili con grande riconoscenza. Diciamo:“Sembrava che il tempo si fosse fermato;ogni cosa era lì, semplicemente esisteva.Non dimenticherò mai quei momenti”.Quei momenti non sono necessariamentefelici, gioiosi o entusiasti; possono esserepieni di dolore e di pena, o segnati dall’an-goscia e dalla lotta. Ciò che conta è questaesperienza di pienezza, di significato inte-riore, di maturazione. Ciò che conta è sape-re che in quel momento la vita reale ci hatoccato. Da quei momenti non vorremmomai uscire. Vorremmo anzi viverli nella loropienezza. (…)La pazienza, quindi, dissolve il tempo del-l’orologio e ci rivela un tempo nuovo, iltempo della salvezza. Non è un tempomisurato dalle unità astratte e oggettivedell’orologio, della pendola o del calenda-rio, ma è invece il tempo vissuto da dentro esperimentato come un tempo pieno. E’ di que-sta pienezza del tempo che parla la Scrittu-ra. Tutti i grandi eventi dei vangeli accado-no nella pienezza dei tempi. Una traduzio-ne letterale del termine greco lo dimostrachiaramente: “quando si compirono perMaria i giorni del parto, diede alla luce suofiglio Gesù” (Lc 2,6); “quando venne iltempo della purificazione, Giuseppe eMaria portarono il bambino a Gerusalem-me” (Lc 2,22). Il vero evento accade semprein questa pienezza del tempo. L’espressio-ne “accadde” – in greco eghéneto - annun-cia sempre un evento che non si misuracon il tempo esteriore, ma con il tempointeriore che giunge a maturità. Il grande evento della venuta di Dio vienericonosciuto come evento della pienezza ditempi. Gesù proclama: “Il tempo è com-piuto e il regno di Dio è vicino”(Mc 1,15), ePaolo riassume la grande notizia quandoscrive ai cristiani della Galazia:”Quandovenne la pienezza del tempo, Dio mandò ilsuo Figlio, nato da donna….(Gal. 4,4s.).E’ questa pienezza del tempo, pregnante divita nuova, che possiamo scoprire attra-verso la disciplina della pazienza. Finchésiamo schiavi dell’orologio e del calendario il

nostro tempo rimane vuoto e nulla di veroaccade. (…) Attraverso la pazienza possiamo vive-re nella pienezza del tempo e invitare altria condividerla.(…) Quando viviamo con l’orologio nonabbiamo tempo gli uni per gli altri: siamosempre in marcia verso il nostro prossimoappuntamento e non notiamo la personasul lato della strada bisognosa di aiuto; sia-mo sempre più preoccupati di non perderequalcosa d’importante e percepiamo lasofferenza umana come un’interruzioneche disturba i nostri programmi; siamocostantemente ansiosi pensando allanostra serata libera, al fine settimana libe-ro, e perdiamo la capacità di godere dellagente con cui viviamo e lavoriamo giornodopo giorno. Se però il tempo dell’orologioperde la sua presa su di noi, cominciamo avivere nel tempo interiore dell’abbondan-za di Dio. Quando la pazienza ci insegna ilritmo naturale della nascita e della morte,della crescita e del declino, della luce e del-l’oscurità, e ci consente di sperimentarequesto tempo nuovo con tutti i nostri sensi,allora scopriamo lo spazio illimitato dellealtre persone. La pazienza ci apre a tantepersone diverse, che possono essere tutteinvitate a gustare al pienezza della presen-za di Dio. (…) La pazienza apre il nostrocuore agli anziani e ci vieta il giudizio, det-tato dal tempo dell’orologio, che i loro annipiù importanti siano già passati. Lapazienza ci apre ai malati e ai morenti e ci

consente di sentire che un solo minuto incui stiamo realmente insieme toglie vial’amarezza di una vita intera. (…) Lapazienza ci rende amorevoli, solleciti, buo-ni, teneri, e sempre grati per l’abbondanzadei doni di Dio. Non è difficile riconoscerele persone pazienti. Alla loro presenza ciaccade qualcosa di veramente profondo;esse ci sollevano dalla nostra inquietudineansiosa e ci portano con loro nella pienezzadel tempo di Dio. Alla loro presenza sen-tiamo quanto siamo amati, accettati protet-ti. Le tante cose, grandi e piccole, che cihanno riempito di ansia sembrano perdereall’improvviso il loro potere su di noi ericonosciamo che tutto quello che vera-mente desideravamo si realizza in quelmomento di compassione.La vera pazienza, però, è l’opposto dell’at-tesa passiva nella quale si lascia che le coseaccadano e si consente ad altri di prenderele decisioni. Pazienza significa entrare atti-vamente nel pieno della vita e patire piena-mente la sofferenza dentro di noi e intornoa noi. Pazienza è la capacità di vedere,ascoltare, toccare, gustare e annusare il piùpossibile gli eventi interiori ed esterioridella nostra vita.

(Brani tratti da Compassione; una riflessionesulla vita cristiana, H. J. M. Nouwen, D.P.McNeil, D.A. Morrison, Queriniana, pp.130 - 138)

A cura di Michela Alborno

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il volontariato racconta In uno degli ultimi giorni di febbraio èstato stabilito un giorno per “celebra-

re” la lentezza.Naturalmente, nel proposito dei promo-tori, c’era l’idea di contrapporre la len-tezza alla velocità, che oggi caratterizzala nostra vita.Ma non vi sembra terribile proporre ungiorno, un solo giorno dell’anno, allascansione misurata del tempo? La len-tezza, come la velocità, dovrebbero ave-re un loro naturale posto nello svolgersidella nostra giornata. Alcune cose devono essere fatte lenta-mente, altre velocemente. Se devi soccorrere un malato ci vuolerapidità, bisogna arrivare in tempo, ènecessario correre. Se devi pregare oassistere un malato, bisogna avere iltempo necessario, non puoi avere limitiperché la fretta creerebbe solo moltodisagio. Come si può affrettare il dialo-go con una persona che fa fatica a parla-re? E come si può essere sbrigativi conun bambino che cerca il contatto conl’adulto? Viene elevano a straordinario valore uncomportamento che dovrebbe far partedel nostro quotidiano. Il tempo è proprio una di quelle cose chenon può avere regole. Un viaggio innave impone tempi di percorso moltodiversi da un viaggio in aereo. Il mare, lospazio, permettono la riflessione, l’ab-bandonarsi ai pensieri; l’aereo trasportae catapulta da un posto all’altro delmondo senza dare il tempo di considera-re le differenze di culture e di realtà.Il giorno di febbraio diventa il ghettodella lentezza?È possibile che l’anno prossimo, se verràriproposta l’iniziativa, troveremo gad-gets adatti: tartarughe e lumache saran-no vendute in oro e pietre preziose, incioccolato e torrone. In Cina la tartarugaè il simbolo della longevità: un bel sim-bolo in un’epoca in cui nessuno vuolepiù morire.Stiamo perdendo così profondamente il

senso della vita e il rispetto verso le esi-genze di chi ci sta accanto da dover cele-brare, con imposizioni dall’alto, compor-tamenti che dovrebbero essere naturali,dettati dall’amore, dalla dedizione? E ciò che trovo insopportabile è che chiaderisce a queste “celebrazioni”, si sentein pace poi tutto il resto dell’anno e puòregolare in pochi minuti rapporti che esi-gono invece tempo, tanto tempo.

Avete voglia di farci su una riflessione?Fateci sapere cosa ne pensate.

Maria Grazia Mezzadri

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la voce dei familiari

Sono una madre e sono una nonna. Inquesti numeri di AscoltAmi stiamo

affrontando alcuni aspetti della guari-gione, intesa nel senso sia fisico che spi-rituale. Uscendo dai temi che questo giornalepropone, vorrei affrontare un argomen-to di attualità che tanto raccapriccio hasuscitato in tutti noi. La strage america-na: un ragazzo sudcoreano, di ventitreanni, adottato americano, ha massacra-to freddamente trentatre suoi compagnie professori. Molte trasmissioni televisive si sonopreoccupate di analizzare questo terri-bile evento e ho sentito esperti chedichiaravano con sicurezza che chicommette assassini di massa è una per-sona frustrata, una persona rifiutata,una persona che non assume le respon-sabilità dei suoi fallimenti, e per sentirsieroe, compie azioni che non hanno sen-so. Si chiedevano, gli esperti: è possibileche il mondo sia diventato in pochi annitanto più cattivo? C’è chi sosteneva di sìe chi di no.Ma una frase della lettera lasciata dalragazzo (che non voglio chiamareassassino ma vittima), mi ha colpitamolto: mi avete costretto a farlo, è colpadei ricchi. In questa frase il ragazzo non ha denun-ciato la sua gravisima malattia? Il male

MALATI DI INDIFFERENZA

di vivere in una comunità che non l’haaiutato a inserirsi, che lo ha provocatocon il potere del danaro sfacciatamenteesibito, che non ha tenuto conto dellasua sensibilità e dei suoi bisogni. Perché tacciare superficialmente di fru-strato un ragazzo che studiava conimpegno, e che eccelleva nello sportsenza conoscere i contorni della sua sto-ria di sradicato dalla sua patria? Quanta mancanza di sensibilità circon-da oggi tanti giovani che non hanno,spesso, l’aiuto dei genitori a crescere“sani”?I famosi “valori”: se ne parla e se neparla e non si identificano più in nulla.Ma chi si preoccupa di inculcarli conl’esempio, con il saper dire di no arichieste che non sono educative, facen-do compiere atti di rinuncia e di genero-sità verso un compagno meno fortuna-to? Non è l’egoismo una grave malat-tia? E l’indifferenza, e la prepotenza el’arroganza?Quale tragedia, quale tem-pesta dell’animo può aver attraversatoun giovane che ha dovuto annientaregli altri e se stesso?Quanti genitori pensano che dare aibambini, agli adolescenti cose da consu-mare, tante cose con cui competere ascuola, basti a farli felici e soddisfatti?Non si rendono conto che li aiutano ad“ammalarsi”?

È il non credere in nulla la vera malat-tia, è la più grave malattia del nostrotempo di cui sono vittime, purtroppo, igiovani.Come arrivare alla guarigione? A quellaguarigione dello spirito che tanto auspi-chiamo per noi, ma che dovremmovolere fortemente per i ragazzi? Perchénon si commettano stragi che vengonocommemorate, commentate e poidimenticate fino alla prossima chemagari ammazzerà sessanta persone enon trentatre.Senza falsa retorica io credo che i giova-ni genitori dovrebbero fare delle pro-fonde riflessioni sul loro rapporto con ifigli. I ragazzi hanno più bisogno dimodelli che di critici. Non credo si pos-sa ancora rinviare la presa di coscienzadi un problema che prepara la società didomani.

Maria Grazia Mezzadri

visti e letti per voi

Il tempo della malattia non è unitario e ha caratteristi-che particolari.“E’ un tempo che ti si accorcia e ti si allunga tra le mani,come un elastico” (Michela Franco Celani, PatriziaMiotto, La stanza dell’orso e dell’ape, Mursia, Milano,2006):

tempo che precede la malattia, quando ci si accorgeche qualcosa non va, ma la paura dei dottori e degliospedali, il timore di mettere in ansia i propri cari, indu-cono a tacere e a non dare retta ai segnali di ribellionedel corpo;

tempo di attesa: di una visita, della diagnosi, dell’ini-zio di una terapia o della riabilitazione;

tempo di euforia, quando si verificano dei progressi,tempo di sconforto e di rabbia per le battute d’arresto;

tempo privo di senso; tempo al quale si cerca di dareun senso.

tempo di conoscenza di sé, tempo di sorprese, avolte amare: perché eravamo convinti di saper vivere lasofferenza e invece scopriamo che non riusciamo adaccettarla.

Dalla collana Esperienze della casa editrice TEA sugge-risco alcuni dei titoli più recenti:Ludovico Guarneri, La cosa più stupefacente al mondo;Barbara Dussler, Un angelo mi ha salvato;Susan Edsall, Il volo del cuore.

Sara Esposito

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l’ascolto della sofferenza

Tempo, guarigione. Tra queste due realtà esisteun legame, un nesso? Per il cristiano, per il

credente si: la strada maestra che trasforma il tem-po in guarigione è la preghiera. Dove c’è preghierac’è vita, dove c’è vita c’è guarigione. Ecco il mes-saggio concreto di Carretto.

Tutte le volte che mi tocca scrivere qualcosasulla preghiera, sul mio tavolo piovono letteredi questo genere: “Fratel Carlo, tu dici bene,ma ciò che hai scritto vale per te o dei religiosicome te. Ma io, come debbo fare? Le occupa-zioni mi assillano; non ho un momento direspiro. Se tu sapessi che giornate mi toccavivere! La famiglia mi impegna, l’ufficio miprende… E poi l’Azione Cattolica, la parroc-chia, la conferenza di San Vincenzo, qualchelibro per tenersi al corrente… insomma, ti assi-curo che pregare diventa un’impresa”.E ancora! “Ho letto quanto lei scrive sullapreghiera e siccome è un argomento che miinteressa ci ho ripensato su a lungo. Io vorreipregare ma… come fare? La mia vita è unalotta continua contro l’orologio. E’ già moltose riesco ad andare a Messa la domenica e afarmi il segno della croce la mattina e la sera.Ma anche quello è fatto in fretta. Eppure cisoffro e vorrei trovare rimedio, perché sentoche così le cose non possono andare; sononervosa, non ho pace, la mia fede diminuisce.Qualche volta ho paura….Oppure “Belle cose hai detto sulla preghierama … vieni qui a Montecitorio, poi vedi doveva a finire la tua buona volontà di pregare!”.E potrei continuare. (…) Per andare al di là delle cose bisogna primaesserci dentro. La mamma dev’essere dentrola sua casa, l’uomo politico dentro la vitapolitica, il sacerdote dentro il suo sacerdozio.La preghiera non è un’evasione ma un’illu-minazione dal di dentro. Non è una fuga, maun fiat di accettazione. Non è una contrappo-sizione spirituale o psicologica ma una pie-nezza umano-divina. Non una distrazionema una purificazione.Sì, ognuno di noi deve essere dentro il suoimpegno, il suo amore, il suo lavoro e… fino alcollo, fino all’estremo limite delle proprie for-ze. Ma Dio non ci ha condannati al lavoro, allafamiglia, alla vita sociale per distruggerci, nonci chiama ai rapporti e ai contatti coi fratelli pereliminare il rapporto e il contatto con Lui.Evidentemente si tratta di intendersi. Il piùdelle volte il disagio è dovuto alla mancanza

PREGARE NELLA FOLLA

di chiarezza e di coraggio. Qualche volta c’èuna incomprensione su ciò che significa “pre-gare”. Se ad esempio un industriale che hagià largamente il superfluo e più largamenteancora il lavoro, continua ad aumentare larete dei suoi impegni, gli si può suggerire:riduci il tuo lavoro, interessati di più dellatua anima e della tua famiglia.Al sacerdote che minaccia di perdere il gustodella preghiera a causa della routine e dellemesse da morto, gli si può dire: rinnova laliturgia nella parrocchia, rendila più parteci-pata, staccala da questa umiliazione dellatabella dei diritti di stola, disciplina meglio lapastorale e cerca aiuti nel laicato, forse finiraiper saper trovare un po’ di tempo per restarein adorazione e per pregare più a lungo.Non sempre si tratta di una cattiva organiz-zazione del tempo. Sovente – in questa nostrasocietà in trasformazione - pesi enormi gra-vano su certi punti nevralgici del viveresociale, e sotto c’è una sola persona a soste-nerli. Qui una povera donna che oltre a esse-re sposa e madre deve andare a lavorare peraiutare a pagare l’affitto; qui una suora infer-

NOTA BIOGRAFICA

Carlo Carretto nasce nelle Langhe nel 1910.Laureato in storia e filosofia si dedica all’insegna-mento. Dispensato dal suo incarico di direttoredidattico per contrasti col regime fascista, conl’avvento della Repubblica di Salò riceve daRoma l’incarico di reggere le fila dell’AzioneCattolica del Nord Italia. Nel 1946 diviene presi-dente centrale della Gioventù Italiana di AzioneCattolica. Intorno ai primi anni ’50, trovandosi indisaccordo con una frazione importante delmondo cattolico, Carretto deve dimettersi dalsuo incarico. In questo periodo matura la deci-sione di entrare a far parte della congregazionereligiosa dei Piccoli fratelli di Gesù fondata daCharles de Foucauld. Scrive diversi libri -tra cuiLettere dal deserto è uno dei più famosi- neiquali trasferisce la sua esperienza di fede.

miera che deve moltiplicarsi per tre perchéattorno c’è sempre qualcuno in permesso; quiun impiegato mal pagato che deve cercarsiun lavoro straordinario per far studiare ilfiglio; lì un povero prete mangiato da tutti inuna città che ha perduto il senso dell’umanoe della discrezione. (…)Pregare è amare, e amare Dio è come amaregli uomini: si vede. Qui le chiacchiere noncontano. Se uno sposo ama la sua sposa, nonc’è bisogno che giustifichi le sue assenze, isuoi impegni, il suo essere lontano. Lei capi-sce benissimo e, anche se può desiderare unapresenza più prolungata, “sente” che non è lalontananza che può renderle distante l’ama-to. Rileggete il Cantico dei Cantici. Non riu-scite mai a vedere la differenza che passa tral’amore appassionato della sposa per lo spo-so e quello tra l’anima e Dio. Si direbbe chesono la stessa cosa: certo, hanno la stessamaniera di esprimersi! Ed è proprio così checapita a chi di noi ama Dio.

Quindi non chiederti se hai tempo di pregarequando sei molto occupato, chiediti se haitempo di amare.L’amore genera la confidenza che diviene -nell’anima-uno “stato”, un “essere”, un’abi-tudine, una realtà continua.

Io mi fido di Lui-io confido in Lui-io lo amo.

C’è preghiera più vitale di questa? Acquista-la e pregherai tutto il giorno, anche se immer-so nella folla.

(Brani tratti e adattati da Al di là delle cose,Cap. VI: La preghiera di chi non ha tempo dipregare, Carlo Carretto, Cittadella editrice)

A cura di Michela Alborno

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ASCOLTami n.20 - giugno 2007 - pag. 7

il punto di vista

Nel Duomo vecchio di Molfetta c’e ungrande crocifisso di terracotta, L’ha

donato, qualche anno fa, uno scultore delluogo. Il parroco, in attesa di sistemarlodefinitivamente, l’ha addossato alla paretedella sagrestia e vi ha apposto un cartoncinocon la scritta: collocazione provvisoria.La scritta, che in un primo momento avevoscambiato come intitolazione dell’opera, miè parsa provvidenzialmente ispirata, al pun-to che ho pregato il parroco di non rimuove-re per nessuna ragione il crocifisso di lì, daquella parete nuda, da quella posizione pre-caria, con quel cartoncino ingiallito.Collocazione provvisoria. Penso che non cisia formula migliore per definire la croce. Lamia, la tua croce, non solo quella di Cristo.Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato suuna carrozzella. Animo, tu che provi i morsidella solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi alcalice amaro dell’abbandono. Non ti dispe-rare, madre dolcissima, che hai partorito unfiglio focomelico. Non imprecare, sorella,che ti vedi distruggere giorno dopo giornoda un male che non perdona. Asciugati lelacrime, fratello, che sei stato pugnalato allespalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Nonangosciarti, tu che per un tracollo improvvi-so vedi i tuoi beni pignorati, i tuoi progettiin frantumi, le tue fatiche distrutte. Non tira-re i remi in barca, tu che sei stanco di lottaree hai accumulato delusioni a non finire. Nonabbatterti, fratello povero, che non sei calco-lato da nessuno, che non sei creduto dalla

COLLOCAZIONEPROVVISORIA

gente e che, invece del pane, sei costretto aingoiare bocconi di amarezza. Non avvilirti,amico sfortunato, che nella vita hai vistopartire tanti bastimenti, e tu sei rimasto sem-pre a terra.Coraggio. La tua croce, anche se durasse tut-ta la vita, è sempre “collocazione provviso-ria”. Il Calvario, dove essa è piantata, non èzona residenziale. E il terreno di questa col-lina, dove si consuma la tua sofferenza, nonsi venderà mai come suolo edificatorio.Anche il Vangelo ci invita a considerare laprovvisorietà della croce.C’è una frase immensa che riassume la tra-gedia del creato al momento della morte diCristo. “Da mezzogiorno fino alle tre delpomeriggio, si fece buio su tutta la terra”.Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia.Per me è una delle più luminose. Proprioper quelle riduzioni di orario che stringono,come due paletti invalicabili, il tempo in cuiè concesso al buio di infierire sulla terra.Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio.Ecco le sponde che delimitano il fiume dellelacrime umane. Ecco le saracinesche checomprimono in spazi circoscritti tutti i ranto-li della terra. Ecco le barriere entro cui si con-sumano tutte le agonie dei figli dell’uomo.Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio.Solo allora è consentita la sosta sul Golgota.Al di fuori di quell’orario, c’è divieto asso-luto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà larimozione forzata di tutte le croci. Una per-manenza più lunga sarebbe considerata

abusiva anche da Dio.Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per teuna deposizione dalla croce. C’è anche perte una pietà sovrumana. Ecco già una manoforata che schioda dal legno la tua. Ecco unvolto amico, intriso di sangue e coronato dispine, che sfiora con un bacio la tua frontefebbricitante. Ecco un grembo dolcissimo didonna che ti avvolge di tenerezza. Tra quellebraccia materne si svelerà, finalmente, tuttoil mistero di un dolore che ora ti sembra unassurdo.Coraggio. Mancano pochi istanti alle tre deltuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà ilposto alla luce, la terra riacquisterà i suoicolori verginali e il sole della Pasqua irrom-perà tra le nuvole in fuga.

Don Tonino Bello

Nell’agosto del 1991 a don Tonino venne diagno-sticato un tumore allo stomaco. “Quell’uomoprestante, che non aveva mai conosciuto unamalattia, che sprizzava energia da ogni poro, chesembrava il ritratto della salute, si trovò improvvi-samente schiacciato sotto il peso di un macigno”.Il dr. Domenico Cives e Claudio Regaini nei lorolibri (cfr. numeri precedenti del giornale) descri-vono la grinta e il coraggio con cui don Toninoaffrontò la malattia, continuando a prodigarsiinstancabilmente nel suo ministero, nel movi-mento per la pace, trascorrendo nottate alla scri-vania per indirizzare messaggi, preparare discor-si, scrivere libri; parlano anche dei momenti disconforto, quando don Tonino accorgendosi chele sue forze non erano più quelle di prima, mani-festava ai suoi collaboratori più vicini l’intenzionedi dimettersi.Nel dicembre del 1992 volle partecipare allamarcia per la pace a Sarajevo, benché le sue con-dizioni fossero notevolmente peggiorate.Alla fine dell’estate del 1992, dopo il responso diuna TAC,“don Tonino comprese di aver perso lasua battaglia per la vita e si preparò a morire”.Una notte, nel silenzio della sua cappella, davantiall’icona della Madonna che gli faceva da spec-chio, scrisse il suo atto di affidamento alla Madre:“Maria, donna dell’ultima ora, disponici al grandeviaggio. Aiutaci ad allentare gli ormeggi senzapaura. Sbriga tu stessa le pratiche del nostro pas-saporto. Se ci sarà il tuo visto, non avremo piùnulla da temere sulla frontiera. Aiutaci a saldare,con i segni del pentimento e con la richiesta delperdono, le ultime pendenze nei confronti dellagiustizia di Dio. Procuraci tu stessa i benefici del-l’amnistia, di cui egli largheggia con regale miseri-cordia. Mettici in regola le carte, insomma, per-ché giunti alla porta del paradiso, essa si spalan-chi al nostro bussare”.Don Tonino è morto a Molfetta il 20 aprile 1993.

A cura di Sara Esposito

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ASCOLTami n.20 - giugno - pag. 8

Tutta la nostra vita è scandita dal tem-po dell’orologio e vive un rapporto

conflittuale con il tempo che causa impa-zienza: è questo il contenuto di tutto ilnostro Giornale. L’essere vittime del pas-sare del tempo crea in noi uno stato diansia per arrivare a fare tutto “in tempo”,per godere di tutto “in tempo”. Tale atteg-giamento alla fine ci rende incapaci didare valore e significato al momento pre-sente, ci rende incapaci di accorgerci del-l’altro che ci sta vicino e che forse ha biso-gno del nostro aiuto. Il tempo rientra in una valutazione con-traddittoria: va dal bisogno di vivere inmaniera distesa al bisogno di fare più cosepossibili. Rimando, a questo proposito, albox banca del tempo in cui l’uomo vivenell’illusione che risparmiare tempo siaun’opportunità e invece si rivela unaschiavitù: “Finché siamo schiavi dell’oro-logio e del calendario il nostro temporimane vuoto e nulla di vero accade”.Questo modo di percepire il tempo vienevissuto dalla persona malata con grandedrammaticità: “quanto ancora durerà que-sta sofferenza?”… “quando guarirò?”…“quanto tempo mi resta?”. Per il malato iltempo è un altalenarsi di momenti di eufo-ria quando sperimenta un piccolo pro-gresso e momenti di disperazione per ilsopragiungere di un peggioramento. Ciòaccade perché il tempo privato di sensonon dà un significato alla sofferenza.Ritornando al tema di questo Giornale, laGuarigione, mi domando come posso tra-sformare questo tempo che ci è dato in“tempo di guarigione”? Come possiamonoi volontari soccorrere il malato in questarelazione con il tempo?Ho provato – forse anche voi – un grandeconforto, leggendo l’articolo “Collocazio-ne provvisoria”. Questa scritta ha suggeri-to a don Tonino Bello una considerazioneilluminante. Le nostre croci, fortunata-mente come quella, non sono definitive equesto può esserci d’aiuto a sopportare la

memorandun

fototeca

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Direttore responsabile don Carlo StucchiDirettore di redazione Michela AlbornoGruppo redazionale Marina di Marco, Sara Esposirto, Adriana Giussani K., Maria Grazia MezzadriFoto Archivio AMI, pag. 4 Tiberio MavriciImpaginazione e Grafica Raul MartinelloStampa NAVA SpA, Via Breda 98, 20136 Milano

ARRIVA L’ESTATE!

Lorenzo.

sofferenza. Aggiunge a questo propositoun passo del Vangelo sulla passione, “damezzogiorno alle tre del pomeriggio sifece buio”, come se volesse dire il limitetemporale della sofferenza di Gesù sullaCroce e suggerirci “le sponde che delimi-tano il fiume di dolore e di lacrime, le bar-riere in cui si consumano le agonie degliuomini, per poi avere un termine”.Un passo come questo, ma anche moltialtri, può essere portato al letto del malatocome conforto nella certezza che anche lasua sofferenza è limitata nel tempo ma haun grande valore davanti a Dio.Che cosa porta davanti a Dio il nostro sof-frire se non la preghiera? Molti nella soffe-renza pregano e invitano a pregare comese la preghiera fosse una medicina da

usarsi secondo una terapia che viene sug-gerita loro da chi sa il valore e gli effetti delpregare. La medicina per ogni sofferenza èl’amore e la preghiera è la manifestazionedi un amore grande del Padre, e di Gesùsuo figlio, e di Maria, madre nostra. (Que-sto rapporto è sviluppato e descritto nellarubrica “L’ascolto della sofferenza”).Dopo queste considerazioni mi chiedo: ilmio volontariato è solo un tempo che miavanza, in credito, da esibire alla società eal Signore e non invece un tempo cheesprime una vocazione, un qualcosa didovuto a chi è nel bisogno, qui e ora, perdimostrare che il tempo di ogni personanon può mai essere sciupato ma opportu-namente speso?

Marina Di Marco

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