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SOMMARIO

Gerardo, nuvola di polvere Le morti bianche, un dram-ma che ci lascia sempre di più indifferenti di Meno Occhipinti p. 12

Quasi un editoriale Odio gli indifferenti di Antonio La Monica p. 04 La tela del ragno La prigione dell'indiffe-renza di Laura Ciancio p. 06 Così è (se vi pare) Il culturalmente rilevante, il marchio, gli autori bio di Fabio Pinna p. 09

Occhio Strabico Ribassi di popolarità di Carlo Blangiforti p. 14 Versi Diversi Indifferenza di Cesare Pavese p. 15 Un bambino piange nella notte Riflessioni di Patrizia Vindigni p. 16

Manca Pincherle

di Saro Distefano

p. 38

La memoria di un grande scrittore

Non ti curar di loro

di Loretta Dalola

p. 20

L’indifferenza al tempo dell’iperconnettività

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Indifferenti in materia di società La lezione nel pamphlet del filosofo Manlio Sgalambro di Luca Farruggio p. 18 Non ti curar di loro L'indifferenza al tempo dell'iperconnettività di Loretta Dalola p. 20 Storie nella Storia Indifferenza, silenzio e omertà nella Taormina delle Leggi razziali di Marinella Tumino p. 22 Verde Chiaro L'indifferenza verde di Aldo Adamo p. 24 Sapevamo tutto Prendersela con la politica per ciò che sta accadendo è riduttivo e sbagliato di Carlo Poerio p. 26

Forse non tutti... Plastica di Meno Occhipinti p. 29 «Vivere vuol dire essere partigiani» Gli indifferenti secondo Antonio Gramsci: altro che non ti curar di lor! di Ester Procopio p. 30 La divina indifferenza Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus di Maria C. Vecchiarelli p. 33 Parole Sante L'indifferenza di Heilé Salassié p. 37 Altrocchio Fotoromanzo all'italiana di Carlo Blangiforti p. 37 Manca Pincherle La memoria di un grande scrittore di Saro Distefano p. 38

Arretrati p. 40 Colophon p. 42

Indifferenti in materia di società

di Luca Farruggio

p. 18

La lezione nel pamphlet del filosofo Manlio Sgalambro

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Quasi un Editoriale

Odio gli indifferenti...

An

ton

io

La

Mo

nic

a

Una parola per molte chiavi

di lettura. Cosa sia peggio

non so… se l’indifferenza ver-

so tutto e tutti o l’indignazio-

ne mordi e fuggi di questi

tempi veloci.

“Non ragioniam di loro ma

guarda e passa”, ricorda Vir-

gilio a Dante allorquando in

un girone infernale si trovano

dinanzi a qualcuno che non

merita attenzione alcuna. I

così detti “ignavi”; persone

incapaci di prendere una po-

sizione netta, di assumere

una responsabilità e viverla

fino in fondo. Costi quel che

costi.

Adesso, dopo svariati secoli

dal consiglio virgiliano la si-

tuazione sembra quasi esser-

si capovolta. Si ragiona, si

parla e si discute di cose che

meriterebbero non più che

una alzata di spalle mentre si

Ru

bric

a

tace, si glissa e si voltano le

spalle dinanzi a fenomeni di

assoluto rilievo.

L’indifferenza, così come ogni

forma di attenzione morbosa

e superficiale, rappresenta

una arma terribile per di-

struggere la nostra stessa co-

scienza e, dunque, per non

essere di aiuto alcuno per gli

altri e per noi stessi. Non è un

caso se tale atteggiamento

venga spesso indicato come

vendetta ben più temibile

dello stesso odio.

Eppure ci sono lati davvero

edificanti in questa parola.

Restare calmi, indifferenti, nei

tumulti della vita può essere

un valore se ci consente di

restare lucidi, giustamente

distaccati. Lo sanno molto

bene alcuni filosofi ed intel-

lettuali, ma anche certi mistici

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che affidavano a Dio la loro

vita nell’assoluta indifferenza

rispetto alle sorti materiali

dell’esistenza. Da Schopen-

hauer a Sartre, passando per

Kierkegaard e attraversando

gli angusti passaggi della filo-

sofia stoica, il concetto di in-

differenza ha percorso pagi-

ne di illustri riflessioni.

Ma, volendo tornare alla do-

manda iniziale aggiungerei

che mi pare essere in voga

una forma di indifferenza

molto subdola. Appunto

quella dettata da una mole di

informazioni tale da ottunde-

re la capacità critica di molti

tra noi e spingerci in una sor-

ta di pensiero confuso, in-

differenziato più che indiffe-

rente. E soprattutto una ri-

flessione che, se tutto va be-

ne, ha solo il tempo di un

amen. Una idea che sorge da

un link e scompare nel tintin-

nio dell’ennesimo messaggio

whatsapp.

Infine vorrei rubare un pen-

siero molto bello di Antonio

Gramsci. Valga da buon au-

gurio… e da guida in questi

tempi vili.

"L'indifferenza è il peso mor-

to della storia. Indifferenza è

abulia, è parassitismo, è vi-

gliaccheria, non è vita. Perciò

odio gli indifferenti.... Vivo,

sono partigiano. Perciò odio

chi non parteggia, odio gli in-

differenti".

Evviva!

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La tela del ragno

La prigione dell’indifferenza

La

ura

C

ian

cio

Erano gli anni settanta e i

giovani scendevano nelle

piazze perché si sentivano

artefici di un cambiamento

globale. E non si può dire che

ciò non sia stato. Hanno dato

impulso a qualcosa di rivolu-

zionario, fuori da ogni sche-

ma. Ma le energie creative e

ribelli di quella generazione si

sono disperse in migliaia di

rivoli e sono state inghiottite

nel grande buco nero della

società globalizzata che tutto

accoglie per distruggerlo, tra-

sformandolo al suo servizio.

La passione e le idee hanno

lasciato il passo ad una buli-

mia di cose inutili. Non si de-

dica più tempo a riflettere

per allungare lo sguardo ol-

tre il proprio orizzonte limita-

to.

Girarsi dall’altra parte per

non vedere qualcuno che

chiede aiuto, non intervenire

sul degrado che ci circonda,

non denunciare gli abusi, non

protestare quando è giusto

farlo, lasciare che vengano

innalzati muri, che altri gesti-

scano “la cosa pubblica” per i

loro interessi personali… Le

forme di indifferenza si respi-

rano insieme all’aria e ci si fa

l’abitudine.

Fatima disegna coi pennarelli

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un grande cuore rosa e ai lati

ci sono lei e la sua mamma. Il

cuore è poggiato su un grande

prato verde e dentro c’è una

casa con la finestra aperta.

Lamin non disegna, sta in un

angolo e si torce un lembo del-

la maglietta. Lui ha solo due

anni e ha fatto la traversata

dalla Libia insieme ad una

donna che non è sua madre.

Se lo guardi o gli porgi un pen-

narello si gira dall’altra parte

con fare timoroso.

Jamal invece è rabbioso, butta

giù dal tavolo tutti i giochi e

urla. Suo padre lo sgrida e lo

prende per un braccio tirando-

lo verso la sedia, sua madre

non osa intervenire e assiste

passivamente.

Salima parla bene l’italiano,

disegna il mare agitato con

una grande barca piena di per-

sone e poi dice che vuole an-

dare a scuola. Io le regalo una

scatola di pennarelli, lei mi di-

ce grazie mille volte e, quando

va via, è dispiaciuta di dover

tornare al centro di accoglien-

za. Solo perché le ho dedicato

un po’ di tempo mentre la

mamma veniva ascoltata in

commissione.

Una delle questioni che mo-

stra il vero volto dell’indiffe-

renza è quella dei migranti.

Fino agli anni novanta essi

potevano andare via dal loro

Paese e arrivare in Europa a

cercare lavoro senza che si

alzassero cori di odio e di re-

spingimento. Oggi hanno una

via obbligata: attraversare il

continente africano lungo le

piste note, sostare in Libia e

salire a bordo di barconi fati-

scenti. Le ultime decisioni

prese dall’Italia con il bene-

placito dell’Unione Europea

hanno decretato di fermare

gli sbarchi a tutti i costi, ac-

cordandosi economicamente

con la Libia e lasciando i mi-

granti alla mercé dei soldati e

delle prigioni-lager libiche.

Chi tuona contro l’assalto mi-

gratorio sa bene di raccoglie-

re consensi a livello elettorale

e infatti così accade sempre,

come da previsione. I partiti

che gridano all’invasione e

fomentano la paura sono sta-

ti premiati alle ultime elezioni

in Italia e in Europa e questo

la dice lunga sulla minaccia

percepita da chi vive nel suo

piccolo mondo quotidiano di

sicurezze.

I migranti che giungono in

Libia ma non riescono ad ar-

rivare qui sono un popolo di

“desaparecidos”, perché ven-

gono inghiottiti dal deserto e

dal mare o ridotti in schiavitù

a qualche centinaia di chilo-

metri dalle nostre coste.

Uno sterminio di questa por-

tata non sarebbe mai potuto

avvenire fino a qualche deci-

na di anni fa e sicuramente ci

sarebbero state almeno le

proteste di piazza.

Oggi qualche flebile voce si

alza ogni tanto e si vedono

immagini di qualche ONG

che salva persone cadute in

mare durante la traversata,

ma la tragica questione resta

appesa lì, non risolta e osser-

vata indifferentemente nel

silenzio generalizzato.

La tematica migratoria è solo

un esempio tra i tanti che di-

mostrano il disinteresse ver-

so il quale si sta scivolando.

L’assenza di sentimenti, di

empatia con l’altro e con la

natura, è una forma di morte

spirituale, una paralisi dell’a-

nima in cui tutti possiamo

inciampare.

L’indifferenza non ci fa vede-

re bene né gli eventi né le

persone, tantomeno ci guida

nella comprensione di essi,

scava gallerie profonde per

annientare interiorità e senti-

mento, diventa prigione nei

gesti ripetuti, nel mondo co-

nosciuto ed è sempre dettata

da paura e da sospetto. E,

soprattutto, lascia che tutto

accada, a differenza del di-

stacco. Indifferenza e distac-

co possono sembrare sinoni-

mi ma hanno un’accezione

completamente diversa.

Il distacco è parte integrante

della filosofia buddista dalla

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quale ha attinto recentemen-

te la psicologia. E’ lucidità,

attenzione, conoscenza.

Quando si sceglie di pratica-

re un distacco consapevo-

le inizia il vero viaggio den-

tro sé stessi e si accantonano

le idealizzazioni che ci si era

costruiti, per andare verso

nuove possibilità. Il distacco

aiuta a liberarsi dalle dipen-

denze, dai rapporti che fanno

male. Si diventa protagonisti

e responsabili della propria

vita.

A volte è necessario allonta-

narsi per avere una visione

completa del problema o

dell’emozione che si sta vi-

vendo. Prendere le distanze

è utile per osservare anche i

lati nascosti o in ombra, co-

me quando si inizia la stesura

di un disegno o si vuole sta-

bilire quali siano i rami di una

pianta da potare. Distaccarsi

non vuol dire non provare

sentimenti, vuol dire non far-

si travolgere da essi, non

identificarsi con essi ma vi-

verli con maggiore libertà,

senza la paura della perdita.

Quante volte ci si è trovati a

dover reggere situazioni diffi-

cili o a organizzare un’im-

provvisa emergenza? Non è

sicuramente semplice e ci

viene richiesto uno sforzo,

un impegno maggiore per

gestire al meglio la comples-

sità. Il distacco ci fa chiedere

se stiamo andando nella di-

rezione giusta, in sintonia

con il nostro essere, e ci por-

ta costantemente a doman-

darci, come scriveva Carlos

Castaneda (Gli insegnamenti

di Don Juan), se la strada che

stiamo percorrendo ha un

cuore oppure no. “Se lo ha la

strada è buona. Se non lo ha,

non serve a niente. Entrambe

le strade non portano da al-

cuna parte, ma una ha un

cuore e l'altra no. Una porta

un viaggio lieto; finché la se-

gui sei una sola cosa con es-

sa. L'altra ti farà maledire la

tua vita. Una ti rende forte;

l'altra ti indebolisce”.

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Così è (se vi pare)

Fa

bio

P

inn

a

L’indifferenza di chi? Come? Dove? Quando? Esistono mi-gliaia di risposte ma siamo qui con alcune selezionate appositamente per confon-dervi le idee, per farvi dubita-re, ufficialmente per riflettere insieme, qui nello sconfinato campo della letteratura dove tutto è stato già coltivato e ancora lo sarà. Prendiamo in esame l’indiffe-renza dei lettori e degli scrit-tori. Come si manifesta, in che luoghi, in che situazioni emerge? Rispondendo a que-ste domande proveremo a dare una definizione di “indifferenza del lettore” o “dello scrittore”, tenteremo di capire se è un’invenzione ad hoc per questo articolo, se esiste insomma, e cerche-remo di capire se questa de-finizione in qualche modo riguarda me, te, e gli altri. Le

Ru

bric

a

Il culturalmente rilevante, il marchio, gli autori bio (a ognuno così come gli pare)

considerazioni ognun le farà per sé se non altrimenti affetto da indifferenza per l’indifferenza. L’indifferenza degli scrittori Non è quella di cui scrisse Moravia, l’indifferenza indi-scriminata verso la società contemporanea (o parte di essa) semplicemente non è possibile in questa epoca storica globalizzata, la chia-merei piuttosto insofferenza. Il filo conduttore di entrambe è lo stesso concetto di deca-denza di cui si occupò lo scrittore. La figura dello scrit-tore deve rendere consape-volezza al lettore di quello che, grazie alla sua sensibilità e percezione allenata, vede, o prevede. Deve sentirsi prova-to, affranto, scoraggia-to, nell’ascoltare le testimo-nianze o quando entra attra-

verso le sue storie nei falli-menti dell’uomo. Non per-duto, certamente, e assolu-tamente non indifferente. A chi è rivolta l’indifferenza allora? Senza generalizzare, ovviamente sarebbe un’in-genuità, si nota un’indiffe-renza verso i lettori. Verso i propri lettori? Ovviamente no, per loro si è disposti a fare maratone di autografi. Verso gli altri. Gli scrittori a volte sono egoisti, e sono meno liberi di quello che si possa pensare, queste due cose messe insieme com-porta una scrittura dedicata (per scelte di stile, temi, am-bientazioni, struttura del te-sto) esclusivamente al pro-prio pubblico nonostante esista sottopelle la consape-volezza di poter fare di più, di scrivere qualcosa di cultu-ralmente rilevante. Qui vole-

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vo arrivare, al culturalmente rilevante. Qui comincia dav-vero il Così è (se vi pare) di questo articolo. I libri sono tutti culturalmente rilevanti? Per essere gentili supponiamo che tutti serva-no a qualcosa, insomma, Così è (se vi pare) io non obietto. Ma fanno tutti parte di quella che chiamiamo cultura? Pri-ma di rispondere incollate il naso alla vetrina di una libre-ria e osservate i dieci libri più venduti della settimana, op-pure visto che siete al com-puter fate una rapida ricerca online. Leggete ogni singolo titolo in classifica. Probabil-mente avete già un compen-diato di risposte identiche. Avrei potuto chiedervi di leg-gere tutti i bugiardini dei me-dicinali che avete a casa, in fondo, per giocare un po’ e farvi ottenere un’idea netta tra ciò che è cultura e ciò che è tipografia. Perché molti scrittori non ambiscono al culturalmente rilevante? Perché sono indiffe-renti a questo? Perché il libro stesso ha perso il ruolo cultu-rale di un tempo, ovvero un libro oggi non deve essere a tutti i costi un testimone im-mortale di principi, di valori, di storia, di arte che si prende la responsabilità di traman-dare tutto ai posteri. Ormai siamo una società evoluta. Leggiamo poco, conserviamo pochi libri e per qualunque evenienza ci sarà un Google sempre migliore. Dunque oggi un libro non de-

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ve essere necessariamente un buon libro. È importante, ma non è più la ragione della sua esistenza. Perlopiù il li-bro è diventato un prodotto. Gli editori inventano slogan per proporre i contenuti inu-tili del libro prodotto che vendono in maniera tale che arrampicarsi sugli specchi insaponati a mani nude in confronto è una passeggiata. Ve la immaginate la Divina Commedia con su sopra la fascetta gialla “Un viaggio da 12 milioni di copie, ma fai at-tenzione a dove ti fermi!”? A tutto questo, al merchandi-sing che ruota attorno al li-bro, tanti autori sono divenu-ti indifferenti. Sono indiffe-renti alle aspettative del let-tore in senso più ampio, tranne che a quelle del suo lettore e del suo editore. Non si può accontentare tutti, giu-sto? Non c’è niente di male a scrivere un libro improbabile per tirare avanti, come tutti facciamo alla nostra maniera, lavorando. O forse, aspetta, anche se ti piace scrivere puoi sempre cambiare me-stiere. L’ha fatto pure Berlu-sconi e guarda dov’è arrivato. Insomma, chissà. L’indifferenza dei lettori Ma sì, anche i lettori sono in-curanti, della qualità del libro ad esempio, come dicevo prima. Sia nella forma che nel contenuto. Indifferenti all’im-portanza della piccola edito-ria indipendente che è me-diamente sinonimo di questa

qualità. Si è indifferenti ad esempio quando si tratta di sostenere autori italiani, per-lopiù sconosciuti, non quelli sponsorizzati dai premi im-portanti. Quelle son le vere novità, sono sfide sostenute da persone che lavorano con la passione in una mano e con la probabilità di fallire nell’altra. Editori che hanno un capitale sociale così limi-tato che la stessa cifra altri editori la usano per finanzia-re una sola campagna di mar-keting editoriale. Ora: lo fa-rebbero se non fosse impor-tante? Questi editori e autori meritano indifferenza o una possibilità? Ci fidiamo di più della grande distribuzione, è vero. Com-preremmo una Mercedes an-che se avesse il motore di una Opel, tanto è nascosto. Ma il mondo è cambiato ci sono Opel che nel mercato dureranno più di una Merce-des, venderanno di più, sa-ranno più utili. Non è più solo il marchio a fare la differen-za. È come la questione del Bio. Ci sono anche gli autori Bio, lo sapevate? Questa non la sapevate. Siete in libreria ed è come se foste alla Conad davanti ai pelati e a dover scegliere tra i Cirio e degli al-tri che si chiamano New Po-modoriland. Chi li ha mai sen-titi? Come se non bastasse sono bio. Ma saranno vera-mente bio? Possiamo fidarci? Sconosciuti, diversi, e il tutto due volte. I piccoli editori in-

dipendenti vi offrono que-sto, gli sconosciuti due volte, i talenti. Gli autori bio. Forse costano qualche euro in più, forse la resa è diversa. E poi ci siamo disaffezionati, ammettiamolo, ai classici. Spesso. Il mercato contem-poraneo è così grande che siamo sommersi, confusi. Vorremmo approfondire Pa-vese ma poi in prima fila tro-viamo sempre l’ultimo di Gramellini che ci frega, e via. Bravo anche Gramellini, in fondo. La storia si ripete e ci disaffezioniamo sempre di più. Sentiremo parlare di un qualche classico dai nostri figli quando li studieranno, e forse odieranno, a scuola. O forse sto esagerando, que-sta indifferenza che è una forma di insensibilità dipen-de soltanto dal grado di sen-sibilità di chi scrive questo articolo o di chi lo legge. Po-trebbe non esistere davvero come non esistono le Merce-des con il motore delle Opel. Però se in qualche momento sentiremo di volerci fidare di un libro diverso, di un modo di fare letteratura diversa, anche se non ci appartiene, se per un momento pensere-mo a quanto sia sfortunato Google a non avere pagine di carta da sfogliare come quel-le che abbiamo scelto per noi, e proveremo a dare un nome a tutto questo sapre-mo per certo che non si chia-ma indifferenza.

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rimasta in Campania, una

moglie e quattro figli. Per

loro, per se stesso, era an-

dato via, in un posto lonta-

no dalle sue radici, dalla sua

lingua, dalle sue abitudini.

Gerardo guardava avanti, la

sua era una scelta proiettata

verso il futuro, e alla ricerca

Gerardo era partito da

Maddaloni, una cittadina in

provincia di Caserta, alla

ricerca di un lavoro. Si era

fermato a Modena, dove

aveva iniziato a lavorare co-

me muratore.

Nella sua vita, oltre al lavo-

ro, c’era anche la famiglia,

Gerardo, nuvola di polvere

Le morti bianche, un dramma che ci lascia sempre di più indifferenti

Me

no

O

cch

ipin

ti

di una nuova vita, migliore.

Perché Gerardo, come si

diceva un tempo, aveva una

coscienza politica, e viveva

male i tempi attuali, fatti di

tradimenti da parte di chi

avrebbe dovuto tutelare gli

ultimi, di furti ai danni dei

più deboli. Per questo, libe-

ro dal lavoro, conduceva a

Radio Popolare un pro-

gramma sulle utopie degli

anni sessanta, sulla lotta di

classe, sull’ingiustizia socia-

le.

Questa era la sua vita, fino

al momento del dramma: un

volo dall’impalcatura su cui

stava lavorando e di Gerar-

do non è rimasto che un

corpo da riportare a casa

sua in una cassa di zinco.

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Tra l’indifferenza di tutti,

perché ormai morire sul la-

voro è, purtroppo, un even-

to cui ci siamo tutti abituati.

Nel 2017, le cosiddette

“morti bianche” sono state

1.029 (in media circa 3 al

giorno, considerando tutti i

giorni, domeniche e festivi

compresi), con un aumento

del 1,1% rispetto all’anno

precedente, e con una

preoccupante inversione di

tendenza negli ultimi anni,

dopo un decennio di co-

stante calo.

Quella delle morti bianche è

questa una delle tante con-

seguenze delle scelte politi-

che fatte in questi anni da

chi ci ha governato: se è ne-

cessario risparmiare, taglia-

re, per far tornare i conti,

allora lo si deve fare con

provvedimenti mirati, che

non vadano a toccare setto-

ri come la sicurezza, la sani-

tà o l’istruzione, che incido-

no direttamente nella vita

dei più deboli.

PS: la storia di Gerardo è

una storia vera, ed è cantata

da Enzo Avitabile, insieme a

Francesco Guccini, nella

canzone “Gerardo nuvola 'e

polvere”, incisa dal cantau-

tore napoletano nel 2012 ed

inserita nell’album “Black

tarantella”.

A proposito di questa can-

zone Avitabile ha dichiarato:

«Ho voluto raccontare la

storia di Gerardo, un ragaz-

zo di Maddaloni, che lascia

la sua terra, la sua casa, la

sua famiglia per trovare ina-

spettatamente e prematura-

mente la sua fine sul lavoro.

Morti bianche? Sì, anche, ma

è la storia di tutti i fuori di

vista di ogni punto a svan-

taggio del mondo, che pur

credendo nei sogni e nelle

probabilità, devono fare i

conti con i soprusi, le ingiu-

stizie e le discriminazioni, di

cui ogni giorno la storia del

mondo ne é testimone da

sempre. Un requiem a tutti i

‘nessuno’ che in questo loro

passaggio da uomo non

hanno nome e volto: nuvole

di polvere».

A “Gerardo nuvola 'e polve-

re” è stato assegnato il pre-

mio “Amnesty Italia” del

2013. Qui la canzone: https://

www.youtube.com/watch?

v=XCOoE7UAawQ

Il testo tradotto

(fonte: www.antiwarsongs.org)

GERARDO NUVOLA DI POLVERE

Gerardo faceva il muratore

viveva a Modena ma era terrone

La sera quando finiva di lavorare

trasmetteva a Radio Popolare.

Anarchia sarà solo un'utopia

Proudhon, Bakunin e Malatesta,

il subcomandante, il capitale,

Marx, il lavoro, la giustizia sociale.

C'erano una volta i comunisti,

e i sindacati facevano il resto;

oggi è un'alleanza a tradimento

una politica che non porta a niente

Progetti di miliardi inesistenti

tasse sopra a tasse sulle spalle della

povera gente

mistificazione e contraddizione

l'urna pronta per la cremazione

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14 operaincerta

Ero venuto per lavorare

non ero venuto per morire,

quattro figli e una moglie a carico

una cassa di zinco per ritornare.

Ero venuto per iniziare

non ero venuto per finire

a Maddaloni in vitam aeternam

requiescat in pace amen.

Sì, lo conoscevo, quello che voi dite

e mi sembrava uno a posto, buono,

si chiamava, mi sembra, Gerardo.

Credo che fosse un muratore.

Io ero solo il suo fruttivendolo, ma

ero amico con quel terrone

perché non era un poco di buono,

ma una persona con un gran cuore.

Gerardo faceva il muratore

viveva a Modena ma era terrone

La sera quando finiva di lavorare

trasmetteva a Radio Popolare.

Ma senza alcuna protezione

caduto sul lavoro

morte bianca prematura

sotto una nuvola di polvere.

Ero venuto per lavorare

non ero venuto per morire,

quattro figli e una moglie a carico

una cassa di zinco per ritornare.

Ero venuto per iniziare

non ero venuto per finire

a Maddaloni in vitam aeternam

requiescat in pace amen.

Non è mica facile lasciare la casa per

trovare quassù da lavorare

lasciare il paese, i figli, la moglie, la-

sciare il dialetto, lasciare la vita

e venire fino a qui fra della gente

estranea senza capire il loro parlare

Trovare lavoro o trovare la morte?

Tutta la storia è già finita.

Sono venuto per lavorare

non sono venuto per morire,

quattro figli e una moglie a carico

una cassa di zinco per ritornare.

Sono venuto per iniziare

non sono venuto per finire

a Maddaloni in vitam aeternam

requiescat in pace amen.

Non è mica facile lasciare la casa per

trovare quassù da lavorare

lasciare il paese, i figli, la moglie,

lasciare il dialetto, lasciare la vita

e venire fino a qui fra della gente

estranea senza capire il loro parlare

Trovare lavoro o trovare la morte?

Tutta la storia è già finita.

Carlo Blangiforti

OcchioStrabico Ribassi di popolarità

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Versi Diversi

Ce

sare

P

av

ese

È sbocciato quest'odio come un vivido amore

dolorando, e contempla se stesso anelante.

Chiede un volto e una carne, come fosse un amore.

Sono morte la carne del mondo e le voci

che suonavano, un tremito ha colto le cose;

tutta quanta la vita è sospesa a una voce.

Sotto un'estasi amara trascorrono i giorni

alla triste carezza della voce che torna

scolorendoci il viso. Non senza dolcezza

questa voce al ricordo risuona spietata

e tremante: ha tremato una volta per noi.

Ma la carne non trema. Soltanto un amore

la potrebbe incendiare, e quest'odio la cerca.

Tutte quante le cose e la carne del mondo

e le voci, non valgono l'accesa carezza

di quel corpo e quegli occhi. Nell'estasi amara

che distrugge se stessa, quest'odio ritrova

ogni giorno uno sguardo, una rotta parola,

e li afferra, insaziabile, come fosse un amore.

Indifferenza

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16 operaincerta

preso posto nel cuore degli

uomini.

Non suscitano interesse

nemmeno i bambini che sca-

vano a mani nude in miniere

africane, cercando minerali o

pietre destinati a strumenti

di un mondo a loro scono-

sciuto e che li sconosce.

Da un’immagine arriva un

piccolo con uno sguardo

stanco, le spalle chine, le

Un bambino piange nella

notte. Sembra un cucciolo

impaurito dal buio. L’eco

delle sue lacrime risuona

nel silenzio mentre la men-

te si sposta su immagini re-

centi, di guerra, solitudine,

visi smarriti, occhi che guar-

dano verso un orizzonte

nascosto. Il pianto cresce in

intensità. Attraversa la not-

te e accompagna la luce di

una luna insensibile. Passa

nella mente il ricordo di

studi di scuola dell’indiffe-

renza dell’universo alle sorti

dell’uomo, per poi tornare

con i pensieri e con dolore,

alla moderna indifferenza

tra esseri umani.

Da anni è come se un indi-

vidualismo feroce avesse

Un bambino piange nella notte

Riflessioni

Pa

triz

ia

Vin

dig

ni

gambe magre, un bambino

troppo esile per il fardello

che porta sulle spalle. È un

attimo colto in una lunga

giornata di lavoro, iniziata

con uomini adulti, sotto lo

sguardo e le parole di chi lo

spinge nella fatica. È sporco

di terra, di fango, non ha

tempo di pensare al riposo,

lo desidera in tutta la gior-

nata, pietra dopo pietra.

Cammina tra l’indifferenza

del prossimo, non fa pena a

nessuno. È ancora lì, ades-

so, mentre noi lo guardia-

mo, in uno scatto fotografi-

co.

Giriamo pagina e compare

un’altra foto. È un altro

bambino che cammina da

solo, tra detriti e pietre di

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operaincerta 17

case abbattute da bombe

che cadono dalla stesso cie-

lo in cui, di notte, splende

l’indifferenza.

La bomba, la luna, il cielo, gli

uomini che si muovono sot-

to quella bianca luce. L’at-

tacco è partito di notte. Nel

sonno del mondo sono ri-

masti sepolte giovani vite. I

loro nomi restano a noi sco-

nosciuti ma, in fondo, a nes-

suno interessa davvero sa-

pere, qual è il nome di quel

piccolo che avanza, tra pol-

vere e macerie, con sulla

fronte un graffio sanguinan-

te. L’indifferenza ci domina

e sembra non volerci più

abbandonare mentre, spen-

to il computer, torniamo ad

occuparci con la mente e il

corpo del nostro quotidia-

no.

Nel frattempo, in un altro

luogo del mondo, al piano

di sotto, nel nostro condo-

minio, nella nostra città, un

bambino piange disperato,

ma noi non lo ascoltiamo,

perché, in fondo, non im-

porta che sia il Sud-Sudan,

la Siria, un atollo del Pacifi-

co o il nostro vicino di casa,

perché semplicemente non

ci importa …

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18 operaincerta

“Che io debba essere gover-nato: ecco da dove comincia lo scandalo della politica”. E poi continuerei: “Solo per canaglie e miserabili, inca-paci di autogovernarsi e de-cidere, c’è la politica come unica via di scampo”. È l’incipit del pamphlet

A Ragusa è iniziata da un po’ di tempo la campagna elettorale. Ricevo molti “santini”, ormai quasi tutti tramite social. Guardo e sto zitto. Ma a tutti vorrei ri-spondere con la vera In-differenza, cioè con questa frase di Manlio Sgalambro:

Indifferenti in materia di società

La lezione nel pamphlet del filosofo Manlio Sgalambro

Lu

ca

Fa

rru

gg

io

“Dell’indifferenza in materia di società”, pubblicato da Adelphi nel 1994. E resta ancora (e forse lo sarà per molto tempo) attuale nel suo essere provocatorio. In questo libro il filosofo di Lentini prende sul serio il suo Pensiero, che si è sem-

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operaincerta 19

pre dissociato dal-la communis opinio, quindi anche dalla società e dalla politica. Davvero spetta al politico e alla società decidere quali sono le cose più importanti per ogni singolo individuo? Non sarà che la società è solo un idolo pieno di con-venzioni? Eppure l’uomo ne sente il bisogno, la sen-te imprescindibile (come pensare altrimenti?). Que-sto perché più che filosofi siamo persone con poche idee e preferiamo delegare il miglioramento ad altri. Proprio agli stessi che poi, necessariamente, critichia-mo aspramente. In questo infinito circolo vizioso sta l’essenza della disonestà della politica. Per Sgalambro la politica appare dove sorge un po-veraccio. Di fronte ai pro-blemi c’è sempre un attore che promette il migliora-mento. Non solo, promette anche la salvezza. E in que-sto si fa simile a un dio-salvatore. Appare così un salvatore dell’Essere. Ma cos’è l’Essere? Cos’è Dio? In Sgalambro tutto è, scienti-ficamente, destinato alla dissoluzione, alla morte del sole. Dio ed Essere coinci-dono nell’essere “pesanti”, nell’essere “contro”. Nes-suna salvezza può esser data all’uomo. Perciò il massimo che un individuo

può fare è governare se stesso attraversando la vita e la morte. Solo sprazzi di Bellezza possono dare qualche sublime attimo di pace e consolazione. Nien-te di sociale deve toccare temi cruciali come la felicità e l’infelicità, il bene e il ma-le. Perché nel fare ciò ogni politica non può che dimo-strarsi perdente e illusoria. E proprio su questo ingan-no si basano le Istituzioni e i suoi attori. La prospettiva di Sgalam-bro è durissima. Ma come si può essere indifferenti verso qualcosa che sembra sostenerci quotidianamen-te? Come possiamo non prenderci cura di qualcosa di indispensabile? Uno po-trebbe anche obiettare: “Ogni sforzo – anche quello giusto e buono - conduce al Peggio?”. E lui ci direbbe che perfino una rivoluzione – in quanto azione politica – vivrebbe all’interno dell’inganno. Pertanto – ma di Sgalambro ne nasce uno ogni secolo - l’unica arma che si può avere è l’Indiffe-renza. La società non si può e non si deve distruggere, ma si può essere indiffe-renti e fedeli alla propria “filosofia solitaria”. Altra obiezione (ma ce ne potrebbero essere mi-gliaia): “E se tutti gli uomini deludono, da un punto di vista cristiano, non potreb-

be essere Dio a salvare gli uomini?”. Qui tacerebbe Sgalambro e comincerei io con il mio “Del pessimismo teologico” (che da Sgalam-bro prende alcuni aspetti catastrofici e apocalittici). Ma è meglio rinviare… l’uni-ca cosa che ora importa è essere consapevoli che ci possiamo autogovernare e che possiamo essere In-differenti nei confronti della società e dei politici. In qualche modo camperemo e creperemo… ma purtrop-po anche sulla nostra morte la società avrà la sua vitto-ria… Tuttavia, anche se la fortuna non sarà dalla no-stra parte e se qualche poli-tico non ci dedicherà una via, arriverà per tutti il Gior-no del Signore in cui ogni cosa sarà scritta nell’Eterno e nell’Immutabile.

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20 operaincerta

giamento di indifferenza ge-

nerale. Guardiamo ai pro-

blemi degli altri con suffi-

cienza, limitando il nostro

coinvolgimento a semplici

risposte. Abbiamo rotto il

Viviamo nell’epoca più

“collegata” della storia, dove

la tecnologia ci consente l’in-

terazione umana e l’informa-

zione più alta eppure, è scon-

certante constatare l’atteg-

Non ti curar di loro

L'indifferenza al tempo dell'iperconnettività

Lo

rett

a

Da

lola

meccanismo della coscienza?

Oppure c’è davvero un per-

sistente e, neppure così len-

to, peggioramento della so-

cietà?

Tuttavia le battaglie per la

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operaincerta 21

sensibilizzazione alle proble-

matiche razziste, omofobe,

discriminazione sessuale, ci-

vili, oramai dovrebbero aver

aperto la mente alle diffe-

renze, alla tolleranza e alla

condivisione. In realtà la

partecipazione sociale e poli-

tica non è equivalente a

quella che spirava una trenti-

na di anni fa. In molti ragazzi

la passione si è spenta, atte-

nuata da un senso oppri-

mente di corruzione e di

immobilità. Il nuovo millen-

nio, insieme a tante novità,

sembra aver portato con sé il

fallimento di molti ideali

unitamente alla decadenza di

una società che ha perso le

proprie certezze, e il disastro

delle teorie di una generazio-

ne, quella dei nostri padri, a

cui il futuro è sfuggito di ma-

no. La contestazione sessan-

tottina è un ricordo e la rivo-

luzione del cambiamento ad

essa collegata ha lasciato il

posto alla disillusione e all’a-

patia. Non esiste più la pri-

ma linea attiva che lotta per

guadagnare diritti per il pro-

gresso sociale. Abbiamo alle

spalle una storia di rabbia

contro soprusi, fascismo, ter-

rorismo di stato, politica, che

portava alla ribellione in gra-

do di modificare situazioni

drammatiche, di vincere

guerre e battaglie sociali e

ora sonnolenti, apatici e di-

staccati a quello che ci cir-

conda incanaliamo il nostro

odio soltanto verso i più mi-

serabili. Riusciamo a trovare

la forza per odiare qualcuno

che sta peggio di noi e che

disperato trova una via di fu-

ga, alquanto incerta, in mare,

per sfuggire a guerra, fame,

torture e schiavitù.

Il grande sogno di riforme e

aperture verso una vita mi-

gliore per tutti si sta inesora-

bilmente estinguendo e quel-

lo che abbiamo lo teniamo

stretto, incapaci di rievocare

empaticamente il nostro star

peggio. Chiudiamo occhi e

cuore affinché il benessere

raggiunto non venga intacca-

to. La cultura del benessere ci

ha reso insensibili. La globa-

lizzazione ci ha regalato la

globalizzazione dell’indiffe-

renza. Pieni di insoddisfa-

zioni e frustrazioni non riu-

sciamo a individuare le radici

del problema della società

iniqua nella sua interezza. Te-

niamo saldamente chiuse le

frontiere mentre sfruttiamo

le loro terre e rincorriamo il

business mentre spolpiamo

natura e ecosistema. Deside-

riamo capi firmati, ci agitiamo

a ritmo di rap inseguendo fa-

cili illusori successi, tifiamo

per moderni eroi che i reality

sfornano continuamente e

avanziamo verso l’incertezza,

incapaci di godere dei ricchi

frutti delle conquiste sociali e

del progresso. Consumismo,

inflazione, immigrazione, crisi

energetica, inquinamento,

sono argomenti continua-

mente collegati all'influsso di

una legge economica e tec-

nologica che diamo per irre-

versibile, obbligata e soprat-

tutto autonoma da un discor-

so generale sull'uomo e sulla

società.

La storia ci ha tirato proprio

un brutto scherzo… Una con-

cezione della vita che ci as-

sorbe nella sua totalità, così,

camminiamo sempre più

spesso con un android in ma-

no, in metropolitana e in stra-

da, gli occhi puntati sullo

schermo di un qualsiasi cellu-

lare che connette alla rete, il

wifi è ovunque e virtualmente

ci rende vivi!

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22 operaincerta

Storie nella Storia

Indifferenza, silenzio e omertà nella Taormina delle Leggi razziali

Ma

rin

ell

a

Tum

ino

dei campi di sterminio ove,

appunto, regnava sovrana la

“zona grigia”. A proposito di

questo tema mi è venuto su-

bito da pensare alla famiglia

Kuerschener (la madre Eleo-

nore Lindelfeld e i tre figli Eu-

gene, Arthur e Renèe), i cui

corpi riposano nel cimitero

monumentale di Taormina. Vi

sono stata di recente in visita

e sono rimasta colpita dalla

tomba, che mi è davvero par-

sa, un po’ come del resto tut-

to il cimitero acattolico, vitti-

ma dell’incuria e dell’indiffe-

renza.

I Kuerschner erano una fami-

glia che alloggiava all’Hotel

Flora a Taormina. Erano di

origine ungherese e si erano

trasferiti in Germania dopo la

I guerra mondiale, che Arthur

Indifferenza, silenzio, omertà

hanno tramato la storia per-

petrandosi costantemente

nel corso dei secoli. Ad Au-

schwitz, per esempio, tra il

1939 e il 1945, il silenzio era

pesantissimo. Solo in pochi

cercavano di spezzarlo, a ri-

schio delle loro vite.

Indifferente molto spesso

rimase la gente rispetto a

quanto gli ebrei subirono ap-

pena promulgate le Leggi

razziali, per non parlare

dell’omertà di chi conosceva

quanto avveniva all’interno

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operaincerta 23

prio per ragioni razziali, non

poté più lavorare nel cinema)

e l’altro ,“Ma non è una cosa

seria”, per la regia di Mario

Camerini e la sceneggiatura

di Ercole Patti, Mario Soldati

con, tra gli altri, Vittorio De

Sica e Assia Noris. Dunque, a

seguito delle leggi razziali,

emanate in Italia nel 1938 e

dell’entrata in vigore del de-

creto nazista che obbligava al

rientro nel paese d’origine di

tutti gli ebrei, la famiglia sa-

rebbe di certo finita deporta-

ta in uno dei campi di stermi-

nio dai quali non vi era ritor-

no.

Così, l’11 marzo del 1939, il

mare nei pressi dell’Isola Bel-

la divenne spettatore di un

funesto fatto di cronaca:

Eleonore e i 3 figli scesero a

Mazzarò, noleggiarono una

barca a remi e, una volta arri-

vati al largo, tutti insieme si

buttarono in acqua; per evita-

re di risalire a galla appesanti-

rono gli abiti con pietre. La

polizia ha sempre taciuto le

effettive ragioni del gesto

estremo; ha piuttosto divul-

gato la notizia secondo cui

nella stanza dell’Albergo Flora

era stata rinvenuta una lette-

ra in cui i Kuerschner si erano

dichiarati stanchi della vita

perché soli e senza amici. Ma

Arthur aveva spedito a un

amico una lettera in cui aveva

esposto le ragioni del suici-

aveva combattuto da Capita-

no sul fronte italiano, acqui-

sendo medaglie e decorazio-

ni. A Berlino, il giovane, ormai

cittadino tedesco, aveva rive-

stito per quindici anni il ruolo

di ufficiale nella stazione ra-

diofonica governativa. Poi,

con l’arrivo di Hitler al potere

e con la campagna razziale,

era stato costretto a lasciare

la Germania e a ritirarsi in

Austria, ottenendo la cittadi-

nanza austriaca. Quando nel

1938 l’Austria venne annessa

alla Germania, i Kuerschner

furono costretti, per sfuggire

alle persecuzioni razziali, a

rifugiarsi in Italia, dove Euge-

ne aveva trovato lavoro. Ma

anche in Italia le leggi antise-

mite non diedero loro tregua,

infatti il decreto legge del 7

settembre 1938 n. 1 381 pre-

vedeva, appunto, che gli

ebrei stranieri abbandonas-

sero il territorio italiano entro

il 12 marzo 1939. Eugene

Kuerschner era attivo nel

mondo del cinema in Germa-

nia fino all’avvento di Hitler, e

poi in Italia dal 1936. Qui ave-

va lavorato come produttore

o come supervisore in due

film. Il primo di essi fu “È tor-

nato carnevale“ del 1936, di-

retto da Raffaello Matarazzo

con, tra gli altri, Armando Fal-

coni e Mario Pisu e con la

sceneggiatura di Aldo De Be-

nedetti (che di lì a poco, pro-

dio. E l’amico aveva scritto:

“Forse le acque profonde del

mare sapranno accogliere lui

e la sua famiglia in un modo

migliore e più amichevole di

quanto non abbiano saputo

farlo i governi degli Stati fino

a quel momento”.

Chissà…

Come dicevo, i loro corpi so-

no sepolti nella sezione acat-

tolica del cimitero di Taormi-

na e sulla lapide è incisa que-

st’iscrizione che racconta il

drammatico epilogo: «Sotto il

roseto noi riposiamo, posti vi

fummo quando i giorni tristi

correan per noi miseri ebrei.

Fummo accolti in quest’isola

dorata, lasciammo in patria il

nostro avvenire. Tremendo è

per la madre sceglier la morte

per sé e per i figli. In barca

tutti e quattro andammo, poi

uno dietro l’altro in acqua ci

tuffammo. Quando ci ritrova-

rono, le corde ancora il corpo

ci cingevano».

A distanza di quasi 80 anni da

quel tragico evento, la tomba

comunica non solo malinco-

nia e tristezza ma soprattutto

una sensazione di impotenza

e, ancor più, uno smisurato

senso di solitudine, solitudine

in cui, nell’Europa nazi-

fascista, tutti gli Ebrei sono

stati orrendamente

“ghettizzati”.

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24 operaincerta

Verde CHIARO

Ald

o

Ad

am

o Rosa rossa, bianca o gialla?

Ru

bric

a

all’interno della foglia - così indifferente da sembrare del tutto inanimata - che invece, di colpo, si chiude a scatto: la malcapitata viene così intrap-polata, soffocata e quindi di-gerita mediante la secrezione di enzimi prodotti all’interno della foglia stessa. Dopo la digestione la foglia si riapre espellendo lo scheletro dell’insetto, ormai completa-mente asciutto - la famosa chitina. Come se nulla fosse, di nuovo si riposiziona, sem-pre con la massima indiffe-renza, in attesa di un altro balordo che prima o dopo ripasserà da quelle parti.

Attenti, pertanto, ai messaggi che ci arrivano dall’esterno. Attenzione particolare ai “non messaggi”, specie quelli intrisi da quintali di indiffe-renza: non sempre sono del tutto innocui e non sempre

Non è solo l’uomo che riesce ad essere indifferente, che riesce a vivere, se lo vuole, un totale disinteresse per tutto il mondo che lo circonda. C’è anche una pianta che riesce molto bene ad essere indiffe-rente: la Dionea, la Dionea Muscipula.

Su YOUTUBE trovi tanti fil-mati dove puoi constatare come la povera mosca cade nel suo tranello. L’insetto, ignaro del pericolo, viene at-tratto sì dal colore rosso dell’interno delle sue foglie ma soprattutto dalla sua completa e totale indifferen-za. E così la mosca si posa

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operaincerta 25

dicono tutta la verità .

La Dionea può essere colti-vata tranquillamente a casa; ama la luce, non tollera l’ac-qua calcarea e si consiglia di lasciare sempre un centime-tro d’acqua nel sottovaso perché in natura vive bene nei terreni acquitrinosi. Non vuole essere concimata per-ché al cibo ci pensa da sola e lo preferisce fresco di gior-nata. Le basterà soltanto una finestra aperta o di essere posizionata in veranda, in-somma in un posto dove, di tanto in tanto, qualche mo-sca gironzola in cerca di forti emozioni.

CONSIGLI VERDI

Il Prato: se serve diserbo selettivo, colma gli avvallamenti ed eventualmente trasemina; attento all'impianto d'irrigazione: pu-lizia e revisione prima del grande caldo. Il Giardino: inizia l'impianto delle erbacee a fioritura estiva (petunia, tagete, alisso, bocca di leone, etc., etc.); continua l'im-pianto dei bulbi a fioritura estiva e la semina della maggior par-te dei fiori. Puoi iniziare la potatura degli agrumi nella zona co-stiera. Le Piante da Interno e bonsai: continua a concimare e occhio agli insetti e alle crittogame. L'Orto: semina il Cavolo Cinese, la Zucca, lo Zucchino, il Fagiolo e il Fagiolino, l’Erba Cipollina, la Lavanda, la Maggiorana, il Ro-smarino, la Lattuga, il Basilico e il Prezzemolo; trapianta le pian-tine ortive e le aromatiche. Se vuoi saperne di più puoi sempre telefonarmi al 348.0180141 o scrivermi su [email protected].

Meno Baglieri

FotoRAMA L’indifferenza è...

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26 operaincerta

Sapevamo tutto

Prendersela con la politica per ciò che sta accadendo è riduttivo e sbagliato C

arl

o

Po

eri

o

ziale "mai accordi di governo

con il Movimento 5 Stelle".

Aveva anche straparlato di

riforme necessarie all'Italia,

di semipresidenzialismo co-

me soluzione ai nostri pro-

blemi di governabilità, di

doppio turno elettorale con

salto carpiato triplo e di altre

bizzarrie varie ed eventuali,

segnale piuttosto evidente

che l'ex vive una realtà che è

parecchio lontana da quella

del Paese. Dicevo della sod-

disfazione. Avrei voluto re-

plicare: e bravo il nostro reg-

gente che ha capito. Meglio

tardi che mai. Che quello sia

un partito che già da tempo

sta cercando di suicidarsi, lo

pensano quasi tutti gli elet-

tori che in passato hanno ri-

Confesso di aver dimostra-

to parecchia ingenuità. Ho

provato una discreta soddi-

sfazione quando il segreta-

rio reggente del Partito De-

mocratico, alla fine dello

scorso mese e dopo l'enne-

sima sortita televisiva del

suo predecessore, piutto-

sto irritato ha affermato che

il partito [...] rischia l'estin-

zione e un distacco sempre

più marcano con i cittadini e

la società[...]. I fatti sono noti:

poche ore prima l'ex segre-

tario, di fatto ancora capo

indiscusso del partito, ospi-

te in una trasmissione tele-

visiva di prima serata, aveva

dettato ancora una volta la

linea politica del partito,

riassumibile con un sostan-

posto fiducia nello stesso.

Oggi ne sono rimasti ben

pochi e gli ultimi appunta-

menti elettorali lo hanno

dimostrato. Le qualità natu-

rali dell’ex segretario, la sua

personalità che a volte

sconfina nel bullismo, l'ar-

roganza con cui impone la

sua visione del mondo sono

parte di un copione che è

sempre lo stesso, quindi

ben noto agli elettori. Dice-

vo dell’ingenuità dimostrata

dopo aver ascoltato il reg-

gente. Prima di sentirmi

soddisfatto avrei dovuto

ricordare che lo stesso, per

ben altre e note qualità,

rappresenta alla perfezione

le minoranze che in quel

partito si sono nel tempo

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operaincerta 27

obiettivo ultimo perseguito

dal segretario ombra. Il

quale, compiuta l'opera,

fonderà un nuovo partito,

più vicino a quella parte di

società che ha ben rappre-

sentato e tutelato mentre

governava il Paese e che

manifestate. Chi ha seguito i

fatti che sto commentando,

saprà anche com'è andata a

finire la riunione della dire-

zione del partito che pochi

giorni dopo, nelle intenzioni,

avrebbe dovuto censurare il

comportamento dell'ex e

consolidare la fiducia nella

linea politica del reggente,

moderatamente favorevole

ad accordi di governo con i

pentastellati. Invece, ancora

una volta, le così dette mi-

noranze hanno dimostrato

la completa incapacità di pe-

rorare una visione strategica

del partito diversa da quella

sostenuta dalla maggioran-

za, prendendosi la responsa-

bilità di difenderla nei luoghi

decisionali. Dimostrando an-

cora una volta che nel parti-

to dei “progressisti e riformi-

sti” ci si vanta delle differenti

posizioni salvo poi procede-

re, tranne rarissimi casi, tutti

ben allineati e coperti. So-

stanzialmente il reggente ha

dimostrato di essere l'esecu-

tore della linea politica

dell'ex, chiudendo a qualun-

que accordo con il M5S e

dando, lui che ne aveva pa-

ventato il pericolo, un note-

vole contributo a quel

[...] distacco sempre più mar-

cato con i cittadini e la socie-

tà [...] ed allo sfascio del Pd,

sicuramente non è compo-

sta di disoccupati, precari,

pensionati e lavoratori

sfruttati e senza tutele. La

realtà, mentre scrivo questa

breve riflessione, è che a

due mesi dalle elezioni an-

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28 operaincerta

loro mantra declamato in

ogni occasione dopo la

sconfitta elettorale del 4

marzo [...] gli elettori hanno

deciso che noi stiamo all'op-

posizione, adesso agli altri

onori e oneri [...]. Afferma-

zione che nasconde un'au-

tentica ipocrisia politica

perché con un sistema elet-

torale come quello da loro

fortemente voluto se nes-

sun partito prende il 51%

dei voti non ci sono vincitori

e che dimostra non solo la

mancanza di una visione di

governo del Paese ma an-

che di continuare a consi-

derare la politica come il

perseguimento di interessi

personali e di partito. Credo

che mai come in questa

epoca strana che stiamo vi-

vendo, si sia avvertita la

drammatica assenza di poli-

tici capaci di nobilitare ed

illuminare la politica. Una

classe politica che tuttavia

rappresenta al meglio una

parte considerevole di que-

sto nostro Paese. Prender-

sela solo con la politica per

ciò che sta accadendo, in-

fatti, è fortemente riduttivo

e sbagliato. C’è una parte

dell’elettorato, infatti, che

con il proprio voto ha deci-

so di tenere in vita un siste-

cora non abbiamo un go-

verno. Nessun governo a

guida 5 Stelle, nonostante il

risultato elettorale ottenuto

dal Movimento ed i continui

appelli del suo leader politi-

co, rivolti alternativamente

alla Lega ed al Pd, per ac-

cordarsi su un programma

di governo. Nessun gover-

no di centrodestra, nono-

stante un leader della Lega

che dopo aver indossato i

panni di statista, soprattut-

to grazie ai renziani che si

rifiutano di fare accordi con

i grillini, ed aver manifesta-

to qualche segno di insoffe-

renza nei confronti della

stessa coalizione cui appar-

tiene, è comunque tornato

diligentemente all'ovile di

Arcore ed alla guida della

solita pala meccanica, ben

cosciente che colui che an-

cora detiene il potere deci-

sionale nel centrodestra,

nonostante una condanna e

l’interdizione dai pubblici

uffici, nonostante una sen-

tenza sulla trattativa Stato-

mafia e nonostante dica

tutto e il contrario di tutto,

non è lui ma l'ex cavaliere di

Arcore, monarca a vita del

centrodestra. Artefici di

questo avvilente spettaco-

lo, ripeto, i renziani con il

ma politico marcio, interes-

sato solo alla ricerca del po-

tere per il potere. Sappiamo

tutti chi è il pregiudicato di

Arcore, conosciamo alcuni

aspetti dei suoi rapporti con

la mafia, sappiamo di quali

disastri siano disseminati i

suoi governi, sappiamo be-

nissimo che piuttosto che

pensare all’interesse gene-

rale pensa alle sue aziende e

vive di conflitti d’interesse,

eppure quasi il 15% degli

elettori ha votato il suo par-

tito azienda. Sappiamo tutti

che la Lega è un partito vec-

chio spacciato per nuovo e

che il suo leader non esiste

senza il consenso del pre-

giudicato di cui sopra, eppu-

re quasi il 17% degli italiani

lo ha votato. Ed infine, sap-

piamo tutti chi è l’ex rotta-

matore della vecchia politi-

ca, colui che ha sostanzial-

mente dato vita ad un siste-

ma politico ben peggiore

del precedente berlusconi-

smo. Eppure, il 18% degli

elettori ha votato il suo par-

tito. Accertato che è questa

la zavorra che sta facendo

affondare il Paese, è questo

l’oceano di indifferenza in

cui stiamo annegando, di

cosa ci lamentiamo?

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operaincerta 29

Forse non tutti SANNO CHE...

Me

no

O

cch

ipin

ti

Forse non tutti sanno che c’è un Paese nel quale quasi il 62% delle famiglie consuma acqua minerale. Forse non tutti sanno che in quel Paese l’acqua minerale che si acquista è imbottigliata in bottiglie di plastica. Forse non tutti sanno che quel Paese, l’Italia, è il maggior con-sumatore di acqua in bottiglie di plastica d’Europa e il secondo nel mondo. Forse non tutti sanno che la plastica Pet in cui è imbottiglia-ta l’acqua rilascia varie sostanze tossiche, tra cui alcune anche cancerogene. Forse non tutti sanno che l’ac-qua del rubinetto è controllata quotidianamente e che è buona e sicura quanto e più di quella in bottiglia. Non sarebbe il caso che ciascu-no di noi ripensasse alle proprie abitudini?

Ru

bric

a

Plastica

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30 operaincerta

morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che re-cinge la vecchia città e la di-fende meglio

delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impre-sa eroica. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma ope-ra. È la fatalità; e ciò su cui non si può contare; e ciò che scon-volge i programmi, che rove-scia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si ab-batte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non

La parola indifferenza evoca immediatamente, a chi vi si sia già imbattuto per caso o per interesse, il celebre scrit-todi Antonio Gramsci Gli in-differenti, forse più conosciu-to dal grande pubblico per essere stato il testo del mo-nologo dei comici Luca e Pao-lo durante Sanremo 2011[2] (cui antepongo volentieri, per intensità, l’interpretazione di Elio Germano a “Piazzapulita” su La7 il 4/07/2013):[3]

«Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che vivere vuol dire essere par-tigiani. [4] Non possono esi-stere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive ve-ramente non può non essere cittadino, e parteggiare. In-differenza è abulia, è parassi-tismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indiffe-renti. L’indifferenza è il peso

«Vivere vuol dire essere partigiani»

Gli indifferenti secondo Antonio Gramsci: altro che non ti curar di lor!

Est

er

Pro

cop

io

è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quan-to

all’indifferenza, all’assentei-smo dei molti. Ciò che avvie-ne, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volon-tà, lascia fare, lascia aggrup-pare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomi-ni che poi solo un ammutina-mento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti matura-no nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne

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operaincerta 31

preoccupa. I destini di un’e-poca sono manipolati a se-conda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni persona-li di

piccoli gruppi attivi, e la mas-sa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato ven-gono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tut-to e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme feno-meno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale ri-mangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indiffe-rente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle

conseguenze, vorrebbe appa-risse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è respon-sabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestem-miano oscenamente, ma nes-suno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe suc-cesso ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evi-tare quel tal male, combatte-vano, di procurare quel tal bene si proponevano. I più di costoro, invece, ad avveni-menti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di Antonio Gramsci

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32 operaincerta

la militanza nel PSI, il Partito Socialista Italiano – e contenu-to nella testata a numero uni-co tutta di suo pugno La città futura, direi un pamphlet, che ha come predecessore illustre proprio quel Caffè che nel ‘700 era stato il primo esempio di giornalismo militante in Italia (a sua volta ispirato dall'esem-pio inglese dello Spectator) e baluardo dell'illuminismo mila-nese.

Quasi manifesto di un nuovo illuminismo italiano non più borghese ma proletario, d'ispi-razione marxista, Gli indifferen-ti non si pone come passiva denuncia di uno status quo inamovibile ma è la pre-messa teorica di una presa di coscienza che deve farsi e fare azione, sostenuta da una sconfinata fiducia nel potere delle parole di risvegliare le coscienze e mutare la mentali-tà dominante. Gli indifferenti è anche un memorandum morale per Gramsci stesso, l'eredità che lascia al sé del futuro per ri-cordargli – se mai servisse – di non cedere alla tentazione di paludarsi in una comoda inat-tività, nella non-azione. Anche la non-azione è responsabilità tanto più violenta perché è ab-dicazione agli altri; non solo: la non-azione è l'anticamera del-la dittatura. Infatti, tanti che non decidono equivale a pochi che governano, come la storia ha tristemente confermato più volte.

_________

[1] Non ti curar di lor, ma guar-da e passa è l'alterazione po-

programmi definitivamente crollati e di altre simili piace-volezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni respon-sabilità. E non già che non ve-dano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capa-ci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più ur-genti, o di quelli che, pur ri-chiedendo ampia preparazio-ne e tempo, sono tuttavia al-trettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissi-mamente infeconde, ma que-sto contributo alla vita collet-tiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una re-sponsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e in-differenze di nessun genere».

Il brano è non solo notevol-mente bello e acuto – espres-sione dell'alta caratura intel-lettuale di Gramsci, senza dubbio uno dei più grandi pensatori, e prosatori, dell'ul-timo secolo – ma è anche profetico di quello che succe-derà di lì a poco, l'ascesa del fascismo: Gli indifferenti infatti non è una riflessione a poste-riori del Gramsci maturo, che negli anni del carcere riflette e coerentemente sviluppa una innovativa quanto lucida visione della storia italiana fino a Mussolini (passando attraverso il Risorgimento, l'influsso di Benedetto Croce e l'esperienza dell'Internazio-nale comunista) confluita nei Quaderni dal carcere ma è un prodotto giovanile risalen-te al 1917 – precedente quindi

polare del celebre verso dan-tesco (Non ragioniam di lor, ma guarda e pas-sa) dedicato agli indifferenti nel terzo canto dell’Infer-no ((Inf. III, 51)

[2] https://www.youtube.com/watch?v=JTkMagfyelI

[3]� https://www.youtube.com/watch?v=lqkv9wiHYJ4

[4] Gramsci si sta riferendo al poeta e drammaturgo tede-sco Christian Friedrich Heb-bel (1813 –1863). Allievo di Schelling, la sua produzione si fa notare soprattutto per le tragedie (Maria Magdalene, 1843; Gyges und sein Ring, 1856). Maria Magdalene è il racconto della crisi interna alla borghesia, imprigionata nei propri pregiudizi morali: di lì a poco avranno inizio i moti rivoluzionari del ’48, di matri-ce borghese, cui però Hebbel, attestandosi su posizioni con-servatrici, mancò di dare il suo sostegno. La citazione è dal Diario di Hebbel, che era stato pubblicato poco prima (nel 1912) dal piccolo editore Carabba con traduzione dell'irredentista Slataper. Un ottimo intervento sull’afori-sma ripreso da Gramsci l'ho trovato nel sito del-la Fondazione Wu Ming in cui leggo anche che «l’aforisma, numero 2613 nell’edizione te-desca B. Behr’s Verlag, Berlino 1905, scritto il 24 ottobre 1842 ad Amburgo, recita “ Leben heißt parteiisch sein”».

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operaincerta 33

dopo l'ablazione del tessuto intaccato dalla malattia e il bombardamento delle tera-pie come pericolose perché "dormienti" e dunque non si darebbe da fare per eliminar-le, lasciandole sparse nell'or-ganismo a ticchettare come bombe innescate pronte a ridestarsi e ad esplodere. Dunque in istologia la diffe-renza può essere positiva e l'indifferenza negativa. Non neutrale, non inoffensiva: an-zi, al contrario. Un'indifferenza di altro tipo si esprime nella reazione inizia-le di una persona colpita dal trauma di una diagnosi di cancro. Il primo effetto dello choc è che, semplicemente, costei non prova niente, co-me se quel che sta accaden-do non la riguardasse, non stesse succedendo a lei. Co-

L'indifferenza, biologica-mente, non è una buona qualità. La valutazione di un carcinoma mammario è for-mulata sulla base di tre gradi di aggressività: al grado 1, a cui corrisponde una maggio-re differenziazione delle cel-lule, più simili a quelle sane e ad accrescimento più len-to, si associa la prognosi mi-gliore; al grado 3, il più ele-vato, di scarsa differenzia-zione cellulare e di accresci-mento veloce, la più infau-sta. Anche la capacità del carcinoma di recidivare o metastatizzare a distanza di anni dalla remissione sem-bra imputabile ad una forma di indifferenza, in questo ca-so del sistema immunitario, che non riconoscerebbe le cellule cancerose superstiti

La divina indifferenza

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus

Ma

ria

Cri

stin

a

Ve

cch

iare

lli

me se si sdoppiasse e si os-servasse dal di fuori, e que-sta scissione le provocasse una momentanea trance emotiva e corporea simile ad uno svenimento. La sensa-zione più spesso riferita è quella di ritrovarsi d'improv-viso all'interno di una palla di cristallo insonorizzata da cui si osserva il medico che muove le labbra senza riu-scire non solo ad afferrare i concetti espressi dalle sue parole, ma nemmeno ad udi-re il suono della sua voce. Sembra quasi che la mente mobiliti tutto l'organismo nel tentativo di respingere la realtà, rifiutandosi di assimi-larla, attivando la falsa im-pressione di star vivendo un sogno. A breve comincerà l'assorbimento della notizia, l'inizio della consapevolezza, e con essa arriverà l'onda montante della paura, lo

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34 operaincerta

servati al protagonista e alla ristretta cerchia di operatori sanitari. Non si viene più al mondo, né ci si congeda più da esso, nel letto di casa, av-volti dall'energia psichica di un'intera comunità, accolti dalle esclamazioni di gioia o salutati dal pianto sommesso di tutti i membri della fami-glia, bambini compresi, ma nel chiuso silenzio delle pare-ti asettiche di un ospedale, in mezzo ad efficienti estranei, tra il pungente odore di di-sinfettante e il suono metalli-co dei tracciati dei macchina-ri. Parallelamente le continue scoperte mediche hanno al-lungato in misura sensibile l'aspettativa di vita delle po-polazioni del mondo occi-dentale, liberandole dalla perniciosità di parecchie ma-lattie un tempo letali e propi-ziando un nuovo Illuminismo di autosufficienza antropo-centrica che ha contribuito ad allontanare, se non a ri-muovere, dalla coscienza col-lettiva il pensiero della morte come parte della vita in quanto sua conclusione ine-vitabile. Si sta su questa terra ormai completamente proiettati nell'idea di un'im-manenza senza termini né confini, senza più necessità del puntello della fede in un ente e un mondo sopranna-turali, stolidamente dimenti-chi della propria imperma-nenza. Per questo ogni even-to che possa minacciare que-st'illusione di immortalità e di dominio superomistico sul proprio destino risulta inso-

sgomento, lo scoppio vio-lento di pianto. Ma nei pri-missimi istanti c'è solo una sorta d'insensibilità per ful-mineo black out funzionale delle due parti superiori del cervello, la corteccia e il lim-bico, che lascia campo libero all'altrettanto rapidissima emersione delle reazioni pri-mordiali del "terzo cervello", il rettile, quello alla base del-la scala evolutiva, capace di innescare una tanatosi simi-le a quella messa in atto da certi animali come estremo comportamento difensivo davanti ad un predatore quando è preclusa loro ogni altra via di fuga. Anche questa risposta fisio-logica esagerata, arcaico re-siduo dinnanzi alla percezio-ne dell'incombente pericolo supremo per un essere umano - la morte -, ha a che fare con l'indifferenza: quella che la società occidentale pervicacemente ostenta nei confronti di questa realtà nel tentativo di annullarla espungendola dal proprio orizzonte d'interesse. Nella nostra civiltà l'evoluzione della scienza medica e l'iper sviluppo tecnologico sono andati di pari passo con la rimozione della coscienza dell'ineluttabilità delle leggi della natura. La nascita e la morte di un individuo, i due passaggi fondamentali e ine-ludibili della vita, un tempo celebrati da riti collettivi di grande partecipazione emo-tiva, sono divenuti eventi solitari e spersonalizzati ri-

stenibilmente destabilizzan-te. Per questo la scoperta di avere un cancro - quell'insie-me di patologie numerose e diversissime che resta, no-nostante le vittorie ottenute contro di lui in parecchie pic-cole e grandi battaglie grazie al progresso delle terapie, un avversario ancora non scon-fitto - è qualcosa che atterri-sce e stravolge l'intero im-pianto esistenziale. Vorrebbe essere indifferen-te, il malato di cancro. Da-rebbe tutto ciò che ha di più caro per poter uscire, anche per poco, da questa sua con-dizione, poter ripiombare anche solo per pochi istanti ristoratori in quella spensie-rata ignoranza riguardo la caducità della sua condizio-ne terrena che ha perso per sempre, giacché il suo mor-bo è qualcosa da cui non ci si può mai dire guariti, è l'im-bocco di una strada lunghis-sima ed obbligata costellata della fatica di cure pesanti ed interventi chirurgici demoli-tivi e dell'ansia di controlli periodici che durano anni ed anni. Cammina per strada, entra in negozi e uffici, guida l'auto o piglia l'autobus, sen-za poter mai scacciare del tutto la sensazione di sepa-razione dalla folla dei suoi simili, di isolamento al di là del diaframma trasparente ma invalicabile che è la con-sapevolezza di essere a sca-denza. Come peraltro lo so-no anche tutti gli altri, solo che loro possono dimenti-carselo, scacciare il pensiero,

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operaincerta 35

o far finta di non averlo, e farlo talmente bene da con-vincersene. Lui no, invece. Lui non potrà mai più. Vivrà il tempo che gli resta senza poter tacitare quel sussurro di sottofondo che, a volte più attutito, a volte meno, gli ricorda che deve morire. Magari sarà un tempo di an-ni, forse di decenni, ma sarà comunque scandito quoti-dianamente, irrevocabil-mente, da quell'angoscia sottile che ad altri, che forse periranno ben prima di lui, è risparmiata. Magari dal can-cro guarirà: ma non potrà mai saperlo perché i mezzi diagnostici non possono dargli questa certezza, non

essendo ancora raffinati al punto di cogliere nel suo corpo ogni minuta, imper-cettibile anomalia cellulare (un'altra differenza), né di pronosticare quale potrà evolvere patologicamente. Avrà solo facoltà di accapar-rarsi quanta più vita potrà giorno dopo giorno, perché sarà padrone solo del pre-sente. Come anche i sani, del resto. Ai quali però resta il conforto della stolida inno-cenza che a lui è stata sot-tratta da quella diagnosi tan-to simile a una sentenza. Vorrebbe, peraltro, che lo fossero anche gli altri, in-differenti. Vorrebbe non re-gistrare nei loro comporta-

menti un imbarazzo nuovo, cogliere nei loro sguardi la punta d'angoscia, spia della voglia di scappare lontano che conosce tanto bene per averla anche lui provata, a suo tempo, nei confronti di chi aveva un male simile a quello che oggi gli è toccato. Vorrebbe che non fosse fatto a lui quello che lui ha fatto ad altri, che non ci si ritraesse in sua presenza come se il can-cro fosse una malattia conta-giosa, che marchia coloro che ne sono affetti col distin-tivo invisibile di sacrileghi violatori di un tabù da cui do-ver stare alla larga. Perché, per un retaggio istintivo ed ancestrale che arriva dalla

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36 operaincerta

sonali, nelle rogne quotidia-ne, nei problemi di lavoro o di famiglia. E anche perché come rapidamente si abitua, se è uno di quei fortunati che ci riesce, ad affidarsi ai medici e agli infermieri per le cure, traendo un gran sollievo dalla sensazione di esser avvolto in un bozzolo protettivo, così d'istinto gli viene di replicare quell'attitudine a tutti gli altri ambiti della sua (precaria e fragile, ha ora scoperto) esi-stenza. Vorrebbe che gli fosse rispar-miata la prospettiva della sua dissoluzione. Perché più del dolore, più del disfacimento corporeo, è quello che lo at-terrisce: il nulla eterno. Invi-dia i felici mortali che credo-no in un aldilà popolato di angeli e santi, vorrebbe an-che lui disperatamente ag-grapparsi a quel consolatorio palliativo, ci si applica con tutte le sue forze, ma non ci riesce. La sua idea di trapasso resta purtroppo quella di Ad-so da Melk nelle pagine finali de Il nome della rosa: "Mi inoltrerò presto in questo deserto amplissimo, perfet-tamente piano e incommen-surabile, in cui il cuore vera-mente pio soccombe beato. Sprofonderò nella tenebra divina, in un silenzio muto e in una unione ineffabile, e in questo sprofondarsi andrà perduta ogni eguaglianza e ogni disuguaglianza, e in quell'abisso il mio spirito per-derà se stesso, e non cono-scerà né l’uguale né il disu-guale, né altro: e saranno di-

preistoria, quando stare soli o essere in compagnia face-va effettivamente la diffe-renza tra la facoltà di mante-nersi in vita e la morte certa, sente un disperato bisogno di normalità che possa fun-gere da contrappeso alla sua nuova condizione nel rico-noscimento del pieno diritto di far parte ancora dell'uma-na fratellanza anziché di un ghetto di appestati, di se-gnati dalla sorte. Vorrebbe, allo stesso tem-po, che gli altri non lo fosse-ro, indifferenti. Che, anzi, manifestassero nei suoi con-fronti un affetto e una solle-citudine speciali, superiori a quelli di prima. Perché l'idea di avere un cancro, e dun-que di dover fare i conti sen-za possibilità di scampo con la sofferenza e la morte, pre-vista o presunta, lo fa vacil-lare, regredire, ritornare un bambino spaurito, bisogno-so di comprensione, indul-genza, rassicurazione, ab-bracci, carezze, quasi che il contatto con gli altri esseri umani fosse un salvacon-dotto di affrancamento dalla malattia, o almeno dalla paura di essa. Perché l'ener-gia che deve profondere per non esser sopraffatto dal suo male, e ancor di più dal-la sua paura di esso, è tanta, e va dispiegata incessante-mente convogliandola tutta sull'obiettivo, distraendola giocoforza da situazioni in cui la impiegava "prima", quali la pazienza e il buon-senso nei rapporti interper-

menticate tutte le differenze, sarò nel fondamento sempli-ce, nel deserto silenzioso dove mai si vide diversità, nell'intimo dove nessuno si trova nel proprio luogo. Ca-drò nella divinità silenziosa e disabitata dove non c’è ope-ra né immagine." E' l'idea di annullamento in questa su-prema indifferenza che lo annienta, lo lascia senza fia-to, gli dà le vertigini. Mentre il mondo andrà avanti senza di lui, imperturbabile, come se lui non fosse mai esistito. Come nell'epitaffio di John Keats, lui sarà uno il cui no-me fu scritto nell'acqua. "Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: stat rosa pristina nomi-ne, nomina nuda tenemus." Così termina il libro. E que-ste parole, scandite migliaia di volte, imparate a memo-ria, accompagneranno senz'altro gli ultimi pensieri coerenti della donna che ora termina qui le sue riflessioni, affetta da carcinoma mam-mario triplo negativo, G3, scarsamente differenziato, mentre sprofonderà nel co-ma indotto dall'anestesia per l'intervento di mastectomia a cui sarà sottoposta dopo la chemioterapia e prima della radioterapia, nella speranza di sottrarre un altro po' di tempo alla divina Indifferen-za.

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operaincerta 37

H

eil

é

Sa

lass

ié L’indifferenza

Ru

bric

a

Parole Sante

Nel corso della storia, è stata l'inattività di coloro che avreb-

bero potuto agire; l'indifferenza di coloro che avrebbero do-

vuto saperlo più degli altri; il silenzio delle voci quando più

erano importanti; che ha reso possibile il trionfo del male.

Carlo Blangiforti

AltrOcchio Fotoromanzo all’italiana

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38 operaincerta

Manca Pincherle

La memoria di un grande

scrittore nell'Italia dei Salvini e

dei Di Maio

Sa

ro

Dis

tefa

no

condo me (e però io non so-

no nessuno) è la versione

moderna e americana di

Pincherle.

Quella di Pincherle è, è sta-

ta, una avventura umana e

culturale incredibile. Malat-

tia, talento, viaggi, donne,

premi, e mai, dicasi mai

(almeno a giudicare dalle

foto che è possibile reperire

in rete, e sono migliaia) un

sorriso. Al più un leggero

piegarsi dell’angolo della

bocca.

La sua avventura letteraria

è difficilmente paragonabile

ad altri, in Italia e in Europa.

È probabilmente tra i mag-

giori dieci scrittori italiani

del ventesimo secolo. Anzi,

senza probabilmente.

Però è stato quasi del tutto

dimenticato. Dalla critica (e

non ci potrebbe fregare di

meno) e dal pubblico. Eppu-

re Alberto Pincherle è stato

davvero un grandissimo:

quindici candidature al Pre-

mio Nobel per la Letteratu-

ra non sono da tutti. Ma è

ancora più grande se si pen-

sa che nonostante le quin-

dici candidature, il Nobel

non lo ha mai vinto. Proprio

come Philip Roth che se-

Trenta romanzi, non sappia-

mo quanti racconti, articoli

su tutti i giornali seri del

mondo. E poi le frequenta-

zioni, la famiglia, impressio-

nante.

Eppure, oggi è escluso dal

dibattito letterario italiano,

dove a farla da padrone è

Fabio Volo.

Ecco perché, mentre scrivo,

il Presidente del Consiglio

dei Ministri non c’è ancora e

Luigi Di Maio e Matteo Sal-

vini lavorano per raggiunge-

re un accordo su un possibi-

le patto della staffetta.

Quando Alberto Pincherle

scriveva i suoi primi roman-

zi c’era la dittatura, e in epo-

ca repubblicana e democra-

tica governavano Aldo Moro

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operaincerta 39

e il Partito di riferimento del

romanziere era retto da En-

rico Berlinguer.

Ricordo come fosse ieri gli

anni della cosiddetta Guerra

Fredda, quando russi e

americani si sfidavano a col-

pi di Granada e Afganistan e

Pincherle, intervenendo nel

dibattito tutto italiano (un

Paese dove governavano

democristiani nettamente

filo-americani ma dove i co-

munisti erano tanti e forti)

inventò una formula assolu-

tamente geniale: “nella no-

stra società è ancora pre-

sente l’assurdità della guer-

ra. Dobbiamo sconfiggerla,

e non trovo altro modo se

non dichiarala un tabù, un

tabù culturale. Così come

evitiamo l’incesto perché

considerato un assoluto ta-

bù, così potremo eliminare

la guerra dalla nostra socie-

tà dichiarandola un tabù”. La

Storia ci dice che non venne

ascoltato, evidentemente.

Davanti alla rovina del

mondo occidentale, e non

avendo alternative se non

lontanissime isole del Pacifi-

co assediate dalla plastica, ci

-mi rimane di assumere la

forma assoluta della sereni-

tà: la indifferenza.

Fotograma da “Gli Indifferenti” di Citto Maselli

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40 operaincerta

Numeri ARRETRATI

A c

ura

de

lla

R

ed

azi

on

e

130 - Nell’abisso 129 - Oronero 128 - Al Nord! 127 - The Sound of Silence 126 - Energie 125 - De Mysteriis 2015 124 - Terrore! 123 - Nonsense 122 - Il Paradiso 121 - Il Purgatorio 120 - L’Inferno 119 - Il dialogo 118 - Le sirene 117 - L’approdo 116 - Al volante 115 - Fuoco 114 - Liberi Libri 113 - Polizia 2014 112 - Il sangue 111 - La fortuna 110 - Il disprezzo 109 - Regno animale 108 - Regno vegetale

2018 152 - La gelosia 151 - Odissee 150 - Malarazza 149 - La Ricchezza 2017 148 - Vintage 147 - Io sto male 146 - Cartellino rosso 145 - Fratellanza 144 - Uguaglianza... 143 - Libertà... 142 - Fenomeni 141 - Antagonismi & Conflitti 140 - Fratelli maggiori 139 - Homo Faber 138 - Antipodi 137 - Fantastiche creature 2016 136 - Uomo vs macchina 135 - Ridi Pagliaccio! 134 - Le pietre 133 - Venere 132 - Tabacco… 131 - Bacco...

107 - Regno minerale 106 - Comunicare 105 - La crisi 104 - Casino 103 - La Chiesa 102 - Casa dolce casa 2013 101 - Il Male 100 - V come Vendetta 99 - Gli occhi 98 - 10 anni 97 - Disegni Animati 96 - Corna 95 - La vita è sogno? 94 - Flos floris 93 – L’isola che c’è 92 - xxx-mission 91 - Cavallo di ferro 90 - Futuro interiore 2012 89 - Radio 88 - Cara perfida Albione 87 - Douce France 86 - Tre 85 - Due

Tredici anni di idee...

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84 - Uno 83 - La camicia 82 - Ponti 81 - Di pancia 80 - Il vuoto 79 - Nella merda 78 - Anno nuovo, vita nuova 2011 77 - Rosso 76 - Bianco 75 - Verde 74 - Libera uscita 73 - Appesi allo zodiaco 72 - Gli specchi 71 - Il deserto 70 - Sliding Doors 69 - Terremoto 68 - Senza peccato 67 - Itagliani!!! 66 - Made in Japan 2010 65 - Re e regine 64 - Rivoluzione! 63 - Num3ri 62 - La fuga 61 - ... e Fantasia 60 - Amore... 59 - Pane... 58 - Imago 57 - In nome della legge 56 – L’assenza 55 - Che barba 54 - Il dittatore 2009 53 - La mamma 52 - Africa 51 - Il mare 50 - Stile libero 49 - Rock ‘n’ Roll 48 - Droga 47 - Sesso 46 - Le stagioni 45 - Mercato globale 44 - Reciclaggio 43 - Volta la carta

42 - Caro amico ti scrivo 2008 41 - Le mie prigioni 40 - Riveder le stelle 39 - Vite in vendita 38 - Paure 37 - Spettacolarte 36 - E io pago 35 – L’unione _ La separazione 34 - Sogni e sonni 33 - Bianconero 32 - Lavoratori? 31 - Omosessuali 30 - Ssshhhh 2007 29 - Per passione 28 - Generazione Boh 27 - La Repubblica dei comici 26 - I musicomani 25 - Buonviaggio 24 - Numero verde 23 - È festa!

22 - Pazzo! 21 - TraPassato e futuro 20 - Menzogna e verità 19 - D’Io 18 - Pubblicità padrona 2006 17 - Muri 16 - La notte 15 - Argentina 14 - Tutti a scuola 13 - I piaceri 12 - H2O 11 - Giocosporco 10 - Trinacria 09 - Cara democrazia 07 – L’altra metà 06 - Condonato 2005 05 - Guerra e fame 04 - La famiglia 03 - Zoo 02 - La musica della città 01 – Via vai

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42 operaincerta

Il COLOPHON

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Muriel Gantz Gianni Giampiccolo Silvia Girasa Roberta Gurrieri Vincenzo La Monica Katharina Landbrecht Adriana Lazzini Nick Neim Francesca Romana Longo Gaetano Giuseppe Magro Alessandro Manuguerra Gina Massari Salvina Monaco Claudine Morel Luciano Nicastro Oriana Occhipinti Andrea G. G. Parasiliti Fabio Pinna Graziella Priulla Ester Procopio Massimo Romano Gian Piero Saladino Ciccio Schembari Pippo Traina Federica Tribastone Marinella Tumino Maria Cristina Vecchiarelli Patrizia Vindigni PROGETTO GRAFICO Carlo Blangiforti Meno Occhipinti REALIZZAZIONE DEL SITO Carlo Blangiforti Meno Occhipinti Per mandare i vostri commenti e i vostri contributi [email protected] Il sito è ospitato sui server di Seeweb srl (www.seeweb.it)

EDITORE: Associazione Operaincerta DIRETTORE RESPONSABILE: Antonio La Monica VICEDIRETTORE: Meno Occhipinti IL COMITATO DI REDAZIONE Carlo Blangiforti Daniele Colombo Loretta Dalola Saro Distefano Assia Gennaro Enzo Ingallina Sara Sigona COLLABORATORI Aldo Adamo Pietro Ancona Martina Annibaldi Carmen Attardi Anna Maria Baiamonte Salvo Bonaccorsi Stefano Borgarelli Patrizia Boschiero Marinella Calabrese Filippo Camerini Laura Ciancio Vittore Collina Amalia Cornale Alessandro D’Amato Gianni Failla Luca Farruggio Veronica Ferlito Daniela Ferrara Annalisa Ferraro

Il giornale esce il 14 di ogni mese Lettere di commento e articoli do-vranno essere inviati alla redazione esclusivamente all'indirizzo di posta elettronica [email protected] Per i brani tratti da altri testi e per le eventuali foto inviate a corredo si dovrà sempre citare autore e provenienza. Il materiale ricevuto sarà vagliato dalla redazione e, anche in caso di eventuale pub-blicazione, il suo contenuto non è necessariamente condiviso dalla direzione del giornale.

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Associazione Operaincerta

Operaincerta.it Mensile di opinioni, culture, politica, satira, informazione, formazione e incontro. n. 153 del 14 maggio 2018 Testata iscritta nel registro dei giornali e dei periodici del Tribunale di Modica in data 02/08/2005 al numero 1/05