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In copertina: Particolare di urna cineraria con decorazione incisa e due coppe a basso piede tronco-conico dalla tomba XXIV della necropoli di Valtravaglia. Fine Golasecca I C – inizi II A (circa 600 a.C.). Como, Museo Archeologico Paolo Giovio (fotografia Franco Orsi)

Il territorio diVarese

in età preistoricae protostorica

Progetto diretto e coordinato daMaurizio Harari

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Coordinamento editoriale Sara Fontana

Art direction e progetto graficoFranco Orsi by Advanced Agency

RedazioneClaudia Biraghi, Sara Fontana, Gian Paolo G. Scharf, Andrea Terreni

© 2017 Nomos Edizioni, Busto ArsizioISBN 978-88-98249-91-6

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libropuò essere riprodotta o trasmessain qualsiasi forma o con qualsiasimezzo elettronico, meccanico o altrosenza l’autorizzazione scrittadei proprietari dei diritti e degli autori.

Nomos Edizioni S.a.s.via Piave, 15 - 21052 Busto Arsizio (VA)t +39 0331.382339 f +39 [email protected]

INTERNATIONAL RESEARCH CENTER FOR LOCAL HISTORIES AND CULTURAL DIVERSITIES

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sommarioXI

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Nota del curatore

Periodizzazioni e abbreviazioni

Capitolo IArcheologia, genti e territorio Angelo M. ArdovinoMinistero dei Beni e delle attività culturali e del turismo Capitolo IIStoria delle ricerche paletnologiche nel territorio di VareseMark PearceUniversità di Nottingham

Capitolo IIIIl contesto paleoambientale Lanfredo CastellettiLaboratorio di Archeobiologia dei Musei Civici di Como Sila Motella De CarloUniversità Cattolica del Sacro Cuore

Capitolo IVIl più antico popolamento umano: Paleolitico e Mesolitico Elisabetta StarniniUniversità degli Studi di Torino

Capitolo VIl Neolitico nel territorio di Varese Daria G. BanchieriCentro di Studi Preistorici e Archeologici di Varese

Capitolo VIL’Eneolitico e l’età del BronzoRaffaele C. de MarinisUniversità degli Studi di Milano

Isolino Virginia: dati dall’area sud-est dell’abitatoDaria G. BanchieriCentro di Studi Preistorici e Archeologici di Varese

Capitolo VIIGli insediamenti palafitticoli del lago di Monate. Il contributo della dendrocronologia allo studio dell’antica e media età del BronzoNicoletta MartinelliLaboratorio Dendrodata di Verona

Capitolo VIIILa prima età del FerroRaffaele C. de MarinisUniversità degli Studi di Milano

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Capitolo IXNascita dell’Insubria. Le fonti letterarie Maurizio HarariUniversità degli Studi di Pavia

Capitolo XLa seconda età del Ferro nel territorio di VareseMichela RuffaSiMUL (Sistema Museale Urbano Lecchese) - Museo Archeologico

Capitolo XIL’interfaccia orientale della cultura di GolaseccaPaolo RondiniUniversità degli Studi di Pavia

Capitolo XIIL’interfaccia meridionale della cultura di Golasecca, fra Celti e LiguriSilvia PaltineriUniversità degli Studi di Padova

Capitolo XIIIL’interfaccia occidentale: il centro protourbano di Castelletto Ticino e la prima diffusione della scrittura nella cultura di GolaseccaFilippo M. GambariMuseo delle Civiltà di Roma

Capitolo XIVEpigrafia e linguistica preromana Aldo Luigi Prosdocimi †Università degli Studi di Padova

Patrizia SolinasUniversità degli Studi di Venezia

Capitolo XVInsubri: i documenti epigrafici Alessandro MorandiIstituto di Studi Romani

Capitolo XVILa monetazione preromana Ermanno A. ArslanAccademia dei Lincei

Bibliografia generale

Referenze iconografiche e autorizzazioni

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Se si vuole tracciare una storia degli studi di paletnologia nel territorio dell’attuale provincia di Varese, è necessario tenere in mente alcuni fattori che hanno avuto un peso rilevante sullo sviluppo della disciplina in zona.In primo luogo, e a differenza di altre città lombarde come Como o Milano, la città di Varese non occupa il sito di un municipio o altro insediamento significativo di età romana da cui ereditare monumenti importanti che siano in grado di condizionare l’urbanistica e la vita della città odierna (questo ovviamente non vuol dire che monumenti di epoca classica non sono presenti sul territorio: basti pensare ad Angera). È stato infatti più volte rimarcato nelle storie degli studi come la mancanza di monumenti vistosi di età antica, o addirittura di un passato romano tout court, sia stata di stimolo per lo sviluppo dello studio di altre epoche quali la preistoria o l’alto Medioevo. Non è quindi un caso che la paletnologia moderna nasca nell’Ottocento al di fuori dei confini dell’impero romano, in Danimarca e Svezia1, dove i monumenti del passato non potevano essere facilmente spiegati con lo studio filologico della letteratura antica. In Inghilterra, che al contrario aveva fatto parte dell’impero romano, lo sviluppo degli studi riflette aspetti di classe2: mentre l’aristocrazia e la grande borghesia potevano permettersi di effettuare il Grand Tour, ed addirittura di fare acquisti di arte antica in loco3, i ceti agiati ma meno privilegiati si accontentavano dei monumenti del passato patrio, che potevano essere sì di epoca romana, ma ancora di più erano quelli del passato più remoto, cioè preistorico. Per integrare le poche notizie desumibili dalle fonti antiche, quali il De Bello Gallico di Giulio Cesare o l’Agricola di Tacito, si sviluppa quindi in Inghilterra una metodologia topografica di studio accurato del monumento, che non è più accessorio ad illustrazione del discorso dell’autore classico, ma diventa oggetto di studio in sé stesso4. Lo sviluppo degli studi di paletnologia in territorio varesino, pur con tempi diversi, riflette in un certo qual modo questo iter.La seconda considerazione da tenere presente riguarda lo status politico-amministrativo di Va-rese. La città è notoriamente di confine, con i vantaggi e gli svantaggi che ciò comporta: ai mar-gini con la Svizzera, ma anche, fino al 1859, al confine dell’Impero austro-ungarico presso la frontiera con lo stato piemontese. Dopo la for-mazione dello stato unitario italiano, inoltre, Va-

rese fa parte della provincia di Como fino al 19275, e questa dipendenza amministrativa è ri-specchiata da un’altra sua caratteristica, cioè quella di essere fin dal Settecento luogo di villeg-giatura dei milanesi6. Ma non si tratta soltanto di un fenomeno economico: per Cantarelli “la sto-ria dell’epigrafia e dell’archeologia varesina è stata per molti secoli (e per certi aspetti tuttora [...]) principalmente storia di spoliazioni [...] at-tuate particolarmente da Milanesi (per i quali il Varesotto è stato per molti secoli una specie di enorme contado), ma anche da Comaschi”7. Questa situazione di “inferiorità” è in parte ri-specchiata nella storia degli studi paletnologici (come testimonia la presenza di materiali varesi-ni nelle raccolte museali milanesi e comasche), ma in un certo senso, sebbene paradossalmente, costituisce un vantaggio: in mancanza di monu-menti di epoca romana a causa delle depredazio-ni verso la metropoli e Como, viene a mancare la “distrazione” portata dal loro bagaglio culturale di cimelio aulico, concentrando così sulla prei-storia le energie degli studiosi.

Gli esordi della ricerca paletnologica. Le palafitteIl territorio varesino gioca un ruolo di primo piano nella fase inaugurale degli studi paletnolo-gici in Italia. È convenzione nelle storie degli studi datare la nascita della disciplina al 1860-1861, in pieno fervore risorgimentale, con la scoperta della palafitta di Mercurago (Arona, NO) e la visita a Parma, alla ricerca di materiale di confronto, di Bartolomeo Gastaldi (1818-1879), allora professore di geologia alla Scuola di Applicazione degli Ingegneri di Torino8. Le ri-cerche del Gastaldi hanno un’ispirazione preci-sa: l’inverno del 1853-1854 era stato eccezional-mente secco, ed a causa dell’abbassamento del livello dei laghi in Svizzera erano emerse a Meilen sul lago di Zurigo delle palificazioni, se-gnalate da Johannes Aeppli a Ferdinand Keller, che le interpretò (con un’analogia etnografica con villaggi della Nuova Guinea e della Nuova Zelanda) come resti di abitazioni costruite su di un impalcato aereo sopra le acque del lago9. Siti analoghi non hanno tardato ad emergere in altri laghi svizzeri, e le scoperte hanno un’immediata eco sulla stampa italiana: il giornalista Gabriele Rosa (1812-1897) suggerisce ne “Il Crepuscolo” di cercare siti palafitticoli nei laghi italiani10. Per una fortunata coincidenza siamo nell’epoca in cui viene introdotto l’impiego della torba a scopi

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Capitolo

II

Storia delle ricerche paletnologiche nel territorio di Varese

Mark Pearce

1. Il lago di Varese con l'Isolino Virginia(fotografia Franco Orsi)

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agricoli ed industriali (rispettivamente come concime e combustibile), con lo sfruttamento dei depositi torbosi11 ed i conseguenti ritrovamenti paletnologici: nel 1856 i fratelli Antonio e Gio-vanni Battista Villa pubblicano materiali preisto-rici rinvenuti nella torbiera di Bosisio Parini (LC) ed Angelo Quaglia inizia a raccogliere ma-teriali rinvenuti nelle torbiere a sud del suo pae-se, Cazzago Brabbia12.Nel frattempo Édouard Desor (1811-1882), professore di geologia a Neuchâtel in Svizzera, aveva cominciato nel 1856 a cercare palafitte nel lago di Neuchâtel; nel maggio 1860 esplora le sponde meridionali del lago Maggiore assieme

con Bartolomeo Gastaldi, che come abbiamo visto era professore di geologia a Torino e pertanto collega del Desor. Le loro ricerche non hanno esito immediato, ma sempre nel 1860 il professor Giovanni Moro di Arona (NO), che coltivava la torbiera di Mercurago per ricavare combustibile, segnala una palafitta al Gastaldi, il quale ne dà notizia su “Il Nuovo Cimento”13. Nel luglio dello stesso anno ad una seduta della Società Italiana di Scienze Naturali a Milano viene letta una lettera di Gabriel de Mortillet (1821-1898) – futuro conservatore del Musée

des Antiquités Nationales di Saint-Germain-en-Laye in Francia ma in quel periodo rifugiato politico in Svizzera – il quale suggerisce che sulla base di quanto emerso nei laghi elvetici si dovrebbero ritrovare abitati lacustri anche nei laghi lombardi14.Le previsioni di de Mortillet erano accurate. Il 25 aprile 1863 de Mortillet e Desor assistono a Milano ad una seduta della Società Italiana di Scienze Naturali, di cui erano soci corrispondenti: alla riunione viene deciso di esplorare il lago di Varese alla ricerca di palafitte e Desor e de Mortillet partono due giorni dopo alla volta del lago in compagnia di Antonio Stoppani e di un

pescatore svizzero, tale Benz, un esperto in ricerche subacquee che aveva già lavorato con Desor. Già il giorno seguente i ricercatori ritrovano la palafitta dell’Isolino (figg. 1, 2) e quella di Bodio, mentre le ricerche intraprese dallo Stoppani presso i laghi di Monate (il 28 stesso) e Comabbio (il giorno seguente) non danno frutti15.Le indagini sistematiche cominciano quell’au-tunno: lo Stoppani insieme ad Emilio Cornalia (1824-1882), allora direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, esplora i laghi varesini

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2. L’Isolino Virginia (fotografia Mark Pearce)

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durante il mese di ottobre, individuando sei sta-zioni; intanto l’ingegnere Giuseppe Quaglia (fra-tello di Angelo) draga il lago di Varese alla ricer-ca di materiale e nel novembre il direttore del Reale Museo di Artiglieria di Torino, Angelo Angelucci, indaga le palafitte di Bodio e di Bar-dello. Nel medesimo anno l’abate Giovanni Ran-chet individua due palafitte presso il torrente Bardello, l’emissario del lago di Varese16.Il decennio successivo vede una stagione di ulteriori ritrovamenti17 e l’avvento delle prime pubblicazioni scientifiche. A confronto con la situazione odierna italiana, dove i paletnologi sono in maggioranza di preparazione umanistica (e spesso si laureano in corsi con una forte componente di lettere antiche), colpisce il fatto che la maggior parte dei pionieri della disciplina abbiano una formazione scientifica (molti sono docenti universitari di scienze naturali o geologiche) o per lo meno siano cultori della materia, spesso iscritti alla Società Italiana di Scienze Naturali di Milano. Marcel Desittere ha calcolato che circa un terzo di quelli che hanno pubblicato su argomento paletnologico negli anni tra il 1850 e il 1865 e di cui si conosce la professione sono scienziati18. Questo fenomeno riflette in parte la diffusione delle idee positivistiche – per cui la scienza era equiparabile con il progresso – tra gli intellettuali ed i ceti emergenti dell’Italia settentrionale19. Ma forse più importante ancora era la convinzione diffusa che la ricerca nei siti preistorici poteva contribuire alla risoluzione del dibattito intorno all’antichità della specie umana e alla sua origine, argomenti di grande attualità all’epoca. Infatti è nel 1859, presso la Society of Antiquaries di Londra, che viene stabilito e generalmente accettato che l’Uomo avesse convissuto con specie animali fossili ora estinte, e cioè che non poteva essere stato creato soltanto circa 6.000 anni addietro (secondo le stime più accreditate del periodo)20. È dello stesso anno la pubblicazione di On the Origin of Species di Charles Darwin, il cui impatto è stato immenso: ad esempio il 12 dicembre 1863, sul giornale di Modena “Il Panaro”, il professore di storia naturale all’ateneo modenese Giovanni Canestrini commenta che i risultati delle ricerche nei laghi e nelle torbiere potranno fornire “o un potente appoggio od una confutazione della grandiosa teoria di Darwin sulla genesi delle specie”21. Sarà a cura dello stesso Canestrini e di Leonardo Salimbene che uscirà la prima traduzione in italiano dell’opera

di Darwin, pubblicata a Modena nel 1864. Anche se il libro di Darwin non parla esplicitamente delle origini della nostra specie (è del 1871 il suo Descent of Man), il significato delle sue teorie certo non eludeva i suoi contemporanei – nel 1863 T.H. Huxley pubblica Man’s Place in Nature, e nel gennaio 1864 Filippo De Filippi, professore di zoologia all’Università di Torino, tiene una conferenza dal titolo significativo L’Uomo e le scimmie22.Le idee di Darwin hanno dato (e danno ancora) luogo a discussioni accese, specialmente in ambito religioso, ma è utile ricordare il ruolo importante giocato da sacerdoti cattolici nello sviluppo degli studi paletnologici. Fra questi ricordiamo l’abate Giovanni Ranchet, che come abbiamo visto era fra i pionieri a lavorare sul lago di Varese e che ha anche fatto scoperte nei laghi di Monate e di Comabbio23, don Gaetano Chierici, pioniere della paletnologia a Reggio Emilia, dove ha fondato il Museo Civico, e considerato da Renato Peroni “la personalità scientifica più alta di quella generazione”24, ed infine l’abate Antonio Stoppani, ritenuto il padre della geologia in Italia (si veda la scheda di approfondimento)25. Questi religiosi, spesso di vedute liberali (lo Stoppani partecipa in prima persona alle Cinque Giornate di Milano), si inseriscono a pieno titolo nei fermenti intellettuali del periodo risorgimentale.

Il Verbano. La cultura di GolaseccaLa scoperta della cultura protostorica di Golasecca merita un discorso a parte, che inizia con la pubblicazione a Milano nel 1824 dell’opera di Giovanni Battista Giani, Battaglia del Ticino tra Annibale e Scipione ossia scoperta del campo di P.C. Scipione, delle vestigia del ponte sul Ticino, del sito della battaglia e delle tombe de’ Romani e de’ Galli in essa periti26. L’autore, che aveva scavato molte tombe, ha senz’altro sbagliato nell’interpretarle come testimonianze della battaglia del Ticino – un’operazione tipica dell’approccio antiquario, che cerca di leggere i dati archeologici alla luce delle fonti antiche – ma ha attirato l’attenzione sulle necropoli concentrate nella zona tra Sesto Calende e Golasecca. Nella seconda metà dell’Ottocento si formano varie raccolte archeologiche private, tra cui la collezione del marchese Carlo Ermes Visconti e quella del marchese Guido Dalla Rosa27. La raccolta Visconti era stata vista da Gabriel de Mortillet, il quale nel 1865 visita la

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zona per raccogliere reperti per il Museo di Saint-Germain-en-Laye, e per studiare i materiali e i monumenti, come i recinti funerari del Monsorino, dandone un resoconto nel suo Le signe de la Croix avant le Christianisme (Parigi 1866)28.Nel marzo del 1867 viene alla luce nel fondo la Castiona la cosiddetta prima Tomba del Guerriero di Sesto Calende, con un ricco corredo golasecchiano. La scoperta gode di molta eco sulla stampa, compreso il settimanale “Cronaca Varesina”, attraendo l’attenzione della Consulta archeologica di Milano (istituita nel 1862, le sue responsabilità comprendevano gli scavi, i restauri ed il Museo Patrio di Archeologia, presso il palazzo di Brera a Milano29) la quale dà incarico ad Alfonso Garovaglio (1820-1905), protagonista della paletnologia comense e uno dei fondatori della “Rivista archeologica della provincia di Como”, di provvedere all’acquisto del corredo, che egli conclude dopo una complicata trattativa30.

La seconda fase. Il consolidamento della disciplinaA livello politico il decennio 1859-1870 è, com’è ben noto, assai convulso, e vede l’unificazione della penisola italiana nel giovane stato unitario, culminante nel 1870 con la breccia di Porta Pia e la presa di Roma. Lo stesso periodo vede la diffusione della paletnologia nelle province nuove, con uno sviluppo che forse aveva anche scopi politici, tra i quali sicuramente non marginale era la battaglia ideologica con il Vaticano31.Nel 1871 si tiene a Bologna il V Congresso Internazionale di Antropologia e Archeologia Preistoriche, che mobilita tutta la comunità paletnologica italiana e segna la creazione di una comunità scientifica nazionale, le cui conoscenze sono acquisite anche dalla comunità scientifica a livello europeo32. In occasione del Congresso viene organizzata una grande mostra di materiale paletnologico proveniente da più di cinquanta raccolte pubbliche e private: l’Esposizione Nazionale di Antropologia e di Archeologia preistoriche. I pezzi in mostra, che illustrano la preistoria italiana, provengono da tutto il territorio nazionale e l’intento non è soltanto scientifico: l’esposizione viene infatti organizzata con il concorso finanziario di ben due ministeri, quello della Pubblica Istruzione e quello per l’Agricoltura e il Commercio, a celebrazione

della nuova unità del paese.Nello stesso periodo si tiene a Varese un Congresso Generale con annessa un’Esposizione Agricola-Industriale, organizzata dalla Società Agricola di Lombardia. L’allora presidente del Tribunale, Andrea Apostolo, promuove una sezione speciale in cui vengono esposte raccolte di materiale preistorico ed archeologico; tra esse la collezione di Benesperando Quaglia (comprendente anche dei remi in legno emersi dalla torbiera Bardello), insignita con una medaglia d’oro, e la raccolta di suo cugino, Angelo Quaglia di Cazzago Brabbia, che viene premiata con una medaglia d’argento33.La mostra riscuote un tale successo che viene prorogata per permettere ai congressisti di Bolo-gna di visitarla, ed Andrea Apostolo, cogliendo l’entusiasmo generale in ambito cittadino, con-voca un gruppo di studiosi (tra cui Emilio Cor-nalia, direttore del Museo Civico di Storia Natu-rale di Milano e presidente della Società Italiana di Scienze Naturali, ed Alfonso Garovaglio) e personaggi di rilievo politico per promuovere l’istituzione di una Società del Museo Patrio, che si costituisce il 16 ottobre 187134. Nasce così il predecessore del Museo Civico. Questo evento, di tipo istituzionale, è importante in quanto rap-presenta la fondazione di un ente di ricerca che, come vedremo più innanzi, sarà presente costan-temente sul territorio, pur con vari gradi di effi-cacia. Costituisce inoltre un momento di spro-vincializzazione – la sussidiarietà amministrativa della città, non ancora provincia fino al 1927, viene meno a livello scientifico e il museo può fungere come polo di attrazione per raccolte e materiali archeologici altrimenti destinati ai mu-sei milanesi o comaschi. Le donazioni infatti non tardano ad arrivare, come ad esempio le raccolte di Benesperando Quaglia, quella del professor Leopoldo Maggi (materiale della Valcuvia) e il materiale rinvenuto dall’abate Giovanni Ranchet nel lago di Varese35.Il Museo Patrio consta di tre sezioni: 1) Archeo-logia e Storia, 2) Storia naturale e 3) Arti e Lette-re. È interessante notare che Leopoldo Maggi, membro della Società del Museo Patrio e docen-te di mineralogia e geologia all’Università di Pa-via, suggerisce di collocare i materiali paletnolo-gici nella sezione di Storia naturale, con la quale egli vede un’affinità più grande che con l’Arche-ologia classica36.Gli anni Settanta dell’Ottocento vedono l’affer-marsi di Pompeo Castelfranco (1843-1921) negli

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3. Il lago di Varese e la palafitta Ponti di Cazzago Brabbia (da Regazzoni, L’Uomo preistorico, tav. I). In alto, Planimetria del lago di Varese con localizzazione delle palafitte: A, palafitta Keller, o del Gaggio; B, palafitta di Bodio, o centrale; C, palafitta Desor, o del Maresco; D-D1, palafitta Ponti, o di Cazzago Brabbia; E, palafitta dell’Isolino (Isola Camilla), lato sud-est; E1, palafitta dell’Isolino (Isola Camilla), lato nord-ovest; F, palafitta Ranchet, presso Bardello; G, palafitta Stoppani, presso Bardello; H, palafitta della torbiera della Brabbia; I, palafitta sulla sponda occidentale del lago di Biandronno. In basso, Planimetria della stazione Ponti presso Cazzago Brabbia: A, palafitta maggiore; B, palafitta minore; C, contorno delle due palafitte corrispondente ai pali; D, spiaggia sabbiosa; E, terreno coltivato; F, gruppi di canne. N.B. Lo Strobel (Sunto critico, nota 7, p. 142) precisa che la direzione della freccia che indica nord nella planimetria della palafitta Ponti è errata

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studi di paletnologia (per la sua figura si veda la scheda di approfondimento); considerato il pa-dre della paletnologia in Lombardia e Piemonte, a partire dal 1872-1873 è impegnato nello scavo di tombe della prima età del Ferro nella zona di Castelletto Ticino - Sesto Calende - Golasecca. Nel 1874 è a Stoccolma, per il Congresso Inter-nazionale di Antropologia e Archeologia Preisto-riche, dove presenta una memoria sul sepolcreto di Golasecca. Già nel 1876 pubblica la sua cro-nologia delle tombe della cultura di Golasecca, un’applicazione molto precoce del metodo tipo-logico degli svedesi Hans Hildebrand e Oscar Montelius, presentato per la prima volta alla co-munità scientifica internazionale in occasione del Convegno di Bologna del 187137.Sia Castelfranco che il medico comasco Innocenzo Regazzoni (1823-1899)38 sono protagonisti della seconda fase di ricerche sistematiche nelle palafitte varesine grazie anche al mecenatismo illuminato del marchese Andrea Ponti, da poco diventato il proprietario del lago di Varese e dell’Isolino. Nel 1875 il Regazzoni scava presso Bodio; nel 1877-1878 continua le ricerche con una sovvenzione da parte del marchese Ponti, scoprendo la palafitta di Cazzago (fig. 3)39. Nel 1878 pubblica L’uomo preistorico

nella provincia di Como40, una sintesi che parla soprattutto delle palafitte varesine (allora in provincia di Como, per l’appunto) e che mostra un’attenzione particolare per l’iconografia dei materiali41. Intanto i fratelli Antonio e Napoleone Borghi raccolgono materiale dai laghi di Monate e di Comabbio, di loro proprietà; alla morte di Antonio nel 1877, il fratello incarica il Castelfranco di continuare le indagini nelle palafitte dei due laghi42. Nella primavera del 1878 l’inglese Walter K. Foster scava al centro dell’Isolino allo scopo di verificare se l’isola fosse di origine artificiale, come suggerito originariamente dal Desor43: secondo il Regazzoni44 questa indagine è ispirata da una nota di John Lee che si trova nella seconda edizione ampliata della sua traduzione inglese dell’opera di Ferdinand Keller, The Lake Dwellings of Switzerland and other Parts of Europe (1878), dove Lee dice “this appears to be very doubtful, at any rate to those who have not seen the locality, but it seems to me that a very slight examination of the place would soon prove whether there is any truth in the hypothesis” (“ciò [l’ipotesi che l’Isolino sia artificiale] appare molto dubbio, almeno a coloro che non hanno visto il posto, ma a me pare che anche un esame

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4. Lapide posta sulla Villa Ponti all’Isolino che commemora sia la visita della Società Italiana di Scienze Naturali il 26 settem-bre 1878 che il nuovo nome dato all’Isola (fotografia Mark Pearce)

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superficiale del luogo vaglierebbe velocemente la giustizia dell’ipotesi”)45. Foster apre vari saggi46, rinvenendo palificazioni in ogni trincea e confermando così l’ipotesi del Desor. Gli scavi del Foster vengono ripresi da Regazzoni, Garovaglio e Ranchet, sempre promossi e sovvenzionati dal Ponti47. In considerazione dell’importanza delle nuove scoperte, la Società Italiana di Scienze Naturali tiene la sua riunione straordinaria a Varese nel settembre dello stesso anno. I partecipanti al Congresso vanno in gita all’Isolino il 26 settembre per visitare lo scavo e il Museo dei proprietari ospitato nella loro villa; vengono ricevuti con un banchetto offerto da Andrea Ponti, ed è in questa occasione che l’isola viene ribattezzata “Virginia” in onore della moglie del marchese, con un voto all’unanimità dei congressisti (fig. 4)48! A livello scientifico il Convegno è importante per un dibattito acceso che vede Castelfranco presentare le sue ricerche presso le palafitte di Monate e Varano, entrando in veemente contrasto (i suoi modi infatti erano a volte polemici) con le idee di Stoppani, Marinoni49, Ranchet e soprattutto Regazzoni50. Per il Castelfranco – che seguiva le teorie di Luigi Pigorini (1842-1925; professore di paletnologia a Roma, Pigorini ormai dominava la disciplina in Italia, sommando alla cattedra la direzione del Museo paletnologico di Roma e la condirezione del “Bullettino di Paletnologia italiana”) secondo il quale le palafitte sono coeve alle terremare dell’Emilia – le palafitte dei laghi varesini, allo stesso modo delle terremare dell’Emilia, cominciano nell’età del Bronzo, mentre per il Regazzoni, che come Ranchet presenta le sue ricerche sull’Isolino, la frequentazione degli abitati lacustri inizia già nel Neolitico. Anche se ora sappiamo che per quanto riguarda l’Isolino il Castelfranco aveva torto, le sue osservazioni su quanto finora era emerso erano metodologicamente corrette51. Nel 1879 gli scavi continuano all’Isolino a cura di Ettore Ponti, figlio del proprietario.

La Lagozza di BesnateIl sito preistorico nel piccolo bacino torboso della Lagozza, presso la frazione di Centenate di Besnate, è stato scoperto nel 1877 durante lavori di sfruttamento della torba, e nel 1879 il proprietario, il conte Carlo O. Cornaggia Castiglioni, dona al Museo Civico di Como dei reperti emersi durante i lavori di estrazione. Nel 1880 i lavori raggiungono il centro del bacino e

nel marzo il Regazzoni fa un sopralluogo, pubblicando una nota sul “Bullettino di Paletnologia italiana”; seguono scavi a cura del Castelfranco e di Regazzoni52. Vale la pena sottolineare l’attenzione del Castelfranco per i dati paleoambientali: egli preleva dalla torbiera dodici campioni paleobotanici che vengono determinati da Ferdinando Sordelli53, una pratica che diverrà comune sugli scavi archeologici soltanto dopo la seconda guerra mondiale.I materiali rinvenuti presso la palafitta hanno avuto una storia assai complessa; la raccolta Cornaggia Castiglioni è stata in parte donata al Museo di Como, come accennato sopra, mentre il resto, inizialmente conservato nel Museo Civico di Storia Naturale di Milano, si trova ora nel Museo del Castello Sforzesco. Il materiale degli scavi Castelfranco si trova pure al Museo del Castello Sforzesco di Milano, assieme alla maggior parte della sua collezione archeologica, mentre i reperti recuperati dal Regazzoni si trovano presso il Museo di Como. Infine, nel 1953 Ottavio Cornaggia Castiglioni (1907-1979), nipote di Carlo, scava nel sito; i materiali risultanti sono conservati al Museo Civico di Storia Naturale di Milano54.Sulla base delle sue osservazioni, il Castelfranco considera il sito della Lagozza come il più antico degli abitati lacustri varesini, in quanto mancano i manufatti in bronzo e le punte di freccia peduncolate con alette e ritocco bifacciale, comuni invece presso le altre palafitte varesine databili all’età del Bronzo; egli nota inoltre che lo strato archeologico è sigillato da uno strato di torba, per cui i reperti non sono stati inquinati da materiale più recente55. La definizione di una cultura di Lagozza, facies del Tardo Neolitico, è del 1939-1940 e si deve a Pia Laviosa Zambotti (1898-1965)56.

Il tardo Ottocento. Inventario e sintesiDurante gli anni Ottanta dell’Ottocento l’enfasi degli studi cambia, e da ricerca primaria, costituita sia da scavi che da recupero di materiali, si passa al riordino delle raccolte e alla redazione di lavori di sintesi.Nel 1884 il Regazzoni è incaricato di riordinare le raccolte della famiglia Ponti nel loro Museo sull’Isolino, dove ormai occupano due stanze del primo piano della villa. Nel 1886 egli pubblica un resoconto, Il museo preistorico Ponti all’Isola Virginia57. Fra il 1886 e il 1889 Castelfranco scrive una serie di articoli in francese (allora la

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lingua più diffusa fra le persone colte e comunque una in cui era ben versato grazie alla madre francese) dal titolo Paléoethnologie italienne per la “Revue d’Anthropologie”, in cui fornisce uno status quaestionum sulla ricerca paletnologica in Italia: secondo il de Marinis costituisce “un vero e proprio piccolo manuale di preistoria italiana”58. Nel 1890 esce la monografia di Robert Munro, The Lake-Dwellings of Europe, con un capitolo dedicato alle palafitte ed alle terremare italiane59, “ove trovasi riassunto tutto ciò che di importante si riferisce all’Isola Virginia” secondo il Castelfranco60. Il Castelfranco stesso torna sull’argomento nel 189461; nel 1895 viene infine pubblicato il primo volume della sintesi di Oscar Montelius, La civilisation primitive en Italie, che espone un campione dei materiali dell’Italia settentrionale, con tavole e bibliografia, e propone una cronologia sistematica.Nel 1890 la raccolta archeologica dell’avvocato Gottardo Delfinoni, con materiali provenienti da Golasecca e Castelletto Ticino (NO), viene donata al comune di Milano dalla sua vedova, la quale propone che sia ordinata ed allestita da Castelfranco nel Museo Patrio di Milano. Sempre nell’ambito delle civiche raccolte milanesi, nel 1904 egli riordina le raccolte paletnologiche dopo il loro trasferimento dal Museo Patrio di Brera e dal Museo Civico di Storia Naturale, al Museo del Castello Sforzesco, un lavoro che conclude nel 1906. Nel 1910, in seguito alla cessione al Museo della sua raccolta privata e della biblioteca, Castelfranco cura l’allestimento e la sua integrazione nelle raccolte, terminando nel 191262.Altre raccolte paletnologiche vengono accolte in collezioni pubbliche durante questa fase: nel 1891 quella del Regazzoni va al Museo Civico di Como, mentre la collezione dell’ingegnere Giuseppe Quaglia viene donata al Museo Nazionale preistorico ed etnografico di Roma, diretto dal Pigorini, e parte della raccolta Castelfranco (materiale delle palafitte di Bodio, di Gaggio-Keller – comune di Bodio – e della Lagozza) passa nel 1894 al Museo di Antichità di Torino63.Nel 1891 la Società del Museo Patrio di Varese viene sciolta e il Museo diventa civico, con lo storico Luigi Borri nominato conservatore. Il nuovo Statuto del Museo mette in risalto la sua funzione didattica, con apertura alle scuole64.

Il primo Novecento. L’inversione idealistaNel 1902, grazie alla sponsorizzazione del senatore Ettore Ponti, che aveva ereditato il lago e l’Isolino da suo padre, il Castelfranco riprende gli scavi al lago di Varese, prima a Bodio e poi all’Isolino. Mentre le ricerche dei pionieri erano volte al recupero di informazioni e del materiale, le indagini del Castelfranco sono molto importanti in quanto si tratta di ricerca scientifica nel senso proprio di una ricerca mirata a risolvere un problema: in questo caso quello di localizzare le necropoli pertinenti alle palafitte, che

Castelfranco, sulla base dell’analogia con le terremare emiliane dell’età del Bronzo, riteneva dovessero essere a cremazione65. Egli non raggiunge questo scopo, ma nel 1904 viene incaricato dal Ponti di riordinare il Museo. Dall’allestimento in due sale del Regazzoni passiamo a quattro, e Castelfranco apre un piccolo scavo sull’Isolino, trovando un ripostiglio di cinque asce. La stratigrafia dello scavo viene esposta nel Museo, a dimostrazione dell’attenzione prestata dal Castelfranco alla documentazione puntuale dei dati di scavo66. Castelfranco è impegnato nel riordino del Museo Ponti dal 1905 al 1910, e ottiene dal senatore l’incarico e i mezzi per preparare un catalogo

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5. Frontespizio del volume: CastelfRanCo, Cimeli del Museo Ponti nell’Isola Virginia, Milano, Alfieri & Lacroix, 1913

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delle raccolte che esce nel 1913, corredato da ventuno tavole fotografiche: Cimeli del Museo Ponti nell’Isola Virginia (fig. 5)67. In questo lavoro, mettendo a confronto i materiali rinvenuti presso le varie stazioni del lago di Varese, egli rivede la sua posizione riguardo alla palafitta dell’Isolino, ammettendo un’età vicina a quella dell’abitato della Lagozza68. Inoltre, il catalogo illustra ossa e corna di animali rinvenute durante gli scavi, dedicando loro ben cinque delle tavole (nn. XVII-XXI), a testimonianza dell’apertura naturalistica che segnava l’attività scientifica del Castelfranco, nonché della sua comprensione dell’importanza assunta da questa classe di evidenze per la ricostruzione dell’economia e delle condizioni di vita nella preistoria.Castelfranco insegna lingua e letteratura francese, ma non avendo mai avuto un incarico universitario di paletnologia, non ha quindi avuto scuola69. A Pavia intanto è stato chiamato come professore all’Università Giovanni Patroni (1869-1951), diventato poi anche Soprintendente archeologico (dal 1905 al 1924); nel 1927 egli passa all’Università statale di Milano di nuova istituzione. Patroni collabora con Castelfranco allo scavo della palafitta di Castellaro del Vhò (Piadena, CR)70 ma, a differenza del suo collega

più anziano, si convince che le teorie di Pigorini sono errate71. Gli studi di paletnologia in Italia entrano all’inizio del Novecento in una fase di stagnazione e di declino, e per Renato Peroni i guasti sono dovuti al passaggio dall’ideologia positivistica all’idealismo72: il Patroni è certamente idealista e ha delle idee politiche tipiche del periodo fra le guerre73, ma è però la sua allieva Pia Laviosa Zambotti, una paletnologa di origine trentina formatasi a Vienna, a definire la cultura di Lagozza74 e quella palafitticola di Polada75 sulla base della cultura materiale.Anche se il Museo Patrio di Varese era diventato Museo civico nel 1891 ed era ospitato presso il Municipio (Palazzo Estense) già dal 1886, esso non riceve molta attenzione da parte degli amministratori, e alla morte del conservatore Luigi Borri (1846-1920)76 si apre un momento di crisi istituzionale77. Nonostante questo, nel 1923 i fratelli Andrea e Gian Felice Ponti donano al Comune di Varese il Museo Ponti, finora ospitato nella villa di famiglia sull’Isolino; non sorprende però che dopo quattro anni dalla donazione esso giaccia ancora in deposito provvisorio presso la scuola Felicita Morandi78. Il Soprintendente alle Antichità Ettore Ghislanzoni dovrà ricordare al Podestà, in una lettera del 19 dicembre 1928, la

6. Seconda Tomba del Guerriero da Sesto Calende. Varese, Museo Civico Archeologico di Villa Mirabello (fotografia Franco Orsi)

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sua promessa di dare adeguata sistemazione alle raccolte archeologiche, promettendogli, se sarà di parola, di destinare al Museo Civico di Varese la seconda Tomba del Guerriero di Sesto Calende (fig. 6), rinvenuta qualche giorno prima, l’8 dicembre, presso l’asilo nido79. Il Museo Civico riapre a Palazzo Estense solo nel 1932 con un allestimento curato d’ufficio dall’ingegnere capo del Comune (!) (secondo una lettera dalla Soprintendenza al Comune, “le collezioni civiche mancano [...] di un qualsiasi logico ordinamento [...]”)80; per la consegna della Tomba del Guerriero bisognerà aspettare ulteriormente fino al 193881.

Mario Bertolone e le due rinascite del Museo CivicoBertolone (1911-1965) (fig. 11)82 è un autodidatta di archeologia, e comincia la sua vita lavorativa come disegnatore tecnico. In ditta egli conosce l’ingegnere Guido Sutermeister (1884-1963), ispettore onorario per la zona di Legnano, fondatore del Museo di Legnano ed autore di una monografia sulla città83; è lui ad iniziare Bertolone all’archeologia84. Nel 1929 Bertolone diventa socio della Società Gallaratese per gli Studi Patrii, dove si impegna nel riordino delle collezioni, ospitate dal 1925 nell’edificio donato dalla Società Immobiliare “Case e Alloggi Macchi & C.”, parte di un convento francescano risalente al 123485. Nel 1930 all’età di 19 anni Bertolone è nominato ispettore onorario alle Antichità per le zone di Busto Arsizio e Gallarate, mentre nel 1932 diventa consigliere della Società Archeologica Comense; nel 1933, a soli 23 anni, concorre con successo per il posto di assistente presso la Soprintendenza, primo classificato su 108 candidati. Seguono incarichi presso i musei di Como e Gallarate; nel 1937 è nominato direttore del Museo Civico di Varese86. Il Bertolone dà subito prova della sua immensa energia e capacità organizzativa: dopo un nuovo riordino, questa volta scientifico, il Museo Civico viene inaugurato a Palazzo Estense il 15 maggio 1938, con raccolte aumentate da donazioni private e depositi statali (fra cui la seconda Tomba del Guerriero di Sesto Calende, finalmente consegnata quello stesso anno)87.Bertolone tuttavia mostra anche attenzione verso l’attività scientifica, fondando nel 1938 una nuova rivista, la “Rassegna Storica del Seprio”; e nell’anno seguente esce a sua cura il volume Lombardia Romana pubblicato dall’Istituto di

Studi Romani. L’archeologia, soprattutto quella romana, è strumentale ai fini propagandistici del Regime, che si presenta come il “secondo” impero romano, e ciò sicuramente dà vento in poppa agli sforzi di Bertolone per fare rinascere il Museo di Varese88. Egli prepara inoltre la parte lombarda del foglio Varese della Carta Archeologica d’Italia, che è già in stampa con il Reale Istituto Geografico Militare a Firenze nel 1941 ma uscirà solamente dopo la guerra nel 195089.Il Museo di Varese rimane chiuso dal 1941 al 1946 e tra il 1943 e il 1945, negli anni più bui della guerra, il Bertolone si rifugia in Svizzera, dove lavora presso l’Istituto di Preistoria ed Archeologia di Basilea; il marchese Gian Felice Ponti viene quindi chiamato a ricoprire il ruolo di direttore ad interim del Museo90. Rientrato il Bertolone a Varese, nel 1949 le raccolte del Museo Civico vengono traslocate alla Villa Mirabello, e così, dopo il caos bellico, il Museo rinasce con un nuovo allestimento.Sempre nel 1949 iniziano nuovi scavi all’Isolino, diretti dal professor Carlo Maviglia (1897-1956), docente di paletnologia nella Facoltà di Scienze dell’Università statale di Milano; dopo le campagne del 1952 e 1953 il Bertolone assume la direzione degli scavi nel 1955 (Maviglia scompare nel marzo del 1956), proseguendoli fino al 195991.

Il Centro di Studi Preistorici e Archeologici e “Sibrium”Nel 1953 il Bertolone fonda un nuovo ente, il Centro di Studi Preistorici e Archeologici, ed un’ulteriore rivista, “Sibrium”. I propositi del Centro vengono così espressi: “1) promuovere ed intensificare le ricerche sul terreno mediante scavi [...] 2) compiere ricerche e studi critici sul materiale sparso nei musei e [...] [pubblicare] memorie e studi originali [...] 3) curare la divulgazione scientifica, affiancando l’opera della direzione dei Civici Musei, mediante conferenze, mostre temporanee, stampa di pubblicazioni divulgative”92. Oltre all’ambito varesino, Bertolone mobilita per il suo nuovo centro personaggi di spicco come Aristide Calderini (1883-1968), presidente della Sezione Lombardia dell’Istituto di Studi Romani a Milano e professore di letteratura greca all’Università Cattolica di Milano, Pia Laviosa Zambotti e Carlo Maviglia (il quale è direttore scientifico del Centro). Egli è anche molto attento al suo rapporto con la Soprintendenza, presso la

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7-10. Articoli tratti dal quotidiano “La Prealpina” (25, 26, 29 agosto, 1 settem-bre 1954), con la notizia del Convegno Internazionale di Paletnologia sulle pala-fitte, che si svolse dal 29 al 31 agosto 1954

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quale aveva iniziato la sua carriera archeologica93: il nuovo soprintendente Mario Mirabella Roberti (1909-2002) inizia subito la sua lunga e proficua associazione con il Centro come membro del Comitato direttivo. Infine, il marchese Gian Felice Ponti viene riconosciuto come “Benemerito fondatore”94.Ma il Centro è anche all’avanguardia della rinnovata attenzione del mondo scientifico per quelle che venivano dette le “scienze sussidiarie all’archeologia”, ovvero quella che al giorno d’oggi si definisce archeometria. Anche se, come ho avuto modo di rimarcare, i pionieri dell’Ottocento – e per quanto riguarda le ricerche varesine in particolar modo Pompeo Castelfranco – avevano prestato molta attenzione ad aspetti paleoambientali e scientifici, questa apertura verso le tecniche di indagine delle scienze naturali è stata persa durante la fase idealista ed anti-positivista del primo Novecento. Al contrario, la formazione di Mario Bertolone presso un istituto industriale95 gli conferisce una diversa sensibilità e sappiamo ad esempio da una sua lettera del 1937 ad Ettore Ghislanzoni che egli aveva precocemente dotato il Museo di un laboratorio per il restauro di ceramica e bronzi96. Il Centro di Studi gode della collaborazione del Laboratorio prove materiali del Politecnico di Milano, della Breda, Istituto di Ricerche Scientifiche Applicate all’Industria S.p.A. di Milano, dell’Istituto Sperimentale dei Metalli Leggeri di Novara, e del Centro Studi Richard Ginori; il Comitato Tecnico è diretto da un ingegnere, Costantino Storti97.Le attività prendono subito slancio nel 1954 con tre manifestazioni. La prima, una mostra foto-grafica di foto aeree, anche se non strettamente paletnologica merita comunque un commento. La prima parte della mostra era stata precedente-mente esposta all’Ashmolean Museum di Ox-ford, e riguarda foto aeree di siti archeologici inglesi. La seconda parte invece è allestita in collaborazione con il professor Plinio Fraccaro (1883-1959), docente di storia romana dell’Uni-versità di Pavia e pioniere dell’impiego della fo-to-interpretazione in Italia98, e consiste in aerofo-togrammi militari delle zone tra Milano ed il lago Maggiore, soprattutto delle aree di interesse ar-cheologico, scattati durante la seconda guerra mondiale dai tedeschi e dagli americani; le foto sono prestate dall’Accademia Americana di Ro-ma. Vi sono inoltre foto dell’area archeologica di Castelseprio (fornite dall’Aeronautica Macchi e

dall’Aeronautica Militare)99. La fotografia aerea è uno strumento molto prezioso per la ricerca ar-cheologica, ma il suo impiego era stato per troppo tempo ostacolato dalle autorità militari con il pre-testo della sicurezza nazionale, causando così un forte ritardo nel suo utilizzo in Italia in confronto con la situazione in altri paesi europei100. La mo-stra riflette gli interessi generali del Bertolone per il mondo dell’aeronautica: il Varesotto ha giocato un ruolo importante nell’industria aerea, e Berto-lone raccoglie fotografie, libri e materiale per un futuro museo storico dell’aeronautica101. Nel 1938 egli aveva anche contattato il Comando di Roma per richiedere un rilievo aerofotografico sulle zo-ne di Castelseprio e dell’Isolino102.Il secondo evento del 1954 è la prima riunione del Centro Studi tenuta il 13 giugno, i cui Atti, una serie di contributi di tecnologia antica, sono pron-tamente pubblicati sul secondo volume di “Si-brium” (del 1955); a questi si aggiungono due comunicazioni inviate da studiosi stranieri non presenti di persona alla riunione, H.H. Coghlan e R.J. Forbes103, a conferma della dimensione inter-nazionale subito acquisita dall’attività del Centro.La terza manifestazione è il Convegno Internazionale di Paletnologia (figg. 7-10) per celebrare il centenario della scoperta delle palafitte svizzere, che viene affiancato da una mostra. Gli Atti del Congresso, che ha riunito studiosi italiani e stranieri, tra cui V. Gordon Childe, Oscar Paret ed Emil Vogt, vengono pubblicati sempre sul secondo volume di “Sibrium”. Siamo all’epoca in cui le originali interpretazioni delle palafitte di Ferdinand Keller, che come abbiamo visto le voleva abitati lacustri costruiti sopra le acque su impalcato ligneo, venivano soggette a revisione; in occasione del Convegno il professor Emil Vogt, presentando i risultati delle sue ricerche ad Egolzwil, espone la sua ipotesi che le palafitte erano in verità villaggi costruiti in riva ai laghi e non in mezzo alle acque. La comunicazione del Vogt non compare negli Atti, ma ne viene dato un riassunto succinto nella Cronaca del Convegno, che rimanda al volume celebrativo preparato per il centenario dalla Società Svizzera di Preistoria104. L’indirizzo dato agli studi dal Vogt condiziona per molti anni gli studi sulle palafitte, che ora sono arrivati, grazie anche agli scavi molto puntuali e ben documentati di Renato Perini presso la palafitta di Fiavé-Carera in Trentino105, ad ammettere che esistevano sia palafitte in riva ai laghi sia villaggi lacustri costruiti su impalcato

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Negli anni seguenti il Bertolone è impegnato in diversi progetti di scavo, e nel 1958 consegue la libera docenza insegnando a Milano, prima all’Università Statale poi a quella Cattolica. Nel 1962 con un ulteriore atto di generosità il marchese Gian Felice Ponti dona l’Isolino alla città di Varese; il 6 gennaio 1965 Bertolone muore prematuramente a 53 anni115.Altrove nella provincia di Varese il secondo dopoguerra vede molte iniziative. Nel 1954 la seconda Tomba del Guerriero di Sesto Calende viene esposta in mostra temporanea a Sesto Calende, assieme con una raccolta di materiale della zona ad opera della locale Società Storico Artistica Cesare da Sesto. Una mostra permanente delle raccolte della Società viene aperta nel 1958, mentre l’allestimento del Museo si avrà nel 1985, nell’ala est del Palazzo Comunale116. A Gallarate invece si forma in seno alla Società Gallaratese per gli Studi Patrii un gruppo di appassionati (tra cui Angelo Mira Bonomi) che collaborano con la Soprintendenza Archeologia in attività di ricerca e monitoraggio; degna di nota è la ricerca subacquea sulle palafitte del lago di Monate tra il 1967 e il 1973117.

L’ereditàDopo la scomparsa del Bertolone l’enfasi della direzione dei Musei Civici si sposta verso altri settori118, mentre Vincenzo Fusco viene nomina-to conservatore onorario delle raccolte archeolo-giche. Oltre a curare un riallestimento nel 1965-1966119, Fusco e Giampiero Guerreschi curano la revisione e la pubblicazione degli scavi Berto-lone presso l’Isolino che esce sul XIII volume di “Sibrium” (per il 1976-77)120. Nel 1980 le raccol-te preistoriche dei Musei Civici vengono trasferi-te alla Villa Ponti sull’Isolino121. La scelta, ben-ché suggestiva per il contesto paesaggistico e la storia museologica della sede, pare discutibile all’autore di questo contributo: in questo modo il materiale è reso meno accessibile sia agli stu-diosi che al pubblico generale, in quanto al di fuori dai circuiti abituali maggioritari del turismo.Nel 1983 la mostra Palafitte: mito e realtà si trasferisce da Verona a Varese. Questa esposizione, con il catalogo122 che le fa da corredo, raccoglie materiali da molte località dell’Italia settentrionale e permette sia di fare il punto su quanto finora era stato acquisito scientificamente che di mettere le basi per la ricerca futura123. In occasione della mostra viene organizzato sempre a Varese un secondo

ligneo e sospesi sopra le acque, come nell’originale ipotesi di Ferdinand Keller.Il Congresso per il centenario delle ricerche coincide con una ripresa della ricerca nelle palafitte varesine e, come è ormai di tradizione, i convegnisti vanno in gita all’Isolino106, dove gli scavi, diretti da Carlo Maviglia, sono in corso dal 1949. Al loro arrivo i congressisti vengono ricevuti dal marchese Gian Felice Ponti (come aveva fatto il nonno nel 1878), mentre Carlo Maviglia fa loro da guida per visitare gli scavi. Una nota di Maviglia riguardo all’industria litica dell’Isolino appare sul primo volume di “Sibrium”107; dal 1955 gli scavi vengono continuati dal Bertolone, mentre i risultati degli scavi Maviglia (deceduto come abbiamo visto nel 1956) sono pubblicati ad opera di Vincenzo Fusco108. Nel 1953 Ottavio Cornaggia Castiglioni scava presso la torbiera della Lagozza di Besnate: egli presenta una nota preliminare sui risultati ottenuti al Convegno Internazionale per il centenario delle palafitte, pubblicata negli Atti109.Il primo volume di “Sibrium” per il 1953-1954 esce nel 1954 e contiene una serie di contributi importanti fra cui possiamo segnalare l’edizione di due necropoli: quella del Bronzo Finale di Ascona in Canton Ticino di Aldo Crivelli (testimonianza dell’interesse manifestato dal Bertolone per la preistoria svizzera), e quella dell’età del Bronzo recente di Canegrate, a cura di Ferrante Rittatore Vonwiller (quest’ultima pubblicazione viene ultimata nel terzo volume)110. Vi è inoltre uno scritto dello stesso Bertolone sulla ceramica di Golasecca111, argomento su cui tornerà in due ulteriori articoli durante gli anni Cinquanta. In essi egli riprende in esame il “gruppo lodigiano” di Castelfranco, distinguendo un terzo periodo della cultura di Golasecca e suddividendolo in tre fasi, Golasecca III A, B e C112. Bertolone inaugura così una nuova stagione negli studi sulla cultura di Golasecca, caratterizzata da un ritorno al documento archeologico e dalla sua documentazione puntuale, con disegni scientifici atti per lo studio tipologico113 (non per niente il Bertolone comincia la sua vita lavorativa come disegnatore tecnico!). Nella sezione della rivista intitolata Metallurgia, H.H. Coghlan segnala due importanti pubblicazioni recenti, la monografia di R.J. Forbes, Metallurgy in Antiquity (1950) e lo Handbuch der ältesten vorgeschichtlichen Metallurgie in Mitteleuropa (1952) di H. Otto e W. Witter, dandone una recensione succinta114.

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Antonio StoppaniConsiderato il padre della Geologia in Italia, l’abate Antonio Stoppani (1824-1891) è di vedute liberali, e partecipa alle Cinque Giornate di Milano ed alla prima guerra d’indipendenza, cosicché, a causa delle sue opinioni non gradite alla gerarchia cattolica, dovrà trovarsi lavoro come precettore. Dal 1861 è professore straordinario di geologia presso l’Università di Pavia, da dove passa nel 1867 al Politecnico di Milano di nuova istituzione. È segretario poi presidente (1883-1891) della Società Italiana di Scienze Naturali e diventa anche direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano (1882-1891). La sua opera divulgativa Il bel paese (1873), un vero best-seller del secondo Ottocento, può considerarsi, assieme ai Promessi Sposi del Manzoni, uno dei libri che ha contribuito a creare un sentimento nazionale nel grande pubblico italiano. Il libro infatti, impostato come una serie di ventinove serate di conversazioni intrattenute con i suoi nipoti da uno zio precettore, illustra con linguaggio semplice il paesaggio dell’Italia, da poco unificata, dalle Alpi fino alla Sicilia, creando così una concezione popolare del territorio nazionale. Il noto formaggio tenero dallo stesso nome viene battezzato in suo onore nel 1906. Infine va ricordato il suo impegno nel Club Alpino Italiano, ente di stampo ed intento risorgimentale fondato da Quintino Sella nel 1863, di cui è primo presidente della sezione milanese negli anni 1873-1875.

La famiglia dei marchesi PontiLa famiglia Ponti ha origine a Gallarate, dove Andrea Ponti (1821-1888), convinto patriota, comanda la Milizia Cittadina nel 1848. Imprenditore di successo, proprietario di fabbriche per la filatura e tessitura del cotone, nel 1865 acquista il lago di Varese e l’Isolino (allora detto “Isola Camilla” in onore della moglie del proprietario precedente, il duca Antonio Litta Visconti Arese) e diventa mecenate illuminato delle ricerche paletnologiche, promuovendo e finanziando scavi sull’isola da parte di Foster, Regazzoni, Ranchet e Castelfranco e conservando i reperti nel suo museo presso la villa sull’Isolino. In occasione di una gita il 26 settembre 1878 i convegnisti della Riunione Scientifica della Società Italiana di Scienze Naturali ribattezzano l’isola in onore di sua moglie, Virgina Ponti Pigna. Il loro figlio Ettore (1855-1919), senatore del Regno e sindaco di Milano (1905-1909) continua nella tradizione familiare, commissionando a Castelfranco ulteriori scavi ed il riordino delle raccolte del museo, poi pubblicate a sua cura nel 1913 (Cimeli del Museo Ponti nell’Isola Virginia (Lago di Varese)). I figli di Ettore, ultimi discendenti della famiglia, Gian Felice (1887-1967) ed Andrea sono pure grandi benefattori degli studi paletnologici: nel 1923 fanno donazione della loro raccolta, il “Museo Ponti”, al Comune di Varese, e Gian Felice dona anche altro materiale archeologico proveniente dalle sue terre. Durante il periodo travagliato della Repubblica Sociale, Gian Felice è direttore ad interim del Museo Civico, ospitando parte delle raccolte nella sua villa di Biumo Superiore di Varese, e collabora alla fondazione, da parte di Mario Bertolone, del Centro di Studi Preistorici e Archeologici; infine nel 1962 dona l’Isolino stesso al Comune di Varese.

Pompeo CastelfrancoSenza alcun dubbio Pompeo Castelfranco (1843-1921) è il padre della paletnologia lombarda, operando in tutta la regione ed anche nel Piemonte orientale. Nasce a Parigi da madre francese e padre di origine milanese, forse esule politico; la famiglia torna a Milano nel 1848. Nonostante il suo desiderio di trovare un incarico di ruolo in campo archeologico, per tutta la vita insegna lingua e letteratura francese, prima al Reale Collegio delle Fanciulle (dal 1879), poi al Reale Conservatorio di Musica (dal 1894) ed infine all’Università Commerciale “Luigi Bocconi” (dal 1908). È socio della Società Italiana di Scienze Naturali di Milano, pubblicando sui suoi “Atti”, e collabora con il “Bullettino di Paletnologia italiana” fin dall’anno della sua fondazione (1875), rimanendo molto ancorato alle teorie di Pigorini. Dal 1875 è reale ispettore agli scavi e ai monumenti d’antichità per la provincia di Milano, un incarico onorario ma molto impegnativo. Il suo contributo più importante è forse la suddivisione in fasi della cultura di Golasecca (Due

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11. Mario Bertolone (da Studi in onore di Mario Bertolone)

periodi della 1a Età del Ferro nella necropoli di Golasecca, 1876, e Gruppo lodigiano della 1.a età del ferro, 1883), una cronologia ancora ritenuta sostanzialmente valida. In territorio varesino scava nelle necropoli della prima età del Ferro intorno a Golasecca, Vergiate e Sesto Calende, alla torbiera della Lagozza di Besnate ed all’Isolino. Nel 1913 pubblica il catalogo Cimeli del Museo Ponti nell’Isola Virginia (Lago di Varese).

Mario BertoloneNato a Busto Arsizio nel 1911, inizia la sua carriera come dise-gnatore tecnico. In ditta cono-sce l’ingegnere Guido Suter-meister (1884-1963), ispettore onorario alle Antichità e Monu-menti e fondatore del Museo di Legnano, che lo interessa all’ar-cheologia. Dal 1929 è socio del-la Società Gallaratese di Studi Patrii e nel 1934 diventa assi-stente presso la Soprintendenza alle Antichità delle Venezie, ma con base a Milano. In seguito diventa membro della Commis-sione del Museo Civico di Como (1935) e conservatore del Museo di Gallarate (1937), ma nello stesso anno è chiamato a dirigere i Civici Musei di Varese. Nel 1938 fonda la “Rassegna Storica del Seprio” e nel 1939 pubblica Lombardia Romana, un lavoro di sintesi che comprende anche una carta archeologica del Canton Ticino. Nel 1943-1945 è fuoriuscito per sottrarsi al richiamo alle armi della Repubblica Sociale; si rifugia in Svizzera, dove lavora a Basilea presso l’Istituto di Preistoria ed Archeologia. Egli scava, studia e disegna materiale in vari musei e viene incaricato del riordino del Museo di Locarno. Tornato a Varese alla fine del conflitto, scava all’Isolino (1949-58), fonda il Centro di Studi Preistorici e Archeologici e la rivista “Sibrium” (1953), orga-nizza un Congresso internazionale per il centenario della scoperta delle palafitte (1954) e conse-gue la libera docenza in paletnologia (1958), insegnando prima alla Statale poi all’Università Cattolica di Milano. Muore prematuramente a Varese nel 1965. Oltre alle sue doti di studioso, Bertolone è un organizzatore di grande acume – dà al Museo nella sua nuova sede di Villa Mira-bello (dal 1949) un allestimento innovativo, con sussidio molto precoce di mezzi multimediali – ma il suo contributo forse più importante, con impatto a livello nazionale, è nella promozione delle tecniche archeometriche di indagine: il Centro di Studi Preistorici e Archeologici ha un Comitato Tecnico per l’indagine delle tecnologie antiche e la rivista “Sibrium” ospita fin dal suo primo numero articoli all’avanguardia sull’argomento.

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Convegno Internazionale, i cui Atti escono su “Sibrium” XVII (1983-84)124.La presidenza del Centro di Studi Preistorici e Archeologici è invece assunta da Mario Mira-bella Roberti, allora soprintendente archeologi-co della Lombardia, che continua a ricoprire l’incarico fino al 1989 nonostante i suoi impegni di Soprintendenza, gravosi negli anni di boom edilizio. Dopo un momento di crisi125 “Sibrium” continua ad ospitare contributi dedicati alla tecnologia antica126 e a stampare gli Atti di con-vegni. Il livello scientifico rimane generalmente alto, con rare eccezioni127, e la diffusione della rivista all’estero cresce, con conseguente au-mento del patrimonio bibliotecario del Centro grazie agli scambi. Ma sono anni sempre più difficili, sovente di incomprensione politica del ruolo del Centro, ed il contributo del Comune alle sue attività viene meno. Così ad esempio per gli anni 1994-1999 esce un solo volume di “Sibrium”, il XXIII.Sarebbe però sbagliato concludere in tono di-sfattista. Per fare un esempio, i risultati degli scavi presso Pizzo di Bodio, diretti dal conser-vatore dei Musei Civici, Daria Banchieri, hanno fornito informazioni importanti sulla fase neoli-tica delle palafitte varesine, confermando alcu-ne delle ipotesi dei pionieri ottocenteschi128. Inoltre questo stesso volume, promosso dall’U-niversità degli Studi dell’Insubria, offre una preziosa opportunità per una pausa di riflessio-ne e per la revisione dei vecchi dati, fornendo così l’occasione per uno status quaestionum ag-giornato, che è la base imprescindibile per una nuova fase di ricerca.

Note

1 gRäslund, The Birth; Klindt-Jensen, A History, pp. 9-96.2 Come sempre, d’altronde!3 La bibliografia sul Grand Tour, le raccolte aristocratiche, ed il loro impatto sul gusto e lo sviluppo dello studio di epoca antica è sterminata, ma si veda BlACK, Italy.4 dAniel, The Origin, pp. 34-56; id., A Short History, pp. 25-29.5 BAnChieRi, Antiche testimonianze, p. 25 e nota 14 alla p. 74.6 Nel racconto del suo Tour dell’Italia settentrionale nei primi anni 1850, l’architetto inglese George E. Street (Notes, p. 403) commenta che la città ha “[...] a good many villas and gardens, belonging, I believe, to inhabitants of Milan, who come out here for the mountain air”. Cfr. BAnChieRi, Antiche testimonianze, p. 35.7 CAntARelli, Catalogo, p. V.8 desitteRe, Contributo, p. 70; id., Paletnologi, pp. 20-23; PeRoni, Preistoria e protostoria, pp. 14-16; guidi, Storia, p. 26.9 Ruoff, Lake-Dwelling Studies, pp. 9-12; stRAhM, Proposta di ricerca.10 “Il Crepuscolo”, 52 (1854), p. 828; cfr. CAstelfRAnCo, Cimeli, p. 9; de MARinis, Storia della scoperta, p. 71.11 Il pioniere dell’uso agricolo della torba nel territorio varesino è il nobile Carlo Tinelli: BAnChieRi, Antiche testimonianze, pp. 18-19.12 CAstelfRAnCo, Cimeli, p. 9; de MARinis, Storia della scoperta, p. 71; BAnChieRi, Antiche testimonianze, p. 18.13 “Il Nuovo Cimento”, VI (1860), n. XI, pp. 373-379.14 CAstelfRAnCo, Cimeli, p. 9; desitteRe, Contributo, p. 70; de MARinis, Storia della scoperta, pp. 71-72.15 CAstelfRAnCo, Cimeli, p. 10; de MARinis, Storia della scoperta, p. 72.16 CAstelfRAnCo, Cimeli, p. 10; de MARinis, Storia della scoperta, p. 73; BAnChieRi, Antiche testimonianze, pp. 396-397; eAd., Preistoria dei laghi.17 Ibidem.18 desitteRe, Contributo, p. 71.19 PeRoni, Preistoria e protostoria, pp. 13-14.20 dAniel, The Origin, pp. 57-89; id., A Short History, p. 53; cfr. desitteRe, Contributo, pp. 67-68.21 Ivi, p. 68.22 dAniel, The Origin, p. 111; desitteRe, Contributo, pp. 68, 84.23 Biografia essenziale in BAnChieRi, Antiche testimonianze, pp. 396-397.24 PeRoni, Preistoria e protostoria, p. 25, cfr. anche pp. 21, 25-28; desitteRe, Dal gabinetto; id., Paletnologi.25 Biografia essenziale in BAnChieRi, Antiche testimonianze, p. 398.26 Disponibile online su Google Libri.27 squARzAnti, La collezione Bellini; de MARinis, Castello Visconti.28 id., L’area archeologica, p. 472.29 desitteRe, Contributo, p. 81.30 vARAlli, Le due tombe, pp. 57-68.31 desitteRe, Contributo, pp. 75-76; PeRoni, Preistoria e protostoria, pp. 13-18.32 vitAli, Il V Congresso; BeRgonzi, La preistoria, p. 66; PeARCe, Il territorio, pp. 25-26.33 BAnChieRi, Antiche testimonianze, pp. 19-25.34 Ivi, pp. 25-27; eAd., Il museo di Varese, p. 95.

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Pearce - Storia delle ricerche

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35 eAd., Antiche testimonianze, p. 28.36 Ivi, pp. 27, 391-392, nota 4 alla p. 73.37 CAstelfRAnCo, Due periodi; gRäslund, The Birth, p. 96; de MARinis, Pompeo Castelfranco, pp. IX, XIV.38 Biografia essenziale in BAnChieRi, Antiche testimonian-ze, p. 397. 39 CAstelfRAnCo, Cimeli, p. 11.40 Per una recensione contemporanea, sebbene alquanto critica, si veda stRoBel, Sunto critico.41 BAnChieRi, Antiche testimonianze, p. 29.42 de MARinis, Storia della scoperta, p. 74.43 RegAzzoni, L’Uomo preistorico, pp. 35, 129-132; MunRo, The Lake-Dwellings, pp. 189-190; materiale della raccolta Foster è conservato presso il museo archeologico dell’Università di Cambridge: BAnChieRi, Preistoria dei laghi, p. 7.44 RegAzzoni, L’Uomo preistorico, p. 129.45 KelleR, The Lake Dwellings, nota del traduttore alla p. 357.46 Quattro secondo il RegAzzoni, L’Uomo preistorico, p. 130; cinque secondo il MunRo, The Lake-Dwellings, p. 190.47 CAstelfRAnCo, Cimeli, p. 11.48 Ibidem; cfr. de MARinis, Storia della scoperta, p. 75.49 Autore di una sintesi del 1868: MARinoni, Le abitazioni lacustri.50 de MARinis, Storia della scoperta, p. 74.51 Ibidem; id., Pompeo Castelfranco, p. XIII; BAnChieRi, Antiche testimonianze, p. 30, nota 24 alla p. 75.52 RegAzzoni, Stazione preistorica; odone, La Lagozza, p. 7.53 soRdelli, Sulle piante.54 odone, La Lagozza, p. 15.55 de MARinis, Storia della scoperta, pp. 76-77.56 lAviosA zAMBotti, La ceramica della Lagozza.57 CAstelfRAnCo, Cimeli, p. 12.58 de MARinis, Pompeo Castelfranco, p. XI.59 MunRo, The Lake-Dwellings, pp. 186-276.60 CAstelfRAnCo, Cimeli, p. 12.61 id., Villaggi e necropoli.62 de MARinis, Pompeo Castelfranco, pp. XI-XII; lA guARdiA, L’archivio privato, p. 1.63 de MARinis, Storia della scoperta, p. 77.64 BAnChieRi, Il Museo di Varese, p. 95.65 de MARinis, Storia della scoperta, p. 78; id., Pompeo Castelfranco, p. XII.66 BAnChieRi, Antiche testimonianze, p. 31.67 CAstelfRAnCo, Cimeli, p. 12.68 Ivi, pp. 50-52.69 de MARinis, Storia della scoperta, p. 77.70 CAstelfRAnCo, PAtRoni, La stazione palustre.71 PeARCe, Il territorio, pp. 29-30.72 PeRoni, Preistoria e protostoria, pp. 41-54.73 Ivi, pp. 62-63.74 lAviosA zAMBotti, La ceramica della Lagozza.75 eAd., Civiltà palafitticola.76 Biografia essenziale in BAnChieRi, Antiche testimonian-ze, p. 388.77 Ivi, pp. 33, 38.78 eAd., Il Museo di Varese, p. 95.79 eAd., Antiche testimonianze, pp. 38, 40, 293; cfr. vARAlli, Le due tombe, pp. 68-70.80 BAnChieRi, Antiche testimonianze, p. 40; eAd., Il Museo di Varese, p. 95.81 vARAlli, Le due tombe, p. 70; BAnChieRi, Antiche testimonianze, p. 43.

82 Cenni biografici e bibliografia degli scritti in BAnChieRi, Mario Bertolone.83 suteRMeisteR, Legnano romana; cfr. PeARCe, Il territorio, p. 31.84 BAnChieRi, Antiche testimonianze, nota 43 alla p. 77.85 sCAltRitti, Il Museo, p. 656.86 BAnChieRi, Mario Bertolone.87 eAd., Antiche testimonianze, p. 43; eAd., Il Museo di Varese, pp. 95-96.88 eAd., Antiche testimonianze, p. 47. Per il rapporto tra fascismo e romanità cfr. MAlvAni BeChelloni, Le mythe; BARBAneRA, L’archeologia, pp. 144-154.89 Edizione archeologica; cfr. BAnChieRi, Antiche testimo-nianze, pp. 52, 305-306.90 Ivi, p. 52; eAd., Mario Bertolone, pp. II, V; eAd., Il Museo di Varese, p. 97.91 Scavi Maviglia: fusCo, Gli scavi Maviglia; scavi Bertolone: fusCo, La stazione preistorica; gueRResChi, La stratigrafia.92 BeRtolone, Notiziario – Cronache 1953, p. 147.93 Lontano dalle piccole animosità e gelosie che troppo spesso inquinano i rapporti del mondo scientifico archeologico.94 “Sibrium”, I (1953-1954), p. VII.95 BAnChieRi, Mario Bertolone, p. IV.96 eAd., Antiche testimonianze, pp. 56, 298.97 BeRtolone, Notiziario – Cronache 1953, p. 150; BAn-ChieRi, Antiche testimonianze, p. 58.98 Cfr. ad esempio, fRACCARo, Opuscula.99 MiRABellA RoBeRti, Prolusione.100 CeRAudo, PiCCARRetA, Manuale di aerofotografia.101 BAnChieRi, Antiche testimonianze, pp. 59-60.102 Ivi, p. 58.103 CoghlAn, Il rame nativo; foRBes, New Data.104 “Sibrium”, II (1955), p. 66; Das Pfahlbauproblem.105 PeRini, Scavi archeologici.106 BAnChieRi, Antiche testimonianze, p. 61.107 MAvigliA, Il microbulino.108 fusCo, Gli scavi Maviglia; id., La stazione preistorica.109 CoRnAggiA CAstiglioni, Nuove ricerche; odone, La Lagozza.110 CRivelli, La necropoli; RittAtoRe vonwilleR, La necropoli.111 BeRtolone, Ceramica dipinta.112 id., Tombe preistoriche; id., Ancora sulla ceramica; cfr. CAstelfRAnCo, Gruppo lodigiano.113 PeRoni, Introduzione, p. 13; de MARinis, Il periodo, p. 47.114 “Sibrium”, I (1953-1954), pp. 169-171.115 BAnChieRi, Mario Bertolone, p. IV; eAd., Antiche testimonianze, p. 62.116 squARzAnti, Il Museo di Sesto Calende.117 Ivi, pp. 657-658; de MARinis, La palafitta del Sabbione.118 BAnChieRi, Il Museo di Varese, p. 99.119 eAd., Antiche testimonianze, p. 63.120 fusCo, La stazione preistorica; gueRResChi, La stratigrafia.121 BAnChieRi, Antiche testimonianze, p. 65.122 Palafitte: Mito e Realtà.123 Cfr. stRAhM, Proposta di ricerca.124 Alle pp. 3-173.125 Il volume VIII (1964-1966) esce in ritardo e copre tre anni.126 Ci sono sezioni dedicate all’argomento sui volumi VIII (1964-1966), X (1970), XI (1971-1972) e poi sul XV (1980-1981).127 Cfr. PeRoni, Introduzione, nota 14 alla p. 17.128 BAnChieRi, Considerazioni sul Neolitico.

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