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La vignetta di Roberta A proposito dei parcometri nella zona ospedali Salvo ripensamenti dell’ultimo minuto, alla fine le faranno: nei prossi- mi mesi disegneranno anche nella nostra zona ed in quella degli ospeda- li le strisce blu per il parcheggio a pagamento. È in corso una diatriba tra il Comune, che sostiene che sia stata la Circo- scrizione 8 a chiedere questo provvedimento, e la Circoscrizione stessa che nega di averlo fatto e chiede di ritirarlo. In attesa di scoprire chi tra le due istituzioni locali dice il vero e di sapere se il Comune accoglierà l’istanza della Circoscrizione e della cittadinanza, sarebbe interessante capire quali sarebbero i vantaggi di questa rivoluzione, a parte le entrate extra per il Comune, che per ripianare il deficit finanziario di Gtt sceglie gli incassi facili: per i residenti l’abbonamento annuale arriverà a costa- re fino a 180 euro, in base all’Isee. È comunque pacifico che i parcheggi a pagamento in una zona adia- cente gli ospedali siano una scelta ingiusta ed ingiustificata: il “ricam- bio nei parcheggi”, che dovrebbe essere uno dei vantaggi delle strisce blu, ci può stare quando si tratta di andare a fare shopping o commis- sioni veloci, non quando si va in ospedale. È probabile che gli ammi- nistratori che hanno preso questa decisione abbiano la fortuna di non aver mai frequentato il COES delle Molinette, dove molti malati de- vono recarsi anche più volte la settimana per terapie pesanti; non ab- biano mai dovuto assistere un ricoverato dal mattino alla sera; non ab- biano mai fatto visite o esami entrando in ospedale senza sapere esat- tamente quando ne usciranno; non abbiano mai accompagnato qual- cuno al pronto soccorso aspettando per ore il proprio turno. Per tacere di tutti quei lavoratori degli ospedali che facendo i turni non possono usufruire del comodo servizio di trasporto pubblico e soprattutto non possono permettersi il peso di un salato abbonamento ai parcheggi ogni mese. A Torino ci sono già alcuni ospedali circondati dalle strisce blu, ma so- no strutture presenti in zone centrali o semicentrali dove la zona blu è “storica” e comunque non raccolgono un’utenza che proviene da tutta la regione come quelli della nostra zona. In ogni caso le strisce blu in prossimità degli ospedali, di qualsiasi ospedale, sono fonte di disagio per tutti. Se sosta a pagamento deve essere, meglio pensare a un par- cheggio dove si paga (il giusto) all’uscita, senza l’ansia di dover correre a mettere monete nel parcometro quando la permanenza in ospedale si prolunga più del previsto. I nostri amministratori dovrebbero anche spiegarci il senso della scelta – incassi a parte – di prolungare la sosta a pagamento fino al sottopasso del Lingotto: una zona periferica, da anni martoriata dai cantieri della Metro ma che nel giro di un anno e mezzo al massimo vedrà la situazio- ne parcheggi normalizzarsi (sia pure con le criticità presenti in tutta To- rino) grazie allo spostamento del capolinea della Metro in piazza Ben- gasi. Va inoltre sottolineato che nei periodi delle fiere più importanti che si tengono al Lingotto non ci sarebbero strisce blu che tengano, dato che in quelle occasioni gli oltre 4000 posti a pagamento dei parcheggi sotterranei del centro fiere si esauriscono in fretta. Non ci resta che sperare in un dietrofront da parte dei nostri amministra- tori, che dovrebbero piuttosto ricordarsi di prevedere un’adeguata strut- tura per i parcheggi di utenti e dipendenti del Grattacielo della Regione e della futura Città della Salute, i cui lavori di costruzione dovrebbero partire già il prossimo anno. Cinzia Lorenzetto C’è una pagina abbastanza cono- sciuta degli Atti degli Apostoli in cui si narra della predica di san Paolo ad Atene nel punto più alto della città e della cultura del tempo: l’Areopago, sede delle scuole di filosofia più fa- mose dell’epoca dove il compito principale di tutti era quello di di- scutere dei grandi temi della vita. Qui Paolo annuncia Gesù Cristo e il suo Vangelo e viene ascoltato con pazienza, poi conclude il suo di- scorso con il richiamo alla Resurre- zione. La reazione è immediata, filosofi e discepoli lo apostrofano con suffi- cienza: «Appena sentirono l’accen- no alla risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: Ti senti- remo su questo un’altra volta» (17,32-33). Credere alla Resurrezione è diffici- le perché è difficile credere alla morte. E non parlo solo di Gesù ma di tutti. Può sembrare assurdo dire che è dif- ogni tempo e in ogni luogo. C’è un “qui” e un “adesso” della fede in Cristo Risorto che è legato alle con- dizioni di vita personali e sociali. Ed oggi, credo, che sia un invito a cercare sempre più la condivisione viva e reale andando oltre i “bip bip” dello smartphone, a considerare gli altri al di là della pelle, della prove- nienza, dell’educazione... come per- sone degne di essere rispettate e fi- nanche amate perché la Resurrezio- ne è anche per loro. L’augurio di Pasqua è quindi che la Resurrezione e la consapevolezza di essere noi stessi risorti con Cristo entri sempre più in profondità nella nostra vita e lasci il segno nelle no- stre scelte e nel nostro modo di af- frontare il presente guardando con speranza al futuro che Cristo ha spa- lancato per ognuno di noi. Buona Pasqua di cuore da me, da don Antony, dalle suore missionarie Identes e dal diacono Daniele. don Daniele che vediamo e sentiamo, ci dà la possibilità di guardare a noi stessi con meno paura e meno disprezzo e ci fa anche guardare al mondo, alla storia, agli altri con uno sguardo nuovo ricco di misericordia come è lo sguardo di Dio. È la forza della Resurrezione che ci rende capaci di affrontare i nostri li- miti compreso il limite più grande che è la morte e che ci dà anche la forza di lottare contro il dolore, la fatica, l’ingiustizia, la sopraffazione del forte sul debole. Credere in Cristo Risorto non è mai solo un fatto personale ma accettan- do la vittoria dell’amore sulla morte diventa un fatto sociale che coinvol- ge me, la mia vita e la mia vita in rapporto agli altri che mi circonda- no: tutti gli altri, perché Cristo è Ri- sorto per tutti, perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in pienezza. Se è vero che questo vale per ogni tempo e per ogni luogo è altrettanto vero che si realizza in modo unico in ficile credere alla morte perché è sotto gli occhi di tutti il fatto che la morte esiste ed è inevitabile, ma cre- dere che si muore è un’altra cosa: è credere che siamo limitati e che ciò a cui teniamo di più, la nostra stessa vita, è destinata a finire. È essere consapevoli della propria debolezza e del proprio bisogno più profondo che è quello di essere ama- ti e di amare. Sta tutto qui il motivo della Resurre- zione di Gesù, in quell’amore senza limiti che va anche oltre la morte, anzi, che la sconfigge e la apre ad un destino nuovo. E questo vale per chi è già credente come per chi cerca risposte alle tante domande della vita e anche per chi, come i filosofi di Atene, guarda con sufficienza e un po’ di disprezzo a coloro che si fidano di Dio. La Resurrezione di Gesù risponde al nostro bisogno di amore e di senso, ci dona quello sguardo necessario su ciò che conta davvero al di là di ciò In questo numero raccontiamo la vita di Cristina, che vive a Bergamo con Sergio e i loro 4 figli, dai 12 ai 18 anni. Insegnante per mestiere e per vocazione, Cristina prosegue il suo mestiere ben oltre lo squillo della campanella… Puoi presentarti e raccontarci la tua storia e quella della tua fami- glia? Volentieri! Per farlo rubo un’immagine di mio marito che una volta mi ha detto: «Il nostro matrimonio è come la giostra del calcinculo: io sto dietro e ti lancio! Io non vivo come te, non riesco a entrare nella vita col tuo im- peto, ma posso mettermi poco dietro e lanciarti nel mondo! E se non affer- ri il codino, non preoccuparti, ti riprendo e ti rilancio io!». È una delle tante volte in cui ho capito di aver sposato l’uomo giusto! Potrei raccontare tanti episodi in cui queste parole si sono declinate nella concretezza delle nostre giornate. Per esempio, mi colpisce sempre tantis- simo come Sergio mi sostiene e mi «lancia» dentro una delle mie più gran- di passioni: insegnare. L’insegnamento mi porta costantemente a contatto con ragazzi dagli 11 ai 14 anni. Lavoro nel paese dove viviamo e il pomeriggio mi capita spesso di incontrare al parco alunni che, anziché studiare, passano il tempo a gi- ronzolare senza meta e, mossi dalla noia, a combinare bravate. La maggior parte di loro proviene da storie dolorose, da famiglie assenti o da contesti culturali molto differenti dai nostri. Spesso sono gli «spacconi» della scuo- la, con più di una sospensione a loro carico. A seguito di un atto vandalico di un paio di loro, ero decisa ad andare dai carabinieri. Poi mio marito mi ha chiesto di lasciare fare a lui. Ha parlato con loro, solido e pacato. Mi sono accorta che lo sguardo fiducioso di Ser- gio mi convinceva di più rispetto alla mia reazione istintiva. Quella sera li abbiamo invitati a mangiare una pizza insieme e, quasi per scherzo, ho pro- posto loro di citofonare al nostro campanello piuttosto che andare in giro a bighellonare. Loro ci hanno presi sul serio e per tutto l’anno sono venuti puntuali alle 14.30, portando i loro amici: studio, merenda e giochi di so- cietà. Talvolta le mamme hanno preparato torte e the marocchini… squisi- ti! Un giorno uno di loro mi ha chiesto: «Prof., perché casa sua è sempre co- sì disordinata?». Io sono scoppiata a ridere, poi gli ho detto che la sera pri- ma ne avevo parlato con Sergio e gli avevo chiesto scusa perché la casa non era degna della sua presenza. Lui mi aveva risposto che una casa in ordine, ma vuota, non era degna del nostro matrimonio. E il ragazzo, uno dei più scalmanati, di getto mi ha risposto: «Prof., mi dia una scopa, l’aiuto io!». Mio marito non si è tirato indietro nemmeno quando ho proposto a un ex- alunno di venire in vacanza al mare con me e i miei figli. Sergio non pote- va venire per via del lavoro e il ragazzo sarebbe venuto a darmi una mano. La situazione a casa sua si stava facendo pesante e aveva bisogno di torna- re a respirare un po’. Si tratta di un ragazzo che ha fatto tribolare tanto, re- centemente è stato cacciato dalla scuola superiore. Sa però di avere un luo- go dove può tornare: non sappiamo quali scelte lui farà nella vita, ma noi saremo sempre al suo fianco a tifare per lui. Mai in questi anni la voglia di chiudere la porta e non aprire a nes- suno? Non è stato sempre facile. Talvolta la stanchezza ha avuto il sopravvento, ma qualcosa è tornato immancabilmente a provocarci, a interpellarci, a ri- metterci in discussione. Il buon Dio non ci ha mai abbandonato tornando a svegliarci dal torpore in cui ricadiamo quasi senza accorgerci. Perché noi non abbiamo cercato nemmeno uno degli incontri fatti in questi anni, sia- mo troppo pigri… ma abbiamo deciso di rispondere a incontri che hanno cercato noi! Senza dubbio, quello che di grande vedo accadere nella mia famiglia e nella mia vita nasce dal carisma di don Luigi Giussani e dall’a- micizia con il suo successore don Julian Carron. Poi ci sono gli amici che vivono in modo così avvincente da trascinare il mio cuore e rimetterlo in moto, ma anche i santi e Dante e Leopardi e i grandi uomini della storia… Impossibile fare tutti i nomi, ma è certo che io e Sergio riposiamo nei loro sguardi. Come vivono i tuoi figli queste presenze in famiglia? I nostri figli ci guardano divertiti. Anna, la maggiore, il giorno dopo uno degli attentati in Francia mi ha detto: «Mamma, se i terroristi vedessero co- me vivi, non farebbero più scoppiare bombe, ma desidererebbero vivere come te!». Mi ha colpito tantissimo… lì ho capito che il compito di noi ge- nitori è vivere e vivere alla grande! Mettere davanti ai loro occhi un’espe- rienza così interessante da desiderare di vivere nello stesso modo… una sana invidia del gusto che ci vedono vivere. In vite familiari e lavorative sempre più stressate, come si trova il tempo per accogliere l’altro? E in che modo questo può diventare risorsa per la famiglia, senza gelosie o accuse? Non siamo esenti da gelosie e accuse. Ma non sono il punto! Un nostro ca- rissimo amico (mio professore d’italiano dal quale ho ereditato la passione per l’insegnamento) prima di sposarci ci ha chiesto perché avevamo deci- so. Gli abbiamo risposto che la nostra scelta era la conseguenza del nostro amore. Lui sorridendo ci disse: «Allora meglio che non vi sposiate! Se l’a- more tra voi è il punto di partenza, prima o poi vi sentirete traditi nella grande promessa che l’uno suscita nell’altro e inizierete ad accusarvi a vi- cenda. L’amore invece non è il punto di partenza, ma di arrivo, dopo un la- voro fatto bene, che costa fatica e lacrime anche! Il punto è se l’altro è la persona a cui lanciare questa sfida: noi non sappiamo amare… ti va di im- parare ad amare insieme? Mi accompagni in questa straordinaria avven- tura? Allora nemmeno gli errori e i tradimenti potranno arrestare questo cammino!». Il matrimonio è questa avventura liberante, dove tutto può essere guardato e perdonato, senza paura! Per tornare alla domanda… non si tratta di tro- vare spazi, stringersi un po’ sacrificando qua e là… è il contrario! È una so- vrabbondanza che non si può contenere! Come un calice di birra che, una volta pieno, trabocca! La schiuma esce e bagna tutto intorno!

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La vignetta di Roberta

A proposito dei parcometrinella zona ospedaliSalvo ripensamenti dell’ultimo minuto, alla fine le faranno: nei prossi-mi mesi disegneranno anche nella nostra zona ed in quella degli ospeda-li le strisce blu per il parcheggio a pagamento. È in corso una diatriba tra il Comune, che sostiene che sia stata la Circo-scrizione 8 a chiedere questo provvedimento, e la Circoscrizione stessache nega di averlo fatto e chiede di ritirarlo. In attesa di scoprire chi trale due istituzioni locali dice il vero e di sapere se il Comune accoglieràl’istanza della Circoscrizione e della cittadinanza, sarebbe interessantecapire quali sarebbero i vantaggi di questa rivoluzione, a parte le entrateextra per il Comune, che per ripianare il deficit finanziario di Gtt scegliegli incassi facili: per i residenti l’abbonamento annuale arriverà a costa-re fino a 180 euro, in base all’Isee.È comunque pacifico che i parcheggi a pagamento in una zona adia-cente gli ospedali siano una scelta ingiusta ed ingiustificata: il “ricam-bio nei parcheggi”, che dovrebbe essere uno dei vantaggi delle strisceblu, ci può stare quando si tratta di andare a fare shopping o commis-sioni veloci, non quando si va in ospedale. È probabile che gli ammi-nistratori che hanno preso questa decisione abbiano la fortuna di nonaver mai frequentato il COES delle Molinette, dove molti malati de-vono recarsi anche più volte la settimana per terapie pesanti; non ab-biano mai dovuto assistere un ricoverato dal mattino alla sera; non ab-biano mai fatto visite o esami entrando in ospedale senza sapere esat-tamente quando ne usciranno; non abbiano mai accompagnato qual-cuno al pronto soccorso aspettando per ore il proprio turno. Per taceredi tutti quei lavoratori degli ospedali che facendo i turni non possonousufruire del comodo servizio di trasporto pubblico e soprattutto nonpossono permettersi il peso di un salato abbonamento ai parcheggiogni mese. A Torino ci sono già alcuni ospedali circondati dalle strisce blu, ma so-no strutture presenti in zone centrali o semicentrali dove la zona blu è“storica” e comunque non raccolgono un’utenza che proviene da tuttala regione come quelli della nostra zona. In ogni caso le strisce blu inprossimità degli ospedali, di qualsiasi ospedale, sono fonte di disagioper tutti. Se sosta a pagamento deve essere, meglio pensare a un par-cheggio dove si paga (il giusto) all’uscita, senza l’ansia di dover correrea mettere monete nel parcometro quando la permanenza in ospedale siprolunga più del previsto. I nostri amministratori dovrebbero anche spiegarci il senso della scelta– incassi a parte – di prolungare la sosta a pagamento fino al sottopassodel Lingotto: una zona periferica, da anni martoriata dai cantieri dellaMetro ma che nel giro di un anno e mezzo al massimo vedrà la situazio-ne parcheggi normalizzarsi (sia pure con le criticità presenti in tutta To-rino) grazie allo spostamento del capolinea della Metro in piazza Ben-gasi. Va inoltre sottolineato che nei periodi delle fiere più importantiche si tengono al Lingotto non ci sarebbero strisce blu che tengano, datoche in quelle occasioni gli oltre 4000 posti a pagamento dei parcheggisotterranei del centro fiere si esauriscono in fretta. Non ci resta che sperare in un dietrofront da parte dei nostri amministra-tori, che dovrebbero piuttosto ricordarsi di prevedere un’adeguata strut-tura per i parcheggi di utenti e dipendenti del Grattacielo della Regionee della futura Città della Salute, i cui lavori di costruzione dovrebberopartire già il prossimo anno.

Cinzia Lorenzetto

C’è una pagina abbastanza cono-sciuta degli Atti degli Apostoli in cuisi narra della predica di san Paolo adAtene nel punto più alto della città edella cultura del tempo: l’Areopago,sede delle scuole di filosofia più fa-mose dell’epoca dove il compitoprincipale di tutti era quello di di -scutere dei grandi temi della vita.Qui Paolo annuncia Gesù Cristo e ilsuo Vangelo e viene ascoltato conpazienza, poi conclude il suo di -scorso con il richiamo alla Resurre-zione. La reazione è immediata, filosofi ediscepoli lo apostrofano con suffi-cienza: «Appena sentirono l’accen-no alla risurrezione di morti, alcunilo deridevano, altri dissero: Ti senti-remo su questo un’altra volta»(17,32-33).Credere alla Resurrezione è diffici-le perché è difficile credere allamorte. E non parlo solo di Gesù madi tutti. Può sembrare assurdo dire che è dif-

ogni tempo e in ogni luogo. C’è un“qui” e un “adesso” della fede inCristo Risorto che è legato alle con-dizioni di vita personali e sociali. Ed oggi, credo, che sia un invito acercare sempre più la condivisioneviva e reale andando oltre i “bip bip”dello smartphone, a considerare glialtri al di là della pelle, della prove-nienza, dell’educazione... come per-sone degne di essere rispettate e fi-nanche amate perché la Resurrezio-ne è anche per loro.L’augurio di Pasqua è quindi che laResurrezione e la consapevolezza diessere noi stessi risorti con Cristoentri sempre più in profondità nellanostra vita e lasci il segno nelle no-stre scelte e nel nostro modo di af-frontare il presente guardando consperanza al futuro che Cristo ha spa-lancato per ognuno di noi.Buona Pasqua di cuore da me, dadon Antony, dalle suore missionarieIdentes e dal diacono Daniele.

don Daniele

che vediamo e sentiamo, ci dà lapossibilità di guardare a noi stessicon meno paura e meno disprezzo eci fa anche guardare al mondo, allastoria, agli altri con uno sguardonuovo ricco di misericordia come èlo sguardo di Dio.È la forza della Resurrezione che cirende capaci di affrontare i nostri li-miti compreso il limite più grandeche è la morte e che ci dà anche laforza di lottare contro il dolore, lafatica, l’ingiustizia, la sopraffazionedel forte sul debole. Credere in Cristo Risorto non è maisolo un fatto personale ma accettan-do la vittoria dell’amore sulla mortediventa un fatto sociale che coinvol-ge me, la mia vita e la mia vita inrapporto agli altri che mi circonda-no: tutti gli altri, perché Cristo è Ri-sorto per tutti, perché tutti abbianola vita e l’abbiano in pienezza.Se è vero che questo vale per ognitempo e per ogni luogo è altrettantovero che si realizza in modo unico in

ficile credere alla morte perché èsotto gli occhi di tutti il fatto che lamorte esiste ed è inevitabile, ma cre-dere che si muore è un’altra cosa: ècredere che siamo limitati e che ciò acui teniamo di più, la nostra stessavita, è destinata a finire. È essere consapevoli della propriadebolezza e del proprio bisogno piùprofondo che è quello di essere ama-ti e di amare. Sta tutto qui il motivo della Resurre-zione di Gesù, in quell’amore senzalimiti che va anche oltre la morte,anzi, che la sconfigge e la apre ad undestino nuovo. E questo vale per chi è già credentecome per chi cerca risposte alle tantedomande della vita e anche per chi,come i filosofi di Atene, guarda consufficienza e un po’ di disprezzo acoloro che si fidano di Dio.La Resurrezione di Gesù risponde alnostro bisogno di amore e di senso,ci dona quello sguardo necessario suciò che conta davvero al di là di ciò

In questo numero raccontiamo la vita di Cristina, che vive a Bergamocon Sergio e i loro 4 figli, dai 12 ai 18 anni. Insegnante per mestiere e pervocazione, Cristina prosegue il suo mestiere ben oltre lo squillo dellacampanella…

Puoi presentarti e raccontarci la tua storia e quella della tua fami-glia?

Volentieri! Per farlo rubo un’immagine di mio marito che una volta mi hadetto: «Il nostro matrimonio è come la giostra del calcinculo: io sto dietroe ti lancio! Io non vivo come te, non riesco a entrare nella vita col tuo im-peto, ma posso mettermi poco dietro e lanciarti nel mondo! E se non affer-ri il codino, non preoccuparti, ti riprendo e ti rilancio io!».È una delle tante volte in cui ho capito di aver sposato l’uomo giusto! Potrei raccontare tanti episodi in cui queste parole si sono declinate nellaconcretezza delle nostre giornate. Per esempio, mi colpisce sempre tantis-simo come Sergio mi sostiene e mi «lancia» dentro una delle mie più gran-di passioni: insegnare. L’insegnamento mi porta costantemente a contatto con ragazzi dagli 11 ai14 anni. Lavoro nel paese dove viviamo e il pomeriggio mi capita spessodi incontrare al parco alunni che, anziché studiare, passano il tempo a gi-ronzolare senza meta e, mossi dalla noia, a combinare bravate. La maggiorparte di loro proviene da storie dolorose, da famiglie assenti o da contesticulturali molto differenti dai nostri. Spesso sono gli «spacconi» della scuo-la, con più di una sospensione a loro carico.A seguito di un atto vandalico di un paio di loro, ero decisa ad andare dai

carabinieri. Poi mio marito mi ha chiesto di lasciare fare a lui. Ha parlatocon loro, solido e pacato. Mi sono accorta che lo sguardo fiducioso di Ser-gio mi convinceva di più rispetto alla mia reazione istintiva. Quella sera liabbiamo invitati a mangiare una pizza insieme e, quasi per scherzo, ho pro-posto loro di citofonare al nostro campanello piuttosto che andare in giro abighellonare. Loro ci hanno presi sul serio e per tutto l’anno sono venutipuntuali alle 14.30, portando i loro amici: studio, merenda e giochi di so-cietà. Talvolta le mamme hanno preparato torte e the marocchini… squisi-ti! Un giorno uno di loro mi ha chiesto: «Prof., perché casa sua è sempre co-sì disordinata?». Io sono scoppiata a ridere, poi gli ho detto che la sera pri-ma ne avevo parlato con Sergio e gli avevo chiesto scusa perché la casa nonera degna della sua presenza. Lui mi aveva risposto che una casa in ordine,ma vuota, non era degna del nostro matrimonio. E il ragazzo, uno dei piùscalmanati, di getto mi ha risposto: «Prof., mi dia una scopa, l’aiuto io!».Mio marito non si è tirato indietro nemmeno quando ho proposto a un ex-alunno di venire in vacanza al mare con me e i miei figli. Sergio non pote-va venire per via del lavoro e il ragazzo sarebbe venuto a darmi una mano.La situazione a casa sua si stava facendo pesante e aveva bisogno di torna-re a respirare un po’. Si tratta di un ragazzo che ha fatto tribolare tanto, re-centemente è stato cacciato dalla scuola superiore. Sa però di avere un luo-go dove può tornare: non sappiamo quali scelte lui farà nella vita, ma noisaremo sempre al suo fianco a tifare per lui.

Mai in questi anni la voglia di chiudere la porta e non aprire a nes-suno?

Non è stato sempre facile. Talvolta la stanchezza ha avuto il sopravvento,ma qualcosa è tornato immancabilmente a provocarci, a interpellarci, a ri-metterci in discussione. Il buon Dio non ci ha mai abbandonato tornando asvegliarci dal torpore in cui ricadiamo quasi senza accorgerci. Perché noinon abbiamo cercato nemmeno uno degli incontri fatti in questi anni, sia-mo troppo pigri… ma abbiamo deciso di rispondere a incontri che hannocercato noi! Senza dubbio, quello che di grande vedo accadere nella miafamiglia e nella mia vita nasce dal carisma di don Luigi Giussani e dall’a-micizia con il suo successore don Julian Carron. Poi ci sono gli amici chevivono in modo così avvincente da trascinare il mio cuore e rimetterlo inmoto, ma anche i santi e Dante e Leopardi e i grandi uomini della storia…Impossibile fare tutti i nomi, ma è certo che io e Sergio riposiamo nei lorosguardi.

Come vivono i tuoi figli queste presenze in famiglia?I nostri figli ci guardano divertiti. Anna, la maggiore, il giorno dopo unodegli attentati in Francia mi ha detto: «Mamma, se i terroristi vedessero co-me vivi, non farebbero più scoppiare bombe, ma desidererebbero viverecome te!». Mi ha colpito tantissimo… lì ho capito che il compito di noi ge-nitori è vivere e vivere alla grande! Mettere davanti ai loro occhi un’espe-rienza così interessante da desiderare di vivere nello stesso modo… unasana invidia del gusto che ci vedono vivere.

In vite familiari e lavorative sempre più stressate, come si trova iltempo per accogliere l’altro? E in che modo questo può diventarerisorsa per la famiglia, senza gelosie o accuse?

Non siamo esenti da gelosie e accuse. Ma non sono il punto! Un nostro ca-rissimo amico (mio professore d’italiano dal quale ho ereditato la passioneper l’insegnamento) prima di sposarci ci ha chiesto perché avevamo deci-so. Gli abbiamo risposto che la nostra scelta era la conseguenza del nostroamore. Lui sorridendo ci disse: «Allora meglio che non vi sposiate! Se l’a-more tra voi è il punto di partenza, prima o poi vi sentirete traditi nellagrande promessa che l’uno suscita nell’altro e inizierete ad accusarvi a vi-cenda. L’amore invece non è il punto di partenza, ma di arrivo, dopo un la-voro fatto bene, che costa fatica e lacrime anche! Il punto è se l’altro è lapersona a cui lanciare questa sfida: noi non sappiamo amare… ti va di im-parare ad amare insieme? Mi accompagni in questa straordinaria avven-tura? Allora nemmeno gli errori e i tradimenti potranno arrestare questocammino!».Il matrimonio è questa avventura liberante, dove tutto può essere guardatoe perdonato, senza paura! Per tornare alla domanda… non si tratta di tro-vare spazi, stringersi un po’ sacrificando qua e là… è il contrario! È una so-vrabbondanza che non si può contenere! Come un calice di birra che, unavolta pieno, trabocca! La schiuma esce e bagna tutto intorno!

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alla perfezione: le informazioni chestiamo cercando devono essere chia-re, complete e rintracciate rapida-mente. Il webmaster conosce ed applica letecniche migliori per soddisfare la ri-chiesta di «velocità» di un navigatoretalmente esigente, che, secondo gliesperti, cambia pagina o abbandonail sito se la sua attesa si protrae perpiù di 10 secondi!Il sito di Santa Monica soddisfa tuttiquesti requisiti: si apre velocemente,presenta un aspetto grafico gradevo-le – con foto ed immagini ad alta de-finizione – e propone un menu com-pleto e dettagliato. Vi si trova tutto ciò che ci può inte-ressare: dall’Indirizzo della Parroc-chia, ai Contatti indispensabili, agliOrari delle funzioni religiose, agliAppuntamenti ed alle Scadenze,all’elenco di tutti i Gruppi attivi inParrocchia, alle pubblicazioni perio-diche «La Settimana» ed «Il Ponte»che state leggendo, ai Siti Esternipiù significativi.Insomma c’è la vita in tempo realedella nostra Comunità. Un sito davvero completo!Esplorando il web si possono trovaretanti siti parrocchiali, ma quello pro-gettato e realizzato dal nostro web-master è tra i migliori per ricchezza echiarezza di contenuti, modernità del

progetto, tempestività negli aggior-namenti delle notizie e funzionalitàcomplessiva.Ci sono tanti dettagli che lo rendonointeressante: c’è la pagina di PapaBergoglio, quella con la Diretta TVda Lourdes, la Bibbia, la sezioneLiturgia, e, per i più curiosi, una pa-gina con i Santi del giorno e le lorostorie dettagliate; esiste anche la pos-sibilità di riascoltare e rimeditarel’Omelia della domenica.Anche per il Gruppo Coro di SantaMonica della Santa Messa domeni-cale delle 11.15 il nostro personag-gio misterioso ha realizzato dellesoluzioni informatiche brillanti edinnovative relativamente alle tec-niche multimediali per imparare icanti.Ma c’è altro ancora che non anticipoper non togliere al Lettore/Navigato-re il piacere della sorpresa!Grazie Michele Mimmo, non solo seiun webmaster competente e prepara-to, ma anche una persona discretache in silenzio utilizza i suoi «talen-ti» per fornire alla Comunità un ser-vizio davvero speciale; e grazie an-che a tutti coloro che offrono un con-tributo per rendere vivace e fecondaogni attività parrocchiale.Tutti Noi di Santa Monica vi siamoriconoscenti!

Luigi Filtri

Sono tante le attività della Parroc-chia di Santa Monica, rivolte aibambini, agli adolescenti, ai giova-ni, alle coppie di fidanzati, alle fa-miglie, agli adulti ed agli anziani.Esse vedono coinvolte numerosepersone che dedicano parte del lorotempo ed offrono i propri «talenti»per rendere viva e dinamica una co-munità come la nostra.È evidente quanto sia importantecomunicare ai parrocchiani in mo-do chiaro e tempestivo tutte le ini-ziative che fanno riferimen-to non solo agli aspetti legatialla spiritualità ed alla vitareligiosa, ma anche alle pro-blematiche della quotidiani-tà che suscitano il nostro in-teresse o la nostra curiosità. Viviamo in un mondo tecno-logico che si evolve per forni-re informazioni e risposte ra-pide alle domande ed alle ri-chieste crescenti di comuni-cazione e di interconnessio -ne: computer, tablet e smart-phone sono diventati stru-menti utili e (quasi) indi-spensabili per l’agire gior-naliero.A questo proposito vorreisegnalare al lettore de IlPonte l’impegno, la profes-sionalità e la competenzadella persona che ha pro-gettato e implementato letecnologie informatiche re-lative alla comunicazionedelle attività di Santa Mo-nica, creando il sito «Noi diSanta Monica» che si puòvisualizzare con un clic sulproprio computer o sul pro-prio smartphone all’indi-rizzo:

2 Anno XVI - Numero 1 - Marzo 2018 3

I CONSIGLI DEL DOTTOR...Autismo e dintorni

(una disabilità complessa e permanente)

“Mi hanno proposto di andare a stare un periodo nel se-minario minore, così nel frattempo scrivo anche la tesi”.In questo modo mio fratello ha comunicato che da un po’di tempo il Signore gli aveva messo nel cuore il desideriodi seguirlo da più vicino. Nessun proclama e nessun ma-nifesto. Strano. Chi conosce Daniele sa che lui ama spie-gare teorie partendo fin dall’origine e argomentando iltutto con date e nozioni. Ma quella volta no. Se ci pensonella mia famiglia siamo un po’ fatti così. Ci piace chiac-chierare, discutere, parlare, ma quando si tratta di qualco-sa di delicato e importante le parole si limitano all’essen-ziale. Quasi come se ognuna di esse fosse scelta e prepa-rata per tempo, così da non aver bisogno di inutili fronzo-li e non correre il rischio di trasmettere il messaggiosbagliato. Piuttosto saranno poi gli eventi a dare le spiega-zioni necessarie.E così sono iniziate le prime valigie: vestiti e libri hannoiniziato un continuo viavai tra Nole e Torino, Torino e No-le, Nole e la parrocchia di servizio, la parrocchia di servi-zio e Torino.I nostri genitori hanno accolto la notizia con semplicitàprofonda. Nostro padre poco tempo prima aveva scrittoun bigliettino a mio fratello con le percentuali del tempoche impiegava nello studio, con gli amici, all’oratorio e acasa: quasi come uno schema per un percorso di discerni-mento. Quando ha percepito la strada che Daniele avevaintrapreso l’ha accolta come risposta a quel bigliettino,aggiungendo: “Basta che sia quella giusta e la porti allafine”. Nostra madre serbava nel cuore gioie e incertezzeper un figlio che parte, preparandosi a numerose lavatricie preparando per ogni ritorno pranzi curati.Io quel giorno gli chiesi: “Ma ti vuoi far prete?”. Non ri-cordo la risposta che mi diede, ma so che da quel momen-to abbiamo iniziato ad uscire meno insieme e a crescere di

più come fratelli. Gli occhi umidi dei nonni facevano tra-pelare l’orgoglio per la scelta del nipote e qualche tempodopo la nonna confessò che il nonno, alla notizia del nipo-te in partenza per il seminario, disse: “Lu savìa mi ca s’fa-sia prèivi”.Da quel giorno la porta di casa nostra ha iniziato ad essereattraversata spesso, anzi ha continuato. Si, perché l’acco-glienza è sempre stata di casa. Anche qui senza gesti spe-ciali, ma nella quotidianità di inviti o di ospitalità offerta apersone care. Da quel momento l’accoglienza ha sempli-cemente aumentato “il giro” di inviti.Che cosa dicono i tuoi che si vuole fare prete? Me lo sentodire ancora adesso, quando manca davvero poco. Cosapossono dire secondo voi due genitori che vedono il lorofiglio felice e grintoso, nonostante tutte le difficoltà vissu-te lungo il cammino? La nostra famiglia lo ha accompagnato partecipando aipranzi in seminario, ai pranzi nelle parrocchie di servizio,invitando a cena compagni e superiori del seminario... in-somma lo ha accompagnato soprattutto a tavola. Ma ciòche rassicura è che da sempre lo accompagna anche aquella Mensa dove l’Ospite vero è Gesù. Perché fin dapiccoli ci hanno insegnato la costanza nel rapporto conDio nella preghiera giornaliera e nella Messa domenicale. Credo stia proprio lì il segreto per non considerare la noti-zia di un figlio prete così strana. Se non volete un figlioprete non abituatevi ad accogliere con semplicità l’ospitein casa vostra e non curate la quotidianità del dialogo conDio. Anzi, non prendete mai queste due piccole abitudinise non volete un figlio felice. Perché Dio dona in abbon-danza a chi chiede con gioia e a chi sa accogliere con sem-plicità sulla strada da Lui offerta, una strada per sé e per ipropri cari.

Giulia Venco

Un centinaio di suore cottolenghine ha accompagnato, con la preghiera e lapresenza nella chiesa grande della Piccola Casa, il funerale della consorellasuor Candida Meoli (1926-2018), ultima superiora dell’Istituto della Nativi-tà di via Spotorno, fino alla chiusura della Comunità nel 2010.Ho sentito, in questa occasione, numerosi commenti che hanno riepilogato lasua lunga esistenza di suora. Oltre alle parole del celebrante che, nell’omeliadella messa funebre, ha ricordato le doti e i carismi di suor Candida, credo siadoveroso riportare le parole di una suora che l’ebbe maestra delle novizie nel1966: “Una grande figura di riferimento, una persona dolcissima, sempresorridente, materna, premurosa, con grandi capacità educative. Per noi,giovani suore, è stata il fondamento della nostra vocazione, colei che ci hafatto assorbire lo spirito del nostro Santo fondatore”.Ma il giudizio più azzeccato è stato quello di chi le è stata accanto negli ulti-mi anni di vita: “Suor Candida è stata una persona che ha vissuto tutto ilcammino di responsabilità nella Congregazione, percorrendo tutta la scalagerarchica in salita e in discesa, terminando la sua vita nella semplicità enella gioiosa accettazione dei servizi più modesti, sempre con il sorriso sullelabbra”.Religiosa a 25 anni, dopo un breveperiodo di insegnamento nellescuole materne, venne richiamatain Casa Madre come aiuto e dal1964 come responsabile della for-mazione delle novizie: non piùbimbetti ma giovani vite di ragaz-ze che stanno cercando il sensodella loro formazione e della lorovocazione. Nel 1973 fu elettaConsigliera generale, stretta colla-boratrice della Madre generale.Poi, scaduto il termine dell’incari-co al vertice della struttura di go-verno delle suore del Cottolengo,rientrò “nei ranghi”, adattandosi serenamente e umilmente a responsabilitàmeno gravose.Quando si trattò di utilizzare al meglio i locali di via Spotorno, dopo chegran parte degli stessi erano già stati donati alla Parrocchia di Santa Moni-ca per necessità pastorali, si pensò di farne una casa di riposo per suore an-ziane, e chi meglio di suor Candida era in grado di prendersi cura di ben 17suore?È a Santa Monica che conobbi suor Candida e rimasi affascinato dalla suadisponibilità ad impegnarsi nella vita comunitaria. Affiancò per qualche tem-po suor Grazia animando il Gruppo Anziani e con loro ebbe intuizioni pre-ziose: il Laboratorio di cucito e la collaborazione per molte altre attività. Consuor Candida, ministro straordinario della Comunione ai malati, per anni ab-biamo seguito il nutrito gruppo di volontari della Parrocchia. La realizzazio-ne più bella con suor Candida è stata però la nascita del Gruppo Missionario.Ci credeva fortemente ed ha trasmesso questa sua passione a tutto il gruppo ealla Comunità parrocchiale. Ha curato il Gruppo del Vangelo nelle Case, ri-mettendosi in gioco per aiutare a motivare la propria fede chi, per ragioni di-verse, faceva più fatica.Ricordo che una volta al mese l’accompagnavo con il pulmino a fare spesaall’ingrosso per le sue suore. Sono rimasto edificato dalla premura e dall’at-tenzione per ciascuna di loro: a chi cercava il formaggio più gradito, a chiprovvedeva i biscotti per la colazione, a chi qualche leccornia…: una mam-ma che vuole accontentare il suo bambino. E poi la carne più tenera (i dentidelle mie vecchiette!!!)… la primizia della frutta. È stata una donna pacata, attenta, sensibile, generosa. Era il suo cuore chetraduceva al cervello i bisogni, le necessità dell’altro. E suor Candida, da per-sona amabile e da vera suora del Cottolengo, in modo discreto, interveniva.Aveva una fede profonda, espansiva, contagiosa.Che bello pensare a Santa Monica che – senza dimenticarne nessuna –, haavuto la fortuna di avere sempre “grandi” superiore: suor Margherita Bona,suor Santina Passoni e, per ultima, suor Candida.Grazie, cara sorella, per quanto ci hai donato con la tua presenza. Ti portiamonel cuore, e tu, dall’aldilà, continua a pregare per noi e a camminare al nostrofianco!

diacono Enrico

Il 10 febbraio 1999 fu presentata allaCamera dei Deputati la prima propo-sta di legge per garantire ai cittadini ildiritto di sottoscrivere disposizionianticipate sui trattamenti medici damettere in atto o da evitare qualoranon fossero più in grado di interloqui-re con i sanitari (DAT). Molte altreproposte furono depositate negli anninei due rami del Parlamento. Il 14 di-cembre 2017, infine, il Senato ha rati-ficato il disegno di legge approvato inprima lettura dalla Camera e trasmes-sogli il 20 aprile 2017. Il testo Normein materia di consenso informato e didisposizioni anticipate di trattamentoè quindi ormai legge dello Stato e dàvalore alle disposizioni sottoscritte o«espresse attraverso videoregistrazio-ne o dispositivi che consentano allapersona con disabilità di comunicare». Propongo in questo articolo una letturaragionata degli articoli più importantiperché in questo periodo si è molto par-lato di questa nuova normativa e nonsempre con l’opportuna chiarezza.

Il primo articolo ha il pregio di bandi-re il “paternalismo” che riconoscevaunicamente al medico il potere di as-sumere la funzione di tutore del pa-ziente e di decidere insindacabilmen-te le terapie idonee per lui. Sottolineaanche l’importanza del “consenso in-formato” che valorizza la relazione dicura e di fiducia tra il medico, il pa-ziente o il suo fiduciario. Quest’ulti-mo può intervenire quando il pazientenon è più in grado di esprimere il suoparere. Sostiene inoltre che ogni per-sona ha il diritto di rifiutare «qualsiasiaccertamento diagnostico o tratta-mento sanitario indicato dal medico

per la sua patologia o singoli atti deltrattamento stesso». Ammette infine il diritto di revoca delconsenso, anche quando comporti l’in-terruzione dei trattamenti già messi inatto. Considera trattamenti sanitari lanutrizione e l’idratazione artificiale, «inquanto somministrazione, su prescrizio-

ne medica, di nutrienti mediante dispo-sitivi medici». Precisa che qualora si ve-rificasse questa richiesta, il medico do-vrebbe prospettare «le conseguenze ditale decisione e le possibili alternative epromuovere ogni azione di sostegno alpaziente medesimo, anche avvalendosidei servizi di assistenza psicologica». Questo comma della legge è ritenutoda molti problematico perché dà l’im-pressione che il paziente possa rifiuta-re anche i trattamenti finalizzati allasua guarigione e all’indispensabile ap-porto idrico e alimentare. Se così fos-se, sarebbe più che mai giustificata unaseria opposizione alla legge perché siconfigurerebbe una forma di “eutana-sia passiva”. Di fatto non dovrebbe es-

sere possibile in Italia alcuna derivaeutanasica visto che la legge comminapene severe a chi la provoca o vi colla-bora (cfr. articoli 579-580 del c.p.). Inoltre, il Codice deontologico deimedici approvato nel 2016 all’artico-lo 17 asserisce che «il medico, anchesu richiesta del paziente, non deve ef-fettuare né favorire atti finalizzati aprovocarne la morte». Risulta pertan-to evidente che nessun medico puòessere obbligato ad assecondare il pa-ziente che vuole arbitrariamente pro-curarsi la morte. Se lo facesse, sareb-be addirittura perseguibile per legge. A scanso di equivoci, da più parti sì èinvocata la possibilità di prevedere l’o-biezione di coscienza. Questo invito èstato espresso il 25 gennaio scorso an-che nel comunicato finale del Consi-glio Episcopale Permanente dellaConferenza Episcopale Italiana. Perevitare ogni confusione, si dovrebbealmeno precisare nei successivi rego-lamenti applicativi che la non messa in

atto e/o l’eventuale sospensione deitrattamenti sono giustificate quandosono percepite come un trattamento in-vasivo e sproporzionato in riferimentoal quadro clinico. In questo senso siesprime anche il paragrafo 152 dellaNuova carta degli operatori sanitaripubblicata dal Pontificio Consiglio pergli operatori sanitari nel 2016. Facendo riferimento al documento del-la Congregazione per la Dottrina dellaFede Responsa ad quaestiones ab Epi-scopali Conferentia FoederatorumAmeriae (2007), afferma che «la nutri-zione e l’idratazione, anche artificial-mente somministrate, rientrano tra lecure di base dovute al morente, quandonon risultino troppo gravose o di alcun

beneficio». L’obbligo di somministra-zione non è quindi assoluto. Permane«nella misura in cui e fino a quando di-mostra di raggiungere la sua finalità».La nutrizione e l’idratazione artificialepotrebbero essere, infatti, addiritturadannose e potrebbe causare una morteanticipata qualora il paziente avesseuna limitata capacità di metabolizzaregli alimenti o fosse in blocco renale.

Il secondo articolo sottolinea l’impor-tanza della terapia del dolore e della se-dazione palliativa quando il dolore nonè diversamente affrontabile. Pone inol-tre il divieto di ostinazione irragionevo-le nelle cure in fase terminale. Questesottolineature erano già presenti in unaallocazione di Pio XII rivolta ai medicirianimatori il 24 febbraio 1957. In que-sto discorso il Pontefice sostenne chel’analgesia è legittima, anche se accor-cia la durata della vita perché procuradistensione, facilita la preghiera e il do-

no di sé. Osservò inoltre che è possibileprivare il paziente della coscienza quan-do non ci sono altri mezzi per lenire ildolore, a condizione che abbia in prece-denza assolto i suoi doveri morali. Questo pronunciamento è stato ripre-so e confermato da successivi docu-menti magisteriali: la Dichiarazionesull’eutanasia della Congregazioneper la Dottrina della Fede (1980), l’en-ciclica Evangelium vitae pubblicatanel 1995 da san Giovanni Paolo II e ildiscorso tenuto dal medesimo pontefi-ce ai partecipanti al Congresso Inter-nazionale su I trattamenti di sostegnovitale e lo stato vegetativo (2004). A conferma della piena attualità di que-sti documenti, la Congregazione per laDottrina della Fede li ha ripubblicati ingran parte nel testo Sull’eutanasia. Te-sti e commenti (2016). Anche il Cate-chismo della Chiesa Cattolica fa men-zione di queste tematiche nel paragrafo2279 dove si legge: «L’uso di analgesi-ci per alleviare le sofferenze del mori-bondo, anche con il rischio di abbrevia-re i suoi giorni, può essere moralmenteconforme alla dignità umana, se lamorte non è voluta né come fine né co-me mezzo, ma è soltanto prevista e tol-lerata come inevitabile. Le cure pallia-tive costituiscono una forma privilegia-ta della carità disinteressata. A questotitolo devono essere incoraggiate». Recentemente Papa Francesco, ri-prendendo la confermata posizioneecclesiale in materia, ha rivolto unmessaggio ai partecipanti al meetingregionale europeo della World Medi-cal Association sulle questioni di finevita che si è svolto a Roma il 16-17novembre scorso. Il messaggio è statosalutato dai media come segno di unagrande e inaspettata svolta del pensie-ro ecclesiale in materia. Il testo perònon fa altro che riproporre gli inse-gnamenti sopra citati.

Il terzo articolo della legge sulle DATregolamenta la funzione dei genitoridel minore e del fiduciario e/o ammi-nistratore di sostegno dell’incapace.Suscita perplessità il ricorso al giudi-ce tutelare qualora sorgessero conflit-ti tra questi e i medici. Sarebbe piùopportuno in questo caso far interve-

nire il comitato bioetico, purtroppotroppo spesso non operativo negliospedali, ma che dove è costituito,con le sue specifiche competenze e lasua necessaria immediata reperibilitàpotrebbe fornire un parere clinico piùtempestivo, competente ed adeguato. Gli altri articoli sono di minore impor-tanza perché tendono unicamente a nor-mare la recezione e l’applicazione dellalegge. A conclusione di questa breveesamina, mi sembra opportuno notareche la legge non obbliga a stilare le DATma in sé e per sé questa possibilità non ènegativa. La già citata Nuova carta deglioperatori sanitari afferma, infatti, che«escludendo ogni atto di natura eutana-sica, il paziente può esprimere in antici-po la sua volontà circa i trattamenti aiquali desidererebbe o no essere sottopo-sto nel caso in cui, nel decorso della suamalattia o a causa di traumi improvvisi,non fosse più in grado di esprimere ilproprio consenso o dissenso» (par. 150).

Oggi si sente parlare molto di autismo,a causa delle campagne di sensibilizza-zione per far conoscere il disturbo algrande pubblico e in rapporto alla noti-zia di una impennata delle diagnosi, so-prattutto negli Stati Uniti e in GranBretagna. Si tratta di una patologia pre-coce del sistema nervoso centrale chedetermina una disabilità complessa epermanente. Ogni giorno nel mondol’autismo viene diagnosticato a moltibambini, ma è più corretto parlare di“autismi” perché esistono tante sindro-mi eterogenee ma accomunate fra loroda due raggruppamenti di sintomi com-portamentali: compromissione dellacomunicazione e dell’interazione so-ciale e presenza di interessi ristretti e dicomportamenti ripetitivi. Vengono classificati Disturbi dellospettro autistico, secondo l’ultima revi-sione uscita nel 2013 del Manuale Dia-gnostico e Statistico dei Disturbi Men-tali che gli addetti ai lavori conosconocome DSM 5. Il termine “spettro” sta aindicare la variabilità dei comporta-menti osservabili all’interno dello stes-so disturbo. Rientrano nello spettro au-tistico sia soggetti con deficit intelletti-vo sia soggetti con capacità cognitivanella norma, con migliori prospettiverispetto alla qualità di vita (persone con“autismo ad alto funzionamento”). Unbambino con autismo può avere acqui-sito il linguaggio verbale o non averlodel tutto, può essere poco o troppo sen-sibile agli stimoli.In Italia dal 2016 è stato istituito da par-te del Ministero della Salute un Osser-vatorio nazionale per i Disturbi dellospettro autistico. L’incidenza di Distur-bi di tipo autistico tra i bambini italiani,in base a dati preliminari raccolti in al-cune regioni campione, si aggira intor-no a un bambino su 120. Le diagnosi diautismo sono in aumento, ma cosa si-

gnifica davvero? Questi numeri moltoalti potrebbero essere legati a una mi-gliore capacità diagnostica e al cambia-mento dei criteri diagnostici: si identi-ficano anche casi lievi, forme che ven-t’anni fa non venivano riconosciute ovenivano classificate come psicosi in-fantili; inoltre si sono ridotte le diagno-si di disabilità intellettiva e sono au-mentate quelle di Disturbi dello spettroautistico con disabilità intellettiva.La diagnosi dell’autismo non è basatasu criteri quantificabili, non abbiamomarcatori biologici specifici (peresempio tracciato elettroencefalografi-co alterato e mutazioni genetiche pos-sono essere associati ma non sono rap-presentativi della totalità dei casi). Ladiagnosi è incentrata quindi su un’at-tenta anamnesi e sull’osservazione cli-nica del comportamento di questi bam-bini, avvalendosi anche di test specificistandardizzati, scale di sviluppo e que-stionari e interviste ai genitori. Inoltrebisogna valutare il livello di gravitàdella sintomatologia e la presenza dicondizioni mediche o malattie conco-mitanti (si stima che il 30% dei bambi-ni presenta epilessia). Questa eterogeneità è il motivo per cuiancora non conosciamo le cause del-l’autismo, anche se molti studi hannopermesso di individuare diverse centi-naia di geni associati ai Disturbi dellospettro autistico. Si ritiene che alcune

persone a causa di mutazioni genetichesiano particolarmente suscettibili a fat-tori ambientali che interferiscono conlo sviluppo cerebrale del feto (a livellodelle connessioni tra diverse aree cere-brali) provocando l’insorgenza del di -sturbo.Quali che siano le cause degli autismi,è importante sottolineare l’importanzadi una diagnosi precoce che permetteuna presa in carico del bambino ad unaetà in cui alcuni processi di sviluppopossono ancora essere modificati. Ladiagnosi del disturbo viene fatta dal

Neuropsichiatra Infantile, ma sono igenitori a cogliere le prime avvisaglie ea parlarne con il pediatra che non bana-lizzerà i primi segnali ma incoraggerà igenitori a rivolgersi ai Servizi di Neu-ropsichiatria Infantile supportandoli inquesta fase di grande preoccupazione.Anche gli educatori della prima infan-zia, se preparati e sensibilizzati al pro-blema, possono essere in grado di indi-viduare alcuni campanelli di allarme eincoraggiare i genitori a chiedere aiuto.Professionisti esperti potrebbero rico-noscere precocemente i sintomi del-

l’autismo entro i 12-13 mesi del bambi-no, ma solitamente la fase di sospettoche conduce all’identificazione del di -sturbo è intorno ai due anni di vita. Pos-sono avvenire più tardi, perché piùcomplesse, le diagnosi dei casi di “altofunzionamento”.Dalla nascita in poi si sviluppa la capa-cità del bambino di entrare in relazionecon l’altro e di rispondere agli stimolisociali (il primo stimolo sociale è ilvolto della mamma); si sviluppa la ca-pacità di rispondere in modo reciprocoalle espressioni, ai gesti, al contatto fi-sico, gli scambi vocali avvengono consignificativa tonalità affettiva. Lacompromissione di queste capacità,come la mancanza di contatto oculare,devono essere considerati con atten-zione. Intorno ai nove mesi, ma ancheprima, si afferma la capacità di atten-zione condivisa: cioè di condividerecon l’altro l’attenzione per una terzacosa o persona. Compare il gesto co-municativo, la capacità di indicarequalcosa per richiederla e ottenerla oper farla vedere al genitore. Il bambinosi volta se chiamato per nome, fa sì eno con la testa.Il mancato sviluppo della reciprocitàsociale, dell’attenzione condivisa, dellinguaggio anche negli aspetti non ver-bali, della capacità imitativa, la com-parsa di movimenti stereotipati (come“sfarfallamenti” delle mani, dondola-

menti del corpo, andatura sulle puntedei piedi) e di interessi sensoriali inso-liti (per es. tendenza a leccare e ad odo-rare in modo insistente) sono i primi se-gnali di allarme.A tre anni il quadro si fa più chiaro, ledifficoltà di relazione sociale rappre-sentano il problema centrale anche peri bambini con dotazione cognitiva nellanorma, che in età scolare manifestanodifficoltà a stare in gruppo. Si potrebbedire che dall’autismo non si guarisce eche dura tutta la vita, ma una presa incarico precoce con un approccio psi-coeducativo a scuola, a casa e nella co-munità condizionano favorevolmenteil decorso del disturbo e possono cam-biare il futuro del bambino.Esistono bisogni diversi, tra i bambiniche soffrono di autismo, che devonoessere valutati di volta in volta in basealle caratteristiche del singolo indivi-duo. La valutazione clinica funzionaleè la premessa per impostare il tratta-mento del bambino e deve tener contodei suoi punti di forza, delle abilitàemergenti e dei suoi limiti. Essa per-mette di verificare l’efficacia del tratta-mento e prendere decisioni, modifica-re, adattare continuamente il program-ma svolto.Qualche anno fa l’Istituto Superiore diSanità ha pubblicato un documento incui si consigliano, in quanto ritenuti ef-ficaci sulla base di evidenze scientifi-

che, i trattamenti di tipo cognitivo-comportamentale. Si tratta di tratta-menti specifici, precoci e intensivi chepossono essere somministrati da opera-tori esperti in discipline differenti e da-gli stessi genitori. I nuovi LEA (Livelliessenziali di assistenza) raccomandano“attenzione alla partecipazione attivadella famiglia, con interventi di soste-gno, formazione e orientamento ad es-sa dedicati e coinvolgimento attivo nelpercorso terapeutico”.Le linee guida tutelano le famiglie ri-spetto a eventuali proposte inaffidabilidi terapie “miracolose” non fondate suuna ricerca seria e rigorosa. Sono utili ipercorsi di formazione/informazioneper i genitori (Parent trainig) sulle te-matiche dell’autismo per aiutarli ad ac-quisire strategie nella gestione dei pro-blemi quotidiani e favorire la creazionedi una rete di supporto reciproco tra fa-miglie. Bisogna ricordare che le asso-ciazioni dei familiari hanno fatto moltoper migliorare le condizioni di vita deiloro congiunti, facendosi portatricipresso le istituzioni di proposte concre-te. Dovranno essere aggiornate le lineeguida sul trattamento dei Disturbi dellospettro autistico in tutte le età della vi-ta, includendo pertanto l’età adulta che,fino ad oggi, era stata esclusa come senon esistesse. Nella nostra città è attivo un percorsodi continuità assistenziale dei minoriin vista del passaggio all’età adulta.La buona notizia consiste nell’attiva-zione di un ambulatorio specificamen-te dedicato ai Disturbi dello spettroautistico in età adulta, cui potranno farriferimento i ragazzi che a 18 anni ter-minano il percorso di presa in caricoda parte dei Servizi di Neuropsichia-tria Infantile.

Dott.ssa Maria Grazia FontanNeuropsichiatra Infantile

Prof. don GIUSEPPE ZEPPEGNO. È pretedella diocesi di Torino dal 1986. È stato vice-parroco a Volpiano e in seguito parroco aMarene-Pilone-Boschetto e a Santa Marghe-rita in Torino. Dottore di ricerca in morale ebioetica, svolge attività di docenza presso ilCiclo di specializzazione in teologia moraledella Facoltà Teologica e all’Istituto Superio-re di Scienze Religiose di Torino. Dal 2012,su richiesta del vescovo monsignor Nosiglia,ha assunto anche il compito di padre spiri-tuale del Seminario.

Anno XVI - Numero 1 - Marzo 20184

Ingredienti6 uova – 200 gr di zucchero di canna integrale350 gr di carote – 350 gr di nocciole100 gr di farina tipo 2

[Nota1: sono stati utilizzati lo zucchero di canna integra-le e la farina di tipo 2 perché, come Ilaria dice sempre, so-no da preferire ingredienti meno raffinati in quanto pre-sentano migliori caratteristiche nutrizionali mantenendougualmente un ottimo risultato finale]

ProcedimentoPreriscaldare il forno a 160° e imburrare una teglia didiametro 23-25 cm. Pulire le carote: farne bollire circa200 gr fino a lessarle, schiacciarle con la forchetta o frul-larle fino ad ottenere una purea. Grattugiare a crudo le re-stanti carote (150 gr circa). Pulire le nocciole e tritarle finemente.Dividere gli albumi dai tuorli, montare prima gli albumicon 100 gr di zucchero di canna integrale e successiva-mente i tuorli con i restanti 100 gr di zucchero. Con unafrusta, mescolare i composti avendo cura di non farlismontare, aggiungere prima la purea di carote lesse e suc-cessivamente le carote crude grattugiate e miscelare perbene. Aggiungere infine le nocciole tritate e la farina di ti-po 2, avendo sempre cura di non far smontare l’impasto.[Nota2: Davide sostiene con fermezza l’inutilità del lievitonei dolci. I veri pasticceri montano sapientemente le uova(che devono essere molto fredde) e le lavorano con cura af-finché l’impasto diventi soffice, senza barare. Tuttavia chivuole può aggiungere 10 gr di lievito insieme alla farina,ma il consiglio rimane di evitare questo tipo di artificio]Infornare per circa 50 minuti o fino a cottura ultimata. La-sciar raffreddare e servire accompagnando con cioccolatofuso e/o un ciuffo di panna montata. Buon appetito!

Ilaria e Davide Giugno

Una «leggera» tortadi nocciole e carote

LA RICETTA DI...

Abbiamo accolto

Alessandro Matthew SABAMassimo TOLOMEO

Abbiamo salutatoPietro MASSAzzAPietro ARICÒWanda DE BERNARDIved Gino FAÈ

Giovanni MERLONERosina RAMPANTIved. Raffaele PUCA

suor Candida MEOLIStefano zALLIOMarcella BRIGNOLOved. Sergio GARDENGHI

Evelina zUCCHERIved. Antonio TOFFETTI

Michele VINELLABenino DI NENNOAntonia zOCCOLIin SURACI

Michele FEDE

DALL’ARCHIVIO

PARROCCHIALE

Metti che tua figlia riceva in dono tre pernottamenti inquel di Tromsø (Norvegia, 350 km a nord del Circolo Po-lare Artico) per il ponte dell’Immacolata, metti che il fi-danzato che ha fatto il dono in quei giorni sia molto lonta-no per un altro viaggio, metti che il pernottamento sia perdue persone e che tu, amante senza riserve del GrandeNord, accetti subito il “sacrificio” di farle compagnia du-rante questa avventura artica. E così il 7 dicembre siamopartite per questa città considerata la capitale della Lappo-nia norvegese, che con meno di 70.000 abitanti è la piùgrande della Norvegia del nord. Una delle cose che ci incuriosivano di più di un simileviaggio in questo periodo è la cosiddetta notte polare, ov-vero il sole che non si alza mai oltre l’orizzonte (a Tromsøciò avviene dal 23 novembre al 18 gennaio, mentre in pri-mavera/estate, dal 21 maggio al 23 luglio, si verifica il fe-nomeno del sole di mezzanotte, con l’astro che non scendemai sotto l’orizzonte). In realtà dalle 10 del mattino circa afino poco dopo mezzogiorno c’è una luce crepuscolare, unchiarore che permette di avere la sensazione del giorno.Prima e dopo è buio fitto e questo crea non poco disorien-tamento: pranzare alla luce delle stelle fa davvero unostrano effetto. Gli abitanti del luogo ci hanno detto che an-che loro sono disturbati da questo buio continuo, ma mol-to meno che in estate, quando anche la notte è illuminatadal sole. I locali contrastano il buio invernale con una vitasociale e sportiva molto intensa dopo l’orario di lavoro: ri-trovi tra amici in casa o nei caffè, palestra (molte con ve-trine che danno direttamente sulla strada) e sci, da prati-carsi sulle piste illuminate fino alla mezzanotte e raggiun-gibili anche in autobus in una manciata di minuti dal cen-tro cittadino. Altri accorgimenti particolari per conviverecon l’oscurità sono le fasce luminose che molti portanosopra le maniche delle giacche o sopra i pantaloni (anchealcuni cani al guinzaglio hanno le imbragature luminose)o in alternativa i giubbotti catarinfrangenti. Nel periodonatalizio poi, il buio è contrastato anche dai tantissimi ad-dobbi luminosi presenti non solo nelle strade e nei negozi,ma in tutte (e intendo proprio tutte) le case: non c’è fine-stra, rigorosamente senza tende, che non abbia dietro alvetro qualche grande stella illuminata e non c’è facciata dicasa che non abbia almeno qualche fila di lampadine (qua-si tutte bianche, pochissime colorate) a rallegrarla. Tromsø in inverno vuol dire anche tanta neve (in mediaogni anno ne cadono circa 2 metri) e quindi ghiaccio, an-che se le temperature, per quella latitudine, sono meno ri-gide di quanto ci si potrebbe aspettare grazie alla correntedel golfo che lambisce la costa. Anche in questo caso inorvegesi non fanno una piega: oltre al fatto che tutti viag-giano molto tranquillamente con le loro auto o le loro bicisulle strade ghiacciate e spesso ripide, molti usano anche

in città scarpe con le suole chiodate per evitare scivoloni. È una bella città, Tromsø: piccola ma viva, con dei museiinteressanti che raccontano la natura, l’arte, la vita in quel-la zona attraverso i secoli e le ardite spedizioni degliesploratori norvegesi. Tra le vecchie case e chiese spicca-no alcuni esempi di architettura moderna molto particolari(come la famosa Cattedrale Artica, una chiesa moderna lacui forma ricorda un iceberg).Tromsø viene considerata, per la sua posizione geograficaideale, la “capitale dell’aurora boreale” ed è diventata or-mai una meta turistica: nonostante ciò l’abbiamo trovataun po’ meno cara rispetto alle città della Norvegia del sud.Abbiamo visto molti immigrati (prevalentemente dall’A-frica centrale) che sembrano ben integrati, ma ci siamostupite non poco nel vedere per le strade del centro parec-chi mendicanti.

Uno dei momenti più belli del viaggio è stato la corsa sullaslitta trainata dai cani (che non sono gli husky, ma una raz-za frutto di vari incroci che resiste senza problemi fino a-40°) nel silenzio della grande pianura innevata. Oltre allabellezza della natura, è stato quasi commovente l’incontrocon quei cani, felici di fare il proprio “mestiere” (per lorocorrere è un’esigenza fisica) ed affettuosi e amichevoli conchiunque, che si lasciano abbracciare e coccolare.Questa volta non abbiamo visto l’aurora boreale, ma erava-mo ben consapevoli che sarebbe stato un privilegio ed unafortuna se fosse apparsa, perché, a dispetto dei carissimi au-rora tours per i turisti che credono che questo fenomenofaccia parte del pacchetto-viaggio, alla natura non si coman-da. Diciamo che per noi è stato come trovare il bigliettinodei concorsi a premi: “non hai vinto… ritenta!”. Casomaiservisse una scusa per tornare in quei luoghi straordinari.

Cinzia Lorenzetto

Le cime innevate delle Ande fanno da sfondo alla strada.La Ruta 40, strada simbolo della travagliata storia dell’in-tero Sudamerica e delle sue contraddizioni, tra la povertàdei popoli che vi abitano e la bellezza della Pacha Mama,la Madre Terra, qui venerata come una divinità con altarilungo la strada stessa. Una strada che non sono solo km dapercorrere per arrivare a una meta ma una vera e proprialezione, da apprendere rigorosamente con lo zaino in spal-la e un moleskine sotto braccio.Eccola, la Patagonia. La Patagonia e le sue strade. La Pa-tagonia e i suoi cieli senza fine, capaci di passare nell’atti-mo di una curva dal sole alla tempesta, dal deserto allemontagne innevate. Moltissimi, da Coloane a Sepulveda,da Chatwin a Verne a Borges, hanno scritto di questo luo-go dell’animo più che luogo del mondo. In effetti così è.La Patagonia prende prima la mente che gli occhi, non ètanto un luogo fisico quanto uno stato d’animo. Già, perché la Patagonia non sono solo i panorami bellissi-mi delle Torres del Paine, del cerro Fitzroy e Torre o, lastbut not least, di sua maestà il Perito Moreno (ovvero ilghiacciaio più famoso del Campo de Hielo ContinentalSur, una distesa di ghiaccio grossa circa come Buenos Ai-res o, se preferite, dato che Buenos Aires ha 13 milioni diabitanti, grossa come più di 13 volte Torino. Tredici volte). La Patagonia è soprattutto Rio Gallegos, città sperduta trala steppa patagonica e l’Atlantico, ultimo confine prima diapprodare in terra cilena e, successivamente, alla Terra delFuoco. Una città che nessuna guida turistica mai menzio-

nerà, metà petrolifera metà western, da cui partono i busverso la fine del mondo. La Patagonia è soprattutto El Barcazo, la nave che traspor-ta i bus di linea lungo lo stretto di Magellano, negli ultimichilometri del pianeta Terra dove la realtà si unisce allaleggenda. Ed ecco allora che, tra le barche che solcanoquesto mare, pare di vedere il vecchio Eznaola o, alzandogli occhi al cielo, insieme agli albatros, il bimotore dell’a-viatore Palacios che percorre il suo ultimo volo.È soprattutto il cielo grigio sopra il fiordo di Ultima Espe-

ranza – un nome bellissimo dato dai primi naviganti chegiunsero fin qui dall’Atlantico, prima di scoprire questofolle intrigo di isole e fiordi che porta a una distesa d’acquaaltrettanto immensa e sconosciuta, il Pacifico. Il cielo gri-gio che sembra l’ultimo respiro che esala il nostro pianeta.È il lago Fagnano (ebbene sì, l’ultimo lago del pianetaTerra ha un nome di origine piemontese) che appare alculmine della salita della strada fino al Paso Garibaldi,prima della discesa verso sud, illuminata dalla luce alluci-nante dell’Antartide, verso l’ultima città del genere uma-no, Ushuaia.Già, Ushuaia. Oltre la Patagonia c’è la Terra del Fuoco e al limite della Terra del Fuoco, nonché del mondo, c’è Ushuaia. Un nome che per me ha sempre significato il mi-to. Ma Ushuaia non è solo una città.Per arrivare fino a Ushuaia abbiamo sorvolato due conti-nenti e mezzo, passato 19 ore in aereo, 17 in bus, 10 in au-to, non so quante a piedi, navigato in due dei quattro ocea-ni del pianeta. Abbiamo aggiunto 11 timbri sul passaportoe passato 8 dogane. Siamo passati dai 35 gradi delle Igua-zu ai 2 del canale di Beagle.Abbiamo visto le cascate più spettacolari del mondo im-merse nel suo più grande polmone verde, camminato sul-l’unico ghiacciaio che resiste al surriscaldamento globale.Ammirato lo spettacolo delle Ande e ci siamo persi nei si-lenzi senza fine delle steppe della Patagonia.Abbiamo visto i caimani e i coatì nelle foreste delle Igua-zu, i condor volare tra i picchi delle Ande, gli albatros e lebalene lungo lo stretto di Magellano, i pinguini nelle isolevicino a capo Horn. Siamo arrivati fin qui stanchi ma felici. Perché Ushuaianon è una città, è la testimonianza di quanto possa esseremeraviglioso il nostro pianeta, fino alla sua fine. E, guidatidalla solitaria compagna della notte australe, la Croce delSud, siamo stati testimoni esterrefatti di questa bellezza.Per i latini, la mitica Finis Terrae. Per gli argentini, la FinDel Mundo, un mezzo anche per attrarre turisti da tutto ilmondo. Per me, semplicemente quel punto più a sud delplanisfero terrestre che mi sono sempre promesso, fin dabambino morbosamente e irrimediabilmente malato per lageografia, di raggiungere, un giorno.Così, quando dopo l’ultima curva appare il cartello “Bien-venidos a Ushuaia”, dopo 11 ore di bus, mi accorgo che leguance sono umide, e mi vengono in mente le parole checoncludono uno dei libri più belli che esistano, “PatagoniaExpress” di Sepulveda: “…i suoi personaggi, gli indio egli emigranti di tutte le latitudini che abitano la Patago-nia e la Terra del Fuoco, i suoi marinai e i suoi vagabondidel mare. Adesso sono tutti con me e mi permettono di direa voce alta che vivere è un magnifico esercizio”.Ushuaia, Finis Terrae, 16 dicembre 2017

Claudio Garavaglia

Una lettera su Palazzo Nervi, supermercati e altro...

IL PONTE è il giornale “quasibimestrale” della Parrocchia di Santa Monica, via Vado 9 – Torino

Sara Vecchioni - direttore responsabileEnrico Periolo e Carla Ponzio coordinano i lavoriCollaborano alla redazione Grazia Alciati, don Daniele D’Aria, Aldo Demartini, Roberto Di Lupo, Edoardo Fassio, Cinzia Lorenzetto, Marco Montaldo, Roberta Oliboni, Maria Teresa Varaldae… tutti coloro che vorranno farsi avanti.Tiratura 2700 copie, distribuzione gratuita.Videoimpaginazione e Stampa: la fotocomposizione - Torino

Il giornale viene distribuito gratuitamente a tutti i parrocchiani. Sono gradite le offerte di sostegno.

REGISTRAzIONE N. 5937 DEL 17-01-2006 AL TRIBUNALE DI TORINO

DispiaciutiNell’ultimo numero del giornaleuna “svista” ha fatto sì che nell’ar-ticolo del paginone sulla Miseri-cordia e Casa Miriam anziché lafirma di suor Adriana Bonardi ri-sultasse stampato il nome Ariana.Ci scusiamo molto e promettiamomaggiore attenzione.

-Non so se ha ancora sensoquesto mio scritto e se l’atteso

consenso al nuovo centro commer-ciale è già stato dato. Se così è tuttequelle firme raccolte tempo or sonocontro quello che doveva essere ilCortes Ingles, catena di supermercatispagnoli, non hanno raggiunto il loroscopo. Porte chiuse agli spagnoli,d’accordo, ma porte aperte ai soldonidegli emiri.500 nuove assunzioni, accidenti, mache ne sarà di quel tessuto di piccolinegozi del Lingotto, spesso a condu-zione familiare, quelli in cui noi anzia-ni, senza auto al nostro servizio, abbia-mo trovato ascolto e risposta ai nostribisogni? E i negozianti diventati nostriamici. Già patiscono la concorrenzadei supermercati esistenti, ci manca-vano solo i luccichii degli arabi.500 nuovi assunti (numeri ottenuticome?), ma quanti costretti a chiude-re le proprie attività! La cifra realenon è data dai neo-assunti, no, si ottie-ne sottraendo ad essa i neo-disoccu-pati, di cui alcuni sul lastrico, gente dicui nessuno si occuperà.

Il Lingotto è un quartiere che si sta spe-gnendo, come le luci delle insegne deisuoi negozi. Mi dicono che pure Otto-Gallery è in difficoltà e si parla di ces-sione del complesso. Peccato!Ma poi col Palazzo del Lavoro diven-tato ennesimo centro commercialetutto cambierà? Non credo proprio. Epoi si parla nell’articolo di nuove vieper le automobili, parcheggi e quan-t’altro in una città come Torino dovele scuole, il Liceo Gobetti ad esem-pio, cadono a pezzi e le buone inten-zioni dei presidi sono fermate da pa-stoie burocratiche o mancanza di fon-di. Si suppone che le transenne delValentino, a più di un anno dall’allu-vione, siano ancora lì per mancanza diquei fondi che magicamente si mate-rializzeranno per il supermercato. Eche dire poi della rotonda all’inizio dicorso Unità d’Italia, che accoglie chiarriva in città in tutto il suo spogliosquallore?Nel progetto che la signora Russo,con tono trionfale, pone alla nostra at-tenzione tuttavia una buona idea c’è:l’intenzione di dedicare una parte del-

la struttura ad un museo della scien-za. E se la cultura in questo progettoha da essere una destinazione soloparziale perché non trasferire la fa-coltà di medicina o quella di fisicanella parte della struttura destinataal commercio? Le attuali sedi di corso Massimod’Azeglio, che, viste da fuori, sonodatate e veramente bisognose di re-stauri, potrebbero essere vendute ecoprire, almeno in parte, il costo deltrasferimento. Sarebbe bello che le nuove stazionidella metro in piazza Bengasi potes-sero essere al servizio anche di stu-denti e non solo di compratori e clien-ti. La mia è un’idea come altre. È si-curo che non ce ne siano state altre?Oppure sono state opportunamente“silenziate”?

Maria OrigliaCarissima Maria, grazie del tuo scrit-to su un argomento che ha fatto, stafacendo e farà ancora tanto discutereperché le valutazioni al riguardo so-no molto diversificate. È sempre belloe democratico confrontarsi.

Da mesi in questa rubrica tutto può essere raccontato sui vostri viaggi: o dall’altra parte del mondo o semplicemente quelli fatti

in città. Quindi aspettiamo i vostri racconti (con foto) all’indirizzo e-mail [email protected] o in ufficio parrocchiale