In nome del Popolo Italiano LA CORTE DEI CONTI …...dall'interessato, a seconda delle singole...

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REPUBBLICA ITALIANA sent. 16/2014 In nome del Popolo Italiano LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE MOLISE IL GIUDICE UNICO PER LE PENSIONI In composizione monocratica nella persona del Consigliere dott. Massimo Gagliardi ha emanato la seguente : SENTENZA Sul ricorso iscritto al n. 3314 del registro di segreteria, del 25.3.13 dal signor C. C. nato il omissis a omissis, elettivamente domiciliato in Campobasso alla via Gorizia, 1 presso lo studio dell’Avv. Michele Fiorella e rappresentato e difeso nel presente giudizio, giusto mandato a margine dell’atto introduttivo, dall’Avv. Francesco Di Giovanni contro INPS ex gestione INPDAP – Sede provinciale di omissis, nella persona del Direttore della Sede e legale rappresentante pro-tempore; Avverso e per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del recupero di credito erariale sul trattamento pensionistico dell' istante a decorrere dal mese di agosto 2002. Udito alla pubblica udienza del 22.1.14, il Cons. Rel. dott. Massimo Gagliardi, l'Avv. Francesco Di Giovanni per il ricorrente. FATTO Risulta agli atti che con provvedimento prot. n° 00 10692 del 20/12/2012, successivamente trasmesso a mezzo raccomandata, l'Ufficio Provinciale di omissis dell'I.N.P.S.- Gestione ex I.N.P.D.A.P. comunicava al sig. C. l'accertamento di un debito di € 54.502,59, quali somme corrisposte e non dovute sulla partita di pensione iscriz. n. 60698734/R.

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REPUBBLICA ITALIANA sent. 16/2014

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE MOLISE

IL GIUDICE UNICO PER LE PENSIONI

In composizione monocratica nella persona del Consigliere dott. Massimo

Gagliardi

ha emanato la seguente :

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al n. 3314 del registro di segreteria, del 25.3.13 dal signor C. C. nato il

omissis a omissis, elettivamente domiciliato in Campobasso alla via Gorizia, 1 presso lo

studio dell’Avv. Michele Fiorella e rappresentato e difeso nel presente giudizio, giusto

mandato a margine dell’atto introduttivo, dall’Avv. Francesco Di Giovanni

contro

INPS ex gestione INPDAP – Sede provinciale di omissis, nella persona del Direttore della

Sede e legale rappresentante pro-tempore;

Avverso e per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del recupero di credito

erariale sul trattamento pensionistico dell' istante a decorrere dal mese di agosto 2002.

Udito alla pubblica udienza del 22.1.14, il Cons. Rel. dott. Massimo Gagliardi, l'Avv.

Francesco Di Giovanni per il ricorrente.

FATTO

Risulta agli atti che con provvedimento prot. n° 00 10692 del 20/12/2012, successivamente

trasmesso a mezzo raccomandata, l'Ufficio Provinciale di omissis dell'I.N.P.S.- Gestione

ex I.N.P.D.A.P. comunicava al sig. C. l'accertamento di un debito di € 54.502,59, quali

somme corrisposte e non dovute sulla partita di pensione iscriz. n. 60698734/R.

Il debito sarebbe scaturito dal fatto che la pensione di reversibilità intestata allo stesso,

revocata dal 01/09/2012, è stata erroneamente versata dall'Amministrazione dal

25/08/2002, data in cui il ricorrente ha contratto nuove nozze, omettendo di comunicare

tale circostanza

all'Istituto Previdenziale.

Contro tali determinazioni insorge il sig. C. C., rappresentato dall’Avv. Francesco Di

Giovanni con memoria di costituzione in giudizio depositata il 25.3.13, chiedendone

l’annullamento e la previa sospensione in quanto illegittime, per le seguenti considerazioni.

1. Conoscenza della variazione della situazione da parte dell'Amministrazione. Illegittimità

dell'azione di recupero.

Diversamente da quanto ritenuto dall'Amministrazione, la variazione della condizione

personale, richiesta dalla norma concernente il trattamento pensionistico di reversibilità,

era ben conosciuta dall'Amministrazione previdenziale.

Il sig. C. ha tenuto costantemente aggiornata l'Amministrazione previdenziale

dell'intervenuto coniugio, attraverso la documentazione reddituale che, predisposta

attraverso il C.A.F. di fiducia, è stata tempestivamente depositata presso

l'Amministrazione finanziaria, l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ovvero lo stesso

Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell'Amministrazione Pubblica -

I.N.P.D.A.P.

Con comunicazione all'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale del 06/01/2003, il sig.

C. informava della variazione del proprio nucleo familiare, in cui figura chiaramente il

nominativo “R. M.'', contraddistinto dalla lettera "M", da intendersi secondo la didascalia

del modello prestampato come "marito/ moglie" ;

sia il sig. C., sia il coniuge, sig.ra R. M., hanno depositato a mezzo C.A.F. i modelli

reddituali annuali, nei quali figurano chiaramente indicati i rispettivi codici fiscali e

l'indicazione della condizione di coniugio;

nella richiesta delle detrazioni di imposta relativa all'anno 2008, consegnata

all'I.N.P.D.A.P. a mezzo C.A.F., dopo aver indicato il proprio reddito per l'anno 2008,

specifica di avere diritto alle detrazioni di imposta per il coniuge, indicando con precisione

il nominativo della sig.ra R.;

a maggior ragione e con modalità da non lasciare dubbi sull'intervenuta conoscenza, ab

origine, della variazione della personale situazione del sig. C., si noti come a riscontro

della nota della sede provinciale dell'Istituto previdenziale del 10/08/2009, il sig. C.

consegnava sempre a mezzo del C.A.F. "CAF CISL SRL" (cui conferiva contestuale

mandato) il proprio modello CERT.RED/1, relativo ai redditi 2007 e 2008; orbene, come si

evince con chiarezza inequivoca, nel modello è chiaramente indicato stato civile

CONIUGATO/A variato dal 25/08/2002 (proprio il giorno delle seconde nozze celebrate dal

sig. C.).

La conoscenza della modifica dello stato civile del sig. C., da parte dell'Istituto

previdenziale, è certamente intervenuta tempestivamente in base a specifiche previsioni

normative, allorquando l'Ufficiale dello Stato Civile ha provveduto a quanto di propria

competenza, comunicando le intervenute nozze;

tale obbligo di informativa (art. 11 L. 05/05/1952, n. 521), il quale prevede che fermo

l'obbligo della comunicazione previsto dall'art. 23 del regio decreto 24 aprile 1927, n. 677,

per il decesso di pensionati o per il matrimonio di vedove od orfane pensionate, gli ufficiali

di stato civile e le autorità anagrafiche sono tenute a dare comunicazioni agli Uffici

provinciali del tesoro, anche della perdita della cittadinanza italiana e dell'acquisto di

cittadinanza straniera da parte dei titolari di pensioni o assegni continuativi, a carico del

bilancio dello Stato o delle Amministrazioni autonome, che risultino iscritti nei registri

anagrafici del Comune; l'art. 34 della L. 21/07/1965, n. 903, espressamente prevede che

ai fini del controllo dell'esistenza in vita dei pensionati e della conservazione dello stato di

vedova o di nubile nei casi previsti dalla legge, è istituita presso ciascun Comune

l'anagrafe dei pensionati dell'istituto nazionale della previdenza sociale. Per l'attuazione di

quanto disposto al comma precedente, l'istituto nazionale della previdenza sociale

comunica al Comune di residenza i nominativi dei beneficiari delle pensioni e l'Ufficio

anagrafe del Comune provvede ad informare l'Istituto nazionale della previdenza sociale

delle variazioni per matrimonio o morte; l'art. 31, comma XIX della L. 27/12/2002, n. 289,

prevede altresì che ai fini del controllo dell'esistenza in vita dei pensionati e della

conservazione dello stato di vedova o di nubile nei casi previsti dalla legge, è istituita

presso ciascun Comune l'anagrafe dei pensionati dell'istituto nazionale della previdenza

sociale.

Per l'attuazione di quanto disposto al comma precedente, l'istituto nazionale della

previdenza sociale comunica al Comune di residenza i nominativi dei beneficiari delle

pensioni e l'Ufficio anagrafe del Comune provvede ad informare l'Istituto nazionale della

previdenza sociale delle variazioni (per matrimonio o morte).

V’è da dire, altresì, che con decreto legge del 27.12.2000 n. 392, convertito con legge

28.2.2001 n. 26, è stato istituito (art. 2 quater) presso il Ministero dell'Interno, l'Indice

Nazionale delle Anagrafi (INA), per un migliore esercizio della funzione di vigilanza e di

gestione dei dati anagrafici.

Orbene, è evidente che la quotidiana interconnessione dell' Anagrafe Comunale di

Macchia di Isernia (Comune di residenza e di celebrazione delle seconde nozze del sig.

C.) esclude radicalmente la possibilità che l'Istituto previdenziale sia venuto a conoscenza

delle nuove nozze il 09/11/2012 (data in cui l'Ente dice di aver ricevuto il certificato di

matrimonio).

Tanto acclarato, è evidente che il procedimento di recupero attivato dall’Amministrazione

devia dai canoni normativi che tale ipotesi disciplinano; l'art. 208 del D.P.R. 29/12/1973, n.

1092, al comma III dispone che nel caso in cui, pur non essendo pervenuta

comunicazione da parte dell'interessato, risulti alla competente direzione provinciale del

tesoro che le condizioni richieste per il diritto alla pensione o all'assegno siano cessate, la

direzione provinciale stessa comunica all’ interessato, in via amministrativa, gli elementi in

suo possesso, per le eventuali deduzioni da presentarsi entro trenta giorni.

L'agire dell'Amministrazione si appalesa pertanto proceduralmente illegittimo e non

sorretto da coerenti valutazioni sulla doverosità dell'azione di recupero; l'assenza del

contraddittorio (espressamente previsto dalla Legge) sul punto, che avrebbe consentito

altresì di acclarare le condizioni di fatto sopra riportate, rende di per sé l'atto impugnato

illegittimo.

2. Consolidamento dell'affidamento nel percipiente in buona fede; irripetibilità delle

somme.

L'art. 2033 del codice civile (richiamato nella nota impugnata a giustificazione della

pretesa risarcitoria) disciplina il pagamento indebito, non supportato da idonea

giustificazione causale giuridicamente rilevante, accordando al solvens la ripetizione di

quanto pagato, indipendentemente da ogni altra considerazione relativa alla scusabilità

dell'errore ed alla buona fede dell'accipiens.

Nell'ambito previdenziale, invece, la giurisprudenza (ex plurimis Corte Conti, Sezioni

Riunite, n. 77/C dell'08.02.1989) ha introdotto, progressivamente, il principio della tutela

dell'affidamento ingenerato nel privato in buona fede dalla legittimità del provvedimento

pensionistico provvisorio adottato, da valutarsi in concreto, tenendo conto delle peculiarità

di ciascuna fattispecie. In particolare, nella recente sentenza 2/QM/2012, le Sezioni

Riunite della Corte hanno evidenziato che «il legittimo affidamento del percettore in buona

fede dell'indebito matura si consolida con il protrarsi nel tempo, ed è opponibile

dall'interessato, a seconda delle singole fattispecie, sia in sede amministrativa che

giudiziaria. Tale legittimo affidamento, caratterizzato dalla buona fede, va individuato

attraverso una serie di elementi oggettivi e soggettivi, quali:

a) il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali,

e comunque con riferimento al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre

fattispecie pensionistiche;

b) la rilevabilità in concreto, secondo l'ordinaria diligenza, dell'errore riferito alla maggior

somma erogata sul rateo di pensione (così, ad esempio, non sarà ravvisabile alcun

affidamento nella ipotesi in cui il rateo della pensione provvisoria sia addirittura maggiore

rispetto al rateo dello stipendio che l'interessato percepiva in servizio);

c) le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di

conoscenza, da parte dell’Amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la

liquidazione del trattamento definitivo, sì che possa escludersi che l'amministrazione fosse

già in possesso, ab origine, degli elementi necessari alla determinazione del trattamento

pensionistico.»

Nella presente fattispecie, ricorrono le condizioni sopra indicate per considerare legittimo

l'affidamento del pensionato: (i) tra l'adozione del provvedimento provvisorio e l'adozione

del provvedimento definitivo sono trascorsi circa undici anni; (ii) l'errore in cui era incorsa

l'Amministrazione (relativo alle modalità di calcolo del trattamento) era difficilmente

rilevabile, con l'ordinaria diligenza, da parte del pensionato; (iii) l'amministrazione

disponeva, comunque, sin dal 2002, degli elementi necessari per la determinazione del

trattamento pensionistico (ovvero per la riduzione/revoca).

Alla luce, pertanto, dei principi affermati dalle Sezioni riunite nella sentenza n.7/QM/2007,

come poi precisati dalla sentenza n. 2/QM/2012, deve ritenersi che nella presente

fattispecie «non può più effettuarsi il recupero dell'indebito, per il consolidarsi della

situazione esistente, fondato sull'affidamento riposto nell'Amministrazione» (Sezioni

riunite, 7/QM/2007).

L'assoluta assenza di dolo, confermata dalla pubblicità data dal sig. C. alla propria

condizione matrimoniale (come ampiamente dimostrato dalle comunicazione fiscali e

previdenziali, dalle comunicazioni del Comune e dai riscontri alle richieste dell'Inpdap sulla

propria situazione reddituale), unita alle assolte condizioni per l'irripetibilità come definite

dalla Corte in funzione nomofilattica, consentono di ritenere contra ius il provvedimento di

recupero di quanto ricevuto dal percipiente; si chiede pertanto che l'adita Corte dichiari

l'irripetibilità delle somme corrisposte e la conseguente declaratoria di illegittimità

dell'azione di recupero attivata dall’Amministrazione previdenziale.

3. Eccezione di prescrizione.

In subordine, nella denegata ipotesi in cui l'adita Corte non ravvisi i presupposti per la

declaratoria di infondatezza della pretesa restitutoria a seguito dell'adempimento

comunicativo ovvero del consolidamento dell'affidamento da parte del sig. C., si eccepisce

la prescrizione del diritto all'azione di recupero attivata dall’Amministrazione.

La piena conoscenza della nuova situazione del sig. C. (25/08/2002) da parte

dell'Amministrazione, unita alla assoluta e dimostrata assenza di dolo da parte del sig. C.,

ha consentito il decorso della prescrizione; risulta pertanto intempestiva, per il periodo

25/08/2002 - 25/08/2012, l'azione di recupero attivata dall’Amministrazione, con nota del

20/12/2012, in quanto il diritto risulta ampiamente prescritto.

Voglia pertanto l'adita Corte, accertato il maturarsi del termine di prescrizione, annullare gli

atti impugnati.

4. Riduzione dell'addebito.

Nella ipotesi in cui la Corte non ritenga condividere le suesposte difese, vorrà tener conto

della circostanza in base alla quale, nel caso di cessazione anticipata del diritto a

pensione di reversibilità da parte del sig. C., in ogni caso ci sarebbe stato un esborso a

carico dell’Amministrazione.

Come noto, dal 17 agosto 1995, in base all'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, a

tutti i dipendenti pubblici dello Stato o enti locali è stata estesa la disciplina di legge della

pensione ai superstiti, vigente presso l’INPS, in quanto precedentemente vigevano

disposizioni specifiche. Le categorie dei superstiti aventi diritto a pensione sono, tra l'altro:

- il coniuge, anche se separato legalmente o divorziato e titolare di assegno alimentare e

che non sia passato a nuove nozze.

- i figli: al riguardo si rammenta che l'art. 82 del TU n. 1092/1973 prevede che "Gli orfani

del dipendente civile o militare di cui al primo comma dell'art. 81 ovvero del pensionato

hanno diritto alla pensione di riversibilità; la pensione spetta anche agli orfani maggiorenni

inabili a proficuo lavoro o in età superiore a sessanta anni, conviventi a carico del

dipendente o del pensionato e nullatenenti. Ai fini del presente articolo sono equiparati ai

minorenni gli orfani maggiorenni iscritti ad università o ad istituti superiori equiparati, per

tutta la durata del corso legale degli studi e, comunque, non oltre il ventiseiesimo anno di

età [...]".

Le aliquote (rectius, le percentuali dell'importo di pensione) spettanti ai superstiti possono

riassumersi come segue: al solo coniuge il 60%; al solo orfano il 70%; al coniuge con un

orfano il 60% + 20% = 80%; al coniuge con due o più orfani il 60% + 20% + 20%... =

100%; a due orfani il 40% + 40% =80%; a tre o più orfani il 100%; ai genitori, fratelli o

sorelle il 15% ciascuno.

Orbene, con la prematura scomparsa della prima moglie il sig. C. ha dovuto da solo

assolvere i doveri genitoriali dei figli minori V. (nata il 29/12/1991) e M. (nato il

05/07/1993).

In base alla ripartizione della pensione ai superstiti sopra indicata, se in un primo momento

si aveva la seguente ripartizione, C. C. 60% + V. 20% + M. 20% = 100%, la perdita del

diritto da parte del sig. C. avrebbe comportato la seguente ripartizione, V. 40% + M. 40% =

80%; in ogni caso, essendo minori i due figli, il sig. C. avrebbe comunque avuto la

disponibilità di quella somma, nell'interesse dei figli (art. 316 e 320 c. c.).

Pertanto, ove la Corte reputi giustificata l'azione di recupero per l'an, ne andrà

ridimensionato al 20% il quantum, proprio in ragione della presenza di ulteriori superstiti

titolari del diritto; l'accrescimento legalmente previsto delle quote dei figli superstiti in caso

di recesso dal beneficio del sig. C. (indiscussa la finalità della pensione di reversibilità per

il nucleo familiare del de cuius a vantaggio del nucleo familiare superstite,

complessivamente inteso), neutralizza una cospicua parte della pretesa restitutoria

dell'Amministrazione.

Non solo. Come chiarito dalla stessa Amministrazione (informativa Inpdap -Direzione

Centrale Prestazioni Previdenziali - Ufficio Normativa n. 66 del 30/11/2001) per effetto

dell'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 è stata estesa alle pensioni del

settore pubblico la disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti in vigore

nel regime dell'AGO dell' INPS, compresa, quindi, anche la disposizione contenuta nell'art.

3 del D.L. Lgt. 18 gennaio 1945, n. 39, in base alla quale al coniuge che cessa dal diritto a

pensione per sopravvenuto matrimonio spetta un assegno una volta tanto pari a due

annualità della sua quota di pensione, comprensiva della tredicesima mensilità.

Dall'esame della norma in questione non si rinviene alcuna condizione temporale

derivante dalla data di decorrenza del trattamento pensionistico.

Quindi, considerando complessivamente oppure individualmente le due riduzioni

dall'addebito mosso al sig. C., ne andrà notevolmente ridimensionato l'ammontare, per

riduzione, al 20%, dal quale andrà ulteriormente defalcata la somma di 26 mensilità.

Tanto premesso in fatto ed in diritto, il sig. C. C., rappresentato e difeso come sopra,

chiede incidentalmente la sospensione dell'atto amministrativo di cui alla nota prot. n.

0010692 del 20/12/2012 e di ogni atto ad esso preordinato, con lo scopo di paralizzare

l'avvio dei procedimenti di recupero forzato delle somme per cui è causa.

Circa il fumus boni juris, si rinvia a quanto ampiamente dedotto in diritto, dal che deriva

una palese infondatezza della pretesa restitutoria attuata dall'Ente previdenziale.

In merito al periculum in mora, è evidente il danno grave ed irreparabile cui si esporrebbe

il ricorrente, titolare di uno stipendio di modesta entità e padre di tre figli, in caso di

attivazione di un procedimento esecutivo.

L'aumento vertiginoso dei prezzi, attestato da autorevoli organi dello Stato, è di per sé

incompatibile con ogni ipotesi di riduzione dei sussidi sociali predisposti a vantaggio della

fascia più debole della popolazione, già di per sé inidonei a far fronte alla quotidiane spese

di sostentamento.

In conclusione si chiede che venga:

1. sospeso l’atto impugnato di cui alla nota I.N.P.D.A.P. - sede provinciale di Isernia, prot.

n. 0010692 del 20/12/2012;

2. annullata l’anzidetta nota, nonché gli atti connessi e preordinati, siccome illegittimi;

3. in subordine, ridotto l'importo oggetto di restituzione;

4. condannata l’Amministrazione resistente alle spese, diritti ed onorali del presente

giudizio, ivi inclusa la fase cautelare.

Con memoria di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dell’INPS del 29.4.13 si evidenzia

quanto segue.

Le doglianze del ricorrente non fanno che confermare la legittimità dell'operato

dell’Amministrazione.

A pagina 2 del ricorso introduttivo, controparte sostiene che l’Amministrazione resistente

avrebbe avuto piena contezza del suo "status" di coniugato sin dal 2003.

Ora, se andiamo ad esaminare, una per una, tutte le prove addotte a

corredo di siffatta affermazione, non vi è chi non veda come esse siano labili ed

inconsistenti.

La comunicazione del 06.01.2003 pervenne all’INPS, e non all’INPDAP.

All'epoca i due Istituti previdenziali erano Enti Pubblici separati e distinti perché, come è

noto, solo dal 01.01.2012, l’INPDAP è confluito

nell’INPS.

Pertanto, quella comunicazione non giunse mai all'indirizzo dell'INPDAP di Isernia,

essendo diretta ad altra Amministrazione.

I modelli reddituali cui fa riferimento il ricorrente sono stati presentati a fini fiscali e quindi

per scopi diversi da quello di comunicare la cessazione delle condizioni per la pensione di

reversibilità.

Allo stesso modo, la richiesta di detrazioni d'imposta per l'anno 2008 fu presentata

all'INPDAP dal sig. C. per finalità tributarie e quindi per scopi diversi da quello di

comunicare la cessazione delle condizioni per la pensione di reversibilità.

Allo stesso modo, allorché il sig. C. fa riferimento, nel ricorso, alla presentazione

all’INPDAP dei modelli recanti l'indicazione dei redditi per gli anni 2007 e 2008, si tratta

evidentemente di un atto dovuto nei confronti dell'Istituto previdenziale che aveva avviato

la cosiddetta "Operazione RED”, ossia la verifica del cumulo di redditi ai fini

dell’abbattimento della reversibilità.

Il ricorrente aveva quindi presentato quei documenti solo per consentire l'avvio di una

procedura d’ufficio dall’Istituto, e non certo con l'intento di farsi revocare la pensione di

reversibilità.

In tutti questi casi, insomma, le comunicazioni fatte dal ricorrente all’INPDAP non avevano

lo scopo di consentire la revoca della pensione, al contrario, nel caso delle detrazioni di

imposta, il sig. C. intendeva ottenere un risultato opposto, quello di abbattere il prelievo

fiscale e conseguire un beneficio reddituale.

E' frutto poi di mera supposizione l'assunto del ricorrente secondo cui

l'INPDAP avrebbe appreso delle sue seconde nozze dall'Ufficiale dello Stato Civile. Si

tratta di mera ipotesi soggettiva non suffragata da alcuna prova documentale.

Come si tratta di mera elucubrazione, anzi è il frutto dì vera e propria costruzione

apodittica, l'affermazione secondo cui la quotidiana interconnessione dell’Anagrafe

Comunale con l’INPDAP dovrebbe escludere che l'Istituto previdenziale abbia appreso

delle nuove nozze solo in data 09.11.2012.

Ciò premesso, è chiaro che l'azione amministrativa di recupero avviata dall'Istituto è

pienamente legittima.

A tal proposito, va evidenziato che, a norma del combinato disposto degli artt. 30 legge

29.04.1976 B. 177 dell’art. 44, comma 3° del D.P.R . 08.07.1986 n. 429, il pensionato,

all'atto della concessione del trattamento di quiescenza, si impegna a dare comunicazione

all'Ente erogatore, con dichiarazione autografa, di qualsiasi causa comportante la

cessazione delle condizioni che hanno dato luogo all'attribuzione della pensione, nonché

di qualsiasi evento che importi variazione o cessazione della pensione ovvero

soppressione o riduzione degli assegni accessori.

Si tratta di un vero e proprio obbligo giuridico imposto dalla legge al beneficiario di

trattamenti erogati dallo Stato o da altri Enti pubblici.

Come già accennato, il contenuto delle difese del ricorrente confermano che il sig. C. non

ha mai inoltrato una formale comunicazione del venir meno delle condizioni per la

concessione del trattamento di quiescenza.

Le sentenze richiamate dal ricorrente a pagina 4 del ricorso non rilevano nel caso di

specie, perché riguardano il diverso caso del conguaglio tra pensione provvisoria e

definitiva. Nel caso di specie, stiamo trattando la fattispecie di revoca della pensione per il

venir meno delle condizioni soggettive del percipiente.

Assurdo è poi il richiamo al principio di affidamento, così come invocare l'apparenza del

diritto.

Se vi è stata una situazione di apparenza, questa è stata creata proprio dal ricorrente che

non ha mai comunicato le seconde nozze. Semmai è l’lNPDAP che ha fatto affidamento,

sbagliando, sulla correttezza del pensionato ed ha continuato ad erogare la pensione nella

convinzione che persistessero le condizioni giuridiche per la concessione. Esiste poi un

principio generale del diritto oggettivo secondo cui non può giovarsi di una situazione di

apparenza giuridica colui che vi ha dato causa con il proprio comportamento.

Ed è proprio quello che è avvenuto nel caso di specie, allorché si consideri che il sig. C.

non ha mai comunicato il venir meno delle condizioni per la concessione del trattamento di

quiescenza.

Il comportamento tenuto dall'INPDAP - ossia quello di aver pagato per anni la pensione

poi revocata - era facilmente percepibile dall'interessato come un errore, perché proprio il

C. aveva dato causa al consolidarsi di una situazione giuridica illegittima.

Il comportamento tenuto dall'INPDAP non ha poi alcuna rilevanza giuridica, perché l’art.

2033 cod. civ. dà rilievo ai soli stati soggettivi del percipiente e, per di più, al solo limitato

scopo di quantificare gli interessi sulle somme da restituire.

Di conseguenza, non può invocarsi il comportamento del "solvens" per escludere la

legittimità dell'azione di ripetizione di indebito in quanto, indipendentemente dagli stati

soggettivi del soggetto che paga, le somme indebitamente corrisposte vanno restituite

dall’accipiens con gli interessi legali.

Questo principio generale del codice civile trova applicazione anche in materia

pensionistica.

In particolare, l'art 206 del Testo Unico D.P.R. 29.12.1973 n. 1092 stabilisce che l'azione

di recupero non può mai essere esclusa allorché l'indebito sia dipeso dal dolo del

percipiente, e quindi da un comportamento tenuto dall' accipiens in danno del solvens.

Ed è quello che è avvenuto, appunto, nel caso di specie, se solo si consideri che il

ricorrente, per circa 10 anni, ha taciuto la sua condizione di coniugato, e nel corso di

questo periodo non si è mai preoccupato di inoltrare formale comunicazione delle nuove

nozze all’Amministrazione.

L'omissione del ricorrente, dolosa o colposa, non è privata di valenza giuridica per il solo

fatto che l’Amministrazione, per anni, non abbia mosso alcun rilevo o censura circa il diritto

al trattamento di quiescenza. Al contrario, l'omessa comunicazione del ricorrente, dolosa o

colposa che sia, è stata di per sé sufficiente a determinare un'apparenza giuridica creata

dal sig. C.,

La buona fede dell'Amministrazione è poi confermata dalla circostanza che, una volta resa

edotta del sopravvenire di fatti idonei a far venir meno il diritto a pensione, l’INPDAP si è

subito attivato per revocare il trattamento di quiescenza, a partire dal mese successivo a

quello in cui apprese la notizia.

L'eccezione di prescrizione non ha alcun fondamento giuridico.

L'art. 2935 cod. civ. stabilisce che la prescrizione decorre dai giorno in cui il diritto può

essere fatto valere.

E l'INPDAP poteva avviare un'azione di recupero solo dal momento in cui avesse preso

conoscenza del venir meno delle condizioni del diritto a pensione, ossia dal 09.11.2012,

allorché il Comune di residenza ha comunicato le nuove nozze rimettendo la relativa

certificazione. Trattandosi poi di azione di recupero ex art. 2033 cod. civ., la prescrizione

ordinaria è quella decennale, e poiché, con nota prot. n. 10692 del 20.12.2012 (ricevuta

dal C. il 31.12.2012), si è chiesta la restituzione dei ratei pensionistici corrisposti per il

periodo dal 01.09.2002 al 30.11.2012, al più potrebbero risultare prescritti i ratei di

settembre, ottobre novembre e dicembre 2002, ma non quelli successivi.

Non può farsi luogo ad alcuna riduzione del debito per l'esistenza di un eventuale contro-

credito degli orfani.

Infatti, l'azione di recupero riguarda la pensione concessa al sig. C. e non riguarda i diritti e

le ragioni dei figli rimasti orfani a suo carico.

Vi è quindi una ragione di inammissibilità dell'eccezione, perché il sig.

C. non ha legittimazione attiva ad avanzare pretese per conto dei figli che sono

maggiorenni.

E' quindi di ostacolo all'ingresso di siffatte doglianze una ragione di carattere processuale,

l'assenza di una legittimazione attiva del ricorrente, che oggi può agire solo per sé ma non

per i figli, salvo che costoro non gli avessero rilasciato procura speciale per fini sostanziali

e

processuali.

E, d'altra parte, non sono state documentate le ragioni da porre a fondamento delle

eccezioni, ossia non è stata provata la ricorrenza dei presupposti di legge per la

concessione della pensione agli orfani.

Riguardo ai presupposti della istanza di sospensione del provvedimento impugnato, non

se ne ravvedono assolutamente gli estremi.

Infatti, le circostanze dedotte dal ricorrente sono semplicemente pretestuose, non avendo

egli dimostrato che l'azione di recupero pregiudica le esigenze primarie ed alimentari

proprie e della prole.

Il ricorrente ha semplicemente dedotto argomentazioni generiche e fumose, senza entrare

nei particolari dei supposti fatti da cui deriverebbe l'aggravamento delle condizioni

economiche.

Non sono stati prodotti i cedolini stipendiali, né è stata introdotta documentazione idonea a

dimostrare le dedotte ristrettezze economiche e le paventate necessità familiari.

Tanto ciò premesso, l'I.N.P.S. (Gestione Dipendenti Pubblici), come sopra rappresentato,

difeso e domiciliato, con ogni e più ampia riserva di azione e ragione per ulteriori profili,

conclude perché "...Piaccia al Giudice Unico della Corte dei Conti , in rito, respingere

l'istanza di sospensione del provvedimento di debito impugnato, non sussistendo i

presupposti di legge;

nel merito,- a) rigettare il proposto ricorso e quindi accertare la legittimità dell'azione di

recupero dell'INPS (Gestione Dipendenti Pubblici) nei confronti del sig. C. C., con ogni

conseguenza di legge; - b) respingere la subordinata domanda di riduzione dell'importo

del credito restitutorio preteso dell’INPS (Gestione Dipendenti Pubblici), siccome

inammissibile, improponibile e comunque infondata; - c) condannare il ricorrente alla

refusione delle spese del giudizio.

In sede di udienza camerale del 7.5.13, l’Avv. Di Giovanni per il ricorrente preliminarmente

eccepiva la tardività nel deposito della memoria defensionale dell’INPS ; nel merito, nel

riportarsi ai propri scritti difensivi insisteva per la concessione dell’invocata sospensione

cautelare. L’Avv.to Carlo Landolfi per l’INPS si opponeva alla predetta eccezione di

tardività di deposito della memoria di parte per l’insussistenza di termine decadenziale in

presenza di procedimento cautelare; nel merito ribadiva che nel caso di specie è mancata

del tutto ogni comunicazione del C. all’amministrazione relativamente al mantenimento

del proprio status coniugale (intervenuta vedovanza) e dunque non sussisteva alcuna

possibile tutela dell’affidamento a suo favore.

In ordine infine ad ogni altra questione giuridica inerente i figli della parte attrice e a

supposte pretese compensative di questi ultimi, il C. era del tutto privo di legittimazione

attiva.

Insisteva conseguentemente per il rigetto della pretesa.

Ciò premesso con ordinanza di questo G.U. n. 024/2013 del 7.5.13 ferma e impregiudicata

restando la pronuncia definitiva sul merito del gravame, da una sommaria deliberazione

delle argomentazioni in fatto e in diritto prospettate dai ricorrenti, si è ritenuto che non

sussistesse nel caso di specie il presupposto del” fumus boni juris ” richiesto ai fini della

concessione del provvedimento cautelare invocato dal ricorrente.

Con nuova memoria defensionale depositata il 30.7.13 dall’avv.to F. Di Giovanni per il

ricorrente nel riportarsi a quanto ampiamente esposto nel ricorso introduttivo, la Difesa

ritiene dover ulteriormente precisare quanto appresso, onde appalesare l'infondatezza e

illegittimità dell'azione di recupero attivata dall'Amministrazione resistente.

Preliminarmente formula:

1. Richiesta di sospensione del giudizio in attesa dell’esito del giudizio penale.

Sui medesimi fatti, ed in particolare sulla presunta omessa comunicazione del nuovo stato

coniugale, su segnalazione dell'Amministrazione odierna resistente, pende procedimento

penale presso il Tribunale di Isernia (fascicolo contraddistinto dal n. Proc. Pen. n. 78/13

R.G. mod. 21).

Nel merito rileva che la violazione art. 208 D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092.

L'azione di recupero attivata dall'Amministrazione è stata intrapresa in violazione delle

norme sul procedimento espressamente dedicate al caso di specie; l'art. 208 Perdita del

diritto alla pensione di reversibilità del vigente Testo Unico delle Pensioni D.P.R.

1092/1973, al comma III dispone che nel caso in cui, pur non essendo pervenuta

comunicazione da parte dell'interessato, risulti alla competente direzione provinciale del

tesoro (ora anche INPS - Gestione ex Inpdap) che le condizioni richieste per il diritto alla

pensione o all'assegno siano cessate, la direzione provinciale stessa comunica

all'interessato, in via amministrativa, gli elementi in suo possesso, ver le eventuali

deduzioni da presentarsi entro trenta giorni.

La norma suddetta è preposta alla salvaguardia di esigenze partecipative al procedimento

amministrativo, che impongono lo svolgimento in contraddittorio dell'accertamento delle

cause di decadenza dai benefici pensionistici.

E' noto come al modello classico fondato sulla unilateralità nell'esercizio del potere

amministrativo, la legislazione amministrativa prima settoriale poi generale abbia introdotto

il principio del "giusto procedimento", non senza inserire con l'art 111. 241/90 l'innovativo

principio della generale negoziabilità se non del potere amministrativo discrezionale, delle

relative "modalità di esercizio".

Si insiste ulteriormente sulla assenza di dolo del percipiente delle somme in contestazione

e sulla contestuale buona fede del sig. Cicchini; la copiosa documentazione versata in atti

dimostra in ogni caso l'intento del ricorrente di esternare la propria situazione di coniugio,

sin dalla prima dichiarazione fiscale.

Tutte le comunicazioni, ivi incluse quelle specificamente sollecitate dall'Amministrazione

resistente sui dati reddituali dell'anno precedente, dimostrano la più pacifica intenzione del

sig. C. di esibire alla Pubblica Amministrazione il proprio stato coniugale.

In punto di legittimazione attiva al riguardo, si noti come quanto percepito dal sig. C. è

stato almeno in parte qua riscosso in quanto coniuge superstite in presenza di due figli

minori e per costoro utilizzato (punto sicuramente non in contestazione). Pertanto, delle

due l'una:

- o l'Amministrazione Previdenziale, nel procedere alla ripetizione di quanto presume

indebito, non ha tenuto contro di dette quote ed ha intrapreso un recupero "al buio" nei soli

confronti del sig. C., procedendo per l'intero, in ciò compromettendo irrimediabilmente i

caratteri della certezza e liquidità del credito;

- oppure deve riconoscersi la legittimazione attiva ed ogni più ampio diritto di difesa del

sig. C., unico colpito dal provvedimento, ad eccepire tale compensazione nel giudizio

restitutorio.

Vale a dire che se la pretesa restitutoria è stata attivata esclusivamente nei confronti del

sig. C. (il quale ha beneficiato della somma anche nell'interesse pacifico degli orfani

minori), a maggior ragione il ricorrente deve poter articolare nelle proprie difese fatti

modificativi, impeditivi ed estintivi della pretesa dell'Istituto.

Pertanto, ove la Corte reputi giustificata l'azione di recupero per l'an, ne andrà

ridimensionato nella misura di legge il quantum, proprio in ragione della presenza di

ulteriori superstiti titolari del diritto; l'accrescimento legalmente previsto delle quote dei figli

superstiti in caso di recesso dal beneficio del sig. C. (indiscussa la finalità della pensione

di reversibilità per il nucleo familiare del de cuius a vantaggio del nucleo familiare

superstite, complessivamente inteso), neutralizza una cospicua parte della pretesa

restitutoria dell'Amministrazione.

Si insiste, altresì, per l'ulteriore riduzione delle 26 mensilità dovute per effetto dell'art.1,

comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, con il quale è stata estesa alle pensioni del

settore pubblico la disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti in vigore

nel regime dell'AGO dell' INPS, compresa, quindi, anche la disposizione contenuta nell'art.

3 del D.L. Lgt. 18 gennaio 1945, n. 39, in base alla quale al coniuge che cessa dal diritto a

pensione per sopravvenuto matrimonio spetta un assegno una volta tanto pari a due

annualità della sua quota di pensione, comprensiva della tredicesima mensilità.

Si insiste pertanto per l'integrale accoglimento dell'originario ricorso.

Con memoria defensionale depositata l’Avvocatura INPS il 13.1.14 si evidenzia quanto

segue.

Il ricorrente ha prodotto in giudizio il decreto di archiviazione del GIP di Isernia, che ha

disposto di non dover procedere nei confronti del sig. C. per il reato di truffa aggravata (art.

640 cpc).

La Procura di Isernia aveva motivato la richiesta di archiviazione con la circostanza che,

già in data 06.01.2003 il ricorrente aveva notiziato l'Istituto Previdenziale di essere

convolato a nozze con tale R. M..

IL GIP di omissis ha pedissequamente seguito il suggerimento della Procura arrivando al

decreto di archiviazione, contro il quale alcuno si opposto.

Certamente non sfuggirà al Giudicante, che la comunicazione del gennaio 2003 era stata

trasmessa all'INPS e non all'INPDAP.

All'epoca dei fatti - lo abbiamo già detto in fase di costituzione - INPS e INPDAP erano due

Enti Pubblici separati e distinti, e solo con la Riforma Fornero (D.L. 06.12.2011 n. 201)

l'INPDAP è stato soppresso per confluire nell'INPS.

A questo punto è evidente l'errore in cui è incorsa la Procura di Isernia e poi il GIP del

Tribunale: senza adeguatamente soffermarsi sulla

stringente circostanza, Procura e GIP hanno dimenticato di considerare che INPS e

INPDAP, all'epoca della comunicazione del gennaio 2003, erano Enti diversi e separati.

Probabilmente la Procura di Isernia ha fatto questa considerazione: la parte offesa è

l'INPS di Isernia (così si legge nel capo di imputazione), la querela è stata presentata

dall'INPS di Isernia, l'Ente che aveva ricevuto la comunicazione è l'INPS di Isernia, ergo

l'INPS di Isernia sapeva già dal 2003 del nuovo matrimonio.

La comunicazione del 06.01.2003 pervenne all'INPS, e non all'INPDAP. All'epoca i due

Istituti previdenziali erano Enti Pubblici separati e distinti perché, come è noto, solo dal

01.01.2012 l'INPDAP è confluito nell'INPS.

E' evidente, in conclusione, che il decreto di archiviazione non può aver alcuna influenza

nel presente giudizio, in quanto erroneo.

In punto di fatto, al sig. C. C., a seguito di domanda pervenuta alla sede INPDAP

competente in data 16.11.2001, venne concessa la pensione ordinaria indiretta con

iscrizione n. 60698734/R, giusta determinazione INPDAP Isernia n. IS001/2001/000232

del 28.11.2001, a decorrere dal 01.12.2001, e nella qualità di coniuge supersite di D. F. F.,

deceduta in attività di servizio in data omissis.

Successivamente, da un controllo effettuato in occasione di un'istanza presentata dal

ricorrente in data 16.10.2012 - per il rilascio di un attestato circa le modalità di riscossione

della pensione di reversibilità comprensiva della quota degli orfani per il periodo dal 2001

al 06.07.2011 • ed in particolare dal certificato pervenuto all'INPDAP di Isernia in data

09.11.2012 da parte del Comune di omissis, è risultato che il sig. C., in data 25.08.2002,

aveva contratto nuovo matrimonio con tale R. M., nata a omissis il omissis. Di

conseguenza, la sede INPDAP di omissis, in data 13.11.2012, ha provveduto a

sospendere il trattamento pensionistico al sig. C., con decorrenza 01.12.2012, essendo

cessate le condizioni soggettive previste per il conferimento del diritto al trattamento di

quiescenza, a norma degli artt. 81, comma 7° e 86 c omma 2° del Testo Unico D.P.R.

29.12.1973 n. 1092, disponendo altresì il recupero, nei confronti del ricorrente, della

somma di €. 54.502,59, quali somme corrisposte in più e non dovute sulla pensione con

iscrizione n. 60698734/R per il periodo dal 01.09.2002 al 30.11.2012.

La comunicazione del 06.01.2003 pervenne all'INPS, e non all'INPDAP.

All'epoca i due Istituti previdenziali erano Enti Pubblici separati e distinti perché,

come è noto, solo dal 01.01.2012 l'INPDAP è confluito nell'INPS.

Pertanto, quella comunicazione non giunse mai all'indirizzo dell'INPDAP di Isernia,

essendo diretta ad altra Amministrazione.

I modelli reddituali cui fa riferimento il ricorrente sono stati presentati a fini fiscali e quindi

per scopi diversi da quello di comunicare la cessazione delle condizioni per la pensione di

reversibilità.

Allo stesso modo, la richiesta di detrazioni d'imposta per l'anno 2008 fu presentata

all'INPDAP dal sig. C. per finalità tributarie e quindi per scopi diversi da quello di

comunicare la cessazione delle condizioni per la pensione di reversibilità.

Allo stesso modo, allorché il sig. C. fa riferimento, nel ricorso, alla presentazione

all'INPDAP dei modelli recanti l'indicazione dei redditi per gli anni 2007 e 2008, si tratta

evidentemente di un atto dovuto nei confronti dell'Istituto previdenziale che aveva avviato

la cosiddetta "Operazione RED” ossia la verifica del cumulo di redditi ai fini

dell'abbattimento della reversibilità.

II ricorrente aveva quindi presentato quei documenti solo per consentire l'avvio di una

procedura d'ufficio dall'Istituto e non certo con l'intento di farsi revocare la pensione di

reversibilità.

In tutti questi casi, insomma, le comunicazioni fatte dal ricorrente all'INPDAP non avevano

lo scopo di consentire la revoca della pensione, al contrario, nel caso delle detrazioni di

imposta, il sig. C. intendeva ottenere un risultato opposto, quello di abbattere il prelievo

fiscale e conseguire un beneficio reddituale.

Ciò premesso, è chiaro che l'azione amministrativa di recupero avviata dall'Istituto è

pienamente legittima.

A tal proposito, va evidenziato che, a norma del combinato disposto degli artt. 30 legge

29.04.1976 n. 177 e dell'art. 44, comma 3° del D.P. R. 08.07.1986 n. 429, il pensionato,

all'atto della concessione del trattamento di quiescenza, si impegna a dare comunicazione

all'Ente erogatore, con dichiarazione autografa, di qualsiasi causa comportante la

cessazione delle condizioni che hanno dato luogo all'attribuzione della pensione, nonché

di qualsiasi evento che importi variazione o cessazione della pensione ovvero

soppressione o riduzione degli assegni accessori.

Si tratta di un vero e proprio obbligo giuridico imposto dalla legge al beneficiario di

trattamenti erogati dallo Stato o da altri Enti pubblici. Come accennato, già il contenuto

delle difese del ricorrente confermano che il sig. C. non ha mai inoltrato una formale

comunicazione del venir meno delle condizioni per la concessione del trattamento di

quiescenza.

Infatti, in tutti i casi richiamati dal ricorrente a pagg. 2 e 3 del ricorso, le comunicazioni e

l'inoltro dei documenti erano avvenuti per fini diversi da quelli inerenti la pensione

concessa. Abbiamo dimostrato che tutte quelle comunicazioni erano avvenute per fini

fiscali o addirittura per ottenere detrazioni d'imposta, ossia per finalità opposte a quella di

farsi revocare la pensione.

Insomma, all'INPDAP di Isernia non è mai giunta una formale comunicazione del

mutamento delle condizioni personali con contestuale richiesta di revoca della propria

pensione. Anzi, il ricorrente, lungi dal

volere siffatte conseguenze giuridiche, nel 2008 ha fatto istanza di detrazione

d'imposta proprio per ottenere un vantaggio reddituale.

Di conseguenza, non può invocarsi il comportamento del "solvens" per escludere la

legittimità dell'azione di ripetizione di indebito in quanto, indipendentemente dagli stati

soggettivi del soggetto che paga, le somme indebitamente corrisposte vanno restituite

dall'accipiens con gli interessi legali.

Questo principio generale del codice civile trova applicazione anche in materia

pensionistica.

In particolare, l'art 206 del Testo Unico D.P.R. 29.12.1973 n. 1092

stabilisce che l'azione di recupero non può mai essere esclusa allorché l'indebito sia

dipeso dal dolo del percipiente, e quindi da un comportamento tenuto dall'accipiens in

danno del solvens.

Ed è quello che è avvenuto, appunto, nel caso di specie, se sol si consideri che il

ricorrente, per circa 10 anni, ha taciuto la sua condizione di coniugato, e nel corso di

questo periodo non si è mai preoccupato di inoltrare formale comunicazione delle nuove

nozze all'Amministrazione. L'omissione del ricorrente, dolosa o colposa, non è privata di

valenza giuridica per il solo fatto che l'Amministrazione, per anni, non abbia mosso alcun

rilevo o censura circa il diritto al trattamento di quiescenza. Al contrario, l'omessa

comunicazione del ricorrente, dolosa o colposa che sia, è stata di per sé sufficiente a

determinare un'apparenza giuridica creata dal sig. C..

L'eccezione di prescrizione non ha alcun fondamento giuridico.

L'art. 2935 cod. civ. stabilisce che la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può

essere fatto valere.

E l'INPDAP poteva avviare un'azione di recupero solo dal momento in cui avesse preso

conoscenza del venir meno delle condizioni del diritto a pensione, ossia dal 09.11.2012,

allorché il Comune di residenza ha comunicato le nuove nozze rimettendo la relativa

certificazione.

Trattandosi poi di azione di recupero ex art. 2033 cod. civ., la prescrizione ordinaria è

quella decennale, e poiché, con nota prot. n. 10692 del 20.12.2012 (ricevuta dal C. il

31.12.2012), si è chiesta la restituzione dei ratei pensionistici corrisposti per il periodo dal

01.09.2002 al 30.11.2012, al più potrebbero risultare prescritti i ratei di settembre, ottobre

novembre e dicembre 2002, ma non quelli successivi.

Non può farsi luogo ad alcuna riduzione del debito per l'esistenza di un eventuale contro-

credito degli orfani.

Infatti, l'azione di recupero riguarda la pensione concessa al sig. C. e non riguarda i diritti e

le ragioni dei figli rimasti orfani a suo carico.

Vi è quindi una ragione di inammissibilità dell'eccezione, perché il sig.

C. non ha legittimazione attiva ad avanzare pretese per conto dei figli, che sono

maggiorenni.

E' quindi di ostacolo all'ingresso di siffatte doglianze una ragione di carattere processuale,

l'assenza di una legittimazione attiva del ricorrente, che oggi può agire solo per sé ma non

per i figli, salvo che costoro non gli avessero rilasciato procura speciale per fini sostanziali

e

processuali.

E, d'altra parte, non sono state documentate le ragioni da porre a fondamento delle

eccezioni, ossia non è stata provata la ricorrenza dei presupposti di legge per la

concessione della pensione agli orfani.

Tanto ciò premesso, l'I.N.P.S. (Gestione Dipendenti Pubblici), come sopra rappresentato,

difeso e domiciliato, con ogni e più ampia riserva di azione e ragione per ulteriori profili,

conclude perché "...Piaccia al Giudice Unico della Corte dei Conti sezione giurisdizionale

per il Molise in Campobasso, in funzione di Giudice delle pensioni dei pubblici dipendenti,

disattesa ogni contraria istanza, deduzione, produzione e richiesta,

nel merito, - a) rigettare il proposto ricorso e quindi accertare la legittimità dell'azione di

recupero dell'INPS (Gestione Dipendenti Pubblici) nei confronti del sig. C. C., con ogni

conseguenza di legge; - b) respingere la subordinata domanda di riduzione dell'importo

del credito restitutorio preteso dell'INPS (Gestione Dipendenti Pubblici), siccome

inammissibile, improponibile e comunque infondata; -c) condannare il ricorrente alla

refusione delle spese del giudizio.

Con nuova nota defensionale dell’Avv.to F. Di Giovanni depositata il 14.1.14, si eccepisce

l’infondatezza della memoria defensionale dell’Avvocatura INPS del 13.1.14 osservando

che la stessa appare essere una mera opposizione al decreto motivato di archiviazione del

GIP di Isernia, sui generis.

La Corte dei Conti è una sede incompetente sia per materia sia per giurisdizione ad

accogliere tale opposizione ed a valutarne il contenuto trattandosi, peraltro, di un

provvedimento definitivo che costituisce giudicato.

Per mero tuziorismo difensivo è infondata la circostanza dì cui a pag, 3 della memoria di

ctp quando ricostruisce le operazioni seguite dalla Procura.

Nulla di più inesatto: è sufficiente leggere la richiesta di archiviazione del P.M. di Isernia

(ed il relativo decreto del GIP) unitamente alla denuncia del 03.01.13 sporta dall’INPS -

Gestione ex INPDAP (nella persona del direttore della sede) per rendersi conto che tutto

quanto riportato nello stesso decreto riguarda INPS - Gestione ex INPDAP (in altri

termini l'articolazione provinciale dell'INPDAP assorbita da quella dell'INPS).

Si insiste pertanto per l'integrale accoglimento dell'originario ricorso.

In sede di udienza dibattimentale l’Avv.F. Di Giovanni per il ricorrente si riporta al ricorso

introduttivo e alle memorie defensionali successive ed insiste per l’accoglimento.

DIRITTO

La pretesa attorea è giuridicamente infondata e come tale deve essere respinta.

Questo G.U. ritiene pertanto di dover richiamare integralmente le motivazioni contenute

nella sopramenzionata ordinanza n. 024/2013, di cui in narrativa.

A tale riguardo nella predetta statuizione si era ritenuto necessario richiamare la recente

sentenza delle SS.RR. della Corte dei Conti n. 2/2012/QM, inerente la problematica

relativa alla ripetibilità o meno di indebito corrisposto a titolo di trattamento pensionistico

provvisorio.

Che il predetto autorevole orientamento giurisprudenziale ha sancito che il recupero

dell’indebito così formatosi può avvenire, in ipotesi, nel caso in cui sia riscontrabile

l’assenza di una situazione di legittimo affidamento del pensionato volto al consolidamento

del vantaggio economico conseguito a suo tempo e rivelatosi, in seguito indebito.

Nel caso di specie non può ritenersi sussistere un legittimo e ragionevole stato di fiducia

del ricorrente in ordine al permanere delle condizioni di legge che avevano dato luogo, a

suo tempo, al conferimento della pensione di riversibilità.

In buona sostanza, non appare configurabile una condizione di ”apparentia iuris” in

presenza di fatti divergenti dalla loro effettiva sostanza e di cui il pensionato non poteva

non avere piena contezza .

Il presupposto stesso del trattamento di reversibilità, ex art. 81 DPR 1092/73, invocato ab

origine, da parte attrice e per il quale lo stesso aveva redatto esplicita istanza , era stato

evidentemente e pienamente compreso nella sua chiara portata applicativa e dunque

ricorreva integralmente a suo carico l’onere di accertare e riscontrare, secondo l’ordinaria

diligenza, il palese errore riferito alla maggiore somma erogata sul rateo di pensione, a

suo esclusivo e indebito vantaggio.

Non è pertanto in alcun modo invocabile da parte del ricorrente una condizione di

“ignoranza inevitabile”, in ipotesi evincibile solo in caso di eccessiva complessità (e/o

contraddittorietà) della norma applicativa (cfr. Cass. sent. n.5361/84 “l’errore

nell’interpretazione della legge può essere considerato eccezionalmente scusabile, solo se

riconducibile ad una oggettiva oscurità della norma violata”).

E’, del pari, incontrovertibile che neppure può farsi richiamo al principio: ” Ignorantia facti

excusat, ignorantia iuris non excusat”, atteso che parte attrice, avendo a suo tempo,

invocato l’applicazione del trattamento di reversibilità, legato alla condizione di vedovanza,

non poteva non avvedersi che l’intervenuta condizione matrimoniale avrebbe di fatto e di

diritto, interrotto il beneficio pensionistico e questo anche indipendentemente dal

tempestivo riscontro dell’amministrazione erogatrice (peraltro mai informata direttamente

delle condizioni soggettive del ricorrente).

Conseguentemente, decade la sollevata eccezione di prescrizione del ricorrente, atteso

che il decorso del relativo termine può avvenire solo a condizione che il diritto possa

essere fatto valere in concreto, essendo, nel caso di specie, incolpevole l’ignoranza da

parte dell’INPDAP del mutamento soggettivo intervenuto (stato coniugale) e riconducibile,

piuttosto, integralmente alla condotta del ricorrente.

Ciò premesso, le argomentazioni defensionali addotte da parte attrice nelle memorie

depositate il 30.7.13 e 14.1.14 sono inidonee a supportare la pretesa sostanziale e a

modificare il predetto provvedimento.

Infatti l’asserita, preventiva comunicazione all’interessato in via amm.va da parte della P.A.

ex L.241/90,delle ragioni ostative al conferimento del diritto alla pensione di riversibilità

(onde consentire l’accertamento in contraddittorio delle cause di decadenza dei benefici

pensionistici) non possono trovare accoglimento nella presente fattispecie, ove appare,

indubbia e incontestata l’intervenuta carenza di un presupposto legittimante il beneficio

pensionistico (la condizione di vedovanza), non emendabile né, in alcun modo,

superabile(nell’ambito di un procedimento in contraddittorio) e del quale, quanto meno per

inescusabile negligenza, parte attrice non poteva non essere edotta e consapevole.

A tale riguardo non riveste rilievo alcuno nel presente giudizio (se non nella prospettazione

dell’esclusione del dolo nell’accipiens), la circostanza rappresentata dell’avvenuta

archiviazione disposta, nel caso in esame, da parte del GIP di Isernia, atteso che resta

intatto, a parere di questo G.U., la negligenza inescusabile dell’attore che non avrebbe

dovuto, per molti anni, ritenersi legittimato al trattamento pensionistico concesso, anche

laddove tale condotta sia stata motivata da mera ignoranza, in tale caso inescusabile.

In ordine ai supposti vantaggi economici acquisiti dall’Amm.ne pubblica, in parziale

compensazione dell’ingiustificato maggior esborso di che trattasi, in ragione della

presenza di ulteriori superstiti titolari del diritto (quote dei figli superstiti in caso di recesso

dal beneficio del sig. Cicchini), questa circostanza configura una distinta e del tutto

autonoma pretesa riconducibile al solo titolare della pretesa, beneficiario della provvidenza

economica e legittimato a promuovere l’azione processuale a tutela delle proprie ragioni.

Del pari, ogni altra questione inerente le modalità di commisurazione del trattamento

pensionistico a favore dei superstiti ex art. 3 del D.L. Lgt. N. 39/45, circostanza questa che

parte attrice invoca per conseguire un ulteriore riduzione del “quantum debeatur”, risulta

estranea alla questione dedotta in giudizio, introduce una diversa pretesa che non

necessariamente può ricondursi alla fase di recupero coattivo in corso di esecuzione,

questione quest’ultima per la quale era stato proposto l’originale ricorso.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la R egione Molise

Definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione,

respinge il ricorso in epigrafe, consolida gli effetti discendenti dalla richiamata ordinanza n.

024/2013 di questa Sezione e pertanto ribadisce la legittimità dell’azione di recupero

dell’INPS a decorrere, come indicato dalla stessa parte convenuta, dall’1.1.2003.

Respinge la subordinata domanda di riduzione dell’importo del credito da opporre in

compensazione in quanto inammissibile.

Spese compensate.

Cosi’ deciso in Campobasso, nella udienza del 22 gennaio 2014.

Il Giudice Unico delle pensioni

(Cons. Massimo Gagliardi)

Depositata in segreteria il giorno 6/2/2014

IL RESPONSABILE DELLA SEGRETERIA