Indice - 4move.biz · un oggetto che subisce una forza esterna deformante ha la capacità di...

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1 Indice INTRODUZIONE ............................................................................................................. 2 CAPITOLO I..................................................................................................................... 4 I.I Lo Stretching ............................................................................................................ 4 I.II Mobilità articolare: la Dynamic Joint Mobility ...................................................... 8 I.III L’osteopatia ......................................................................................................... 12 CAPITOLO II ................................................................................................................. 16 Il Test .......................................................................................................................... 16 II.I Il Setting ................................................................................................................ 17 II.II - I movimenti proposti ......................................................................................... 18 II.II.I I movimenti dello stretching.......................................................................... 19 II.II.II Tecniche di mobilità articolare..................................................................... 23 II.II.III Tecniche osteopatiche ................................................................................. 27 II.III Perché il test di flessione? .................................................................................. 35 II.IV Perché il filmato? ............................................................................................... 38 II.V Casi di studio ....................................................................................................... 39 II.VI Oggetti di analisi ................................................................................................ 40 Capitolo III ...................................................................................................................... 42 Analisi dei dati ............................................................................................................ 42 Conclusioni ..................................................................................................................... 48 ALLEGATI ..................................................................................................................... 51 Allegato 1 .................................................................................................................... 51 Allegato 2 .................................................................................................................... 54 Allegato 3 .................................................................................................................... 55 Allegato 4 .................................................................................................................... 56 Bibliografia ..................................................................................................................... 57

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1

Indice

INTRODUZIONE ............................................................................................................. 2

CAPITOLO I ..................................................................................................................... 4

I.I Lo Stretching ............................................................................................................ 4

I.II Mobilità articolare: la Dynamic Joint Mobility ...................................................... 8

I.III L’osteopatia ......................................................................................................... 12

CAPITOLO II ................................................................................................................. 16

Il Test .......................................................................................................................... 16

II.I Il Setting ................................................................................................................ 17

II.II - I movimenti proposti ......................................................................................... 18

II.II.I I movimenti dello stretching .......................................................................... 19

II.II.II Tecniche di mobilità articolare ..................................................................... 23

II.II.III Tecniche osteopatiche ................................................................................. 27

II.III Perché il test di flessione? .................................................................................. 35

II.IV Perché il filmato? ............................................................................................... 38

II.V Casi di studio ....................................................................................................... 39

II.VI Oggetti di analisi ................................................................................................ 40

Capitolo III ...................................................................................................................... 42

Analisi dei dati ............................................................................................................ 42

Conclusioni ..................................................................................................................... 48

ALLEGATI ..................................................................................................................... 51

Allegato 1 .................................................................................................................... 51

Allegato 2 .................................................................................................................... 54

Allegato 3 .................................................................................................................... 55

Allegato 4 .................................................................................................................... 56

Bibliografia ..................................................................................................................... 57

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INTRODUZIONE

L’idea di questa ricerca è nata osservando un gesto comune,

un’azione che almeno una volta nella vita è capitata a tutti di svol-

gere, ovvero battere la carne. Di fronte ad un macellaio intento a

schiacciare una fetta di carne, una domanda semplice come il gesto

da lui compiuto si è fatta strada: “come mai dopo appena tre secondi

la carne torna esattamente come prima?”

Questo interrogativo ha prodotto delle semplici associazioni di pen-

siero, che a loro volta hanno aperto nuovi dubbi quali ad esempio:

“come mai, nonostante un allungamento così diretto indotto su quel

muscolo inerte, non permane quasi alcun risultato?” e subito dopo:

“se ciò non sortisce alcun effetto su un corpo senza alcun influenza

antigravitazionale e metabolica, come può un allungamento meno

settoriale e preciso essere efficace su un corpo capace di muoversi,

compiere scambi, influenzare ed essere influenzato dall’ambiente

esterno?”.

Queste domande hanno condotto ad una prima indagine atta a capire

come funzionasse l’allungamento muscolare. Mediante questa ana-

lisi si è scoperto che il fine dello stretching non è quello di allonta-

nare i ponti actno-miosinici che compongono il muscolo, bensì di

informare le strutture connettive del tessuto, della possibilità di com-

piere un determinato movimento e di poter quindi sostenere quel tipo

di stress.

A fronte del risultato una riflessione è sorta spontanea: se lo scopo

dello stretching è quello di informare, allora scegliere una strada no-

cicettiva è il giusto stimolo da applicare? Questo interrogativo ha

suggerito l’idea di paragonare tre differenti tipologie di input il cui

scopo è quello di ottenere una maggior capacità di risposta elastica

del corpo.

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In questo lavoro vengono presentate le tre tipologie di input scelte,

ovvero lo stretching, la mobilità articolare e l’osteopatia. Vengono,

inoltre, trattati i principi teorici che governano queste scuole di pen-

siero; per condurre l’indagine pratica si è scelto un campione di 150

individui.

Nella seconda parte del lavoro si presentano le modalità di esecu-

zione dei test e i risultati ottenuti.

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CAPITOLO I

In questo capitolo verranno presentate le tre tipologie di input prese

in analisi.

Gli approfondimenti presentati vogliono guidare il lettore verso una

comprensione più consapevole dei dati rilevati.

I.I Lo Stretching

Il termine “stretching”, proveniente dall’inglese “to stretch”, in ita-

liano prende il significato di allungare o allungamento.

La parola indica anche una metodica che ha come scopo quello di

allungare le fibre muscolari e di mobilizzare le articolazioni. Lo

scopo teorico di questa pratica è quello di mantenere il benessere

muscolo-articolare del corpo.

Il padre di questa parola e metodica, può essere riconosciuto in Bob

Anderson, nato in California nel 1945.

Anderson nel 1968 ebbe modo di sperimentare su se stesso queste

pratiche di allungamento, fino ad arrivare a mettere a punto una di-

sciplina che decise di chiamare stretching. Nel 1975 pubblicò il

primo manuale che, nel 1980, conobbe la sua versione completa e

definitiva.

L’autore riteneva importante e necessario lo stretching per il mante-

nimento del benessere fisico, dando al corpo sia una consapevolezza

propria, che una consapevolezza dei movimenti eseguiti. Secondo

Anderson lo stretching è fondamentale per chi pratica attiva sportiva

per raggiungere una buona flessibilità muscolare.

La flessibilità muscolo-articolare è la capacità di un muscolo, o di

un’articolazione, di poter effettuare un movimento inscritto in un

range fisiologico. Questo termine viene spesso confuso con la parola

elasticità che in fisica, tuttavia, assume una definizione differente:

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un oggetto che subisce una forza esterna deformante ha la capacità

di ritornare, almeno parzialmente, alla sua forma iniziale.

Trasportata questa definizione in fisiologia, l’elasticità muscolo-ten-

dinea è la capacità delle fibre muscolari di allungarsi nel corso della

fase eccentrica del movimento e, successivamente, effettuare una

fase di contrazione concentrica. Risulta essere utile, ai fini conosci-

tivi, tenere a mente queste due definizioni evitando di considerarle

sinonimi tra loro.

Per capire meglio la fisiologia dell’apparato muscolo scheletrico, è

fondamentale conoscere come sia organizzato a livello microsco-

pico.

Il muscolo è composto da fasci muscolari che a loro volta sono com-

posti da fibre muscolari. Le fibre muscolari sono formate da fila-

menti che hanno possibilità di contrazione o allungamento, chia-

mate: miofibrille. Ognuna di esse è composta da sarcomeri, che a

loro volta sono costituiti da filamenti sovrapposti chiamati miofila-

menti.

I miofilamenti sono composti da actina, miosina e titina, che, per

definizione, sono delle proteine contrattili.

Durante un allungamento muscolare possiamo evidenziare due fasi:

In prima battuta il movimento rimane completamente a carico dei

filamenti di actina e miosina. Proseguendo l’azione di allungamento,

quest’ultimo va a interessare direttamente i filamenti di Titina.

Queste tre proteine sono le responsabili sia dell’elongazione musco-

lare sia della resistenza che il muscolo oppone a tale stimolo.

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(Fig.1)

Seguendo lo schema qui sopra presentato, il sarcomero si estende da

una linea denominata z alla linea z successiva. La caratteristica fon-

damentale di tale rappresentazione è che i filamenti di miosina si

trovano in centro e mantengono tale posizione anche quando il mu-

scolo è allungato; tutto ciò è possibile grazie ai filamenti di titina che

per metà (dalla linea z ai filamenti di actina) si comporta come pro-

teina elastica e per metà (dai filamenti di actina alla linea m1) si com-

porta come una proteina contrattile, esattamente come l’actina e la

miosina.

Considerato questo, in fase di allungamento i filamenti di titina, col-

legati alla linea z, verranno stirati. In fase di accorciamento musco-

lare, invece, i filamenti di titina saranno progressivamente detesi.

Ciò detto, è importante sottolineare come i sarcomeri, data la loro

architettura, non costituiscano impedimenti nell’allungamento mu-

scolare; questo, infatti, dev’essere imputato al tessuto connettivo,

che avvolge il muscolo su tutti i suoi livelli.

L’apparato muscolo scheletrico si serve di due grandi sistemi di re-

cettori nervosi che sono: l’organo tendineo Del Golgi (ODG) e i fusi

neuromuscolari.

L’organo tendineo del Golgi è costituito da recettori presenti nel tes-

suto tendineo e in quello di passaggio tra muscolo e tendine; possono

1 linea centrale tra le due linee z

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essere immaginate come piccole fibre tendine incapsulate, ricche di

innervazioni.

L’organo tendineo del Golgi, data la sua anatomia, ha una funzione

di controllo relativa allo stato di tensione del tendine derivato dalla

contrazione e allungamento muscolare. Maggiori ricerche hanno evi-

denziato, tuttavia che, data la disposizione in serie delle fibre, questo

centro di controllo, sia più sensibile nella valutazione della contra-

zione che alla variazione del suo movimento opposto.

Ai fini di questa ricerca é quindi importante sottolineare come in fase

di allungamento passivo gli OTG iniziano la loro funzione solo in

seguito ad uno stretching molto intenso.

Queste strutture intervengo cercando di ridurre l’elevata tensione

muscolare utilizzando un meccanismo chiamato riflesso miotattico

inverso: ossia un’azione inibitoria della muscolatura agonista e si-

nergica e una facilitazione della muscolatura antagonista. Possiamo

quindi definire la funzione del OTG come regolatrice e protettrice

dell’apparato muscolo-tendineo, essa risponde a stimoli ritenuti pe-

ricolosi che potrebbero costituire una possibilità di distorsione, in

allungamento o in accorciamento, della struttura da esso regolata.

I fusi neuromuscolari, invece, sono organi di senso, formati da sottili

fibre, chiamate intrafusali, inserite all’interno del muscolo. Esse

sono innervate da motoneuroni di tipo gamma e presentano un’estre-

mità sensoriale primaria e un’estremità sensoriale secondaria. La

prima può risponde in maniera o fasica2 o tonica3, mentre l’estremità

secondaria solo tonica. I fusi neuromuscolari quindi, sono i respon-

sabili di ciò che possiamo chiamare riflesso miotattico da stiramento,

ovvero, una contrazione che avviene successivamente ad uno sti-

molo di stiramento.

2 i riflessi fasici o da stiramento sono attivati solo da un allungamento repentino come

ad esempio un martelletto di un medico 3 riflessi tonici o miotattici: sono i riflessi necessari al mantenimento del tono muscolare

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Un’altra struttura interessante nell’analisi dello stretching è il tessuto

connettivo. Questo ha un’origine mesenchimale, ovvero il tessuto

derivato, principalmente, dal mesoderma embrionale.

Il tessuto connettivo funge da sostegno meccanico e mette in con-

nessione tutte le strutture presenti nel sistema corpo; è formato da

una matrice (sostanza extracellulare), da fibre di collagene (di natura

proteica) e cellule con caratteristiche proprie (es. fibrociti).

Esistono più classificazioni di tessuto connettivo, ma si prenderanno

in esame due tipi: il tessuto connettivo denso e quello elastico. Tutti

i tessuti di connettivo denso che ricoprono il muscolo in tutta la sua

architettura prenderanno il nome di fascia. Possiamo quindi conclu-

dere che la resistenza presente in un muscolo in allungamento è det-

tata dal tessuto connettivo denso.

Un’analisi storica e anatomica di tale pratica, risulta essere necessa-

ria per poter avere un’immagine chiara e oggettiva dei risultati che,

nel corso della sperimentazione, verranno presentati.

I.II Mobilità articolare: la Dynamic Joint Mobility

“Lo scopo principale del cervello è: farci sopravvivere tramite il

movimento”.

Il dott. Daniel Wolpert, neuroscienziato, in una sua apparizione su

TED Talk spiega con un esempio molto banale questo concetto.

“L’ascidia, un piccolo invertebrato marino, dotato di un sistema

nervoso centrale molto semplice, nuota nelle profondità marine fin-

ché non incontra uno scoglio al quale resterà attaccata per sempre

e la prima cosa che fa una volta ancorata allo scoglio è: digerire il

suo sistema nervoso per alimentarsi. Non necessitando più di muo-

versi non può permettersi il lusso di avere un sistema nervoso.”

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Nel corso della nostra vita due aspetti sono costanti: movimento e

gravità.

Questi fattori sono la spinta per lo sviluppo del nostro sistema ner-

voso e sono le condizioni che lo modificano durante l’esistenza. Il

nostro cervello per funzionare correttamente necessita di due ele-

menti fondamentali: energia e stimoli. L’energia viene ricavata

dall’alimentazione mentre gli stimoli, da tutte le afferenze e i recet-

tori di cui il nostro organismo è dotato. In assenza della combina-

zione di questi due fattori il nostro sistema nervoso centrale (SNC)

non si sviluppa.

Partendo da questo assunto è facile capire la necessità di produrre

stimoli che alimentino la plasticità del nostro cervello e l’importanza

che riveste la qualità di questi ultimi.

Stimoli di qualità migliorano le connessioni della corteccia motoria

e sensoriale che si traduce in una migliore rappresentazione del no-

stro corpo a livello corticale quindi una propriocezione più fine a

livello centrale. È importane sottolineare che la propriocezione non

risiede nelle articolazioni ma che queste ultime sono semplicemente

dotate dei sensori per rilevarla e tramite questa elaborazione sarà poi

il SNC a organizzare la risposta (input – elaborazione – output) e che

questa risposta sarà sempre movimento.

Risulta importante, inoltre, sottolineare che le strutture dotate di

molte articolazioni sono maggiormente rappresentate a livello corti-

cale, poiché dotate di un maggior numero di recettori, basti pensare

agli homuncoli sensitivo e motorio per capire come viso, mani, piedi,

polsi e caviglie siano estremante rilevanti per comunicare con il no-

stro SNC.

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(Fig.2)

In un contesto reale, oltre che dal movimento volontario, il nostro

sistema nervoso riceve afferenze da ogni organo di senso, da ogni

perturbazione che arriva dall’esterno e dall’interno: interocezione,

vista e udito. Il cervello discrimina tutte queste informazioni, ne crea

un database con il quale confrontare le esperienze future e, a seconda

di come tutto questo viene integrato nel contesto reale, si determina

quelle che possono essere potenziali minacce.

Tutti questi input generano quello che potremmo definire come il

“rumore di fondo” nella sintonia della nostra percezione/azione.

Questi input, indipendentemente dalla loro natura, modificano

l’espressione di output del cervello, il quale potrebbe generare atteg-

giamenti di difesa in risposta a ciò che percepisce come minaccia;

ciò, si traduce in postura e movimento funzionalmente poco qualita-

tivo o addirittura in dolore. Il modo migliore per ridurre il “rumore

di fondo” è quello di isolare o semplificare i movimenti, in modo da

rieducare con stimoli più semplici e più “graditi” le azioni più com-

plesse che generano minacce.

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Questi sono i fattori che hanno portato ad utilizzare la d.j.m. come

strumento per migliorare l’esperienza motoria. Tramite la mobilità

fine, si intende fornire stimoli di qualità al nostro cervello, il quale

migliorando la mappa senso-motoria, fornirà output di qualità.

Ai fini di una maggior comprensione, è necessario approfondire il

concetto dell’emisfericità del cervello e della sua modulazione. I due

lobi encefalici non governano il 50% l’uno delle nostre azioni; per

una questione di modulazione, uno dei due prevale sull’altro. Può

capitare che la modulazione tra l’uno e l’altro causi una sovra stimo-

lazione di un lato del corpo ed una sotto stimolazione della parte

controlaterale. Scendendo più nel dettaglio, gli output che partono

dalla corteccia motoria verso la periferia, hanno un rapporto di 1 a 9

(rispettivamente controlateralmente e ipsilateralmente) nel compi-

mento di ogni movimento. Questo vuol dire che il volume maggiore

di output governa ipsilateralmente la postura riflessa, opposta al lato

del corpo che si intende muovere. Le strutture deputate alla gestione

della postura riflessa sono le formazioni reticolate bulbo-pontine

(PMRF) che si trovano nel tronco encefalico.

Una PMRF ben funzionante inibisce il dolore ipsilatralmente nel

corpo, controlla e regola il sistema simpatico omolataterale, inibisce

i muscoli anteriori sopra D6 e posteriori sotto D6 e concorre con il

cervelletto ipsilaterale per regolare il tono muscolare.

Tramite la mobilità articolare possiamo agire su queste strutture in

modo da attivarle o inibirle. La corteccia invierà segnali per muovere

l’articolazione target controlaterale, attivando i propriocettori (or-

gani di Golgi, Pacini, Ruffini), che invieranno informazioni al cer-

velletto omolaterale, il quale controllerà l’accuratezza del movi-

mento, comunicando con la corteccia controlaterale (da cui erano

partiti gli output). Contestualmente dalla corteccia partono anche

output verso la PMRF ipsilaterale, per il controllo del tono riflesso

del lato che non si sta consciamente muovendo.

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Tradotto nella pratica dei test condotti, tramite il movimento selet-

tivo di una o più articolazioni verranno fornite informazioni che mo-

duleranno l’attività corticale, che consentirà un più efficiente com-

portamento della PMRF nell’assolvere le sue funzioni.

I.III L’osteopatia

“Ho pensato che l’osso, osteon, fosse il punto in cui dovevo partire

per accertare la causa delle condizioni patologiche e così ho messo

insieme “osteo” con “patia” e ho ottenuto Osteopatia”.

Still 1987, Autobiografia.

L’osteopatia è una terapia manuale olistica che considera l’essere

umano nella sua globalità come un’unità.

L’osteopata è colui che sulla base di una valutazione osteopatica,

formula una diagnosi osteopatica ed in funzione di essa attua un trat-

tamento osteopatico coerente con il razionale osteopatico.

La valutazione osteopatica è la raccolta e l’analisi attenta delle infor-

mazioni che orecchie, occhi e mani dell’operatore riescono a perce-

pire e capire dall’individuo.

Tramite l’ascolto l’osteopata potrà comprendere il vissuto della per-

sona; attraverso l’osservazione cercherà di valutare l’espressione po-

sturale statica e dinamica che quel corpo sta cercando di esprimere

mentre con le mani potrà percepire a livello palpatorio dove le ag-

gregazioni di forze generano un maggiore addensamento tissutale.

“L’osteopatia è la regola del movimento, della materia e dello spi-

rito, dove la materia e lo spirito non possono manifestarsi senza il

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movimento; pertanto noi osteopati affermiamo che il movimento è

l’espressione stessa della vita”

Still 1892

Attraverso le informazioni acquisite durante la valutazione, l’osteo-

pata, tramite il ragionamento basato su anatomia, fisiologia, fisica e

biomeccanica, evince il collegamento logico alla base del funziona-

mento del sistema osservato; è possibile definire tutto ciò con il ter-

mine diagnosi osteopatica. A differenza della diagnosi medica atta a

classificare e catalogare la patologia (esclusivo compito del medico

specialista), la diagnosi osteopatica è votata alla ricerca delle conse-

quenzialità che hanno portato ad esprimere un determinato sintomo.

Servendosi quindi delle tecniche esclusivamente manuali e manipo-

lative, mirate alle zone interessate, l’osteopata effettuerà il suo trat-

tamento nel rispetto dell’anima che abita all’interno del corpo vi-

vente, tramite informazioni utili al sistema che, secondo il principio

dell’autoguarigione, arriverà ad una sua migliore espressione glo-

bale.

Le armi con cui l’osteopatia agisce sul corpo si suddividono in tre

tipologie diverse di approccio che utilizzate in sincronia agiscono,

anche se con qualche piccola differenza, per lo stesso fine: il benes-

sere del paziente.

Esse si dividono in:

Tecniche strutturali

Le tecniche strutturali sono definite tali poichè ristabiliscono la mo-

bilità della struttura ossea. La specificità e la rapidità delle manipo-

lazioni consente il recupero della mobilità articolare.

Tali tecniche hanno una forte influenza neurologica, oltre che pura-

mente meccanica, in quanto favoriscono l’emissione di corretti im-

pulsi dalle e alle terminazioni nervose della parte trattata.

Tecniche cranio-sacrali

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Le tecniche craniali agiscono sul movimento di congruenza fra le

ossa del cranio e il sacro, ristabilendone il normale “meccanismo re-

spiratorio primario”, ossia quella combinazione che consente il rie-

quilibrio e l’armonia delle funzioni cranio-sacrali.

Con queste tecniche si agisce in particolare sulla vitalità dell’organi-

smo, qualità fondamentale che permette agli esseri viventi di reagire

con efficacia agli eventi di disturbo provenienti dall’ambiente

esterno e da quello interno.

Tali tecniche sono basate su 5 fondamenti:

1) Mobilità del sistema nervoso centrale (cervello e mi-

dollo spinale)

2) Fluttuazione del liquido cefalo rachidiano

3) Mobilità delle membrane intracraniche

4) Mobilità articolare delle ossa craniche

5) Mobilità del sacro tra le iliache

Le tecniche viscerali

I visceri si muovono in modo specifico sotto l'influenza della pres-

sione diaframmatica. Questa dinamica viscerale può essere modifi-

cata (restrizione di mobilità) o scomparire. Applicando una tecnica

specifica, l’osteopatia permette all'organo di trovare la sua fisiologia

naturale ed i disordini legati alla restrizione di mobilità, saranno così

corretti. Inoltre esiste, da un punto di vista anatomico e funzionale,

una relazione tra i visceri e la struttura muscolo-scheletrica; ipomo-

bilità della struttura (colonna vertebrale), può influenzare uno o più

visceri e viceversa. Il trattamento osteopatico mira, attraverso tecni-

che sull'addome ed il diaframma, a ristabilire una buona mobilità vi-

scerale.

In conclusione si definisce razionale osteopatico l’insieme sia delle

tecniche eseguite nel trattamento, seguendo i principi fisiologici bio-

meccanici anatomici e fisici, sia il collegamento delle tecniche stesse

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in relazione alle componenti sociali, emotive e patologiche impre-

scindibili della persona.

In altre parole come descritto dal WOHO, (World Osteopathic Healt

Organization)

“L’osteopatia è un sistema affermato e riconosciuto di prevenzione

sanitaria che si basa sul contatto manuale per la diagnosi e per il

trattamento. Rispetta la relazione tra il corpo, la mente e lo spirito

sia in salute che nella malattia: pone l’enfasi sull’integrità struttu-

rale e funzionale del corpo e sulla tendenza intrinseca del corpo ad

auto-curarsi. Il trattamento osteopatico viene visto come influenza

facilitante per incoraggiare questo processo di autoregolazione. I

dolori accusati dai pazienti risultano da una relazione reciproca tra

i componenti muscolo-scheletrici e quelli viscerali di una malattia o

di uno sforzo.”

Avendo quindi chiara l’idea che l’osteopatia e l’osteopata sono dei

generatori di informazioni rivolti al sistema dell’individuo si è rite-

nuta valida l’integrazione di tecniche osteopatiche al servizio di que-

sto studio di ricerca.

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CAPITOLO II

Il Test

Il capitolo ha come scopo quello di analizzare gli approcci operativi

e quelli analitici applicati.

Si è utilizzato ai fini della oggettivazione statistica il test di flessione

anteriore in ortostatismo. Si è valutata la differenza tra due misura-

zioni per analizzare l’impatto delle singole metodiche sulla fles-

sione.

L’approccio analitico scelto è stato così postulato:

Lo stretching ha interessato i muscoli posteriori della co-

scia, quadrato dei lombi e posteriori della gamba;

La mobilità ha preso in esame i distretti della caviglia,

della mandibola e del rachide cervicale;

L’osteopatia ha visto praticare: una tecnica strutturale

(tramite una manipolazione ad alta velocità e bassa am-

piezza della dodicesima vertebra toracica), una fasciale

(tramite la manipolazione del muscolo diaframma) ed

una cranio-sacrale (mediante la manovra Wagon Ton-

gue).

Sono stati presi in esame tre diversi gruppi di studio composti da

cinquanta individui di età compresa tra i 18 e i 50 anni.

In questo capitolo verrà spiegata la ragione che ha portato alla scelta

del test di flessione e perché è stata applicata la scala di Vas4.

4 La scala visuo-analogica (o analogico visiva) del dolore (acronimo: VAS) è uno stru-

mento di misurazione delle caratteristiche soggettive del dolore percepito dal paziente.

La scala consiste nel segnare su una striscia di carta di 10 cm (che alle estremità pre-

senta due "end points" definiti con "nessun dolore" ed il "peggior dolore che io possa

immaginare") un punto della scala il dolore così come viene percepito in quel momento.

L'intervallo tra i due estremi è segnato ogni centimetro e permette di attribuire un valore

al dolore soggettivo del paziente.

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Si analizzeranno gli standard applicati nella misurazione delle popo-

lazioni scelte. Verranno, infine, prese in esame le tecniche utilizzate

dalle diverse discipline motivandone così la scelta.

II.I Il Setting

Per applicare un test univoco, ripetibile e rigoroso, sono stati definiti

degli standard.

Le rilevazioni sono state filmate da una telecamera posizionata a 60

centimetri dal terreno, due corde sono state calate a piombo dal sof-

fitto (per prevenire errori di misura legati alla prospettiva). Ogni per-

sona è stata posizionata perpendicolarmente alla videocamera ad una

distanza di 210 centimetri, di fronte ai due fili, al di sopra di una

superficie piana di 25cm. Un metro rigido è stato applicato sull’al-

tezza della superficie d’appoggio dei candidati per poter quantificare

la flessione.

L’operatore, tramite l’ausilio di una cartellina rigida posizionata a

contatto con le dita più lunghe delle mani, ha effettuato una prima

misurazione, dopo aver richiesto ad ogni candidato tre flessioni an-

teriori a gambe completamente estese mantenute per tre secondi cia-

scuna. Questa scelta è stata fatta a fronte di test pilota compiuti in

precedenza.

Le prove hanno portato alla luce un’evidenza non trascurabile: le se-

conde misurazioni risultavano essere maggiori delle precedenti, an-

che senza l’applicazione di nessuna tecnica. I sistemi osteo-articolari

e muscolari, infatti, compiono un immediato adattamento legato al

riscaldamento delle sopra citate strutture.

In seguito alla misurazione, i soggetti sono stati condotti nell’area di

intervento, dove una delle tre tecniche è stata applicata. Non appena

concluse le manovre, i candidati sono stati riportati al di sopra della

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superficie di 25 centimetri ed è stata richiesta una seconda flessione,

immediatamente misurata. (come da Fig.3 - Fig.4)

(Fig.3)

(Fig.4)

II.II - I movimenti proposti

In questo paragrafo saranno analiticamente studiate le pratiche e le

tecniche proposte ai diversi candidati ai fini dello studio.

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II.II.I I movimenti dello stretching

Sono stati scelti tre esercizi specifici riguardanti tecniche di stret-

ching muscolare analitico. L’obiettivo di tali tecniche è quello di in-

formare le fibre muscolari e di conseguenza, il sistema nervoso. I

distretti analizzati, sono considerati i punti del corpo che maggior-

mente influenzano il test di flessione in ortostatismo.

Esercizio 1)

Flessione del busto in vanti a gambe unite e tese da seduto.

Funzione dell’esercizio: stimolare e informare le fibre muscolari che

compongono tutti i muscoli flessori degli arti inferiori (muscoli so-

leo, gastrocnemio, bicipite femorale, semimembranoso e semitendi-

noso5); in ottica globale è un allungamento di tutta la catena cinetica

posteriore.

Modalità e tempi di svolgimento: soggetto seduto a terra e mante-

nendo le gambe tese e unite, si chiede di portare le mani in avanti

fino a mettere in tensione tutta la catena muscolare posteriore per

poter mantenere, ed eventualmente guadagnare, gradi di flessione

per 60 secondi. (Fig. 5)

5 Muscolo soleo: flette la caviglia in senso plantare, origine sulla linea poplitea e

inserzione sul calcagno attraverso il tendine calcaneare.

Muscolo gastrocnemio: flette il ginocchio e la caviglia trova origine sulle superfici

posteriori dei condili femorali e si inserisce sul calcagno attraverso il tendine cal-

caneare.

Muscolo bicipite femorale: flette il ginocchio, ruota lateralmente il ginocchio

flesso, estende e ruota lateralmente l’articolazione coxofemorale, inclina poste-

riormente la pelvi; il capo lungo del bicipite femorale origina dalla tuberosità

ischiatica e si inserisce sulla testa del perone mentre il capo breve origina dal lab-

bro laterale della linea aspra e si inserisce sulla testa peroneale.

Muscolo semitendinoso: flette e ruota medialmente il ginocchio, estende e ruota

medialmente l’anca, origina dalla tuberosità ischiatica e si inserisce nella parte

mediale prossimale del corpo tibiale in corrispondenza della zampa d’oca.

Muscolo semimembranoso: flette e ruota medialmente il ginocchio, estende e

ruota medialmente l’anca, inclina posteriormente la zona pelvica. Origina dalla

tuberosità ischiatica e si inserisce sulla superficie posteriore del condilo mediale

della tibia

20

(Fig.5)

Esercizio 2)

Allungamento quadrato dei lombi

Funzione dell’esercizio: stimolare e informare le fibre che com-

pongo il muscolo quadrato dei lombi6.

Modalità e tempi di svolgimento: il soggetto seduto a terra con le

gambe distese, porta un piede lateralmente al ginocchio contro-late-

rale, appoggia a terra la mano omolaterale al piede, spostato poste-

riormente dietro alla schiena, e preme lateralmente al ginocchio con

il gomito controlaterale; mantiene la posizione ottenuta per 60 se-

condi e ripete tutto dal lato opposto (Fig 6).

6 il muscolo quadrato dei lombi è il muscolo più profondo dell’addome. Si estende

dalla parte posteriore dell’ileo ai processi trasversali delle vertebre lombari e alla

dodicesima costa e non è altro che un muscolo addominale spostato sul lato poste-

riore del torace; la porzione mediale è nascosta sotto l’aponeurosi toracolombare.

Flette i processi vertebrali omolateralmente e partecipa all’estensione della co-

lonna vertebrale; origina nella superficie posteriore della cresta iliaca e trova in-

serzione sul l’ultima costa e sui processi trasversali delle prime quattro vertebre

lombari

21

(Fig.6)

Esercizio 3)

Detensione e allungamento del muscolo gluteo

Funzione dell’esercizio: stimolo ed informazione alle fibre musco-

lari dei muscoli glutei.7

Modalità e tempi di svolgimento: soggetto sdraiato a terra, piega le

gambe appoggiando i piedi vicino al bacino, porta l’esterno di un

piede in appoggio sul quadricipite vicino al ginocchio, creando così

una abduzione ed una extrarotazione dell’anca; porta le mani poste-

riormente al cavo popliteo della gamba in appoggio a terra ed esegue

una trazione del ginocchio verso il petto. La posizione e la trazione

sono mantenute per 60 secondi per ogni gamba. (Fig.7)

7 I tre muscoli glutei si trovano nella regione della natica, il grande gluteo e il medio

gluteo sono dei potenti estensori e abduttori dell’anca, le fibre convergenti sono tiranti

del femore in svariate direzioni tanto che il muscolo medio gluteo può essere consi-

derato il “muscolo deltoide dell’articolazione coxofemorale”. Il piccolo gluteo è molto

profondo ed esegue azioni di flessione e rotazione mediale dell’anca, opposte a quelle

esercitate dagli altri muscoli glutei.

Muscolo grande gluteo: ha come origine la superficie glutea dell’ileo, coccige, mar-

gine dell’osso sacro, parte posteriore della cresta iliaca, legamenti sacrotuberoso e

sacroiliaco e si inserisce nella tuberosità glutea e tratto ileotibiale.

Muscolo medio gluteo: ha come origine la superficie glutea dell’ileo e si inserisce sul

grande trocantere.

Muscolo piccolo gluteo: origine sulla superficie glutea dell’ileo e si inserisce sul

bordo anteriore del grande trocantere

22

(Fig.7)

Lo stimolo di tutte queste componenti muscolari è stato ritenuto utile,

in funzione del miglioramento quantitativo del test di flessione in orto-

statismo.

Mobilizzando globalmente la catena cinetica posteriore (esercizio 1)

il candidato, tramite il vincolo del terreno, ha tentato di migliorare la

condizione iniziale globale.

Stimolando il quadrato dei lombi (esercizio 2) i soggetti hanno lavo-

rato sugli incrementi dei gradi di mobilità multidirezionali. Grazie

alla disposizione anatomica tridimensionale delle fibre del quadrato

dei lombi, si permette agli individui di aumentare il movimento di

flessione lavorando sulla “cintura” lombare del corpo, la quale, se in

una condizione di restrizione di mobilità, può limitare molto il mo-

vimento del test.

Stimolando invece le fibre dei muscoli glutei (esercizio 3) si tenta di

migliorare lo svincolo dell’osso sacro in relazione al bacino e dell’ar-

ticolazione coxofemorale.

23

II.II.II Tecniche di mobilità articolare

Si è ritenuto opportuno scegliere tre esercizi che coinvolgessero

strutture molto rappresentate a livello homuncolare in modo da otte-

nere una risposta sensibile e che quindi potessero agire sulle strutture

fasciali interessate dal test selezionato.

Toe pull destro: è stato richiesto al soggetto di posizionarsi

in stazione eretta, monopodalica sinistra, appoggiato con le

mani al muro (per ridurre la difficoltà nel dover mantenere

l’equilibrio) riducendo il coinvolgimento vestibolare. Si è ri-

chiesto di estendere il piede destro poggiandone il dorso a

terra e mantenendo gli arti inferiori in leggera flessione (per

rendere più confortevole la posizione e limitare i compensi

lombari). Il piede è stato posizionato su un tappetino per li-

mitare il dis-comfort che può creare la pressione delle artico-

lazioni del tarso sul pavimento. Sono state eseguite 5 flesso-

estensioni dell’arto in appoggio; questi gesti si tradurranno

in una mobilizzazione della caviglia dell’arto controlaterale

(destro). La mobilizzazione non richiede di esercitare parti-

colare forza ma semplicemente di percepire movimento fine

sull’articolazione tibio-tarsica. Un’attenzione specifica è

stata posta sul mantenere un allineamento sagittale del piede,

onde evitare tilt laterali che coinvolgerebbero altri recettori.

(Fig.8)

24

(Fig.8)

Glide sagittale del capo: è stato posizionato il soggetto in

statica eretta, questo ha eseguito uno scivolamento antero-

posteriore del capo per 15 volte mantenendo la struttura su

un binario di movimento lineare parallelo al pavimento. Lo

scopo di questa pratica è la percezione di movimento fine a

carico della zona cervicale, la quale stimolerà i recettori po-

sturali disattivando quindi la catena posteriore. (Fig.9)

(Fig.9)

25

Detensione del massetere: si è richiesto al soggetto di man-

tenere la bocca spalancata per 20 secondi ponendo attenzione

principalmente al mento che dovrà avvicinarsi allo sterno in

modo da evitare movimenti compensatori del capo. (Fig.10)

(Fig.10)

Gli esercizi presi in considerazione lavorano sul sistema nervoso

grazie al coinvolgimento del sistema osteo-mio-fasciale retto (catene

rette). Le catene più coinvolte sono quelle della statica antigravitaria,

ovvero catena anteriore, posteriore. Questi sistemi regolano la statica

del corpo e i movimenti di flessione anteriore e di estensione.

26

(Fig.11)

Catena posteriore (Fig.11): Si struttura dopo la nascita e permette di

passare dalla posizione fetale (anteriore) alla posizione eretta: rap-

presenta la catena del raddrizzamento e della mimica facciale. E’ una

catena che unisce l’occipite al sacro e prosegue fino alla parte me-

diale di calcagno, regolando l’appoggio plantare.

27

(Fig.12)

Catena anteriore (Fig.12): è definita anche catena linguale, perché

parte dalla mandibola e dai muscoli linguali coinvolti nella degluti-

zione. Un ulteriore definizione è catena antero-mediale, poiché i suoi

componenti muscolari si trovano sulla parte anteriore del torace e

sulla parte interna anteriore degli arti. Questa struttura mette in rela-

zione la mandibola con il bacino.

II.II.III Tecniche osteopatiche

Le tecniche osteopatiche proposte sono la manipolazione della

dodicesima vertebra toracica, manipolazione del diaframma e la

tecnica Wagon Tongue.

28

La dodicesima vertebra dorsale è stata scelta perché interpretata

come snodo centrale strutturale delle catene crociate, molto utili

nella dinamica di deambulazione del soggetto. Questa vertebra è

caratterizzata dalla mancanza delle faccette articolari costali sui

processi trasversi e dalla presenza di una faccetta unica sui lati del

corpo vertebrale, ricordando le caratteristiche delle vertebre lombari.

Se si immaginasse di inscrivere il corpo all'interno di una losanga

(Fig.13) con vertice superiore su vertex, vertice inferiore al centro

della base dei piedi, vertici laterali i gomiti del soggetto, tracciando

le rispettive diagonali, si noterebbe come l’intersezione delle

suddette corrisponderebbe alla dodicesima vertebra dorsale.

(Fig.13)

Sul piano frontale l’organizzazione corporea si svolge con un

sistema detto “a losanghe”. La forma della losanga è paragonabile a

quella di un rombo con una diagonale maggiore e una minore. La

particolarità ed il vantaggio di questa forma è che modificando la

capacità di movimento della struttura centrale anche di pochi gradi

di escursione, in periferia si otterrà un notevole incremento della

29

mobilità; viceversa deformando la sua parte periferica si potrà avere

una minima incidenza a livello dell’intersezione tra asse maggiore e

minore, modificando quindi minimamente la mediana corporea

(dove le diagonali trovano il loro incontro). E' possibile quindi

intuire quanto un’ipomobilità di T12 possa influire nella qualità e

nella quantità di movimento sul test di flessione anteriore in

ortostatismo.

Proseguendo con l’analisi, possiamo quindi evidenziare che a livello

anatomico esistono connessioni della suddetta con una importante

struttura muscolare: il grande psoas8. In ottica osteopatica è

importante evidenziare il fatto che per unità anatomica vertebrale si

intende l’insieme costituito delle articolazioni che una vertebra crea

con quella sottostante ed il disco tra loro interposto. Considerando

ciò, troviamo quindi connessioni anatomiche con strutture muscolari

quali il diaframma che ha inserzione sulle prime vertebre lombari;

troviamo inoltre continuità anatomica di T12 con la dodicesima costa

su cui ha origine il muscolo quadrato dei lombi. Questo muscolo,

con le sue fibre, orientate nelle tre dimensioni, si inserisce sulla

cresta iliaca e partecipa alla mobilità del passaggio dorso lombare in

relazione al bacino.

Capiamo quindi che l'unità funzionale scelta è uno dei punti di

attenzione fondamentale nella valutazione posturale globale.

E' stato scelto come trattamento di questa zona l'approccio strutturale

mediante una tecnica ad alta velocità e bassa ampiezza (AVBA), per

dare un'informazione al sistema nervoso stimolando tutte le strutture

connesse prese prima in considerazione. (Fig.14)

8 Questo muscolo origina sulle superfici laterali della dodicesima vertebra toracica

e della 1-4 vertebra lombare, la parte profonda origina dai processi costi-formi

della 1-5 vertebra lombare. È un muscolo multi-articolare che permette la flessione

della coscia sul bacino e collabora in modo modesto a inclinare di lato la colonna

vertebrale

30

(Fig.14)

La seconda tecnica utilizzata nell'approccio osteopatico riguarda una

manipolazione a livello fasciale del diaframma. Questo rappresenta

il muscolo della respirazione, quando si contrae si abbassa e aumenta

la pressione intratoracica negativa favorendo l'inspirazione, vice

versa quando si rilassa il ritorno passivo della gabbia toracica

determina l'espirazione. Si frappone tra la cavità toracica e quella

addominale e lo si può dividere in una zona fibrosa centrale ed una

parte muscolare. Quest’ultima ha rapporti con lo sterno (più

precisamente con il processo xifoideo), con il costato (con la

superficie interna delle coste 7a e 12a), e con le vertebre lombari (da

L1 a L4). I due pilastri muscolari che corrono lungo la faccia

anteriore delle vertebre lombari costituiscono delle arcate che hanno

rapporti con il muscolo psoas e quadrato dei lombi.

La parte fibrosa centrale è costituita da un centro tendineo dove sono

presenti varie aperture. Queste danno passaggio a vasi, nervi ed altre

strutture che dalla cavità toracica si portano a quella addominale, e

viceversa. Tali aperture sono:

Il forame della vena cava (all'altezza di T8), che è

attraversato dalla vena cava e da alcuni rami del nervo

frenico;

31

Il forame esofageo (all'altezza di T10), che è attraversato

dall'esofago, dalle arterie esofagee e dal tronco vagale

anteriore e posteriore;

Il forame aortico (all' altezza di T12), che è attraversato

dall'aorta, dal dotto toracico e dalla vena azygos;

I forami minori del pilastro destro, che possono

presentarsi in numero di tre o fusi in un'unica apertura,

che sono attraversati dal grande nervo splancnico di

destra, dal piccolo nervo splancnico di destra e talvolta

dalla vena azygos;

I forami minori del pilastro sinistro, che possono

presentarsi in numero di tre o fusi in un'unica apertura,

che sono attraversati dal grande nervo splancnico di

sinistra, dal piccolo nervo splancnico di sinistra e dalla

vena emiazygos;

L'arcata dello psoas, che è attraversata dal muscolo

grande psoas e dal tronco del simpatico;

L'arcata del quadrato dei lombi, che è attraversata dal

muscolo quadrato dei lombi;

I forami del Morgagni, che sono attraversati dai rami

epigastrici superiori dell'arteria toracica interna e da

alcuni vasi linfatici provenienti dalla parete addominale

anteriore e dal fegato;

Importanti sono anche i rapporti che il diaframma ha con i visceri.

La parete superiore di questo muscolo è in rapporto col pericardio e

con la base dei polmoni, di conseguenza con tutta la parte

mediastinica del corpo. In ottica osteopatica questa struttura

rappresenta la parte superiore della linea centrale del corpo; se

dovesse ritrovarsi in una condizione di restrizione di mobilità

favorirebbe una limitazione del corpo nei movimenti di estensione,

conducendo quindi le strutture vertebrali e dei muscoli antigravitari

32

verso una condizione di sovraccarico.

La porzione inferiore del muscolo preso in esame è in rapporto a

destra con il fegato, a sinistra con stomaco e milza, posteriormente

invece con pancreas, reni e ghiandole surrenali.

Questi estesi rapporti sottolineano l'importanza del diaframma e

della sua mobilità da un punto di vista sia vascolare che viscerale. Il

suo moto, in sincronia con il pavimento pelvico, permette di creare

il giusto livello di pressione fra la cavità addominale e la cavità

toracica, influenzando così il viscere, il suo movimento intrinseco e

la sua funzionalità.

Il diaframma, se non lavora secondo i parametri fisiologici, incide

negativamente sulla postura del soggetto, data la sua

interconnessione con le muscolature limitrofe e la motilità degli

organi interni.

Questo muscolo se si dovesse trovare in una condizione di

ipomobilità influenzerebbe sia il tratto superiore della colonna

(tramite i muscoli accessori della respirazione, primo tra tutti il

trapezio), sia il tratto lombare (tramite i sopra citati pilastri).

È stata scelta una tecnica sui tessuti molli in cui l'operatore posiziona

le mani a contatto con la superficie inferiore del diaframma al di

sotto della rampa costale. L'operatore mantiene la compressione

valutando densità e mobilità, in attesa di un rilasciamento tissutale;

tale rilascio determinerà la fine della tecnica. (Fig.15)

33

(Fig.15)

La terza tecnica utilizzata nell'approccio osteopatico e una tecnica

cranio-sacrale. Gli obiettivi delle tecniche cranio-sacrali consistono

nel migliorare il movimento in caso di restrizioni articolari, ridurre

tensioni a carico delle membrane, migliorare la circolazione e

aumentare la vitalità dell'impulso cranico. Tutti questi obiettivi

possono essere conseguiti recuperando l'equilibrio della tensione

membranosa. L'azione di questa manipolazione è diretta alle

membrane di tensione reciproca, le meningi. Queste strutture

suddivise in tre strati, pia madre, aracnoide e dura madre, sono

sottoposte costantemente ad una tensione dinamica, per cui

l'aumento di tensione, a carico di una di queste, richiede il rilascio di

un'altra e viceversa; per questo vengono definite “membrane a

tensione reciproca”. La loro struttura complessa ha connessioni con

la faccia interna delle ossa craniche proseguendo lungo tutta la

colonna e arrivando fino all'osso sacro.

“Le membrane intracraniche si collegano con le membrane

intraspinali, attraverso il rapporto di continuità che esiste tra la

salda inserzione sul grande forame occipitale e le prime due o tre

vertebre cervicali, nel canale vertebrale, e l'inserzione sulla seconda

34

vertebra sacrale. Il movimento del grande forame occipitale

determina un'alterazione della tensione a carico delle superfici

anteriori e posteriori della dura madre spinale, provocando un

movimento del sacro tra le due ossa iliache.” (Principi di terapia

manuale, Greenman)

La tecnica scelta, ai fini della ricerca, è la tecnica Wagon-Tongue che

ha come finalità il riequilibrio e il rilancio della mobilità della linea

centrale delle ossa e della linea mediana della faccia.

Osservando una sezione sagittale del cranio, analizzando così le ossa

impari e mediane di tale struttura, si può notare lo stretto legame che

intercorre tra di esse. Il vomere, il cui apice si trova in

corrispondenza della sutura cruciforme delle ossa palatine, se

compresso da una forza longitudinale dal basso verso l’alto,

trasmetterà la forza al sovrastante osso, l’etmoide. Quest’ultimo darà

inserzione alla meninge dura madre sull’apofisi Cristagalli. Il

movimento delle due ossa è simile alle ruote dentate di un orologio

antico. Queste, infatti, collaborano tra loro ruotando in direzioni

opposte.

Considerata la meccanica sopra evidenziata, la tecnica è stata

applicata come segue. Il paziente é stato sdraiato supino in posizione

neutra con i tessuti molli cervicali rilassati, l’operatore di fianco al

lettino all’altezza della testa del paziente, ha posizionato la mano

craniale con il polpastrello dell’indice a contatto di Glabella e la

mano caudale in presa intrabuccale sulla sutura cruciforme.

L’operatore si è posto in ascolto del meccanismo di respirazione

primaria (in fase di flessione della base Glabella si infossa e sale

verso Vertex, mentre la sutura cruciforme si abbassa in direzione

caudale). L’operatore è intervenuto guidando tale meccanica verso

una condizione di maggior equilibrio rispetto alla condizione

limitata, visualizzando la linea mediana funzionale, valutandola

rispetto alla linea mediana strutturale, apprezzando il movimento del

35

sistema secondo i parametri di ritmo, ampiezza e forza.

Gradualmente ha accentuato il movimento con un’induzione

alternata su Glabella e sulla sutura cruciforme. La tecnica è stata

portata avanti fino ad ottenere un andamento più equilibrato ampio

e forte. (Fig.16)

(Fig.16)

II.III Perché il test di flessione?

Le motivazioni che hanno portato alla scelta di questo particolare

test sono molteplici.

La prima ragione è storica e sociale. Questo test, infatti, è stato scelto

da ogni cultura per valutare lo stato di salute ed elasticità del corpo;

inoltre anche istintivamente ogni persona alla quale viene posto il

quesito “quanto sei flessibile?”, inevitabilmente andrà in contro al

terreno dimostrando di essere o meno capace di toccarsi le punte dei

piedi senza flettere le ginocchia.

36

Il secondo motivo di questa scelta è legato all’anatomia e alla fisio-

logia del movimento. Il Dottor Osteopata Iginio Furlan durante un

corso affermò che: “Il test di flessione in avanti permette di valutare

al massimo la possibilità antigravitaria di un sistema. Cosa succede

nel test di flessione? Vi è la massima distensione legamentosa (del

legamento nucale, di quelli interspinosi, di quello posteriore) e apo-

neurotica (ovvero delle aponeurosi cervico-dorsale, dorso-lombare e

lombo-sacrale), inoltre si accorcia il legamento longitudinale ante-

riore, divergono le faccette articolari di ogni singola vertebra, i dischi

intervertebrali posteriorizzano e vi è un’elongazione dei muscoli an-

tigravitari; l’insieme dei citati eventi anatomici determinerà un’ac-

centuazione delle curve di carico.

Le curve del rachide sul piano sagittale sono 5: cifosi cranica, lordosi

cervicale, cifosi dorsale, lordosi lombare, angolo (o cifosi) sacrale.

Il sistema così proposto risulta essere aperto poiché, oltre ad una con-

sequenzialità anatomica, non vi è nessuna possibilità di chiusura

nell’alternanza di queste forme. Sulle linee occlusali di Von Spee

(essendo una superficie concava, adagiata su una convessa) l’alter-

nanza delle curve di carico e resistenza, si annulla. Queste curve per-

mettono al corpo di passare da una condizione di sistema aperto ad

uno chiuso, con estrema facilità. Nella prima condizione, dove la

bocca è spalancata, si prediligerà un’anteriorità, dato il numero mag-

giore di curve in avanti. In un sistema chiuso la bocca è serrata. In

questo caso le forze strutturali del corpo verranno annullate, permet-

tendo quindi all’individuo di rispondere con efficacia alla forza di

gravità. Per meglio esprimere quest’immagine basti pensare alla

mandibola di un centometrista che durante il suo scatto si muove a

destra e sinistra in funzione del suo incedere, o ad un powerlifter,

che, durante un sollevamento, serra la mandibola per compattare e

chiudere il suo sistema al fine di esprimere maggior forza.

37

Possiamo distinguere le curve del corpo in curve primarie o di carico

(capaci quindi di demoltiplicare la forza compressiva di gravità), e

curve secondarie o di resistenza (le quali, grazie al loro numero e

struttura anatomica, hanno lo scopo di impedire una eccessiva ante-

riorità). Per chiarire il concetto possiamo paragonare la struttura ver-

tebrale ad un pescatore che con la sua canna da pesca tira un pesce

verso riva. La canna da pesca con la sua elasticità asseconda la tra-

zione del pesce: può essere paragonata alle curve di carico. Le mani

del pescatore che tirano indietro la canna con una forza uguale e con-

traria a quella del pesce, possono essere paragonate alla curva di re-

sistenza.

Misurando dalle punte dei piedi a Vertex9, vi è la massima elonga-

zione che si possa ottenere. Non esiste alcun altro test che abbia ca-

ratteristiche tanto rilevanti. Per poter sostenere questo test si deve

avere una buona elasticità dei muscoli ischio-peronei-tibiali, una

buona capacità di mobilità di colonna, si deve poter ricostruire una

curva cifotica da sacro a cranio, portando così al massimo l’elonga-

zione della meninge Dura Madre10.

La flessione rappresenta la massima possibilità di movimento di ogni

sistema. Se un individuo non è in grado di piegarsi, all'interno del

suo sistema possono presentarsi diverse restrizioni:

una tensione degli IPT (muscoli ischio-peronei-tibiali):

quando compirà la restrizione le gambe tenderanno a flet-

tersi;

una ridotta mobilità sulla dorsale media o alta: impedi-

rebbe un pieno sviluppo della colonna, creando quindi

9 Punto più alto della volta cranica. 10 Il tessuto connettivo che avvolge il cervello, il cervelletto, il tronco encefalico,

il bulbo e tutto il midollo spinale, può essere suddiviso in tre distinte strutture.

Queste, altresì dette meningi, sono la pia madre (la membrana più interna), l’arac-

noide e la dura madre (la membrana più esterna). Quest’ultima origina dall’apofisi

Cristagalli e si inserisce a livello della seconda vertebra sacrale. Uno dei suoi scopi

principali è quello di trattenere la struttura vertebrale, opponendosi alla forza di

gravità.

38

una torsione ed una annessa deviazione laterale durante il

movimento;

una tensione durale: potrebbe intervenire sull'incapacità

di compiere un movimento fluido; in questo caso, infatti,

il capo si troverà esteso creando un freno importante;

un mancato grasp-in delle dita dei piedi e della fascia

plantare, considerabile anch’essa una curva di carico (che

insieme alle altre nel test di flessione risulterà essere ac-

centuata), che impedirebbe un pieno sviluppo del movi-

mento.

Durante il test tutti i segmenti devono cooperare seguendo ritmi di

coinvolgimento consequenziali. Risulta, in tale senso, fondamentale

la componente temporale dell’ingresso di ogni struttura nel movi-

mento. Tutti i sistemi ed i sottosistemi evidenzieranno se c'è o meno

un’ipomobilità. Un movimento privilegiato potrebbe presentare

schemi e restrizioni in estensione (quindi un ulteriore carico) o in

flessione (ovvero un sovraccarico anteriore).

Questo test è un efficace mezzo che ci permette di evidenziare le

zone di mobilità, e non, che potrebbero condizionare l’azione anti-

gravitaria.”

II.IV Perché il filmato?

Ogni persona che si è sottoposta al test, dopo aver firmato un foglio

di liberatoria (allegato 1), è stata filmata durante l’esecuzione di tutte

le flessioni compiute.

I motivi che hanno portato a tale scelta sono:

dimostrare la trasparenza delle misurazioni;

39

aprire la sperimentazione alla possibilità, in futuro, di va-

lutare la qualità del gesto.

Osservando i filmati si può notare come lo stretching non vari in al-

cun modo la forma della discesa, ma solo la sua quantità. L’osteopa-

tia e la mobilità articolare, al contrario, agendo a livello sistemico,

compiono una variazione della capacità del corpo di demoltiplicare

i carichi gravitazionali. A prescindere dalla valutazione sulla qualità

del gesto, una maggior flessione anteriore risulta essere un risultato.

La mancanza, ad oggi, di uno standard qualitativo univoco per la va-

lutazione del movimento ha impedito l’integrazione di questo dato

alla ricerca, nonostante si consideri un aspetto importante. Struttu-

rata in futuro una tale classificazione di giudizio, scientificamente

accettata, sarebbe importante compiere una nuova sperimentazione.

Data la varietà e il numero dei campioni si è palesata la volontà di

lasciare a disposizione di studi futuri i filmati.

II.V Casi di studio

Per dare il giusto contributo statistico alla ricerca i test sono stati

applicati su un campione di 150 persone di età compresa dai 18 ai 50

anni. I gruppi sono stati suddivisi, in egual misura, in due popola-

zioni: tra i 18 ed i 30 e tra 31 ai 50 anni.

Questa scelta è stata dettata dalla volontà di paragonare persone in

due fasi differenti del loro sviluppo. Fino ai 30 anni, infatti, un indi-

viduo non ha ancora compiuto il pieno sviluppo corporeo e ormo-

nale.

Ognuno dei candidati ha eseguito esclusivamente tre tecniche di

stretching o di mobilità articolare oppure di osteopatia.

40

Una delle premesse elettive per partecipare alla sperimentazione è

stata quella di non presentare quadri clinici patologici tali da impe-

dire meccanicamente una flessione anteriore.

Il genere dei candidati non è stato preso in considerazione ai fini

della ricerca, poiché, anche se percentualmente le donne risultano

essere più flessibili, l’oggetto di analisi è stato il delta derivante dalla

differenza tra la prima e la seconda misurazione.

Una futura ricerca potrebbe ampliare lo specchio delle età dei candi-

dati, analizzando così gli effetti delle tre pratiche sulle persone an-

ziane o sui bambini.

II.VI Oggetti di analisi

Dopo aver passato in rassegna, ed aver così analizzato, tutti i presup-

posti di questa sperimentazione, risulta necessario porre l’accento su

cosa è stato fisicamente preso in esame.

Lo scopo che governa questa tesi è quello di paragonare quanto un

corpo sia capace di migliorare la sua flessibilità tramite l'applica-

zione di input capaci di scatenarne un adattamento.

Mediante il test di flessione è stato possibile dare un volto oggettivo

a quest’adattamento.

Per questa ricerca si è scelto di misurare l’immediato effetto delle tre

pratiche. Sarebbe molto interessante in futuro valutare gli effetti

dopo un ragionevole lasso di tempo, per saggiarne il mantenimento.

Un altro aspetto analizzato è stato l’indice legato al dolore percepito.

Dopo aver concluso una delle tre pratiche, è stato richiesto ai candi-

dati di oggettivare, mediante la scala di Vas, la sensazione di dolore.

Quest’ulteriore dato ha lo scopo di creare un nesso tra la sensazione

nocicettiva ed i risultati rilevati. Le evidenze ottenute sono un ottimo

spunto di riflessione. Esse hanno lo scopo di porre l’accento su

41

quanto un corpo, sottoposto ad un input dolorifico, sia in grado di

registrare o meno un adattamento funzionale e sistemico.

I dati ottenuti saranno meglio esplicati nei capitoli successivi.

42

Capitolo III

Analisi dei dati

In questo capitolo si presenteranno le tabelle ottenute rielaborando i

dati (allegati 2/3/4).

Prendendo in considerazione le due popolazioni di età 18-30 e 31-50

la distribuzione dei dati pre-test è assimilabile ad una distribuzione

Gaussiana con medie centrate come da Tabella 1 e Grafico 1.

Popolazione Media allungamento pre-test [cm]

18-30 20

31-50 22

Tabella 1

Grafico 1

Valutando i risultati post-test senza considerare la variabile età le

distribuzioni rimangono Gaussiane con media centrate come da Ta-

bella 2 e Grafico 2.

Test Delta allungamento post-test [cm]

Stretching 1.7

43

Osteopatia 4.0

Mobilità 3.8

Tabella 2

Grafico 2

44

Risulta essere interessante la valutazione dell’impatto dei test sulle

differenti categorie di età. Considerato la presenza o assenza di mi-

glioramento nell’allungamento pre/post-test si evince quanto segue.

Presa in esame la popolazione 18-30 lo stretching genera un miglio-

ramento nel 92% dei casi mentre considerata la popolazione 31-50

lo stretching genera un miglioramento nel 68% dei casi e peggiora-

mento nel rimanente 32%. (come da Grafico 3)

Grafico 3

Presa in esame la tecnica osteopatica il miglioramento è indipen-

dente dalla popolazione di età considerata ed è presente nel 96% dei

casi. (come da Grafico 4)

45

Grafico 4

Anche per la mobilità il miglioramento è indipendente dalla popola-

zione di età considerata ed è presente nel 96% dei casi. (come da

Grafico 5)

Grafico 5

In termini percentuali si può esprimere il miglioramento medio per

test e per categoria di età. (come da Grafico 6)

46

Grafico 6

Nella categoria 31-50 è inoltre evidente un miglioramento percen-

tuale sul singolo individuo più basso dello stretching rispetto alle al-

tre due.

La valutazione dell’indice di VAS è la seguente. (come da Grafico 7

e Tabella 3)

Grafico 7

47

Test Media indice di VAS

Stretching 4.3

Osteopatia 2.2

Mobilità 2.4

Tabella 3

La percezione del dolore è strettamente dipendente dal test effettuato

ma non è dipendente dall’età dell’individuo (come da Tabella 4).

Test Media indice di VAS

18-30

Media indice di VAS

31-50

Stretching 5.3 3.4

Osteopatia 1.9 2.4

Mobilità 2.3 2.5

Tabella 4

In ultimo non è presente una correlazione tra miglioramento/peggio-

ramento e indice di VAS, come riportato nel Grafico 8.

Il seguente grafico mostra il miglioramento percentuale di ogni sin-

golo individuo paragonato all’ indice di VAS registrato.

Grafico 8

48

Conclusioni

Il trattato fin ora presentato ha portato alla luce diversi spunti di ri-

flessione.

Un’evidenza riscontrata è legata alle casistiche di peggioramento del

secondo test, rispetto alla prima misurazione. Valutando tutti i dati

raccolti, in soli due casi sia l’osteopatia che la mobilitá hanno peg-

giorato il grado di flessione.

Per quanto riguarda lo stretching i casi che vedono risultati negativi

sono numerosi. Si suppone che ciò sia dovuto alla natura nocicettiva

dell’input. Esso porta le strutture muscolari e l’organo tendineo del

Golgi, verso una condizione di difesa allo stress subito. Questo com-

porta un accorciamento delle strutture. I benefici dello stretching si

presentano dopo una lunga e costante ripetizione del movimento. Il

corpo umano fuggirà da uno stimolo dolorifico ma, piegando la strut-

tura alla volontà, si troverà costretto a compiere degli adattamenti.

L’interrogativo che sorge spontaneo porsi adesso è: “il metodo più

diffuso al mondo per un aumento della capacità elastica del corpo,

lo stretching, è davvero così efficace?”

Valutando il risultato percentuale, nel 96% dei casi con le tecniche

osteopatiche e quelle legate alla mobilità si è generato un migliora-

mento. Questo risulta essere maggiore nel range di popolazione di

età compresa tra i 31-50 anni. Nello stretching il miglioramento è

mediamente più basso, soprattutto se si prende in considerazione la

popolazione sopra 31 anni.

I risultati nulli registrati dall’osteopatia e dalla mobilità sono dovuti

alla spersonalizzazione delle tecniche. Queste scuole, infatti, non se-

guono strutture protocollari. Esse considerano ogni sistema corporeo

come un’entità a sé stante; ogni persona deve quindi essere conside-

rata e valutata in funzione del suo vissuto e la sua fisiologia. Queste

49

pratiche di norma intervengono lavorando le aree ed i distretti rite-

nuti deficitari o che implichino una qualunque forma di restrizione

di movimento in funzione del deficit percepito. La ricerca

dell’omeostasi11 è l’unico fine di queste due filosofie di intervento.

Si è scelto di adottare uno standard di trattamento, esclusivamente

per un’oggettivazione statistica.

Potrebbe essere interessante analizzare il risultato di un trattamento

osteopatico o di un intervento di mobilizzazione articolare fatto se-

guendo i principi delle scuole di appartenenza.

Un’ulteriore analisi pone l’accento sull’importanza della scala di do-

lore percepito. Valutando l’indice di VAS si osserva come allo stret-

ching corrisponda un valore maggiore, mentre non vi sia una diffe-

renza sostanziale tra età. L’indice di VAS non trova corrispondenza

con il miglioramento percentuale pre/post-test. Tuttavia è evidente

che allo stretching (tecnica con la quale si sono registrati risultati

inferiori sul delta delle flessioni) siano abbinate valutazioni dolorifi-

che nettamente più alte. Come sopra osservato, questo dato risulta

essere imperante, più che per la sua relazione con i risultati positivi,

per i casi di non miglioramento.

Il dato sopra analizzato ha lo scopo di portare alla luce quanto l’in-

dice di VAS debba cominciare ad essere preso in analisi ogni qual

volta un operatore si trovi di fronte alla necessità di applicare tecni-

11 “I concetti fondamentali alla base dell'omeostasi sono per il fisiologo statuni-

tense

W. B. Cannon, che nel 1926 introdusse il termine, i seguenti: il nostro organismo

è un sistema aperto con scambi con l'esterno e le sostanze che lo compongono sono

estremamente instabili. Il fatto che mantengano uno stato costante è prova dell'e-

sistenza di meccanismi equilibratori; ogni tendenza al mutamento è impedita da

un'accresciuta efficacia dei fattori d'equilibrio, tanto maggiore quanto più forte è

la tendenza; il sistema di regolazione anche di un singolo stato particolare è com-

posto da un insieme di fattori cooperanti; l'omeostasi non è accidentale, ma è il

risultato di un autocontrollo organizzato. Esempi di meccanismi omeostatici sono

la regolazione del tasso glicemico, del pH del sangue, della temperatura corporea,

ecc. In fisiologia, concetti analoghi a quelli di Cannon erano già stati espressi nel

secolo scorso dal francese Cl. Bernard. Con lo sviluppo della cibernetica i mecca-

nismi omeostatici sono stati interpretati come circuiti a feed-back.” Sapere.it

50

che che coinvolgono il sistema nervoso centrale. Forse il detto co-

mune ‘se fa male fa bene’ dovrebbe essere riconsiderato alla luce di

questa tesi.

Si è posta particolare attenzione alla scelta del tipo di stretching da

applicare. Questa pratica infatti, data la sua longevità e diffusione,

ha visto diversi sviluppi ed applicazioni nel corso del tempo. Ogni

sport e diversi professionisti, ne hanno proposto una variante. Di-

fronte ad una così ampia scelta si è deciso di prendere in considera-

zione quello più conosciuto e diffuso. In futuro si è palesata la pos-

sibilità, e la volontà, di prenderne in esame altre tipologie.

Spesso nella pratica sportiva viene chiesto agli operatori se sia più

corretto fare lo stretching prima o dopo l'attività agonistica. Alla luce

di queste scoperte, tuttavia, nuovi interrogativi vogliono sostituire

questa richiesta: “é davvero necessario fare un allungamento mu-

scolare ai fini della prestazione sportiva, oppure sarebbe meglio

cercare nuovi canali di intervento sul corpo, come ad esempio quelli

suggeriti in questa tesi? Non sarebbe forse più rispettoso nei con-

fronti della struttura corporea accompagnare la persona verso uno

stato di salute migliore, anziché insistere, solo ed esclusivamente,

sulla capacità del corpo di compiere movimenti ritenuti elastici?

Non sarebbe meglio portare le persone a raggiungere gradi di mo-

bilità più elevati in maniera più fisiologica e meno dolorosa?”

Il lavoro presentato vuole essere un piccolo sasso lanciato nel lago

dello status quo, vuole rompere lo specchio delle convinzioni ripe-

tute da troppe persone nel corso dei decenni e, col suo moto, desidera

agitare le acque per vedere quanto profonda possa essere la connes-

sione tra la salute del corpo e le sue espressioni.

51

ALLEGATI

Allegato 1

Rivoli (TO), ..........................................

LIBERATORIA PER L’UTILIZZO DI RIPRESE VIDEO e DATI PERSO-

NALI

Il/La sottoscritto/a

..................................................................................… nato/a a

.................................... ................................... il ................................

e residente in via ........................... .............................. città

......................................................... prov. ..............

dichiara di essere a conoscenza che:

- la ricerca include la raccolta di risposte comporta-

mentali (misure oggettive e soggettive della presta-

zione);

- ogni partecipante è libero/a di chiedere chiarimenti

sulla procedura di raccolta dati e su qualsiasi aspetto

dell’esperimento;

- ogni partecipante è libero/a di abbandonare la se-

duta in qualsiasi momento;

- l’eventuale rifiuto a partecipare o l’abbandono della

seduta non comportano alcuna conseguenza nega-

tiva per il partecipante;

- i dati personali raccolti non verranno trasmessi a per-

sone non direttamente coinvolte nella ricerca; - i dati

52

personali raccolti verranno elaborati in forma ano-

nima;

- i risultati verranno presentati in forma aggregata e

con ogni cautela necessaria a evitare la identificabi-

lità dei partecipanti;

Dichiara inoltre:

- di essere maggiorenne;

- di aver letto con attenzione tutti i punti della dichia-

razione;

- di dare il proprio consenso a partecipare alla ricerca.

Con la presente

AUTORIZZA

la pubblicazione dei video ritraenti la propria persona riprese dal

Dott. .............................. ................................residente in via

…………............... ....... città ........................................ prov.

.................., nei locali di ................... …................ in via

......................................... per fini di ricerca scientifica, tesi ad argo-

mentare, integrare e sostenere analisi scientifiche contenute nella

la tesi del suddetto Dott. ……………………. .

Dichiaro di rilasciare libero, consapevole, informato e specifico con-

senso al trattamento, anche con strumenti informatici e/o telema-

tici, dei miei dati personali e delle mie fotografie cui potranno acce-

dere per tutte le altre attività connesse alla ricerca i colleghi del

Dott. ………….. .

53

L’elaborazione dei dati raccolti nell’ambito della ricerca, la loro co-

municazione a soggetti terzi e/o pubblicazione per scopi scientifici

sono consentite, ma potranno avvenire soltanto dopo che i dati me-

desimi saranno stati resi anonimi, a cura e sotto la responsabilità

diretta del responsabile della ricerca. Tutti i ricercatori coinvolti

nella raccolta dati sono vincolati alla segretezza sull’identità dei par-

tecipanti.

Vieto altresì in contesti che ne pregiudichino la propria dignità per-

sonale ed il decoro. La posa e l'utilizzo delle immagini sono da con-

siderarsi effettuate in forma del tutto gratuita.

Ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs 196/2003 art. 7 in qualsiasi mo-

mento potranno avvalersi del diritto di revocare l’autorizzazione al

trattamento delle immagini.

Si attesta che il primo rilevamento è stato di cm............

La seconda misurazione è stata di cm...............

In una scala da 1 a 10 (scala di Vas) al trattamento si attribuisce

valore.......

……………………………………….…………….

(firma leggibile)

………………………………………………………

(firma leggibile dell’operatore)

54

Allegato 2

55

Allegato 3

56

Allegato 4

57

Bibliografia

Biel, Andrew. Guida ai sentieri del corpo. Come trovare muscoli,

ossa e altro. Edi. Ermes, 2011.

Bisciotti, Gian Nicola, et al. «Insulto traumatico e deficit elastico

muscolare». Sport e Medicina, n. 6: 35-39, 2001.

Felten, David L., e Anil N. Shetty. Atlante di neuroscienze di Netter.

Edra Spa, 2010.

Garfin, S. R., et al. «Role of fascia in maintenance of muscle tension

and pressure». Journal of Applied Physiology, n. 51(2): 317-320,

1981.

Jami, L. «Golgi tendon organs in mammalian skeletal muscle: func-

tional properties and central actions». Physiological Reviews, vol.

72(3): 623-666, 1992.

Maruyama, K., et al. Molecular size and shape of B-connecting, an

elastic protein of striate muscle. n. 95 (5): 1423-1433, 1984.

McArdle, William D., et al. Fisiologia applicata allo sport. Aspetti

energetici, nutrimenti e performance. Casa editrice Ambrosiana,

2008.

Testut, Léon, e André Latarjet. Trattato di anatomia umana. Edra,

Edra, 2017.

Wiemann, K., e A. Klee. «Stretching e prestazioni sportive di alto

livello». SdS, vol. 49: 9-15, 2000.

Testi di informazione e di lezione di “4Move”.

58

Ringraziamenti

La forza di questo lavoro è stata la collaborazione di diverse persone

che con passione hanno reso possibile tutto questo.

Parte integrante del gruppo di ricerca, a cui va attribuito merito nella

stesura di parte di questa tesi, è il dottor Davide Pregnolato, che in-

sieme alla scuola di HMO, ha seguito tutto ciò che ha riguardato la

mobilità articolare. Questa tesi non sarebbe stata così significativa

senza il lavoro che essi per mesi hanno portato avanti.

Un ringraziamento speciale va a Irene Vacirca e Alessio Boazzo, che

hanno rielaborato i dati rendendoli significativi ai fini statistici. Ales-

sio e Irene inoltre hanno aiutato a rielaborare i costrutti, rivedendo le

forme, permettendo quindi a questa ricerca di essere fruibile da

chiunque. Grazie di cuore.

Ad Antonino Guastalegname va il merito di aver disegnato i modelli

del campo di misurazione, grazie per aver reso “diversa” questa tesi.

Un ringraziamento ai nostri familiari, in particolare a Giulia e Re-

becca, che hanno sentito leggere centinaia di volte ogni paragrafo e,

nel frattempo, hanno sopportato le nostre ansie.

Grazie a tutti i 150 clienti, amici, pazienti ed estranei che hanno de-

dicato il loro tempo a questa sperimentazione.

Grazie ai nostri professori Iginio Furlan, Paolo Forni e Fabrizio Piz-

zagalli (alias Bicio) che, come amici più saggi ed esperti, hanno aiu-

tato ad arricchire questa ricerca.

Grazie a tutti, senza di voi che con pazienza e amore avete donato

tempo, energie e conoscenze, non sarebbe stato possibile tutto que-

sto.

Infine un grazie al nostro piccolo gruppo che come rivincita ha vo-

luto dimostrare quanto valesse. Insieme abbiamo passato notti ad im-

pazzire dietro ricerche, riletture e stesure, tuttavia in questa avven-

tura non si sarebbe desiderato nessun altro compagno di viaggio.

Grazie a tutti ed un grosso

59

In bocca al lupo

Elia Virga, Alberto Carta ed Edoardo Savelloni