Carlos Castaneda-Il Lato Attivo Dell' Infinito

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It tO giugno 1998 d stata diffusaI nol mondo Ia notizia della morteI Ot Carlos Castaned.a, uno dei piDI influenti maestri spirituati dellanostra epoca. Il certiflcato di morterecava la data del ZT aprile, e le sueceneri, dopo una cerimonia a cuihanno partecipato pochi intimi, sonostate sparse in un luogo segreto neldeserto d.el Messico. Q,uesto libro,ultimato poche settimane prima, dinsieme un testarnento spirituale eil metodo di conoscertza e di ricercainteriore di cui si d serrrito Castanedaper andare incontro con sereniti, econsapevolezza al proprio destino.Il "lato attivo delf infinito", infatti,d la regione, reale e concreta, a cuiaccedono gli sciamani dopo la morte.Per prepararsi all'ultimo viaggionell'ignoto, essi ripensano e rivivonogli atti e i rnomenti fondamentalidella loro vita, cosi da raccogliere lasomrna totale d.elle proprie emozionie conoscetaze, della propria energiavitale. Rrcid, all'inizio di questo libroestremo e rivelatore, don Juan Matus,lo sciamano Yaqui che aveva sceltoCastaneda come discepolo, esorta ilsuo al[evo a comporre l".album" delleproprie esperienze. Questo librosingolare d appunto I'album di un

I'autore racconta per la prima voltagli eventi memorabili diuna vita rimasta sempre arnrolta nelmistero pit fitto. Tra questi eventic'd anche il "viaggio definitivo" didon Juan, che dopo gli ultimiinsegnamenti al discepolopredestinato ascende al sielo in formadi sfera di fuoco: prefigurazione diunlaltra morte, narrata da un uomoche si sentiva anch'egli sulla sogliadet LATO ATTIVO DELL'INFINITO.

or CfrRt0$ C[$Iff{t0[ nrnou lrnp||BBil0nlo I P0ltnt utt $lttllll0, H$0[t[tt il1ilt, t[ $tc0]100 lllttt0 0tt P0ItRt,It [01t0 0ttn0t|lH, l[ r[0c0 0ltPR0r0t[0, t]tnIt il $00lllRt, Itil$taRlIl.

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# PrefazioneSintassiX'issando le sue equazioniun uomo dichiard che I'universo aveva alrrto un inizio.C'era stata un'esplosione, disse.Un'esplosione primordiale e I'universo era nato.E si sta espandendo, aggiunse.Calcold perfino la durata della sua esistenza:dieci miliardi di rivoluzioni della Tbrra intorno al sole.Uintero globo applaudi;stabilirono che i suoi calcoli erano scienza.Nessuno pensd che suggerendo I'idea dell'inizio

dell'universoquell'uomo aveva semplicemente rispecchiato la sintas-

si della sua lingua madre;una sintassi che esige un inizio, come la nascita, e uno

wiluppo, come la maturazione,e una fine, come la morte, in qualitd di fatti.Uuniverso d natoe sta invecchiando, ci assicurd I'uomo,e morirb, cosi come muoiono tutte le cose,come lui stesso mori dopo aver eonfermato a livello

matematicola sintassi della sua Iinzua madre.

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Ealtra sintassiUunirerso d dawero iniziato!I-,ia teoria dell'esplosione primordiale d esatta?Queste non sono domande, anche se possono apparire

tali.E la sintassi che ha bisogno di un inizio, uno wiluppo e

una fine come affermazioni del fatto che solo la sin-tassi esiste?

Questa d la vera domanda.Ci sono altre sintassi.Ce n'd una, per esempio, che richiede che vari livelli di

intensitd siano accettati come fatti.In questa sintassi niente inizia e niente finisce;di conseguenza, la nascita non d un evento chiaro

e ben definito,ma uno specifico tipo di intensitir,eosi come lo sono la maturitd e la morte.Esaminando le sue equazioni, un uomo cli tale sintassi

scopredi aver calcolato una varieth sufficiente tii livelli di in-

tensitdper poter affermare con eertezzache I'universo non d mai iniziatoe non finiri mai,ma che b passato, sta passando e passerbattraverso infinite fluttuazioni di intensitd.Quell'uomo potrebbe giungere alla conclusione che

I'univelso stessob il carro dell'intensithe che ci si pud salire a bordoper viaggiare attraverso carnbiamenti senza fine.Egli trarrd tale conclusione, e molte altre,senza magari rendersi contoche sta semplicemente confermandoIa sintassi della sua linsua madre.

@ tntroduzione

Questo libro d una raceolta di eventi memorabili del-la mia esistenza. Li ho riuniti seguendo le indicazioni didon Juan Matus, uno sciamano indiano Yaqui originariodel Messico, un maestro che per tredici anni ha cercatodi rendermi accessibile l'uniuerso conoscitiuo degli scia-mani che vivevano nell'antico Messico. Egli mi suggeri diprocedere a tale raccolta eome se si fosse trattato di urt'i-dea del tutto casuale, qualcosa che gli eravenuto in men-te all'improwiso. Il suo stile di insegnamento era pro-prio questo: don Juan celava I'importanza delle sue ma-novre tlietro un aspetto pir) terreno, e nascondeva I'im-portanza del suo obiettivo, presentandola come qualcosadi simile alle faccende della vita quotidiana.

Con il passare del tempo don Juan mi riveld che glisciamani dell'antico Messico avevano concepito questaraccolta di fatti memorabili come una sorta di accorgi-mento bonafid,e per seuotere le tracce di encrgia che esi-stono all'interno del s6. Essi ritenevano che tale energia

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avesse origine nel corpo e venisse poi spostata,, allonta-nata e spinta fuori dal suo campo d'azione dalle circo-stanze della l'ita quotidiana. In questo senso, per donJuan e per gli sciamani del suo lignaggio, la raccrolta dieventi memorabili era un mezzn per reimpiegare la loroenergia inutilizzata.

II reouisito fondamentale per questa raccolta era ilgesto sincero e totale di riunire I'insieme globale delleproprie emozioni e realizzazioni, senza risparmiarsinulla. Secondo don Juan, gli sciamani del suo lignaggioerano convinti che tale raccolta fosse lo strumento del-la sistemazione emozionale ed energetica necessaria perawenturarsi nell'ignoto, avendo a disposizione la sag-gezza della percezione nell'ignoto.

Don Juan definiva I'obiettivo finale della conoscenzasciamanica che egli possedeva come la preparazione ne-eessaria per affrontarc i uiaggi,o definitiao, quello ciodche ogni essere umano deve intraprendere al terminedella propria esistenza. Mi spiegb che grazie alla loro di-sciplina e alla risolutezza che li animava, gli sciamanierano in grado di mantenere la loro consapevolezza e tl,loro scopo anche dopo la morte. Per tutti loro, quellostato vago e idealistico che I'uomo moderno definisce"vita dopo la morte" era una regione reale caratterrzz&-ta da affari pratici di tipo diverso da quelli della vitaquotidiana ma dotati di una praticitb funzionale simile.Don Juan era certo che raccogliere gli eventi memora-bili dell'esistenza rappresentasse per gli sciamarri lapreparazione al lor.o ingresso in quella regione reale cheessi chiamav ano iL lat o attiu o dell',inJinit o .

Un pomeriggio, don Juan e io stavamo parlando sot-to la sua ramacla, un riparo f'atto di bastoni sottili ebambi, simile a un porticato in gr.ado di proteggere al-meno in parte dal sole rna del tutto inutile per la pioggia.Alcune casse piccole e resisteriti servivano da panchine;i segni dei marchi a fuoco, ormai svaniti, sembravano10

INTRODUZIONE

scmplici ornamenti pii che segni di identifrcazione. Ioero seduto su una di quelle, con la schiena appoggiata allato anteriore della casa; don Juan era su un'altra, ap-poggiato a uno dei pali che sostenevano la ramada. Es-sendo arrivato pochi minuti prima in auto, dopo averguidato per I'intera giornata con il caldo e I'umiditd, misentivo neruoso, irrequieto e madido di sudore.

Non appena mi secletti comodamente sulla cassa,clon Juan si mise a parlare e, con un ampio sorriso, com-mentd che di solito le persone sowappeso non sanno co-me combattere il grasso. Il sorr.iso che gli aleggiava sul-le labbra mi fece capire che non stava affatto scherzan-do: in una maniera diretta e al tempo stesso velata mistava facendo notare che ero sotr.appeso.

Ero cosi nervoso che scivolai dalla mia cassa e andaia sbattere eontro il muro sottile della casa, scuotendolafin nelle fondamenta. Don Juan mi rivolse uno sguardointerrogativo e inveee di chiedermi se stavo bene, mitranq.atllizzd dicendo che non gli avevo rotto la casa di-lungandosi a spiegarmi che quella era solo un rifugiotemporaneo e che in realtd lui viveva da un'altra parte.Gli chiesi dove abitava e lui si limitd a fissarmi. Pur sen-za essere ostile, ii suo sguardo voleva essere un fermodeterrente nei confronti delle domande improprie. Noncapivo cosa volesse da me e stavo per ripetergli il rnioquesito, ma lui mi bloccd.

"Da queste parti non si fanno domande del genere"dichiard in tono deciso. "Puoi chiedere qualunque cosain merito alle procedure e alle idee. Quando sard pron-to a dirti dove vivo, se mai lo sard, te lo dird senza chetu debba chiedermelo."

Mi sentii respinto e awampai, offeso. I-.ia risata didon Juan ingrandi all'infinito Ia rnia sofferenza: oltread avermi rifiutato, mi aveva insultato e deriso.

"Per il momento abito qui perch6 questo d un eentromagicoo riprese, incurante del mio disappunto. "Inrealth, ci abito per causa tua."

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Quella dichiarazione mi disarmd; non riuscivo a cre-derci. Pensai che il mio interlocutore volesse semplice-mente placare la mia irritazione.

"Abiti dawero qui a causa mia?" Chiesi alla fine, in-capace di trattenere la curiositd.

"Si" mi rispose in tono pacato. oDevo educarti. 1\rsei eome me. Ti ripeterd quello che ti ho gib detto: la ri-cerca di ogni nagual in ciascuna generazione di strego-ni consiste nel trovare un uomo o una donna che, al pa-ri di lui, mostri una doppia struttura energetica; io hovisto in te questa caratteristiea, alla stazione degli au-tobus di Nogales. Quando vedo la tua energia, vedo duesfere di luminositi sowapposte una sopra I'altra, e que-sto aspetto ci lega insieme. Io non posso respingerti co-si come tu non puoi allontanarmi."

Le sue parole scatenarono in me una forte e stranaagitazione: un attimo prima ero furioso, adesso volevopiangere.

Don Juan eontinud, spiegando ehe aveva intenzionedi iniziarmi a quella che gli stregoni chiamano la uitadei guerrieri, sostenuto dalla forza della zona in cui vi-veva, che era il fulcro di potenti emozioni e reazioni.Persone inclini alla guerra vi avevano vissuto per migliaia cli anni, impregnando la terra del loro coinvolgi-mento nei eonfronti della guerra.

All'epoca viveva nello stato di Sonora, nel Messico delnord, circa centocinquanta chilometri pir) a sud dellacittd di Gua;'rnas. Andavo sempre a trovarlo nella spe-ranzadi proseguire il mio lavoro direttamente sul campo.

"Devo entrare in guerra?" gli chiesi, sinceramentepreoccupato, quando mi annuncid che un giorno o I'al-tro awei avuto bisogno del coinvolgimento nei confron-ti della guerra. Avevo gi) imparato a prendere sul serioqualunque cosa mi dicesse.

"Puoi scommetterci" mi rispose sorridendo. ..Nonappena awai assorbito tutto cib che c'd da assorbire inquesta zona, io mi trasferird."

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TNTRODUZIONE

Non avevo alcun motivo per dubitare delle sue paro-le, ma al tempo stesso non riuscivo a immaginare chepotesse andarsene da qualche altra parte. Egli era par-te integrante di ogni cosa che 1o circondava. Ira sua abi-tazione, tuttavia, sembrava un riparo temporaneo: erala tipica baracca degli agricoltori Yaqui, fatta di can-niccio ricoperto di argilla e fango, eon il tetto piatto ri-vestito di paglia. Una stanza serviva per mangiare edormire, I'altra era una cucina priva di tetto.

"E molto difflrcile avere a che fare con Ie persone so-wappeso> esclamd a un tratto.

Sembrava una frase del tutto estranea al resto dellaeonversazione, ma in realtb non lo era: don Juan erasemplicemente tornato all'argomento di cui stava par-lando prima che io lo interuompessi scivolando contro laparete della sua casa.

"Un attimo fa hai colpito la mai dimora eome unproiettile da demolizione" osservd, scuotendo lentamen-te il capo.,"Che impatto... degno di un grassone!"

Ebbi la spiacevole impressione che stesse parlando dime eome se non si facesse pit illusioni e mi affrettai adassumere un atteggiamento difensivo. Lui ascoltb conuna smorfia le mie affannate spiegazioni sul fatto che ilmio peso era del tutto normale per la mia struttura ossea.

..8 veroo concesse in tono divertito. "I-le tue ossa so-no molto grandi, potresti andartene in giro con altriquindici chili addosso e nessuno ci farebbe caso. Io nonme ne accorgerei."

Dal suo sorriso beffardo si capiva che mi giudicavadecisamente grasso. Mi chiese della mia salute in gene-rale e io continuai a parlare, eercando disperatamentedi evitare qualunque ulteriore commento sul mio peso.tr\r lui a cambiare discorso.

"Che c',b di nuovo a proposito delle tue eccentricitd eaberrazioni?" mi chiese con espressione impenetrabile.

Come un idiota gli risposi che stavano bene. "Eceen-triciti e aberrazioni" erano il modo in cui etichettava i

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miei interessi di collezionista. fn quel periodo ero tor-nato a dedicarmi con zelo rinnovato a un'attivitA cheavevo sempre apptezzato: collezionare tutto quello chesi poteva collezionare. Raccoglievo quindi giornali, fran-cobolli, dischi e oggetti tlella Seconda guerra mondiale,per esempio pugnali, elmetti, bandiere...

"Uunica cosa che posso dirti sulle mie aberrazioni dche sto eercando di vendere Ie mie collezioni" gli risposicon il tono di un martire costretto a compiere chissdquale gesto orrendo.

..Essere un collezionista non d una brutta idea" miconsold, come se ei credesse dawero. "Il problema nonb I'abitudine in s6, quanto gli oggetti stessi che raccogli:tu conservi robaccia da nulla, cose prive di valore che titengono prigioniero cosi come fa il tuo cane. Non puoimollare tutto e andartene se devi prenderti eura di unanimale o preoccuparti della sorte a eui vanno incontrole tue raccolte se tu non sei nei paraggi."

"Credimi, don Juan, sto seriamente eercando degliacquirenti" eercai di difendermi.

..No, no, non devi pensare che ti sto aceusando" ri-batt6lui. ..A dire il vero, io apprezzo il tuo spirito da col-lezionista, d solo che non mi piacciono le tue collezioni,tutto qui. Mi piacerebbe far lavorare il tuo occhio da col-lezionista e vorrei proporti una raccolta valida."

Don Juan fece una lunga pausa. Sembrava che stes-se cereando le parole giuste, o forse era solo un'esita-zione studiata, fatla proprio al momento giusto. Mi ri-volse uno sguardo profondo e penetrante.

"Ogpi guerriero ha il dovere di raccogliere un albumspeciale, un album che rivela la sua personalitd e testi-monia le circostanze della sua vita."

"Per quale motivo la chiami collezione o album?" glidomandai incuriosito.

"Perch6 b entrambe le cose, ma soprattutto perch6 dun album di immagini messe insieme dai ricordi, riea-vate ciod dal ricordo di awenimenti memorabili."

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INTRODUZIONE

"Questi eventi memorabili lo sono per qualche ragio-ne specifica?' gli domandai.

..Lo sono perch6 rivestono un signifrcato particolarenell'esistenza di un individuo. Ti propongo di mettereinsieme questo album inserendovi il resoconto completodei vari awenimenti che hanno avuto per te un profon-do signifrcato."

"Ma tutti gli eventi lo hanno avuto!" dichiarai con fo-ga, rendendomi conto da solo di quanto apparivo tronfio.

..Non proprio" mi eorresse sorridendo, immensa-mente divertito dalle mie reazioni. ..Non tutti i fattidella vita hanno avuto per te un significato profondo.Perb ce ne sono alcuni che ritengo ti abbiano cambiato,illuminando il tuo sentiero: si tratta in genere di que-stioni impersonali e al tempo stesso estremamente per-sonali."

"Don Juan, nonvorrei darti l'impressione che sto fa-cendo il diffrcile, ma ti assicuro che tutto cid che mi d ac-caduto risponde a tali requisiti" proseguii, consapevoledi mentire.

Subito dopo aver fatto questa dichiarazione aweivo-luto scusarmi, ma don Juan non mi prestd Ia minimaattenzione: era eome se non avessi aperto bocca.

"Non devi pensare a questo album in modo banale oeome se fosse un futile rifacimento delle esperienze del-Ia tua vita" mi awisd.

Inspirai a fondo, chiusi gli occhi e cercai di placarela mente. Stavo confabulando freneticamente eon mestesso in merito al mio problema insolubile: ero certoche visitare don Juan non mi piacesse affatto. In suapresenza mi sentivo minacciato, perch6 era solito ag-gredirmi verbalmente e non mi permetteva di mostrarein alcun modo il mio valore. Detestavo perdere Ia facciaogni volta che aprivo la bocca e non sopportavo di ap-parire uno stupido.

Dentro di me c'era perb urt'altra voce, che provenivada un luogo pit profondo e remoto, quasi impercettibile.

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Nel bel mezzo del fuoco di fila del dialogo consapevo-le sentii me stesso dire che era ormai troppo tardi per fa-re marcia indietro. In realtd quella che pereepivo non erala mia voce e non si trattava nemmeno dei miei pensieri:era una voce sconosciuta che mi awisava di essermi or-mai addentrato troppo a fondo nel mondo di don Juan emi spiegava che avevo bisogno di lui pii che dell'aria.

"Puoi dire quello che r,rroi, ma se tu non fossi cosicentrato nell'ego, non saresti cosi distrutto" sembravasussurrarmi.

"Questa d la voce clell'altra tua mente, dichiard inquel preciso istante don Juan, come se mi avesse lettonel pensiero.

Sussultai e la mia paura era cosi intensa che mi ri-trovai con gli occhi colmi di lacrime. Gli confessai la ve-ra causa della mia confusione.

"Il tuo conflitto b del tutto naturale" mi rassicurd."Credimi, io non lo esaspero affatto, non sono certo il ti-po... Potrei raccontarti molte storie su quello che mi fa-ceva sempre il mio maestro, il nagual Julian. Lo dete-stavo con tutte le mie forze. Sai, ero molto giovane, e ve-devo che le donne lo adoravano, si donavano a lui conestrema facilitd; io mi limitavo a salutarle e loro mi ag-gredivano, feroci come leonesse. Mi odiavano in manie-raviscerale, cosi come adoravano lui. Come credi che misentissi9"

"In che modo sei riuscito a risolvere questo conflit-to?" gli chiesi, con qualcosa di pit di un semplice inte-resse.

"Non ho mai risolto un bel nulla. Questo conflitto, oin qualunque altro modo lo vuoi chiamare, era il risul-tato della battaglia fra le mie due menti. Ogni essereumano possiede due menti: una d completamente nostraed d simile a una voce debole che ci porba sempre ordi-ne, direzione e uno scopo preciso; I'altra d invece wain-stallazione estranea che ci porta conflitti, arroganzadubbi e disperazione".

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INTRODUZIONE

La fissazione sulle mie concatenazioni rhentali eracosi intensa che mi ero perso tutto quello che don Juanaveva detto: anche se ricordavo con estrema chiarezzaognuna delle sue parole, esse mi parevano prive di si-gnificato. Esprimendosi in tono pacato e fissandomi ne-gli occhi, don Juan mi ripetd cid che aveva appena det-to, ma anche in questo caso non riuscii a capirlo, inca-pace di focalizzarc la mia attenzione sulle sue parole.

"Per qualche strano motivo, non riesco a concentrar-mi su quello che mi stai dicendo" gli confessai.

"Capisco perfettamente perch6 non ci riesci e ungiorno lo capirai anche tu, nell'attimo stesso in cui ri-solverai il conflitto in merito al fatto che io ti piaccia omeno; quel giorno smetterai di essere I'io-io centro delmondo,, mi disse. sorridendo beato.

"Nel frattempo, mettiamo da parte I'argomento del-le nostre due menti e torniamo a parlare di come pre-parare il tuo album di eventi memorabili. Devi sapereche un album del genere d un esercizio di disciplina e im-parzialitd: consideralo un atto di guerra".

I-la sua affermazione, che il mio conflitto sul fatto chelui mi piacesse o meno, sarebbe scomparso non appenaavessi abbandonato il mio egocentrismo, mi sembrd deltutto inaccettabile. Anzi, mi rese ancora pir) frustrato ecolmo di rabbia. Non appena Io sentii parlare dell'al-bum come atto di guerra, lo aggredii con tutto il veienoche avevo accumulato.

..0 gre, diffrcile capire il concetto di una raccolta difatti e, come se non bastasse, lo chiami album e dici ched un atto di guerra... per me d troppo! Le metafore ec-cessivamente oscure perdono il loro significato."

"Che strano, per me d esattamente il contrario!" ri-batt6lui in tono pacato. "Ritengo molto significativo ilfatto che un album sia un atto di guerra e vorrei che ilmio non fosse nient'altro che un atto di guena.>>

Awei voluto eontinuare a perorare Ia mia causa,spiegandogli che capivo quel concetto, ma ero contrario

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al modo strano in cui me lo stava descrivendo. All'epo-ca ritenevo di essere un difensore della chiarezza e delfunzionalismo nell'uso del linguaggio.

Don Juan non fece alcun commento sul mio umoreostile e si limitd a scuotere il capo, come se fosse piena-mente d'accordo con me. Dovevo essermi ritrovato pri-vo di energia, o forse ne ricevetti una dose massiccia,perch6 all'improwiso, senza il minimo sforzo mi resiconto della futilitb delle mie esternazioni e sprofondainell' imbara zzo pii. totale.

"Per quale motivo mi comporto cosi?" domandai adon Juan in tono sincero. In quel momento ero a dir po-co confuso e talmente sbalordito dalla mia scoperta chescoppiai in lacrime.

"Non preoccuparti per i dettagli pii stupidi,' si af-frettd a rassicurarmi. "Ogpuno di noi, maschio e fem-mina, d fatto cosi."

"Vorresti dire che per natura siamo tutti meschini econtraddittori?"

"Al contrario: le nostre meschinitd e le nostre con-traddizioni sono il risultato di un conflitto trascenden-tale che affligge tutti noi, ma di cui solo gli sciamani so-no dolorosamente e disperatamente consapevoli: si trat-ta del conflitto delle nostre due menti."

Don Juan mi lancid un'occhiata di sbieco con i suoiocchi simili al carbone pii nero.

"Mi hai gid parlato delle due menti, ma il mio cervel-lo non riesce a registrare le tue parole. Perch6"?

"Lo scoprirai al momento grusto" mi rispose. "Perora b sufficiente che io ti ripeta cid che ti ho gid detto inmerito alle due menti: una d la nostravera mente, il pro-dotto delle nostre esperienze di vita, quella che parla dirado perch6 d stata sconfitta e relegata nell'oscuriti.Ualtra, quella che usiamo ogni giorno per qualunque at-tivite quotidiana, d urt'installazione estranea. "

"Il nocciolo della questione d che il concetto di men-te eome installazione estranea d cosi bizzarro che la mia

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INTRODTIZIONE

stcssa mente si rifiuta di prenderlo sul serio" gli confi-rlai, certo di aver fatto una vera e propria scoperta.

Don Juan non fece commenti e riprese la sua spie-gizione come se io non avessi nemmeno aperto bocca.

"Per risolvere il conflitto delle due menti occorre ave-ro l'intenzione di farlo. Gli sciamani evocano I'intento;rronunciando a voce alta e chiara la parola intento: duna forza che esiste nell'universo, e quando gli sciama-ni la evocano si presenta a loro e predispone il sentierolrer la realizzazione. Questo significa che gli sciamanirieseono sempre a fare quello che vogliono."

"Vorresti dire che gli sciamani ottengono semprequello che desiderano, anche se si tratta di qualcosa dimeschino, triviale e arbitrario?" gli chiesi.

"Nient'affatto! Uintento pub essere evocato per quii-lunque motivo, ma gli sciamani hanno imparato a lorospese che.si presenta a loro solo per qualcosa che dastratto. E la loro valvola di sicurezza, senza la qualesarebbero insopportabili. Nel tuo caso, evocare l'inten-to per risolvere il conflitto delle tue due menti o sentirela voce della tua vera mente non d una questione me-schina, triviale o arbitraria: al contrario, d astratta edeterea, e riveste per te un'imporbanza fondamentale."

Dopo una breve pausa, don Juan riprese a parlaredell'album.

"Essendo un atto di guerra, il mio album ha richie-sto una selezione piir che attenta. Adesso d una raccoltaprecisa dei momenti indimenticabili della mia esistenzae di tutto cid che mi ha portato fino a essi. AI suo inter-no ho contratto tutti gli eventi che hanno aurto e awan-no un significato per me. Ritengo che I'album di unguerriero sia qualcosa di pii concreto, talmente miratoda essere distruttivo."

Non avevo idea di eosa volesse don Juan, eppure Iocapivo alla perfezione. Mi suggeri di sedermi da solo e dilasciar fluire liberamente i miei pensieri, i ricordi e leidee. Mi raceomandd di fare uno sforzo affinch6la voce

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del profondo del mio essere si facesse sentire e mi di-cesse cosa scegliere, poi mi ordind di entrare in easa estendermi sul letto di casse di legno e sacchi di juta, chefungevano da materasso. Il corpo mi doleva, e quel gia-ciglio si riveld molto confortevole.

Seguii il suo suggerimento e cominciai a pensare almio passato, cercando gli awenimenti che avevano la-sciato un segno. Mi resi subito conto che I'affermazioneche tutti gli eventi della mia vita avevano avuto unprofondo signifrcato era un'assurditd. Mentre mi co-stringevo a ricordare, scoprii che non sapevo nemmenoda che parte cominciare. La mia mente filtrava un'infr-nitb di pensieri e ricordi non legati fra loro. Non riusci-vo a capire se avessero o meno un significato per me. Inrealtd avevo I'impressione che niente avesse il bench6minimo significato; mi sembrava di aver vissuto comeun cadavere dotato della capacitd di camminare e par-lare, senza provare mai nulla. fncapace di concentrarmiper cercare di raggiungere il mio obiettivo, dopo un va-no tentativo rinunciai e mi addormentai.

"Ci sei riuscito?" mi chiese don Juan quando mi sve-gliai, ore dopo.

Invece di sentirmi bene dopo aver dormito e riposa-to, ero ancora di malumore e aggressivo.

..No, non ci sono riuscito" ringhiai."Hai sentito quella voce proveniente dal profondo del

tuo essere?""Credo di si" mentii."E che cosa ti ha detto?" mi domandd, ansioso."Non ricordo" borbottai."Sei tornato nella tua mente quotidiana", mi spiegd,

battendomi conforza sulla schiena.,,Itatua mente quo-tidiana ha ripreso il soprawento. Cerchiamo di rilas-sarla parlando della tua collezione di eventi memorabi-li: devo awisarti che la scelta di quelli da inserire nel tuoalbum non d affatto facile. E per questo motivo che hodetto che si tratta di un atto di guerra: per sapere cosa

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INTRODUZIONE

scegliere devi riesaminare te stesso da cima a fondo peruna decina di volte."

Solo allora, per un breve istante, riuscii a capire chepossedevo due menti, ma era un pensiero cosi vago chelo persi subito. Mi rimase soltanto la sensazione di nonessere in grado di soddisfare la richiesta di don Juan.

Invece di accettare con graz\a la mia incapacitd, lepermisi di trasformarsi in una vera e propria minaccia.In quel periodo la mia vita sembrava dominata dal bi-sogno di mettermi in buona luce ed essere incompeten-te equivaleva a essere un perdente, cosa per me intolle-rabile. Dato che non sapevo come rispondere alla sfidalanciata da don Juan feci I'unica cosa che sapevo fare:mi arrabbiai.

"Devo ancora pensarci sopra, devo concedere alla miamente tutto il tempo necessario per adattarsi all'idea."

"Certo, eerto" si affrettd ad assicurarmi. "Prendititutto il tempo necessario, ma fa' presto."

In quell'occasione non aggiungemmo altro. Giunto acasa, me ne dimenticai completamente finch6 un gior-no, nel bel mezzo di una conferenza a cui stavo assi-stendo, I'ordine imperioso di cercare gli eventi memora-bili della mia esistenza mi colpi come una scossa, unospasmo frsico che agitd il mio corpo dalla testa ai piedi.

Mi misi al lavoro con impegno. Mi civollero mesi perrivedere le esperienze che ritenevo avessero un notevo-le significato per me. Esaminando la mia collezione miresi conto di occuparmi solo delle idee che non avevanoalcuna sostanza. I fatti che ricordavo erano solo vaghipunti di riferimento che tornavano alla memoria in ma-niera astratta. Venni assalito dal terribile sospetto diessere stato allevato in modo da agire senza provaremai nulla.

Uno degli eventi pit vaghi che volevo rendere memo-rabile a tutti i costi era il giorno in cui avevo saputo diessere stato ammesso ai corsi universitari dell'UCIiA.Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a rammentare co-

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sa avessi fatto in quella giornata, che non era stata spe-ciale e nemmeno interessante. Thttavia avevo la convin-zione che doveva per forza essere stata particolare. Ini-ziare I'universitb awebbe domto rendermi felice e orgo-glioso di me stesso, ma non fu cosi.

IJn altro esempio della mia raccolta era il giorno incui per poco non sposai Kay Condor. In realtd quellonon era il suo vero nome, Io aveva cambiato perch6 vo-leva fare I'attrice. Il suo passaporto per il successo eradato dalla somiglianza con Carole Lombard. Quellagiornata mi sembrd memorabile non a causa degli awe-nimenti che si verificarono, ma perch6 lei era bellissimae voleva sposarmi. Il fatto che fosse pii alta di me larendeva aneora pir) interessante ai miei occhi.

Ero emozionato all'idea di sposare una donna cosi al-ta, con una cerimonia in chiesa. Presi a nolo unosmoking griglo con pantaloni piuttosto larghi: non era-no scampanati ma semplicemente larghi e il loro aspet-to mi dava molto fastidio. Un'altra cosa che mi distur-bava immensamente era la lunghezzaeccessiva (almenotre centimetri di troppo) della maniche della camicia ro-sa che avevo acquistato per I'occasione. Dovetti usareun paio di elastici per tenerle su. A parte questi detta-gli, tutto il resto fu perfetto fino al momento in cui gliospiti e io scoprimmo che Kay Condor.si er.a presa pau-ra e non si sarebbe fatta vedere.

Essendo una signora civile ed educata, mi mandd unbiglietto di scuse tramite un corriere in motocicletta: miscrisse ehe non credeva nel divorzio e non poteva legarsiper la tutta lavita a qualcuno che non condivideva la suavisione del mondo. Mi ricordd che ogni volta che pro-nunciavo la parola "Condor" f'acevo una smorfia, mo-strando cosi una totale mancanza di rispetto nei suoiconfronti e mi informd di aver discusso la faccenda consua madre. Entrambe mi volevano molto bene, ma nonal punto da permettermi di entrare a far parte della lorofamiglia. Con saggezza e coraggio concluse ehe entram-22

INTRODUZI0NE

bi dovevamo rinunciare in tempo a un cattivo affare.Ero rimasto completamente stordito. Quando cerca-

vo di riportare alla memoria quella giornata, non riu-scivo a ricordare se mi ero sentito terribilmente umilia-to per essere rimasto solo davanti a una folla di gente,con il mio smoking griglo con pantaloni enormi preso anolo, o se invece ero annientato dal fatto che Kay Con-dor non mi aveva pii voluto sposare.

Quei due eventi erano gli unici che riuscivo a isolarecon una certa chiarezza. Erano esempi ben miseri, ma,dopo averli riesaminati, riuscii a riformularli come rac-conti di accettazione frlosofica. Consideravo me stessocome una persona che attraversa I'esistenza senza pro-vare veri sentimenti, animato solo da una visione intel-lettuale delle cose. Prendendo a modello le metafore didon Juan, me ne costruii persino una del tutto persona-Ie: ero un essere che conduceva Ia sua esistenza in ma-niera preearia rispetto a cib che awebbe dotrrto essere.

Ero convinto, per esempio, che il giorno in cui miavevano preso all'UCI-iA awebbe dor,rrto rappresentareuna giornata memorabile, e dato che non Io era stata,facevo del mio meglio per attribuirle un senso di impor-tanza che ero ben Iungi dal sentire. Una cosa simile ac-cadde il giorno in cui awei dovuto sposare Kay Condor.Quella che in teoria awebbe dovuto essere un'esperien-za devastante, non lo era stata per nulla.

Quando Ia richiamai alla mente, mi resi conto chenon c'era nulla e cominciai a lavorare con grande im-pegno per creare cid che awei dovuto sentire a livelloemotivo.

Non appena arrivai a casa di don Juan, gli presentaii miei due esempi di fatti memorabili.

"Queste sono solo sciocchezze" ribatt6. oNon vannoaffatto bene, sono storie che si riferiscono solo ed eselu-sivamente a te come a una persona che pensa, provaemozioni, piange o non sente un bel nulla. Gli eventimemorabili dell'album di uno sciamano sono faccende

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CARLOS CASTANEDA

in grado di sostenere la prova del tempo, perch6 anchese non hanno nulla a che fare con lui al tempo stesso locoinvolgono per tutta la sua vita, e forse anche oltre, manon a livello personale."

Le sue parole mi lasciarono distrutto e sconfrtto. Al-I'epoca credevo dawero che don Juan fosse un vecchiointransigente che si divertiva in modo particolare a far-mi sentire stupido. Mi ricordava un artigiano che avevoconosciuto nella fonderia di uno scultore dove lavoravoquando frequentavo la scuola d'arte. Quell'artigianoera solito criticare e trovare difetti in tutto cid che i suoiapprendisti pii esperti facevano, esigendo che correg-gessero il loro lavoro in base alle sue indicazioni. Gli ap-prendisti non facevano altro che girarsi e fingere di ap-porre le modifiche richieste. Ricordo ancora con quantagioia dichiarava, vedendosi presentare lo stesso identi-co lavoro: "Adesso ci siamo!".

"Non prendertela" mi consold don Juan, strappan-domi ai miei ricordi. "Ai miei tempi mi trovavo nelle tuestesse condizioni. Per anni non seppi eosa scegliere,convinto di non possedere esperienze tra cui compiere lamia selezione; mi sembrava che non mi fosse mai capi-tato nulla. Naturalmente, mi era suecesso tutto, manello sforzo di difendere I'idea che avevo di me stesso,non avevo n6 il tempo n6 la disposizione giusta per di-ventare consapevole di qualcos'altro.',

"Potresti dirmi con precisione che cos'hanno di sba-gliato le mie storie? So benissimo che sono banali, ma ilresto della mia vita d uguale."

.Ti ripeto che le storie dell'album di un guerriero nonsono personali, la storia del giorno in cui ti hanno ac-cettato all'UCLA non d altro che la tua affermazioneche tu sei al centro di ogni cosa. T\r senti, tu non senti,ti rendi conto, non ti rendi conto... Capisci cosa vogliodire? I\rtta la storia sei solo tu!"

..Ma come potrebbe essere altrimenti?o"Nell'altra storia hai quasi sfiorato cid che intendo,

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INTRODIIZIONE

ma I'hai trasformato ancora in qualcosa di estrema-mente personale. So benissimo che sei in grado di ag-giungere altri dettagli, ma sarebbero solo un'estensionedella tua persona, nient'altro."

"Se devo essere sincero, non riesco proprio a capirti"obiettai. "Ogni storia vista attraverso gli occhi di un te-stimone dev'essere per forza personale."

..Si, certo', ammise sorridendo, deliziato come sem-pre dalla mia confusione. "In questo caso perd non sonoadatte all'album di un guerriero, pur essendo indicateper altri scopi. Gli eventi memorabili che stiamo cer-cando di rintracciare hanno il tocco oscuro dell'imper-sonale che li permea. Non saprei in che altro modo spie-gartelo."

Convinto di aver a'mto un attimo di ispirazione, cre-detti di aver capito cosa intendeva per ,.tocco oscuro del-l'impersonale": doveva trattarsi di qualcosa di morboso.Per me era quello il significato dell'oscuritd e gli rac-contai quindi una storia che risaliva alla mia infanzia.

Uno dei miei cugini pii grandi, studente di medici-na, lavorava come interno e un giorno mi portd a visita-re I'obitorio. Mi assicurd che un giovane come me avevail dovere di vedere i morti, perch6 era uno spettacoloeducativo che dimostrava la transitorietd della vita. In-sistette a lungo per convincermi: pir) mi ripeteva quan-to siamo insignificanti da morti, pir) mi incuriosivo.Non avevo mai visto un cadavere e la curiositd ebbe ilsopralvento, al punto che cedetti e andai con lui.

Mi mostrd vari cadaveri, riuscendo a terrorizzarmi.Non trovai nulla di educativo o illuminante in quei cor-pi, che erano la cosa pii spaventosa che avessi mai vi-sto. Mentre parlava con me, mio cugino continuava asbirciare I'orologio, come se stesse aspettando qualcunoche doveva arrivare da un momento all'altro. Era chia-ro che voleva trattenermi in quel luogo pii a lungo diquanto mi awebbero permesso le mie forze. Dato cheavevo molto spirito di competizione, ero eonvinto che

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CARLOS CASTANEDA

stesse mettendo alla prova la mia resistenza, la mia vi-rilitd. Strinsi i denti e decisi di tener duro fino alla fine.

La fine arrivd in una maniera che non mi sarei maisognato: un cadavere ricoperto da un lenzuolo si alzbcon un rantolo dal tavolo di marmo su eui era steso co-me tutti gli altri, quasi volesse mettersi a sedere. Il ver-so che gli sfuggi era cosi orrendo che mi rimase impres-so eome un marchio infuocato e resterd per sempre nel-la mia memoria. Mio cugino, medico e scienziato, mispiegb che era il cadavere di un uomo morto di tuberco-losi: i bacilli gli avevano divorato i polmoni, lasciandoenormi buchi colmi d'aria. Quando la temperatura del-I'aria cambiava, il corpo veniva in pratica costretto asollevarsi o veniva preso dalle eonmlsioni.

..Non ci siamo ancora> obiettd don Juan, scuotendoil capo. ..i solo una storia sulla tua paura. Io stesso sa-rei stato terroizzato. Uno spavento del genere non dperd in grado di illuminare il sentiero di nessuno. Sonocurioso di sapere che cosa ti d successo."

"Mi misi a strillare come una banshee. Mio cugino miaccusd di essere un codardo e un vigliacco perch6 na-scosi il viso sul suo petto e gli vomitai addosso."

Stavo decisamente seguendo il filo conduttore dellamorbositd, nell'ambito della mia esistenza. Saltai fuoricon un altro racconto r.iguardante un ragazzo di sedicianni che avevo conoseiuto alle superiori. Afflitto da ungrave scompenso ghiandolare, aveva raggiunto urt'altez-za da gigante, ma il suo euore non si era wiluppato allastessa velocitd del resto del corpo, e un giorno mori d'in-farto. Spinto da una curiositd morbosa, ero andato a ve-derlo all'obitorio insieme a un altro amico. Liimpresariodi pompe funebri, ehe eon ogni probabilitd era ancora pir)morboso di noi due, ci fece entrare dalla porta sul retro eci mostrd il suo capolavoro: era riuscito a far stare quelgigante aito pii di due metri e venti in una bara normalesegandogli via le gambe e sistemandole poi come se ilmorto le stesse impugnando, simili a un paio di trofei.26

It\ iTRODUZIONE

Il terrore che mi aveva assalito era stato simile aquello provato da bambino all'obitorio. Non si trattavaperd di una reazione fisica quanto di un impeto di ripu-gnanza frsiologica.

"Ci sei quasi arrivato, ma d una storia aneora troppopersonale. E disgustosa e mi fa venir voglia di vomita-re, ma racchiude in s6 un grande potenziale" sentenziddon Juan.

Ridemmo insieme dell'orrore che si nasconde nellesituazioni della vita quotidiana. Nel frattempo mi erocompletamente perso nei meandri della morbositd e gliraccontai le vicende del mio carissimo amico Roy Gold-piss (letteralmente: Roy Piscia d'oro. N.d.T.). In realtbil suo vero cognome era di origine polacca, ma gli amicigli avevano attribuito quel soprannome perch6 era ungrande uomo d'affari e trasformava in oro tutto cid chetoecava.

Il suo talento commerciale lo rendeva estremamenteambizioso, al punto ehe voleva essere I'uomo pir) riccodel mondo. Si rese perd conto che la competizione eratroppo dura. A sentire lui, lavorando da solo non pote-va competere, per esempio, con il capo di una setta isla-mica che in quel periodo veniva retribuito ogni anno conuna quantitd d'oro pari al suo peso. E ogni volta che do-veva essere pesato, quel tizio cercava di ingrassare il piirpossibile.

Il mio amieo Roy abbassb poi Ie sue pretese, accon-tentandosi di diventare I'uomo pii ricco degli Stati Uni-ti, ma anche in quel caso la eompetizione era feroce.Scese ancora: forse awebbe potuto raggiungere tale pri-mato nell'ambito della California, ma era troppo tardianche per quel risultato. Smise quindi di illudersi che lasua catena di pizzerie e gelaterie potesse consentirgli diinnalzarsi fino a competere eon le antiche famiglie chedominavano la California e si accontentd dell'eventualesupremazia a Woodland Hills, il sobborgo di Los Ange-les in cui viveva. Per sua sfortuna, in fondo alla strada

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CARLOS CASTANEDA

viveva un eerto signor'llarsh, proprietario delle fabbri-che che producevano materassi di prima qualitb in tut-ta I'America e rieco oltre ogni possibile immaginazione.La frustrazione di Roy non conobbe limiti e la sua bra-ma di successo divenne cosi potente da provocargli gra-vi danni alla salute, finch6 un giorno mori per un aneu-risma al cervello.

La sua morte fu la causa della mia terza visita a unobitorio. Essendo il suo migliore amico la moglie miaveva pregato di accertarmi che il cadavere fosse vesti-to in maniera dignitosa. Mi recai quindi presso I'agen-zia di pornpe funebri e un assistente mi guidd alle stan-ze interne. Proprio mentre arrivavo, I'impresario stavasollevando gli angoli della bocca del cadavere, stes<l suun alto tavolo di marmo e gi) in preda al rigor mortis,usando l'indice e il mignolo della mano destra, tenendoil medio piegato contro il palmo. Un sorriso grottescoapparye s,;rl volto di Roy. IJimpresario si gird verso dime rlicenclo in tono senile: "Spero che sia soddisfatto,signore".

Sua mog'lie (non potrd mai sapere se lo aveva amatoo meno) decise di farlo seppellire con tutto lo sfarzo chesecondo lei meritara. Gli aveva comperato una baramolto costosa, fatta appositamente per lui, a forma dicabina telefonica. Uidea le era venuta vedendo un frlm.Roy sarebbe stato seppellito seduto, come se stesse fa-cendo una telefonata di lavoro.

Non mi fermai per la cerimonia e rni allontanai inpreda a una violenta reazione, un misto di rabbia e im-potenza, il tipo di ira che non permette di prenderselacon qualcun altro.

"Oggl sei decisamente morboso> commentd ridendodon Juan. "Nonostante cid, o forse proprio per questomotivo, ci sei quasi arrivato."

Non rnancavo rnai di stupirmi per il rnodo in cui ilmio umore cambiava ogni volta che andavo a trovaredon Juan. A-r'rivavo sempre immusonito, intraversato,

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INTRODUZIONE

assiliato dai dubbi e dalla mia stessa aruoganza. Ma do-po poco tempo il mio umore cambiava misteriosamentee io diventavo pian piano sempre pii cordiale, fino a cal-marmi del tutto. T\rttavia, il mio nuovo umore si espri-meva col vecchio vocabolario. Il mio solito modo di par-lare era quello tipico di una persona totalmente insod-disfatta che si trattiene dal lamentarsi ad alta voce, male cui infrnite proteste sono implicite in ogni attimo del-la conversazione.

"Don Juan, puoi citarmi un evento memorabile deltuo album?" gli chiesi con il mio solito tono lamentoso."Se io sapessi quello che cerchi, potrei magari trovarequalcosa. Per il momento brancolo nell'oscurith."

"Non concedere troppe spiegazioni" mi rimbeccd luicon sguardo severo. "Gli sciamani dicono che ogni spie-gazione nasconde una richiesta di scuse. Questo signifi-ca che quando spieghi per quale motivo puoi o non puoifare una determinata eosa, in realtb ti stai scusando perle tue mancanze, nella speranza che chiunque ti stiaascoltando abbia Ia gentrlezza di comprenderle.o

Quando mi sentivo preso di mira, la mia mossa pir)effrcace era sempre stata quella di non prestare ascoltoai miei aggressori. Don Juan aveva perd I'orribile capa-citi di catturare completamente la mia ahlenzione. Inqualunque modo mi attaccasse e qualunque cosa mi dieesse, riusciva sempre a farmi pendere dalla sue labbra.Proprio in quell'occasione, cib che stava dicendo non miandava affatto a genio perch6 era la pura veritA.

Distolsi lo sguardo. Mi sentivo come al solito scon-fitto, ma quella volta si trattava di una sconfitta spe-ciale, che non mi infastidiva come se fosse awenuta nelmondo della vita quotidiana o subito dopo il mio arrivoa casa sua.

Dopo un lungo silenzio, don Juan riprese a parlare."Fhrd qualcosa di meglio che limitarmi a citarti un

evento memorabile del mio album: te ne voslio dire uno

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CARLOS CASTANEDA

della tua vita, che dowebbe senz'altro far parte dellatua collezione. Anzi, diciamo che se fossi al tuo posto si-curamente lo metterei nella mia raccolta di fatti memo-rabili.''

Pensai che stesse scherzando e mi lasciai sfuggireuna risatina sciocca.

,.Non c'd niente da ridere" taglid corto lui. "Sto par-lando sul serio. Una volta mi hai raccontato una storiache faceva proprio al caso nostro.o

"E quale sarebbe, don Juan?""Quella delle "figure davanti allo specchio"o mi ri-

spose. "Raccontala di nuovo, ma con tutti i dettagli cheriesci a ricordare."

Cominciai a fargli un rapido resoeonto di quell'even-to, ma lui mi interruppe e pretese una narrazione at-tenta e dettagliata, che partisse dal principio. Provai dinuovo ma don Juan si mostrd ancora insoddisfatto.

"Andiamo a fare una passeggiata" mi rispose. "Quan-do cammini sei sempre pii preciso di quando stai seduto.Uidea di metterti a camminare avanti e indietro quandocerchi di raccontare qualcosa non d affatto una scioc-chezza.r,

Eravamo seduti sotto la ramada eome facevamo so-litamente quando ci incontravamo di giorno. Avevo pre-so I'abitudine di sedermi sempre allo stesso posto, conla schiena appoggiata alla parete. Don Juan si accomo-dava in un punto qualunque, ma ogni volta diverso.

Andammo a fare una passeggiata a mezzogiorno, ilmomento meno indicato della giornata. Mi diede unvec-chio cappello di paglia, come era solito fare ogni voltache uscivamo ad affrontare il calore del sole. Cammi-nammo a lungo, awolti dal silenzio pii assoluto. Fbcidel mio meglio per ricordare tutti i particolari. A metApomeriggio ci sedemmo all'ombra di alcuni cespugli e gliraccontai di nuovo la storia.

Anni prima, quando ero studente di scultura in unascuola d'arte italiana, avevo per amico uno scozzese che

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INTRODITZIONE

studiava storia dell'arte per diventare un critico dellasua persona. Quello che di lui mi era rimasto maggior-rnente impresso e che era anche legato alle vicende chestavo per narrare, era I'opinione roboante che aveva dise stesso. Era convinto di essere lo studioso e l'artistapit dissoluto, licenzioso e versatile, un vero uomo delRinascimento; era dawero licenzioso, ma tale caratteri-stica era in piena contraddizione con il suo aspetto sec-co, ossuto e serioso. Discepolo immaginario del frlosofoinglese Bertrand Russell, sognava di applicare i princi-pi del positivismo logico alla critica dell'arte. Essereuno studioso e artista a tutto tondo era il suo sogno pir)grande, perch6 in realtd aveva la tendenza a rimandaretutto e il lavoro era la sua nemesi.

La sua ambigua specialitb non era la critica d'arte,ma la conoscenza personale di tutte le prostitute deibordelli locali, ehe erano numerosi. I racconti vivaci edettagliati che era solito propinarmi (e che, a sentirelui, servivano a tenermi aggiornato sulle cose meravi-gliose che faceva nell'ambito di questa sua specializza-zione) erano deliziosi.

Non rimasi quindi stupito quando un giorno arrivdeccitato e senza fiato nel mio appartamento e mi confiddche gli era successo un fatto straordinario che volevacondividere con me.

"Vecchio mio, ti assicuro che devi vedere con i tuoistessi occhi" esclamd in preda all'agitazione, sfoggian-do I'accento di Oxford, che ostentava tutte le volte eheparlava con me, e eamminando nervosamente avanti eindietro. "E difficile da descrivere, ma sono certo che sitratta di qualcosa che saprai apprezzare, il cui ricordoti rimarrb impresso per il resto dei tuoi giorni. Sto perfarti un regalo splendido che durerd per tutta la vita. Locapisci?,'

Capivo solo che era uno scozzese isterico. Mi diverti-vo sempre ad asseeondarlo e dargli corda. In seguitonon me ne sarei mai pentito.

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CARLOS CASTANEDA

"Calmati, Eddie, ealmati" dissi. "Che cosa stai cer-cando di dirmi?"

Mi raccontb cli essere stato in un borclello dove avevaseovato una donna incredibile che seguiva un numeroaltrettanto incredibile chiamato "figure davanti a unospecchio". Mi ripet6 pirivolte, balbettando per I'emozio-ne, che non potevo fare a meno di assistere personal-mente a quello spettacolo eccezionale.

"Non preoccuparti per il denaro" aggiunse, sapendoehe non ne avevo. "Ho grd, pagato, tu non devi fare altroche venire con me. Madame I-rudmilla ti mostrerh le sue"figure davanti a uno specchio". D fantastica!"

Colto da un irrefrenabile attacco di ilaritb, scoppidfragorosamente a ridere, incurante della sua pessimadentatura, che di solito nascondeva dietro un sorrisoappena accennato. "Ti assicuro che d incredibile!"

Sempre pir) incuriosito, mi decisi a partecipare aquel suo nuovo diverbimento. Eddie mi accompagnd inauto alla periferia della cittd. Ci fermammo davanti alunpalazzo polveroso e malridotto, eon la vernice che siscrostava dalle pareti. Un tempo doveva essere stato unalbergo, trasformato poi in appartamenti. Riuscii ascorgere cid che restava dell'insegna, che sembrava es-sere stata fatta a brandelli. Sulla facciata dell'edificioc'erano fi.le di sporchi balconcini pieni di vasi o di tap-peti stesi al sole.

All'entrata c'erano due uomini scuri dall'aria sospet-ta con le scarpe nere a punta troppo strette per i loropiedi, che accolsero Eddie con grande entusiasmo. I lo-ro occhi erano neri, scaltri e minacciosi. Entrambi in-dossavano un abito di colore azzurro brillante, anchequesto troppo stretto per il loro fisico robusto. Senzadegnarmi di uno sguardo, uno dei due apri la porta aEddie.

Salimmo due rampe su uno scalone malconcio che untempo doveva essere stato lussuoso. Fbeendomi stradaEddie percorse fino in fondo un corridoio, che aveva le

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INTRODUZIONE

porte su entrambi i lati, come in un albergo. Erano tut-te di un colore verde oliva piuttosto cupo e su ognunac'era un numero in ottone, appannato dagii anni e a ma-lapena visibile sul Iegno dipinto.

Eddie si fermd davanti a una porta su cui e'era il nu-mero 112. Bussb pir) volte. La porta si apri e una don-na piccola e tonda dai capelli biondi tinti ci fece cennodi entrare, senza dire una sola parola. Aveva addossounavestaglia di seta rossa con le maniche vaporose e unpaio di ciabattine rosse ornate di palline di pelo. Dopoaverci fatti entrare in un atrio minuscolo, richiuse e sirivolse a Eddie in un inglese dal pesante accento.

"Salve, Eddie. Hai portato un amico?"Le prese una manb e gliela bacid con estrema galan-

teria. Si comportava come se fosse del tutto calmo, mami accorsi da certi suoi gesti inconsapevoli, che non eraper niente a suo agio.

"Come sta oggi, Madame I-rudmilla?" le chiese, cer-cando inutilmente di parlare come un americano.

Non ho mai capito per quale motivo Eddie volessespacciarsi per americano tutte le volte che si ritrovava acombinare qualche affare in quei bordelli. Immaginaiche si comportasse cosi perch6 gli americani avevanofama di essere ricchi e ci teneva a presentarsi come unuomo di grandi mezzi.

"Ti lascio in buone mani, ragazzo mio" si congedd,sempre con il suo aceento fasullo.

Mi sembrava cosi strano e orribile che scoppiai a ri-dere. Madame I-rudmilla non si mostrd per niente im-pressionata dalla mia esplosione di allegria. Eddie le ba-cid di nuovo Ia mano e se ne andd.

"T\r parli inglese, ragazzo mio?" mi urld, come se fos-si sordo. "Sembri egiziano o turco.>>

I-,le assicurai che non ero n6 l'uno n6 l'altro e che par-Iavo inglese. A quel punto mi chiese se mi piacevano lesue frgure davanti allo specchio. Non sapendo cosa dire,mi limitai a scuotere il capo in segno affermativo.

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CARLOS CASTANEDA

"Ti offrird un ottimo spettacolo" mi assicurd. "Le fi-gure davanti allo specchio sono solo i preliminari, nonappena ti senti caido e pronto dimmi pure di fermarmi."

Entrammo in una stanza scura e lugubre, con le fi-nestre coperte da tende pesanti. Le lampadine a bassovoltaggio delle applique fissate alle pareti erano a formadi tubi e sporgevano ad angolo retto. In stanza era pie-na di oggetti: cassettiere di dimensioni ridotte, sedie etavoli antichi, una scrivania appoggiata al muro e rico-perta di carte, righelli e almeno una decina di forbici.Madame I-,,udmilla mi fece sedere su una vecchia pol-trona imbottita.

"II letto d nell'altra stanza, tesoroo mi informd, indi-candomi l'altro lato della stanza.

"Questa d la mia anticamera, dove ti mostrerd lo spet-tacolo che ti fard diventare caldo e pronto.,'

I-:ascib poi cadere la vestaglia rossa, fece volare via leciabatte e spalancd le ante doppie dei due armadi, chestavano uno di fianco all'altro. A]I'interno c'erano duespecchi in grado di riflettere tutta la sua persona.

..Musica, ragazzo mio" esclamd, dando la carica a unVictrola che sembrava nuovo di zecca, addirittura scin-tillante. Mise su un disco dal motivo ossessionante chericordava la marcetta di un circo.

..E adesso, iI mio spettacolo!, esclamd, piroettandoseguendo la melodia. Aveva la pelle del corpo tesa e in-credibilmente bianca, sebbene non fosse piil giovane:anche se ben conservata, doveva aver quasi raggiunto Iacinquantina. Il suo ventre era leggermente cascante, alpari del seno voluminoso. Anche Ia pelle del viso ricade-va, allentando in maniera vistosa la linea della mascel-la. Aveva il naso piccolo e le labbra tmccate pesante-mente di rosso. Gli occhi erano segnati da un mascaranero e spesso. Mi fece venire in mente il prototipo dellaprostituta invecchiata, anche se, al tempo stesso, c'erain lei qualcosa di infantile, una fidueia e un abbandonofanciulleschi uniti a una dolcezza che mi turbarono.

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INTRODUZIONE

..Or&, "figure davanti allo specchio"lr' annuncid ladonna mentre la musica continuava.

"Gamba, gamba, gamba" gridd, lanciando in altoprima una gamba poi I'altra, seguendo il ritmo dellamusiea. Tbneva la mano destra sopra alla testa, comeuna bambina che non d sicura di saper eseguire i movi-menti giusti.

..Giro, giro, giro" continud, vorticando come unatrottola.

"Sedere, sedere, sedereo aggiunse, mostrandomi il po-steriore nudo come se fosse stata una ballerina di can can.

Ripet6 pii volte I'intera sequenza, finch6 la musicacomincib a svanire e la carica delVictrola si esauri. Eb-bi la sensazione che Madame Ludmilla stesse roteandoe svanendo in lontananza, diventando sempre pii pic-cola. Dal profondo del mio essere affrorarono una di-sperazione e una solitudine ehe non sapevo nemmenopotessero esistere e che mi spinsero ad alzarmi e usciredi corsa dalla stanza, precipitandomi gir) per le scale co-me un matto, fuori dall'edifrcio e gii in strada.

Eddie era fermo davanti all'entrata e stava chiac-chierando coi due uomini vestiti di azzurro. Vedendomicorrere in quel modo scoppid in una risata fragorosa.

.,Non d stato incredibile?" mi chiese, ostentando an-cora I'accento americano. "I-le "figure davanti allo spec-chio" sono solo i preliminari... Che spettacolo! Che spet-tacoio!"

La prima volta che avevo raecontato quell'episodio adon Juan gli avevo confidato di essere stato profonda-mente toccato dalla melodia ossessionante della musicae dall'anziana prostituta che roteava maldestra seguen-do il ritmo. Anche I'essermi reso conto di quanto fosseinsensibile il mio amieo, mi aveva colpito.

Quando frnii di raccontare la storia a don Juan, era-vamo seduti tra le colline antistanti una catena di mon-tagne nei pressi di Sonora e mi misi a tremare, miste-riosamente scosso da qualcosa di indefinito.

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CARLOS CASTANEDA

"Questo raeeonto dowebbe essere incluso nel tuo al-bum di eventi memorabili" mi disse. .,Senza rendersieonto di quello che stava faeendo, il tuo amieo ti ha fat-to un regalo che ti durer) per tutta la vita, proprio co-me aveva detto lui stesso.',

...4 me sembra soltanto una storia triste, nient'altro"proclamai.

"E lo d dawero, come tutte le tue storie, ma cid chela rende a mio giudizio diversa e memorabile d il fattoche riguarda ogni essere umano e non solo te, come ac-cadeva inveee con gli altri tuoi racconti. Vedi, come Ma-dame Ludmilla tutti noi, vecchi e giovani, in un modo onell'altro eseguiamo figure davanti a uno specchio. Esa-mina con cura quello che sai sul conto della gente. Pro-va a pensare a ogni singolo essere umano che esiste sul-la faccia della terra e, senza ombra di dubbio, scopriraiche chiunque sia, qualunque eosa pensi di se stesso opossa mai fare, il risultato delle sue azioni B sempre lostesso: frgure insensate davanti a uno specchio."

Uil TR[ilI OR[ ilI[['fiRIfr

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ffi Un viaggio di potere

Quando incontrai don Juan ero uno studente di an-tropologia abbastarza dedito ai miei studi e volevo irnzia-re la mia carriera di antropologo professionista pubbli-cando la maggior quantiD possibile di materiale. Ero de-ciso a sealare il mondo accademico e, secondo i miei cal-coli, il primo passo awebbe dovuto essere la raccolta diinformazioni sull'uso delle piante medicinali da parte de-gli indiani della regione sud-occidentale degli Stati Uniti.

Chiesi consiglio a un professore di antropologia cheaveva lavorato in quella zona. Era un famoso etnologoche negli anni Trenta e Quaranta aveva scritto numero-se pubblicazioni sugli indiani della California, del sud-ovest e anche di Sonora, in Messico. Mi ascoltd con pa-zienza; in base al mio progetto, avrei dor,rrto scrivere unsaggio intitolato "Informazioni etnobotaniche" e pub-blicarlo in una rivista che si occupava esclusivamente diargomenti antropologici del sud-est degli Stati Uniti.

Mi proponevo di raccogliere piante medicinali, por-

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CAR,LOS CASTANEDA

tare i campioni al Giardino Botanico dell'UCI-rAperch6fossero identificati, descrivendo poi le modaliti e i mo-tivi per cui gli indiani del sud-est Iiutrlrzzavano. fmma-ginavo di raccogliere migliaia di voci e di pubblicare unavera e propria enciclopedia sull'argomento.

II docente mi sorrise con aperta condiscendenza...Non vorrei raffreddare il suo entusiasmo, ma non pos-so fare a meno di commentare negativamente il suo fer-vore> dichiard con voce stanca. "Il fervore d il benvenu-to in antropologia, ma deve essere incanalato nella ma-niera migliore. Ci troviamo ancora nell'etd dell'oro del-I'antropologia. Io ho ar,uto la fortuna di studiare conAI-fred Krober e Robert Lowie, due pilastri delle scienzesociali e non ho tradito la loro fiducia. Uantropologia dancora la disciplina fondamentale da cui si diramanotutte le altre. Lintero campo della storia, per esempio,dowebbe essere chiamato "antropologia storica" e quel-lo della frlosofia "antropologia fllosofica". Ijuomo d lamisura di ogtn cosa, di conseguenza I'antropologia, ched lo studio dell'uomo, dowebbe essere il fulcro di qua-lunque altro studio. E un giorno lo sard."

Lo fissai, sbalordito. Per quanto mi riguardava, eraunvecchio professore benevolo e passivo che di recenteaveva avuto un attacco cardiaco. A quanto pareva, lemie parole I'avevano punto sul vivo.

"Non crede che dowebbe prestare maggiore atten-zione ai suoi studi regolari?" riprese. "Invece di svolge-re un lavoro direttamente sul campo, non farebbe me-glio a studiare linguistica? Nel nostro diparbimento in-segna uno dei linguisti pir) importanti del mondo: se fos-si al suo posto, me ne starei seduto ai suoi piedi, prontoa cogliere ogni sua parola."

"Abbiamo a disposizione anche una vera autorith nelsettore delle religioni comparate e anche alcuni antro-pologi molto competenti che hanno svolto un ottimo Ia-voro sui sistemi affrni delle culture di tutto il mondo. dalpunto di vista Iinguistico e da quello della cognizione.

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UN VIAGGIO DI POTERE

Lei ha bisogno di una notevole preparazione. Pensare dipoter affrontare adesso una raccolta diretta di dati sulcampo d una sciocchezza. Ragazzo mio, le consiglio diimmergersi nei suoi libri."

Tbstardo, presentai Ia mia proposta a un altro do-cente pir) giovane, che non si riveld affatto pir) disponi-bile e mi derise apertamente, dicendo che il saggio cheavevo in mente era una specie di barzelletta e che non sitrattava nemmeno lontanamente di antropologia.

"Al giorno d'oggr gli antropologi si preoccupano solodi questioni che rivestono una certa importanza" di-chiard in tono solenne. "I-la scienza medica e quella far-maceutica hanno svolto una quantitd. infinita di ricerchesu qualunque possibile pianta medicinale del mondo: dun settore in cui non d rimasto pir) nulla da rosicchiare.Il concetto della raccolta di informazioni d tipico dell'ini-zio del diciannovesimo secolo, ormai sono passati quasiduecento anni. Lei sa che cos'b il progresso, vero?"

Mi forni poi una definizione e una giustificazione delprogresso e della perfettibilitd intesi come duc questio-ni dell'argomentazione filosofica, questioni che, secon-do lui, erano i temi pir) rilevanti per I'antropologia.

"Uantropologia d I'unica disciplina esistente che pudconvalidare i concetti di perfettibiliti e progresso> con-tinub. "Per fortuna c'd ancora uno spiraglio di speran-zainmezzo al cinismo dei nostri tempi. Solo l'antropo-Iogia d in grado di mostrare il reale sviluppo della cul-tura e dell'organizzazione sociale e gli antropologi sonogli unici capaci di dimostrare al di ld di ogni ragionevo-Ie dubbio il progresso della conoscenza umana. La cul-tura si evolve e soltanto gli antropologi possono presen-tare campioni di societd che si adattano a nicchie bendefinite collocabili in una linea di progresso e perfetti-bilitd. Questa d I'antropologia e non qualche stupidaraccolta diretta cli dati che in realtd non d diretta pernulla, ma d una semplice masturbazione!"

Per me quello fu un vero colpo. Fbci un ultimo tenta-

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CARLOg CASTANEDA

tivo e andai in Arizona a parlare con alcuni antropologiche stavano svolgendo dawero un lavoro direttamentesul campo. Ero ormai pronto ad abbandonare l'interoprogetto. Capivo benissimo quello che avevano eercatodi dirmi quei due professori ed ero perfettamente d'ac-cordo con loro. I miei tentativi di lavorare a livello pra-tico erano a dir poco semplicistici, eppure io volevo farepratica e non limitarmi a eseguire ricerche in biblioteca.

In Arizona incontrai un anziano studioso che avevapubblicato molto materiale sugli indiani Yaqui dell'Ari-zona e su quelli di Sonora, in Messico.

Era estremamente gentile: non mi snobbd, ma non miforni alcun consiglio, Iimitandosi a eommentare che le so-cieth indiane del sud-est erano estremamente chiuse eche gli stranieri, soprattutto quelli di origine ispanica,non godevano della loro fiducia ed erano addirittura odia-ti. Un suo giovane collega fu pin esplicito e mi suggeri cheawei fatto meglio a leggere i libri degli erboristi; quel ti-zio era un'autoritd nel settore e secondo lui tutto quelloche occorreva sapere sulle piante medicinali del sud-estera gid stato classificato e discusso in varie pubblicazio-ni. Giunse a dichiarare che quegli stessi testi, e non la eo-noscenza tradizionale, erano le fonti dei guaritori india-ni. Si congedd dicendomi che se gli indiani faeevano an-cora ricorso alle pratiche antiche di guarigione, non leawebbero certo rivelate a uno straniero.

.Fhccia qualcosa che meriti" mi sugger). "Provi aprendere in considerazione l'antropologia urbana: peresempio, ei sono a disposizione un sacco di soldi per glistudi sull'alcolismo tra gli indiani delle grandi cittd, e sitratta di un lavoro che qualunque antropologo pud wol-gere senza problemi. Yada a ubriacarsi con qualche in-diano in un bar e poi sistemi le informazioni raccolte,suddividendole in statistiche. Tbasformi tutto in nume-ri. Uantropologia urbana d il vero settore trainante.,

Non potei fare altro che accettare il consiglio di que-sti studiosi esperti. Decisi di tornare in aereo a Los An-42

UN VIAGGIO DI POTERE

geles, ma un altro antropologo mio amico mi fece sape-re di avere in programma di attraversare in macchinaI'Arizona e il Nuovo Messico per visitare tutti i luoghidove aveva svolto in passato del lavoro di raccolta deidati sul campo, e rinnovare cosi il suo rapporto con leI)ersone che erano state suoi informatori antropologici.

"Puoi venire con me>> mi disse. "Non ho interzione dilavorare: mi Iimiterd ad andare a trovarli, bere qualcosacon loro e raccontare un po' di stronzate. Ho comperatoqualche regalo, coperte, alcolici, giacconi e munizioni perle loro calibro 22.Ho la macchina piena di roba. Di soli-to ci vado da solo, ma corl'o sempre il rischio di addor-mentarmi. Th potresti farmi compagnia, impedirmi diappisolarmi o mettefii alla guida se sono troppo ubriaco."

Ero cosi abbattuto che rifiutai il suo invito."Mi spiace Bill, ma questo viaggio non fa per me.

Nonvedo perch6 dowei insistere ancora con questa ideadel lavoro sul campo."

..Non arrenderti senza batterti" ribattb lui con un to-no di preoccupazione paterna. "Concentra tutto te stes-so nella lotta e se ti va male puoi anche cedere, ma nonprima. Vieni con me e scopri se il sud-est ti piace."

Mi mise un braccio intorno alle spalle e non potei fa-re a meno di notare che quel braccio era pesantissimo.Bill era alto e robusto, ma negli ultimi anni iI suo corpoaveva acquisito una strana rigiditd. Aveva perso le suecaratteristiche da ragazzo.Il suo viso tondo, un tempopieno e giovanile, appariva ora preoceupato. Credevofosse per via della sua calvizie incipiente, ma in certimomenti avevo I'impressione che si trattasse di qualco-sa di piri grave. E non si pud nemmeno dire che fosse in-grassato, perch6 in realtb il suo corpo era pesante inuna maniera impossibile da spiegare. Si vedeva dal mo-do in cui camminava, si alzava e si sedeva: in tutto cidche faceva sembrava che stesse lottando eontro laforzadi gravitd, con ogni frbra del suo essere.

Ignorando la mia sensazione di sconfitta, partii con

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CANLOS CASTANEDA

Iui. Visitammo ogni angolo dell'Arizona e del Nuovo Mes-sico in cui fosse possibile trovare degli indiani. Quel viag-gro mi permise di scoprire che il mio amico antropologoriassumeva in s6 due aspetti ben diversi. Mi spiegd che lesue opinioni in qualitd di antropologo professionista era-no molto misurate e in linea con il pensiero antropologi-co attuale, ma a livello personale il lavoro svolto sul cam-po gli aveva offerto una quantitd di esperienze di cui nonparlava mai, del tutto inaccettabili per il pensiero domi-nante, perch6 impossibili cla catalogare.

Durante il viaggio Bill andava sempre a bere con i suoiex inforrnatori e poi appariva molto rilassato. A quel pun-to mi mettevo al volante e guidavo mentre lui, seduto almio fianco, si scolava una bottiglia di whislqy Ball.ontinevecchio di trent'anni. Era in quei momenti che mi parla-va delle sue esperienze non catalogabili. "Non ho mai cre-duto ai fantasmi,, si lascid sfuggire un giorno, senza ilminimo preawiso. "E non sono mai andato alla ricerca diapparizioni, essenze fluttuanti, voci nelle tenebre, sai, ro-ba del genere. Ho avuto una formazione seria e pragma-tica e la scienza d sempre stata la mia bussola, finch6, la-vorando direttamente sul campo, sono cominciate a suc-cedermi le stronzate pii assurde. Una notte, per esempio,insieme ad alcuni indiani mi imbarcai in una ricerca del-la visione (spirituale): awebbero dol'uto iniziarmi con unprocedimento estremamente doloroso che prevedeva laperforazione dei muscoli del petto. Mi stavano preparan-do una capanna sudatoria nei boschi e mi ero ormai ras-segnato all'idea dell'inevitabile sofferenz a, grazie ancheall'aiuto di un paio di bicchierini, quando il tizio che ave-va interceduto per me presso gli officianti della cerimoniasi mise a urlare, tercortzzato e indico una frgura indistin-ta che stava avanzando verso di noi.

"Quando fu abbastanzavicina, mi accorsi che si trat-tava di un vecchio indiano, vestito nella maniera pii. as-surda che si possa immaginare, con tutto I'arredo com-pleto degli sciamani" prosegui Bill. "Vedendolo, il mio

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UN VIAGGIO DI POTERE

accompagnatore perse vergognosamente i sensi. I-.ro sco-nosciuto mi venne vicino, puntando un dito ossuto eon-tro il mio petto e borbottando parole per me incom-prensibili. Nel frattempo anche tutti gli altri I'avevanol'isto e si erano mossi per correre da me, ma iI vecchio siera girato a guardarli, immobilizzandoli e rivolgendosia loro in tono concitato. La sua voce d indimenticabile:sembrava che stesse parlando attraverso un tubo, comese avesse qualcosa attaccato alla bocca che faceva usci-re le parole dal suo corpo. Tb Io giuro, io ho realmentevisto quell'uomo che parlava da dentro il suo corpo, conla boeca che trasmetteva le parole come un apparatomeccanico. Dopo aver arringato i presenti, il vecchiocontinud a camminare, oltrepassando tutti, per poiscomparire inghiottito dalle tenebre.o

La cerimonia non venne portata a termine. Gli uo-mini, compresi gli sciamani che awebbero dor,rrto assu-mere il controllo, tremavano come foglie ed erano cositercorizzati che si dispersero, allontanandosi.

"Individui ehe erano stati amici per anni non si ri-volsero mai pii la parola" mi spiegd Bill. "Ritenevano diaver assistito all'apparizione di uno sciamano incredi-bilmente vecchio e che parlarne tra loro awebbe porta-to sfortuna a tutti, anzi, sarebbe bastato che si fosseroguardati a vicenda. La maggior parte di loro fini addi-rittura per trasferirsi e abbandonare la zona.,,

"Per quale motivo avevano I'impressione che parlar-si o guardarsi awebbe portato sfortuna?" gli chiesi.

..Sono le loro credenze. Una visione di quella naturasignifrca che I'apparizione si d rivolta a ognuno di loroed d la cosa pir) fortunata che possa capitare nell'arcodell'intera esistenza. "

"E qual era la cosa personale che la visione ha dettoa ciascuno di loro?" volli sapere.

"Non ne ho idea, non mi hanno mai spiegato un ac-cidente. T\rtte le volte che chiedevo qualcosa, si chiude-vano nel mutismo pii assoluto: non avevano visto o sen-

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CARLOS CASTANEDA

tito nulla. Anni dopo, I'uomo che era wenuto mi rivelddi aver finto di perdere i sensi, perch6 era terrorizzato enon aveva voluto affrontare il vecchio e che quello chedoveva dire veniva compreso da tutti a un livello diver-so da quello della comprensione linguistica."

Bill mi confidd che I'apparizione gli aveva parlato diqualcosa che aveva a che fare con la sua salute e con leaspettative che aveva nei confronti delia vita.

"Cosa vorresti dire9""Per quanto mi riguarda, le cose non vanno affatto

bene" mi confessd. "Il mio corpo non d a posto.""Sai con precisione di cosa si tratta?""Si, certo" mi rispose con noncuraltza.,,I medici me

lo hanno detto, ma non ho intenzione di preoccuparmi enon voglio nemmeno pensarci."

Le rivelazioni del mio amico mi fecero sentire a disa-gio, mostrandomi un aspetto della sua personalitd chenon conoscevo. Uavevo sempre considerato un tipo co-riaceo e non immaginavo che potesse essere cosi mlne-rabile. Quella eonversazione non mi andd a genio, maormai era troppo tardi per fare marcia indietro e prose-guimmo il viaggio.

In un'altra occasione mi confidd che gli sciamani delsud-est erano capaci di trasformarsi in entitd diverse eche Ie defrnizioni "sciamano orso" o "sciamano puma"non dovevano essere considerate eufemismi o tnetafore.perch6 non lo erano.

"Sai che esistono sciamani che diventano dawero or-si, leoni di montagna o aquile?" esclamd in tono ammi-rato. "Se ti dico che io stesso ho assistito alla trasfor-mazione di uno sciamano che si definiva "Uomo Fiu-me", "Sciamano Fiume" o "Colui che proviene dal fiu-me e ritorna al fiume", non esagero e non invento nul-la. Mi trovavo sulle montagne del Nuovo Messico conquesto seiamano. Lo portavo in giro in auto, lui si fida-va di me e diceva di essere alla ricerca delle sue origini.Stavamo camminando lungo la riva di un fiume quando

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UN VIAGGIO DI POTERE

all'improwiso si agitd e mi ordind di andare a nascon-dermi dietro alcune rocce piuttosto alte, di mettermiuna coperta in testa e di sbirciare, in modo da non per-dermi quello che stava per fare."

"E che cosa fece?" gli chiesi, incapace di trattenermi."Non riuscivo nemmeno a immaginarlo, le tue ipotesi

in merito sarebbero state valide quanto le mie. Si limitd aentrare completamentevestito nel ruscello, largo ma qua-si asciutto e quando I'acqua gli arrivd a met) polpaccio,lui wani, seomparve. Prima di entrare mi aveva sussur-rato all'orecchio di seendere pii a valle ad aspettarlo, in-dicandomi il punto esatto in cui awei dor,rrto appostarmi.Com'd naturale, non avevo creduto a una sola parola enon ricordavo nemmeno dove awei dor,rrto posizionarmi,ma poi trovai il punto esatto e vidi lo sciamano che usci-va dall'acqua. Una simile affermazione pud apparire stu-pida, ma io lo vidi dawero trasformarsi in acqua e poi ri-comporsi dall'acqua stessa. Riesci a crederci?"

Non sapevo come commentare le storie del mio amico.Mi risultava impossibile credergli, ma al tempo stesso nonme la sentivo di rifiutare in blocco le sue affermazioni. Eraunuomo molto serio. Uunica spiegazione possibile era da-ta dal fatto che, mentre proseguivamo il nostro viaggio,Bill continuava a bere ogni giorno sempre pii: nel baga-gliaio della macchina c'era una scatola con ventiquattrobottiglie cli whislry solo per lui. Beveva come una spugna.

..Sono sempre stato poeo obiettivo nei confronti del-le metamorfosi esoteriche degli sciamani" mi confidb inun'altra occasione. ..Non sono in grado di spiegare que-ste trasformazioni e non credo nemmeno che awenga-no, ma, come esercizio intellettuale, mi interessa moltoprendere in considerazione il fatto che le metamorfosi inserpenti e puma non siano difficili come quella eseguitadallo sciamano in acqua. fn momenti del genere, quan-do impegno cosi il mio intelletto, smetto di essere un an-tropologo e comincio a reagire, seguendo I'istinto. E I'i-stinto mi dice che questi sciamani fanno di sicuro qual-

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CARLOS CASTANEDA

cosa che non pud essere valutato a livello scientifico e dicui non si pud parlare in maniera intelligente.

"Per esempio, ci sono sciamani nuvola che si trasfor-mano in nuvole o nebbia. Non ho mai assistito di perso-na a una simile metamorfosi, ma ho conosciuto uno scia-mano nuvola e anche se non I'ho mai visto scomparire otramutarsi in nebbia davanti ai miei occhi, cosi come vi-di il suo collega trasformarsi in acqua, mi capitb di inse-guirlo e lui svani in una zona dove non esistevano possi-bili nascondigli. Non lo vidi diventare una nuvola, mascomparve e io non riuscii a spiegarmi dove fosse finito,perch6 quel punto era privo di rocce o vegetazione. Eroarrivato un minuto e mezzo dopo di lui, ma non c'era. ..

..Iro avevo inseguito dappertutto per avere spiegazio-ni, ma lui nonvoleva saperne. Era molto amichevole neimiei confronti ma non mi diceva nulla."

In seguito Bill mi raccontd un'infinitb di storie chenon mi interessavano affatto riguardanti le lotte e le fa-zioni politiche che dividevano gli indiani all'interno del-le varie riserve, oltre a resoconti di vendette personali,animositd e amicizie. Al tempo stesso, i suoi raccontisulle trasformazioni e le apparizioni degli sciamani ave-vano suscitato in me una forte emozione: quelle vicendemi affascinavano e mi sconvolgevano al tempo stesso,anche se non riuscivo a spiegare I'origine delle mie sen-sazioni. Sapevo solo che mi colpivano a livello istintivo.

Grazie a quel viaggio mi resi conto di persona che lesocietd indiane del sud-est erano dawero molto chiuse eriuscii cosi ad accettare I'idea ehe avevo dawero biso-gno di aumentare Ie mie conoscenze nel campo dell'an-tropologia e che sarebbe stato pii pratico wolgere unlavoro sul campo in una zona che conoscevo, o con cuiavevo almeno una connessione.

Al termine di quell'esperienza Bill mi accompagnb al-la stazione degli autobus di Greyhound di Nogales, inArizona, in modo che potessi tornare a Los Angeles.Mentre ce ne stavamo seduti nella sala d'attesa ad aspet-

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UN VIAGGIO DI POT!]RI]

tare I'arrivo deli'autobus, il mio amico mi consoid in tonopaterno, ricordandomi che i fallimenti erano del tuttonormali nel settore dell'antropologia e che servivano arafforzarelafermezza di un antropologo o a decretare Iasua maturitd.

Aun tratto si chind in avanti e eon un movimento im-percettibile del mento mi indicd il lato opposto dellastanza. "Credo che il vecchio seduto su quella panchinalaggit sia il tizio di cui ti ho parlato, mi sussurrd. "Nonne sono del tutto certo perch6 ci siamo trovati faccia afaccia solo in un'occasione."

"Di chi si tratta? E cosa mi hai cletto sul suo conto?""Quando ti ho parlato degli sciamani e delle loro tra-

sformazioni, ti ho detto di aver incontrato una volta unosciamano nuvola."

..Si, ricordo. D loi?"

..No,, mi rispose Bill, deciso. "Ma credo sia un suomaestro o compagno, perch6 rnolti anni fa li ho visti in-sieme, anche se li ho solo scorti da lontano."

Ricordai di avergli sentito dire in tono del tutto ca-suale, senza alcun riferimento preciso allo sciamano nu-vola, che era al eorrente dell'esistenza di un vecchio mi-sterioso, una speeie di sciamano in pensione, un veechioindiano misantropo diYuma che un tempo era stato unostregone spaventoso. Bill non citd mai apertamente uneventuale legame tra ilvecchio e lo sciamano nuvola, maera chiaro che doveva averlo bene in mente, al punto cheeredeva di avermene parlato.

In preda a una strana ansia mi alzai di scatto e comese fossi stato privo di volontd andai vicino al vecchio ecominciai una lunga tirata su quanto conoscevo circa lepiante medicinali e lo sciamanesimo tra gli indiani del-Ie pianure e i loro antenati siberiani. GIi dissi inoltre chesapevo che lui era uno sciamano e conclusi assicuran-dogli che per lui sarebbe stato un vero beneficio parlar-ne a lungo con me.

.,Se non altro, potremmo seambiarci le nostre storie:

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CARLOS CASTANEDA

tu mi racconti le tue, e io ti dico Ie mie" dichiarai conuna certa attoganza.

II vecchio tenne gli occhi bassi fino all'ultimo, poi sol-Ievd lo sguardo e disse, fissandomi senza esitazioni: "Iosono Juan Matus".

La mia tirata non era cerbo finita, ma anche se nonriuscivo a capirne il motivo, ebbi l'impressione di nonavere altro da aggiungere. Awei voluto di.gli il mio no-me, ma lui mi mise una mano davanti alle labbra, eu&-si avesse voluto impedirmi di pronunciarlo.

In quel preciso istante un autobus si fermd, ilvecchioborbottd che era quello che stava aspettando e mi chie-se con entusiasmo di andarlo a trovare, in modo che po-tessimo scambiarci le nostre storie. Mentre parlava, Iasua bocca assunse un'espressione ironica. Con un'agi-liti incredibile per un uomo della sua etd (immaginavoche dovesse avere circa ottant'anni), con pochi passi de-cisi percorse i cinquanta metri che separavano la pan-china dal bus. Il pesante antomezzo riparti subito, qua-si avesse sostato solo per prelevarlo.

Dopo che se ne fu andato, tornai da Bill."Che cosa ti ha detto?" mi chiese il mio amico. tutto

agitato."Di andarlo a trovare a casa sua, dove potremo

chiacchierare.''"Ma tu cosa gli hai detto per riuscire a farti invita-

re?" volle sapere.Gli spiegai che avevo usato la mia migliore parlantina

da piazzista, promettendo al vecchio di rivelargli tutto cidche sapevo sulle piante medicinali grazie alle mie letture.

Era evidente che Bill non mi credeva; giunse perfinoad accusarmi di volerlo emarginare. "Conosco benissi-mo la gente che vive in questa zona e quel vecchio d untipo strano, non parla mai con nessuno, indiani com-presi" mi accusd con una certa aggressivitb. "Perch6mai dowebbe parlare con te, un perfetto sconosciuto?Non sei nemmeno carino!"

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UN VIAGGIO DI POTERE

Si capiva che era molto seccato con me, anche se nonriuscivo a capire per quale motivo e non avevo il coraggiodi chiedergli spiegazioni. Mi sembrava geloso, forse per-ch6 io avevo amto successo ld dove lui aveva fallito. llrt-tavia, il suceesso era stato cosi inawertito, che per menon rivestiva alcun significato. Se non fosse stato per icommenti di Bill, non mi sarei nemmeno reso conto diquanto era difficile awicinare quelvecchio e non awebbepotuto importarmene di meno. All'epoea quella breveconversazione non mi sembrb per nulla particolare e noncapivo perch6 mai Bill fosse rimasto cosi sconvolto.

"T\r sai dove abita?"..Non ne ho la pii pallida idea" mi rispose, piuttosto

seccato. "Ho sentito dire che non abita da nessuna par-te, e si limita ad apparire qua e ld, senza che ci sia unmotivo preciso, ma sono solo stronzate. Con ogni pro-babilitbvive in qualche baraeca di Nogales, in Messico."

"Perch6 mai d cosi importante?" La mia domanda midiede il coraggio di aggiungere: "Il fatto che mi abbia ri-volto la parola sembra sconvolgerti: perch6?"

Con indifferenzaammise di essere addolorato perchdsapeva.quanto fosse inutile cercare di parlare con queltipo. "E un gran maleducato, quando gli parli nel mi-gliore dei casi ti fissa senza aprire bocca. Avolte non tiguarda nemmeno e ti tratta come se tu non esistessi.Uunica volta ehe ho cercato di parlargli mi ha respintoin maniera brutale. Sai cosa mi ha detto? "Se fossi in te,non sprecherei la mia energia aprendo la bocca. Cercadi conservarla, ne hai bisogno". Se non fosse stato cosivecchio, gli awei mollato un bel pugno sul naso."

Fbci notare al mio amico che chiamarlo "vecchio" eraun eufemismo e non una descrizione reale. Non sem-brava cosi vecchio, anche se era sicuramente anziano.Possedeva infatti un vigore e una agilitd incredibili.Pensai che se avesse cercato di colpirlo, Bill non ci sa-rebbe affatto riuscito. Quell'indiano era molto forte emetteva addirittura paura.

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CAR,LOS CASTANEDA

Evitai di dirlo al mio amico e gli permisi di continua-re a raecontarmi quanto fosse disgustato dalla cattive-ria di quel tizio e come gli sarebbe piaciuto trattarlo, senon avesse amto un aspetto cosi debole. "Chi credi chepossa dirmi dove vive?"

..Fbrse qualcuno gii a Yuma, magari Ie persone cheti ho presentato all'inizio del nostro viaggio" mi rispose,pit rilassato. "Non hai nulla da perdere a chiedere a lo-ro. Di'che ti ho mandato io."

Cambiai subito i miei piani e invece di tornare a LosAngeles mi recai a Yuma, in Arizona. Incontrai i tizi chemi aveva presentato Bill e anche se ignoravano doveabitasse il vecchio indiano, i loro commenti aumentaro-no ancora di pin la mia curiosith sul suo conto. Mi spie-garono che proveniva da Sonora, in Messico, e non daYuma; in gioventi era stato un temibile sciamano cheeseguiva sortilegi e lanciava formule magiche sulle per-sone, ma con il passare del tempo si era ammorbidito,trasformandosi inun eremita ascetico. Mi dissero ancheche, sebbene fosse un indiano Yaqui, se ne andava sem-pre in giro con un gruppo di messicani che sembravanomolto esperti di pratiche magiche; in ogni caso, era davL pezzo che nessuno di loro lo vedeva. Uno dei mieiinformatori aggiunse ehe aveva la stessa etd di suo non-no, un vecchio costretto a letto, mentre lo sciamanosembrava piil in forma che mai. Iro stesso uomo mimandd da alcune persone di Hermosillo, la capitale del-la regione di Sonora, che forse lo eonoscevano ed eranoin grado di raccontarmi qualcosa sul suo conto. Uideadi andare in Messico non mi sorrideva affatto, perch6Sonora era troppo distante dalla zona che mi interessa-va. Convinto che sarebbe stato meglio svolgere una ri-cerca di antropologia urbana, tornai a I-.,os Angeles. Pri-ma di partire, girai la zona di Yuma sempre alla ricercadi informazioni sul vecchio, ma nessuno lo conosceva.

Mentre l'autobus si dirigeva verso Los Angeles, pro-vai una sensazione unica: mi sentivo zuarito dalla mia

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UN VIAGGIO DI POTERE

ossessione nei confronti del lavoro di raccolta dei datisul campo e nei confronti di quel vecchio. AI tempo stes_so, sentivo una strana nostalgia, qualcosa che nbn ave_vo mai provato in vita mia. Era una sensazione del tut_to nuova che mi colpi in maniera profonda, un insiemedi a_nsia e desiderio, come se mi stessi perdendo qualco-sa di molto importante. Awicinandomi a Los Angelesebbi la netta sensazione che qualunque cosa avessaagi_to su di me dalle parti di Yuma, cominciava a svanire inlontananza e il fatto stesso che stesse per scomparirenon faceva altro che aumentare il mio desiderio.

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s r intumfo d.e1l'infinito

"Yoglio che tu pensi con la massima concentrazionea ogni singolo dettaglio relativo a cid che d awenuto frate e quei due uomini, Jorge Campos e Lucas Coronado,quelli che in pratica ti hanno consegnato a me, e poi miracconti ogni eosa" disse don Juan.

Pur trovando Ia sua richiesta piuttosto difficile daesaudire, mi divertii a ricordare tutto quello che queidue mi avevano detto. Egli esigeva i particolari pit insi-gnificanti, qualcosa che mi costringesse a spingere lamemoria a superare qualunque limite.

La storia che don Juan voleva farmi ricordare ebbeinizio nella cittd di Guaymas, nella regione di Sonora inMessico. A Yuma, in Arizona, mi avevano fornito i nomie gli indirizzi di alcune persone che in teoria erano in gra-do di chiarire il mistero del vecchio incontrato al deposi-to degli autobus. Nessuno perd aveva mai conosciuto unosciamano in pensione e non credevano che potesse esiste-re un uomo del genere. In compenso molti mi racconta-

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L, I N T E NTO DEI]L, INF' I NITO

rono un sacco di storie spaventose sugli sciamani Yaqui esull'atteggiamento in genere aggressivo di tutti gli india-ni di quella tribr), spiegandomi che a Vicam, una cittadi-na sede di una stazione ferroviaria tra le localitb, di Guay-mas e Ciudad Obregon, awei potuto imbattermi in qual-cuno capace di indicarmi la giusta direzione.

...4 chi mi devo rivolgere?" volli sapere.

..I-la cosa migliore da farsi d parlare con un ispettoreIocale della banca governativa" mi sugger) un tizio. "Cisono molti ispettori e conoscono tutti gli indiani dellazona, perch6 la banca d I'istituzione governativa che ac-quista il loro raccolto. Ogm Yaqui d un agricoltore, d ilproprietario di un pezzo di terreno che pud definire suopurch6 continui a coltivarlo."

"Voi ne conoscete qualcuno?" domandai.Dopo essersi guardati fra loro eon aria d'intesa, mi

sorrisero, seusandosi perch6 non ne conoseevano affat-to. In compenso, mi raccomandarono caldamente di av-vicinarne uno e di spiegargli la situazione.

A Vicam Station i miei tentativi di fare conoscenzacon gli ispettori della banca governativa furono a dir po-co disastrosi. Ne incontrai tre e, non appena spiegai lo-ro cib che volevo, mi lanciarono uno sguardo di comple-ta sfiducia. Sospettavano infatti che fossi una spia in-viata dagli Yankee a creare problemi che non erano ingrado di definire con chiarezza e su cui facevano le ipo-tesi pir) sfrenate: dalla sommossa politica allo spionag-gio industriale. Da quelle parti erano convinti che nelleterre degli indiani Yaqui ci fossero giacimenti di ramesu cui gli Yankee volevano mettere le mani.

Dopo questo clamoroso fallimento mi ritirai nellacittb di Guaymas. Mi trovavo in un albergo a pochi pas-si da un fantastico ristorante, dove andavo tre volte algiorno. Il cibo era ottimo e mi piaceva cosi tanto che ri-masi a Gua5rrnas pin di una settimana: si pub dire chevivevo in quel locale e avevo cosi fatto amicizia con ilproprietario, un certo Reyes.

CD

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CARLOS CASTANEDA

Un pomeriggio, mentre stavo mangiando, Reyesven-ne al mio tavolo eon un altro uomo che mi presentd co-me Jorge Campos, un imprenditore Yaqui che avevatrascorso la giovinezza in Arizona, parlava inglese allaperfezione ed era pit americano di un vero amerieano.Reyes lo lodd, dicendo che era un esempio di come il du-ro lavoro e I'impegno potessero trasformare una perso-na normale in un essere eccezionale.

Quando Reyes si allontand, Jorge Campos si sedetteal mio fianco e prese subito in pugno la conversazione.Fingendosi modesto, negd tutti quei complimenti, ma lasua soddisfazione per le parole di Reyes era evidente. Inun primo momento ebbi la netta sensazione che fosse il ti-po di imprenditore che si trova nei bar o agli angoli dellestrade pir) affollate, intento a cercare di vendere un'ideao a trovare il modo di fregare i soldi ai passanti.

Campos era un uomo di bell'aspetto, alto un metro eottantadue, snello, con la pancia prominente tipica deiforti bevitori di alcolici. Aveva Ia carnagione molto scura,con una tonalitd di verdastro, indossava jeans costosi elucidi stivali da cow-boy con la punta agtzza e il tacco an-golare, quasi avesse bisogno di affondarli nel terreno pernon farsi trascinare via da un maruo preso aJlazo.

La sua camicia a scacchi grl$a era stirata in manie-ra impeccabile. Nel taschino di destra aveva infilato unabusta di plastica, che eonteneva una frla di penne: era lostesso accorgimento che avevo visto usare dagli impie-gati che non volevano macchiare d'inchiostro Ia cami-cia. Portava anche una giacca scamosciata con Ie fran-ge, di un colore marrone rossastro e un alto cappellotexano da cow-boy. I-.ra sua faccia rotonda era priva diespressione. Non aveva rughe, sebbene fosse sulla cin-quantina. Per chissh quale motivo pensai che doveva es-sere un individuo pericoloso.

..Sono felice di fare la sua conoscenza, signor Cam-pos" esordii, porgendogli la mano.

"Lasciamo perdere Ie formalitb" ribatt6lui, stringen-

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domela con vigore. "Mi piace trattare i giovani alla pari,senza badare alla differenza d'etb. Chiarnami Jorge."

Rimase un attimo in silenzio, valutando la mia rea-zione. Non sapevo cosa dire, ma ero certo di non voler-lo assecondare, cosi come non me la sentivo di prender-lo sul serio.

..Sono curioso di sapere che cosa stai facendo a Guay-mas>> prosegoi itr tono casuale. "Non sembri un turista enon sembri nemmeno interessato alla pesca subacquea."

..Sono uno studente di antropologia e sto cercando distabilire le mie credenziali presso gli indiani del luogo,in modo da poter svolgere alcune ricerche sul campo" glispiegai.

"E io sono un uomo d'affari. Il mio lavoro consiste nelfornire informazioni, agendo da intermediario. Th haiun bisogno da soddisfare, io possiedo la merce. Mi facciopagare per i miei serizi, che sono comunque garantiti:se non sei soddisfatto, non sei costretto a pagarmi."

oSe il tuo lavoro d quello di fornire informazioni, sarblieto di sborsare qualunque cifra tu mi chieda."

"Ah!" esclamd. "Hai sicuramente bisogno di una gui-da, qualcuno pii istruito dell'indiano medio, che possaportarti in giro. Hai una borsa di studio eoncessa dalgoverno degli Stati Uniti o da qualche altra grossa isti-tuzione?"

"Si" mentii. "Ne ho una dell'Esoterical Fbundationdi Los Angeles."

Non appena pronunciai quelle parole, scorsi un lam-po di cupidigia nei suoi occhi.

"Ah!" esclamd di nuovo. "Ed d molto gr.ande questaistituzione?"

"Abbastanza.""Santo Cielo! Ma dawero?" disse, corne se quella fra-

se fosse stata la spiegazione ehe aveva tanto voluto sen-tire. "Se non ti dispiace, potresti dirmi a quanto am-monta la tua borsa di studio? Insomma, quanto denaroti hanno dato?"

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CARLOS CASTANEDA

"Poche migliaia di dollari per svolgere un lavoro pre-liminare sul campo" mentii di nuovo, per vedere comeawebbe risposto.

"Ah! Io amo le persone dirette" aggiunse, scegliendocon cura le parole. "Sono certo che noi due troveremoun aecordo. Ti offro i miei servizi come guida e comechiave che pud aprire molte porte segrete presso gli in-diani Yaqui. Come puoi vedere dal mio aspetto esterio-re, io sono un uomo ricco e di gusto."

...Si, tu sei senz'altro un individuo dotato di buon gu-sto" dichiarai.

..Ti sto semplicemente dicendo che perun piccolo ono-rario, che troverai senz'altro accettabile, io ti fard incon-trare le persone giuste a cui potrai chiedere qualunquecosa. E con una piccola aggiunta, ti tradurrd le loro pa-role in spagnolo o inglese. Parlo anche francese e tedesco,ma ho I'impressione che queste lingue non ti interessino."

"Hai perfettamente ragione, non mi interessano af-fatto. A quanto ammonterebbe il tuo onorario?"

Si tolse dalla tasca posteriore dei calzoni un bloc-chetto per appunti con la copertina di cuoio e, con ungesto rapido della mano, me lo apri davanti alla faceia,ci scarabocchid sopra qualeosa, lo richiuse e lo rimise intasca con un altro gesto preciso e veloce. Ebbi la eertez-za etre volesse farmi credere di essere efficiente e capa-ce di eseguire in fretta qualunque calcolo.

"Ah! Il mio onorario... Ti fard pagare cinquanta dol-lari al giorno, compresi i trasporti e con I'aggiunta deipasti. Voglio dire, quando tu mangi, mangio anch'io.Che ne dici?"

In quel preciso istante si chind verso di me e mi sus-sund che dovevamo metterci a parlare in inglese perch6non voleva che gli altri venissero a conoscenza della na-tura delle nostre transazioni. Si mise poi a parlare inqualcosa che non era affatto inglese. Colto di sorpresa,non sapevo come reagire e cominciai a irritarmi mentrelui continuava a sproloquiare con la massima natura-

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lezza. Senza scomporsi, agitava le mani e indicava varipunti intorno a lui come se mi stesse spiegando qualco-sa. Avevo I'impressione che non stesse parlando una lin-gua specifica; forse si esprimeva nel linguaggro Yaqui.Quando altri clienti si ar,rricinavano al nostro tavolo e ciguardavano, io annuivo e ripetevo: "Si, si, certo". A untratto esclamai: "Puoi ben dirlo" e quella frase mi sem-brd cosi divertente che scoppiai in una sonora risata.Anche il mio interlocutore rise di cuore, come se avessiappena detto qualcosa di molto divertente.

Doveva perd essersi accorto che stavo per esaurire lapazienza e prima che potessi alzarmi e mandarlo al dia-volo, riprese a parlare in spagnolo.

..Non voglio stancarti con le mie sciocche osservazio-ni, ma se devo farti da guida, e penso proprio che lofard, dowemo traseorrere lunghe ore chiacchierando in-sieme" mi spiegb. "Ti ho messo alla prova per vedere sesai conversare bene. Se dowb guidare, ho bisogno diavere accanto una persona che sappia recepire e inizia-re la conversazione. Sono felice di informarti che tu saifare bene entrambe le cose."

Si alzd poi in piedi, mi strinse la mano e se ne andd.Con un tempismo perfetto il proprietario venne al miotavolo, sorridendo e scuotendo il capo a destra e sini-stra, come un orsetto.

"Non d fantastico?" mi domandd.Non avevo aleuna intenzione di rispondergli e Reyes

continub raecontandomi che in quel momento JorgeCampos stava facendo da intermediario in una transa-zione estremamente delicata e profieua: alcune societdminerarie americane erano interessate ai depositi difeno e rame che appartenevano agli indiani Yaqui eCampos era sul punto di intascare una commissione dicirca cinque milioni di dollari. F\r allora che mi convin-si di avere a che fare con un imbroglione, perch6 inquelle terre non c'era alcun deposito. Se ce ne fosserostati, qualche azienda privata atrebbe cacciato gli Ya-

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qui dalla zona, mandandoli avivere da qualche altra parbe...E straordinario, I'uomo piir incredibile che abbia mai

incontrato" gli risposi. "Come posso contattarlo di nuovo?""Di questo non devi preoccuparbi. Jorge mi ha chie-

sto tutto di te, ti sta tenendo d'occhio fin da quando seiarrivato. Con ogni probabilitd oggl o domani verud abussare alla tua porta."

Reyes aveva ragione. Un paio d'ore dopo qualcunovenne a svegliarmi dal sonnellino pomeridiano (avevointenzione di partire da GuaS.mas in serata e guidaretutta notte per raggiungere la California): era JorgeCampos. Gli spiegai clte me ne stavo andando e che sa-rei tornato nel giro di un mese.

..Ah! Devi restare, adesso che ho deciso di farti daguida!"

"Mi dispiace ma dowemmo rimandare, ho troppo po-co tempo a disposizione."

Anche se sapevo che era un imbroglione, decisi di ri-velargli che avevo grh, un informatore, incontrato inAri-zona, che stava aspettando di lavorare con me. Gli de-scrissi il vecchio, aggiungendo che si chiamava JuanMatus e che altre persone me lo avevano presentato co-me uno sciamano. Jorge Campos mi rivolse un ampiosorriso e io gli chiesi se lo eonosceva.

..Ah, si, lo conoscoo mi rispose in tono gioviale. "Si puddire che siamo buoni amici." Senza essere invitato, entrdnella mia stanza e si sedette al tavolino vicino al balcone.

.,\tve da questi parti?" gli domandai.

..Certo.,"Mi porteresti da lui?""Perch6 no? Ho bisogno di un paio di giorni per svol-

gere alcune ricerche, giusto per essere sicuro che ci sia,e poi andremo insieme a trovarlo."

Sapevo che stava mentendo, eppure volevo credergli.Giunsi a pensare che la mia sfiducia iniziale non si reg-gesse su basi solide, perch6 in quel momento sembravamolto conr,'ineente.

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"Io ti porterb da quell'uomo, ma devi pagarmi unonorario fisso di duecento dollari."

Era una cifra superiore a quella che avevo a disposi-zione. Rifiutai gentilmente e gli dissi che non avevo ab-bastanza denaro con me.

..Non vorrei sembrare un mercenario, ma posso sa-pere quanto soldi sei in grado di spendere?" mi chiesecon il suo sorriso pii convincente. "Devi tenere presen-te che sard costretto a sborsare qualche somma... Gliindiani Yaqui sono molto riservati, ma c'b sempre il mo-do di riuscire, c'd sempre qualche porta che si apre conla chiave magica del denaro!"

Nonostante i miei dubbi, ero convinto che JorgeCampos potesse rivelarsi il mio canale d'accesso non so-lo al mondo Yaqui ma anche alvecchio che mi aveva tan-to intrigato. Non mi andava di mercanteggiare sul prez-zo e) corr un certo imbarazzo, gli offrii cinquanta dolla-ri che avevo in tasca.

..Sono alla fine del mio soggiorno e ho quasi finito isoldi" gli dissi in tono di scusa. "Mi sono rimasti solocinquanta dollari."

Jorge Campos stese le lunghe gambe sotto il tavolo eincrocib le braccia dietro la testa, abbassandosi il cap-pello sulla faccia. "Prendo i cinquanta dollari e anche iltuo orologio" mi rispose spudoratamente. ..Per una ci-fra del genere ti porterd a conoscere uno sciamano me-no importante. Non essere impaziente" mi awisd, comese io fossi stato sul punto di protestare. "Dobbiamo sa-Iire con estrema cautela sulla seala, partendo dai gradi-ni pir) bassi fino a raggiungere quell'uomo che, te lo as-sicuro, d proprio in cima."

"E quando potrei incontrare questo sciamano menoimportante?" gli chiesi, porgendogli soldi e orologio.

"Subito!" mi rispose, alzandosi di scatto per afferra-re avidamente il suo compenso. "Andiamo, non c'd unminuto da perdere."

Salimmo sulla mia auto e lui mi indirizzd verso Potam,

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una delle tradizionali cittd Yaqui situate lungo il corso delfiume omonimo. I-rungo il tragitto mi riveld che stavamoper incontrare I.lueas Coronado, un uomo conosciuto perle zue capaciti magiche, Ia trance sciamanica e le splendi-de maschere che creava per le feste Yaqui della quaresima.

Cambib poi argomento, mettendosi a parlare del vec-chio e quello che mi disse era in piena contraddizionecon i resoconti di chi me lo aveva descritto come un ere-mita, uno sciamano che aveva abbandonato I'attivitA.Jorge Campos lo ritrasse invece come il guaritore e lostregone pir) importante della zona, un uomo che la fa-ma aveva trasformato in una figura quasi inaccessibile.Fbce una pausa, come un rrero attore, e sferrd poi il suocolpo frnale: mi informd che parlare al vecchio con unacerta regolaritd, cosi come fanno in genere gli antropo-logi, mi sarebbe costato almeno duemila dollari.

Stavo per protesta,re per quell'impennata del prezzo,ma lui mi anticipd: ..Posso portarti da lui per duecentodollari e di questi io me ne tengo una trentina: tutto ilresto d destinato al pagamento di bustarelle varie. Par-lare a lungo con lui ti costerd di pit. Puoi fare tu stessoi conti: ha delle guardie del corpo, individui che lo pro-teggono e che devo tenermi buoni pagandoli. Alla fine tifornird un resoconto completo di ricer,ute e di tutto cidche ti serye per Ie tue tasse e potrai vedere che la miacommissione d dawero minima."

hovai urCondata di ammirazione nei suoi confronti.Era consapevole di tutto, persino delle ricevute per le tas-se. Rimase a lungo in sileruio, quasi stesse calcolando ilsuo profrtto minimo. Da par-te mia, non avevo nulla da di-re: ero impegnato anch'io a far calcoli, cercando di trova-re il modo di entrare in possesso di quei duemila dollari.Giunsi a pensare di chiedere dawer.o una borsa di studio.

"Sei sicuro che il vecchio accetterd di parlarmi?" glidomandai.

"Certo. E, in base a quello ehe pagherai, oltre a par.-larti, eseguir) per te le sue magie. In seguito potrete ac-62

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cordarvi sul costo delle lezioni successive." Dopo un'al-tra pausa, mi fissb negli occhi e chiese: "Credi che po-trai pagarmi i duemila dollari?". Il suo tono era cosi for-zatamente indifferente che ebbi la certezza che mi stes-se imbrogliando.

"Si, posso procurarmeli senza problemi" mentii.Jorge Campos non riusci a nascondere la soddisfa-

zione. ..Bravo tagazzo! Bravo ragazzolr, esultd. "Ci di-vertiremo un mondo!"

Cercai di chiedergli qualcosa sul conto del veechio,ma mi interruppe bruseamente. "Risparmia queste do-mande per lui: fra un po' sarh tutto tuo" mi rassicurdcon un ampio sorriso.

Si mise poi a raccontarmi la sua vita negli Stati Uni-ti, confidandomi le sue aspirazioni in campo professio-nale e, eon mia gr:ande sorpresa, dato che lo avevo clas-sificato eome un impostore che non sapeva una sola pa-rola d'inglese, si mise a parlare in tale lingua.

"Ma tu parli inglese!" eselamai, senza nemmeno cer-care di nascondere la mia sorpresa.

"Certo, ragazzo mio" mi rispose, ostentando un ac-cento texano che mantenne per tutta la durata della con-versazione. "Tb I'ho detto, ho voluto metterti alla provapervedere se sei abbastatzaintraprendente. Lo sei, e de-vo ammettere ehe sei anche piuttosto in gamba."

La sua padronarza dell'inglese era superba e mi de-Iizid con battute e storielle. In breve tempo ci ritrovam-mo a Potam. Mi diresse verso una casa alla periferiadella cittd. Scendemmo dalla macchina e lui mi fecestrada, chiamando a gran voce Lucas Coronado.

Dal retro della casa giunse una voce: oVenite eui!".Sul retro di una piccola baracca c'era un uomo, sedu-

to in terra su una pelle di capra; teneva con i piedi un pez-zo di legno che stava intagliando con uno scalpello e unamazza.lbnendo fermo il legno in quel modo, era riuscitoa creare uno stupefacente tornio da vasaio. I piedi gira-vano il legno, le mani lavoravano con lo scalpello. Non

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avevo mai visto niente del genere in tutta la mia vita' Sta-va facendo una maschera, s,uotandola con uno scalpellocun/o. Il modo in cui riusciva a controllare i piedi che reg-gevano il legno e Io facevano girare era incredibile'

Era un tizio decisamente magro' con un viso affrla-to, lineamenti ossuti, zigomi alti e Ia carnagione seura'color del rame. La pelle della faccia e del collo sembra-va essere tesa al massimo. I baffr sottili che ricadevanoall'ingii gli davano un'espressione malevola. Aveva ilnaso aquilino e sottile, gli occhi scuri e fieri. Le soprac-ciglia incredibilmente nere al pari dei capelli corvini pet-tinati all'indietro, sembravano tracciate con un matita'Non avevo mai visto una faccia pir) ostile. Mi venne inmente I'immagine di un awelenatore italiano dell'epocad.ei Med.ici. I termini ..truculento> e <saturnino" mi sem-brarono quelli pit adatti a descrivere il volto di LucasCoronado.

Osservandolo mentre era seduto in tema e teneva ilpezzo di legno con i piedi, mi accorsi che le ossa delle suegambe erano cosi lunghe che le ginocchia gli arrivavanoill'ult"r"u delle spalle. Quando ci awicinammo' smisedi lavorare e si alzd. Era pii alto di Jorge Campos e ma-gro come un chiodo.

Si infilb i suoi guaraches, come gesto di rispetto neinostri confronti, almeno credo.

,.Accomodatevi pure, ci invitd, senza esibire I'ombradi un sorriso. Ebbi la strana sensazione che l-rucas Co-ronado non fosse capace di sorridere. "A che cosa devol'onore di questa visita?" domandd a Jorge Campos'

oTi ho portato questo giovanotto che mole farti qual-che domanda a proposito della tua arte" gli rispose conestrema condiscenclenza. "GIi ho assicurato che awestirisposto con la massima sinceritd."

"Non c'd problemao mi tranquillizzd Lucas Corona-do, squadrandomi con il suo sguardo gelido'

Si mise poi a parlare in una lingua che immaginai es-sere Yaqui. I-rui e Jorge Campos si intmersero in una

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L' I NT E NTO DEI, I , ' INFINITO

conversazione animata che si protrasse a lungo, eom-portandosi entrambi come se io non fossi esistito.

"C'd un contrattempo, roba di poco conto, mi infor-md a un tratto Campos.

"I-rucas mi ha appena detto che per lui questo b unperiodo pieno di impegni, anche perch6 si stanno alrrici-nando le feste, quindi non pud soddisfare tutte le tue cu-riositd. In ogni easo, lo farA di certo un'altra volta."

"S), certo, un'altra volta...>, mi promise Lucas Coro-nado in spagnolo.

"Dobbiamo interrompere la nostra visita, ma ti ri-porterd qui appena possibile" aggiunse Jorge Campos.

1\[entre stavamo per andarcene, sentii il bisogno diesprimere a Lucas Coronado la mia ammirazione per ilmodo stupendo in cui lavorava, utilizzando le mani e ipiedi. Lui mi guardd come se fossi impazzito, spalan-cando gli occhi per la sorpresa.

"Non hai mai visto nessuno preparare una masche-ra?' sibilb a denti stretti. "Da dove arrivi, da Marte?"

Sentendomi uno stupido, cercai di spiegargli che lasua teenica rappresentava per me una novitd assoluta,in compenso lui sembrava deciso a darmi una botta intesta. Jorge Campos mi spiegd in inglese che con i mieicommenti avevo offeso Lrucas Coronado, il quale avevainteso le mie parole dt apprezzamento come una presain giro mal celata della sua povert). Thtto cid che avevodetto gli era sembrato I'affermazione sarcastica dellasua miseria e incapacith.

"Ma d esattamente il contrario... io credo che il suolavoro sia splendido!"

..Non azzardarti a dirgli niente del genere" ribatt6Jorge Campos. "Questa gente d abituata a dispensare ea ricevere insulti in un modo celato. Crede che sia biz-zarro che tu lo denigri senza nemmeno conoscerlo e loprenda in giro perch6 non pud permettersi un tornio cheregga le sue sculture!"

Non sapevo piir come comportarmi. Bovinare i rap-

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CARLOS CASTANEDA

porti con il mio unico contatto era I'ultima eosa al mon-do che volevo. Jorge Campos sembrava consapevole delmio tormento.

"Compra una delle sue maschere,' mi suggeri.Gli confrdai che avevo a malapena i soldi per compe-

rare il cibo e la benzina e che avevo intenzione di ani-vare a Los Angeles in una tirata unica, senza fare soste.

"Allora dagli la tua giacca in pelle" mi consiglid conun tono pratico e frducioso al tempo stesso. ..In casocontrario, lo farai infuriare e tutto quello che si ricor-derd di te saranno i tuoi insulti. Non raccontargli che lesue maschere sono bellissime, comprane una e basta."

Quando proposi a Lucas Coronado lo scambio, mi ri-volse un sorriso soddisfatto: prese la giacca, se la infrlde si diresse verso la casa. Prima di entrare esegui alcu-ni movimenti strani, si inginocchid davanti a una sortadi altare religioso e agitd le braccia, come se volesse sti-racchiarsi e sfregd poi Ie mani sui lati della giacca.

Dopo essere entrato nell'abitazione, usci con in ma-no un pacchetto awolto in fogli di giornale, che si af-frettd a porgermi. Awei voluto chiedergli qualcosa, malui si scusd, dicendo che doveva lavorare e che io aweipotuto tornare urt'altra volta.

Durante il ritorno a Gua;rnas, Jorge Campos mi chie-se di aprire il fagotto perch6 voleva essere sicuro che il suoamico non mi avesse imbrogliato. Non avevo alcuna in-terzione di assecondarlo, dato che la mia unica preoccu-pazione era quella di dover tornare ad affoontare I-rucasCoronado. Mi sentivo risollevato all'idea di andarmene.

.,Devo assolutamente vedere che cos'hai." Il miocompagno non voleva saperne di cedere. "Ti prego, fer-ma la macchina. Per nessuna ragione al mondo possomettere in pericolo i miei clienti. T\r mi hai pagato af-finch6 ti rendessi un servizio. Quell'uomo d unvero scia-mano e quindi molto pericoloso. Poich6l'hai offeso, puddarsi che ti abbia dato un oggetto stregato e in tal casooccorre seppellirlo subito, in questo stesso luogo.,'

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Assalito da un'ondata di nausea, mi fermai e con lamassima cautela presi il pacchetto incriminato. JorgeOampos me Io strappd di mano e I'apri: conteneva tresplendide maschere tradizionali Yaqui. Con aria casualee del tutto disinteressata commentd che awei dor,rrto re-galargliene una. Dato che non mi aveva aneora accom-pagnato dal vecchio, pensai che valesse la pena di resta-re in buoni rapporti con lui e gliela cedetti volentieri.

"Se posso scegliere, vorrei questa..."Gli dissi di prenderla pure. Quelle masehere non ave-

vano per me alcun signifrcato: avevo ottenuto quello chemi interessava e gli awei dato anche le altre due , se nonmi fosse l'enuta voglia di mostrarle ai miei amici antro-pologi.

"Non sono niente di straordinario, d roba che puoicomperare in qualunque negozio della cittb" dichiarb."Da queste parti le vendono ai turisti."

Avevo visto le maschere Yaqui in vendita nel paeseche erano a dir poco grossolane rispetto a quelle cheavevo appena acquistato. E come se non fosse bastato,Jorge Campos aveva preso la pii bella.

Lo lasciai in cittd e mi diressi poi verso Los Angeles.Prima di salutarci, mi ricordd che in pratica gli dovevoduemila dollari perch6 si sarebbe messo subito all'ope-ra, pagando e trafficando per permettermi di incontra-re il vecchio.

"Credi che la prossima volta che ei vedremo sarai ingrado di sborsare duemila dollari?" mi chiese con inne-gabile audacia.

La sua domanda mi mise in una posizione terribile.Tbmevo infatti che se gli avessi detto la veritd e ciod chedubitavo di riuscirci, mi awebbe abbandonato: per mesarebbe stato un guaio, pereh6 ritenevo che, nonostan-te la sua evidente aviditd, fosse lui il mio cerimoniere.

"Fb,rd del mio meglio per mettere insieme il denaro"gli risposi, ostentando una certa indifferenza.

"Mettiti d'impegno, ragazzo mio" ribatt6 deciso, qua-

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si seccato. "Per organwzare questo incontro dowd antici-pare del denaro e quindi ho bisogno di conferme imme-diate da parte tua. So che sei una persona seria. Quantovale la tua macchina? Hai il foglietto rosa?',

Gli dissi quanto valeva la mia auto, confermandogliche possedevo il foglietto, ma lui sembrd soddisfatto so-lo quando gli promisi che in occasione della mia prossi-ma visita gli awei portato iI contante.

Cinque mesi dopo tornai a Guaymas per vedere Jor-ge Campos. All'epoca duemila dollari erano una cifranotevole, soprattutto per uno studente. Pensai che seavesse accettato un pagamento rateale, awei potuto im-pegnarmi in tal senso.

Non riuscii a trovarlo da nessuna parte e chiesi spie-gazioni al padrone del ristorante, che si mostrd stupitoquaqto me per la sua sparizione.

"E semplicemente scomparso> mi disse. "Sono sicu-ro che d tornato in Arizona o in Texas, dove aveva certiaffari."

Approfrttai dell'occasione per andare da Lucas Co-ronado. Arrivai a casa sua verso mezzogtrorno, ma Iuinon c'era. Chiesi ai vicini se sapevano dove awebbe po-tuto trovarsi, ma loro si limitarono a guardarmi conaria ostile, senza degnarmi di una risposta. Me ne andaie tornai verso sera senza aspettarmi nulla, anzi, etopronto a ripartire subito per Los Angeles. E inveee, conmia grande sorpresa, incontrai Lucas Coronado, che simostrd incredibilmente amichevole ed espresse la suapiena approvazione vedendomi arrivare senza JorgeCampos, che lui giudicava un vero rompiscatole, un in-diano Yaqui rinnegato che sfiuttava i suoi fratelli.

Gli diecli alcuni doni che avevo portato apposta perlui e acquistai tre maschere, un bastone deliziosamenteintarsiato e un paio di sonagli fatti con ibozzoli di alcu-ni insetti del deserto da portare alle caviglie, che gli Ya-qui indossavano nelle loro danze rituali. Lo portai poi aGuaymas, dove gli offrii la cena.

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Rimasi nella zona altri einque grorni, incontrandolorluotidianamente e lui mi forni una quantith infinita diirrformazioni sugli Yaqui, la loro storia e la loro orgarnzza-zione sociale, oltre che sul significato e la natura delle lorocerimonie. Il lavoro di raccolta dei dati sul campo si stavarivelando cos) diverbente, che ero riluttante a chiedergli sesapeva qualcosa sul conto del vecchio, ma alla fine mi de-cisi e gli domandai se conosceva quello che Jorge Camposaveva definito un potente sciamano. Con evidente perples-sita mi rispose ehe, per quanto ne sapeva, in quella zonanon era mai vissuto un tizio del genere, e Jorge Camposera un imbroglione che voleva solo fregarmi i soldi.

Sentirgli negare in quel modo I'esistenza del vecchiomi fece un effetto terribile e inatteso: in quel precisoistante mi resi conto che in realtd non mi importava unaccidente del lavoro di raccolta dei dati sul eampo, vole-vo solo ritrovare quel tizio. Sapevo che I'incontro conI'anziano sciamano aveva rappresentato il culmine diqualcosa che non aveva nulla a che fare con i miei desi-deri, le mie aspirazioni e le mie idee di antropologo.

Pin di ogni altra cosa al mondo volevo sapere chi dia-volo era. Privo di qualunque freno inibitorio e in preda aun-'implacabile frustrazione, mi misi a urlare e impreca-re, battendo i piedi per terra. Sbalordito dalla mia esibi-zione, I:ucas Coronado mi guardd con aria sbalordita escoppid in una sonora risata. Non immaginavo che sa-pesse ridere. Mi scusai per la mia esplosione di rabbia esconforto, dicendogli che non riuscivo a spiegare il miocomportamento e sembrd comprendere il mio imbarazzo.

"Cose del genere accadono spesso da queste parti"commentd.

Non capivo a eosa si riferisse, ed essendo ancora ter-rorizzato dalla facilitd con cui si offendeva, non osaichiedergli nulla in proposito. Gli Yaqui sembravano sta-re perennemente all'erta, cercando insulti che agli altririsultavano impercettibili.

"Nelle montagne circostanti vivono esseri magici ca-

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paci di influenzare la gente, facendola letteralmenteimpazzire: le persone si infuriano e danno in escande-scenze e quando finalmente si calmano, esauste, nonhanno la pii pallida idea del motivo per cui si sono tan-to arrabbiate.,'

"Credi che la stessa cosa sia accaduta anche a me?,,"Senz'altro" mi rispose, deciso. "Fhi il matto alla mi-

nima oceasione, perd di solito sai trattenerti. Oggi nonci sei riuscito e sei esploso senza alcun motivo."

"E invece c'd un motivo" ribattei. "Me ne sono resoconto solo adesso: quel vecchio d alla base di tutti i mieisforzi."

I-rucas Coronado rimase zitto, assorto nei suoi pen-sieri e si mise poi a camminare avanti e indietro.

"Conosci per caso qualche anziano che non sia origi-nario di questa zona!,, gli domandai.

Dal momento che non capi la mia domanda, gli spie-gai che il vecchio indiano che avevo conosciuto era forseuno Yaqui che non viveva pir) nella sua zona d'origine,come Jorge Campos. Mi spiegb che, sebbene il cognomeMatus fosse piuttosto diffuso da quelle parti, non cono-seeva nessun Matus che si chiamasse Juan. Sembravapiuttosto awilito, ma all'improwiso ebbe un'intuizionee dichiard che se quell'uomo aveva raggiunto una certaetd, poteva darsi che avesse un altro nome e quindi quel-lo che mi aveva fornito erafittizio.

"Uunico vecchio che eonosco d il padre di Ignacio Flo-1gs" prosegui. "Ogm tanto viene da Mexico City a trovar-lo. A pensarci bene, d suo padre ma non sembra cosi vec-ehio, anche se deve esserlo per forza, perch6 Ignacio dvecchio eppure suo padre sembra pit giovane..."

Uidea lo fece ridere di gusto. A quanto pareva, finoa quel momento non aveva mai pensato a quanto quel-I'uomo sembrava giovane. Continuava a scuotere il ca-po, incredulo, mentre io ero fuori di me dalla gioia.

"E lui!" strillai, senza nemmeno sapere il perch6.Lrucas Coronado non aveva idea di dove vivesse Igna-

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L' I N T E N T O DEIJIJ ' INFI NITO

cio Flores, ma si mostrd molto gentile e mi propose diirntlare con Iui in una cittadina Yaqui nelle vicinanze,rkrve riusci a trovarlo.

Ignacio Flores, massiccio e corpulento, doveva averecirca sessantacinque anni. Lucas Coronado mi avevairwisato che, da ragazzo, quell'omone era stato un sol-rlato di carriera e aveva ancora un incedere militaresco.Sfoggiava un enorme paio di baffi che, uniti alla fterez-za dello sguardo, lo facevano apparire come lo stereoti-1rc del militare feroce. Di carnagione scura, aveva i ca-pelli nerissimi nonostante I'etd. La suavoce decisa e po-tente pareva abituata solo a impartire ordini. Ebbi l'im-pressione che avesse prestato servizio in cavalleria:camminava infatti come se indossasse ancora gli spero-ni e per chissb quale motivo, quando si muoveva, senti-vo dawero il tintinnio del metallo.

I-rucas Coronado mi presentd, spiegandogli che erovenuto dall'Arizona per vedere suo padre, che avevo eo-nosciuto a Nogales. Ignacio Flores non pareva affattosorpreso.

..Si, certo, mio padre viaggia molto" si limitd a com-mentare e, senza altri preliminari, ci spiegd dove awem-mo potuto trovarlo. Non ci accompagnd e giudicai iI suogesto una manifestazione di grande genlllezza. Dopoessersi scusato si allontand marciando, quasi stesse te-nendo il passo in una parata.

Pensavo di andare a casa dell'anziano sciamano incompagnia di I-rucas Coronado, che invece rifrutd corte-semente e mi chiese di riportarlo a casa.

"Credo che tu abbia trovato la persona che stavi cer-cando ed d meglio che resti da solo" mi spiegd.

Ijincredibile gentlezza degli indiani Yaqui e la loroinnegabile fierezza non mancavano mai di stupirmi. Meli avevano descritti come un branco di selvaggi che uc-cidevano senza esitare, ma per quanto mi riguardava laloro caratteristica pir) evidente era inveee la cortesia,unita al massimo rispetto.

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CARLOS CASTANEDA

Andai a casa del padre di Ignacio Flores e li trovaiI'uomo che avevo tanto cercato.

"Chissi, perch6 Jorge Campos mi ha mentito, dichia-rando di conoscerbi" csclamai al termine del mio racconto.

.,Non ti ha affatto mentito" mi eorresse don Juan,mostrando di averlo gib perdonato.

..E non si d nemmeno presentato sotto una luce diver-sa: ha semplicemente creduto che tu fbssi una preda fa-cile e stava per imbrogliarti. Non d perd riuscito a porta-re a eompimento il suo piano perch6l'infinito ha amto lameglio su di hri. Sai che d seomparso poco dopo il vostroincontro e nessuno I'ha pii visto? Jorge Campos ha arm-to per te una notevole importanza. Nei rapporti intercor-si tra voi puoi scorgere una sorta di guida, perch6 egli erauna rappresentazione della tua vita."

"E perch6 mai? Io non sono un truffatore!" protestai.Don Juan scoppid a ridere come se sapesse qualcosa

che ignoravo. Senza rendermene conto mi trol'ai nel belmezzo di una dettagliata spiegazione delle mie azioni,dei miei ideali e delle mie aspettative. Con lo stesso fer-vore con cui stavo illustrando la mia personalith unostrano pensiero mi spingeva a prendere in considerazio-ne il fatto ehe, in certe circostanze, assomigliavo dawe-ro a Jorge Campos. Questa idea mi risultava perd inam-missibile, e concentrai tutta la mia energia per dimo-strarne I'assurditd. T\rttavia, se guardavo nel profondodel mio essere, non mi interessava affaLto scusarmi perla mia eventuale somiglianza con lui.

Quando gli confidai i miei dubbi, don Juan rise cositanto da rischiare pir) volte di soffocare.

"Se fossi al tuo posto, ascolterei la mia voce interio-re. Sarebbe ben div.erso se tu fossi come Jorge Campos,e ciod un imbroglione! Lui era un sempliciotto, tu seimolto pit complicato. Questo d iI potere del raceonto,questo d il motivo per cui gli sciamani lo usano: ti met-te in contatto con un aspetto del tuo essere che non im-maginavi nemmeno esistesse.',

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L' INTD NTO DELI] ' INFINITO

In quell'istante desiderai andarmene. Don Juan sa-peva esattamente come mi sentivo.

"Non dare retta a quella voce superficiale che ti fa ar-rabbiare" mi ordind deciso. "Devi invece prestare ascoltoa quella pit profonda che ti guiderd da ora in avanti, lavoce che ride. Ascoltala e ridi con lei. Ridi! Ridi!"

Le sue parole erano una sorta di comando ipnotico alpunto che, eontro la mia volontb, mi misi a ridere. Nonero mai stato cosi felice e mi sentii libero e privo di ma-schere.

"Racconta pit volte a te stesso la storia di JorgeCampos e scoprirai che d per te una fonte di icchezzain-finita" prosegui. "Ogni dettaglio fa parte di una mappa.Dopo che abbiamo varcato una certa soglia d la naturastessa dell'infinito a porre un progetto davanti a noi.)>

Mi osservd a lungo, senza limitarsi a spiarmi comefaceva di solito, ma fissandomi attentamente.

"Jorge Campos non ha potuto evitare di compiere uncerto gesto: ti ha infatti messo in contatto con I'altro uo-mo, I-rucas Coronado, che per te d importante c<lme lui,o forse ancora di pii."

Raccontando la storia di quei due individui, mi resiconto di aver trascorso pii tempo con Lueas Coronadoehe con Jorge Campos: perd i nostri discorsi, infram-mezzati da lunghissimi silenzi, non erano stati altret-tanto intensi. Irucas Coronado non era loquace e, non socome facesse, ma quando stava zitto riusciva a far tace-re anche me.

"Lucas Coronado d I'altra parte della tua mappa" ri-prese don Juan. "Non ti sembra strano che sia uno scul-tore, proprio come te, un artista di grande sensibilitd al-la ricerca di un mecenate, come lo eri tu un tempo? Luisperava di trovare un finarziatore e tu volevi invece unadonna amante dell'arte, disposta a sostenere la tuacreativitd."

Mi trovai dilaniato tra I'assoluta certezza di non avermai parlato a don Juan di questo lato della mia esisten-

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CARLOS CASTANEDA

za ela consapevolezza ehe in realtd era tutto vero. Nonriuscivo a immaginare come avesse fatto a saperlo e dinuovo provai I'impulso di andarmene. Ma, ancora unavolta, I'impulso fu soffocato da unavoce che proveniva daun luogo remoto e interiore. Senza venire in alcun modostimolato, scoppiai in una sonora risata. A un livelloprofondo, non me ne fregava un bel nulla di scoprire co-me avesse fatto don Juan a procurarsi quelle informazio-ni: il fatto che ne fosse in possesso e le avesse esibite in unmodo cosi raffrnato ma cospiratore, era una mossa chenon potevo fare a meno di ammirare. Non aveva quindialcuna importanza che la parte pir) superficiale del mioessere si fosse infuriata e volesse andarsene.

"Molto bene" commentd don Juan, assestandomiuna pesante pacca sulla spalla. "Molto bene."

Rimase per un attimo pensieroso, come se stesse ve-dendo qualcosa di invisibile.

"Jorge Campos e Lucas Coronado sono le due estre-mitb di un asse> riprese. "Uasse sei tu: da una parte seiun volgare mercenario privo di scrupoli e di vergogna,capace di badare solo a te stesso, odioso e indistruttibi-le. Dall'altra sei invece un artista ipersensibile e tor-mentato, debole e vulnerabile. Questa awebbe dovutoessere la mappa della tua esistenza, se non fosse appar-sa un-'altra possibilitb, quella che si d aperta dopo chehai varcato la soglia dell'infinito. Mi hai cereato e mi haitrovato. Cosi hai varcato Ia soglia. Ijintento dell'infini-fo mi ha detto di cercare qualcuno come te. Ti ho trova-to superando a mia volta la soglia.o

A quel punto la nostra conversazione frd e don Juansi chiuse in uno dei suoi soliti periodi di silenzio totale. F\rsolo alla fine della giornata, quando tornammo a casa suae ei aecomodammo sotto la ramada per riprenderci dopola lunga camminata, che si decise finalmente a parlare.

"Nel racconto che mi hai fatto di tutto cid che d ac-caduto fra te, Jorge Campos e Irucas Coronado ho tro-vato un elemento di grande disturbo e spero che anche

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L' I N T E NTO DE LI, ' INI ' INITO

tu I'abbia notato. Si tratta di un presagio che indica laline di un periodo, nel senso che quello che c'era non pubrimanere. Gli elementi che ti hanno portato fino a mes<.rno moito vaghi, incapaci tLi stare da soli. E questo cheho ricavato dal tuo racconto.o

Mi ricordai che un giorno don Juan mi aveva rivela-to che Lucas Coronado era un malato terminale e il suomale lo stava lentamente consumando.

"Thamite mio figlio Ignacio gli ho fatto sapere cosadeve fare per curarsi, ma lui pensa che siano tutte scioc-chezze e non r,'uole nemmeno sentirne parlare. Non dcolpa sua: I'intero genere umano non r,rrole sentire nul-la. La gente presta ascolto solo a quello che .nrole sen-tirsi dire."

Mi ricordo che in quell'oceasione ero riuscito a farmidire che cosa dovevo riferire a Irucas Coronado per aiu-tarlo ad alleviare le sofferenze fisiche e I'angoscia che loattanagliavano. Don Juan mi spiegd ogni cosa ma ag-giunse che se quell'uomo avessevoluto, awebbe potuto fa-cilmente curarsi da solo. Quando gli riferii il messaggio didon Juan, I-rucas Coronado mi guardd come se fossi im-pazzlto; si lancid poi nella descrizione brillante (e, se fos-si stato uno Yaqui, carica di insulti) di un poveretto sec-cato a morte dall'insistenza gratuita di qualcuno... Pen-sai che solo un indiano Yaqui poteva essere cosi sottile.

"Queste cose non mi aiutano affatto" dichiard alla fr-ne in tono di sfida, furioso per la mia mancanza di sen-sibiliti. "In realtd non importa, tutti noi dobbiamo mo-rire. Non credere perb che io abbia perso ogni speranza.Sto per farmi dare del denaro dalla banca governativa,mi concederanno un anticipo sul raceolto cos) potrbpermettermi di acquistare qualcosa che mi guarird su-bito: si chiama Vi-ta-mi-nol.'

"Che eos'O?""Lo pubblicizzano alla radioo mi spiegd con I'inno-

ceLza di un bambino. "Cura qualunque cosa e viene rac-comandato a chi non mangia tutti i giorni carne, pesce

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CARLOS CASTANEDA

o cacciagione, d adatto a tutti quelli che, eome me, so-prawivono a stento."

Spinto dal desiderio di aiutarlo, commisi l'errore pir)imperdonabile che potessi fare in una eomunitd di crea-ture ipersensibili come gli Yaqui: gli offrii il denaro peracquistare ilVitaminol. Il suo sguardo gelido era la pro-va lampante di quanto lo avessi insultato. La mia stu-piditd fu imperdonabile. In tono sommesso mi risposeche era in grado di comperarselo da solo.

Quando tornai da don Juan, avevo una granvoglia dipiangere. La mia impetuositd mi aveva,,tradito.

"Non sprecare la tua energia preoccupandoti per co-se del genere> disse freddamente il vecchio sciamano."I:ucas Coronado d bloccato in un circolo vizioso, comete e come tutti. Ha scoperto tlVitaminol, che erede ca-pace di eurare ogni cosa e risolvere quindi i suoi proble-mi. Per ora non se lo pud permettere, ma spera prima opoi di riuscirci."

Don Juan mi rivolse uno sguardo penetrante. "Ti hogid detto che i gesti di I-rucas Coronado sono la mappadella tua vita: credimi, lo sono dawero. Lui ti ha indi-cato il Vitaminol, e lo ha fatto con una potenza e un do-lore tali da colpirti e farti piangere."

Si interruppe, coneedendosi una pausa lunga ed effi-cace. "E non venire a raccontarmi che non capisci cosaintendo, perch6 in un modo o nell'altro ognuno di noi hala sua versione personale delVitaminol"

Ul,Chi era in realti, don Juan Matus?

La parte del racconto sul nostro incontro che don Juannon voleva sentire si riferiva alle emozioni e ai sentimentiche avevo provato entrando in casa sua in quel giorno fa-tidico. Cib che avevo sentito era un enorme contrasto trale mie aspettative e la realtb della situazione, oltre allareazione provocata dall'accavallarsi di quei concetti chemi sembravano i pii strani che avessi mai sentito.

Quando cercai di parlargliene, lui taglid corto: "Que-sta b una confessione e non pud essere inserita in unelenco di eventi."

"Ti sbagli di grosso don Juan" ribattei, ma mi inter-ruppi di colpo perch6 il modo in cui mi guardd mi fececapire che in effetti aveva ragione. Qualunque cosaavessi detto sarebbe sembrata una sorta di lusinga, unmodo pir) o meno evidente di accattivarmi le sue simpa-tie. Cid che era awenuto durante il nostro primo incon-tro aveva per me un'importanza trascendentale ed erastato un evento di estremo rilievo.

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CARLOS CASTANEDA

Quando ci eravamo conosciuti al deposito degli auto-bus di Nogalles, in Alizona, mi era successo qualcosa distrano di cui mi ero reso conto in modo attutito a causadella mia preoccupazione di presentarmi bene.

Avevo voluto far colpo su don Juan e, per riuscirci,mi ero impegnato a "vendermi" nel miglior modo possi-bile. F\r solo qualche mese dopo che comincid ad affio-rare uno strano residuo.

Un bel giorno, senza che io avessi fatto nulla per sti-molare tale ricordo, all'impror,r'iso mi tornd in mentecon incredibile chiarezza qualcosa che mi era sfuggitodurante il nostro incontro. Quanclo clon Juan mi avevainterrotto, impedendomi di dirgli il mio nome, mi avevafissato negli occhi, stordendomi. Awei potuto dirgliun'infinitd di altre cose sul mio conto, dissertando perore sulle mie conoscenze e sul mio valore, se la sua oc-chiata non mi avesse completamente zittito.

Alla luce di questa presa di coscienza, riconsiderai tut-to cib che mi era accaduto in quell'occasione, giungendoalla conclusione di aver sperimentato I'intermzione dichissd quale misterioso flusso, un flusso che mi faceva an-dare avanti e che non era mai stato bloccato in preceden-za, perlomeno non corne aveva fatto don Juan. Quandocercavo di descrivere ai miei amici le sensazioni che ave-vo provato a livello fisico, uno strano sudore mi apparivasul corpo intero. Era identico a quello che mi aveva rico-perto nell'attimo in cui don Juan mi aveva rivolto quellosguardo, rendendomi incapace non solo di parlare, maanche di forrnulare il bench6 minimo pensiero.

In seguito meditai a lungo sulla sensazione fisica pro-vocata da quell'interruzione, senza trovare una spiega-zionerazionale. Per un certo periodo pensai che don Juandovesse avermi ipnotwzato, ma mi ricordai di non aver ri-eemto alcun comando ipnotico e che lui non aveva fattoqualche gesto strano per catturare la mia attenzione. Ineffetti si era Iimitato a guardarmi di sottecchi, ma il suosguardo era stato tale da darmi I'impressione che mi stes-

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cHI ERA IN nnar,rA DoN JUAN TIATUST

sc fissando da un pezzo, con I'effetto di ossessionarmi escombussolarmi profondamente a livello fi sico.

Quando finalmente ritrovai don Juan, per prima co-sa notai che non era affatto come me I'ero immaginatoper tutto il tempo in cui avevo cercato di rintracciarlo.Mi ero infatti costruito un'immagine dell'uomo che ave-vo incontrato al deposito degli autobus, perfezionando-la oggri giorno con dettagli che viavia mi sembrava di ri-cordare. Nella mia mente don Juan era un vecchio an-cora molto forte e scattante, ma fragile, al tempo stes-so. Ero convinto che avesse capelli bianchi e corti e lacarnagione scurissima. Uuomo che avevo davanti eramassiccio e muscoloso e si muoveva con una certa agi-litd, ma non velocemente; il suo passo era deciso e altempo stesso leggero. Emanava vitaliti e determinazio-ne. La figura che avevo messo insieme non era per mrl-la in sintonia con quella reale: tanto per comineiare,aveva i capelli pii lunghi e meno bianchi di quanto aves-si immaginato e la earnagione non era cosi scura. Aweigiurato ehe avesse i lineamenti da rapace per via del-I'etd e inveee aveva la faccia piena, quasi tonda. A p"i-ma vista la caratteristica pir) notevole dell'uomo che mistava guardando, erano gli occhi scuri che brillavano diuna luee particolare e inafferrabile.

Una cosa che avevo completamente rimosso era ilsuo aspetto da atleta, con spalle larghe e stomaco piat-to: sembrava saldamente piantato sul terreno. Le sueginocchia non erano affatto deboli e le braccia non pre-sentavano il minino tremore. Fino a quel momento miero immaginato che gli tremassero leggermente la testae le braccia, come se fosse stato incerto e nervoso ed eroconvinto che fosse alto circa un metro e settanta, settecentimetri in meno di quanto fosse in realtd.

Don Juan non parve stupito di vedermi. Avrei volutodirgli quanto era stato difficile rintraeciarlo e sarei statofelice se si fosse complimentato con me per i miei sforzititanici, ma lui si limitd a ridere, prendendomi in giro.

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(I tuoi sforzi non sono impor-tanti, cid che conta d chehai trovato la mia casa. Siediti pure" rni invitd, indiean-domi una delle casse poste sotto la sua ramada. I-.tapaccache mi diede sulla schiena non aveva nulla di amiehevole.

Era come se mi avesse dato una sberla, anche se inrealtd non c'era stato alcun contatto fisico. Il suo gestocred una sensazione strana e incerta che apparve e scom-parye prima che potessi affemare cosa fosse. Cid che milascid era invece uno strano senso di pace. Mi sentivo in-credibilmente a mio agio, la mente chiara come un cri-stallo; non avevo aspettative o desideri e all'improwiso ilsolito nervosismo e Ie mani sudate che avevano caratte-nzzato da sempre la, mia esistenza, erano spariti.

"Adesso capirai tutto cid che sto per dirti,' esordi, fis-sandomi negli occhi come aveva fatto al deposito degliautobus.

In condizioni normali awei trovato la sua afferma-zione a dir poco pretestuosa e magari retorica, ma dopoaver sentito Ie sue parole, non potei fare a meno di ga-rantirgli pii volte e con la massima sinceritd che aweicapito ogni singola cosa che mi avesse detto. Mi fissd dinuovo negli occhi con feroce intensitb.

"Io sono Juan Matus, esordi, sedendosi su una cas-sa di legno proprio davanti s ms. "Questo d il mio nome,e lo proclamo a voce alta perch6, grazie a questo nome,sto creando un ponte che tu potrai attraversare per rag-giungermi."

Dopo avermi scrutato a lungo in silenzio, riprese aparlare.

..Sono uno seiamano. Appartengo a una dinastia disciamani che dura da ventisette generazioni. E sono ilnagual della mia generazione."

Mi spiego che I'individuo predominante all'interno diun gruppo di sciamani veniva chiamato nogunl, un termi-ne generico che, nell'ambito di ogni singola generazione,veniva dato a ehi aveva una specffica configurazione ener-getica, che lo distingueva dagli altri. Non era una qualifr-

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CHI ERA IN REAI,TA DON JUAN MATUS?

ca in qualche modo legata a concetti di superioritll o infe-rioritd: era legata aIIa capacitd, di essere responsabili.

"Solo il nagual possiede la capacitd energetica di es-sere responsabile del destino del suo gl'uppo di veggen-ti, che d a conoscenza di tale condizione e I'accetta. Ilnagual pud essere un uomo o una donna. Nel tempo de-gli sciamani che fondarono la mia stirpe, i nagual eranodonne. Il loro pragmatismo naturale, dovuto alia loroessenza femminile, condusse la mia stirpe nel baratrodella pratica da cui a malapena riusci a riemergere. Imaschi presero poi il soprawento e spinsero la mia stir-pe nell'abisso dell'imbecillitb da cui sta riaffiorando so-lo adesso con grande fatica.

"Sin dai tempi del nagual Lujan, che visse circa due-cento anni fa, si d verificato uno sforzo congiunto, unlo-pera comune: il nagual uomo porta la sobrietd, il nagualdonna porta I'innovazione.o

A questo punto awei voluto chiedergli se con lui agi-va una donna nagual, ma ero cosi concentrato ehe nonriuscii nemmeno a formulare la domanda. X\r egli stes-so a porsela al mio posto.

"Vuoi sapere se c'd una donna nagual nella mia vita?No, non c'd. Sono uno sciamano solitario, anche se ho ilmio grrrppo di veggenti che in questo momento non so-no perb disponibili."

Con una forza incontenibile nella mia mente appar-ve un pensiero preciso e all'improrviso ricordai che aYuma mi avevano raccontato che don Juan era solitoandarsene in giro con un branco di messicani dediti al-la stregoneria.

..Essere uno sciamano non significa essere un abilestregone, e nemmeno lavorare per incantare la gente oessere posseduti dai demoni: vuol dire invece raggiun-gere un livello di consapevolezza che rende possibili co-se ritenute invece inconcepibiii. Ii termine stregonerianon basta a esprimere quello che fanno gli sciamani co-si come la parola sciamanesinao spiega ben poco. Le

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azioni degli sciamani awengono esclusivamente nel re-gno dell'astratto, dell'impersonale; essi lottano per rag-giungere un obiettivo che non ha nulla a che spartirecon Ie vicende degli uomini normali. IJaspirazione che Iianima b quella di raggiungere I'infinito e di esserne cotl-sapevoli" riprese don Juatr.

Aggiunse poi che gli sciamani avevano il compito diaffrontare I'infinito, nel quale si awenturavano ognigiorno cosi eome i pescatori si awenturavano in mare.Era un lavoro cosi opprimente e difficile che gli sciama-ni dovevano dichiarare il loro nome prima di affrontar-lo. Mi ricordd che a Nogales aveva pronunciato il suonome, prima che tra noi potesse alrrenire qualunque in-terazione. In questo modo aveva manifestato la sua in-dividualitd, davanti all'infinito.

Riuscii a capire con incretlibile chiarezza tutto cibche mi stava spiegando e non dovetti mai chiedergli ul-teriori delucidazioni. Il fatto che la mia mente fosse di-ventata eosi acuta awebbe dovuto sorprendermi e inve-ce mi pan/e del tutto normale. Mi resi eonto di esseresempre stato lucidissimo e di aver recitato la par-te del-lo sciocco a beneficio degli altri'

..Senza che tu lo sapessi, ti ho iniziato a una rieercatradizionale" mi informd. "Sei I'uomo che stavo cercan-do; la mia ricerca d frnita quando ti ho trovato e la tuad terminata quando mi hai ritrovato adesso."

Don Juan mi spiegd ehe, in qualitd di nagual della suagenerazione, era alla ricerca di un individuo dotato di unaprecisa configurazione energetica, adatta ad assicurare lacontinuitb della sua stirpe. Mi disse che in un precisoistante della loro esisterza, tutti i nagual delle ventisettegenerazioni precedenti avevano affrontato l'esperienzapit terrificante della loro vita: la ricerca di un successore.

Continuando a fissarmi negli ocehi, dichiard che quel-lo che trasformava gli uomini comuni in sciamani era lacapacitd di percepire I'energia direttamente cosi comefluisce nell'universo e quand.o uno sciamano percepisce

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OIII ERA IN REAI,TA D()N JTJAN MATIIS?

un essere umano in questo modo, uede unapalla lumino-sa o una flgura a forma di uovo. Secondo don Juan, glirr<rmini non solo hanno la capacitd di uedere I'energia di-rettamente cosi come fluisce nell'universo ma la aedonoeffettivamente anche se non ne sono consapevoli.

F\r allora che spiegd la differenza principale tra glisciamani e gli esseri umani, quella ciod tra un normalestato di consapevolezzae la particolare condizione in cuisi d deliberatamente consapevoli di qualcosa. Secondodon Juan, tutti gli esseri umani possiedono la consape-volezza ehe consente loro diz,edere direttamente l'ener-gia, ma solo gli sciamani sono deliberatamente consa-pevoli dtuederla.In seguito defini Ia consapevolezzaco-me energia e I'energia come un flusso costante, una vi-brazione luminosa che si muove di propria iniziativasenza mai fermarsi. Don Juan affermd che quando unosciamano uede un essere umano, questi gli appare comeun insieme di campi energetici tenuti insieme dalla for-za pit misteriosa dell'universo: una forza eoesiva, ag-gregante e vibrante che unisce i campi energetici inun'unitd coesa. Spiegd anche che il nagual era un tipoparticolare di sciarnano, di quelli che nascono una voltasola per generazione e che non appare agli altri sciama-ni sotto forma di una singola sfera luminosa, ma eomefusione di due sfere di luce che si sowappongono.

"Questa duplicit), permette al nagual di compiere ma-nowe che risultano difficili a un normale sciamano. Peresempio, il nagual conosce laforza che ci lega come unitdcoese: se perun istante dovesse trovarsi nel flusso di que-sta forza o focalizzare tutta la sua attenzione, potrebbestordire il suo interlocutore. Quel giorno al deposito degliautobus ti ho fatto questo perch6 volevo interromperequel fuoco di frla r1tio,, io, io, io, zo. Volevo che mi trovas-si e lasciassi perclere tutte le altre strorzate."

"Secondo gli sciamani della mia stirpe" continud donJuan "la presenza di un essere doppio (il nagual) d suf-ficiente a spiegare le cose. Pud sembrare strano, ma ta-

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CAR,LOS CASTANEDA

le presenza spiega le cose in maniera velata. Mi d suc-cesso quando ho incontrato il nagual Julian, mio mae-stro. La sua presenzami ha confuso per anni: ogni vol-ta che mi trovavo vicino a lui, riuscivo a pensare conestrema chiarezza, ma non appena si allontanava, tor-navo a essere I'idiota di sempre.

"Ho avuto il privilegio di incontrare realmente e averea che fare con due nagual. Su richiesta del nagual Elias,maestro del nagual Julian, andai a vivere con luiper seianni. F\r lui ad addestrarmi, se cosi si pud dire. E statoun privilegio molto raro, perch6 ho aluto la possibilitd divedere da vicino cos'd un nagual. Il nagual Elias e il na-gual Julian erano due uomini dal temperamento profon-damente diverso. Il nagual Elias era pii tranquillo, per-so nell'oscuritd del suo silerzio. tr nagual Julian era in-vece pomposo e logorroico, sembravavivere per abbaglia-re le donne; nella sua vita giravano pit donne di quantesi potesse immaginare. Al tempo stesso, quei due eranoincreclibilmente simili: dentro di loro non c'era nulla.Erano luoti. tr nagual Elias non era nient'altro che unaraccolta di storie sbalorditive e terrifrcanti che parlavanodi regioni sconosciute; il nagual Julian era invece unaraccolta di storie esilaranti, che awebbero fatto sbellica-re dalle risate chiunque. Ogni volta che eercavo di indivi-duare in loro l'uomo, iI vero uomo, come awei potuto ri-conoseerlo in mio padre o in tutti quelli che conoscevo,non trovavo nulla. Al posto di una persona reale c'era unmucchio di storie di gente sconosciuta. Ognuno dei duesciamani aveva una precisa predisposizione, ma il risul-tato flnale era lo stesso: iI r,uoto, uno spazio deserto chenon rifletteva il mondo, ma I'infinito."

Don Juan continud poi a spiegarmi che dal momen-to in cui si varca una particolare soglia nell'infinito, vo-lenti o nolenti (cosi come era accaduto a me), tutto cidche accade in seguito non appartiene pir) esclusivamen-te al proprio dominio, ma entra inveee a far parte del re-gno dell'infrnito.

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oHI ERA tn nter,rA DoN JUAN TIATUS?

"Quando ci siamo incontrati in Arizona, ognuno dinoi ha varcato una soglia speciale, che non b stata deci-sa da noi ma dall'infinito" aggtunse. "Uinfinito dtuttocid che ci circonda." Cosi dicendo fece un ampio gestocon Ie braccia. "GIi sciamani della mia stirpe lo chiama-no infinito, l,o spirito, I' oscuro mare d,ella consapeaol,ezzct,e dicono che si tratta di qualcosa che esiste ld fuori e re-gola il corso della nostra esistenza."

Riuscivo dawero a capire tutto cid che mi stava di-cendo e, aI tempo stesso, non avevo idea di che diavolostesse parlando. Gli chiesi se varcare quella soglia erastato un evento accidentale, nato in seguito a circostanzeimprevedibili dominate dal caso. Rispose che i miei e isuoi passi erano guidati dall'infinito e che le circostanzeche sembravano essere inbalia del caso in realtb erano re-golate dallato attiuo dell'infi,nito che chiamd intento.

"Noi due siamo stati messi insieme dall'intento ilnl-l'infinito, prosegui. ,.t impossibile determinare cosa siaquesto intento dc,ll'infinito, eppure c'b, ed d concreto epalpabile quanto noi. GIi sciamani dicono che d un fre-more nell'ana. Essi hanno il vantaggio di sapere che iltremore nell'a,ria esiste e vi si abbandonano senza agitar-si oltre. Gli sciamani non si fermano a riflettere, a stu-pirsi, a speculare: sanno di avere la possibilitd, di fonder-si con l'intento dell'infinito e semplicemente lo fanno.',

Niente awebbe potuto sembrarmi pit chiaro di quel-le dichiarazioni. Per quanto mi riguardava, Ie parole didon Juan erano cosi evidenti che non mi sarei mai so-gnato di chiedermi per quale motivo frasi cosi assurdemi parevano del tutto razionali. Sapevo che quello chedon Juan mi stava dicendo era vero ed ero pronto a con-fermare ogni singola affermazione: avevo infatti la sen-sazione di aver vissuto in prima persona tutto cib di cuimi aveva finora parlato.

La nostra conversazione terminb ecl ebbi la sensazio-ne che dentro di me si stesse sgonfiando qualcosa. F\r inquel preciso istante che pensai di essere impazzito. Ero

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stato accecato da un assurdo delirio e avevo perso il sen-so dell'oggettivite. E proprio per quel motivo me ne an-dai di corsa, sentendomi profondamente minacciato daun nemico sconoseiuto. Don Juan mi accompagnd allamaechina, del tutto consapevole di quanto stava aeca_dendo dentro di me.

oNon preoccuparti" mi tranqu rllizzit, appo ggiandomiuna mano sulla spalla. "Non stai diventando matto, haipercepito solo un leggero colpetto diinfinito."

Con il passare del tempo fui in grado di confermare cidche don Juan aveva detto a proposito dei suoi due mae-stri. Don Juan Matus era esattamente eos) come avevadescritto i due nagual. Ritengo di poter affermare che erauna straordinaria mescolanza di entrambi: silenzioso eintrospettivo da un lato, espansivo e divertente dall'altro.La descrizione piir precisa del nagual che mi fece il gior-no in cui ci ritrovammo, era connessa al loro r,rroto inte_riore: quel r,uoto non riflette il mondo, mal,infinito.

Niente awebbe mai potuto definire meglio don Juan.Il suo vuoto rifletter,a l'infinito. Non era uno spacco-

ne, e non voleva nemmeno affermare a tutti i costi il suoego, cosi come non aveva il bisogno di provare penti_mento o rimorso. II suo era il r,rroto del guerriero-uiag-gi,atore, maturato al punto tale da non dare pii nullaper scontato, un gu,erriero-uiaggiatore che non sottova_luta o soprawaluta nulla. Un combattente tranquillo edisciplinato la cui gr.azia d cosi estrema che nessuno, perquanto cerchi di individuarla potrd mai scoprire la tra_ma che tiene insieme tutta questa complessitd.

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I profondi turbamentidella vita quotidiana

Andai a Sonora per incontrare don Juan. Dovevo di-scutere con lui I'evento pir) importante della mia gior-nata e avevo bisogno del suo consiglio. Giunto a casasua, dopo averlo a malapena salutato, mi sedetti e diedilibero sfogo alla mia agitazione.

"Calma, calma" cercd di tranquillizzarmi. "Non pudessere suecesso niente di cosi grave.>>

"Che cosa mi sta capitando?" gli chiesi e la mia erauna $omanda puramente retorica.

"E opera dell'infinitoo mi spiegd. "Il giorno in cui cisiamo incontrati d successo qualcosa alla tua percezio-ne. Il tuo nervosismo d dovuto alla presa di coscienza su-bliminale del fatto che hai esaurito il tempo a tua di-sposizione: lo sai, ma non a livello razionale. Senti I'as-senza del tempo e cid ti rende impaziente. Lo so perch6d successo anche a me e a tutti gli sciamani della miastirpe. A un certo momento, un intero periodo della vi-

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CARLOS CASTANEDA

ta giungeva al termine. Adesso tocca a te. Hai sempli-cemente esaurito il tuo tempo."

Mi chiese poi di fare un resoconto completo di tuttoquello che mi era accaduto, specificando che doveva esse-re un racconto dettagliato; non si sarebbe accontentato diuna descrizione appena abbozzata, voleva che gli spiegas-si in maniera completa quello che mi stava preoccupando.

"Fbeeiamo una bella chiacchierata seeondo le regole,eome dicono nel tuo mondo. Entriamo nel regno dei di-scorsi fortnoli" disse.

Aggiunse che gli sciamani dell'antico Messico avevanoelaborato il concetto dt di,scorso forrnak contrapposto aquello dt discorso informa,lc, e li usavano entrambi comestrumenti per insegnare e guidare i loro discepoli.Idiscor-siformali erano resoconti che gli sciamani facevano di tan-to in tanto ai discepoli stessi e riguardavano tutto cib cheavevano detto o insegnato; i discorsi informali erano inve-ce spiegazioni quotidiane che servirano a chiarire le cosefacendo riferimento esclusivamente al fenomeno in analisi.

"Gli sciamani non tengono niente per s6" continud."Srrrotare se stessi in questo modo d una pratica scia-manica che li porta ad abbandonare la fortezzadell'ego."

Cominciai cosi la mia storia, rivelando le circostanzedella mia vita che non mi avevano mai permesso di esse-re introspettivo. Da quanto potevo rieordare, la mia vitaquotidiana era sempre stata eolma fino all'orlo di proble-mi pratici che esigevano una soluzione immediata. Ricor-do che il mio zio preferito aveva antmesso di essere rima-sto sbalordito scoprendo che non avevo mai ricelrrto unregalo per Natale o per il mio compleanno. Poco tempoprima che facesse quell'affermazione, ero andato a vive-re con la famiglia di mio padre. L'o zio mi commiserd egiunse a scusarsi, anche se non c'entrava in alcun modo.

,,Ragazzo mio, d orribile" mi disse, tremando per I'e-mozione. "Voglio chc tu sappia che quando arriverir ilmomento di riparare questi torti, io sard al cento percento dalla tua parbe."

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I PROFONDI TIIRBAI\ [ENTI DEI] IJA VITA QTIOTIDIANA

Continuava a insistere che awei dovuto perdonare chinri aveva fatto del male. Da quanto diceva, ebbi l'impres-sione che awebbe voluto tanto che affrontassi mio padrec lo accusassi di indolenza e negligenza. Non riusciva acapire che a me non sembrava affatto di aver ricer,uto untorto. Cid che mi stava chiedendo era pit adatto a unapersona introspettiva, capace di reagire ai maltratta-menti psicologici che gli venivano fatti notare. Promisi amio zio che ci awei pensato sopra, ma non subito: in quelpreciso istante Ia mia ragazza, che mi aspettava in salot-to, mi stava disperatamente facendo eenno di sbrigarmi.Non ho mai ar,rrto I'opportunitd di ripensarci, ma lo ziodeve averne discusso con mio padre, perch6 mi arrivd undono proprio da parte sua. Era una pacchetto ben incar-tato, con tanto di nastro e un bigliettino che diceva: "Midispiace". Lo aprii in fretta e furia, animato dalla curio-sitd e da una certa ansia. Dentro trovai una scatola dieartone eon uno splendido giocattolo: una barchetta conla carica a molla atLaccata alla ciminiera. Erauno di queigiochi che usano i bambini quando fanno il bagno nellavasca. Mio padre si era dimenticato che avevo ormaiquindici anni e che ero un uomo a tutti gli effetti.

Dato che avevo raggiunto gli anni della maturitir, an-cora incapace di svolgere una seria introspezione, misembrd strano e insolito ritrovarmi un giorno in predaa una strana agitazione emozionale, che pareva aumen-tare sempre pii. Cercai di ignorarla, attribuendola ainaturali processi della mente o del corpo che si verifica-no periodicamente, senza alcuna ragione apparente oforse innescati dai processi biochimici del corpo stesso.Provai a non pensarci, mal'agltazione aumentava e lasua intensiD mi spinse a credere di aver raggiunto unmomento della vita in cui avevo bisogno di un cambia-mento drastico. C'era in me qualcosa che esigeva unanorganrzzazione dell'intera esistenza; questa spinta asistemare ogni cosa era una condizione che ero solitoprovare in passato, ma che era svanita ormai da tempo.

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CARLOS CASTANEDA

Ero deciso a studiare antropologia e questo impegnoera per me cosi forte che I'idea di abbandonare gli studinon fece mai parte del mio progetto di cambiamento to-tale. Non mi venne mai in mente di lasciare I'universit)per andare a fare qualcos'altro. La prima cosa che pen-sai era che awei dourto cambiare universitd e allonta-narmi da I-:os Angeles.

Prima di intraprendere un cambiamento cosi radica-le decisi di fare un tentativo e mi iscrissi ai corsi estiviin un'altra cittb. Per me il pir) importante era quello diantropologia, tenuto da una delle autoritd pii eminentie preparate sugli indiani della regione andina. Ero cer-to che se avessi concentrato i miei studi su un settoreeon cui riuscivo a connetteruni a livello emozionale, aweipotuto svolgere con maggiore serietd un eventuale lavo-ro di raccolta diretta dei dati sul campo: la mia cono-scenza del Sudamerica awebbe dovuto fornirmi ottimepossibilitd di inserirmi in qualunque societi indiana.

In quello stesso periodo trovai lavoro come assistentedi uno psichiatra, il fratello maggiore di un mio amicoche aveva in programma di wolgere un'analisi di alcuniestratti da registrazioni di sedute condotte conragazzieragazze e basate sulla tecnica del questionario. Le do-mande e le risposte riguardavano i problemi causati dal-le troppe ore dedicate alla scuola, le aspettative deluse, ilfatto di non essere compresi dalla propria famiglia, irapporti sentimentali fiustranti... I nastri risalivano apin di cinque anni prima e dovevano essere distrutti, maprima dell'eliminazione defrnitiva, venivano scelti dallopsichiatra e dai suoi assistenti in base a un metodo dinumerazione ed estrazione casuale, per individuare leparLi che awebbero potuto essere analwzate.

Il primo giorno di lezione nella nuova universiti, il do-cente di antropologia parld delle sue benemerenze acea-demiche e sbalordi gli studenti ostentando la sua cono-scenza e le sue pubblicazioni. Era un uomo alto e snello,dagli occhi blu e lo sguardo sfuggente. Doveva avere cir-

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I I ' IT0I 'ONDI TURBAIIENTI DEI, I ,A VITA QIIOTIDIANA

cir rluarantacinque anni. La cosa che mi colpi maggior-rrrcnte del suo aspetto fisico furono proprio gli occhi, chestrnbravano enormi dietro le lenti da miope e che davanoI'irnpressione di ruotare in senso opposto uno rispetto al-I'altro, quando muoveva la testa mentre parlava. Sapevoclre non era possibile, eppure era uriillusione a dir pocost:oncertante. Pur essendo un antropologo, era estrema-rnente elegante: ai miei tempi infatti I'intera categoriacla famosa per la notevole trascuratezza dell'abbiglia-rrronto. Gli archeologi, per esempio, venivano descritti dailoro studenti come creature perse uella datazione al car-bonio 14 e che non avevano mai fatto un bagno.

Per ragioni che sfuggivano alla mia comprensione, cidche lo distingueva non era il suo aspetto fisico o la suasmdizione, ma il suo modo di parlare. Pronunciava ognisingola parola con la massima chiarezza e ne sottolinea-va alcune trascinandole. Ostentava un accento marcata-mente straniero, ma sapevo che si trattava di una posa:certe frasi gli uscivano come se fosse stato un inglese, al-tre volte sembrava di sentire un predicatore revivalista.

Mi affascind fin dall'inizio, nonostante la sua smac-cata pompositd. La sua boria era cosi eccessiva che, do-po i primi cinque minuti, nessuno ci faceva pir) caso. I-resue Iezioni erano sempre esagerate dimostrazioni di co-noscenza, imbottite di altrettanto folli affermazioni sul-la sua persona. Il controllo che esercitava sul pubblicoera perd straordinario. Nessuno degli studenti con cuimi eapitd di parlare aveva mai provato qualcosa di di-verso dalla suprema ammirazione. Ero convinto che iltrasferimento in un'altra universitd e in una cittd di-versa si sarebbe rivelato facile e serlza problemi, del tut-to positivo. Il mio nuovo ambiente mi piaceva molto.

Per quanto riguardava il lavoro, mi appassionai moltoascoltando le cassette, al punto da sgattaiolare in ufficio esentirle per intero, senza limitarmi a qualche estratto. Inun primo momento ero rimasto incredibilmente affasci-nato dal fatto che, in ognuno di quei nastri, mi sembrava

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CARLOg CASTANEDA

di sentir parlare me stesso. Con il passare delle settimaneil fascino si tramutd invero e proprio orrore: ogni battutache veniva detta, eomprese le domande dello psichiatra,erano mie. I\rtte quelle persone stavano parlando dagliabissi del mio essere. Il disgusto che provai era qualcosadi completamente nuovo. Non mi sarei mai sognato di po-ter essere ripetuto all'infinito in ogni uomo o donna chesentivo parlare. Il senso della mia individualith, che mi erastato inculcato fin dalla nascita, frand irreparabilmentesotto I'impatto di questa scoperta colossale.

Cominciai allora un orribile processo di ricostmzionedella mia persona e feci inconseiamente un patetico ten-tativo di introspezione: cercai di sbrogliarmela parlandoincessantemente con me stesso. Provai e riprovai a rifa-re nella mente tutte le possibili spiegazioni razionali cheawebbero potuto sostenere iI mio senso di unicitd, espri-mendo poi ad alta voce il mio parere in proposito. Speri-mentai persino qualcosa di rivoluzionario: mi wegliavoripetutamente di notte proprio a causa dei discorsi chefacevo nel sonno, che erano lunghe disquisizioni sul miovalore e sulla mia capacitd, di distinguermi.

Poi un giorno orribile, subii un altro colpo mortale:sentendo bussare insistentemente alla porta, mi svegliaidi soprassalto nel cuore della notte. Non erano colpettitimidi e gentili, ma quello che i miei amici chiamavano"il tonfo della Gestapo". Sembrava che stessero sfon-dando la porta. Balzai fuori dal letto e sbirciai attra-verso lo spioncino. Ira persona che stava percuotendoI'uscio era il mio capo, lo psichiatra. Il fatto che io fossiamico di suo fratello sembrava aver creato tra noi unacerta facilitd di comunicazione. Mi aveva infatti conces-so la sua arrricizia senza problemi e adesso me lo ritro-vavO sulla soglia di casa. Accesi la luce e aprii.

.,Entrao lo invitai. "Che cosa d successo?"Erano le tre del mattino; la sua espressione livida e

gli occhi profondamente infossati rivelavano I' agitazio-ne che lo tormentava. Si sedette. I capelli lunghi e neri,

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I I 'ROFONDI TURBAMENTI DEIJI ]A VITA QII0TIDIANA

lirnte per lui di grande orgoglio, gli ricadevano sul viso.Non cercd nemmeno di ricacciarseli indietro, come erasolito fare. Mi era molto simpatico perch6 sembrava unavcrsione pir) anziana di un mio amico di Los Angeles,r:he aveva sopraeciglia folte e scure, penetranti occhinocciola, la mascella quadrata e labbra earnose. Il lab-lrro superiore sembrava doppio per via di una piega in-terna che si vedeva quando sorrideva in un certo modo.Parlava sempre della forma del suo naso, che descrive-va impertinente e vezzoso. Pensavo che fosse estrema-mente sicuro di s6 e avesse un'opinione molto elevatadella propria persona. Diceva sempre che nella sua pro-fessione queste qualitb erano Ie carte vincenti.

..Che cosa d successo!" "ipet6, ironico, con il doppio labbro

superiore che tremava in modo incontrollabile. "Chiunqued in grado di capire che stasera mi d successo qualeosa!"

Seduto sulla sedia, sembrava confuso e disorientato,in eerea di parole. Si alzd per andare ad accasciarsi suldivano.

..Non si tratta solo della responsabilitd nei confrontidei miei pazienti" riprese. "Ci sono anche la borsa distudio per la mia ricerca, mia moglie e i bambini e ades-so un altro fottuto motivo di pressione, e quello che pir)mi scoccia d che d tutta colpa mia che sono stato cosiidiota da fidarmi di una stupida puttana! Ti dird, Car-los, non c'd niente di pin orrendo, disgustoso e fottuta-mente nauseante dell'insensibilith delle donne. Io nonsono affatto un misogino, lo sai benissimo, ma in questomomento mi sembra che ogni singola femmina non siaaltro che una squallida frca, vile e ipocrita!"

Non sapevo cosa dire. Quello che mi stava raccon-tando non aveva bisogno di essere confermato o con-traddetto. E, in ogni caso, non awei mai avuto il corag-gio di oppormi. Non avevo g'li argomenti per farlo, erostanchissimo e volevo solo andare a dormire, ma lui con-tinuava a parlare come se la sua vita intera dipendesseda quella eonversazione.

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CARLOS CASTANEDA

"Conosci Theresa Manning, vero?', mi chiese in tonodeciso e accusatorio.

Per un attimo pensai che volesse incolparmi di avereuna storia con la sua splendida e giovane segretaria, ol-tre che studentessa. Senza darmi il tempo di ribattere,riprese a parlare.

"Quella Theresa Manning d un'idiota, una cretina,una donna senza cervello che nella vita wole solo fregarechiunque abbia un briciolo di fama e notorietd. Pensavoche fosse intelligente e sensibile, che avesse qualcosa dispeciale, una forma di comprensione, un'empatia, qualco-sa da condividere o da tenere magari tutta per me, comeun tesoro prezioso. Ma questa d solo I'immagine che lei hacreato a mio uso e consumo, mentre in realtd d squallidae degenerata, oltre che spaventosamente volgare."

Mentre lui continuava a parlare, una storia a dir po-eo strana, cominciava a prender forma. A quanto pare-va lo psichiatra aveva appena vissuto una brutta espe-rienza che coinvolgeva la sua segretaria.

"Fin dal primo giorno in cui ha iniziato a lavorare, hocapit<l che la attraevo sessualmente, ma non ha maiamto il coraggio di dichiararlo, era tutta una faccendadi sgrardi e allusioni. Che cazzo... questo pomeriggio misono stufato di girare intorno alla questione e sono ar-rivato al sodo, mi sono piazzato davanti alla sua scriva-nia e le ho detto: "So cosa utoi e tu sai cosa voglio io!""

Mi riferi poi in maniera precisa ed elaborata il modoin cui le aveva comunicato che I'awebbe aspettata nelsuo appartamento davanti all'universitd, dall'altra par-te della strada, alle ventitr6 e trenta in punto, sottoli-neando che non modificava mai Ie sue abitudini per nes-suno e che era solito leggere e sorseggiare vino fino al-I'una di notte, ora in cui si ritirava in camera da letto.Aveva preso un appartamento in cittd perch6la mogliee i figli vivevano in periferia.

"Ero sicuro che sarebbe stata una cosa fantastiea,qualcosa di memorabile" sospird con il tono accorato di

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I I 'ROFONDI TURBAMENTI DEI]LA VITA QUOTIDIANA

clri sta confidando qualcosa di molto intimo. "Le ho per-sirro dato Ia chiave del mio appartamento" confessb convoce rotta dall'emozione.

.D arrivata alle ventitr6 e trenta, ha aperto con lasrra chiave ed d scivolata nella stanza da letto comerrn'ombra. Questo mi eccitd terribilmente. Sapevo cherron mi awebbe causato alcun fastidio. Conoseeva la sualrosizione e, con ogni probabilitb, si sarebbe addormen-tata subito o magari awebbe guardato la televisione.(loncentrato sul lavoro che dovevo sbrigare, pensai cher)on me ne fregava un eazzo di quello che faeeva: ero si-curo di averla nel sacco.

"Ma nell'attimo stesso in cui sono entrato in camera,Theresa mi d saltata addosso come una belva e ha cer-cato di afferrarmi I'uccello" riprese, teso e angosciato,come se avesse subito un grave offesa morale.

"Non mi ha nemmeno lasciato il tempo di appoggia-re Ia bottiglia e i due bicchieri che avevo in mano. Perfortuna sono riuscito a mettere in terra i calici Bacca-rat senza romperli, la bottiglia invece d volata via men-tre lei mi afferrava i testicoli come se fossero stati duesassi. Awei voluto colpirla. Ho gridato per il terribiledolore, ma lei non si d scomposta, anz| si d messa a ri-dere come una cretina e poi per farsi perdonare mi hadetto che le era sembrato sexy e carino.',

Scuotendo la testa per la rabbia aggiunse che quelladonna era eosi affamata ed egoista che non si era fermataa pensare che un uomo ha bisogno di un attimo di pace, de-ve sentirsi a proprio agio e circondato da un ambiente ami-chevole. Invece di mostrare considerazione e comprensio-ne, cosi come richiedeva il suo rrrolo, Theresa Manning gliaveva tirato fuori dai caJzoni gli organi genitali con la de-strezzadi chi lo ha gib fatto centinaia di volte.

"E grazie alle sue stronzate, la mia sessualiti si d ri-tratta, sconvolta. Sono stato evirato a livello emozionale eil mio corpo ha subito detestato quellaputtana, anche se lalussuria mi ha impedito di gettarla inmezzo alla strada."

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CARLOS CASTANEDA

In quel momento aveva deciso che, invece di perderemiserabilrnente la faccia per colpa della sua improwisaimpotenza, le awebbe procurato un orgasmo con il ses-so orale, ponendola cosi alla sua merc6; ma il suo corpoaveva ormai rifiutato in maniera totale quella donna eI'impresa gli risultd impossibile.

"Non d pii nemmeno bella, ma bruttina. Quando si ve-ste, gli abiti che indossa le nascondono i fianchi troppogonfi e sembra quasi decente, ma nuda non d altro che unsacco di earne bianca e flaccida. L.ra linea perfetta chemette in mostra quando d vestita d una finta, non esistelo

Il veleno scorreva a fiumi dalla bocca dello psiehiatra,in un modo che non mi sarei mai immaginato. Fbemevadi rabbia, eercando disperatamente di appar.ire distac-eato e continuava a fumare una sigaretta dopo I'altra.

Il sesso orale si era rivelato ancora pir) disgustoso.Era ormai sul punto di vomitare, quando la puttana loprese a calci nello stomaco, buttandolo gin dal suo stes-so letto e chiamandolo finocchio impotente.

A questo punto della narrazione gli occhi dello psi-chiatra fiammeggiavano per I'odio, il volto era terreo ela bocca gli tremava. Era pallido.

"Devo andare in bappro" mi disse. "Ifo bisogno di la-varmi, pnzzo di merda e ho la bocca che sa di fica."

Stava realmente piangendo e awei dato qualunquecosa al mondo per non assistere a quella scena. Fbrseera per via della mia stanchezza, del fascino ipnoticodella sua voce o dell'assurditd dell'intera situazione, maebbi I'impressione di stare ascoltando inveee dello psi-chiatra uno dei tizi delle sue cassette, che gemeva e si la-mentava per problemi da nulla e, a furia di parlarne os-sessivamente, li trasformava in tragedie immani. Il tor-mento fini verso le nove di mattina, quando dovetti an-dare a lezione e il mio interlocutore dovette andare dalsuo strizzacervelli personale.

Andai ali'universitd animato da rin'ansia frenetica eda un terribile senso di sconforto e inutilitd. trb allora98

I PROFONDI TURBAMENTI DEI]LA VITA QUOTIDIANA

r'lre rieevetti il colpo dt grazia, che fece franare il miotcntativo di cambiare in maniera drastica. I-ia mia vo-Lrntd non fu in alcun modo la eausa di tale erollo, che sivcrifrcd come se fosse stato, in qualche maniera, non so-Io programmato, ma anche accelerato dall'intervento dilrna mano misteriosa.

Il professore di antropologia comincid la sua eonfe-renza sugli Ayrnard, un gruppo di indiani che vivevanosugli altopiani della Bolivia e del Peni. Pronunciando illoro nome, allungava il suono di ogni lettera come se lasua dizione fosse I'unica corretta al mondo. Disse che laproduzione della chicha, rrna bevanda alcolica a base digrano fermentato, di cui naturalmente storpid la pro-nuncia, era riservata a una casta di sacerdotesse che gliAlzrnari consideravano semi-dee. Come se stesse rive-lando chissb eosa, disse che quelle donne avevano ilcompito di trasformare il grano cotto in una poltigliapronta per la fermentazione masticandolo e sputandocisopra, aggiungendo cosi alla ricetta un erzima conte-nuto nella saliva umana. Sentendo nominare la saliva,dalla classe intera si levd un grido di orrore.

Il docente sembrava divertirsi alla follia e si lascidsfuggire una risatina scioeca da bambino maleducato.Continud spiegando che le donne sapevano masticarecon grande abilitd e poi, con lo sguardo fisso sulla pri-ma frla della classe, dov'erano sedute quasi tutte le ra-gazze, sferrd il colpo finale.

"IIo amto il p-r-r-rivilegio di sentirmi chiedere didormire con una di queste donne" dichiard con unastrana intonazione, vagamente straniera. "Uarte di ma-sticare tl, chichn,le ha portate a sviluppare i muscoli in-torno alla gola e alle guance in un modo che Ie permet-te di compiere meraviglie."

Guardd il suo pubblico sbalordito e fece una lungapausa, costellata da risatine. "Sono certo che mi capite"Iascid intendere prima di abbandonarsi a una risataisterica.

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CARLOS CASTANEDA

La sua allusione fece letteralmente impazzire gli stu-denti e la lezione venne interrotta da almeno cinque mi-nuti di risate e da una sfilza di domande a cui il profes-sore rifiutd di rispondere, in un mare di ulteriori stupi-di sghignazzamenti.

Mi sentivo cosi schiacciato tra i nastri, la storia del-lo psichiatra e le "masticatrici cl\ chahi-cha" del profes-sore che in un attimo lasciai I'universitd, il lavoro e mene tornai a Iros Angeles.

"Qualunque cosa n-ri sia accaduta eon lo psichiatra ei'antropologo, mi ha spinto in uno stato emozionale sco-nosciuto. Uunico modo in cui potrei azzarrlarmi a chia-marlo d introspezione. Da allora ho armto un dialogosenza sosta eon me stesso.o

"La tua malattia d molto banaleo mi rassieurd donJuan, scosso dalle risate.

A quanto pareva, la rnia conrlizione Io ciivertiva mol-to. Era un divertimento che io non riuscivo perb a con-dMdere perch6 non vedevo affatto il lato divertente del-la faccenda.

"Il tuo mondo sta per finire" dichiard. "Per te d la fi-ne di urt'era. Credi che il mondo che hai conosciuto finoa oggl ti lasci andare in pace, senza fare storie? No! Sieontorcerb sotto di te, colpendoti con la sua coda.,'

El f,u visione che non potevosopportare

Da sempre, Los Angeles d la mia casa. per me viver_ci non d stata una scelta, dal rnomento che mi sono sem-pre sentito eome se ci fossi nato e forse il legame che miunisee a questa cittd d ancora pii forte: il mio attacca-mento emotivo d totale. Uamore per Los Angeles d sem_pre stato talmente intenso e cosi pafte di me che non homai avuto bisogno di esprimerlo, riesaminarlo o in qual-che modo rinnovarlo.

A Ins Angeles avevo la mia famiglia di amici. Faceva_no parte del mio ambiente nel senso che Ii avevo accettatitotalmente, cosi come avevo accettato la cittd. Una voltauno di loro dichiard quasi per seherzo che tutti noi ci odia_vamo eordialmente. Indubbiamente loro potevano per_mettersi sentimenti del genere, perch6 avevano a disposi_zione altre eoperhre affettive, ciod genitori, mogli e mari_ti, ma io potevo contare solo sui miei amici a Los Aageles.

Non so perch6, ma ero il loro confidente preferito e

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CANI,OS CASTANEDA

tutti riversavano su di me i loro problemi e le loro vicissi-tudini. Ero talmente vicino ai miei amici che non avreimai riconosciuto i loro affanni e le loro angosce come ta-li: awei potuto discutere eon loro per ore degli stessi ar-gomenti che mi avevano inveee fatto inorridire sentendo-li nominare dallo psichiatra o ascoltando i suoi nastri.

Non mi ero perd reso conto di quanto ciascuno di lo-ro assomigliasse in maniera sorprendente allo psichia-tra e al docente di antropologia. Non mi ero mai accor-to di quanto fossero tesi; fumavano in modo compulsi-vo, proprio come lo psichiatra, ma non ci avevo fatto ca-so perch6 io stesso fumavo cosi ed ero altrettanto ner-voso. I]n'altra cosa che non avevo mai notato era unacerta affettazione nel modo di parlare: ostentavano tut-ti un pesante aceento della costa occidentale e se ne ren-devano perfettamente conto. Allo stesso modo avevoignorato le allusioni eirca una sensualitb che erano in-capaci di provare solo a livello intellettuale.

Il vero confronto con me stesso inizib quando dovettiaffrontare il dilemma del mio amico Pete, clrevenne a tro-varmi malconcio, con Ie labbra gonfie e I'occhio sinistrorosso e altrettanto gonfio, quasi blu nel punto in cui erastato colpito. Prima che gli potessi chiedere che cosa erasuccesso, mi raccontd che durante il fine settimana suamoglie Patricia aveva partecipato a un convegno di agen-ti di borsa, per lavoro e le era accaduto qualcosa di terri-bile. Visto il suo aspetto, pensai che Ia donna fosse stataferita o uecisa in un incidente.

"Sta bene?" gli domandai, sinceramente preoecupato."Certo che sta bene, quella puttana. E una troia e

una puttana e a quelle come lei non capita mai nullatranne che si fanno fottere e ci god,ono un mondo!"

Fhribondo, tremava come se avesse amto le convul-sioni con i capelli quasi ritti sulla testa. Di solito anda-va in giro ben pettinato e stirava sempre i ricci. Quelgiorno sembrava un diavolo della Thsmania.

oFino a oggl d stato tutto normale, poi questa matti-

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LA VISIONE CHE NON POTEVO SOPPORTARE

na, quando sono uscito dalla doecia, mi ha sbattuto I,a_sciugamano contro il sedere e cosi mi *orro u."o"to Jiquanto d stronza... Ho eapito subito che sta,."p";d"con qualcun altro!"Confuso dal suo ragionamento, gli chiesi com,erapossibile che il semplice gesto di *Luatn.. un asciuga_mano potesse rivelare una cosa del genere a ehiunqu"e."Un accidente!,, ripgftid in tono oi]..ro.o. ,.fo eonoscobene Patricia e il giovedi prima di paJecipare a quel con_u-9grr? non era capace di sbattere cosi un isciugamano!A

S.g il yero, da quanclo siamo sposati non d mairiuscita afarlo, d chiaro che gliel'ha insegnato qualcuno mentreerano nudi. Cosi I'ho presa per la gola e l,ho stroz zataft-no a farle sputare la v_erih. S), si iopa il ,oo.upot,,Pete mi raccontd di essere andati nell,ufficio di pa_tricia per discutere con_quel tizio, che era perd protettoda una schiera di guardie del corpo. igorilla Io avevanocacciato fuori, sbattendolo in mizzo ai parcheggio. Luiawebbe voluto rompergli le finestre dell-,ufficio"i rur*u_te, ma quelli lo avevano ar,visato che se si fosse azzar_dato l'awebbero fatto sbattere in prigione o, peggio a,n-cora, si sarebbe ritrovato .on orru pu[ottola in testa.

"Sono stati loro a picchiartit" gii ehiesi....Noo mi rispose in tono desolito. ..Dopo avel cam_minato un po' sono entrato in un autosalone di macchi_ne usate e ho sferrato un pugno al l.enditore ehe mi si dawicinato per primo. D rimasto sconvolto ma .ro., si Jarrabbiato, mi ha detto solo: ,,Si calmi, signore, si cal-mi! C'd- sempre spazio per la trattativall;. ffnlu qu"Jo Siiho mollato un altro cazzotto si d infuriato. Era un omo-ne.grande e grosso, mi ha colpito sulra bocca e sull'oc_chio, facendomi svenire. euando t o

"ip"u*o i sensi erosteso sul divano dell'ufficio. Ho sentito arrivare un,am_bulanza e ho subito capito che e"a p." rn., cosi sonoscappato via e sono venuto qui da te.".,{ To amico scoppid in un pianto imefrenabile e vo-mitd. Era conciato da sbatter via. tbleforrai a sua mo_

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CARLOS CASTANEDA

glie, che giunse in meno di dieci minuti e si inginocchidsubito aceanto a lui, giurando di non amare nessun al-tro, dichiarando che tutto quello che aveva combinatoerano solo stupidaggini e che il loro amore era una que-stione di vita o di morte. Gli altri non contavano nulla,non se li ricordava nemmeno. Piansero entrambi fino asfinirsi e naturalmente si perdonarono a vicenda. Patri-cia indossava un paio di occhiali da sole per nascondereI'ematoma che le ornava I'occhio destro colpito da Pete(che era mancino). Entrambi ignari della mia presenza,se ne andarono senza accorgersi di me. Uscirono ab-bracciati, lasciando la porta aperta.

La vita sembrava continuare come al solito e i mieiamici si comportavano come sempre. Partecipavamo aqualche festa, andavamo al cinema o alla ricerca di queiristoranti che offrivano "tutto-quel-che-riuscite-a-man-giare" al prezzo di un pasto normale, oppure ci limita-vamo a chiacchierare. Nonostante questa pseudo-nor-malitd, uno strano nuovo fattore sembrava essere en-trato nella mia vita. Io stesso stavo vivendo quell'insoli-ta coridizione: mi sembrava che la mia mentalit), fossedivenuta all'improwiso estremamente ristretta. Avevoinfatti cominciato a giudicare i miei amici cosi eomeavevo fatto con Io psichiatra e il professore di antropo-logia. Ma chi ero io per diventare giudice degli altri?

Ero sopraffatto da un enorrne senso di colpa. Giudi-cando i miei amici entravo in uno stato d'animo fino ad al-lora sconosciuto; la cosa peggiore perd era che, oltre a giu-dicarli, trovavo i loro problemi e i loro affanni incredibil-mente banali. Ero lo stesso uomo e quelli erano i miei so-liti amici, avevo sentito centinaia di volte le loro lamente-le e il resoconto delle loro vicende, senza mai sentire nulladi diverso da una profonda identificazione. Ed ero lacera-to dall'orrore che provavo davanti a una simile scoperta.

In quel periodo della mia esistenza il proverbio secon-do cui piove sempre sul bagnato risuonava spaventosa-mente vero. La completa disintegrazione del mio stile di

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LA VISIONE CHE NON POTEVO SOPPORTARE

vita si verificd quando il mio amico Rodrigo Cummingsmi chiese di accompagnarlo all'aeroporto di Burbank, dadove awebbe dovuto imbarcarsi allavolta di Newyork. Sitrattava di una mossa drammatica e disperata da partesua, che considerava una dannazione il fatto di esserebloccato a Los Angeles. Tha gli altri amici era motivo discherzo e ilaritd il fatto che avesse eercato pit volte diraggiungere NewYork in auto e che ognivolta la suavet-tura fosse finita in panne. Una volta si spinse fino a SaltLake City prima che la macchina si bloccasse, dato cheaveva bisogno di un motore nuovo. Fh costretto ad ab-bandonarla lungo la strada. In genere non riusciva ad an-dare oltre la periferia di Los Angeles.

..Rodrigo, che cosa accade alle tue vetture?o gli chie-si un giorno, spinto dalla curiositd.

"Non lo so" mi rispose, lasciando trapelare un velatosenso di colpa. Con una voce degna del professore d,i an-tropologia nel suo ruolo di predicatore revivalista, ag-giunse: .tr'brse succede per il fatto che, quando mi trovosulla strada, aeeelero perch6 mi sento libero. Di solitoapro i finestrini e sento ilvento sulla faccia. Mi sembra diessere anragazzino alla ricerca di qualcosa di nuovo,,.

Era evidente che le sue macchine, veri e propri ca-torei, non sopportavano l'accelerazione e quindi il mo-tore finiva per fondersi.

Rodrigo tornd da Salt Lake City a LosAngeles in au-tostop. Awebbe potuto raggiungere allo stesso modo an-che NewYork, ma non glivenne nemmeno in mente. Sem-brava afflitto dal mio stesso problema, un'inconsapevolepassione per Los Angeles che si ostinava a rifiutare.

Capitd che la sua auto fosse in ottime condizioni mec-caniche, in grado di compiere senza problemi il viaggio,ma quella volta fu Rodrigo a non essere nelle condizioniadatte per lasciare Los Angeles. Guidd fino a San Ber-nardino e andd a vedere il film I Dieci Comand,ament,i.Per motivi comprensibili solo a Rodrigo, quello spettacoloscatend in lui urt'incredibile nostalgia per Los Angeles.

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CARLOA CASTANEDA

Tbrnd indietro e, in lacrime, mi raccontd che la fottutacittd gli aveva costruito intorno una barriera che non lolasciava passare. Sua moglie era felice che fosse rimastoe la sua amante Melissa lo era ancora di pir), anche se ledispiaceva dovergli restituire i dizionari che le aveva dato'

Il suo ultimo disperato tentativo di raggiungere NewYork in aeroplano fu reso particolarmente drammaticodal fatto che dovette farsi prestare i soldi dagli amiciper poter acquistare il biglietto. Poich6 non aveva alcu-na intenzione di saldare il suo debito, era certo che nonsarebbe tornato.

Infrlai le sue valigie nel bagagliaio della niia macchi-na e mi diressi verso I'aeroporto di Burbank. Il mio ami-co osservd che il volo era fissato per le sette e dato cheerano le prime ore del pomeriggio, avevamo tutto il tem-po per andare al cinema. Inoltre voleva vedere per I'ul-tima volta Holl;nrood Boulevard, il centro delle nostrevite e delle nostre attivitd.

Andammo cosi avedere un frlm epico in Tbchnicolor eCinerama. Era orribile e lunghissimo e sembrd catturarecompletamente l'atteruione del mio compagno. Quandouscimmo dal cinema si stava facendo buio. Mi precipitaiverso Burbank, destreggiandomi nel traffrco dell'ora dipunta. Rodrigo mi chiese di evitare I'autostrada, a quel-I'ora sempre intasata, e di scegliere le vie secondarie. Ar-rivammo all'aeroporto proprio mentre I'aeroplano stavadecollando. Quella fu la goccia che fece traboccare il va-so. Mesto e sconfitto, Rodrigo si presentd alla cassa perfarsi rimborsare il biglietto. Ijimpiegato prese nota delsuo nome, gli diede una riceurta e gli spiegd che in un ar-co di tempo che andava dalle sei alle dodici settimane gliawebbero inviato i soldi dal Tbnnessee, dov'era situata lasede amministrativa della compagnia aerea.

Tbrnammo cosi nel condominio dove entrambi abita-vamo. Poieh6 questa volta non aveva salutato gli amici,temendo di fare urt'altra figuraccia, nessuno si era ac-corto che aveva cercato ancora di partire. Rimpiangeva

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I]A VISIONE CHE NON POTEVO SOPPORTARE

solo di aver venduto la macchina. Mi chiese di accom-pagnarlo a casa dei suoi genitori, perch6 suo padreawebbe dor,rrto dargli il denaro che aveva sborsato peril biglietto. Da quanto posso ricordare, suo padre l'ave-va sempre tirato fuori dai guai in cui era solito caceiar-si. Il motto di quell'uomo era: "Niente paura, RodrigoSenior d qui!". Dopo che Rodrigo gli ebbe chiesto unprestito per pagarne uno precedente, suo padre loguardd con I'espressione pir) triste che abbia mai visto:egli stesso stava infatti passando un periodo di grossedifficoltd finanziarie.

Mettendo un braccio intorno alle spalle dei figlio, glidisse: ,rftagayys mio, questa volta non posso aiutarti.Adesso devi avere paura, perch6 Rodrigo Senior non dpit qui!'.

Volevo disperatamente immedesimarmi nel mio ami-eo, vivere il suo dramma cosi come avevo sempre fatto,ma quella volta non ci riuscii. Ero infatti del tutto foca-lizzato sulla dichiarazione dell'uomo, che mi sembrd tal-mente defrnitiva da galvanizzarmi.

Cercai avidamente la compagnia di don Juan. Ab-bandonai in fretta e furia Los Angeles e andai a Sono-ra. Gli confrdai lo strano atteggiamento che avevo as-sunto nei confronti dei miei amici e, tra i singhiozzi, gliconfessai che avevo cominciato a giudicarli.

"Non agitarti per delle sciocchezze,, mi tranquillizzdin tono pacato. "Sai gi) che un intero periodo della tuavita sta finendo, ma un'era non d del tutto conclusa fin-ch6 non muore il re."

"E questo cosa significa?""T\r sei il re e sei proprio come i tuoi amici. E questa

la veritd, che ti fa tremare. Non puoi fare altro che ac-cettarc l'idea, ma naturalmente non ci riesci e alloranon ti resta che ripetere a te stesso: "Io non sono cosi,io non sono cosi". Ti assicuro ehe arriverd il giorno incui ti renderai conto di essere proprio cosi.,,

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# IJappuntamento inevitabile

C'era qualcosa che continuava a tormentarmi, nasco-sto in un angolo della mente: dovevo rispondere a una let-tera di capitale importanza e dovevo farlo a tutti i costi.Un misto di indolenza e di desiderio di compiacere miaveva fino ad allora impedito di farlo. Uamico antropolo-go che mi aveva fatto conoscere don Juan Matus mi ave-va scritto un paio di mesi prima, chiedendomi come an-davano i miei studi di antropologia e di andare a trovar-lo al piri presto. Scrissi tre lunghe lettere e tutte le volteche le rileggevo le trovavo cosi banali e ossequiose che fi-nivo per stracciarle. Non ero infatti capace di esprimerela profonditd della mia gratitudine e I'intensiti dei senti-menti che provavo nei suoi confronti. Giustificavo il mioritardo con il sineero proponimento di andare a trovarloe raccontargli di persona tutto quello che stavo facendocon don Juan, ma continuavo a rimandare il mio viaggioperch6, in realtd, non ero certo di avere capito quello chestavo facendo con il vecchio sciamano. Pensavo ehe un

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I, 'APPU NTANl E NTO IN EVITABII ,E

giorno awei mostrato al mio amico qualche risultato pra-tico. l-ino a quel momento intravedevo solo una vaga pos-sibilitd, che ai suoi occhi esigenti non sarebbe perd ap-parsa come un normale lavoro antropologico di raccoltadiretta dei dati sul campo.

Un giorno, tramite cerbi conoscenti, venni a sapereche era morto. Questo fatto mi fece precipitare in unadi quelle depressioni silenziose parLicolarmente perico-lose. Non potevo esprimere cid che provavo perch6 i mieisentimenti non erano ancora del tutto formulati a livel-lo mentale: erano un misto di rifiuto, awilimento e or-rore di me stesso per non avere risposto alla lettera enon essere andato a trovar.lo.

Poco tempo dopo mi recai da don Juan. Mi sedetti suuna delle casse sotto la ramada e cercai di trovare le pa-role per esprimere in maniera non banale lo sconfortoche provavo per la morte del mio amico. Per qualche mo-tivo incomprensibile, don Juan conosceva la causa dellamia agitazione, oltre che il motivo della mia visita.

..Si, so che il tuo amico antropologo, quello che ti haportato a conoscermi, d morto" esordi in tono asciutto."E so anche in quale preciso istante, perch6 l'ho uisto.,,

Le sue frasi secche mi fecero ribollire."Uho visto molto tempo fa, te ne ho persino parlato,

ma tu non mi hai prestato ascolto. Sono certo che nonte ne ricordi nemmeno.o

Ricordavo ogni singola parola che mi aveva detto, manell'attimo stesso in cui le pronunciava non avevano perme il bench6 minimo significato. Don Juan aveva dichia-rato che un evento profondamente legato al nostro incon-tro, ma non strettamente connesso, era il fatto che avevauisto tl mio amico antropologo cone un uomo morente.

"Ho visto la morte come una forza esterna che stavagid aprendo il tuo amico. Ognuno di noi ha una fessuraenergetica appena sotto I'ombelico: gli sciamani la chia-mano apertura ed d chiusa quando un uomo d nel fioredegli anni."

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I

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CARLOS CASTANEDA

Aveva aggiunto che, in condizioni normali, I'occhiodello sciamano percepisce una zona piil sbiadita nel ba-gliore biancastro della sfera luminosa, ma quando unootoo sta per morire I'apertura d pii evidente' E, a sen-tire lui, quella del mio amico era spalancata.

"Che significa tutto cid?" gli chiesi'.D ot signifrcato di morte. Lo spirito mi stava se-

gnalando che qualcosa stava giungendo altermine' Pen-sai che si trattasse della mia vita e I'accettai con tuttala graziapossibile. Solo molto tempo dopo mi resi contoche non era Ia mia esistenza che stava per finire, bensila mia intera stirPe."

Non avevo idea di cosa stesse dicendo. Come aweipotuto prendere sul serio quelle parole? Per quanto miriguardava, nel momento in cui le aveva pronunciate

""ato come tutte le altre cose della mia vita e ciod sem-

plici discorsi.oII tuo amico in persona ti ha detto che stava mo-

rendo,, riprese. "Hai capito quello che ti stava dicendocosi come hai capito quello che ti ho detto io, ma in en-trambi i casi hai scelto di fare frnta di nulla." Non ave-vo alcun commento da fare. Sopraffatto, avrei volutosprofondare nella cassa su cui ero seduto e scomparireper sempre, inghiottito dalla terra.

..Non d colpa tua se ignori cose di questo genere> con-tinud. "D h giooittezza.Haitalmente tante cose da fare eun sacco di gente che ti sta intorno... Non stai all'erta'Del resto, non hai mai imparato a stare all'erta'" Cercan-do di difendere I'ultimo bastione che riguardava la miapersona, ciod la conviruione di essere vigile, gli feci notareih.

-i ero trovato piivolte in situazioni estreme, che ave-

vano richiesto riflessi pronti e una notevole attenzione daparte mia. Non era esatto dire che ero sprowisto della ca-pacitd di stare all'erta: semplicemente, ero incapace di in-dividuare le mie prioritd e, di conseguenza, ogni singolacosa era per me troppo importante o insignificante'

..Stare all'erta non signifrca essere vigili" ribatt6 don

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IJ'APPUNTAMENTO INEVITABILE

1luan. "Per gli sciamanivuol dire essere consapevoli del-la struttura del mondo quotidiano che sembra estranearispetto all'interazione del momento. Durante il viaggioche hai intrapreso con il tuo amico prima di incontiir-mi, hai notato solo i dettagli che erano owi. Non ti seiaccorto che la morte stava assorbendo il tuo amico. an_che se qualcosa in te lo sapeva.>

Cercai di protestare, dicendo che non era affatto vero."Non nasconderti dietro alle banalitdo mi rimpro_

verd. "{l22ti. Se solo per il momento sei con ^..

ur*o_miti la responsabilitd di queilo che sai. Non perderti nel-la struttura estranea del mondo che ti circonda, lonta_na da cid che sta accadendo. Se tu non fossi stato cosiconeentrato su te stesso e sui tuoi problemi, awesti ca_pito che quello era il suo ultimo viaggio e ti saresti ac_corto che stava saldando il eonto, andando a rivedere lepersone che lo avevano aiutato e salutandole.o

"Una volta il tuo amico antropologo mi ha rivolto laparola" continud don Juan. ..Lo ricordavo cosi chiara_mente che non rimasi affatto stupito quando ti portd dame-nel deposito degli autobus. Non fui in grado di aiu-tarlo quando mi parld: non era I'uomo che Jtavo cercan-do, ma gli augurai ogni bene tlal mio r.uoto e dal mio si_lenzio di sciamano. Per questa ragione sapevo che nel suou-ltimo viaggio sarebbe andato a ringraziare tutti coloroche avevano avuto una certa importarza nella sua vita.,

Dovetti ammettere ehe aveva ragione, che c'eranostati molti dettagli di cui ero stato consapevole ma chein quel momento non mi avevano detto nulla, come peresempio I'estasi che il mio amico aveva provato osser_vando il paesaggio. Fbrmava I'a,uto solo per poter fissa_re, a volte per ore intere, le montagne che si stagliava_no in lontananza, il letto di un fiume o il deserto-. Giu_dicai e misi da parte tale comportamento come il senti_mentalismo idiota, di un uomo dimezz,etd". lasciandomisfuggire certe vaghe allusioni sul fatto che forse bevevatroppo. Mi diceva che, in certi casi, una bella bevuta as_

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CARLOS CASTANEDA

sicurava a un uomo un momento di pace e distacco ab-bastanza lungo per assaporare qualcosa di irripetibile.

"In effetti quel viaggio era riservato ai suoi occhi" mispiegb don Juan. "GIi sciamani compiono viaggi del ge-nere, nei quali conta solo cib che i loro occhi riescono adassorbire. Il tuo amico si stava alleggerendo,liberando-si di tutto cid che era superfluo."

Gli confessai di aver ignorato quello che mi aveva det-to sul conto del mio amieo morente, perch6 a un livelloche non riuscivo a identiflrcare, sapevo che era vero.

"Gli stregoni non dicono mai nulla per caso" mispiegd. "Io sto molto attento a quello che dico a te e aglialtri. La differenza tra noi due d che io non ho tempo eagisco di conseguenza, mentre tu ritieni di avere tutto iltempo del mondo e ti regoli in base a tale convinzione.Il risultato finale del nostro eomportamento individua-le d che io misuro tutto cid che dico e faccio, tu no."

Pur concedendogli di avere ragione, precisai che qua-lunque cosa potesse dirmi non alleviava in alcun modo ladisperazione e la tristezza che non mi davano tregua. tr'hallora che mi lasciai uscire di bocca, in maniera concita-ta e comrlsa, ogni sfumatura delle mie confuse emozio-ni. GIi dissi che non ero in cerca di consigli, volevo soloche lui eseguisse una stregoneria capace di pome fine al-la mia angoscia. Ero convinto di voler dawero da luiqualche calmante naturale, una sorta di Valium organicoe glielo dissi. Don Juan scosse il capo, incredulo.

"Sei incredibilelo esclamb. "I-n prossima volta mi chie-derai un rimedio sciamanico per eliminare tutto quello cheti db fastidio) senza il minimo sforzo da parte tua, a partela fatica di ingoiare quello che ti viene somministrato. Epit b orrendo il sapore, migliori sono i risultati. Questo bil tuo motto di uomo occidentale: vuoi risultati? Una po-zione, e sei guarito! GIi sciamani affrontano Ie cose in ma-niera diversa e, poich6 non hanno tempo da perdere, si de-dicano completamente a cid che hanno di fronte. La tuaagitazione d domta alla tua mancanza di equilibrio, cosa1t2

L'APPUNTAIIENTO INEVI?AB ILE

che.ti ha impedito di ringraziare in modo adeguato il tuoamico. Thtto questo capita a ognuno di noi: "oi u.pri*iu_mo mai cid che proviamo e, quando ci decidiamo i fu"fo,ormai d troppo tardi perch6 abbiamo finito il t"_po u "olstra disposizione. Non d stato solo il tuo amico a restaresenza tempo: anche tu I'hai esaurito. Avresti dor.uto rin_gra{arlo con grande calore inArizona. I_rui si d p".;;il ;_sturbo di portarti in grro e, anche se non f,f,ai capitq qouf

q9*o nel deposito degli autobus ti ha offerto tu .,ru'rni_qliore opportunitd. Ma nel momento stesso in cui ar,,restidor,rrto ringraziarlo, eri arrabbiato con lui, Io staoi giudicando o forse lui si era comportato male con t.. H?ip"irinviato il vostro incontro successivo: in reartd non hai fat-to altro che rimandare il momento in cui awesti dovutoringraziarlo. Aclesso ti ritrovi con un fantasma sulla schie-na e non potrai mai pagargli cid che gli devi".

capi'o l'immensitd di quelro chJ mi stava clicendo.Y" *y9 mai guardato le mie azionida quel porrto aivista. A dire il vero, non avevo mai ringraziato nessuno.Don Juan affondd ancora di pii il dit; neila piaga.

"Il tuo amico sapeva che stava per morire. Ti hascritto un'ultima lettera per scoprire come te la stavi ca_vando. Fbrse non se n,d reso.orrio, ma i suoi ultimi pen_sieri sono stati per te>.Il peso delle sue parole si riveld eceessivo e crollai. Do-vevo stendermi a tutti i costi. La testa mi giravavorticosa_

Tu"f. Fbrse era pervia del tramonto. Avevo eommesso losbaglio terribile di arriva.re cla don Juan nel tardo pome_tiggto. Il sole che tramontava aveva una tonalit) incredi_bilmente dorata e i riflessi sulle montagne spoglie a est del_la casa di don Juan erano d'oro e porpi.u. In cielo non c,e_ra nernmeno una nuvola. Sembrava che tutto fosse immo-bile. Era come se il mondo intero si stesse nasconclendo, mala sua presenza mi stava schiacciando. La quiete del deser_to di Sonora era come un pugnale che mi penet"ava rrellecarni fino alle ossa. Awei voluto andarmene, salire in autoe partire. Volevo stare in cittd e perdermi nei suoi rumori.

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CARLOS CASTANEDA

"Stai provando un assaggio di infinito" disse donJuan in tono grave e eonclusivo. .<I-lo so perch6 I'ho vi-sto nelle tue scarpe. Vuoi scappare, affondare in qual-cosa di umano, caldo, contraddittorio, stupido e mene-freghista. Vorresti dimenticare la morte del tuo amico,mal'infini,fo non te lo permette." Con voce piil morbidaconcluse: "Ti ha afferrato con Ia sua presa impietosa".

"Che cosa posso fare adesso?""Non puoi fare altro che mantenere in vita il ricordo del

tuo amico per il resto dei tuoi grorni e forse anche oltre.Gli sciamani esprimono cosi il ringraziamento ehe nonpossono pii manifestare a voce. Pud sembrarbi un meto-do sciocco, ma d la cosa migliore che essi possano fare."

Senza dubbio doveva essere la mia tnstezza a farmicredere che l'energico don Juan fosse triste come me. Ac-cantonai subito quell'itlea, ehe era a dir poco impossibile.

"Per gli sciamani latistezza non b una faceenda per-sonale" riprese don Juan, interrompendo di nuovo i mieipensieri. "Non si tratta di tristezza vera e propria, ma diun'onda di energia che giunge dalle profonditd dell'uni-verso e li colpisce quando sono ricettivi, quando sono co-me radio, capaci di captare le onde. Gli sciamani dei tem-pi antichi, quelli che hanno dettato Ie leggi dello sciama-nesimo, credevano che nel cosmo latislezza fosse similea urt'energia, a uno stato eome Ia luce ol'intento e che lasua forza eterna agisse soprattutto su di loro perch6 pri-vi di barriere protettive. Gli sciamani non possono na-scondersi dietro i loro amici o i loro studi. dietro I'amore,I'odio, la felicitd o la sofferenza. Non possono naseonder-si dietro a nulla. La condizione degli sciamani d che perloro la tristezza d astratta: non nasce dal desiderio o dal-la mancanza di qualcosa e nemmeno dalla presunzione.Non deriva da)I'ego, ma dall'infi'nito. La tristezza cheprovi per non aver ringraziato il tuo amico ti sta gid por-tando in quella direzione.

II mio maestro, il nagual Julian, era un attore eece-zionale. Lavord come professionista in teatro. Aveva

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L'APPUNTAMENTO INEVITABILE

una storia che raccontava sempre nelle sue rappresen-tazioni teatrali, con eui riusciva a suscitare in me unaterribile angoscia. Diceva che era una storia di guerrie-ri che avevano tutto e, al tempo stesso, sentivano il mor-so della tristezza universale. Ho sempre pensato che laraccontasse apposta per me.>

Don Juan, parafrasando il suo maestro, incomincidil racconto. Protagonista era un uomo che, soffrendo diuna profonda malinconia, si era recato dai migliori me-dici dell'epoca, senza ehe nessuno riuscisse ad aiutarlo.Alla fine era andato da un dottore capace di guarire I'a-nima, il quale gli aveva detto che forse awebbe potutotrovare sollievo nell'amore, mettendo cosi fine alla suatristezza.Ijuomo gli aveva risposto che per lui I'amorenon era affatto un problema, dato che era amato forsepin di qualunque altro essere umano. Il medico gli ave-va allora suggerito di intraprendere un viaggio e di an-dare a vedere altre parti del mondo, ma lui aveva ribat-tuto di essere gii stato in ogni angolo della terra. Il dot-tore gli aveva allora raecomandato di dedicarsi a passa-tempi come le arti e lo sport, ma anche in questo casol'uomo aveva replicato di aver gid fatto tutto quello chegli veniva prescritto e di non aver mai provato alcun sol-lievo. Il medico aveva cominciato a sospettare di trovar-si davanti un bugiardo cronico, perch6 non era possibi-le che avesse fatto tutte quelle cose, ma essendo un bra-r,'o guaritore aveva amto un'ultima intuizione.

"Ho trovato la soluzione ai suoi problemi, signore!Lei deve assistere a uno spettacolo del pii grande arti-sta del mondo, che la delizierd a tal punto da farle di-menticare la sua malinconia. Lei deve andare a vedereil Grande Garrick!"

Don Juan terminb il racconto dicendo che I'uomoaveva rivolto al dottore lo sguardo pii triste che si pos-sa immaginare, dicendogli: "Se questo b il suo consiglio,sono un uomo perduto. Per me non c'd alcuna cura. Iosono il Grande Garrick!".

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,ff Il punto di rottura

Don Juan definiva rlsiknzio interiore come uno sta-to peculiare dell'essere in cui tutti i pensieri vengonocancellati e in cui si vive a un livello diverso da quellodella consa pevolezza quoticliana . Il silenzio int ert ore si'gnifica sospensione del dialogo 'interiore, il compagnoiu-p"" presente dei nostri pensieri, ed d quindi unacondizione di comPleta Pace.

"Gli antichi sciamani lo chiamavato silenzio interio're perch| b uno stato in cui Ia percezione non dipendedai sensi, ma da un'altra facoltd dell'uomo, la facoltb'che lo rende un essere magico e che d stata depotenzia'ta non dall'uomo stesso, ma da qualche influenza estra-nea mi spiegd.

..Di che influenza si tratta?" gli chiesi.

..Non ne parleremo oggi, sarb l'argomento di unaspiegazione successiva; si tratta comunque dell'aspettopit s"tio dell'arte degli sciamani dell'antico Messico'Nello sciamanesimo, iI silenzio interiore b il punto da cui

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IL Pl ]NTO DI ROTTTTRA

nasce ogni cosa. In altre parole, tutto cid che facciamoci guida verso tale stato che, come sempre accade nelmondo degli sciamani, non emerge se nonveniamo scos-si da qualcosa di gigantesco" mi spiegd.

Aggiunse poi che gli sciamani dell'antico Messicoerano soliti elaborare un'infinitd di sistemi per seuoterese stessi o i loro colleghi, fin nelle fondamenta, per rag-giungere la condizione tanto ambita del s'iknzio interio-re. Essi ritenevano che i gesti piri disparati, apparente-mente pii lontani da tale obiettivo, come per esempiosaltare in una cascata o passare la notte appesi a testain gil) sul ramo pii alto di un albero, fossero i puntichiave per realizzarlo.

Basandosi sulle spiegazioni di questi sciamani, donJuan dichiard con estrema sicurezza ehe tI silenz'io i,nte-riore vtene accumulato. Nel mio caso, si sforzd di gui-darmi a costruire un nueleo di silenzi,o interiore nellaprofonditd del mio essere, che awei poi fatto crescere,istante dopo istante, ogni volta che lo praticavo. Mispiegd che gli sciamani avevano scoperto che ogni sin-golo individuo possiede una soglia diversa dtsilnnzio'in-teri,ore per quanto riguarda il tempo: cid signifrcava ehetl. silenzio interiore prima di poter funzionare, d.ev'esse-re mantenuto da ciascuno di noi per tutto il tempo ne-cessario a varcare tale soglia.

"Qual era il segno che indicava agli sciamani che il sf-knzio interiore funziona?" volli sapere.

,,II siknzio i,nteriore intzia ad agire nell'attimo stessoin cui cominci ad accumularlo. Gli antichi sciamani vo-levano ottenere il risultato supremo, il raggiungimentociod di quella soglia individuale di silenzio. Ad alcuni diloro, molto esperti, bastavano solo pochi minuti di silen-zio; altn, meno capaci, ci riuscivano solo dopo periodi piilunghi di silenzio, magari piri di urt'ora di completa tran-quillith. E tale risultato era cid che gli antichi sciamanichiamavanofermare i,l mond,o,l'attimo in cui tutto cibche ci circonda cessa di essere cid che d sempre stato.>

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CARI,OS CASTANEDA

..Questo d il momento in cui gli sciamani ritornanoalla loro vera essenzao riprese don Juan. "La definiva-no anche tibertd, futak.In quell'istante L'uomo-schiauodiventa l' uomo - esset'e Li'bero, con capacitd percettive chesfidano il nostro pensiero lineare."

Don Juan mi assicurd che ll sil'enzio interiore d la viache porta alla vera sospensione del giudizio, al momen-to in cui dati sensoriali inviati dall'universo non vengo-no pii interpretati dai sensi e la cognizione cessa di es-*.." lu forza dne attraverso I'uso e la ripetizione, decicleIa natura del monclo.

..GIi sciamani hanno bisogno tli w punto di rotturaaffinclr6 il lavorio <Iel silenzio 'interiore possa comincia-re. Si potrebbe pa,ragonare alla calcina che i muratorimettono tra i mattoni. Solamente quando ia calcina sisolidifica i mattoni formano una stmttura."

Fin dall'inizio del nostro rapporto, don Juan mi ave-va inculcato il valore, la necessit) del silenzio interiore'Fbci del mio meglio per segprire le sue indicazioni' accu-mulando tl, silenzio i,nteriore istante dopo istante' Nonavevo la possibilitil di misurare l'entiti di questo accu-mulo e non potevo sapere se avessi o meno raggiunto lasoglia. Mi limitavo semplicemente a farlo in modo osti-,ruto, ,ton solo per compiacerlo' ma anche perch6 talegesto era diventato una vera e propria sfida.

Un giorno stavo passeggianclo con clon Juan nellapiazzaprincipale cli Flermosillo. Erano le prime ore diun pomeriggio nuvoloso e il caldo secco era molto piaee-vole. Nella piazza circondata di botteghe c'era un saecodi gente. Anche se ero stato molte volte a Hermosillo,non mi ero mai accorto delle botteghe: sapevo che e'era-no, ma non ne ero consapevole in modo cosciente' E nonsarei riuscito a fare una mappa di quella piazza nem'meno se Ia mia vita fbsse dipesa da cib. Quel giorno,mentre eamminavo con don Juan, mi sforzai di indivi-duare e identifrcare i vari negozi, cercando un punto diriferimento che mi permettesse di tenere tutto a mente'

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IIJ PLlNTO DI ROTTURA

"Come ti ho gid detto pir) volte, ogni sciamano di miaeonoscenza, maschio o femmina che sia, prima o poiraggiunge ipunto d,i, rottura nella sua esistenza" preci-sd don Juan, scuotendomi dalla mia concentrazione.

"Vuoi forse dire che hanno un esaurimento nervoso oqualcosa del genere?" gli chiesi.

..No, noo mi rispose ridendo. "Gli esaurimenti nervo-si capitano solo alle persone che sono indulgenti con sestesse. Gli sciamani non sono petsone. Ti sto dicendoche in un determinato momento la continuitb della loroesistenza deve interrompersi per permettere al siknziointeriore di entrare in gioco e diventare parte attiva del-la loro struttura."

D molto importante che tu arrivi da te stesso alpun-to di rottura in modo intenzionale o che lo crei artifi-cialmente, con intelligenza" chiari.

"E questo cosa vorrebbe dire?" gli domandai, cattu-rato dal suo affascinante ragionamento.

"II tuo punto d,i rottura consiste nell'abbandonare ilcorso della tua vita cos) come lo conosci. Hai fatto tuttoquello che ti ho detto in maniera precisa e accurata. Sehai del talento, non l'hai mai messo in mostra. E questosembra proprio essere il tuo stile. Non sei lento, ma ticomporti come se lo fossi. Sei molto sicuro di te stesso,ma agisci come se fossi insicuro. Non sei timido, ma ticomporti come se avessi paura della gente. Ogni cosache fai indica una direzione ben precisa e ciod il tuo bi-sogno di troncare tutto cib, inesorabilmente.o

"Ma in che modo? Si pud sapere che cos'hai in men-te?" gli chiesi, sull'orlo dell'isteria.

"Credo che si riduca tutto a un semplice gesto: nondevi fare altro che lasciare i tuoi amici, salutarli persempre. Non puoi eontinuare a percorrere il sentiero deiguerrieri portandoti appresso la tua storia personale, ese non abbandonerai il tuo attuale stile di vita, non sarbin grado di continuare a fornirti Ie mie istruzioni."

"Aspetta un momento... Mi stai chiedendo troppo"

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CARLOS CASTANEDA

dissi. ..Se devo essere sincero, non credo di poterlo fare.I miei amici sono Ia mia famiglia, il mio punto di riferi-mento.,

..Esatto!, esclamb. ol-loro sono il tuo punto di riferi-mento e quindi devono andarsene. Gli sciamani hannoun solo punto di riferimenlo:l'infinito.'

..Come devo procedere?" gli chiesi in tono lamentoso.La sua riclfesta mi stava facendo impazzire.

..Devi semplicemente andartene" mi rispose in prati-ca. "Vattene come Puoi."

"E dove dowei andarmene?"*Ti suggerisco di prenderti una stanza in uno di que-

gli alberghetti cli ba,ssa categoria che conosci benissimo'Pii il posto d brutto, meglio d. Se la camera ha un tap-peto verde dall'aspetto incolore, tende verdi incolori eanche pareti verdi incolori, meglio ancora... Dev'esserequalcosa di simile a quell'albergo che ti ho mostrato aLos Angeles."

Mi sfuggi una risatina newosa ricordando quandoavevo attraversato in auto con don Juan Ia zona indu-striale di Los Angeles, dove ci sono soltanto niagazzirtie hotel malridotti per gente di passaggio. Uno in parti-colare aveva attirato Ia sua attenzione per via del suonome altisonante, Edoardo Settimo. Ci eravamo ferma-ti sull'altro lato della strada per guardarlo bene.

"Quell'albergo laggri b per me Ia rappresentazioneid.eale della vita terrena dell'uomo medio" mi spiegd, in-dicando con un dito l'edificis. ..Se sei fortunato o privodi scrupoli, ottieni una stanza con vista sulla strada epuoi assistere a questo infinito corteo dell'umana mise-.ia. Su non sei cosi fortunato o privo di scrupoli, riceviuna camera che db sull'interno, con le finestre che si af-facciano sulla parete dell'edifrcio vicino. Prova a pensa-re di vivere dilaniato tra queste due visioni, invidiandochi pud guardare fuori, se sei all'interrro o chi vede ilmuro, se ti trovi invece all'esterno e non sopporti pin diguardare fuori."

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IL PUNT0 Dt ROTTURA

La metafora di don Juan mi aveva profondamentedisturbato perch6 I'avevo compresa benissimo.

In quel momento, all'idea di prendere una stanza inun posto come I'Edoardo Settimo, non sapevo cosa diree nemmeno come comportarmi.

"Che cosa'r.uoi che ci faccia l)?" gli chiesi."Uno sciamano usa un luogo del genere per morire,

mi rispose, fissandomi senza battere ciglio. "Nella tuavita non sei mai stato solo: questo d il momento di far-lo. Resterai in quella stanza finch6 non sarai morto.,>

La sua richiesta mi spaventd ma, al tempo stesso, mifece ridere.

"Non ho certo intenzione di farlo e poi quali sareb-bero i criteri per stabilire la mia morte?, dissi: ...A menoche tu non voglia farmi morire fisicamente...o.

"No" lui disse. "Nonvoglio che il tuo corpo muoia dalpunto di vista fisico. E la tua persona che deve morire.Sono due faccende diverse. La tua persona ha ben pocoa che fare con il tuo corpo: d infatti la tua mente. E cle-vi credermi, la tua mente non ti appartiene affatto.o

"Che sciocchezzad questa?" gli domanclai con un cer-to nervosismo.

"Tb lo spiegherd un giorno o I'altro, lna non aclesso,perch6 sei ancora protetto dai tuoi amici. Uno sciama-no d morto quando per Iui non c'd diff'erenza tra l,esse-re solo o con altri. Il giorno in cui non desidererai piil lacompagnia dei tuoi amici, che tu usi come barriere pro-tettive, segnerd la morte della tua persona. Che ne dici,ci stai?"

"Non posso farlo, don Juan. D inutile che cerchi dimentirLi: non posso lasciar.e i miei amici.o

"Hai perfettamente ragione" ammise con aria im-perturbabile, come se la mia dichiarazione non lo aves-se per nulla impressionato. "Non potrd pii parlare conte, ma bisogna ammettere che nel tempo che abbiamotraseorso insieme tu hai imparato molto. Hai appresocose che ti renderanno molto forte, indipendentemente

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CARLOS CASTANEDA

dal fatto che tu decida in seguito di tornare o allonta-narti."

Mi disse addio, dandomi una pacca sulla spalla, sigird e scomparve tra le persone che affollavano Ia piaz-za, come se si fosse fuso con loro. Per un breve istanteebbi la strana sensazione che quella gente fosse statauna sorta di tenda che lui aveva sollevato, scomparendopoi dietro di essa. Come tutte le altre cose nel mondo didon Juan Ia fine era arrivata in maniera veloce e im-prevedibile: mi aveva colto di sorpresa e io non avevonemmeno capito come fosse accaduto.

Awei domto sentirmi distrutto e inveee non lo ero'Senza capire perch6 ero cosi sollevato, mi stupii per lafacilitb con cui tutto era finito. Don Juan era un indivi-duo di gran classe. Non ci furono recriminazioni, rabbiao niente del genere. Salii in macchina e Ine ne andai, fe-licissimo. In preda a una vera e propria euforia, pensaiche era fantastico che fosse finito tutto cosi rapidamen-te e senza alcun dolore.

Il viaggio verso casa si svolse senza incidenti. Giun-to a Los Angeles, mi ritrovai nel mio ambiente natura-Ie e mi resi conto che avevo acquisito un'enorme quan-titd di energia dall'ultimo incontro con don Juan' Misentivo incredibilmente felice e rilassato e ripresi quellache consideravo la mia normale esistenza con rinnovatovigore. Dimenticai gli affanni che mi avevano causatogli amici, tutte le cose che avevo capito su di loro e cidche avevo detto a don Juan in proposito: era come sequalcosa avesse cancellato quei pensieri dalla mia men-te. Un paio di volte mi capitb di stupirmi per la facilitdeon cui mi ero scordato qualcosa ehe era stato cosi si-gnifrcativo e oltretutto in maniera cosi totale.

Andb tutto come previsto. C'era una sola discordan-za in quello che era il chiaro paradigma della mia vec-chia-nuova esistenza: ricordavo con estrema precisionequando don Juan mi aveva detto che il mio distacco dalmondo degli sciamani era puramente accademico e che

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IL PUNTO DI ROTTI]RA

vi awei comunque fatto ritorno. Avevo ricordato e scrit-to ogni singola parola del nostro discorso. Ma secondo ilmio solito modo lineare di ragionare, e in base alla miamemoria, don Juan non aveva mai fatto quelle affer-mazioni. Meditai a lungo e inutilmente su come potessiricordare eose ehe non erano mai awenute. Il mio pseu-do-ricordo era abbastanza strano da suscitare riflessio-ni, ma decisi che non valeva la pena di pensarci troppo.Per quanto mi riguardava, ero uscito dalla zona di in-fluenza di don Juan.

Seguendo i consigli di don Juan sul mio comporta-mento con quelli che mi aiutavano, avevo preso una de-cisione per me sconvolgente: awei onorato i miei amici,ingraziandoli prima che fosse troppo tardi. Uno di loroera Rodrigo Cummings: un incidente che lo coinvolgeva,fece cadere il mio nuovo modello comportamentale,spingendolo vorticosamente verso la distruzione totale.

Il mio atteggiamento nei suoi confronti cambib inmaniera radicale quando cessai di essere competitivonei suoi confronti. Mi resi conto che immedesimarmicompletamente in tutto quello che faceva era Ia cosa pir)facile del mondo. In effetti, io ero proprio come lui, manon lo capii finch6 non smisi di eompetere. La veritbemerse con una chiarezza a dir poco fastidiosa. Uno deidesideri piri grandi di Rodrigo era quello di finire I'uni-versitd: ogni semestre si iscriveva e iniziava il maggiornumero possibile di corsi, poi, eon il passare del tempo,li abbandonava uno dopo l'altro. A volte si ritirava, op-pure continuava a seguire uno di quei corsi in tre fasi,giungendo al solito finale amaro.

Durante il suo ultimo semestre scelse un corso di so-ciologia, una materia che gli interessava. Quando I'esa-me finale si stava ormai awicinando, mi disse ehe ave-va tre settimane per studiare e imparare il programmae che quello gli sembrava un arco di ternpo esageratoper leggere seicento pagine. Si considerava infatti un

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CARLOS CASTANEDA

lettore veloce, con una notevole capacitd di apprendi-mento: era convinto di essere dotato di una memoriaquasi al cento per cento fotografica.

Certo di avere molto tempo a disposizione prima del-l'esame, mi chiese di aiutarlo a sistemare la macchina,in modo da essere pit comodo quando andava a distri-buire i giornali al mattino: voleva togliere Io sportellodestro per poter lanciare i quotidiani con la mano de-stra, invece di tirarli dal tettuccio aperto con la sinistra.Gli feci notare che lui era mancino, ma lui ribattd chefra le sue numerose doti, che nessuno dei suoi amici ave-va mai notato, c'era anche il fatto di essere ambidestro.Non potevo negare che avesse ragione, perch6 io stessonon ci avevo mai fatto caso.

Dopo che lo ebbi aiutato a togliere lo sportello, deci-se di rimuovere anche il rivestimento del tettuccio, cheera piuttosto malandato. Mi assicurd che dal punto divista meccanico l'auto era in ottime condizioni e che l'a-webbe portata a Tijuana (che chiamava..TJo, come fa-cevano tutti i bravi cittadini di I-.,os Angeles in quel pe-riodo) in Messico, dove per pochi dollari gli awebberorifatto tutto il rivestimento interno.

"Potremmo farci un t,... viaggetto" esclamd, tutto fe-Iice, arrivando a scegliere gli amici che si sarebbe por-tato dietro. ..,A TJ sono sicuro chc andrai in giro in cer-ca di libri usati, perch6 sei uno stupido, mentre noi ci in-frleremo in qualche bordello. Ne conosco diversi..."

Impiegammo una settimana a togliere tutto il rive-stimento e a smerigliare con Ia sabbia la superficie me-tallica, in modo da prepararla. A Rodrigo erano rimastedue settimane per studiare, una quantitlr di tempo chelui considerava ancora eccessiva. Mi chiese allora di aiu-tarlo a dipingere il suo appartarnento. Ci volle pii diuna settimana e riuscimmo anche a levigare il pavimen-to di legno. Poich6 non voleva imbiancare sopra la car-ta da parati che ricopriva le pareti di una stanza, pren-demmo a nolo una macchina che la staccava con il va-

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IIJ PUNTO DI ROTTI]RA

pore. Naturalmente n6 io n6 Rodrigo sapevamo comeusarla e combinammo un disastro. Alla fine fummo co-stretti a usare 1l Topping, una finissima miscela di cal-ce di Parigi e altre sostanze che resero pir) liscia la su-perficie del muro.

Al termine di tutte quelle imprese Rodrigo si trovdcon due soli giorni a disposizione per ficcarsi in testaseicento pagine. Si impegnd cosi in una maratona di let-tura frenetiea, aiutandosi con le anfetamine. Il giornodell'esame andd all'universitb, si sedette a un baneo ericevette il foglio con le domande.

Non riusci a stare weglio: il suo corpo si piegd inavanti e la testa colpi il banco con un tonfo spaventoso.Sospesero I'esame e sia I'insegnante di sociologia sia glistudenti seduti intorno al mio amico si lasciarono anda-re all'isteria vedendo il corpo di Rodrigo rigido e gelato.Ijintera classe pensd che fosse accaduto il peggio e ciodche fosse morto per un attacco cardiaco. F\rrono chia-mati degli infermieri per spostarlo.

Dopo un breve esame, dichiararono che Rodrigo erasolo profondamente addormentato e lo portarono poi inospedale per farlo dormire, in modo da smaltire le anfe-tamine.

La mia immedesimazione con Rodrigo Cummingsera cosi totale da farmi paura. Io ero esattamente comelui e tale somiglianza comincid a impressionarmi. Conun gesto che considerai di nichilismo totale e suicida,presi una stanza in un decrepito albergo di Hollynvood.

I tappeti verdi erano costellati da orrende bruciatu-re di sigarette, che si capiva erano state spente appenaprima di trasformarsi in incendi veri e propri. Avevatende verdi e pareti verdi dall'aspetto incolore. Uinse-gna lampeggiante dell'hotel brillava tutta la notte at-traverso la finestra.

Finii cosi per fare proprio quello che mi aveva chie-sto don Juan, seguendo perd un mio percorso indivi-

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CARLOS CASTANEDA

duale: non lo feci per soddisfare le sue esigenze o conI'intenzione di appianare le nostre divergenze. Rimasiin quella camera per mesi, finch6, come mi aveva detto,la mia persona mori e per me non ci fu pin alcuna diffe-renzatra l'avere o meno comPagnia.

Dopo aver lasciato i'albergo andai avivere da solo, inun posto pit vicino all'universitd,- Ripresi gli studi di an-tropologia, che in realtir non avevo mai interrotto e, in-sieme a un'amica, misi in piedi un'attivitb, commercialemolto redditizia. Sembrava che stesse andando tutto al-la perfezione, finch6 un giorno non mi resi dolorosa-mente conto che stavo per passare il resto dei miei gior-ni nell'angoscia per i miei affari, o per il fatto di dovercompiere la fantomatica scelta tra I'essere un accade-mico o un uomo d'affari, o nella preoccupazione per lefrssazioni e la disonestd della mia socia. Una profondadisperazione si annidd nel profondo del mio essere. Perla prima volta in vita mia, nonostante tutto cid che ave-vo visto e fatto, non avevo via di scampo. Sentendomicompletamente perso, cominciai a prendere in seriaconsiderazione l'idea che la soluzione pii pratica e in-dolore fosse quella di porre fine ai miei giorni.

Un mattino venni wegliato da qualcuno che bussavaeonforza e insistenza alla mia porta. Convinto che fos-se Ia padrona di easa, e che sarebbe entrata con Ia suachiave se I'avessi ignorata, andai ad aprire e mi trovaidavanti don Juan. Mi colse cosi di sorpresa che rimasisbalordito e, incapace di pronunciare una sola parola,mi limitai a balbettare e farfugliare. Awei voluto ba-ciargli la mano e inginocchiarmi ai suoi piedi. Entrd e siaccomodd disinvolto sul bordo del mio letto.

..Sono venuto a I-ios Angeles solo per vederti" esordi'Gli chiesi di uscire a fare colazione con me' ma lui

disse che aveva altre cose da fare e ehe aveva solo un mi-nuto per parlarmi. Gli raccontai velocemente l'espe-rtenzavissuta in albergo. La sua presenza mi aveva tal-mente sconvolto che non mi venne nemmeno in mente di

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IL PTINT0 DI ROTTT]RA

chiedergli come avesse fatto a trovarmi. Gli confessaiinveee di aver intensamente rimpianto tutte le cose chegli avevo detto a Hermosillo.

"Non devi affatto scusarbi" mi rassicurd. "OgRuno dinoi si comporta allo stesso modo. Una volta sono fuggi-to anch'io dal mondo degli sciamani e ho dovuto ri-schiare di morire per rendermi conto della mia stupi-ditb. Uunica eosa che conta d arrivare al punto di rot-tura, in qualunque modo, ed d esattamente quello chehai fatto. Il silnnzio interiore sta cominciando a diven-tare reale per te ed d proprio per questo motivo che mitrovo qui e ti sto parlando. Capisci cosa intendo?o

Ero certo di aver capito le sue parole. Immaginai cheavesse intuito o percepito, nello stesso rnodo in cui per-cepiva le cose che aleggiavano nell'aria, che stavo ormaiper impazzire ed era quindi venuto a salvarmi.

..Non hai tempo da perdere" riprese. "Nel giro diun'ora devi sciogliere la tua societd commerciale, perch6un'ora d tutto il tempo che posso permettermi di aspet-tare. Questo non significa che io non voglio attendere: dl'infinito che mi sta incalzando in maniera spietata. Di-ciamo chel'infinifo ti sta concedendo un'ora per dissol-verti. Per l'infi,ni,to I'unica impresa degna di un guer-riero d la libertd, qualunque altra attivitd d un inganno.Riesci a far sparire ogni cosa in un'ora?"

Non fu necessario promettergli che l'awei fatto. Sa-pevo di non avere scelta. Una volta eliminato tutto,awei potuto trovare don Juan nella piazza del mercatodi una cittadina messicana. Ero cosi concentrato sull'i-dea di porre fine ai miei affari, che non sentii cosa mistava dicendo. I-ro ripetd e naturahnente pensai che stes-se scherzando.

"Don Juan, come posso arrivare in quella cittd? Vuoiche ci vada in macchina o che prenda un aereo?" glichiesi.

"Prima elimina i tuoi affari e poi arriverd la soluzio-ne" mi ordind. "Ricorda che ti aspetterd solo per un'ora."

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CARLOg CASTANEDA

Quando se ne andd, mi misi freneticamente all'ope-ra. Com'd naturale, mi ci volle pii di un,ora, ma non mifermai a pensarci sopra perch6, dopo essermi messo inmoto, mi lasciai trasportare dallo slancio stesso del miogesto. Solo dopo che ebbi finito mi trovai ad affrontareiI vero dilemma, perch6 mi resi conto di aver fallito: erorimasto senza lavoro e non avevo alcuna possibilitd diraggiungere don Juan.

Andai a letto, in cerca dell'unica forma di conforto acui riuscivo a pensare: il silenzio e la tranquillitb. per fa-cilitare lavenuta delsilenz,io interiore, don Juan mi ave-va insegnato un modo speciale di sedermi sul letto, conle ginocchia piegate e le piante dei piedi che si toccava-no, mentre le mani poste all'altezza delle caviglie spin_gevano i piedi, tenendoli uniti. Mi aveva dato un pernopiuttosto grosso che tenevo sempre a portata di mano,alto una trentina di centimetri e in grado di sopportareiI peso della mia testa se mi piegavo in avanti clo pone-vo sul pavimento tr.a i miei piedi. Appoggravo poi la par-te superiore del perno stesso, che era imbottita, al cen-tro della fronte. Ogni volta ehe assumevo questa posi-zione, mi addormentavo in pochi secondi.

Dovevo essermi addormentato come al solito, perch6sognai di trovarmi nella citti messicana in cui mi avevadato appuntamento don Juan. Era una localitd che miaveva sempre intrigato. Il mercato si teneva unavolta lasettimana e i contadini che vivevano nella zona ci anda-vano a vendere i loro prodotti. Uaspetto pii affascinan_te di quel paese era la strada lastricata che vi giungevae che, proprio all'entrata, si inerpicava per una collinapiuttosto ripida. Mi ero seduto spesso su una panchinadi fianco al banco del formaggio, fissando quella collina.Vedevo le persone che arrivavano con i loro asini e il lo-ro carico; per prima cosa scorgevo la loro testa, e, men-tre continuavano ad awicinarsi, distinguevo pian pianoil resto del loro corpo; quando raggiungevano la vettadel colle li potevo vedere interamente. Avevo sempre128

IIT PI]NTO DI ROTTURA

I'impressione ehe stessero emergendo dalla terra, conestrema lentezza o in gran fretta, a seconda della loroveloeitd-._Nel sogno, don Juan mi'stava aspettando ac_canto al banco del formaggio. Mi awicinai."Ci sei riuseito con il iio sitenzi,o ,interiore, mi disse,dandomi una pacea sulla schiena. oHai raggiunto il tuopunto di rottura. per un attimo ho perso tui[""unru, _uti sono rimasto intorno, sapendo .h"..l,awesti fatta.,Andammo a fare una passeggiata e io ero pit feiieedi quanto non fossi mai siato. fl"*ogo era cosi vivido eeos) spaventosamente reale che ,rori.nni piri dubbi e miconvinsi di aver risolto il mio problema, anche se si trat_tava solo di una fantasia onirica.

D9n Jrlan scoppid a ridere e scosse il capo. Dovevaaver letto i miei pensieri. ,.Non ti trovi in un semplice so_grro, ma chi sono io per dirtelo?o esclamd. *Un giornoscoprirai che nello stato del silcnz,io interiorenon si fan_no sogni, ma lo scoprirai solo perch6 tu sceglierai di sa_perlo."

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(D Le rnisure d ella cognizione

Per don Juan, lafine d,'i un'era non era una semplicemetafora, ma piuttosto I'accurata descrizione del pro-cesso attraverso cui passa,no gli sciamani per smantel-lare la struttura del mondo che conoscono, in modo dasostituirlo con una maniera diversa di comprendere I'u-niverso che li circonda. In qualitd di maestro, fin dal no-stro primo ineontro, don Juan Matus si impegnb afat-mi conoscerel'uniuerso conoscitiuo degli sciamani del-I'antico Messico. In quel periodo il termine cognizioneera per me particolarmente controverso. Ritenevo chefosse il processo grazie al quale riconosciamo il mondoche ci circonda: certi aspetti ne fanno parte e noi siamoin graclo di riconoscerli facilmente, altri invece restanoesclusi e sono catalogati come le stranezze che non riu-sciamo a comprendere in alcun modo.

Fin dall'inizio del nostro rapporto, don Juan ha sem-pre dichiarato che il mondo degli sciamani dell'antieoMessico era diverso dal nostro, non a livello superficia-

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LE MISI iRE DELI,A COONIZIONE

le ma per cib che riguardava l'organizzazione del no-stro proeesso cognitivo. Secondo lui, nel nostro mondola cognizione richiede l'interpretazione dei dati senso-riali; I'universo d composto da un numero infinito dicampi di energia che esistono sotto forma di filamentiluminosi, i quali agiscono suli'uomo come un organi-smo. Uorganismo stesso reagisce trasformando questicampi energetici in dati sensoriali, che vengono poi in-terpretati. Thle interpretazione diventa il nostro sisfe-ma cognitiuo. La mia comprensione della cognizione micostringeva a credere che c'd un processo universale,come il linguaggio d un processo universale. Esiste unadiversa sintassi per ciascun linguaggio, cosi come deveesserci un'organizzazione differente per ogni sistemadi interpretazione.

Per quanto mi riguardava, l'affermazione di donJuan secondo cui gli sciamani dell'antico Messico pos-sedevano un diverso sistema cognitiuo, significava cheavevano un modo diverso di comunicare, qualcosa chenon aveva nulla a che fare con il linguaggio. Volevo di-speratamente sentirgli dire che essi possedevano un sr-stema cognitiuo diverso, ciod un linguaggio che era dif-ferente ma restava pur sempre un linguaggio. per donhanlafine d,iun'era significava che gli elementi di unacognizione seonosciuta cominciavano ad affermarsi. Glielementi della mia cognizione normale, non importaquanto piacevoli e soddisfacenti fossero per me, comin-ciavano a svanire. Nella vita di un uomo, un momentodel genere d a dir poco grave.

Uelemento che pir) apprezzavo era forse la mia vitaaccademica e qualunque cosa la mettesse a repentagliorappresentava una minaccia alla niia stessa esisterza,soprattutto se I'attaeeo era nascosto e passava quasiinosservato. Accadde con un docente nel quale avevo ri-posto tutta la mia frducia e ciod il professor Lorca.

Mi ero iscritto al suo eorso sulla cognizione perch6 miera stato raccomandato come uno dei docenti pii bril-

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CARLOS CAgTANEDA

lanti. Era un uomo affascinante, coi capelli biondi pet-tinati di lato. La fronte ampia e priva di rughe gli davaI'aria di uno ehe non si era mai preoccupato in vita sua.Indossava abiti di ottimo taglio e aveva I'abitudine dimettere la cravatta solo quando doveva incontrare qual-che personagglo importante, cosa che gli assicurava unaspetto da eterno fanciullo.

Nella memorabile oecasione della mia prima lezioneeon lui, ero incredulo e nervoso osselvandolo mentrecamminava avanti e indietro per minuti che mi parveroun'eternitd. Continuava a muovere le labbra sottili eserrate, ampliando all'infinito la tensione che avevacreato in quell'aula soffocante dalle finestre chiuse. AI-I'improwiso si fermb. Stava \nmezzo alla stanza, & Po-chi metri da dove ero seduto, e battendo sul podio ungiornale arrotolato inizid a parlare.

"Non si potrd mai sapere..." esordi.T\rtti gli studenti si misero subito a prendere nota...Nln si potrb mai sapere" ripetd, <cosa prova un ro-

spo seduto sul fondo di uno stagno, intento a interpre-tare il suo mondo da rospo." La sua voce era tenibil-mente forte e decisa. "Che ne pensate di questo?" cichiese poi, agitando il giornale sopra Ia testa.

Comincid quindi a leggere un articolo che riportava illavoro di un biologo, il quale aveva descritto cid che pro-vano le rane quando gli insetti volano sopra la loro testa.

..Questo brano mostra la superficialiti del giornali-sta, ehe ha sicuramente citato in maniera erata lo stu-dioso', dichiarb con I'autoritd di un vero docente. "Perquanto possa essere incompetente, uno scienziato nonpud antropomorfizzare i risultati delle sue ricerche, ameno che non si tratti di uno stupido."

Dopo questa introduzione, si esibi in una brillanteconferenza sui limiti del nostro sistema cognitiao, o me-glio, sul sistemo cognitiao di qualunque organismo' Conquella sua prima lezione mi forni un assortimento com-pleto di nuove idee, semplici e pronte per I'uso. Per quan-

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IJE [ I ISURE DELI]A ( IOGNIZIONE

to mi riguardava, il concetto pii innovativo era quello se-condo cui ogni individuo di ogru specie sulla terra inter-preta il mondo che lo circonda facendo ricorso ai dati rac-colti dai suoi sensi specializzati. Di consegaenza, gli es-seri umani non possono immaginare cosa si possa prova-re, per esempio, in un universo regolato dall'eco come ac-cade in quello dei pipistrelli, dove gli eventuali punti di ri-ferimento non possono nemmeno essere concepiti dallamente umana. Il professor Lorca chiari con estrema pre-cisione che da quel punto di vista, nell'ambito delle variespecie non potevano esistere dlue sistemi cognitiui uguali.

Quando lasciai I'auditorio dopo I'ora e mezza di le-zione, sentivo che quell'uomo clalla mente cosi brillantemi aveva stupefatto e da quel momento divenni un suofervente ammiratore. Tbovavo che le sue conferenze sti-molassero il pensiero ed erano le uniche che attendevocon ansia. Considerando la sua notevole capacitd di in-segnamento e il fatto che era un vero innovatore nel-I'ambito della psicologia, non mi sentivo per nulla infa-stidito dalle sue eccentricitd.

Cominciai a seguire i suoi corsi due anni dopo aver ini-ziato rllavoro con don Juan. Essendo molto abitudinario,mi risultava facile riferire al vecchio sciamano tutto cidehe accadeva nel mio mondo quotidiano e alla prima oc-casione gli raccontai anche cid che stava succedendo conil professor I:orca, glorificandolo e dichiarando che era ilmio modello. Don Juan sembrd colpito da tanta ammira-zione, ma mi diede uno strano awertimento.

..Non ammira,re le persone da lontano" mi sugger)."Questo d il modo pir) sicuro per creare esseri mitologi-ci. Cerca invece di awicinare il tuo insegnante, parlaglie vedi che uomo b. Mettilo alla prova. Se si comporta eo-si perch6 d corwinto di essere destinato a morire, qua-lunque cosa faccia, per quanto assurda, dev'essere pre-meditata e definitiva. Se invece quelle che dice sono so-lo parole, non vale un accidente."

Mi sentii insultato oltre ogni limite dall'apparente

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CANLOS CASTANEDA

insensibilit}, di don Juan, che giudicai geloso dei mieisentimenti nei confronti del professor Lorca. Non ap-pena formulai quel pensiero nella mia mente, mi sentiisubito sollevato e capii ogni cosa.

..Don Juan, che cos'd un essere consapevole di dovermorire?" gli chiesi, in modo da finire la nostra conversa-aione con un tono ben diverso. "Tb l'ho sentito dire moltevolte, ma non mi hai mai dato una definizione precisa'"

"Gli uomini sono esseri destinati a morire" mispiegd. "Gli sciamani ritengono che I'unico modo peravere una certa presa sul nostro mondo e su cid che noifacciamo sia la nostra piena aceettazione del fatto che ciawiamo verso la morte. Senza questo gesto fondamen-tale, la nostra esistenza, cid che facciamo e I'universo incui viviamo diventano questioni ingovernabili. "

"Ma b cosi importante questa semplice aecettazio-ne?" gli chiesi, quasi protestando.

"Puoi scommetterci!" mi rispose lui sorridendo. "Nond I'accettazione in s6 a fare il trucco. Dobbiamo infatticomprendere questa aceehtazione e viverla fino in fondo.Secondo gli sciamani di tutte le epoche, non c'd nulla ingrado di farci rinsavire quanto la visione della nostramorte. Cid che d -bagliato in noi esseri umani e lo b sem-pre stato sin dalla notte dei tempi b il fatto che addirittu-ra senza prenderci la briga di dichiararlo con molte paro-le, siamo convinti di essere entrati nel regno dell'immor-taliti. Ci comportiamo infatti come se non dovessirno maimorire e questo d da parte nostra un gesto di arroganzainfantile. E ancora pir) dannoso d il senso di immortalitbche ne deriva, I'idea ciod di poter inghiottire nella mentequesto universo che non b concepibile."

Flri preso senza pietd nel mezzo di un conflitto mor-tale di idee: la saggezza di don Juan da un lato e la co-noscenza del professor Lrorca dall'altro. Entrambe era-no difficili, oscure, complete e affascinanti. Non potevofare altro che seguire il corso degli eventi e lasciarmitrascinare ovunque mi portasse.

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LE MISURE DELI,A COONIZIONE

Seguii alla lettera il suggerimento di don Juan e fecidel mio meglio per awicinare il mio insegnante. Per I'in-tero semestre cercai di parlargli. Durante le ore di rice-vimento mi recavo religiosamente nel suo ufficio, masembrava che iui non avesse mai il tempo per rivolger-mi la parola. Anche se non riuscivo a parlargli, la miaammirazione per lui era sconfinata; accettavo persino ilfatto che non mi parlasse, anzi, non me ne importavanulla. Mi interessavano solo le idee che raccoglievo du-rante le sue splendide lezioni.

Riferivo poi a don Juan tutte le mie scoperte intellet-tuali. Avevo letto molti testi sulla cognizione. Don Juaninsisteva piir che mai perch6 stabilissi un contatto diret-to con la fonte della mia rivoluzione intellettuale.

"Devi assolutamente parlare con lui" mi ordind in to-no insistente. (Gli sciamani non ammirano le personeimmerse nel vuoto, ma parlano eon loro e riescono a co-noscerle, stabiliscono punti di riferiment<l e fanno eon-fronti. Il tuo atteggiamento b piuttosto infantile, perch6ti limiti ad ammirare a distanza. E la stessa cosa chesuecede a un uomo che ha paura delle donne: alla fine lesue gonadi prendono il sopra.lvento e lo spingono adadorare la prima femmina che gli dice "Buon$orno".,'

Raddoppiai gli sforzi per stabilire un contatto con ilprofessor Itorca, ma lui era come una sorta di fortezzaimpenetrabile. Quando confidai a don Juan le mie diffi-coltir, mi spiegd che per gli sciamani qualunque attivitdche coinvolgeva gli altri, anche se insignificante o discarsa importanza, era come un campo di battaglia nelquale compivano le loro magie pii potenti. Mi assicurdche il trucco di sentirsi a proprio agio in una situazionesimile (cosa che non era mai stata il mio forte) consi-steva nell'affrontare in maniera diretta il proprio riva-le. Dichiarb di detestare le anime timide che si guarda-no bene dall'interagire con qualcuno e che persinoquando interagiscono si limitano a inferire o a dedurrebasandosi sui propri stati psicologici, senza percepire

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nulla di cib che realmente accade. Interagiscono senzaaver mai fatto parte dell'interazione'

,.Guarda sempre I'uomo che sta facendo il tiro allafune con teo riprese. "Non limitarti a tirare la tua estre-mitir, alza Io sguardo e guardalo negli ocehi: solo cosi sa-prai che b un essere umano' esattamente come te' Qua-ionqo. cosa possa clire o fare, sta tremando proprio co-*. [.. Uno sguartlo del genere rende del tutto inerme iltuo rivale, anche se per un solo istante' E questo d il mo-mento di sferrare il tuo colpo finale'"

Un giorno la fortuna fu dalla mia parte e riuscii abloccare il docente nel corricloio davanti al suo uffrcio.

..Professot' I-.,orca, potrei parlarle per ulr momento?"gli chiesi.' ..8 tu chi diavolo sei?" riba,ttb disinvolto' come se fos-si stato il suo migliore amico e mi stesse semplicementechiedendo come stavo.

Nonostante il suo tono sgarbato, le sue parole nonebbero su di me alcun effetto. Mi sorrise a denti stretti,quasi volesse spingermi ad andarmene o a dirgli qual-cosa di signifrcativo.

..Sono uno studente di antropologia e sto eseguendo unlavoro di raccolta dei dati sul campo che mi perrnette di ac-quisire informazioni sul' sistema cognitiao degli sciamani'"

Mi fissd, dubbioso e seccato, gli occhi che parevanodue puntini blu colmi di disprezzo. Con la mano si pet-tindl capelli all'indietro' come se un ciuffo gli fosse ricacluto sul viso.

olo lavoro con un vero sciamano in Messico" continuai,cereando di provocare una reazione da parte sua' "I-re as-sicuro che si tratta di un vero sciamano; mi ci d voluto piidi un anno solo per convincerlo a rivolgermi Ia parola'"

Il professor Lorca si rilassd, apri la bocca e mi parld,agitando una mano delicata davanti agli occhi, qualist]esse impastando una pizza. Non potei fare a meno dinotareigemellid'orosmaltati,perfettamenteintintacon il blazer verdastro.

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LE MISIIRE DEI, I ,A OOGNIZIONE

oE cosa vorresti da me?" mi domandb."Vorrei solo che lei mi aseoltasse per un momento,

per vedere se quello che sto facendo la pud interessare.oFbce un gesto di riluttanza e rassegnazione con le

spalle, apri Ia porba del suo uffrcio e mi invitd a entrare.Sapevo di non avere tempo da perdere e gli f'eci una de-scrizione accurata della mia ricerca spiegandogli chestavo imparando procedure che non avevano nulla a chespartire con tutto cid che avevo trovato nei testi di an-tropologia sullo sciamanesimo.

Mosse le labbra per un istante ser\za parlare e di-chiard poi che il difetto degli antropologi in generaleeonsiste nel non coneedersi mai il tempo sufficiente perimparare tutte le sfumature del sistema cognitiuo usatodalle persone che stanno studia,ndo. Defid la cognizio-ne come un sistema di interpretazione ehe, per mezzodell'uso, consente agli individui di utilizzare al megliotutte le sfumature di significato che compongono I'am-biente sociale in oggetto.

I,le sue parole chiarirono I'intero seopo del rnio lavo-ro antropologico sul campo. Se non avessi acquisito ilcontrollo di tutte le sfumature del sistem,a cognitiuo de-gli sciamani dell'antico Messico, per me sarebbe statoinutile formulare qualunque idea in merito a quell'uni-verso. Anche se il professor Lorca non avesse aggiuntouna sola parola, cid che mi aveva appena detto sarebbestato pii che sufficiente. Fece poi uno splendido discor-so sulla eognizione.

"Il tuo problema d che il sistema cognitiuo del nostromondo quotidiano, che d familiare a tutti noi virtual-mente fin dal giorno della nostra nascita, non d ugualeal sistemct cognitiuo del mondo degli sciamani" disse.

La sua affermazione suscitd in me una vera euforia.Lo ringraziai con calore, assicurandogli che da partemia avevo una sola possibilitd: awei accettato le sueidee illimitatamente.

"Cid che ti ho detto d alla portata di tutti" concluse,

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spingendomi fuori dal suo ufficio. "Chiunque legga qual-cosa sull'argomento ne d consapevole."

Ci salutammo intono quasi amichevole. Ilracconto chefeci a don Juan di come ero riuscito ad awicinare il pro-fessor Lorca provocb una strana reazione: ilvecchio scia-mano mi parve preoccupato e sollevato al tempo stesso.

"Ho l'impressione che il tuo professore non sia quel-lo che vorrebbe far credere" mi disse. "Dal punto di vi-sta degli sciamani, naturalmente. Fbrse d meglio lasciarperdere adesso, prima che ti senta troppo coinvolto.Una delle arti elevate degli sciamani d sapere il momen-to in cui bisogna fermarsi. Credo che tu abbia ottenutodal tuo professore tutto il possibile."

Reagii subito con una sfilza di difese e accuse a fa-vore del mio insegnante. Don Juan provd a calmarmi,assicurandomi che non era sua intenzione criticare ogiudicare nessuno, ma che, per quanto ne sapeva lui,ben poche persone capivano quando era il momento diarrendersi ed erano ancora meno numerose quelle chesapevano come sfruttare realmente la loro conoscenza.

Nonostante i suoi awertimenti, non lasciai perdere edivenni invece lo studente pir) fedele del professor Lor-ca, suo seguace e ammiratore. Il docente sembrava pro-vare un genuino interesse nei confronti del mio lavoro,anche se si sentiva firrstrato a causa della mia riluttan-za e incapacitd di formulare concetti precisi sul sistemacognitiao del mondo degli sciamani.

Un giorno il professore formuld appositamente perme il concetto dello studioso in uisi,ta i'n un altro monilocognitiuo. Era disposto a mantenere una certa apertu-ra mentale e a valutare, in qualitil di studioso della so-cietb, la possibilitd d\tn sistema cognit'iuo diverso. Ar-rivd a elaborare una vera e propria ricerca nell'ambitodella quale awemmo raccolto e analizzalo protocolli. Iproblemi legati alla cognizione sarebbero stati elabora-ti e passati poi agli sciamani che conoscevo, in modo damisurarne, per esempio, la capacitd di focalizzarela'lo-

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LE MISURE DEI] I ]A COGNIZIONE

ro cognizione su due diversi aspetti del comportamento.Secondo lui, la prova sarebbe potuta iniziare con un

semplice paradigma nell'ambito del quale essi dovevanocercare di capire e ricordare un testo scritto che aweb-bero letto mentre erano impegnati a giocare a poker. Ladiffrcoltd della prova sarebbe poi aumentata, in mododa misurare per esempio la loro capaciti di focalizzarela cognizione su frasi complesse, che qualcuno awebbedetto loro mentre dormivano. Il professor Lorca volevafar eseguire un'analisi linguistica sulle cose dette daglisciamani; si aspettava inoltre una valutazione precisadelle loro reazioni in base a velocitd e precisione e altrevariabili che sarebbero divenute predominanti con ilprogredire del progetto.

Quando gli riferii i metodi con eui il mio docente vo-leva misurare la cognizione degli sciamani, don Juanscoppib in una risata irrefrenabile.

"Il tuo professore mi d dawero simpatico" disse. ,.Manonvorrai misurare sul serio la nostra cognizione? A cosapud mai sewirgli valutare le nostre rcazionl? Si convin-cerd che siamo un branco di impostori, perch6 lo siamodawero. Noi non possiamo essere pii intelligenti e velocidi un uomo normale. In effetti, non d certo colpa sua se dconvinto di poter confrontare tipi di cognizione di mondidiversi. La colpa d solo tua, perch6 non sei riuscito a spie-gargli che quando si parla delmond,o mgnitiuo degli scia-mani dell'antico Messico, si fa riferimento a cose di cuinon esiste I'equivalente nel mondo della vita quotidiana.

"Per esempio, percepire I'energia direttamente cosi co-me fluisce nell'universo, d un'unitd di misura della cogni-zione degli sciamani, che uedono come fluisce I'energia ene seguono I'onda. Se tale flusso viene ostacolato, essi simettono a fare qualcos'altro. Gli sciamani vedono le lineedell'universo; la loro arte, o il loro lavoro, consiste nelloscegliere la linea che li porter), grazie alla percezione-sag-gra, h regioni che non hanno nome. Puoi dire che gli scia-mani reagiscono immediatamente alle linee dell'universo:

iIII, I

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uedono gli uomini come palle luminose e cercano in essi illoro flusso di energia. Naturalmente reagiscono subito aquesta visione e tutto eid fa parte della loro cognizione."

Spiegai a don Juan che non potevo parlare di questecose con il mio docente perch6 non avevo mai fatto nien-te del genere. La mia cognizione era rimasta immutata.

"Ah!" esclamd. "In realt), non hai ancora avuto iltempo di comprendere gli elementi di cognizione delmondo degli sciamani."

Lasciai la casa di don Juan pii confuso che mai. Den-tro di me c'era una voce che mi chiedeva virtualmente diporre fine a tutti i miei sforzi con il professor Lorca. Mirendevo conto che don Juan aveva amto ragione quandomi aveva detto che le questioni pratiche a cui si interes-savano gli scienziati portavano alla creazione di macchi-ne sempre pir) complesse. Tali aspetti pratici non erano ingr:ado di cambiare I'esistenza di un uomo dal profondo delsuo essere e non servivano a comprendere la vastitd del-l'universo da una prospettiva personaie ed esperienziale.Le splendide macchine gii, esistenti, al pari di quelle incostruzione, erano faccende culturali, la cui realizzazionedoveva essere assaporata in maniera indiretta persinodai Ioro stessi creatori: per Ioro I'unica ricompensa possi-bile era di carattere finanziario.

Fh,cendomi notare tutti questi fatti, don Juan era riu-scito a rendermi ancora pir) curioso. Cominciai a metterein discussione le idee del professor I-iorca, cosa che nonavevo mai fatto fino ad allora. Nel frattempo iI mio do-eente continuava a sentenziare nuove stupefacenti veritdsulla cognizione: le sue dichiaraziotierano sempre pit ri-gorose delle precedenti e quindi pir) incisive.

Al termine del secondo semestre avevo raggiuntouna posizione di stallo, perch6 mi risultava del tutto im-possibile unire la linea di pensiero di don Juan e quelladel professor I:orca, che correvano su binari paralleli.Capivo la spinta di quest'ultimo a qualificare e quanti-ficare lo studio della cognizione.In quel periodo la ci-

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I]E MISURE DEI]LA COGNIZIONE

bernetica era appena dietro I'angolo e l'aspetto praticodello studio della cognizione erauna realtd. Ma era rea-le anche il mondo di don Juan, ehe non poteva perb es-sere misurato eon strumenti normali; avevo alrrto il privilegio di vederlo, nelle azioni del vecchio sciamano, manon lo avevo vissuto in prima persona. Avevo I'impres-sione che fosse proprio tale marrcanza a rendere impos-sibile il contatto di quei due mondi.

Ne parlai con don Juan in occasione di una delle mievisite e mi rispose che non era esatto dire che quello checonsideravo un mio difetto era la causa che impediva ditrovare il punto di contatto: seeondo lui il problema eraqualcosa di pin vasto, che non si limitava alle semplicicircostanze riguardanti un singolo individuo.

..tr-brse ricordi cid che ti ho detto in merito a uno deipir) grandi difetti di noi esseri umani,, mi disse.

Non ricordavo niente in particolare, dato che mi ave-va indicato un--infinitd di difetti e la mia mente non riu-sciva a contenerli tutti.

"Th vuoi qualcosa di specifico, ma non saprei cosa ri-sponderti."

"Il grosso difetto a cui mi riferisco d qualcosa che do-westi tenere a mente in ogni seeondo della tua esisten-za. Ritengo sia la questione fondamentale e te la ripe-terd fino a quando non ti uscird, dalle orecchie" 4isr.

Dopo averci pensato a lungo, mi arresi."Noi siamo esseri destinati a morire,, dichiard. ..Non

siamo immortali, ma ci comportiamo come se lo fossi-mo. Questo d I'errore che ci eondanna a livello indivi-duale e un giorno ci condannerd anche come specie.r,

Secondo don Juan, gli sciamani, al contrario del-I'uomo normale, hanno il vantaggio di sapere che sonoesseri destinati a morire e non si permettono di devia-re da tale conoscenza. Per dedurre e mantenere taleveritd come una certezza totale d necessario uno sfor-zo enorme. ..per quale motivo ci risulta cosi diffrcileammettere qualcosa di profondamente vero?,' gli chie-

ti l '

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si, sbalordito dalla vastitd della nostra contraddizione."In realtd non d colpa dell'u6vv16, mi spiegd in tono

conciliante. "Un giorno ti dird di pin suile forze che lospingono a comportarsi come un idiota."

Non c'era altro da dire. Il silenzio che segui era a dirpoco sinistro. Non volevo nemmeno sapere quali fosse-ro le forze a cui si riferiva.

..Non mi d affatto diffrcile valutare a distanza il tuoprofessore' riprese don Juan. oD uno scienziato im-mortale, non morird mai. E per quanto riguarda lepreoccupazioni legate alla morte, sono eerto che se ne dgilr occupato. Ha comperato il loculo dove verrd sepoltoe ha stipulato una ltohzza assicurativa che si prendericura della sua famiglia. Dopo aver sbrigato queste dueformalith, non pensa piil alla morte e si concentra solosul suo lavoro. Quando il professor Lorca parla, le sueaffermazioni hanno senso perch6 sa scegliere con curale parole. Ma non d pronto a eonsiderare se stesso comeun uomo che deve morire. Essendo immortale, non sacome regolarsi. Qualunque maechina gli scienziati pos-sano ereare, non ha alcuna importanza, perch6le mac-chine non sono in grado di aiutare nessuno ad affronta-re I' appuntamento inevitabile, quello con l' infinit o ."

"Il nagual Julian mi parlava sempre dei generali del-I'antica Roma" continub. "Quando tornavano in patriavittoriosi, si organizzavano enormi parate per onorarli. Iconquistatori sfilavano sui loro carri, mettendo in mo-stra i tesori rubati e le persone che avevano ridotto inschiavitil. Accanto a loro c'era sempre uno schiavo cheaveva il compito di sussurrare all'orecchio che la fama ela gloria sono transitorie. Se noi siamo in qualche modovittoriosi, non abbiamo nessuno che ci ricorda come i no-stri successi siano rnomentanei. Sapendo di essere desti-nati a morire, gli sciamani sono inveee facilitati, hannosempre qualcuno che sussurra loro all'orecchio che tuttod effimero: la morte, il consigliere infallibile, I'unico chenon racconta mai bugie."

ffi Dire grazie

"Iguerrieri-aiaggiatori non si Jasciano mai alle spal-le debiti non pagati" dichiard don Juan.

,.A cosa ti riferisci?" gli chiesi."D giunto per te il momento di saldare certi debiti

che hai contratto nell'arco della tua esistenzao mi disse."Questo non significa che potrai mai pagarli del tutto,ma solo che devi compiere il gesto, qualcosa di simboli-co che ti permetta di espiare, in modo da compiacerel'infinito. Mi hai parlato di Patricia Turner e SandraFlanagan, due amiche che hanno contato molto per te:adesso devi andare a cercarle e fare a ognuna un regaloche ti costerd tutto cid che possiedi. Devi fare loro duedoni che ti lasceranno senza un soldo. Ecco il gesto."

..Ma non so dove siano" protestai.

..Tlovarle d la tua sfrda. Nella tua ricerca non puoitrascurare aleuna traccia. Cib che r,uoi fare d molto sem-plice e al tempo stesso quasi impossibile: devi oltrepas-sare la soglia dell'obbligo personale e, con un solo gesto,

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ritrovarti libero, per poter avanzate. Se non riesci avar-care tale soglia, non ti sewird continuare con me.>

..Come ti d venuto in mente di affidarmi questo inca-rico?o gli domandai. "Tb Io sei inventato perch6lo ritie-ni giusto?"

..Io non invento nulla, ribattd lui, con noncuranza...Ho riceruto questo compito dalf infinito stesso. Non dfacile per me dirti queste cose. Se credi che io mi diver-ta ad assistere ai tuoi guai, ti sbagli. Il successo dellatua missione b pii importante per me che non per te. Sefallisci, hai ben poco da perdere, solo i nostri incontri; ioinvece perderei te e questo significa perdere la conti-nuitd della mia stirpe o la possibilith che tu la chiudacon una chiave d'oro."

Don Juan rimase in silenzio. Sapeva sempre quandola mia mente ribolliva.

..Ti ho detto pit volte che i guerrieri-uiaggiatori sonopragmatici. Non si lasciano coinvolgere dal sentimenta-Iismo, dalla nostalgia o dalla malinconia' Per loro esistesolo la lotta, che non ha mai fine. Se credi di essere ar-rivato fin qui per trovare pace, o che questo possa esse-re un momento di calma nella tua esistenza, ti sbagli. ilcompito di saldare i tuoi debiti non d guidato da senti-menti che conosci, ma solo dal pir) puro dei sentimenti:b il sentimento di w guerriero-aiaggiatore che sta pertuffarsi nell'infinito e appena prima di compiere talebalzo, si gira a ringraziare coloro che l'hanno aiutato.

...Devi affrontare questo incarico con tutta la solen-nith che merita, continub. "E la tua ultima fermata pri-ma che l'infinito ti inghiotta. In effetti, a meno che unguerriero-uiaggiatore non si trovi in uno stato di grazia,I'infinito non Io toccherh nemmeno con un bastone lun-go trenta metri. Cerca quindi di non risparmiarti e nonlesinare gli sforzi. Prosegui senza sosta, ma eon elegan-za, fino alla fine."

Avevo ineontrato le due persone a cui si riferiva donJuan quando frequentavo le superiori. In quel periodo

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DIRE GRAZIE

vivevo nell'appartamento sopra il garage dei genitori diPatricia T\rrner. In cambio di vitto e alloggio tenevo pu-lita la piscina, raccoglievo Ie foglie secche, mettevo fuo-ri I'immondizia e preparavo la colazione per Patricia eme. Ero il tuttofare della famiglia e facevo anche l'auti-sta: aecompagnavo la signora T\rrner a fare spese e ac-quistavo gli alcolici per il marito, portandoli di nascostoin casa nel suo studio.

Il signor T\rrner era un dirigente nel ramo assicura-tivo e amava bere in solitudine. In seguito a questa suasmodata passione si erano verificate numerose liti in fa-miglia ed egli aveva promesso ehe non awebbe mai pir)toccato una bottiglia. Mi confessd che, pur avendo di-minuito in maniera notevole il consumo di alcolici, ave-va bisogno di farsi un goccetto di tanto in tanto. Il suostudio era vietato a tutti tranne che a me: in teoria an-davo a fare le pulizie, mentre in realtd nascondevo lebottiglie in una trave che pareva sostenere un arco sulsoffitto, ma era invece r,rrota. Dovevo far entrare di na-scosto le bottiglie nuove e togliere quelle mote, che por-tavo poi al mercato.

Diplomata in musica e arte drammatica, Patricia erauna eantante fantastica, che sognava di esibirsi nei mu-sical di Broadway. Inutile dire che ero innamorato di leialla follia. Era snella e atletica, una brunetta dai linea-menti duri, alta almeno dieci centimetri pii di me (ilfatto che una donna fosse pit alta di me mi faceva let-teralmente imp azzir e) .

Sembravo soddisfare il suo bisogno di occuparsi diqualcuno, una necessitd che si fece ancora pii intensadopo che si rese conto che suo padre si fidava di me. Di-venne cosi la mia mammina. Non potevo nemmeno apri-re la bocca senza il suo consenso, mi teneva d'occhio co-me un falco, mi scriveva i compiti di fine corso, e legge-va i miei testi per poi farmi i riassunti. A me tutto cidpiaceva, non perch6 volessi essere accudito: credo cheuna simile esigenza non abbia mai fatto parte della mia

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cognizione. Semplicemente, mi piaceva che ki lo faces-se e amavo la sua compagnia.

Mi portava al cinema tutti i grorni. Poteva entraregratuitamente nei pii grandi cinema di Los Angelesgrazie ai lasciapassare che certi pezzi grossi dell'am-biente regalavano a suo padre. Il signor Turner non liusava mai, perch6 riteneva che per un uomo come luifosse un comporbamento per nulla dignitoso. Gli addet-ti alla cassa rilasciavano sempre una ricevuta a coloroche presentavano tali permessi; a Patricia non dava fa-stidio firmare, ma a volte ne capitava qualcuno partico-larmente odioso che voleva la firma del signor Thrner, edopo che io avevo firmato pretendeva anche di vedere lamia patente. Una volta un ragazzotto sfacciato si per-mise un commento che fece ridere entrambi, ma manddsu tutte le furie Patricia.

"Io eredo che tu sia il signor Thrd [Ndit T\,r,rd, signiftcastronzo) e non il signor Thrnen' mi disse con il sorriso piicattivo che si possa immaginare. Awei potuto ignorare lasua frecciata, ma ci umilid ancora di pit impedendoci dientrare a vedere Hercul.es reaisited, con Steve Reeves.

Di solito andavamo dappertutto con Sandra Flana-gan, la migliore amica di Patricia, che viveva con i geni-tori nella casa accanto. Sandra era l'opposto di Patricia:era alta quanto lei, ma aveva la faccia rotonda, con leguance rosee e la bocca sensuale ed era sana come unpesce. Non le interessava cantare, badava solo ai piace-ri sensuali del corpo. Poteva bere, mangiare e digerirequalunque cosa e dopo aver finito il suo piatto riuscivaaspazzolare anche il mio, cosa che mi conquistd del tut-to dato che non ero mai riuscito a fare niente del gene-re in vita mia, essendo piuttosto esigente per quanto ri-guarda l'alimentazione. Era anche molto atletica, ma inun modo forte e sano. Awebbe potuto sferrare pugmcome un uomo e tirare calci come un mulo.

In segno di gentilezza nei confronti di Fatricia, wol-gevo anche per i genitori di Sandra le stesse incomberze

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DIRE GRAZIE

che sbrigavo per i suoi: tenevo pulita la piscina, toglievole foglie dal prato, portavo fuori I'immondizia nei giorrriin cui passavano a ritirarla e bruciavo i giornali vecchi elaspazzatura. In quel periodo I'inquinamento atmosferi-co di Lros Angeles veniva aumentato dall'uso degli ince-neritori casalinghi, situati in genere nei cortili sul retro.

Fbrse fu per via della stretta vicinanza o della dispo-nibilitd di quelle due donne, ma frnii per innamorarmialla follia di tutte e due.

Chiesi consiglio a Nicholas van Hooten, un mio gio-vane amico molto strano ehe aveva due fidanzate e vi-veva con entrambe in uno stato di pura beatitudine, al-meno all'apparenza. Comincid fornendomi quello chedefiniva il pit semplice dei suggerimenti e ciod comecomportarsi al cinema quando si hanno due fidanzate.Mi spiegd che in casi del genere lui si concentrava sem-pre su quella che stava seduta alla sua sinistra. Dopo unpo' le d:ue ragazze andavano in bagno e, al ritorno, Ni-cholas chiedeva loro di scambiarsi i posti: Anna si sede-va al posto di Betty ed erano tutti felici e contenti. Inteoria quello era il primo passo del lungo processo che,awebbe portato le due ragazze ad accettare il triangolo.Essendo piuttosto sdolcinato, Nicholas ricorreva all'or-mai banale espressione francese mdnage d, trois.

Seguii il suo consiglio e andai a vedere un film mutoin FhirfaxAvenue con Patricia e Sandy. Feci sedere Pa-tricia alla mia sinistra e riversai su di lei tutta la mia at-tenzione. Aun certo punto andarono in bagno e quandotornarono chiesi loro di scambiarsi i posti. Quindi mimisi a fare quello che mi aveva suggerito Nicholas vanHooten, ma Patricia non ne volle sapere: si alzd di scat-to e se ne andd come una furia, offesa e umiliata. Vole-vo correrle dietro per scusarmi, ma Sandra mi fermd.

"Lasciala andare" mi disse con un sorriso velenoso."Dopo tutto b adulta, ha i soldi per pagarsi il taxi e tor-nare a casa.>

Mi lasciai convincere e rimasi ld a baciarla. nervoso

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e oppresso dai sensi di colpa. Ero nel bel mezzo di unbacio appassionato quando mi sentii afferrare i capellie tirare all'indietro. Era Patricia, che riusci a far cade-re la mia fila di poltroncine che non era fissata a terra,saltando agilmente fuori prima che frnisse sulla fila ap-pena dietro, quella in cui si trovava lei. Sentii il grido diterrore di due spettatori seduti nei posti in fondo, pro-prio di fianco al corridoio.

Il suggerimento cli Nicholas van lfooten si riveld benpoco efficace. Patricia, Sandra e io tornammo a casa nelsilenzio pit assoluto. In un mare di lacrime e scambian-doci strane promesse riuscimmo ad appianare la situa-zione. Il risultato della nostra relazione a tre fu che perpoco non distruggemmo noi stessi. Non eravamo prepa-rati a un simile sforzo. Non sapevamo come risolvere iproblemi di affetto, moralitd, etica e dovere. Non me lasentivo di lasciare una per scegliere I'altra, cosi comeentrambe non riuscivano a lasciare me. Un giorno, alculmine di una terribile discussione, in preda alla di-sperazione, ce ne andammo ognuno in una direzione di-versa e non ci rivedemmo mai pii.

Ero a pezzi. Niente di quello che feci riusci a cancel-lare I'imporianza che avevano amto quelle due donnenella mia esistenza. Lasciai Los Angeles e mi dedicai auna miriade di cose diverse, cercando di placare la mianostalgia. Senza esagerare, posso dire di aver patito itormenti dell'inferno, dei quali credevo che non mi sareimai pii liberato. Se non fosse stato per l'influenza chedon Juan ebbe in seguito sulla mia vita e sulla mia per-sona, non awei mai superato i miei demoni privati. Dis-si a don Juan che sapevo di essermi comportato male eche non avevo il diritto di coinvolgere persone meravi-gliose come loro in una faccenda cosi stupida e sordida,che non ero riuscito ad affrontare.

"Uunica cosa sbagliata era il fatto che voi tre erava-te completamente persi nell'ego. La vostra presunzionevi ha quasi distrutti, ma se togliete Ia presunzione, vi re-

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DIRE GRAZIE

stano solo i sentimenti. Cerca di accontentarmi e provaa fare questo semplice esercizio che per te potrebbe ave-re un'enorme importanza: cancella dal ricorclo di quelledre ragazze qualunque frase del tipo: "Lei mi ha dettoquesto o quello e lei ha urlato e I'altra ha strillato a Me!"e mantieniti al livello delle tue emozioni. Se tu non fos-si stato cosi pieno di boria, che cosa ti sarebbe rimasto?"

..I-iamore che provo per entrambe" gli risposi, sen-tendomi soffocare.

..Ed d meno grande oggi rispetto ad allora?" mi chie-se don Juan.

oNo, non lo d" gli risposi in tutta sinceritd, riprovandola stessa angoscia che mi aveva tormentato per anni."Questa volta, abbracciale dal tuo silenzio" mi suggeri...Non essere stupido. Abbracciale in maniera completaper I'ultima volta, conl',intento che questa sard I'ultimavolta che Io farai qui, sulla faccia della Tbrra.Iiintentodeve provenire dalla tua oscuritd. Se vali dawero qualco-sa, quando consegnerai loro i doni riassumerai per duevolte Ia tua intera esistenza. Gesti di questa natura ren-dono i guerrieri simili all'aria, quasi vaporosi."

Seguendo le istruzioni di don Juan, mi impegnai afondo. Mi ero infatti reso conto che se non ne fossi usci-to vincitore, il vecchio sciamano non sarebbe stato I'u-nico a perdere qualcosa. Io stesso awei perso qualcosae, quale che fosse, sarebbe stata per me importantequanto cid di cui lui mi aveva tanto parlato: mi sarei in-fatti lasciato sfuggire I'opportunitd di affrontare I'infi-n'ito e di esserne consapevole.

Il ricordo di Patricia T\rrner e Sandra Flanagan mi fe-ce precipitare nello sconforto. Il senso devastante di unaperdita irreparabile che mi aveva perseguitato per tuttiquegli anni era pir) vivo che mai. Quando don Juan reseancora pir) intenso quel sentimento, ebbi I'assoluta eer-tezza che ci sono cose che restano con noi per la vita e for-se anche oltre. Dovevo trovare Patricia Ttrrner e SandraFlanagan. Lultima raccomandazione di don Juan fu che, Iir

III

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CARLOS CASTANEDA

se ci fossi riuscito, non awei dovuto restare con loro; aweiamto soltanto il tempo di fare ammenda delle mie colpe eabbracciare ciascuna di loro con tutto l'affetto che prova-vo, mettendo a tacere le voci rabbiose della recriminazio-ne, dell'autocommiserazione o dell' egocentrismo.

Mi imbarcai cosi nell'impresa immane di scoprire chefine avevano fatto e dove si trovavano. Cominciai inter-rogando la gente che eonosceva i loro genitori, che si era-no perd trasferiti e non vivevano pir) a Los Angeles: nes-suno seppe fornirmi una traccia della loro nuova residen-za enon sapevo con chi parlare. Pensai di mettere un an-nuncio su un giornale, ma cambiai subito idea perch6 erapossibile che nonvivessero nemmeno pit in California. Al-la fine dovetti rieorrere a un investigatore privato che gra-zie ai suoi contatti con qualche ufficio statale e con nonso chi altro riusci a rintracciarle in un paio di settimane.

Vivevano a NewYork, a poca distanzarna dall'altrae la loro amieizia era stretta come un tempo. Andai aNew York e affrontai per prima Patricia T\rrner. Nonera diventata una stella di Rroadway eome awebbe vo-luto, ma faceva comunque parte di una produzione. Noncercai di scoprire se si esibiva come artista o lavoravainvece nel settore amministrativo. Andai a trovarla nelsuo ufficio. Quando mi vide rimase sconvolta, e non midisse cosa faeeva. Ci sedemmo vicini, tenendoci per ma-no e piangendo. Non le dissi neanch'io cosa facevo. Milimitai a spiegarle che I'avevo cercata per farle un donoche awebbe dovuto esprimerle la mia gratitudine e chestavo per partire per un viaggio da cui non avevo inten-zione di tornare.

"Perch6 dici queste eose orrende?" mi chiese con ariasinceramente preoccupata. "Che cosa hai in mente difare? Hai forse qualche malattia? Eppure non sembrimalato..."

ofr solo una metafbrao mi affoettai a rassicurarla."Sto per tornare in Sudamerica, dove ho intenzione dicercar fbrtuna. I-.la competizione d feroce e la situazione

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DIRE GRAZIE

complessa. Se voglio avere successo, devo concentrarmial massimo."

Sollevata, mi abbraccid. Sembrava uguale a com,eraun tempo, ma appariva molto pii grande, forte, matu-ra ed elegante. Le baciai le mani, sopraffatto da un,on-data d'affetto. Don Juan aveva ragione: se non lasciavospazio alle recriminazioni non mi restavano altro che imiei sentimenti.

"Voglio farti un regalo, Patricia Tbrner, le dissi."Chiedimi quello che r,rroi e se d alla mia portata, te loeomprerd."

"Sei diventato ricco?" esclamd, mettendosi a ridere...I-.la cosa pir) bella di te d che non hai mai avuto nientee non I'awai mai. Sandra e io parliamo di te quasi tuttii giorni e immaginiamo che ti guadagni da vivere par-cheggiando le macchine, facendoti mantenere dalle don-ne o roba del genere. Mi dispiace ma ti vogliamo ancorabene, non possiamo farci nulla...",

Le chiesi di nuovo di dirmi cosa voleva e lei si mise apiangere e ridere allo stesso tempo.

"Hai intenzione di comperarmi una pelliccia di viso-ne?" mi domandb tra i singhiozzi.

Scompigliandole i eapelli le risposi che I'awei fatto...Se non ti piace, puoi riportarla al negozio e farti da-

re in cambio i soldi."Ridendo mi sferrd un pugno, come era solita fare un

tempo. Dato che doveva tornare al lavoro, ci separam-mo dopo che le ebbi promesso che sarei tornato a veder-la. Se non ci fossi riuscito, volevo comunque che sapes-se che laforzadella mia esistenza mi stava spingendo inuna direzione diversa, ma io awei eonservato il suo ri-cordo per tutta la vita e forse anche oltre.

Tbrnai, ma solo per assistere da lontano alla conse-gna della pelliccia. Sentii i suoi urli di gioia. euella par-te del mio compito era frnita. Me ne andai, ma non misentivo affatto vaporoso come diceva don Juan: avevoinfatti riaperto una vecchia ferita che aveva ripreso a

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CARLOS CASTANEDA

sanguinare. Non stava esattamente piovendo, ma unanebbia umida mi stava penetrando nelle ossa.

Poi mi recai da Sandra Flanagan, che viveva in unsobborgo di New Yorh raggiungibile in treno. Bussai al-la sua porta e quando venne ad aprirmi impallidi e miguardd come se fossi stato un fantasma. Era pir) bellache mai, forse perch6 si era fatta pii rotonda, e sem-brava grande come una casa.

..Tb, tu, tu...r' balbettava, incapace di pronuneiare ilmio nome.

Singhiozzava e per un momento mi sembrd arrab-biata, come se volesse rimproverarmi qualcosa. Non lediedi la possibilitd di continuare. Il mio silenzio fu tota-le e alla frne fece effetto su di lei, perch6 mi lascid en-trare e ci sedemmo in soggiorno.

"Che ci fai qui?" mi chierse quando si fu calmata...Non puoi restare! Sono una donna sposata! Ho tre fi-gli e il mio matrimonio b molto felice."

Parlando a scatti e veloce come una mitragliatrice,mi spiegd ehe suo marito era affidabile e buono anche senon molto fantasioso e per nulla sensuale e che lei do-veva stare attenta perch6, quando faeevano I'amore, sistancava facilmente, al punto che a volte non riuscivapoi ad andare al lavoro. Anche se quell'uomo si amma-Iava spesso, erano comunque riusciti ad avere tre splen-didi bambini. Dopo la nascita del terzo figlio, il marito,che a quanto pareva si chiamava Herbert, aveva inter-rotto i loro rapporti sessuali, ma a lei non importava.

Cercai di tranquiliizzarla, spiegandole pii volte cheero andato semplicemente a trovarla e non avevo alcu-na intenzione di cambiarle l'esistenza o infastidirla inqualunque maniera. Le raccontai quanto era stato dif-frcile rintracciarla.

..Sono venuto a salutarti e a dirti che sei I'amore del-la mia vita. Vorrei farti un regalo simbolico che rappre-senti Ia mia gratitudine e il mio affetto eterno.>>

Colpita dalle mie parole, mi rivolse un ampio sorriso,

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DIRE GRAZIE

com'era solita fare. La fessura tra i denti Ie dava un'a-ria infantile. Le dissi che era pir) bella che mai e ne eroprofondamente convinto.

. Scoppid a ridere e mi rispose che stava per iniziareuna dieta molto rigida e che se avesse immaginato chesarei andato a cercarla, I'awebbe cominciata moltotempo prima. Si sarebbe messa subito al lavoro e, in oc-casione della mia prossima visita, I'awei trovata snellacome un tempo. Ricordd poi I'orrore della nostra vitacomune e il modo profondo in cui era stata ferita. No-nostante fosse una fervente cattolica, era giunta a pen-sare al suicidio, ma in seguito aveva trovato nei figli ilconforbo che le serviva. Thtto quello che avevamo com-binato non era altro che un effetto della gioventi, qual-cosa che awemmo domto nascondere sotto il tappeto,senza spazzarlo via.

Quando le chiesi se c'era un regalo parbicolare chedesiderava e che awei potuto farle per dimostrare lagratitudine e I'affetto che provavo nei suoi confronti,scoppid a ridere e mi rispose esattamente come PatriciaT\rrner, dicendo che non avevo neppure un vaso dove pi-sciare e non I'awei mai amto, perch6 ero fatto propriocosi. Dovetti insistere a lungo per farla cedere.

"Puoi comperarrni una station wagon dove ci sia po-sto per i miei figli?" mi chiese, divertita. "Yorrei unaPontiac o una Oldsmobile, con tutti gli accessori."

Lo disse sapendo nel profondo del cuore che io non aweimai potuto farle un dorro del genere e invece glielo feci.

Il giorno dopo il concessionario consegnd la stationwagon fuori dalla porta di casa. Rimasi nascosto in mac-ehina, che era parcheggiata a una certa distanza, e sen-tii la sorpresa di Sandra che, in sintonia con la sensua-litd che la caratterizzava, non fu all'insegna della gioiama si manifestd invece con una reazione fisica, un sin-ghiozzo di angoscia e incredulitd. Scoppid in lacrime: iosapevo che non piangeva per il regalo ma per il desiderioche trovava eeo in me. Crollai sul sedile della macchina.

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CARLOS CASTANEDA

Sul treno che mi riportava a New York e durante ilvolo di ritorno a Los Angeles, venni assalito dalla sen-sazione che la mia vita mi stesse sfuggendo, come unmucchio di sabbia che mi scorreva tra le dita. Dopo averdetto grazie e addio non mi sentivo affatto libero o eam-biato: al contrario, il peso di quello strano attaccamentomi opprimeva pii che mai. Avevo voglia di piangere.Nella mia mente continuavano ad apparire i titoli che ilmio amico Rodrigo Cummings aveva inventato per libriche non furono mai scritti. Si era specializzato nellaereazione di titoli; il suo favorito era Moriremo tutti aHollywood e poi c'era anche Non cambieremo mai.Il miopreferito, che avevo acquistato per dieci dollari, eraVitae peccati di Rodrigo Cummings. T\rtto quei titoli si agi-tavano nella mia mente. Ero Rodrigo Cummings, bloc-cato nel tempo e nello spazio, amavo due donne pii del-Ia mia stessa vita e tutto cid non sarebbe mai cambiato.E come il resto dei miei amici, sarei morto a Hollywood.

Confidai ogni cosa a don Juan, raccontandogli quel-lo che consideravo il mio pseudo-successo. Con notevolesfacciataggine lui taglid corto, dicendo che quello cheprovavo era solo il risultato di un eccessivo compiaci-mento nei miei confronti, oltre che di una notevole dosedi autocommiserazione e che per poter dire con convin-zione grazie e addio, sostenendo tale decisione, gli scia-mani dovevano ricostmirsi.

"Cancella subito I'autoeommiserazione" mi ordind."Elimina I'iclea che sei stato ferito e che cosa ti resta?"Mi rimaneva la sensazione di aver fatto il mio ultimo do-no a entrambe. E non per rinnovare qualcosa o ferirequalcuno, me compreso, ma nello spirito che don Juanaveva eercato di mostrarmi... lo spirito dianguerriero-aiaggiatore la cui sola virbi (cosi mi aveva detto donJuan) consiste nel mantenere vivo il ricordo di tutto cidche I'ha toccato e il cui unieo modo di dire grazie e ad-dio d quell'atto di magia che gli consente di conservarenel suo silenzio qualunque cosa abbia amato.

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# ru cerimoniereEro a casa di don Juan, a Sonora, e dormivo profon-

damente quando lui venne a svegliarmi. Ero rimasto al-zato quasi tutta Ia notte, a rimuginare sui coneetti chemi aveva illustrato.

"Hai riposato abbastarrza>> dichiard con fermezza,quasi bruscamente, mentre mi scuoteva per la spalla."Non indulgere nella sensazione della stanchezza. Pir)che stanchezza, il tuo d desiderio di non essere distur-bato. Tb la prendi se ti infastidiscono. Ma d essenzialeche tu esasperi questo aspetto fino a distruggerlo. An-diamo a camminare."

Don Juan aveva ragione. C'era una parte di me chedetestava in modo estremo essere disturbata. Awei vo-luto dormire per giorni e giorni e non pensare pii aiconcetti sciamanici di don Juan. Completamente controla mia volontd, mi alzai e Io seguii. Don Juan aveva pre-parato da mangiare. Divorai ogni cosa come se non toc-cassi nulla da giorni, poi uscimmo di casa e ci dirigem-

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CARLOS CAgTANEDA

mo a est, verso le montagne. Il mio stordimento era ta-le che non mi resi conto che era mattina presto frnch6non vidi il sole, appena al di sopra della catena montuo-sa orientale. Awei voluto raccontare a don Juan comeavessi dormito tutta la notte senza muovermi, ma lui mimise fretta. Stavamo per andare tra le montagne, mispiegb, in eerea di alcune piante.

"Che cosa ne farai delle piante che raccoglieremo, donJuan?" gli chiesi, non appena ci mettemmo in marcia.

.,Non sono per me> rispose con un sogghigno. "Sonoper un amico, botanico e farmacista. Le utilizza per pre-para.re pozioni."

..8 uno Yaqui, don Juan? Vive qui a Sonora?" domandai.

..No, non d uno Yaqui e non vive a Sonora. Prima opoi lo eonoscerai."

..E uno sciamano, don Juan?""Si" fu la secca risposta.Gli domandai allora se potevo raccogliere alcune pian-

te da far esaminare al Giardino Botanico dell'UCLA."Certo" replicd lui.Avevo gi), avuto modo di scoprire che dieendo..certo"

don Juan intendeva esattamente il contrario. Era evi-dente che non aveva intenzione di fornirmi dei campio-ni di piante. Incuriosito dal suo amico sciamano glichiesi di dirmi qualcosa di pin sul suo conto. Dove abi-tava? E come lo aveva conosciuto?

"Ehi ehi ehi!" fece don Juan, come si fa quando sivuole fermare un cavallo. "Fbrma! Fbrma! Chi sei? Ilprofessor Lorca? Hai in mente di studiare il suo siste-ma cognitivo?"

Intanto, ci inoltravamo sempre di pin tra le aridependici dei monti. Camminammo per ore e stavo co-minciando a pensare che il compito della giornata fossesemplicemente quello di camminare, quando don Juanfinalmente si fermd. Sedette su un pendio in ombra.

..0 tempo che tu dia inizio a uno dei pir) grandi pro-getti dello sciamanesimo>> annuncid a quel punto.

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IL AERIMONIERE

"E quale sarebbe questo progetto, don Juan?" feci io."Si chiama ricapitolazione. Per gli antichi sciamani

era la narcazione il,egli eaenti d,ello uita e, all'inizio, nonera che una semplice tecniea, uno stratagemma per nondimenticare cid che facevano e che insegnavano ai di-scepoli. Aveva la stessa funzione anche per questi ulti-mi: consentiva loro di ricordare quanto i maestri aveva-no detto e fatto. Fhrono necessari teruibili sconvolgi-menti sociali, ripetuti assoggettamenti e sconfitte, pri-ma che gli antichi sciamani capissero che quella tecnicaaveva effetti ben pir) vasti."

"fi riferisci alla conquista spagnola?""No" rispose don Juan. "Quella non fu che la ciliegi-

na sulla torta. Di sconvolgimenti ee ne furono molti, al-tri in precedenza, ben pii devastanti. All'arrivo deglispagnoli, i vecchi sciamani non esistevano pii e i disce-poli di quelli che erano soprawissuti si erano fatti cau-ti. Sapevano badare a se stessi. Ftr questa nuova gene-razione di sciamani a ribattezzare I'antiea teenica con ilnome di ricapit ol.azione.,,

"Per gli sciamani in generale, il tempo b di grandeimportanza" continub. "La sfrda che mi si propone stanel trasmetterti tutto cid che c'd da sapere sullo scia-manesimo in modo astratto e in un'unitd di tempo estre-mamente ridotta, ma per riuscirci, devo prima costrui-re dentro di te lo spazio necessario."

"Quale spazio? Di che cosa stai parlando, donJuan?"

"Il presupposto degli sciamani d che per introdurrequalcosa deve esserci lo spazio neeessario ad accoglierlo"mi spiegb. "Se sei pieno flno all'orlo di cose che riguarda-no la vita quotidiana, non rimane lo spazio per niente dinuovo. In questo caso, lo spazio va creato. Capisci che co-sa intendo? Gli sciamani dei tempi pir) remoti credevanoche fossa lari,capitolnzione della.vita a creare questo spa-zio.E cosi d, e molto di pii, naturalmente.

"Uapproccio scelto dagli sciamani per effettuare Ia

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CARLOS CASTANEDA

ricapitolazione d estremamente formale" continud."Consiste nello stendere un elenco di tutte le personeche hanno conoseiuto, risalendo frno agli inizi della lorovita. Una volta compilato I'eleneo, prendono la primapersona che vi compare e ricordano sul suo eonto quan-tg nit possibile. E intendo proprio tutto, ogni dettaglio.E meglio fare Ia ricapitolazione partendo dal presenteperch6 i ricordi del presente sono freschi e, in questomodo, si affinano Ie proprie capacith mnemoniche. Chipratica questa tecnica, lo fa tramite il ricordo e la re-spirazione. Inspira lentamente e coscientemente, muo-vendo la testa da destra a sinistra con un movimentoquasi impercettibile ed espira nello stesso modo."

Don Juan aggiunse poi che inspirazione ed espira-zione devono essere naturali. Se troppo rapide, si en-trava in una situazione che lui defrni di respiri faticosi:respiri a cui doveva necessariamente seguire una respi-razione normale per allentare la tensione museolare.

"Che uso vuoi che faccia di queste nozioni, donJuan?" domandai.

"Comincerai oggi a stendere il tuo elenco" mi disse."Scegli pure il criterio di divisione che preferisei, ma fa'in modo che sia sequenziale; deve iniziare con Ie perso-ne che hai conosciuto pii recentemente per frnire contuo padre e tua madre. Dopodich6, ricorda tutto quelloche puoi sul eonto di ciascuno di loro. Questo d tutto.Mentre esegui I'esereizio, capirai cid che stai facendo."

Durante la miavisita successiva dissi a don Juan cheavevo meticolosamente rivisitato tutti gli awenimentidella mia vita e che trovavo estremamente diffrcile ri-spettare la formula da lui indicatami e occuparrni a unaa una delle persone della lista. Di nonna, lasciavo chefosse la ricapitolazione aindicarmi lavia, che fossero glieventi a decidere la direzione del ricordo. Cid che facevoin modo deliberato era aderire a un'unitd generale ditempo. Per esempio, avevo cominciato con le personedella facoltd di antropologia, ma lasciai che fossero i ri-

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IL AENIMONIERE

cordi a trasportarmi a casaccio indietro nel tempo, finoal giorno in cui ero arrivato all'UCI-rA.

Raccontai a don Juan di una stranezza che mi torndin mente e che avevo completamente dimenticato: nonavevo neanche idea che I'UCLA esistesse, fino alla serain cui andai a prendere all'aeroporto la compagna distanza della mia ragazza, che all'UCI-iA awebbe stu-diato musicologia. Uaereo arrivd in prima serata e leimi chiese di accompagnarla al eampus, per dare un'oc-chiata al luogo in cui awebbe trascorso i suecessiviquattro anni. Anche se sapevo dove era il campus, datoche ero passato urr'infinith di volte davanti all'ingresso"su Sunset Boulevard mentre andavo alla spiaggia, nonvi ero mai entrato.

Tbtto cid accadeva durante le vacanze del semestre.I-re poche persone che incontrammo ci indicarono comearrivare alla facoltd di musicologla. n campus era de-serto, ma cid che vidi fu, dal mio punto di vista, la cosapii splendida in cui mi fossi imbattuto. Un-'autentica de-lizia per i miei occhi. GIi edifrci sembravano vivi e vi-branti di una loro particolare energia. Cib che era inizia-to come una visita superficiale e frettolosa si trasformdin un giro completo dell'intero campus. Mi innamoraidell'UCI-rA. A don Juan raccontai che I'unica cosa cheguastd la mia estasi fu I'irritazione della miaragazzada-vanti alla mia insistenzaper vedere tutto iI campus.

"Ma che diavolo pensi di trovarci?" aveva sbraitatolei. "Si direbbe che tu non sia mai stato in un campusuniversitario. Una volta che ne hai visto uno, li hai vistitutti. Io penso che tu stia semplicemente cercando diimpressionare la mia amica facendo sfoggio della tuasensibilitb."

Non era cosi e spiegai con foga come fossi genuina-mente impressionato dalla belfezza di quanto mi circon-dava. In quegli edifici percepivo speranze e promesse etuttavia non ero in grado di esprimere il mio stato sog-gettivo. "Ho passato a scuola quasi tutta la mia vita!"

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CARLOS CAgTANEDA

sibild la miaragazza tra i denti. "E sono stufa. Non c'dnulla da scoprire qui! Sono fandonie e le fandonie non tipreparano a far fronte alle responsabilitd della vita."

Quando accennai al mio desiderio di studiare li, si in-furid ancora di pii. "Tl'ovati un lavoro!" gridd. "Tbovatiun lavoro, organizzati una vita dalle otto alle cinque epiantala con le stronzate! I-,a vita b questa: un lavorodalle otto alle cinque, quaranta ore Ia settimana! Guar-dami... Io ormai sono superacculturata, eppure non so-no ancora pronta per un lavoro."

Ma tutto quello che sapevo era che non avevo mai vi-sto un posto piri bello. Promisi a me stesso che awei fre-quentato I'UCLA, a qualsiasi costo e in qualunque mo-do. Il mio era un clesiderio che mi riempiva completa-mente anche se non era il bisogno di una gratificazioneimmediata a spingermi. Rientrava piuttosto nel domi-nio di un timore reverente.

Raccontai a don Juan come I'imitazione della mia ra-gazza mi avesse turbato al punto da indurmi a guar-darla sotto una luce diversa. Per quanto rieordassi,quella era la prima volta che una discussione suscitavain me reazioni tanto violente. Colsi aspetti del suo ca-rattere che non avevo mai notato prima e che mi spa-ventarono a morte.

"Tbmo di averla giudicata in modo terribilmente ne-gativo" dissi a don Juan. "Dopo la visita al eampus, ciallontanammo sempre di pin. Era come se I'UCL,A sifosse insinuato tra noi come una sorta di cuneo. So ched stupido pensare in questo modo."

"Non Io d affatto" mi contraddisse lui. "La tua fu unareazione assolutamente valida. Sono certo che. mentrecamminavi per il campus, hai sperimentato un accesso diintento. Eri determinato a essere li e non potevi che ab-bandonare tutto cid che si opponeva ai tuo intento."

..Ma non eccedere" continud. "Il tocco dei guerrieri'-aiaggiatori d leggerissimo, bench6 raffinato. La mano dian guerrierc-uiaggiatore dalla stretta inizialmente ferrea

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IL OERITTONIENE

si trasforma nella mano di un fantasma, una mano fattadt garza. I.gtrcrrieri-uiaggiatori non lasciano tracce n6impronte. E questa la sfrda che gli viene proposta.,

I1 suo commento mi sprofondd in uno stato di cupaautocommiserazione: quel poco che avevo ricordato ba-stava a farmi capire che agivo in modo pesante, ossessi-vo e dominante. Gli parlai di queste mie riflessioni.

"Il potere della ricapitolaz,ione,, assenti don Juan, ..dche rimescola tutti i rifiuti di una vita e li porta in su-perficie."

Dopodich6 passd a illustrare le complessitd della con-sapeuol.ezza e della percez,iane,le basi della ricapitolazione.

Comincid eol dire che awebbe delineato uno schemadi concetti che in nessun caso awei dovuto considerareeome teorie sciamaniche, in quanto si trattava di unoschema formulato dagli sciamani dell'antico Messicocome risultato della loro capaciti di vedere I'energia di-rettamente cosi come fluisce nell'universo. Disse inoltreche mi awebbe illustrato le caratteristiche di quelloschema senza tentare di classificare i concetti o di cata-logarli in base a standard predeterminati.

"Le classificazioni non mi interessanoo prosegui."T\r, inveee, hai passato Ia vita intera a elassificare ognicosa. Ma ora sarai costretto a cambiare il tuo atteggia-mento. Ualtro giorno, quando ti ho chiesto che eosa sa-pevi delle nuvole, me ne hai fornito i nomi, nonch6 lapercentuale di umiditd che d lecito aspettarsi cla ogni ti-po. Hai parlato come un vero meteorologo, ma quandoti ho domandato se sapevi ehe cosa awesti potuto farepersonalmente eon Ie nuvole, non hai neppure capito diche eosa stessi parlando."

"Le classificazioni hanno un loro ambito, continud."Quando si comincia a classificare ogni eosa, la classifi-cazione prende vita e finisce per dominarci. Ma dato chele classificazioni non sono mai state fonti di energia, ri-marranno sempre soltanto aride elencazioni. Non sonoalberi, ma solo ceppi."

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CARLOS CASTANEDA

Mi spiegb che gli sciamani dell'antico Messico oede-

uano !''unive"*o .o*io'* da ca*pi di energia chen11-

"" i"-f".*a di filamenti luminosi' Ne aedeuano a m1-

liardi, ovunque ti .rnoiiuttt" o' Ueay,y,1-inoltre che que-

sti campi di energia si dispongono in correnti di frbre lu-

minose come flussi i"""*t""ii e forze perenni nell'uni-

verso e che iI not*o^Ji nlamenti legato alla ricapr'toLa'

ztone erastato da ei'i-Afitu"uto l'oscuro mare d'ella

"-onroPru olezza, e anche l' Aquil'rt'

Disse inoltre tnt q"tgfi sciamani avevano scoperto

come ogni .""utoti itri'-""i"t"so fosse collegata all'o-

sc'ttro rnare arm 'i*Jii'*':?.rn un p3njo tt",iq *

i"^i""-i a cne ait'entava visibile quando la creatura rn

questione veliva. percepita.come energia' Circa quel

punto di lumrnosrti, che essi avwano chiamato il punto

di unione, don Juil dis*e che lapercezione veniva tra-

sformata in unita da un aspetto misterioso dell'oscuro

mare d,ell'a cons aP eu olezza'Don Juan "--";;;;

; qtel.punto d'iunione degli es-

seri umani, mitia"ai ai .u*pi dienergia provenienti dal-

l'universo tutto sJto f;;; di frlamenti luminosi' con-

vergevano p"t puiuit"un"t*utlo' Qugsti campi di ener-

gia si conve"to"o.i" auii sensoriali' che a loro volta ven-

uono interpretatr i'*t**lt nel mondo cosi come noi Io

Ionosciamo' Mi spiegd inoltre ehe l'oscuro mare d'ella

consapeaol'ezaa t#iorrna Ie frbre luminose in dati sen-

soriali. GIi sciaml ni o'ta'ono questa trasformazione e la

definiscono tl bagliore d'ella consapeuol'ezzaz una cortina

Iuminosa che si ;;;;Jt t"m: u'' alone intorno alpun'

to d,i union'' fft 'fi*"-"ft"

t"t "ry:*:

che stava per fare

urt'afferma'iontlttt'-aal punto di vista dello sciamane-

simo, era essenziale per la comprensione del campo d'a-

zione della ricaPitolazione'Ponendo g'u"At ""fusi

sulle sue parole' disse *:1:

che negli o"gu"it*i chiamiamo \ senst" altro non sono

che gradi ai "o*up"*f"'za'

Se accettassimo che i semst'

sono I'osc'u ,o *o'i d'ella consapeaolezza' continub' do-

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IL CERIMONIENE

wemmo ammettere che I'interpretazione dei dati senso-riali fatta dai sensi 0 anch'essa l'oscuro mare d,elLa con-sapeuoleaza. Mi spiegd in modo dettagliato che affron-tare il mondo circostante nei termini in cui lo facciamod il risultato del sistema di interpretazione di cui ogniessere umano d dotato. Ogni organismo deve avere unsistema di interpretazione che gli permetta di agire nel-I'ambiente con cui b in relazione.

"Gli sciamani venuti dopo gli apocalittici sconvolgi-menti di cui ti ho parlato" continud, .4)edeaano come, almomento della mode,l'oscu,ro mare della consa,peuolez-ao aspirasse, per cosi dire, attraverso llpunto diunione,la consapevolezza delle creature viventi. Vedeuano inol-tre che l'oscurl mare della consapeuolezza aveva, dicia-mo, un momento di esitazione quando si eonfrontavacon sciamani che avevano fatto una ricapitolazione del-la propria vita. Anche senza saperlo, alcuni I'avevanofatta in maniera cosi esaustiva che l'oscuro mare d,ellaconsapeuol,ezza, prrr prendendo la loro consapevolezzanella forma delle loro esperienze di vita, non ne intacca-valaforza vitale. Gli sciamani avevano scoperto un'im-mensa veritd sulle forze dell'universo: l'oscuro mare del-la consapeuokzza mole solo le nostre esperienze di vita,non la nostra forza vitale.o

Le premesse delle spiegazioni di don Juan appariva-no incomprensibili. O forse sarebbe pir) esatto dire cheero eonfusamente anche se profondamente conscio diquanto funzionali fossero.

"Secondo gli sciamani, con La ricapitolnzi,o,ne portia-mo in superficie tutti i rifruti della nostra esistenzaoprosegui. "Prendiamo coscienza delle nostre incoerenze,delle nostre ripetizioni, ma qualcosa in noi oppone unafortissima resistenza a questo processo. Gli sciamanisostengono che la strada d libera solo dopo un immanesconvolgimento; dopo la comparsa sul nostro schermodel ricordo di un evento che scuota le fondamenta delnostro essere. con la sua terrificante chiarezza di detta-

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CARLOS CASTANEDA

gli. D I'evento che ci riporta a tutti gli effetti al momen-to in cui lo abbiamo vissuto. Gli sciamani lo definisconoiL cerimoniere pereh6, da quel momento in poi, ogni av-venimento che prendiamo in considerazione viene rivis-suto e non semplicemente ricordato.

"Camminare d un modo infallibile per riwegliare i ri-cordi,' disse ancora don Juan. "Gli antichi sciamani cre-devano che tutte le esperienze di vita vengano imma-gazzinate sotto forma di sensazioni nella parte poste-riore delle gambe. E li che si eonserva la storia perso-nale di un uomo. E ora mettiamoci in cammino." Cam-minammo fin quasi al crepuscolo.

"Credo che ora basti,, disse don Juan quando ripren-demmo la via del ritorno. "Ora sei pronto a iniziare lapratica magica che consiste nel trovare un cerimoniere,un evento della tuavita che ricorderai con tale chiarez-za dapoterlo :utrlwzare come un riflettore per illumina-re, con analoga ehiarezza, ogni altro aspetto della tuaricapitolazione.Farai cid che gli sciamani chiamano ri-capitolazione ilelle tessere d,i un puzzln. Qualcosa ti por-terb a ricordare I'evento che fungerd" da cerimoniere.,,

Poi si congedd con un ultimo ammonimento."Impegnati aI massimo" mi disse. "Fh'del tuo meglio."Per un momento rimasi completamente zitto, forse a

causa del silenzio che mi circondava. Sentii poi una vi-brazione, una sorta di scossa al petto. Avevo difficol0 arespirare ma improwisamente qualcosa nel mio petto siapri per consentirmi di inspirare profondamente. Nellostesso istante, mi venne in mente un episodio dimenti-cato della mia infanzia, come se solo allora fosse statoIiberato dopo una lunga prigionia.

Ero nello studio di mio nonno e giocavo abiliardo conlui. Avevo quasi nove anni. Il nonno era un abile gioca-tore e mi aveva compulsivamente insegnato tutte lemosse che conosceva, fino a farmi diventare un a\ryer-sario degno di lui. Dedicavamo moltissime ore al biliar-do e divenni cosi padrone del gioco che un giorno scon-

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IL AENIMONIERE

frssi il nonno. Da quel giorno, non riusci pir) a vincere.Spesso perdevo apposta, tanto per essere gentile, ma luifiniva sempre per capirlo e allora si infuriava. Una vol-ta, se la prese al punto da colpirmi in testa con la stee-ca. Con suo grande sgomento e delizia, a nove anni eroormai in grado di fare una carambola dietro I'altra. Lafrustrazione del nonno crebbe al punto che in una occa-sione scaraventd a terra la sua stessa stecea dicendomidi giocare da solo. La mia natura compulsiva faceva siche mi sentissi perfettamente a mio agio nel gareggiarecon me stesso ed ero capace di esercitarmi in un tiro fi-no a raggiungere la perfezione.

Un giorno, il proprietario di una sala da biliardo ven-ne a trovare il nonno. Era un uomo conoseiuto in cittdper i suoi agganci col mondo del gioco d'azzardo. I dueuomini stavano parlando e giocando a biliardo quandoentrai nella stanza. Fbci per ritirarmi, ma il nonno fupronto ad afferrarmi e a trascinarmi dentro.

"Questo b mio nipote" disse al suo ospite."Fblice di conoscerti" replicd quello. Mi guardd con

serietd, quindi mi tese la mano, grande due volte quelladi un uomo normale. Ero terrorizzato e la sua tonanterisata mi disse che era perfettamente consapevole del-I'effetto che esercitava su di me. Disse di chiamarsi Fb-lelo Quiroga e, in risposta, balbettai il mio nome.

X'blelo era alto ed elegantissimo. Quel giorno indossa-va un doppiopetto in gessato blu con i pantaloni dalla li-nea impeccabilmente affusolata. Doveva avere superatoda poco i cinquanta, ma era in perfetta forma, fatta ec-cezione per il ventre leggermente prominente. Non eragrasso; piuttosto, aveva l'aspetto di un uomo ben nutritoe in grado di soddisfare tutte le sue necessitd. Nella miacittd c'era tanta gente che soffoiva Ia fame, gente che la-vorava sodo per guadagnarsi da vivere e non aveva tem-po per le raffinatezze.Fhlelo Quiroga dava I'impressioneesattamente contraria; tutto in lui suggeriva un uomoche aveva tempo solo per le raffinatezze.

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CARLOS CASTANEDA

Grader,'ole, con il viso ben rasato e occhi aznxrr dal-I'espressione gentile, aveva I'aspetto e la sieurezza di unmedico. In cittd molti dicevano che era bravissirno a met-tere gli altri a proprio agio e che awebbe dor,rrto fare ilprete, I'awoeato o il medico, invece che il giocatore. Di-cevano anche che col gioco guadagnava pit di quantoguadagnassero tutti i medici e gli awocati della cittd.

Quiroga eercava di nascondere I'incipiente caMzieriportando sulla fronte i capelli neri, ben pettinati. Ave-va la mascella quadrata e un sorriso accattivante; igrandi denti bianchi, perfettamente curati, costituivanoun'eccezione in una zona in cui i problemi odontoiatriciassumevano dimensioni monumentali. Di lui mi colpi-rono anche i piedi enormi e le scarpe di pelle nera cuci-te a mano. Abituato allo scricchiolio che sempre annun-ciava I'arrivo del nonno, mi stupi constatare che le suescarpe non faeevano alcun rumore mentre camminavaavanti e indietro.

"Mio nipote gioca bene a biliardo" disse il nonno confare noncurante. "Mi piacerebbe vederlo giocare con te.,

"Questo bambino gioca a biliardo?' si stupi Quirogacon una risata.

"Proprio cosi. Owiamente non bene come te, Fblelo.Perch6 non Io metti alla prova? Per rendere il gioco pitinteressante e perch6 lui non abbia la sensazione di ve-nire trattato con condiscenderza, potremmo piazzateuna piccola scommessa.>>

Con un sorriso quasi di sfida, posb sul tavolo un fa-scio di banconote accartocciate.

"Santo cielo. Cosi tanto, eh?" fece tr'hlelo, guardan-domi con aria interrogativa. Poi apri il portafoglio e neestrasse alcuni biglietti accuratamente ripiegati. Anchequel particolare mi sorprese. Mio nonno aveva I'abitu-dine di cacciare il denaro in tutte le tasche e, quando do-veva pagare qualcosa, doveva lisciare i biglietti per po-terli contare.

Fblelo Quiroga non lo disse, ma io sapevo che in quel

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IL AEBIMONIERE

momento si sentiva una specie di rapinatore. Sorrise alnonno e, eerto per rispetto nei suoi confronti, posd iI de-naro sul tavolo. Il nonno, che fungeva da arbitro, stabiliil numero di carambole, quindi lancid in aria una mone-ta. Tbccd a Fblelo cominciare.

"Fbrai bene a impegnarti al massimo" lo sollecitb ilnonno. "Non farti scrupoli ad annientare questo scioc-chino, se lrroi intascare i miei soldi!"

Seguendo il suo consiglio, Fhlelo Quiroga giocd conimpegno, ma a un certo punto mancd per un soffio unacarambola. lbccd a me prendere la stecea. Ero sicuroche sarei svenuto, ma la gioia del nonno (che stava sal-tando su e gir)) mi calmd almeno quanto mi irritd vede-re Quiroga scoppiare a ridere quando impugnai la stec-ca. Data la mia altezza, non potevo protendermi sul ta-volo, ma il nonno, con pazienza e determinazione scru-polose, mi aveva insegnato una posizione alternativa: iIbraccio teso per tutta la sua lunghezza ela stecca leg-germente solievata rispetto alla spalla.

"Come fa quando deve arrivare al centro del tavolo?ovolle sapere Fhlelo Quiroga, senza smettere di ridere.

"Sale sul bordo" replicd il nonno senza scomporsi. ,.0permesso, sai." Poi mi si ar,vicind e, parlando tra i den-ti, sibild che se avessi perso per cortesia, mi awebbespaccato tutte le stecche sulla testa. Sapevo ehe nonparlava sul serio; era solo il suo modo per esprimere lafiducia che aveva in me. Vinsi senza difficoltb. II nonnone fu entusiasta e, abbastanza stranamente, lo fu ancheFhlelo Quiroga. Rise mentre girava intorno al tavolomenando grandi pacche ai bordi. Il nonno mi portd allestelle; riveld all'amico il mio colpo migliore e, seherzan-do, disse che la mia abilitd era merito suo, che aveva sa-puto individuare l'esca giusta: caffd e pasticcini.

"Non dirmelo, non dirmelo!" continuava a ripetereQuiroga. Finalmente si congedd. Il nonno intascb i soldidella vincita e I'episodio fu dimenticato. Il nonno avevapromesso di portarmi a festeggiare nel ristorante miElio-

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re della cittd, ma non lo fece mai. Era molto tirchio e di luisi sape;va che spendeva con generositd solo con le donne.

Un paio di giorni pir) tardi, all'uscita da scuola, fuiabbordato da due tizi enormi, uomini di Quiroga.

"lblelo Quiroga mol vederti" mi informb uno di lorocon voce gutturale.

"Vuole che tu vada a casa sua per un caffd e pasticcini."Se non avesse pronunciato quella frase, probabil-

mente me la sarei data a gambe, ma ricordavo che ilnonno aveva parlato a Quiroga della mia sviscerata pas-sione per il caffd con i pasticcini, cosi non esitai a se-guirli. E dato che non riuscivo a camminare abbastan-zainfretla, uno di loro, che rispondeva al nome di Guil-Iermo Fhlc6n, flni col prendermi in braccio. Rise mo-strando una chiostra di denti storti.

.Goditi la passeggiata, ragazzo" disse. II suo alitoptzzava. "Mai stato portato in braccio da nessuno? Di-rei di no, a giudicare da come ti dimeni.' Ed esplose inuna risata.

Fbrtunatamente, Fblelo Quiroga non abitava lonta-no dalla scuola. Il signor Fblc6n mi depositb su un diva-no di un ufficio. Quiroga sedeva a un'enorme scrivania.Al mio arrivo si alzd per stringermi Ia mano. Fbce subi-to portare caffd con dei pasticcini deliziosi e comin-ciammo a chiacchierare amabilmente dell'allevamentodi polli di mio nonno. Quando mi chiese se volevo altridolci, risposi che non mi sarebbe dispiaciuto. Allora ri-se e usci per andare a prendere un intero vassoio di pa-sticcini incredibilmente squisiti.

Quando mi fui ingozzato a sufficienza, Quiroga michiese se quella sera ero disposto a giocare un paio dipartite amichevoli con persone di sua eonoscenza. Sa-rebbe circolato parecchio denaro, aggiunse con farenoneurante e, dopo aver espresso la sua fiducia nellemie capacitb, si disse pronto a pa,ssarmi una percentua-le sulle vincite. Naturalmente disse di sapere come lapensava la mia famiglia: i miei non awebbero giudicato

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IL CERILTONIENE

eonveniente che io accettassi denaro da lui, anche se sitrattava di denaro guadagnato. Lo awebbe depositatoin banca su un conto speciale o, se preferivo, awebbepagato tutti gli acquisti che avessi fatto nei negozi del-la cittd e il cibo che avessi consumato nei ristoranti.

Non credetti a una parola di cid che disse. Sapevoche Fblelo Quiroga era un ladro e uno strozzino, ma I'i-dea di giocare a biliardo con degli sconosciuti mi attira-va e finimmo per arrivare a un accordo.

"Mi offrird di nuovo il caffd e i pasticcini come oggi?"volli sapere. "Ma certo, ragazzo mio" rispose lui. "Segiocherai per me, ti comprerd I'intero forno! Fhrd in mo-do che il fornaio prepari i suoi dolci solo per te. Hai lamia parola."

Aquel punto gli spiegai che I'unico ostacolo era il fat-to che non potevo uscire di casa. Avevo troppe zie che misorvegliavano come falchi e, come se non bastasse, lamia camera era al secondo piano.

"Non c'd problema" mi assicurd Quiroga. .Sei moltopiccolo e il signor Fhlc6n non awi difficolth a prender-ti se salti dalla frnestra. D g"osso come una easa! Uuni-co consiglio che ti do d di andare a letto presto. Sard ilsignor Fblc6n a svegliarti fischiando e gettando qualchesassolino contro la tua finestra. Non farlo aspettaretroppo, perd! E un tipo impaziente."

Ttrrnai a casa fuori di me per l'eccitazione. Quella se-ra non riuscii a prendere sonno ed ero weglio quando sen-tii il fischio del signor Fhlc6n e il rumore dei sassolini con-tro il vetro. Aprii la finestra; lui era proprio li sotto.

"Saltami in braccio, ragazzo>> disse con una voce rau-ca che tentava inutilmente di modulare in un sussurro."Se non miri giusto, ti lascerd cadere e morirai. Ricor-datelo e non farmi correre di qua e di ld. Fbi in modo dicadermi proprio fra le braccia. Salta!" Saltai e lui miprese con la stessa facilitd di chi prende una balla di co-tone. Quindi mi mise a terra e mi disse di correre. Datoche mi ero appena svegliato da un sonno profondo,

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spiegb, bisognava che corressi se volevo arrivare com-pletamente weglio aIIa sala da biliardo'

Quella notte mi cimentai in un paio di partite e levinsi entrambe. Mi vennero offerti il caffd e i pasticcinipir) squisiti che si possano immaginare' Ero al settimoLiulo. qouttdo tornai a casa, verso Ie sette del mattino,nessuno si era accorto della mia assenza ed era ormaiora di andare a scuola. Insomma, era tutto normale,non fosse che faticai a tenere gli occhi aperti per tutto ilgiorno. Ero esausto.

Da allora, !.bielo Quiroga mandd il signor Fhlc6n aprendermi due o tre volte la settimana e io vinsi tutte lepartite che giocai. Quanto a lui, fedele alla promessaiatta, pagava le mie spese' in particolare i pasti chequasi ogtl giorno consumavo nel mio ristorante cinesepreferito. A volte invitavo i miei amici e mi divertivo amortifrcarli dandomela a gambe non appena veniva pre-sentato il conto. Non fini\'ano di stupirsi del fatto che iproprietari del locale non chiamassero la polizia'- il rr..o cimento, per me' era il dovermela vedere conIe speranze e Ie aspettative di quelli che scommettevanosulla mia vittoria. La prova pir) dura la affrontai quan-do un famoso giocatore di una cittb vicina sfidd FbleloQuiroga per una eifra enorme. Ira serata comincib sot-tl i peggiori auspici. II nonno si era ammalato e non riu-sciva i-aormire. Lintera famiglia era in subbuglio esembrava che nessuno avesse in mente di andare a let-to. Dubitavo di riuscire a sgattaiolare fuori, ma i fischie il lancio dei sassolini del signor trblc6n furono cosi in-sistenti ehe decisi di correre il rischio e ancora unavol-ta saltai daila finestra per atterrare fra le sue braccia'

Sembrava che tutti gli uomini della cittd si fosseroriuniti nella sala da biliardo. Volti angosciati mi suppli-cavano silenziosamente di non perdere. Alcuni mi disse-ro di aver scommesso su di me Ia casa e tutti i loro ave-ri. Scherzando solo a metd, un tizio mi riveld di averscommesso sua moglie; se non avessivinto, prima che la

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IL CERIMONIDNE

notte finisse, sarebbe diventato un cornuto o un assas-sino. Non specificd se avesse in mente di uccidere Ia mo-glie o me, se perdevo.

trhlelo Quiroga eamminat'a ner"vosamente avanti eindietro. Per farmi giocare nelle condizioni migliori,aveva addirittura ingaggiato un massaggiatore. Questimi posd alcuni asciugamani caldi sulle braccia e sui pol-si e degli altri, freddi, sulla fronte. Mi infrld ai piedi lescarpe pir) comode e morbide ehe avessi mai portato,con un supporto plantare e tacchi alla militare. FbleloQuiroga mi diede anche un berretto, perch6 i capelli nonmi cadessero sugli occhi, e un paio di pantaloni larghicon una cintura.

Metd delle persone radunate intorno al tavolo prove-nivano da un'altra citti. NIi guardavano con odio, eo-municandomi la sgradevole sensazione che sarebberostati felici di vedermi morto.

trhlelo Quiroga gettd una moneta in aria per stabili-re l'ordine di gioco. Il mio awersario era un brasilianodi origine einese, giovane, con ia face\a rotonda, tuttoazzimato e molto sicuro di s6. Tbccd a lui comineiare eriusci a fare un numero eccezionale di carambole. Il co-lore del viso di Quiroga suggeriva che stava per avere unattacco cardiaco, come quelli che avevano scommessoogni cosa su di me.

Giocai molto bene quella sera e, a mano a mano chemi awicinavo al numero di carambole segnato dal miorivale, l'eccitazione degli scommettitori cresceva. FaleloQuiroga era il pir) agitato di tutti. Sbraitava senza so-sta e pretese perfino che qualcuno aprisse le finestreperch6 il fumo delle sigarette rendeva I'aria irrespirabi-le per me. Poi volle che il massaggiatore mi lavorassebraccia e spalle. Alla fine li feci smettere e in fretta e fu-ria feci le otto carambole neeessarie per strappare iavit-toria. Ueuforia di quelli che avevano scommesso su dime raggiunse livelli indescrivibili. Per quanto mi ri-guardava, quasi non me ne accorsi; era gi) mattina e

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CARLOS CASTANEDA

dovettero portarmi a casa il pii velocemente possibile.Quel giorno mi gravb addosso una stanchezza ab\s-

sale. Molto eortesemente, tr'h,lelo Quiroga mi lascid tran-quillo per un--intera settimana, ma un pomeriggio trovaiil signor Fblc6n fuori della scuola. Alla sala da gioco,trovai Fblelo Quiroga. Era serissimo e non mi offri ilcaffd con i pasticcini. Invece, feee uscire tutti dalla stan-za e andb diritto al punto. Spinse la sua sedia vicino ame. "Ho depositato in banca un sacco di soldi a tuo no-me" comincid in tono solenne. ..Come vedi, sono un uo-mo che mantiene le promesse. Hai la mia parola cheawd sempre cura di te. Ora, se farai quello che sto perdirti, guadagnerai talmente tanto che potrai fare a me-no di lavorare per tutta la vita. Voglio che tu perda laprossima partita per una carambola. So che puoi farce-la. Ma dowai perdere per un soffio. Pii drammaticarenderai la partita, meglio sarb.,'

Io ero sconcertato. Non riuscivo a capire che cosa in-tendesse. Fblelo Quiroga ripet6 la sua richiesta e mispiegd che contava di scommettere anonimamente con-tro di me tutti i suoi averi.

"Il signor Fhlc6n ti sorveglia da mesi', concluse..,Non ho dovuto far altro che dirgli di usare la sua forzaper proteggerti, ma potrebbe fare altrettanto bene ilcontrario.r'

La minaccia non awebbe potuto essere pit chiara edi sicuro lesse sul mio viso il terrore, perch6 scoppid aridere e parve piil rilassato.

..Ma non devi preoccuparti" volle rassicurarmi. ..Noidue siamo fratelli." Era Ia prima volta che mi trovavo inuna situazione insostenibile. Desideravo con tutte lemie forze fuggire da Fblelo Quiroga e dalla paura che misuscitava, ma al tempo stesso e, altrettanto intensa-mente, volevo restare. Volevo la possibilitd, di compraretutto quello che volevo nei negozi della cittd,, e, soprat-tutto, di poter mangiare in qualunque ristorante voles-si, senza pagare. Ma non fui costretto a scegliere.

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IL CERIMONIERE

Del tutto inaspettatamente, almeno per me, il nonnosi trasferi in urt'altra zona della cittd, molto distante.Quasi sapesse quello che stava accadendo, volle che mi re-cassi nella nuova casa prima di tutti gli altri componentidella famiglia. Dubito che sapesse dawero qualcosa; pro-babilmente agi spinto da una delle sue solite intuizioni.

Il ritorno di don Juan mi strappd ai miei ricordi.Avevo perso la cognizione del tempo ma, traboccante diun-'energia irrequieta, non avevo affatto appetito. DonJuan accese una lampada a cherosene e la appese a unchiodo conficcato nella parete. La luce fioca proiettavanella stanzabizzarre ombre danzanti. I miei occhi im-piegarono qualche istante ad abituarsi alla semioscu-ritd. Allora, sprofondai in uno stato di profonda tristez-za. Era una sensazione stranamente distaccata, unasofta di nostalgia che nasceva dalla penombra o forsedall'impressione di essere in trappola. Ero talmentestanco che awei voluto andarmene, ma al tempo stessoe con la stessa intensitd, volevo restare. La voce di donJuan mi restitui almeno in parte il controllo. Sembravaconoscere iI motivo e la profonditd del mio disagio eparld con toni adatti alla circostarwa. La sua severitdmi aiutd a riacquistare il dominio su uno stato cheawebbe potuto trasformarsi facilmente in una reazioneisterica alla fatica e alla stimolazione mentale.

"Per gli seiamani, raccontare gli awenimenti d unapratica magica" mi disse.

"Non si tratta semplicemente di narrare delle storie,bensi di aed,ere la trama che sta al di sotto degli eventi.Ecco perch6 questa pratica ha un'importanza e un si-gnificato tanto vasti."

Dietro sua richiesta gli raccontai cid che avevo rieor-dato.

"Molto appropriato', commentd lui con una risatina."Lunica osservazione che posso fare d che i guerrieri-uiaggiatod seguono la corrente. Yanno in qualunqueIuogo I'impulso li conduca. Il loro potere sta nello stare

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CAN,LOS CASTANEDA

all'erta, nell'ottenere il massimo effetto dal minimo im-pulso e, soprattutto, sta nel non interferire. Gli aweni-menti hanno un'energia, una forza di gravitd propria ei viaggiatori sono semplici viaggiatori. T[tto cid che licirconda d destinato solo ai loro occhi. In questo modo,elaborano il significato di ogni situazione, senza maichiedersi perch6 si sia verifrcata secondo questa o quel-la modalitd."

"Oggl hai ricordato un awenimento che riassumetutta la tua vitu seguitd.

"fi trovi sempre davanti a una situazione identica aquella che non hai mai risolto. Non hai mai dor,rrto real-mente decidere se accettare I'ambiguo patto di FbleloQuiroga o rifiutarlo. Uinfinito ci mette costantementenella terribile condizione di dover scegliere. Noi voglia-mo I' infinito ) ma nello stesso tempo vogliamo fu ggire daesso. T\r hai una gran voglia di mandarmi al diavolo, macontemporaneamente sei costretto a restare. Sarebbeinfinitamente pii facile per te essere sernplicemente co-stretto a restare.>'

ffi {ilte.razTone dell'energiaall'oriz zolnte

Lanitidezza del arirnoniere conferi un nuovo slancioalla mia ricapitolnzione. subentrd un nuovo stato d,ani-mo e cominciai a ricordare con sorprendente eliarezza.Era come se, fino a quel momento, clentro d.i me ci fossestata una barriera che mi confinava, in un rimbo di ricor-di vaghi e informi, ma i cerimaniere l,aveva abbattuta. Inprecedenza, I'uso della memoria significava per me soloun modo alquanto vago di collegarsi agli awenimentipassati e quasi sempre desideravo soprattutto dimentica_re. In sostanza, non avevo alcun interesse a ricordare ilmio passato e, di conseguenza, non vedevo alcuna utilitbin quel futile esercizio di rica1titolnzione chedon Juan miaveva imposto. Questa pratica mi stancava molto rapida_mente e mi sembrava che servisse soltanto a sottolinearela mia scarsa capacitd di eoncentrazione._ Nondimeno, avevo rigorosamente redatto gli elenchidi persone e mi ero impegnato nel tentativo di ..quasi_ri_

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CARLOS CASTANEDA

cordare,) le mie interazioni con esse. I-.,a mia evidente in-capacitd di metterle bene a fuoco non bastd a dissua-dermi. Fbci cib che pensavo fosse il mio dovere, indipen-dentemente dai sentimenti che provavo. Con la pratica,i ricordi cominciarono a farsi straordinariamente vividi;divenni, per cosi dire, capace di immergermi negli awe-nimenti eon una acatezza che era a un tempo spavento-sa e gratificante. Dopo che don Juan mi ebbe illustratoil concetto del cerimoniere, nondimeno, tale capacith'crebbe in maniera assolutamente incalcolabile.

Il fatto di seguire un elenco rendeva la ricapitolazio-ne estremamente formale, proprio come voleva donJuan. Ma di tanto in tanto qualcosa in me si allentava,portandomi a esaminare awenimenti che esulavano dalmio elenco. La loro n\tidezza era tale che sprofondavoletteralmente in essi, forse perfrno pit intensamente diquando li avevo effettivamente vissuti.

Ogni volta che ricapitolnuo in questo modo, subentra-va una punta di distacco che mi permetteva di cogliereaspetti che avevo ignorato e sottovalutato, quando mi eroeffettivamente trovato prigioniero nella loro stretta.

La prima volta in cui un ricordo mi scosse fin nelprofondo fu al termine di una cotrferenza che avevo tenu-to in un college dell'Oregon. Gli studenti incaricati del-l'organtzzazione mi accompagnarono' insieme a un mioamico antropologo, nella casa in cui awemmo passato lanotte. Mi ero riproposto di alloggiare in un motel, ma lo-ro avevano insistito per quella sistemazione, sostenendoche saremmo stati piir comodi. La casa, dissero, era incampagrra e non c'erano mmori molesti. Era il posto pir)tranquillo del mondo, senza telefono n6 interferenzeesterne. Scioccamente, finii per acconsentire. Don Juannon si era accontentato di invitarmi a privilegiare la soli-tudine, ma aveva preteso che io seguissi il suo consiglio'Quasi sempre lo facevo, ma e'erano occasioni in cui la mianatura socievole prendeva il soprawento.

Il comitato ci condusse in una casa piuttosto distan-

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L'INTERA?IONE DELL'E NE RGIA ALIJ 'ORIZZONTE

te da Portland, di un professore che aveva preso il suoanno sabbatico. Molto rapidamente gli studenti aceese-ro le luci della casa, ehe era costmita su una collina ecircondata da riflettori. Quando erano accesi, I'edificiodoveva essere visibile a parecchi chilometri di distanza.

Dopodich6 se ne andarono in tutta fretta, lasciando-mi piuttosto sorpreso perch6 avevo creduto che si sa-rebbero fermati a parlare. La casa, tutta in legno, era aforma di A, piccola ma ben costruita. Aveva un soggior-no enorme e un soppalco adibito a camera da letto. So-pra di esso, all'apice della A, un crocifisso a grandezzanaturale pendeva da uno strano cardine rotante cheperforava la testa del Cristo. Thtti i faretti montati sul-le pareti erano puntati su di esso. La scultura mobile co-stituiva uno spettacolo abbastanza impressionante, so-prattutto quando ruotava su se stessa cigolando. Ancheil bagno era piuttosto strano. Illuminato da lampaderossastre, era interamente rivestito di mattonelle aspecchio e non c'era modo di aggirarsi per il bagno sen-zavedere il proprio riflesso da ogni angolazione possibi-le. Ero affascinato dalle insolite caratteristiche della ca-sa, ma quando arrivd iI momento di andare a dormiremi trovai di fronte a un serio problema. C'era solo unletto, stretto, duro, decisamente monastico e il mio ami-co antropologo era a un passo dalla polmonite, starnu-tiva e sputava eatarro a ogni colpo di tosse. Ci si buttdsopra e crolld addormentato. Quanto a me, cercai senzarisultati una sistemazione accettabile. I-,ia casa era spo-glia e per di pir) fredda. Gli studenti avevano aeceso leluci, ma non il riscaldamento. Lo cercai inutilmente, co-me altrettanto inutilmente cercai gli interruttori cheazionavano i faretti e le altre luci. Per essere pii preci-so, li trovai, dato che erano regolarmente montati sullepareti, ma evidentemente il loro funzionamento dipen-deva da un interruttore eentrale, a me inaccessibile. In-somma, non riuscii a spegnere le luci.

Uunica possibile alternativa al letto era un sottile

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CARLOSI CASTANED.I

tappeto e la sola coperta che trovai fu la pelle conciatadi un grosso cane barbone, probabilmente il beniaminodi casa che, dopo la morte, era stato imbalsamato. Ave-va lucenti occhietti neri e la lingua che penzolava dallabocca aperta. Mi drappeggiai addosso la pelle, tirando.mi sul collo la parte posteriore. Sfortunatamente, e inmodo alquanto sconvolgente, la testa continuava a sbat-tere contro le mie ginocchia! Al buio, la cosa sarebbestata pir) accettabile, ma le luci erano tutte accese. Conuna manciata di strofinacci da cucina improwisai uncuscino e ne usai degli altri per coprire il pii possibile Iapelle del cane barbone. Quella notte non dormii.

Fh mentre giacevo sul mio scomodo giaciglio, dandomidello stupido per non aver seguito i consigli di don Juan,che sperimentai il primo ricordo intensamente vivido dei-Ia mia intera vita. Avevo rammentato con uguale luciditdI'evento che don Juan aveva definito tlcerimoniere,madasempre tendevo a sottovalutare cib che mi accadeva quan-do ero con lui, in base al presupposto che in sua presenzatutto era possibile. Ma questa volta ero solo.

Anni prima di conoscere don Juan, lavoravo comepittore di insegne. II mio principale, I-,uigi Palma, ungiorno fu incarieato di dipingere I'insegtra di un negozioche vendeva e noleggiava abiti da sposa e smoking, sulmuro posteriore di un vecchio edificio. Il proprietariovoleva qualcosa che catturasse l'attenzione dei clienti.Iruigi awebbe dipinto due sposi, mentre io mi sarei oc-cupato delle lettere. Salimmo sul tetto piatto dello sta-bile e montammo un'impalcatura.

Anche se avevo dipinto dozzine di insegne su edifrcimolto pir) alti, quel giorno mi sentivo stranamente an-sioso. Luigi pensava che cominciassi ad avere paura del-l'altezza, ma era certo che I'awei superata in poco tem-po. Quando arrivd il momento di iniziare iI lavoro, calbla piattaforma fino a portarla a poca distanza dal tettoe ci saltb sopra. Io lo imitai, facendomi da parte per nonintralciarlo. Uartista era lui.

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I, ' I N T E RAZ I 0 N E D I ] I I IJ ' E N E RG IA A L L ' 0 RI Z Z O N T E

I-,iuigi comincid a esibirsi. Dipingeva con movimenti co-si conr,rrlsi e irregolari che la piattaforma ondeggiavaavanti e indietro. Ben presto la testa comincib a girarmi.Volli tornare sul tetto, col pretesto che avevo bisogno divernice e di qualche altro attrezzo. Mi aggrappai al corni-eione e feci per issarmi, ma la punta delle mie scarpe finitra le assi della piattaforma. Inutilmente cercai di spin-gerlaverso il muro: pii tiravo, pii la piattaforma si allon-tanava. Invece di aiutarmi, I-ruigi cadde seduto e si ag-grappd alle corde che legavano la piattaforma al tetto. Lovidi farsi il segno della croce mentre mi guardava con or-rore. Poi si inginocchid e, piangendo, comincid a recitareil Padre nostro. Io mi tenevo aggrappato al cornicione; adarmi la forza di resistere era la certezza che, una voltariacquistato il controllo, non awei avuto diffrcolti a trat-tenere la piattaforma. Non avevo nessuna intenzione dimollare la presa e di precipitare per tredici piani. Luigi,autentico maestro nell'arte del delegare, mi gridd, tra IeIacrime, di pregare. Saremmo caduti entrambi, giurd, e ilmeno che potessimo fare era pregare per la salvezza dellenostre anime. Per un momento indugiai a riflettere sullafunzionalitd della preghiera, poi optai per gridare aiuto.Qualcuno nelpa)azzo mi senti e chiamb i

"igrli del fuoco.Mi sembrd che passassero solo due o tre secondi prima chei pompieri arrivassero sul tetto e ci portassero al sicuro.

In realt)", ero rimasto sospeso in aria per almeno ven-ti minuti. Quando i vigiti del fuoco mi issarono sul tet-to, ero fuori di me. Vomitai per la paura e per I'odore in-sostenibile del catrame fuso. Era una giornata caldissi-ma e nelle fessure del materiale di coperbura del tetto ileatrame si era liquefatto. Uesperienza era stata cos)spaventosa e imbarazzante che non ei tenevo affatto aricordarla e nel delirio immaginai che i vigili mi avesse-ro sistemato in una caida camera gialla, adagiandomisu un letto incredibilmente comodo, dove mi ero addor-mentato pacifrcamente, con indosso il mio pigiama, sal-vo e lontano da ogni pericolo.

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CARLOS CASTANEDA

Anche il secondo ricordo fu una sorta di esplosione diforza ineommensurabile. Stavo chiacchierando con ungruppo di amici quando, senza aleun motivo apparente,mi ritrovai senza fiato, travolto da un pensiero, un ri-cordo, che rimase vago per un istante, per poi delinear-si in un'esperienza estremamente coinvolgente. Di fat-to, fu cosi intensa che dovetti scusarmi con i miei amicie rifugiarmi in un angolo. Loro parvero comprendere Iamia reazione e si congedarono senza fare commenti. Cibche stavo ricordando era un episodio verificatosi quan-do frequentavo I'ultimo anno delle superiori. Durante iltragitto da casa a scuola insieme al mio migliore amieo,ero solito passare davanti a una grande casa chiusa dauna recinzione di ferro battuto, alta almeno due metri eche terminava con spunzoni appuntiti. Dietro di essa sistendeva un ampio prato ben tenuto in cui si aggiravaun pastore tedesco, enorme e feroce.

Tlrtti i giorni ci divertivamo a stuzzicarlo finch6 quel-lo non cercava di attaccarci. Owiamente la recinzioneglielo impediva, ma la sua rabbia era tale che pareva ar-rivare frno a noi. Il mio amico si divertiva enormementea ingaggiare con il cane una sorta di lotta mentale. Sifermava a pochi centimetri dal muso della bestia, chesporgeva di una quindicina di centimetri tra una sbarrae I'altra e Ia imitava scoprendo i denti.

..Arrencliti, arrenditi!" gridava. "Obbediscimi! Io so-no pii potente di te!"

Quella quotidiana esibizione di potere mentale, che siprotraeva per cinque minuti buoni, non esercitd mai sulcane altri effetti che quello di farlo infuriare ancora dipii. Come parte del rituale, tutti i giorni il mio amico migarantiva che il pastore tedesco awebbe finito per ob-bed.irgli o per morire stroncato da uu attacco cardiacoprovocato dalla rabbia. Ne era talmente convinto cheavevo frnito per crederci anch'io.

Ma una mattina il cane non comparve. Aspettammoqualche istante e frnalmente lo vedemmo all'altro capo

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L'INTERAZIONE DELIJ 'ENERGIA ALL'0RIZZ0NTE

del prato. Sembrava molto indaffarato, cosi decidemmodi proseguire. Con la coda dell'occhio, perd, io vidi la be-stia galoppare verso di noi. Quando fu a circa due metridalla recinzione, spiccb un balzo enorme. Ero certo chesarebbe finito sugli spunzoni, inveee li superb e ricaddein strada come un sacco di patate.

Per un momento pensai che fosse morto, ma era so-lo stordito. Di colpo si rialzd e invece di inseguire il suotorturatore, si lancid contro di me. Saltai sul tettucciodi un'auto, ma era un ostacolo da niente per il cane, checon un salto atterrd praticamente al mio fianco. Mi pre-cipitai di nuovo a terra e corsi verso I'albero pii vicino,un gracile alberello che a mala pena poteva sopportareil mio peso. Mi ci arrampicai, eerto che si sarebbeschiantato, spedendomi dritto nelle mascelle clel caneper essere sbranato a morte.

Credevo di essere quasi fuori dalla sua portata, ma labestia saltd di nuovo e mi afferrd il fondo dei pantalonicon i denti. I-.ri sentii affondare nelle natiche. Non appe-na fui al sicuro in cima alla pianta, lui lascid perdere esi allontand lungo la strada, forse in cerca del mio ami-co. A scuola, I'infermiera disse che awei dor.rrto chiede-re il certificato dell'antirabbica al proprietario del cane.

"Devi fare attenzioneo mi intimb eon severit). ..Fbr-se I'hai gid contratta. Se quell'uomo rifiuta di mostrar-ti il certifrcato, hai tutti i diritti di chiamare la polizia.,

Parlai con il guardiano della casa, lui mi accusd diaver attirato in strada il eane pii prezioso, un animaleche vantava un lungp pedigree.

"Fbrai bene a stare attento, tagazzo>> mi rimproverd."Il cane non si trova pir) e se eontinui a infastidirci, ilproprietario ti manderi in prigione."

"Ma potrei aver preso Ia rabbia" replicai, autentica-mente spaventato.

..Non me ne frega un cazzo neanehe se hai la pestebubbonica" scattd lui.

"Fila via."

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CARLOS CASTANEDA

"Awertird la polizia" lo minacciai...Fhi come ti pare. I-ra polizia se Ia prendertr con te'

Siamo abbastanza Potenti, noi!"Gli credetti. Mentii all'infermiera e le dissi che il ca-

ne non si trovava pii, che di fatto era ull randagio',.Oh, mio Dio!" gemette lei. "In questo caso sard', be-

ne che tu ti prepari al peggio. Fbrse d meglio che ti man-di dal medico.o Mi forni di una lunga lista di sintomi acui awei domto prestare attenzione. Le iniezioni controIa rabbia, mi spiegd, erano dolorosissime e venivanopraticate sotto la pelle dell'addome. "Un trattamentoah".rott augurerei al mio peggior nemico" concluse, fa-cendomi sprofondare in un autentico incubo.

Cib che segui fu il primo, vero episodio depressivo'Passavo il mio tempo a letto, accusando tutti i sintomielencati dall'infermiera. Finii per tornare da lei e sup-plicarla di iniettarmi il vaccino, per quanto doloroso fos-se. In preda all'isteria, feci una seenata terribile. Nonavevo contratto la rabbia, ma di certo avevo completa-mente perso il controllo di me.

Riferii a don Juan i due fatti, senza omettere alcunparticolare. Lui non fece commenti, Iimitandosi ad an-nuire di tanto in tanto.

..In entrambi i casi" conclusi sentendo l'urgenza nellamia voce stessa, ..ero isterico come mai. TYemavo in tuttoil corpo e avevo Ia nausea. Nonvoglio dire che era come s€rivivessi quelle esperierze, perch6 non sarebbe Ia veritd'In realtb rivivevo quelle esperienze, ma quando non ne po-tevo pii, tornavo nella mia vita di ora. Per me d stato unsalto nel tempo. Avevo il potere di annullare il tempo' Ilmio salto nel passato non d stato brusco: I'episodio si e di-panato gradualmente, cosi eome aceade ai ricordi. E sta-to alla fine che mi sono proiettato bruscamente nel futu-ro: nella mia vita attuale.',

..Qualcosa in te ha cominciato a disintegrarsi" si de-cise a dire don Juan.

..In realtd.lo faceva da sempre, ma poi si ricostituiva

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L'INTERAZIONE DELI, 'ENERGIA ALL'ORIZZONTE

rapidamente. La mia sensazione d che adesso il crollosia totale."

Dopo un lungo silenzio mi spiegd come, secondo glisciamani dell'antico Messico, gli uomini avessero duementi, di cui solo una apparteneva loro veramente. Ave-vo sempre interpretato quel concetto come un riferimen-to alle due parti che compongono la nostra mente, unadelle quali d sempre silenziosa, perch6 ostacolata nellasua espressione dalla forza dell'altra. Davo per scontatoche le parole di don Juan fossero solo una metafora perspiegare, forse, I'apparente dominio dell'emisfero sini-stro del cervello sul destro, o qualcosa di analogo.

..C'd un'opzione segreta nella ricapitolazione, rrpre-se lui. "Proprio come I'opzione segreta nella morte di cuiti ho parlato, un'alternativa che solo gli stregoni posso-no scegliere. Nel caso della morte, tale opzione b datadal potere che gli esseri umani hanno di trattenere laforza vitale, Iasciando andare soltanto la consapevolez-za, o\ryero il prodotto clella vita. Nel caso della ricapito-lnzione, I'alternativa segreta che appartiene solo aglisciamani sta nella possibilitd di scegliere di rafforzare laloro mente autentica."

"Il carattere ossessivo dei tuoi ricordi pud proveniresolo dalla tua mente autentica. Ualtra, quella che tuttiabbiamo e condividiamo, oserei dire che b un modello abasso costo, una taglia unica. Ma questo d un argomen-to che discuteremo pit avanti. Cid che b in gioco ora d lavenuta di una forza disintegrante. Non d una forza chesta disintegrando te stesso, non b questo che intendo,sta disintegrando piuttosto quella che gli sciamani chia-mano l'installaz'ione estraneo,, che d presente in te comein tutti gli altri esseri umani. Ueffetto di questa forza dcid che attira gli sciamani fuori dalla Ioro sintassi."

Uavevo ascoltato con attenzione, ma non potevo diredi aver compreso le sue parole. Per qualche strana ra-gione, insondabile come la causa stessa di quei miei vi-vidi ricordi, non riuscii a fargli domande.

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CARLOS CASTANEDA

"So quanto sia difficile" riprese lui improwisamente,"affrontare questo aspetto della tua vita. Thtti gli scia-mani che conosco hanno doqrto passare attraverso Iastessa prova e quando sono uomini i danni che subisco-no sono infinitamente maggiori. Immagino che la mag-gior capacitd di resistenza sia un tratto peculiare delledonne. Agendo congiuntamente, gli sciamani dell'anti-co Messico cercarono di fare il possibile per attenuareI'impatto di questa forza disintegrante. Ai giorni nostri,non abbiamo la possibilite di agire in gruppo. Uunicaeosa ehe possiamo fare d prepararci in solitudine a con-frontarci eon una forza che ci strapperA, via dal lin-guagglo, perch6 non c'd altro modo per descrivere ade-guatamente cid che sta accadendo."

Don Juan aveva ragione: non avevo spiegazioni, n6strumenti per descrivere gli effetti che quei ricordi miavevano provocato. Mi aveva detto che gli sciamani af-frontano l'ignoto nelle circostanze pii banali che si pos-sano immaginare. Quando non sono in grado di inter-pretare cid che percepiscono, devono ricollegarsi a unaforza esterna. Don Juan definiva questa forza infinito,o la uoce ilello spirito e, sosteneva che se gli sciamaninon cercassero di essere razionali riguardo a cid che nonpud essere razionalizzato, lo spirito non mancherebbemai di offrire loro l'autentica spiegazione.

Don Juan mi aveva portato ad accettare I'idea chel'infinito era una forza con una voce e una consapevo-Iezza. Di conseguenza, mi aveva insegnato a esserepronto ad ascoltare sempre quellavoce e ad agire con ef-ftcacia, ma senza basarmi su precedenli, ubilizzando ilmeno possibile il sostegno dell'o pri'ori. Attesi con im-pazienza che la aoce dello spirito mi rivelasse il signifi-cato dei miei ricordi, ma non accadde nulla.

Un giorno mi trovavo in una libreria quando una ra-gazza mi riconobbe e si alvicind per parlarmi. Era altae snella, con una vocetta da bambina. Stavo cercando dimetterla a suo agio quando fui travolto da un improwi-

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L' I N TE RAZ IO NE D E IJ I I ' E N E RGIA A I ] L ' O RI Z Z O N T E

so mutamento di energia. Fh come se dentro di me fos-se stato azionato un pulsante d'allarme e, come gid eraaeeaduto, senza che la mia volontd fosse assolutamentechiamata in eausa, mi ritrovai a ricordare una eirco-stanza che avevo totalmente dimenticato. rl ricordo del-la casa dei miei nonni mi invase con la forza devastantedi una valanga e l'impatto fu tale che, ancora una volta,dovetti rifugiarmi in un angolo. Tremavo tutto, come seavessi preso freddo. Dovevo avere otto anni e mio non-no mi stava parlando. Aveva esordito dicendo ehe erasuo preciso dovere spiegarmi come stavano veramentele cose. Avevo due cugini della mia etd: Alfredo e Luis.Con spietata insistenza, il nonno esigeva che io ammet-tessi che Alfredo era bellissimo. Nella visione, ne risen-tivo la voce rauca, tesa.

"Alfredo non ha bisogno di presentazionio diceva."Gli basterd esserci e tutte le porte si apriranno per lui,perch6 tutti osservano il culto della bellezza. Thtti ama-no i belli. Li invidiano, ma ne cercano la compagnia.Prendi me. Sono un bell'uomo, non d vero?o

Non potevo che essere d'aceordo. Era certamente unuomo molto bello, con ridenti occhi azztrn, un viso dailineamenti finemente cesellati e gli zigomi perfetti. Inquel volto regnava un equilibrio assoluto: naso, bocea,occhi, mascella-appuntita. I capelli biondi che gli copri-vano le orecchie gli davano un che di elfico. Il nonno erapienamente consapevole di quelle qualitd, e le sfruttavaal massimo. Le donne lo adoravano: primo, a suo dire,per la bellezza, e poi perch6 per loro non costituiva unaminaccia. E naturalmente, lui non esitava a cavarnetutti i vantaggi possibili.

"Tho cuginoAlfredo d unvincente" ssgui15. oNon do-wi mai autoinvitarsi a una festa, perch6 il suo nomesard il primo sulla lista degli ospiti. fi sei accorto di co-me \a gente si ferma per strada a guardarlo e a toccar-lo? E cosi bello che temo finird per diventare un imbe-cille, ma questa d un'altra faccenda. Diciamo che in quel

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caso sarb I'imbecille pir) popolare ehe ti capiterb di in-eontrare.>

Poi paragond I-ruis ad Alfredo. I-ruis era un tipo scial-bo, disse, perfino un po' stupido, ma con un cuore d'o-ro. E flnalmente toccd a me.

"Se vogliamo proeedereo disse, "per prima cosa deviriconoseere che Alfredo d bello e I-ruis d buono. Oraprendiamo te: non sei n6 bello n6 buono. Direi, anzi, chesei un autentico figlio di puttana. Nessuno ti inviterb al-le feste. Abituati all'idea che se vorrai parbecipare a unafesta dowai autoinvitarti. Per te le porte non si spalan-eheranno mai come si spalancheranno per Alfredo, ched bello, e per I-ruis, che d buono. Dowai entrare dalla fi-nestra."

La sua analisi era talmente accurata e definitiva chescatend le mie lacrime. Ma pii io piangevo, pii lui sem-brava soddisfatto. Tbrmind con la pir) deleteria delleammonizioni.

oNon c'd motivo di essere tristi" clisse, "perch6 nonc'd nulla di piir eccitante che entrare dalla finestra. Perriuscirci, dowai mostrarti intelligente e abile. Esseresempre vigile e preparato a tutte le umiliazioni."

oEntrare dalla frnestra" continud, " signifrca non es-sere sulla lista degli invitati. Di conseguenza,la tua pre-senza non d gradita e dowai lavorare sodo per non far-ti buttare fuori. Uunico modo che conosco per riuscircista nel dominarli tutti. Urla! Esigi! Notifica! Fagli sen-tire che sei tu a comandare! Come potranno buttartifuori, se sei tu che comandi!"

Il ricordo di quella scena mi turbd profondamente.Uavevo sepolta tanto profondamente da dimenticarrne-ne del tutto. Cid che invece norl avevo scordato era I'am-monizione finale, che il nonno doveva avermi ripetutopii e pir) volte nel corso degli anni.

Non ebbi la possibilitd di riflettere su quel ricordo,perch6 un'altra memoria dimenticata affiorb con lastessa intensitd. Ero in compagnia della mia ftdanzata.

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I, ' I N TE RAZI O N E D E I , IJ ' E N E RG IA AI ' IJ ' O RI ZZ () N T E

In quel periodo, entrambi stavamo risparmiando persposarci e avere una casa tutta nostra. Mi ascoltai esi-gere a granvoee un conto corrente congiunto: non aweiaccettato altre soluzioni.

Awertivo I'impellente necessitd di indottrinarla sul-la frugalitb, al punto che mi sentii in dovere di indicar-le dove comprare i vestiti e addirittura stabilire il tettomassimo delle spese.

Poi mividi che davo lezioni di guida a sua sorella mi-nore. Quando lei mi confidd il suo proposito di lasciarela casa dei genitori mi mandd fuori dai gangheri. La mi-nacciai di annullare le iezioni. Piangendo,lei mi confes-sd di avere una relazione col suo capo. Saltai gin dal-I'auto e cominciai a prendere a calci la portiera.

Ma non era finito. Mi sentii che dicevo al padre dellamia fidanzata di non trasferirsi nell'Oregon, come eon-tava di fare. Gridavo a perdifrato ehe era un'idea stupi-da. Ero dawero convinto che le mie ragioni fossero in-confutabili, e arrivai a presentargli un preventivo in cuiavevo meticolosamente calcolato le sue perdite. Dal mo-mento che lui non mi prestd attenzione, uscii sbattendola porta, fremente di rabbia. Trovai la mia fidanzatainsoggiorno che suonava la chitarra. Gliela strappai dimano, gridando che una chitarra era solo un oggetto eche andava suonata, non abbracciata.

tr desiderio di imporre la mia volonti coinvolgeva tut-ti. Non faeevo distirzioni: chiunque mi stesse vicino era liper essere dominato e forgiato secondo il mio capriccio.

Non ebbi bisogno di riflettere ulteriormente sul si-gnificato di quelle vivide visioni, perch6 fui pervaso dauna certezza indiscutibile, che sembrava quasi proveni-re dall'esterno. Quello era il mio punto debole: Ia con-vinzione di dover occupare la poltrona del comando, inqualunque circostanza. Avevo un concetto bene inculca-to in testa: non dovevo solo accontentarmi di essere aleomando; era anche neeessario che avessi il pieno con-trollo di qualunque situazione. Ueducazione ricevuta

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aveva rafforzato quella persuasione ehe, probabilmentearbitraria nella fase iniziale, in etb adulta si era tra-sformata in una necessitd profondamente sentita'

Ero certo oltre ogni dubbio che la posta in gioco eral'infinito. Don Juan l'aveva descritta come una forzaconsapevole che inter-viene deliberatamente nella vitadegli sciamani. E ora stava intervenendo nella mia.

Sapevo chel'infinito, atLtavetso Ia riesumazione diquelle esperienze dimenticate, mi stava mostrando I'in-tensitb e la profondith, del mio bisogpo di controllo, pre-parandomi cli conseguenza a qualcosa che trascendevame stesso. Sapevo eon spaventosa certezzache qualco-sa stava per annientare ogni possibilitd di controllo eche, se volevo essere pronto ad affrontare cid che mi at-tendeva, avevo bisogno soprattutto di sobrietd, flessibi-litb e abbandono.

Naturalmente, raccontai ogni cosa a don Juan, ela-borando le speculazioni e le intuizioni circa il possibilesignificato dei miei ricordi. Don Juan rise allegramen-te. ..T\rtte queste non sono che esagerazioni psicologi-che, illusioni,, commentd. "Come al solito, sei alla ricer-ca di spiegazioni lineari di causa ed effetto' I tuoi ricor-di diventano sempre pir) vividi e sempre pit inquietantiperch6, come ti ho gih detto, sei entrato in un processoineversibile. E la tua mente autentica quella che staemergenclo, risvegliandosi da una condizione di letargiache si b protratta per tutta la durata della tua vita."

"Ninfinito ti reclamao continub. "Qualsiasi sia ilmezzo che usa per fartelo capire, non pud avere altre ra-gioni, altre cause, altri significati che questo. A te spet-ta il compito di prepararti ai suoi attacchi furiosi. Devistare sempre all'erta, in attesa di un colpo che sarh' tre-mendo. E questo il modo sano e lucido con cui gli stre-goni affront ano l''infini'to."

Ire sue parole mi lasciarono un sapore amaro in bocca'Sentivo l'assalto awicinarsi e lo temevo. Dato che avevotrascorso I'intera vita a nascondermi dietro ad attiviti su-

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perflue, volli sprofondare nel lavoro. Tbnni confererue incorsi di cui alcuni miei amici erano titolari, in diversi isti-tuti della California meridionale. Scrissi molto e potrei di-re senza esagerare di aver gettato dozzine di manoscrittinel cestino della carta straccia, perch6 non risponclevanoall'indispensabile requisito che don Juan aveva descrittocome il segno di qualcosa che d gradito all'infi,nito.

Aveva detto che ogni mio atto doveva essere un attodi magia, un atto scewo da aspettative invasive, timoridi fallimento, speranze di successo. Scewo dal culto del-I'ego. T\rtto cid che facevo doveva essere estemporaneo:un'opera di magia in cui mi aprivo senza riserve agli im-pulsi delT'infinito.

Una notte, mentre sedevo alla scrivania preparando-mi alla quotidiana fatiea dello scrivere, ebbi un leggeromancamento. Pensai di essermi alzato troppo in frettadal materassino su cui avevo fatto ginnastica. Mi si an-nebbid la vista e dei puntini gialli cominciarono a dan-zarmi davanti agli occhi. Pensai di essere sul punto disvenire. La situazione peggiord rapidamente. Davanti ame si andava dilatando un'enorme macchia rossa. Co-minciai a inspirare e a espirare profondamente, nel ten-tativo di calmare I'agitazione che, evidentemente, era lacausa di quei bizzarn fenomeni. Divenni straordinaria-mente silenzioso, al punto da accorgermi di essere cir-condato da un'oscuritd impenetrabile. Mi attrarrersd lamente il pensiero di essere gih svenuto, ma riuscivo ave-dere la sedia, Ia scrivania e, a dispetto del buio frtto,percepivo con chiarezza le cose che mi circondavano.

Don Juan aveva detto che, secondo gli sciamani del-la sua stirpe, uno dei risultati pii ambiti delsiknzio in-teriore era una particolare interazione di energia, sem-pre preannunciata da un'intensa emozione. A suo pare-re, i miei ricord.i erano lo strumento destinato a eausar-mi tale emozione e consentirmi quindi di sperimentareI'interazione. Essa si manifestava sotto forma di coloriproiettati su qualunque ortzzonl,e del mondo quotidia-

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CARLOS CASTANEDA

no, che fosse una montagna, il cielo, una parete o sem-plicemente il palmo delle mani. Il fenomeno iniziava coniu.o^put*a diuna tenue pennellata color lavanda' Gra-datam-ente, Ia pennellata cominciava a espandersi finoa coprire tutto I'orizzonLevisibile, come l'awicinarsi diun banco di nubi foriere di tempesta.

Mi parld anche dell'apparizione di un punto di un co-lore diverso, un insolito rosso melagrana' che sembraesplodere dalle nuvole color lavanda. Disse che, a manou

-uno che gli sciamani si fanno pii disciplinati ed

esperti, il punto color melagrana si espande ed esplodenei pensieri o nelle visioni oppure' se lo stregone d unuomo istruito, nelle parole scritte. Gli sci'amani hannoquindi visioni generate dall'energia, odono pensieriespressi in parole o leggono parole scritte'

Quella notte, seduto alla mia scrivania, nonvidi pen-nellate color lavanda n6 nubi. Ero certo di non posse-dere la disciplina necessaria per una simile interazionedi energia, ma davanti a me c'era innegabilmente un

"oorrn. ponto color melagrana. Senza alcun prelimina-

re, il punto esplose in parole dissociate; sembravanolr."gut" su un foglio che usciva dal rullo di una macchi-tru f.t scrivere. Le parole si succedevano a urt'indescri-vibile velocitd, al punto che era impossibile decifrarle'Poi udii una voce che mi descriveva qualcosa, ma trop-po rapidamente per poterne cavare un senso compiuto'-

Come se non bastasse, cominciarono le visioni: op-primenti come quelle che ci tormentano dopo un pastol"oppo abbondante. Erano barocche, tetre, minacciose'Cominciai a roteare e continuai finch6la nausea non misopraffece. Poi tutto fini. Non c'era muscolo del miocorpo che non fosse indolenzito ed ero esausto' Quellaviolenta interferenze mi aveva innervosito e frustrato'

Mi precipitai a casa di don Juan per raccontargli tut-to. Sentivo di avere pit che mai bisogno del suo aiuto'

oNon c'd nulla di soave negli sciamani e nello scia-manesimo,, fu il suo commento dopo che ebbe ascoltato

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I, ' I N T E RAZ IO N E D E L I , ' E N E RG IA AL I I ' O RI Z Z O N T E

la mia storia."Questa d stata la prima volta che l'infinito d sceso

su di te in questa forma. E stato una sorta di incursio-ne: una totale sopraffazione delle tue facoltd. Quantoalla velocitd delle visioni, dowai imparare a regolarla.Per alcuni sciamani d il lavoro di tutta una vita. Ma d'o-ra in poi I'energia ti apparird come proiettata su unoschermo cinematografico.',

"Quanto a capire la proiezione" continud, "questa dun'altra faccenda. Per poterne dare un'interpretazioneaceurata, ti serve I'esperienza. Il mio consiglio d di nonfarti condizionare dalla timidezza e di metterbi subitoall'opera. I-.,eggr l'energia sulla parete! Sta emergendo Iatua mente autentica e non ha nulla a che fare con lamente clre d una install,o,zione estranea. Lascia che sia latua vera mente a regolare la velocitd. Resta in silerzio enon avere paura, qualunque cosa accada."

"Ma don Juan, com'd possibile? Non d pensabile leg-gere I'energia come se fosse un testo scritto!" quel con-cetto era troppo per me.

"Certo che d possibile' mi rimbeccd lui. "Nel tuo caso,non d solo possibile, ma sta effettivamente accadendo."

"Ma perch6 leggerla, come se fosse un testo?" insi-stei, bench6 con scarsa convinzione.

"Si tratta semplicemente di uiaffettazione da partetua" mi rispose. "Se tu leggessi il testo, potresti ripeterloa memoria. Comunque, se tu cereassi dt ueilerel'infinitoinvece dt kggerl,o, scopriresti di non poter descrivere cibche vedi e finiresti col farfugliare assurditd, incapace diverbalizzare cib che ti scorre davanti agli occhi. Lo stessoaccadrebbe se cercassi di udirlo. El'infinito a scegliere. Ilgu,erriero-uioggiatore si limita ad aecettare la scelta."

"Ma soprattutto" aggiunse dopo una pausa calcola-ta, ..ps11 farti sopraffare da qualto accade solo perch6non sei in grado di descriverlo. E, infatti, un fenomenoehe traseende la sintassi del nostro linguaggio."

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Viaggi attraverso I'oseuro maredella consapevolezza

,.b bene che parliamo un po' pii chiaramente del sr,-knzio interiore,, annuncid don Juan.

Le sue parole mi colsero di sorpresa. Per tutto il po-meriggio non aveva fatto altro che parlarmi dei pati-menti sofferti dagli indiani Yaqui in seguito alle grandiguerre degli anni Venti, quando il governo messicano liaveva strappati alla terra natia, lo stato di Sonora, nelMessico meridionale, per portarli a lavorare nelle pian-tagioni di canna da zucehero nell'area centro-meridio-nale dello stato. I conflitti tra governo e indiani Yaqui sierano protratti per anni. Dou Juan mi raccontb sbalor-ditive vicende di intrighi politici e tradimenti, di priva-zioni e miseria umana.

Avevo la sensazione che mi stesse preparando aqualcosa, perch6 sapeva bene eome quelle storie fossero,per cosi dire, proprio quello che andavo cercando. AII'e-poca avevo infatti un senso esagerato di giustizia socia-

1.94

VIAGGI ATTRAVERSO L'OSCUNO MARE

le ed equitb. "Le circostanze hanno reso possibile che tuavessi una maggiore energia" seguitd. "Hai iniziato laricapitolnzione della tua vita; per la prima volta haiguardato i tuoi amici come se fossero esposti in una ve-trina; da solo, spinto dalle tue necessith, sei arrivato alpunto di rottura. Hai climenticato i tuoi affari e, so-prattutto, hai accumulato silenzi,o interiore a sufficien-za. T\rtto questo ti ha consentito di affrontare un viag-gio attrave rso I' oscuro mare d,ella consapeaolezza.r,

"Quel viaggio d stato incontrarmi in questa cittd cheabbiamo seelto" seguitd.

"So che una questione cruciale d quasi emersa in te eche per un istante ti sei chiesto se io fossi effettivamen-te venuto a casa tua. Non b stato un sogno. Ero reale,non d vero?o

"Reale come pir) non awesti potuto" annuii.Avevo quasi dimenticato quegli awenimenti, ma ora

ricordai che mi era sembrato strano ehe avesse trovatoil mio apparbamento. Ma avevo messo da parte io stu-pore, limitandomi a pensare che avesse chiesto a qual-cuno il mio nuovo recapito, bench6 sapessi che non c'e-ra nessuno che awebbe potuto darlo.

"Vediamo di chiarire questo punto> riprese donJuan. "Nella mia interpretazione, che d poi quella deglisciamani dell'antico Messico, io ero del tutto reale e, dalmio s'ilenzio inter,iore, sono effettivamente venuto a ca-sa tua per parlarti dell'esigenza dell'infini,to e awisarbiche il tuo tempo stava per scadere. A tua volta, dal tuosilenzio interiore, ti sei recato nella cittd che abbiamoscelto per dirmi che eri riuscito a soddisfare I'esigenzadell'infinito .,,

"Nella tua interpretazione, che d quella dell'uomomedio, in entrambi i casi si d trattato solo di un'espe-rienza onirico-fantastica. Hai sognato che ero venuto acasa tua senza conoseere I'indirizzo e poi che venivi atrovarmi. Per me, che sono uno sciamano, cid che tuconsideri I'esperienza onirico-fantastica del nostro in-

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CARLOS CASTANEDA

contro in quella cittd era reale quanto siamo reali noidue adesso, mentre Parliamo."

Gli confessai che in nessun modo awei potuto siste-mare quegli awenimenti in un modello di pensiero ac-cettabile per un occidentale. Pensarli in termini di so-gno-fantasia, dissi, signifrcava creare una falsa catego-ria che non awebbe retto a un esame pii approfonditoe I'unica spiegazione vagamente accettabile era un altroaspetto della sua conoscenzal. ll sognare.

..No, non si b trattato d\ sognare" reagr lui con foga'*Ma di qualcosa di pii diretto, di pii misterioso' Oggiho da proporti una nuova definizione di sognare, pit insintonia con iI tuo stato d'essere. Sognare b I'atto di mo-d.ificare il punto di collegamento con l'oscuro mare dell'aconsapeuolezza. Se la vedi in questo modo, d un concet-to molto semplice e una pratica altrettanto semplice'Dowai impegnare tutto te stesso per capirlo, ma non dimpossibile e non ci sono nubi mistiche a occultarlo'o

*Il termine sognare mi ha sempre infastidito enor-memente', riprese, "perch6 indebolisce un atto di gran-de potenza. I-ro fa apparire arbitrario, gli conferisce unadimensione fantastica che, di fatto, d I'unica che non gliappartiene. Io stesso ho cercato di trovare un terminealternativo, ma ha radici troppo profonde' Fbrse ungiorno sarai proprio tu a farlo, bench6, come sempre av-viene in magia, quando ci riuscirai, probabilmente nonte ne importerd pit nulla, perch6 un nome non fard perte pii aicuna differenza.'

Nel corso del nostro rapporto, don Juan mi avevaspiegato con grande ricchezza di dettagli che sognareo"u ot'utt" scoperta dagli sciamani clell'antico Messico,mediante la quale i sogni comuni si trasformavano inaccessi a diversi mondi di Ttercezione. Con tutto se stes-so auspieava I'awento di un qualcosa che chiamava ui-gilanza sognante, ossia Ia capacitb di prestare un'atten-zione speciale, o una speciale forma di consapevolezza,agli elementi costitutivi dei sogni ordinari'

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VIAGGI ATTRAVERSO I 'OBOURO MARE

Da parte mia, avevo seguito meticolosamente le sueindicazioni, e cosi facendo ero riuscito a fissare la miaconsapevolezza sugli elementi di un sogno. Ijidea di donJuan non era quella di arrivare a sognare cid che si desi-derava, ma di focafizzare la propria attenzione sulle com-ponenti dei sogni che si presentavano, quali che fossero.

Poi don Juan aveva parlato con grande enfasi di cibche gli sciamani dell'antico Messico consideravano l'ori-gine stessa del sognare: lo spostamento del punto diunione.Il punto di uni,one, aveva detto, si spostava na-turalmente durante il sonno, maued,ere tale spostamen-to era diffrcile, perch6 richiedeva uno stato d'animo ag-gressivo; proprio su questo particolare stato d'animo siera focalizzata la predilezione degli antichi sciamani.Grazie ad esso, secondo don Juan, avevano individuatoi presupposti fondamentali della loro arte.

"E una condizione altamente predatoriao seguitd."Entrarvi non b affatto difficile, dato che I'uomo d un pre-datore per natura. E possibil e ued,ere, in modo aggressi-vo, tutti gli abitanti di questo villaggio e forse anche per-sone pir) lontane, mentre dormono. Chiunque pud andarbene; I'importante d raggiungere uno stato di completaindiffererza. Sei in cerea di qualcosa e lavori per trovar-la. Come un felino, come un animale da preda, stai in ag-guato, in attesa di qualcuno su cui piombare."

Divertito dal mio sgomento, don Juan aveva detto chela difficoltd di questa tecnica stava nello stato d'animo eehe non awei potuto restare passivo mentre uedeuo, per-ch6 cid che uednuo non era qualcosa da osservare, ma eraqualcosa su cui agire. Sard stato per il suo grande poteredi suggestione, ma dopo averlo ascoltato quel giorno misentii sorprendentemente aggressivo. Non c'era muscolodel mio corpo che non traboccasse di energia e, durante lapratica del sognare, inseguii qualcuno. Non mi interessa-va scoprirne I'identitd. Avevo bisogno di qualcuno che dor-misse e una forza di cui ero consapevole, senza tuttavia es-serne pienamente eonseio, mi aveva guidato fino a lui.

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CARLOS CASTANEDA

Non seppi mai di chi si trattasse, ma mentre lo aed'e-'uo, awertivo la presenza di don Juan. Era una stranasensazione, unavaga impressione di prossimitd che per-cepivo a un livello di consapevolezza che prescindeva datutte le mie esperienze passate. T\rtto cid che potevo fa-re era eoncentrare la mia attenzione sull'individuo ad-dormentato. Sapevo che era un maschio, ma non aweisaputo dire come facessi a saperlo. Sapevo che dormivaperch6la sfera di energia che costituisce I'essere umanoera un po' appiattita; si espandeva lateralmente. E poividi il punto diunione, in una posizione diversa da quel-la consueta: spostato sulla destra e un po' pii in basso.Poich6 sapevo che abitualmente si trova a destra, dietrole scapole, calcolai che si era forse spostato a lato dellecostole. Notai inoltre che mancava del tutto di stabilitd.Fluttuava in modo irregolare, poi riacquistd brusca-mente la posizione normale. F\ri allora certo che la miapresenza e quella di don Juan avessero destato I'indivi-duo. Subito dopo sperimentai una profusione di imma-gini vaghe, indistinte e finalmente mi wegliai per ritro-varmi li dove tutto era iniziato.

Don Juan mi aveva sempre detto che gli sciamani sidividevano in due gruppi: isognatori eicacciatori.Iso-gnatori erano in grado di spostare con grande facilith ilpunto di unione. I cacciatori, invece, potevano altret-tanto facilmente mantenerlo in quella nuova posizione.Sognatori e cacciatori si completavano a vicenda e lavo-ravano in coppia, cosi da utilizzare entrambe le capa-citd. Don Juan mi aveva assicurato che lo spostamentoe la "fissazione" del punto d,i unione potevano essererealizzati volontariamente tramite la ferrea disciplinadegli sciamani. Quelli della sua stirpe credevano che al-l'interno della sfera luminosa (che d I'essenza dell'uo-mo) esistessero almeno seicento punti e che ciascuno diessi, quando veniva raggiunto dal punto di unione, po'tesse donarci un mondo intero. In altre parole, se tlpun'to diunione venisse collocato in uno di quei punti e li ri-

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VIAGGI ATTRAVETTSO L'OB(UBO MARE

manesse percepiremmo un mondo non meno completodi questo, ma diverso.

Inoltre, don Juan mi aveva spiegato che I'arte scia-manica consiste nel manipolare il punto d,i unione e far-gli cambiare posizione sulla sfera luminosa. Il risultatodi tale manipolazione d un mutamento del punto di con-tatto con l'ossuro mare ilella consapeuolezza,la qual co-sa fa si che un diverso insieme di miliardi di campi ener-getici, sotto forma di filamenti luminosi, converga sulpunto di unione. La conseguenza di questa confluenzadi nuovi campi energetici sul punto di unione d I'emer-gere di vna consapeuolezza diversa da quella necessariaa percepire il mondo quotidiano, eonsapevolezza chetrasforma i nuovi campi energetici in dati sensoriali. Aloro volta, questi vengono interpretati e percepiti comeun mondo diverso, perch6 i campi energetici da cui pro-vengono sono diversi da quelli consueti.

Secondo don Juan, una buona definizione della pra-tica sciamanica pud essere la seguente: lo sciamanesimod la manipolazione del punto d,i unione con lo scopo dimodificare il suo punto focale di contatto conl,oscuromare della consapeuolezza, cos\ da rendere possibile lapereezione di altri mondi.

Uarte dei cacciatori, aveva detto, entra in gioco suc-eessivamente allo spostament o del punto d,i unione. Man-tenerlo fisso nella sua nuova posizione permette agli scia-mani di percepire il nuovo mondo in cui penetrano nellasua assoluta completezza, proprio come noi facciamo conil mondo consueto. Per gli sciamani della sua stirpe, ilmondo quotidiano non era altro che un riwolto di unmondo molto pii vasto, formato da almeno seicento ri-wolti diversi. Don Juan tornd all'argomento in discus-sione: i miei viaggr attraverso l'oscuro mare d,elln, consa-peuol,ezza. Cid che avevo realizzato partendo dal mio sf-Innzio interiore era molto simile a cid che si verifica nel so-gnare. Ciononostante, nel corso di tale viaggio non c'era-no state intermzioni causate dal sonno. n6 tentativi di

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controllare l'attenzione durante I'attivitd onirica. tr viag-gio attraver so I' o s curo mare delln con sap ea ol'ezza compor -tava inveee una reazione immediata: una schiacciantesensazione del qui e dell'ora. Don Juan si lamentd del fat-to che alcuni sciamani incompetenti avessero dato a que-sto atto di raggiungere direttamente il mare delkt, consd,-peaolnzza il nome dtrisaeglio ilal sognare, rendendo anco-ra pil) ridicolo il termine sognare.

"Th hai pensato di aver amto il sogno-fantasia diraggiungere quella cittd che abbiamo seelto" continub,..ma di fatto avevi collocato ilttropunto diunione in unaposizione specifica sull' oscuro mare iIeLLa consapwoLezzaehe consente il viaggio. Dopodich6,l'oscuro mare dellaconsapeuolezza ti ha fornito tutto il necessario per com-piere il viaggio. E impossibile scegliere quel luogo con lavolontd. Gli sciamani sostengono che il siknzio interio-re sceglie in modo infallibile. Semplice, non d vero?o

Mi spiegd quindi la complessith della scelta. Per iguerri,eri-aiaggiatori, non si trattava effettivamente discegliere, bensi di accettare con stile le sollecitazionidell'Wnito.

"B l'infinito a scegliere" asseri. "Uarte del guerrie-ro-aiaggiatore consiste nell'abilitd, di cogliere anche leallusioni pit sottili; I'arte di accondiscendere a ogni or-dine dell'inflnito. Per questo, un guerriero-uiaggiatoreha bisogno di valore, dtforza e, sopra ogni altra cosa, disobrietd. Queste tre qualitd insieme danno come risul-tato lo stile."

Dopo un momento di pausa, tornai sulla questioneche pii mi affascinava.

"Eppure, d incredibile pensare che io mi sia effettiva-mente recato in quella cittd in corpo e anima" osserai.

"D incredibile, ma non impossibile" fu la sua risposta."Uuniverso non ha limiti e le possibilitd che sono in gio-co sono dawero incommensurabili. Quindi, non eaderevittima dell'assioma "credo solo a cid che vedo", perch6 dI'atteggiamento pir) ottuso che si possa assumere.>>

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VIAGGI ATTRAYERSO ' 'OSCUNO

MARE

La delucidazione di don Juan era stata chiarissima.Aveva un senso, ma non sapevo in che ambito; certo nonnel mio mondo quotidiano. Don Juan mi assicurd quin-di, riwegliando in me una grande trepidazione, che pergli sciamani c'era solo un modo per gestire tutto questosapere: viverlo attraverso I'esperienza, perch6 la mented incapace di accogliere una simile entitd di stimoli.

"Che eosa r,rroi che faccia?" chiesi allora."Devi intraprendere volontariamente il viaggio attra-

verso I'oscuro nxe,re delln consapeuol.ezza* mi rispose. "Manon saprai mai come questo awerrh. Diciamo che d il si-knzio i,'nteriore a renderlo possibile, seguendo I'ie inespli-cabili, ehe non possono essere comprese, ma solo battute."

Mi fece quindi sedere sul letto e assumere la posizio-ne che favoriva il sil,enzio interiore. Di solito, questo ba-stava perch6 mi addormentassi all'istante, ma cid nonera possibile in presenza di don Juan. Invece, entrai inuno stato di quiete totale. Questa volta, dopo un istan-te di silenzio, mi scoprii a camminare. Don Juan mi gui-dava per un braccio.

Non eravamo piir a casa sua, ma eamminava,mo perle strade di una cittd Yaqui a me sconosciuta. Sapevodella sua esistenza; parecchie volte mi ero trovato neiparaggi, ma I'ostilitd dei suoi abitanti mi aveva sempreallontanato. Per uno straniero era quasi impossibile en-trare in quella cittd. Gli unici ad avervi libero accessoerano i supervisori della Banca Fbderale, dato che era labanca ad acquistare i raccolti dei contadini locali. Le in-terminabili trattative dei contadini Yaqui ruotavano in-torno alla possibilitb di ottenere a,nticipi in contanti,sulla base di un processo quasi speculativo relativo airaccolti futuri.

Riconobbi la cittd dalle clescrizioni della gente che ciera stata. Come per aumentare il mio sbalordimento, donJuan mi bisbiglid ail'orecchio che ci trovavamo proprio li.Avrei voluto chiedergli come ci eravamo ar.rivati, ma nonriuscii ad arbicolare le parole. \tdi parecchi indiani che

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discutevano in toni accesi; gli animi sembravano pronti aesplodere. Non capivo una parola di quello che dicevano,e nell'istante in cui concepii il pensiero che non potevo ca-pire, accadde qualcosa. Fh come se una nuova luce fosseintervenuta a illuminare la scena. Ogni cosa si fece im-prowisamente netta e defrnita, e bench6 non parlassi laloro lingua, le loro parole mi divennero perfettamentecomprensibili, non singolarmente, ma a gruppi, come sedi colpo la mia mente avesse acquistato la capacitd di co-gliere interi schemi di pensiero.

Ma a sciocearmi non fu tanto la scoperta di questanuova capacit), quanto il contenuto dei loro discorsi.Quegli uomini erano guerrieri e nulla avevano a chespartire con gli occidentali. Le loro erano dichiarazionidi guerra, di lotta, di strategia. Valutavano la loro for-za,la loro capacitd di aggressione e si lamentavano dinon poter assestare i loro colpi. Il mio corpo registrdI'angoscia della loro impotenza. Contro le armi tecnolo-giehe non avevano che bastoni e pietre. Lamentavanosoprattutto Ia mancanza di leader e anelavano, conurt'intensitd per noi inimmaginabile, I'arrivo di un com-battente carismatico in grado di galvanizzarli.

Uilii poi la voce del cinismo; uno di loro espresse unconcetto che parve devastare tutti, me eompreso, perch6in qualche modo ero una parte invisibile di loro. Disseche erano sconfitti al di ld di ogni possibile salvezza,perch6 se anche fosse comparso qualcuno con il carismanecessario a ergersi fra tutti e mettersi alla loro testa,sarebbe stato tradito dalla gelosia, dall'invidia e dalrancore. Awei voluto commentare con don Juan cib chestava accadendo, ma parlare mi era impossibile. Solo luiera in grado di fario.

"I-:a meschinitd degli Yaqui non d una loro caratteri-stica esclusiva" mi disse all'orecchio. "E uno stato in cuitutti gli esseri umani sono intrappolati. Una condizioneche non d neppure umana, ma imposta dall'esterno."

Sentii la mia bocca che si apriva e si chiudeva invo-

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VIAGGI ATTRAVERSO L'OSAURO MANE

lontariamente, mentre mi sforzavo con ogni mezzo diformulare una domanda che non potevo neppure conee-pire. Avevo la mente r,rrota. Mi trovavo al centro di uncerchio di persone con don Juan, ma nessuno sembravaessersi accorto di noi. Non notai alcun movimento, al-cuna reazione o occhiata che indicasse il fatto che si fos-sero aecorti della nostra presenza.

Uistante successivo mi trovai in una cittd messicanacostruita intorno a una stazione, situata a circa due chi-Iometri dall'abitazione di don Juan. Eravamo inmezzoalla strada prospiciente la Banca Governativa, e li assi-stetti a uno degli spettacoli pii bizzarri in cui mi fossimai imbattuto da quando ero entrato nel mondo di donJuan. Ved,euo I'energia cosi come fluisce nell'universo,ma non ued,euo esseri umani come grumi di energia sfe-rici o oblunghi. Mi circondavano persone dall'aspettonormalissimo che un istante dopo si tramutavano instrane creature. Ira sfera di energia diventava traspa-rente, simile a un alone intorno a un nucleo, la cui for-ma ricordava quella di un insetto. Quel nucleo non ave-va affatto la sagoma di un primate. Non c'erano ossa enonued,euo le persone come si vedono ai raggi X. Nel lo-ro nucleo c'erano invece forme geometriche, compostedi qualcosa che sembrava vibrazione di materia. Quelnucleo era simile alle lettere dell'alfabeto, la strutturacentrale sembrava una T maiuscola; di fronte a essa erasospesa una spessa L invertita; un delta greco, che ar-rivava fino a terua, stava in fondo alla barra verticaledella T e sembrava sostenere I'intera struttura. In cimaalla I vidi un frlamento simile a una fune, del diametroforse di due centimetri e mezzo; passava attraverso Iasommitd della sfera luminosa: era come se stessi ueden-do w pendente formato da una perla gigantesca.

Una volta don Juan aveva usato una metafora perdescrivere I'unione energetica di frlamenti degli esseriumani. Aveva detto che gli sciamani dell'antico Messicoparlavano di questi filamenti come di una tenda fatta di

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perle infrlate in un fi.Io. Io avevo preso la metafora allalettera, a significare che il filo penetrava iI conglomera-to di campi energetici che ci compongono. Ma il frlo cheio ued,euo in quel momento assomigliava pii a un pen-dente. Ciononostante, non ued,eao nessun altro essere vi-vente appeso al medesimo frlo. Ogni creatura che uede-uo eraun essere di forma geometrica con quel frlo nellaparte superiore dell'alone sferico. Il fllamento mi ricor-dava terribilmente i segmenti vermiformi che a volte ve-diamo dietro le palpebre semiabbassate per proteggeregli occhi dal sole.

Insieme a don Juan attraversai la citfi da un capoall'altro e aiili un numero enorme di creature dalla for-ma geometrica. Lra mia capacitd visiva era estrema-mente instabile. Tn aedeuo per un istante, poi non le ve-devo pii e al loro posto c'erano persone normalissime.

Presto mi sentii esausto e allora vidi soltanto esseriumani.

Don Juan disse allora che era arrivato il momento dirientrare e, ancora una volta, qualcosa dentro di meperse il senso della continuitd e fui di nuovo a casa didon Juan, senza la minima idea di come avessimo co-perto quella distanza. Sdraiato sul letto, mi sforzai di-speratamente di ricordare, di sondare le profonditd delmio essere nel tentativo di capire come avessi raggiun-to Ia citth Yaqui prima e poi la cittadina ferroviaria.Non ero incline a giudicarle fantasie oniriche, perch6lescene erano state troppo particolareggiate per non es-sere reali, ma com'era possibile che fossero reali?

"Stai sprecando tempo', rise don Juan. "Ti garanti-sco che non saprai mai come siamo amivati da qui allacitti Yaqui, da li alla stazione ferroviaria e quindi a ca-sa. C'd stata un'interruzione nella continuitb tempora-le. D questa la funzione del sil.enzi,o interiore."

Pazientemente, mi spiegb che I'interruzione del flus-so di continuitd che rende il mondo comprensibile agliuomini d un atto di magia. Quel giorno, disse, avevo

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VIAGGI ATTRAVE RSO .L 'OB(, 'UNO MANE

viaggiato attraverso l'osatro mare ilella consapeuokzza eavevo uisto gliuomini prima cosi com'erano, impegnatinelle loro ordinarie attivitb. Dopodich6 avevo aisto rl. fi-lo di energia che unisce specifrche linee di esseri umani.Pir) e piil volte mi ribadi che avevo assistito a un eventoparticolare e inesplicabile. Avevo compreso cid che quel-la gente stava dicendo senza conoscerne la lingua e ave-vo uisto il filo di energia che collegava alcuni esseri uma-ni ad altri: non solo, avevo selezionato quegli aspetti me-diante un atto diintend,imenfo. Non si era trattato di unagire consapevole o volontario; l'intendimento era statoa un livello pit profondo ed era stato determinato dallanecessitb. Avevo bisogno di acquisire consapevolezza dialcune delle possibilith implicite nel viaggiare attraver-so l'oscuro mare della consapeuol.ezza, e il mio si,lenaio in-teriore aveva guidato I'intento - una forza universaleeterna - perch6 soddisfacesse tale necessitd.

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fd Consapevol.ezza inorganica

A un certo momento del mio apprendistato, donJuan mi rivelb la complessitd della sua situazione. Conmio grande sgomento, aveva continuato a sostenere divivere nella baracca nello stato di Sonora, in Messico,perch6 quella baracca illustrava il mio stato di consape-volezza.Io non credevo che mi giudicasse dawero cosiprivo di capacitd, n6 credevo che avesse altri luoghi incui vivere, come invece affermava.

Venne fuori che aveva ragione su entrambi i fronti. trmio stato di consapevol ezza eraeffettivamente bassissimoe lui aveva effettivamente altri luoghi in cui vivere, moltopir) confortevoli della baracca in cui aveva aurto luogo ilnostro primo incontro. N6 era lo sciamano solitario che ioavevo creduto, bensi il capo di un gruppo di quindici guer-rieri-uiaggiatori,: drecidonne e cinque uomini. La mia sor-presa non conobbe limiti quando mi condusse nel Messicocentrale, nella casa in cui abitava con i compagni.

"Era solo per causa mia che vivevi a Sonora, don

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, CONBAPEVOLEZZA INORGANIOA

Juan?" domandai, restio ad assumermi una simile re-sponsabiliti, una responsabiliti che mi riempiva di col-pa, di rimorso, nonch6 di un vivo senso di indegnitd.

..8e', di fatto non ci ho mai vissutoo mi rispose ri-dendo. "Mi sono limitato a incontrarvi te."

"Ma - ma - ma non potevi sapere quando sarei ve-nuto a incontrarti, don Juan" obiettai. "Non avevo al-cun modo per comunicartelo!"

"Se ricordi correttamente, sono state molte le voltein cui non mi hai trovato. Hai dovuto metterti a sederee aspettarmi pazientemente, anche per giorni interi."

"Sei venuto in volo da qui a Guayamas?" chiesi poi,persuaso che il modo pit veloce di viaggiare fosse in aereo.

.,.No, non sono arrivato in volo a Guayamas" mi ri-spose con un ampio sorriso.

"Ho volato direttamente alla baracca in cui tu aspet-tavi."

Stava dicendomi qualcosa che Ia mia mente che fun-zionava con la logica lineare non era in grado di capiren6 di accettare, qualcosa ehe mi sconcertava enorme-mente. Il mio livello di consapevolezza era pii basso emi tormentava serua sosta una domanda fatale: ..8 setutto cid che don Juan dice fosse vero?"

Non volevo chiedergli altro perch6 il tentativo di col-mare il divario fra i nostri due percorsi di pensiero e diazione mi precipitava invariabilmente nello smarrimento.

In quel nuovo ambiente, don Juan inizid scrupolosa-mente a istruirmi su un aspetto pir) complesso della suaconoscenza, un aspetto che richiedeva tutta Ia mia at-tenzione e per cui una semplice sospensione del giudizionon era sufficiente. F\r quello il periodo in cui dovettisprofondare negli abissi della sua conoscenza. Dovetticessare di avere una visione oggettiva delle cose e, altempo stesso, dovetti abbandonare la soggettivitd.

Un giorno, Io stavo aiutando a ripulire alcune cannedi bambi sul retro della casa. Don Juan mi aveva fattoinfilare i guanti da lavoro perch6, affermd, Ie schegge di

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CARLOS CASTANEDA

bambt erano agazze e spesso provocavano infezioni. Miinsegnd poi a maneggiare il coltello per ripulire le can-ne. Finii per eoncentrarmi talmente sul mio compito,che, quando lui comincid a parlarmi, dovetti interrom-permi per potergli prestare la dourta attenzione. DonJuan mi disse che avevo lavorato abbastanza e che eratempo di rientrare in casa.

Mi invitd a sedermi su una eomoda poltrona nel sog-giorno ampio e quasi moto. Mi offri noci, albicocche efette di formaggio, disposte ordinatamente su un piat-to. Protestai dicendo che volevo finire di pulire le cannedi bambt) e che non avevo fame. Senza badarmi, lui miconsiglid di mangiare con calma, perch6 awei avuto bi-sogno di una certa scorta di cibo per dedicare la neces-saria attenzione a quanto stava per dirmi.

"Sai gi), che esiste nell'universo una forza eterna chegli sciamani dell'antico Messico chiamavano I'oscuromare ilella consapeuol,eeeo. Quando erano al culmine delloro potere di percezioneuedeaano qualcosa che li aweb-be fatti tremare nei pantaloni, se li avessero poft'aLi.Ve-deuano chel'oscuro mare della consapeuolezza rrcn d soloresponsabile della consapevolezza degli organismi, maanche di quelle entitd che sono prive di organismo.o

"Entitd prive di organismo ma dotate di consapevo-lezza!,, ripetei sbalordito. Era la prima volta che mi il-lustrava quel concetto.

"Gli antichi sciamani avevano scoperto che I'interouniverso d composto daforze gemelle, forze che sono op-poste e complementari. Il nostro mondo non pud che es-sere un mondo gemello e quello ad esso opposto e com-plementare d un mondo popolato da esseri dotati di con-sapevolezza ma non di organismo. Per questa ragione,gli antichi sciamani li chiamavano esseri inorganici.,,

..Dov'd questo mondo?" domandai, masticando di-strattament e nn pezzo di albicocca.

oE qui, dove sediamo tu e io'' replicd don Juan connoncuranza, ma palesemente divertito dalla mia agrta-

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C O N SAP EVO LE Z ZA I N ORGAN I OA

zione...Ti ho detto che d il nostro mondo gemello e di con-seguenza non pud non essere intimamente collegato anoi. Gli sciamani dell'antico Messico non pensavano intermini di spazio e di tempo come fai tu, ma esclusiva-mente in termini di consapevolezza. Due tipi di consape-volezza possono coesistere senza ostacolarsi I'un I'altro,perch6 sono profondamente diversi. Gli antichi sciamaniaffrontavano il problema della coesistenza senza preoc-cuparsi del tempo e dello spazio. Per loro, il grado di con-sapevolezza degltesseri organici e quello degli esseri, inor-ganici erano talmente diversi che la convivenza era pos-sibile senza che si verificasse alcuna interfererza."

"Noi siamo in grado di percepire gli essed inoryani-cf?" domandai ancora.

"Certamente" mi rispose. "Gli sciamani possono riu-scirci con un atto di volontb. Anche I'uomo medio lo fa,ma senza saperlo, perch6 ignora I'esistenza di un mon-do gemello. Quando pensano a un mondo gemello, gliuomini entrano in una specie di spirale di mastur.bazio-ni mentali, ma d mai venuto loro in mente che le lorofantasie abbiano origine da una conoscenza sublimina-le che tutti condividiamo: non siamo soli."

Ero stupefatto e improwisamente mi scoprii ancheterribilmente affamato. Sentivo un senso di luoto allabocca dello stomaco. T\rtto quello che potevo fare eraascoltare con la massima attenzione e mangiare.

"Per te, la difficoltd nasee dal fatto che ti accosti al-le cose in termini di spazio e di tempo" riprese donJuan, "d che, cosi facendo, ti accorgi di qualcosa soloquando approda nello spazio e nel tempo a te accessibi-li e che sono necessariamente molto limitati. Gli scia-mani, invece, dispongono di un campo molto vasto sucui registrare l'arrivo di qualcosa di estraneo. Innume-revoli entitd provenienti dall'universo, entitd che pos-siedono consapevolezza ma non organismo, atterranonel campo di consapevolezza del nostro mondo, o del suogemello, senza che I'uomo medio ne abbia nemmeno

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CARLOS CASTANEDA

sentore. Sono entitd appartenenti ad altri mondi. Uu-niverso nella sua globalith, b pieno fino all'orlo di mondidi consapevolezza, organici e inorganici.,,

Questi sciamani, disse ancora, sapevano quando nelnostro campo di consapevolezza entravauna consapeao-lnzzainorganrJco proveniente da altri mondi. E, come fan-no tutti gli uomini, creavano continue classificazioni deidiversi tipi di questa energia dotata di consapevolezza, acui attribuivano il termine generico dt esseri, inorganici.

"Questi esseri inorganici hanno una vita eosi comel'abbiamo noi?" chiesi.

..Se per te avere la vita significa essere consapevoli,allora certamente si" fu Ia sua risposta. "Se la vita d davalutarsi in base all'intensith, alla penetrazione e alladurata di questa consapevolezza, allora si pud tranquil-lamente dire che sono pii vivi di me e di te'"

"E muoiono?"Don Juan ridacchid prima di rispondere' "se defini-

sci morte la fine della consap evolezza, allora si, muoio-no. La loro consapevolezza termina. La loro morte dmolto simile alla morte di un essere umano e al tempostesso non Io d, perch6 Ia morte degli uomini prevedeurt'opzione segreta. Qualcosa di simile a una clausolascritta a caratteri piccolissimi, quasi invisibili, su un do-cumento legale. Per leggerla bisogna usare Ia lente d'in-grandimento e tuttavia d Ia clausola pir) importante del-l'intero documento."

"Che cos'd I'opzione segreta, don Juan?"..Uopzione segreta della morte d pertinenza esclusiva

degli sciamani. Per quanto ne so, sono stati gli unici adaver decifrato quei minuscoli caratteri. Per loro, I'op-zione d pertinente e funzionale. Per l'uomo comune, lamorte equivale alla conclusione della consapevolezza,alla fine organica. Per gli esseri inorganici d lo stesso:anche per essi la morte d la fine della consapevolezza.htentrambi i casi, morire equivale all'essere risucchiatinell' oscuro mare d,ella consapeuolezza. La consapevolez-

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C O N SA P E VO L E Z Z A I N O NGAN I ( } A

za individuale, colma delle esperienze di vita, abbatte ipropri conflrni e si riversa, in forma di energia, nell'o-sc'uro nt,are d,ella consap ea okzaa.r,

"Ma qual d I'opzione segreta di morte accessibile so-lo agli seiamani, don Juan?" chiesi ancora.

..Per uno sciamano la morte d un fattore unificante.Invece di disintegrare I'organismo, come aceade nor-malmente, la morte lo unifrca."

.,Com'b possibile ehe la morte unifichi qualcosa?"protestai.

..Per uno sciamano, la morte pone fine al predominiodegli stati d'animo individuali nel corpo. Gli antichisciamani credevano che fosse appunto il dominio dellediverse parti del corpo a determinare gli uomini e leazioni del corpo nella sua inlerezza; le pari che diventa-no disfunzionali trascinano anche il resto nel caos, co-me succede per esempio quando si sta male per avermangiato del cibo avariato. In quel caso, lo stato deliostomaco condiziona tutto il resto. La morte sradica ildominio di queste parti individuali e unifica la loro con-sapevolezza in un'unitd."

.Vuoi dire che gli sciamani restano consapevoli anchedopo la morte?"

..Per essi, la morte d un atto di unificazione che coin-volge interamente Ia loro energia. T\r pensi alla morbecome a un cadavere in cui la decomposizione d gid in at-to. Per gli sciamani, quando I'unificazione ha luogo, nonc'd alcun cadavere. Non c'd decomposizione. I loro cor-pi nella loro interezza si sono trasformati in energia,un' energia dotata di consapevolezza non frammentaria.I limiti stabiliti dall'organismo, limiti che vengono in-franti dalla morte, perdurano nel caso degli sciamani,bench6 non pir) visibili a occhio nudo.,,

"So qual d la domanda che muori dalla voglia di far-mi" continud con un sorriso. "Vuoi sapere se cib di cuisto parlando d I'aseesa dell'anima in cielo o la sua cadu-ta all'inferno. No. Non si tratta dell'anima. Quando

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CARLOS CASTANEDA

uno sciamano sceglie questa opzione segreta' si trasfor-ma in tL essere inorgani,co estremamente sofrsticato,dotato di una prodigiosa capaciti di percezione. Entraallora in cid che gli antichi sciamani chiamavanoi'aiag'gio supremo.Iiinfinito diventa il suo campo d'azione.o

"Mi stai dicendo che diventano eterni?",.In quanto sciamano, la sobrietd mi dice che la loro

consapevolezzahaun termine, proprio come accade agliesseriinorganici, ma io non I'ho maiaisto accadere. Nonho conoscenze di prima mano al riguardo. Gli antichisciamani credevano che la consapevolezza di questi es-seri inorganici durasse quanto la terra stessa. La terrad la loro matrice. Finch6 essa prevale, Ia loro consape-volezza continua. E, per quanto mi riguarda, la trovourf affermazione del tutto ragionevole.,

Giudicai perfetta la sequenzialitd della sua spiega-zione. Non avevo alcun contributo da offrire. Mi lascidcon una sensazione di mistero nonch6 di aspettative ine-spresse che attendevano di essere esaudite.

Durante la mia visita successiva, feci a don Juan unadelle domande che pii mi tormentavano.

*D possibile che spettri e apparizioni esistano real-mente?,'

"Cid che tu definiresti fantasma o apparizione, quan-do d investigato da uno sciamano, si riduce a urt'unicaquestione: d possibile che queste apparizioni siano con-glomerati di campi energetici dotati di consapevolezza eche noi trasformiamo in cose che conosciamo. Se questod il caso, allora Ie apparizioni hanno energia. Gli scia-mani Ie definiscono confi,gurazioni generatrici ili ener-gia. In alternativa, non emanano alcuna energia, nelqual caso sono creazioni fantasmagoriche, di solitoproiettate da un individuo molto forte, e intendo forte intermini di consapevolezza.r,

"Un episodio che mi ha sempre intrigato moltissimo"seguitd don Juan, "d quello che mi hai raccontato in me-rito a tua zia. Lo ricordi?"

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C O N SAPEVO L E Z Z A I N ONGAN I CA

A quattordici anni ero andato a vivere presso la so-rella di mio padre. Mia zia abitava in una casa enormecon tre patii suddivisi in unitd abitative - camere da let-to, soggiorni eccetera. Il primo patio, pavimentato aciottoli, era estremamente austero. Un tempo era unacasa coloniale, mi dissero, dove entravano le carrozze. rlsecondo era uno splendido ftutteto in cui si interseca-vano sentieri di mattoni in stile moresco. Il terzo erasormontato da piante appese ai cornicioni e popolato diuccelli in gabbia; ai centro stava una fontana in stile co-loniale e non mancava un'ambita zona chiusa da una re-te metallica, in cui stava la passione di mia zia: i suoigalli da combattimento.

La zia mi aveva assegnato un intero appartamentoantistante il frutteto. Ero convinto che li me la sareispassata: potevo mangiare tutta Ia frutta che volevo. Ineasa nessun altro toceava quei frutti, per motivi che nonmi furono mai rivelati. Mia zia,Iapadrona di casa, erauna signora sulla cinquantina, alla e gr:assoccia e col vi-so rotondo, molto gioviale, grande narratrice e piena distranezze che celava dietro un contegno formaie e un,o-stentata religiositd. Poi c'era il maggiordomo, un uomoalto, imponente, poco pit che quarantenne, ehe nell,e-sercito era stato sergente maggiore e in seguito avevapreferito impiegarsi, con una buona retribuzione, comemaggiordomo, guardia del corpo e uomo tuttofare. Suamoglie, una donna giovane e bella, era la dama di com-pagnia, la cuoca e la confrdente di mia zia. La coppiaaveva una figlia, una bambina grassottella esattamenteuguale a mia zia.La somiglianza era talmente marcatache lei aveva finito per adottarla legalmente.

Erano le persone pir) tranquille che avessi mai cono-sciuto. Conducevano una vita estremamente quieta,punteggiata solo dalle bizzarrie di mia zia ehe, all'im-prowiso, decideva magari di intraprendere un viaggio odi comprare nuovi galli da combattimento e addestrar-li, per utilizzarli poi in incontri in cui circolavano cifre

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CARLOS CASTANEDA

enormi. Circondava i galli di cure amorevoli, accuden-doli a volte per tutto il giorno. Portava spessi guanti dipelle e, per evitare che gli animali la ferissero con glisperoni, rigidi gambali in Pelle.

Passai li due mesi meravigliosi. Il pomeriggio,la ziami impartiva lezioni di musica e mi raecontava storie in-terminabili sui nostri antenati. Era un aecomodamentoiileale per me, libero com'ero di uscire con i miei amicisenza doverne rendere eonto a nessuno. Avolte, la not-te, mi succedeva di restare sveglio per ore. Tbnevo la fi-nestra aperta per lasciare entrare il profumo dei fiorid'arancio e sempre, nel corso di quelle lunghe veglie,sentivo dei passi nel corridoio che si snodava lungo tut-to il lato nord della casa e collegava i vari patii' Avevadegli splendidi archi e il pavimento di piastrelle' Lo 1-Iuminavano solo quattro lampadine a bassissimo vol-taggio, che venivano accese ogni sera alle sei e spente al-le sei del mattino.

Chiesi a mia zia se fosse il maggiordomo a cammina-re di notte e a fermarsi in corrispondenza della mia fr-nestra, perch6 era quello il punto che il misterioso vian-dante aveva scelto per girarsi e tornare sui suoi passi,diretto all'ingresso PrinciPale.

..Non darti pena per simili seiocchezze, tesoroo mi ri-spose lei sorridendo. .Probabilmente b il maggiordomoche fa il giro tli controllo. Non ti sarai spaventato?"

..Cerbo ehe no,, replicai. "Ero solo curioso di sapereperch6 quell'uomo si ferma proprio davanti alla miastanza. Avolte i suoi passi mi svegliano."

Lei liquidb la questione in poche parole, dicendo cheil maggiorclomo era stato un militare ed era abituato al-le ronde, una spiegazione che non faticai ad accettare'

Un giorno, perd, mi lamentai con il maggiordomo delsuo passo pesante e gli chiesi di fare pii attenzione pernon wegliarmi.

"Non so di che cosa tu stia parlando" protestb lui intono brusco.

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C ON SAP EVO LE Z ZA I NO RGANI CA

"Mia zia mi ha detto che di notte sorvegli la casa.,'"Mai fatto niente del genere" negb I'uomo con aria

disgustata."Ma allora chi cammina vicino alla mia finestra?"..Nessuno. Ti immagini le cose. Tkrrna a dormire e

non agitare le acque. Lio dico per il tuo bene."In quegli anni per me non c'era nulla di peggio che

sentirmi dire che qualcosa veniva fatto per il mio bene.Quella notte, non appena udii i passi, uscii dalla came-ra e mi nascosi dietro al muro che portava all'ingressodel mio appartamento. Quando calcolai che il misterio-so visitatore fosse pii o meno alf'altezza della secondalampadina, misi fuori la testa. I passi si fermarono dicolpo, ma non vidi nessuno. Il corridoio in penombra eradeserto. E tuttavia lo sconosciuto non poteva avere avu-to il tempo di nascondersi, soprattutto perch6 di na-scondigli non ce rferano. C'erano solo pareti spoglie.Ero cosi spaventat<l che cominciai a urlare, destandotutti. Mia z\a e i. maggiordomo cercarono di calmarmidicendo che avevo immaginato ogni cosa, ma ero tal-mente agitato che finirono per confessare: c'era in ef-fetti una presenza sconosciuta che ogni notte si aggira-va per la casa.

Secondo don Juan era mia zia a compiere quelle pas-seggiate notturne; pir) precisamente, un aspetto dellasua consapevolezza su cui lei non aveva alcun controllo.Credeva che il fenorneno fosse da attribuire a una certapropensione di lei alla giocosih e al mistero. Secondodon Juan, non era affatto azzardato pensare che, a li-vello subliminale, mra zia fosse capace di manipolazionidella consapevolezza ben pii complesse. T\rttavia, ag-giunse, per amore di giustizia si sentiva tenuto ad am-mettere la possibiliti che quei passi fossero il prodottodr con s ap eu ol,e z ze ino ry anich.e .

Don Juan disse inoltre che gli sciamani deila suastirpe consideravano gli esseri inorganici che popolava-no il nostro mondo gemello come nostri congiunti. Pen-

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CARLOS CASTANEDA

savano tuttavia che fosse futile stabilire con loro un rap-porto amicale: le rivendicazioni di una simile amiciziarisultavano sempre esorbitanti per noi. Quel tipo di es-sere inorganico, specifrcd, i nostri primi cugini, eomuni-ca con noi senza sosta, ma d una comunicazione che nonsi wolge sul piano della consapevolezzaeonscia. In altreparole, noi sappiamo di loro in modo subliminale, men-tre loro ci conoscono in modo deliberato e conscio.

"Uenergia proveniente dai nostri primi cugini d unostacolo', continud. "Sono fottuti come noi. Potremmodire che gli esseri organici e inorganici dei nostri mondigemelli sono figli di due sorelle che vivono porta a por-ta: sono esattamente identici, bench6 appaiano diversi.Non possono aiutarci e noi non possiamo aiutare loro.tr'brse awemmo potuto coalizzarci e awiare una fanta-stica azienda a conduzione familiare, ma non d mai ac-caduto. Entrambi i rami della famiglia sono estrema-mente suscettibili e si offendono per nulla, una situa-zione pit che comune tra primi cugini. Secondo gli scia-mani dell'antico Messico, il punto cruciale d che sia gliesseri umani sia gli esseri inorganici dei mondi gemellisono centrati nell'ego al massimo grado.

Secondo don Juan, in base a urt'altra classificazionefatta dagli antichi sciamani, gli esseri inorganici eranodefrniti scout o espl,oratori e con cid gli sciamani inten-devano gli esseri inoryanici provenienti dalle profonditddell'universo, con una oonsap evolezza infrnitamente pitrapida e acuta di quella dell'uomo.

Don Juan disse che gli antichi sciamani avevano dedi-cato intere generazioni a elaborare i loro criteri di classi-fieazione, arrivando alla conclusione che certi tipi di esse-ri inorgonici della categoria degli scout o esplnratori so'no, a causa della loro vivacitb, molto simili agli uomini.Con gli uomini potrebbero di conseguenza stabilire lega-mi e anche una relazione simbiotica. Di conseguenza, Iiavevano chiamati glialkati. Ma in questo caso, mi spiegodon Juan, il loro errore era stato quello di attribuire ca-

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CO N SAPEVO LE Z ZA I NORGAN I CA

ratteristiche umane a un'energia impersonale, e di crede-re di poterla imbrigliare. Consideravano queste forme dienergia bloccata eome loro assistenti e si affrdavano a es-si senza comprendere ehe, essendo costituiti di pura ener-gia, non avevano alcun potere di sostenere i loro sforzi.

"Ti ho detto tutto quello che c'b da sapere sugli esse-ri inorEanici" concluse piuttosto bruscamente. "Uunicomodo per verificare la veridiciti di queste informazionista nell'esp erienza diretta."

Non gli chiesi che cosa volesse da me. Mi aveva inva-so un timore profondo, avevo il corpo scosso da spasminervosi, che esplodevano come un'eruzione r,'uleanicadal plesso solare, per diffondersi fino alla punta delle di-ta e in tutta la parte superiore del torace.

..Oggr andremo in cerea dt esseri inorganici" annun-cid a quel punto don Juan. Mi ordind di sedermi sul let-to e di assumere di nuovo la posizione che favoriva il si-knzio interiore. Obbedii con insolita tranquillitd. Di so-lito, infatti, ero un po' restio, anche se mi sforzavo dinon mostrare la mia riluttanza.

Mentre mi sedevo, ebbi la vaga sensazione di trovar-mi gid in uno stato di siknzio interiore.I miei pensierinon erano pii lucidi. Awertivo intorno a me un'oscuritdimpenetrabile e la sensazione era simile a quella che siprova quando si d sul punto di addormentarsi. Il miocorpo era assolutamente immobile, forse perch6 non erointenzionato a ordinargli di muoversi, o forse perch6non ero neppure in grado di formulare certi ordini.

Un istante pii tardi mi ritrovai con don Juan nel de-serto di Sonora. Riconobbi il posto: c'ero stato con luitalmente tante volte che ne avevo memorizzato ogni ca-ratteristica. Era il tramonto e la luce del sole mi gettdin uno stato di disperazione. Camminavo automatica-mente, cosciente delle sensazioni fisiche a eui, perd, nonsi accompagnavano pensieri. Awei voluto parlarne adon Juan, ma il desiderio di comunicargli quelle miesensazioni svani quasi subito.

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CARLOS CASTANEDA

Con voee lenta e grave, lui disse che il letto asciuttodel fiume su cui camminavamo era un luogo appropria-to per cid che ci proponevamo. Mi disse poi di sedermisu un piccolo maeigno, mentre lui ne awebbe occupatoun altro, a una quindicina di metri di distanza. Non glichiesi, come awei fatto in qualunque altro momento,che cosa awei dol'uto fare. Iro sapevo. Di li a poco sen-tii un rumore di passi tra i radi cespugli che ci circon-davano. Nel deserto I'aria era troppo secca per favorirelo wiluppo dellavegetazione e, fra un cespuglio e I'altro,c'era una distanza di pin di dieci metri.

\tdi due uomini che si awicinavano. Sembrava gen-te del posto, forse indiani provenienti da una delle vici-ne cittb Yaqui. Si fermarono aecanto a me e, con farenoncurante, uno mi domandd come stessi. Avrei volutosorridergli, ridere, ma non potei. Avevo il volto rigido,bench6 nel mio intimo ribollissi. Awei voluto saltare sue glt, ma non ero in grado di fare neppure questo' Ri-sposi che stavo bene, poi domandai chi fossero. Pur nonconoscendoli, sentivo eon loro una straordinaria fami-liarith. Nello stesso tono noncurante, uno dei due mi ri-spose che erano miei allnati.

Li fissai, eercando di memorizzare i loro lineamenti,ma li vidi mutare, come liquefarsi, sotto il mio sguardo.Non c'erano pensieri; solo sensazioni viscerali. Li guar-dai abbastarwa a lungo da cancellare completamente iloro tratti e, in ultimo, mi trovai di fronte due grumi diluminositb vibrante. I grumi non avevano contorni e laforza di coesione sembrava scaturire dall'interno. Atrat-ti si facevano piatti e pii ampi, poi si dilatavano di nuo-vo in verticale, fino a raggiungerel'altezza di un uomo.

Improwisamente sentii il braccio di don Juan ag-ganciarsi al mio e trascinarmi via dal macigno. Disseche era ora di andare. Subito dopo, ero di nuovo nellasua casa in Messico, pii stupefatto che mai.

..Oggr hai trovato laconsapeuolezzainorgan'ica e I'haiuista come realmente d" mi disse lui. "Lenergia d I'irri-

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CO N BAP EVO L E Z ZA I N ORGAN I OA

ducibile residuo di ogni cosa. Per un essere umano) ue-d,ere dftettamente I'energia d il limite ultimo. Forse al dil) di esso c'd deli'altro, ma noi non vi abbiamo accesso.>

Ribadi questo concetto pii volte, e ogni volta che loripeteva le sue parole sembravano acquistare una mag-giore eoncretezza. Gli raccontai tutto quello che avevovisto e sentito. Don Juan mi spiegd che quel giorno eroriuscito a trasformare la forma antropomorfica degli es-seri inorganici nella loro essenza: energia impersonaleconsapevole di s6.

"Devi capire che d proprio la nostra eonoscenza, ched in sostanza un sistema di interpretazione, a limitare lenostre risorse. E il nostro sistema di interpretazione adirci quali sono i parametri delle nostre possibilitd e,dato che non c'd eircostanza della vita in cui non lo uti-lizziamo, non possiamo contrastarne i dicta."

"Uenergia di questi esseri inorganici ci incita" conti-nud, ..e noi interpretiamo tale incitamento a seconda delnostro stato d'animo. La cosa pii lucida che uno scia-mano possa fare d confinare queste entitd a un livelloastratto. Meno interpretazioni si danno, meglio d."

..D'ora in poi" continud, "ogni volta che ti troverai difronte a un'apparizione, mantieniti saldo e guardalacon atteggiamento inflessibile. Se d un essere inorgani-co,la tua interpretazione di esso r,'errd a cadere comeuna foglia morta. Se non accade nulla, allora capirai ched solo una stronzata della tua mente che, per altro, nond affatto tua."

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@ Lr visione nitida

Per la prima volta in vita mia non sapevo che puntidi riferimento scegliere per sapere quale comportamen-to adottare nel mondo. Ero smarrito. Il mondo che micircondava non era cambiato; la colpa era eertamentemia. Uinfluenza di don Juau e tutte le attivitb che deri-vavano dalle sue pratiche e nelle quali mi aveva coinvol-to tanto intensamente, comineiavano a esigere il loroprezzo,rendendomi incapace di trattare con il mio pros-simo. Esaminai questa mia diffieoltd e conclusi che ilproblerna stava nella mia compulsivitd a valutare chiun-que usando don Juan come parametro.

A mio awiso, don Juan era un essere che viveva lapropria vita nel modo pit professionale, in ogni aceezio'ne del termine: tutte le sue azioni, anche le pii insigni-ficanti, avevano un peso. Ero circondato da personeconvinte di essere immortali, che si contraddicevano aogni pid sospinto; esseri le cui azioni non avevano maiuna seria giustificazione. II confronto era quindi tutto a

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I,A VISIONE NITIDA

loro svantaggio. Mi ero abituato all'inalterabile com-portamento di don Juan, alla sua totale mancanza dipresunzione e all'insondabile portata del suo intelletto,mentre pochissime erano le persone di mia conoscenzache fossero anche solo consapevoli dell'esistenza di unaltro schema di comportamento in grado di alimentarequelle qualitd. L.,a maggior parte conosceva solo lo sche-ma eomportamentale dell'autoriferirnento, che rende gliuomini deboli e contorti. Di conseguenza) | miei studiuniversitari stavano attraversando un momento di par-ticolare difficoltd. Li stavo, per cosi dire, perdendo di vi-sta. Cercavo disperatamente di trovare una giustifica-zione ai miei sforzi accadernici. Ad aiutarmi e a darmiun legame, per quanto debole, col mondo accademico, fusoltanto urlosservazione che don Juan aveva fatto tem-po addietro: i guerci,eri-uiaggiatori, devono amare la co-noscenza, in qualunque forma essa si presenti.

Don Juan aveva definito il eoncetto di guerrieri-uiaggiatori dicendo che si riferiva agli sciamani che, inqualitd di guemieri, viaggiavano nell'oscuro mare dellaconsapeuolezza. Aveva aggiunto che gli esseri umanierano viaggiatori dell'oscuro mare ilella consapeuol,e,zza equesta terra non era altro che una tappa del loro viag-gio; per motivi esterni, che in quel periodo non deside-rava dimlgare, essi avevano poi interrotto iI loro viag-gio. Erano frniti, mi spiegd, intrappolati in una sorta divottice: una coruente che si muoveva circolarmente dan-do loro I'impressione di muoversi mentre, di fatto, sta-vano fermi. Gli sciamani erano i soli a opporsi alla for-za, qualunque essa fosse, che teneva prigionieri gli uo-mini e, attraverso la disciplina, si liberavano dalla suastretta per continuare il viaggio.

A portare definitivamente il caos nella mia attivitdaccademica fu l'incapacitd da parte mia di concentrar-mi su tematiche antropologiche che non mi dicevanonulla; non perch6 mancassero di fascino, ma perch6 era-no in prevalenza argomenti in cui le parole e i concetti

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CARLOS CASTANEDA

andavano manipolati, come in un documento legale: loscopo era ottenere un certo risultato che confermasse iprecedenti. Si diceva che la conoscenza umana erastrutturata in questo modo e che I'impegno di ciaseunindividuo equivaleva a uno dei blocchi che awebberocontribuito a costruire un sistema di conoscenza. Ue-sempio che mi veniva fatto era quello del sistema legalesotto cui viviamo e che d per noi di importanza vitale.Ciononostante in quel periodo il mio atteggiamento ro-mantico mi impediva di vedermi come un awocato del-I'antropologia. Avevo acquistato a scatola chiusa il con-cetto che I'antropologia dowebbe essere la matrice diogni sforzo umano, oppure la misura dell'uomo.

Don Juan, pragmatista all'estremo, un autenticoguewiero-uiaggiatore dell'ignoto, pensava che avessi intesta un sacco di idee sciocche. Secondo lui, poco im-portava che le tematiche antropologiche che mi avevanoproposto fossero esercitazioni di parole e concetti: cidche contava era I'esercizio della diseiplina.

.,Non fa differenza" mi disse unavolta, (essere o me-no un buon lettore, n6 quanti libri meravigliosi si leggo-no. I-iimportante b avere Ia disciplina necessaria perleggere cib che non si vuol leggere. Per gli sciamani, ilfiilcro della pratica dello studio sta in cid che si rifiuta,non in cid che si accetta."

Decisi cli prendermi una pausa e mi impiegai nell'uf-ficio artistico di un'azienda produttrice di decalcoma-nie. Il nuovo lavoro fini per impegnare tutto il mio tem-po e i miei pensieri. La sfida stava nel portare a termi-ne i compiti assegnatemi nel modo piir perfetto e pii ra-pido possibile. Montare i fogli di vinile con le immaginidestinate a essere trasformate in decalcomanie era unaprocedura standard che non ammetteva alcuna innova-zione e l'effrcienza dell'operatore si valutava in base al-la precisione e alla velocitd. Divenni uno stacanovista emi divertivo moltissimo.

Ben presto divenni amico del direttore dell'ufficio ar-

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IJA VISIONE NITIDA

tistico, che fini col prendermi sotto la sua protezione. Sichiamava Ernest Lipton e io io ammiravo e lo rispetta-vo infinitamente. Era un artista e un magnifico ar-tigia-no; il suo principale difetto era l'eccessiva gentilezza,una considerazione per gli altri tale da sconfinare nellapassivitd.

Un giorno, per esempio, stavamo lasciando il par-cheggio del ristorante in cui avevamo pranzato. Conmolta cortesia, Ernest diede la precedenza a un'altraauto che stava useendo a sua volta. Il conducente, cheevidentemente non ei aveva visto, fece marcia indietroad alta velocitd. Inveee di awertirlo suonando il clac-son, Ernest rimase fermo, con un sorriso da idiota,mentre l'automobile ci veniva addosso. Quindi si volseper seusarsi con me.

"Perbaeeo, awei potuto suonare il clacson" disse,..ma d cosi maledettamente rumoroso che mi mette inimbarazzo.r,

Ualtro automobilista era furioso e bisognd calmarlo."Non si preoccupi" disse Ernest, "la sua auto non ha su-bito alcun danno. E a me ha fracassato solo i fari, checontavo di cambiare comunque.>

Un'altra volta, ci trovavamo nello stesso ristorantein compagnia di alcuni giapponesi, clienti della societd.I nostri ospiti parlavano animatamente, tempestandocidi domande. Arrivd il cameriere con le ordinazioni e tol-se alcuni piatti di insalata per fare posto sul tavolostretto ai g::andi vassoi caldi della portata principale.Uno dei clienti aveva bisogno di pin spazio. Spinse inavanti il suo piatto che andd a urtare quello di Ernest.I-rui lo vide scivolare verso il bordo del tavolo e ancoraunavolta, invece di awertire l'altro, rimase fermo e sor-ridente finch6 il piatto non gli cadde in grembo.

In un'altra occasione, andai a casa sua per aiutarlo amontare nel patio certi travicelli su cui contava di farcreseere una vite per ricavarne ombra e frutta. Mon-tammo i travicelli in un'enorme struttura e quindi ne

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CARLOS CAgTANEDA

sollevammo un lato per inchiodarla alle travi. Ernestera un uomo alto e forbe, e utilizzando un pezzo di legnodi due pollici per quattro, sollevd l'altro capo per con-sentirmi di infilare i bulloni nei fori che avevamo prece-dentemente praticato nelle travi di supporto. Proprio inquel momento, sentimmo bussare e Ernest mi chiese diandare a vedere chi fosse. I-rui sarebbe rimasto Ii a sor-reggere la struttura.

Era sua moglie, carica di pacchetti della spesa. Ladonna mi coinvolse in una lunga conversazione e io midimenticai di Ernest. Uaiutai addirittura a mettere viala spesa. Stavo sistemando il sedano quando mi ricordaiimprowisamente di lui. Conoscendolo, ero certo che fos-se ancora D, forte della convinzione che tutti trattasse-ro il prossimo con il suo stesso rispetto. Mi precipitai nelcortile posteriore, dove lo trovai a terra. Era crollato perla stanchezza. Sembrava una bambola di stracci e do-vetti chiamare alcuni suoi amici perchd mi dessero unamano. Ernest non era pii in grado di lavorare e fu co-stretto a mettersi a letto. Ero certo che gli fosse venutaun'ernia.

Ma il culmine lo raggiunse quando un fine settimanaparti con degli amici per un'escursione sulle montagnedi San Bernardino. Si erano accampati per la notte etutti stavano dormendo quando Ernest si alzd per sod-disfare un bisogno fisiologico. Rispettoso come sempre,volle allontanarsi dal campo per non disturbare nessu-no, ma nel buio scivold e rotold gir) per il pendio. Comeraccontd in seguito agli amici, era sicuro che si sarebbeschiantato sul fondo della vallata. Per sua fortuna, riu-sci ad aggrapparsi a una sporgenza con la punta delledita e rimase per ore in qrrella posizione, tastando nel-I'oscuritd alla ricerca di un appoggio per i piedi, perch6le braccia minacciavano di cedere... se fosse caduto, sa-rebbe morto.

Allungando le gambe il pir) possibile, trovd finalmen-te delle minuscole sporgenze rocciose su cui posare i pie-

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ITA VISIONE NITIDA

di. Rimase cosi, attaceato alla roccia eome le decalco-manie che produceva, flnch6la luce del giorno non gli ri-veld che era sospeso a pochi centimetri da terra.

"Awesti potuto gridare aiuto!" protestarono i suoiamici.

oPerbaeco, non pensavo che sarebbe servito" fu lasua risposta. "Chi mi awebbe sentito? Credevo di esse-re rotolato in basso per pii di un chilometro. E poi, dor-mivano tutti."

Ernest Lipton mi inflisse il colpo finale quando deci-se di comprare un'auto a basso consumo, un MaggioloneVolkswagen. Ernest, infatti, perdeva due ore al giorno afare la spola tra casa e negozio. Dopo l'aequisto, vollecalcolare quanti chilometri faeeva con un gallone di ben-zina. Restai sorpreso quando una mattina mi annunciddi aver coperto ben cento chilometri con un solo gallone.Certo, aggiunse puntigliosamente, non aveva guidatoquasi mai in cittd, ma soprattutto in autostrada, bench6nelle ore d.i punta, quando era costretto ad accelerare erallentare di continuo. Una settimana dopo mi disse diessere arrivato ai quattrocento chilometri con un gallo-ne. Quella prodigiosa escalation continud fino allo stu-pefacente traguardo di pit di mille chilometri con ungallone. Gli amici gli dissero che awebbe doruto infor-mare la Volkswagen, perch6 il record venisse adeguata-mente documentato. Ernest era compiaciutissimo, nonstava pii nella pelle; eontinuava a ripetere che non sa-peva che cosa awebbe fatto se avesse raggiunto il pri-mato dei mille e seicento chilometri. Gli amici risposeroche a quel punto awebbe dourto gridare al miracolo.

Questa idilliaca situazione si protrasse fino al matti-no in cui Ernest scopri che proprio quegli amici da me-si Io imbrogliavano con il tmcco pir) vecchio del mondo.Ogni giorno, uno di loro travasava nel serbatoio dellasua auto tre o quattrotazze di benzina in modo che I'in-dicatore non segnasse mai rosso.

Quella volta Ernest Lipton fu a un passo dall'arrab-

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biarsi. Il suo cluro commento fu: "Perbacco! E voi lo tro-vate divertente?" Io ero al corrente dello scherzo da set-timane, ma non ero intervenuto, pensando che non fos-sero affari miei. Ernest conosceva quegli uomini da tut-ta una vita, mentre io ero un nuovo arrivato. T\rttavia,nel vedere la sua espressione di risentimento e di delu-sione e Ia sua palese incapacitd di arrabbiarsi, sentiiun'ondata di colpa e di ansia. Ecco che ancora una vol-ta mi trovavo ad affrontare un vecchio nemico. Di-sprezzavo Ernest Lipton ma, al tempo stesso, lo ap-prezzavo infinitamente. Era senza difese.

La veritd era che Ernest assomigliava a mio padre.GIi occhiali dalle lenti spesse, la calvizie incipiente, i pe-li ispidi e gngl della barba, mai perfettamente rasata,mi riportavano alla mente mio padre. Ernest aveva lostesso naso dritto, appuntito e lo stesso mento a punta.Ma fu Ia sua incapacitb di arrabbiarsi e prendere queiburloni a pugni sul naso a stringere la somiglianzatrardue, porbandola oltre il limite di sicurezza.

Ricordai come mio padre fosse pazzamente innamo-rato della sorella del suo migliore amico. Un giorno, lavidi in una localitd turistica, mano nella mano con unragazzo. Li accompagpava la, madre di lei, nel ruolo dichaperon. I due si guardavano rapiti e la ragazza sem-brava al settimo cielo. Insomrna, era I'amore giovanilenella sua forma perfetta. Quando vidi mio padre gli dis-si che la sua ragazza aveva un vero frdanzato, assapo-rando ogni istante del mio racconto con tutta Ia maliziadei miei dieci anni. I-.iui ne rimase turbatissimo. Non vo-leva crederci.

"Ma tu le hai mai cletto nulla?" esplosi alla fine. "Leilo sa che ne sei innamorato?"

"Non essere seiocco, piccolo vermelo proruppe lui."fo non ho bisogno di raccontare alle donne stronzatedel genere."

Mi guardd con I'aria petulante di un ragazzinovtzia-to, con le labbra che gli tremavano per Ia rabbia. "Lei d

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LA VISIONE NITIDA

mia! Dowebbe sapere che d la mia donna senza che iodebba dirglielo!"

Pronuncid quelle parole con la siearezza di un bambi-no che ha a"rrto sempre tutto, senza mai dover lottare.

A quel punto, pronunciai la mia battuta. "Be'o dissi,"io credo che lei stesse aspettando qualcuno che glielodieesse, e quel qualcuno ti ha battuto sul tempo."

Ero pronto a scappar via, sicuro che awebbe tentatodi prendermi a ceffoni, invece lui crolld. Scoppid a pian-gere e, singhiozzando incontrollabilmente, mi chiese se,visto che ero capace di tutto, fossi disposto a spiare laragazza per suo conto e dirgli cosa succedeva.

Disprezzavo mio padre oltre ogni dire, ma al tempostesso lo amavo, con un amore pervaso da una tristezzaincomparabile. Mi maledissi per averporbato quellaver-gogna su di lui.

Ernest Lipton mi ricordava mio padre al punto che,con la scusa di riprendere gli studi,lasciai il lavoro. Nonvolevo aggravare il fardello che gid portavo sulle spalle.Non mi ero mai perdonato per I'angoscia che avevo cau-sata a mio padre, n6 avevo mai perdonato Iui per la suaviltd.

Ttrrnai all'universiti e mi accinsi all'immane compitodi riprendere le fila dei miei studi di antropologia. A ren-dere ancor pii diffrcile il mio reinserimento fu il fatto chela persona eon cui awei lavorato con maggior faciliti epiaeere, purtroppo non apparbeneva alla mia facoltd: eraun archeologo. Questo studioso aveva un toceo ammirevo-le, una curiositd audace e lavolontd di estendere la sua co-noscerza senza farsi confondere e senza difendere tesi in-sostenibili. Era stata la sua influenza a suscitare in meI'interesse per il lavoro di raccolta diretta dei dati sul cam-po. tr'brse perch6lui stesso scava\a, nel senso pit letteraledellaparola, alla rieerca di nuove informazioni, la sua con-eretezza era per me ul'autentica oasi. Era stato I'unico aincoraggiarmi a intraprendere il lavoro antropologico sulcampo, sostenendo che non avevo mrlla da perdere.

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CARLOS CASTANED:

"Perdi questa oceasione, e arrrai perso tutto" mi dis-se una volta, e questo d certo il consiglio pii valido cheabbia mai rice'mto in ambito accademico. Se avessi se-guito il consiglio di don Juan e lavorato per correggerela mia ossessione per I'autoriferimento, non awei dav-vero avuto nulla da perdere e tutto da guadagnare. Maquesta opportunitd era ancora di ld da venire.

Quando raccontai a don Juan le difficoltd incontra-te nel trovare un docente con cui collaborare, rimasisgradevolmente colpito dalla sua reazione. Mi dette delpiccolo scorreggione e mi appelld con nomi perfino peg-giori. Mi disse quello che gih sapevor se non fossi statotanto teso, awei llotuto collaborare eon chiunque, inambito universitario come in quello professionale.

"I guerrieri-uiaggiatori non si lamentano" prosegui."Accettano come una sfrda qualunque cosa l'infinito gLioffra. Una sfida b una sfida. Non d una questione per-sonale. Non pud essere presa come una maledizione ouna fortuna. Un guerriero-uiaggiatore o vince la sfida od distrutto da essa. E vincere b pii eccitante, quindivinci!"

Ribattei che dirlo era facile, ma che metterlo in pra-tica era tutt'altra faccenda; e che i miei patimenti era-no insuperabili perch6 nascevano dalla mancanza dicoererrza dei miei simili.

"In difetto non sono quelli che ti circondano" replicdIui. "Loro non possono evitare di essere quello che sono.T\r sei in difetto, perch6 invece di aiutare te stesso pre-ferisci giudicare loro. Ma solo gli idioti giudicano. Giu-dicandoli, non farai altro che tirare fuori il loro lato peg-giore. Siamo tutti prigionieri ed d questa prigionia a in-durci ad agire con tanta meschinitb. La tua sfida sta nelprendere gli altri cosi come sono. Lasciali in pace.)>

"Questa volta ti sbagli, don Juan" protestai. "Credi-mi, non ho alcun interesse a giudicarli n6 ad avere a chefare con loro."

"Sai benissimo cosa voElio dire" insistette lui. "Se228

I,A VISIONE NITIDA

non sei consapevole del tuo desiderio di giudicarli, allo_ra sei in una situazione perfino peggiore di quanto cre-dessi. E questo l'ostacolo ctre incont.arro i guerrieri-uiaggi,atori quando cominciano a ricapitolare il loroviaggio. Si fanno arroganti, incontrollabili.o

Finii col riconoscere che le mie lamentele erano dav-vero mesehine. Gli dissi che ogni giorno dovevo veder_mela eon awenimenti che avevano Ia nefasta capaciti difiaccare la mia determinazione, e che mi imbarazzavalaprospettiva di raccontargli gli episodi che mi opprime-vano.

"Coraggio" mi sollecitd don Juan. ..Spara! Non ave-re segreti con me. Io sono un recipiente luoto. eualun-que eosa tu mi dica verrd proiettata nell,infinito."

"Le mie non sono che miserabili lamenteleo eomin_ciai. "Non sono diverso da tutte le persone che conosco.D impossibile parlare con qualcurro *.-u ritrovarsi adascoltare lamentele piri o meno celate.,,

Gli spiegai come, anehe nelle conversazioni pii sem-pliei, i miei amici riuscissero a infilare un numero infi-nito di lamentele. Volli fargli un esempio.

"Come va, Jim?""Oh, bene, bene Cal." Seguiva un lungo silenzio, che

mi sentivo obbligato a rompere con un: oeualcosa nonva. Jim?"

"No! Va tutto benissimo. Ho qualche problema conMel, sai com'd Mel - egoista e stronzo. Ma bisognaprendere gli amici eosi come sono, giusto? Certo, lui po-trebbe avere un po'pir) di rispetto. Ma che cazzo. n fat-to cosi. Ti scarica sempre tutto il peso addosso - deviprenderlo com'd, oppure niente. I-lo fa da quando ave_vamo dodici anni, quindi si pud dire che la colpa sia mia.Perch6 cavolo lo sopporto?"

"Be', hai ragione, Jim. Mel d difficile da sopportare,proprio cosi.,,, "Diavolo, parlando di stronzi tu non sei molto megliodi lui, Cal. Non posso mai contare su di teo e cosi via.

trq

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CARLOS CASTANEDA

Un altro dialogo tiPico era:...Come te Ia passi, Alex? Come va la vita da spo;ato?"..Ah, una meraviglia. Per la prima volta mangio agli

orari giusti, cibi cucinati in casa, ma sto ingrassando'Non ho altro da fare che guardare la TV Un tempo usci-vo con voi tagazzi, ma ora non posso. Theresa non melo permette. Naturalmente potrei dirle di andare afar-si fottere, ma non voglio ferirla' Insomma, sono soddi-sfatto ma infelice."

E prima di sposarsi Alex era stato l'uomo pit infeli-ce defmondo. La suabattuta tipica agli amici sr'a; "Ehi,accompagnami alla macchina, voglio presentarti la miacagna>.

Lo divertiva moltissimo vedere le nostre espressromdeluse quando in macchina trovavamo un cane di sessofemminile. Presentava Ia sua <cagna> a tutti gli amici eper me fu un autentico choc quando sposb Theresa, unainaratoneta. Si conobbero appunto a una maratona nelcorso della quale AIex svenne. Correvano in montagna eTheresa, che voleva rianimarlo a ogm costo, gli piscid infaccia. Da quel momento, Alex fu il suo schiavo' Lei ave-va marcato iI suo territorio. Gli amici cominciarono achiamarlo ..il suo piseioso prigioniero". E lei si, la giu-dicavano una vera cagna, quella che aveva trasformatolo strano Alex in una grassa nullitd.

Risi per qualche istante con don Juan, che poi tornda farsi serio.

oQuesti sono gli alti e bassi del vivere quotidiano"disse. ..Si vince e si perde, impossibile sapere quando sivincerh o quando si perderd,. Questo d il prezzo che sipaga per poter vivere secondo le regole dell'autoriferi-;""6. Non c'b nulla che io possa dirti, e non c'd nullache tu possa dire a te stesso. Posso solo consigliarti di,rott ..ttti"ti in colpa per essere un imbecille' ma di im-pegnarti per mettere fine al dominio dell'autoriferimen-io.-fU"tta uU'universit},. Non b ancora il momento di ri-nunciare.o

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I,A VISIONE NITIDA

Ma il mio desiderio di restare nel mondo accademicodiminuiva a vista d'occhio. Cominciai a vivere come seavessi innestato il pilota automatico. Mi sentivo appe-santito, depresso, ma era una condizione che non coin-volgeva la mente. Non calcolavo nulla, non avevo obiet-tivi n6 aspettative di alcun genere. Anche se i miei pen-sieri non erano ossessivi, lo erano le mie emozioni. Misforzavo di concettualizzare questa dicotomia tra unamente tranquilla ed emozioni turbolente. Fh in questostato di vuoto mentale e sowaccarico di sensazioni cheun giorno lasciai Haines Hall, dove si trova la facoltd diantropologia, per andare apranzare al self-service.

Improwisamente mi invase uno strano tremore. Tb-mendo d,i wenire, mi misi a sedere su alcuni gradini dimattoni. Puntini giali mi ballavano davanti agli occhi.Avevo l'impressione di stare roteando ed ero certo chemi sarebbe venuta la nausea. I-ra vista mi si oscurd, fin-chr6 non vidi pii nulla. Il mio disagio frsico era cosi in-tenso e totale da non lasciare spazio neppure a un solopensiero. Avevo solo sensazioni fisiche: paura e ansiamiste a euforia e la strana certezza di trovarmi sulla so-glia di un evento di enorme portata. Erano sensazioniprive di una controparte di pensiero. A un certo mo-mento non seppi neppure pit se ero in piedi o seduto.Ero circondato da un'oscuritd impenetrabile. Poi aid,iI'energia cosi come fluiva nell'universo.

Vidi lnna successione di sfere luminose e}re avanzavaverso di me, o forse si allontanavano. Le vidi una allavolta, cosi eome don Juan mi aveva sempre detto che sivedono. Sapevo che ciascuna di esse corrispondeva a in-dividui diversi. a causa della differenza di dimensioni.Studiai le loro strutture nei particolari: Iuminositd eforma tondeggiate erano date da fibre, a volte pit sotti-li e a volte pii spesse, che sembravano ineollate insieme.Quei fitti grovigli davano alle sfere l'aspetto di bizzarrianimali luminosi coperti di pelo o di enormi insetti ro-tondi ricoperti di una peluria luccicante.

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CARLOS CASTANEDA

Ma a sconvolgermi fu soprattutto il rendermi contoche quegli insetti pelosi li aed,eao da sempre. T\rtte le oc-casioni in cui don Juan aveva deliberatamente fatto siche io liued,essi, mi sembravano essere come un lungo gr-ro che avevo fatto con lui. Ricordai tutte le volte in cui ilsuo aiuto mi aveva consentito dt aeilere gli uomini comesfere luminose e fu come se sbiadissero davanti al cam-po uisiuo a cui ora avevo accesso. Compresi allora con as-soluta certezza che avevo percepito I'energia eos) comefluisce nell'universo. da solo. senza l'aiuto di nessuno.

Era una presa di coscienza troppo grande. Mi sentiifragile, infinitamente vulnerabile. Avevo bisogno di unrifugio, di nascondermi da qualche parte. Era esatta-mente come nel sogno che a quasi tutti capita di fareprima o poi, in cui siamo nudi e non sappiamo cosa fa-re. Io mi sentivo pir) che nudo; mi sentivo debole, privodi protezione e temevo il ritorno al mio stato di sempre.Intuivo vagamente di essere sdraiato e mi preparai al ri-torno alla normalitd. Pensavo che mi sarei ritrovatosdraiato sul viottolo di mattoni, in preda alle convulsio-ni e circondato da un eapannello di spettatori.

La sensazione di essere sdraiato si fece via via pirimarcata. Aun certo punto mi resi conto che potevo muo-vere gli occhi. La luce filtrava attraverso le mie palpebreabbassate, ma ancora non avevo il coraggio di sollevarle.La cosa pit sconcertante era che non sentivo neppure unmormorio delle persone che immaginavo intorno a me.Arzi, non sentivo il minimo suono. Finalmente mi az-zardai ad aprire gli occhi. Ero a letto, nel mio studio, al-I'angolo tra Wilshire e Westwood Boulevard.

La scoperta mi precipitd nell'isteria, ma misteriosa-mente mi calmai quasi subito. Lattacco isterico lascid ilposto all'indifferenza fisica o forse a uno stato di appa-gamento corporeo, qualcosa di simile a quello che ci co-glie dopo un buon pasto. Comunque fosse, la mia men-te era in subbuglio. Era stato uno choc immenso ren-dermi conto che, per tutta Ia vita, avevo percepito di-

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A VISIONI! NITIDA

rettamente I'energia. Come fosse stato possibile, loignoravo. Che cosa mi aveva impedito di accedere aquell'aspetto del mio essere? Secondo don Juan, tuttigli uomini sono potenzialmente in grado diuedere diret-tamente l'energia. Cid che non aveva detto d che tutti gliesseri umani la uedono gid, ma senza saperlo.

Lo chiesi a un mio amico psichiatra, che tuttavia,non fu in grado di far luce sulla questione. Era convin-to che la mia reazione fosse da attribuirsi alla stanchez-za e a un eccesso di stimoli. Mi prescrisse del Valium emi consiglid di riposare.

Non avevo trovato il coraggio di dire a nessuno chemi ero svegliato nel mio letto senza sapere come ci fossiarrivato. La mia ansia di rivedere don Juan era quindipir) che giustificata. Appena potei, mi recai in aereo aCittd del Messico e, da li, raggiunsi Ia sua casa conun'auto a noleggio.

"Hai gid fatto tutto questo!" rise don Juan, quandogli raccontai la mia stupefacente esperienza. ..I-le novitisono soltanto due. La prima d che questa volta sei ami-vato a percepire I'energia con le tue sole forue. Cid chehai fatto d statofermare ilmonilo e, a quel punto, hai ca-pito d'aver sempre uisto l'energla cosi come fluisce nel-I'universo e cosi come la vede ogni essere umano, masenza saperlo consapevolmente. Ualtra novitd b che,sempre da solo, sei uscito dal tuo silenzio interiore. Nonho bisogno di difti che tutto diventa possibile quando cisi distacca dal siknzio interiore. Questa volta, la tuapaura e la tua vulnerabiliti ti hanno perrnesso di rag-giungere il tuo letto, che di fatto non dista poi molto dalcampus dell'UCI-iA. Se non ti crogiolassi nello sbalordi-mento, capiresti che cid che hai fatto non d nulla, nulladi straordinario per un guerriero-aiaggiatore. T:,a cosaimportante non d sapere che hai sempre percepito di-rettamente I'energia, n6 il distacco dal hrc siknzio inte-riore, bensi una questione che presenta un dupliceaspetto. Primo, hai sperimentato quello che gli sciama-

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CARLOS CASTANEDA

ni dell'antico Messico chiamavano la uisione nitid'a operdita ilella forma lt'rnana: il momento in cui ogni me-schinitd umana svanisce, come un banco di nebbia cheincombe su di noi e lentamente va dissipandosi. Ma innessun caso devi credere che si tratti di un fatto com-piuto. Il mondo degli sciamani non d immutabile comequello quotidiano, dove ti viene detto che, una volta rag-grunto I'obiettivo, si resta vincitori per sempre. Nelmondo degli sciamani, raggiungere un determinatoobiettivo significa soltanto avere acquisito strumentipii effrcaci per continuare la battaglia che, di fatto, nonfinisce mai. Ualtro aspetto d che ti sei trovato di fronteall'interrogativo pir) inquietante per il cuore dell'uomo.Uhai espresso quando ti sei posto queste domande:"Com'd possibile che io non sapessi di aver percepitol'energia direttamente per tutta la vita? Cosa mi avevaimpedito di accedere a questo aspetto del mio essere?""

T

$ Ornbre di f,ango

Sedere in silenzio con don Juan era una delle espe-rienze pii gradevoli che conoscessi. Ce ne stavamo co-modamente seduti nel retro della sua casa, su eerte se-die imbottite, tra le montagne del l\{essico centrale.Era il tardo pomeriggio e soffiava una piacevolebrezza.Il sole calava dietro la casa alle nostre spalle e la lucemorente creava squisite sfumature di verde tra i grandialberi del cortile posteriore. Gli alberi che creseevanotutt'intorno alla casa e al di ld di essa nascondevano lacittd. Quella distesa verde mi dava sempre l'impressio-ne di trovarmi in mezzo alla natura selvaggia, diversada quella del brullo deserto di Sonora, ma nondimenoselvaggia.

..Oggr discuteremo un aspetto importantissimo del-I'arte magica>> annuncid bmscamente don Juan. "Inco-minceremo parlando del corpo energetico.,,

Mi aveva deseritto il corpo energetico un'infinitd divolte; si trattava di un conglomerato di campi di ener-

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CARLOg CASTANEDA

gia, lo specchio del conglomerato dei campi di energiache costituisce il corpo fisico quando b visto come ener-gia che fluisce nell'universo. Aveva detto che era pii pic-colo, pir) compatto e in apparenza pir) pesante della sfe-ra luminosa del corpo fisico. Mi aveva inoltre spiegatoche il corpo e i, corpo energetico erano due conglomeratidi campi energetici tenuti insieme da qualche scono-sciuta forza aggregante. Pii volte aveva sottolineato co-me tale forza fosse, secondo gli sciamani dell'anticoMessico, la pir) misteriosa dell'universo. Don Juan rite-neva che si trattasse della pura essenza del cosmo, Iasomma totale di tutto cid che esso contiene.

Il corpo fisico e 1l corpo energetico erano, nell'ambitodegli esseri umani, le sole configurazioni di energia chefacessero I'una da controparte all'altra. Don Juan nonaccettava alcun dualismo al di fuori di questo. Quantoal dualismo tra corpo e mente, tra carne e spirito, lo gru-dicava una semplice congettura della mente, emanatada essa e senza nessun fondamento energetico.

Attraverso la disciplina, aveva asserito don Juan,tutti hanno la possibilitd, di awicinare il corpo energeti-co a quello fisico. Normalmente, fra i due si frapponeuna distanza enorme. Thttavia, una volta che il corpoenergetico rientra in un certo raggio d'azione, che variada indMduo a individuo, tramite la disciplina chiunquepud forgiarlo nell'esatta replica del suo corpo fisico; va-le a dire, un essere solido, tridimensionale. Da qui, de-riva I'idea dell'altro o doppio, sviluppata dagli sciama-ni. Per lo stesso motivo, e attraverso le stesse pratiche,chiunque pud trasformare il proprio corpo fisico, solidoe tridimensionale, in una replica perfetta del corpo ener'getico - vale a dire, una carica eterica di energia, invisi-bile all'occhio umano come ogni forma di energia.

Quando mi disse questo, la mia reazione era stata dichiedergli se stesse illustrando dei concetti mitologici.Mi aveva risposto che non c'era nulla di leggendario nel-la pratica magica. Gli sciamani erano esseri pratici e le

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questioni .n. .rr"";;;;;" ;" -.mpre

eonerete. se-condo don Juan, la difficoltb a comprendere quello chegli sciamani facevano nasceva dal fatto che essi parti-vano da un sistema cognitiao d,iuerso.

Quel giorrro, seduti nel retro della sua easa nel Messi-co centrale, don Juan disse che I corpo energeticn avevaun'importanza cruciale in qualsiasi evento della mia vita.I-nn uedeua come una realtd, energetica il fatto che il miocorpo enetgetico,invece che allontanarsi da me, come abi-tualmente awiene, si stesse awicinando a grande velocith.

"In che senso, si sta awicinando?" volli sapere io."Nel senso che stai per prenderti una bella batosta"

replicd lui con una risatina. "Un altissimo grado di con-trollo sta per entrare nella tua vita e non sarai tu a eser-citarlo, bensi iI bto corpo energetico.,,

"Yale a dire che interverrd a controllarmi una forzaesterna?"

"In questo momento ci sono infinite forze esterne eheti controllano" mi rispose.

"Il controllo a cui mi rifgrisco d qualcosa che esuladal dominio del linguaggro. E tuo e, al tempo stesso, nonlo d. Non pud essere classificato, ma d certo che pud es-sere sperimentato.

Soprattutto, pud essere manipolato. Ricorda: pud es-sere manipolato a tuo vantaggio, che, naturalmente,non d esattamente il tuo, ma quello del tuo corpo ener-getico. In ogni caso d altrettanto vero che tu sei llcorpoenergetico... Per deserivere questo processo possiamo intutta tranquillitd ricorrere all'immagine del gatto che simorde la coda. Ma il linguaggro d inadeguato; tutte que-ste esperienze sono al di ld della sintassr."

Il buio era sceso in fretta e il verde brillante dellechiome degli alberi ora appariva denso e scuro. DonJuan disse che se avessi prestato attenzione all'oscuritddel fogliame senza guardala direttamente, ma piuttostosbirciandola con la coda dell'occhio, awei visto un'om-bra attraverso il mio campo visivo.

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CARLOS CASTANEDA

"Questa d I'ora giusta del giorno per fare cid che stoper chiederti" continud. "Ti ci vorrd solo un momentoper impegnare I'attenzione necessaria. Non smetterefinch6 non awai visto I'ombra scura.>

E cosi fu: vidi una strana ombra scura proiettata sul-le chiome degli alberi. Forse era un'ombra sola che simuoveva avanti e indietro, oppure erano piir ombre chesi spostavano da sinistra a destra e da destra a sinistra,o ancora verso I'alto. Assomigliavano a giganteschi pe-sci neri. Era come se un enorme pesce spada stesse vo-lando nell'aria. Quello spettacolo fini per spaventarmi.

Diventd troppo buio per vedere le fbglie, ma riuscivoancora a distinguere le fluttuanti ombre scure.

"Cosa succede, clon Juan?" chiesi in ultimo. "Vedevoombre scure dappertutto."

,.Ah, non d altro che I'universo. Ineommensurabile,non lineare, esterno al dominio della sintassi. Gli scia-mani dell'antico Messico furono i primi a scorgere quel-Ie ombre e decisero di occuparsene. Le videro come levedi tu adesso e le uidero come energia che fluisce nel-I'universo. E scoprirono qualcosa di trascendentale."

Tbcque e mi guardd. Le sue pause Avevano un tem-pismo perfetto. Si interrompeva sempre lasciandomiappeso a un fi.Io.

"Che cosa scoprirono, don Juan?" lo sollecitai."Scoprirono che abbiamo un compagno che resta con

noi per tutta la vita" rispose. "Un predatore che emer-ge dalle profondith del cosmo e assume il dominio dellanostravita. Gli uomini sono suoi prigionieri. Il predato-re d nostro signore e maestro e ci ha resi docili, impo-tenti. Se vogliamo protestare, soffoca le nostre proteste.Se tentiamo di agire in modo indipendente, non ce lopermette.>

Uoscuritb ci circondava. Se fosse successo alla lucedel giorno, ar,rei riso fino alle lacrime delle sue parole.Ma ai buio, non ne ebbi il coraggio.

"E buio pesto qui", osservd don Juan, <ma se guardi

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()TIBRE DI FANGO

con la coda dell'occhio, vedrai le ombre che ci saltellanointorno.,,

Aveva ragione. Riuscivo ancora avederle. Il loro con-tinuo movimento mi faceva girare la testa, ma quandodon Juan accese la luce, ogni cosa mutd.

"Sei arrivato, e con le tue sole forze, a cid che per glisciamani dell'antico Messico er.a la questione suprema>riprese lui. "Per tutto questo tempo non ho fatto che me-nare il can per I'aia, insinuando in te I'idea di un qualco-sa che ci tiene prigionieri. Ed b dal'vero cosi! Questo, pergli sciarnani dell' antico Messico, era un fott o energetico .',

"Perch6 questo predatore ci arryebbe sottomessi nelmodo che stai descrivendo, don Juan? Dev'esserci unaspiegazione logica."

..IIna spiegazione c'd ed d la pit semplice che si pos-sa immaginare. I predatori hanno preso il soprawentoperch6 siamo il loro cibo, la loro fonte di sostentamento.Ecco perch6 ci spremono senza pietd. Proprio come noialleviamo i polli nelle stie, i "gallineros", i predatori ciallevano in stie umane, gli "humaneros", garantendosicosi un'infinita riserva di nutrimento."

Mi accorsi che stavo scuotendo violentemente la te-sta da un lato all'altro. Thtto il mio corpo esprimeva ilmio disagio e il mio sgomento ed ero incapace di arre-stare il tremito che mi squassa\?.

..No, no, no' mi sentii dire. .E assurdo, don Juan!Cid che stai dicendo d mostmoso. Non pud essere vero,n6 per gli sciamani n6 per I'uomo medio; per nessuno.>

"Perch6?" chiese lui, perfettamente calmo. "Perch6?Solo perch6l'idea ti fa infuriare?"..Mi fa infuriare, si" ribattei. .Queste affermazioni

sono mostruose.>"Ebbene, non d tutto. Aspetta un altro po' €, ti assi-

euro, ti sentirai perfino pegglo. Ho intenzione di sotto-porti a un autentico bombardamento. Sottoporrd la tuamente a una serie di assalti violentissimi e tu non po-trai alzarti e andartene perch6 sei in trappola. Non

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CARLOS CASTANEDA

perch6 io ti tengo prigioniero, ma perch6 la tua stessavolontb ti impedird di andartene, mentre un'altra par-te di te raggiungerh, il colmo della furia. Preparati,quindi!"

C'era un aspetto di me, Io sentivo, che anelava allapunizione. Don Juan aveva ragione; nessuna forza almondo mi awebbe allontanato dalla sua easa. Ma, altempo stesso, trovavo orribili le assurdith, che mi propi-nava.

"Voglio fare appello alla tua mente analitica" ripreselui. "Rifletti per un momento e dimmi come spieghere-sti la contraddizione esistente tra I'intelligenza dell'uo-mo che costruisce, organizza e la stupidith del suo si-stema di credenze, oppure la stupiditd del suo compor-tamento contraddittorio. Secondo gli sciamani, sonostati i predatori a instillarci questi sistemi di credenza,il concetto di bene e di male, le eonsuetudini sociali. So-no stati loro a definire le nostre speranze e aspettative,nonch6 i sogni di successo e i parametri del fallimento.Ci hanno dato aviditd, desiderio smodato e codardia. Cihanno resi abitudinari, centrati nell'ego e inclini all'au-tocompiacimento.,>

"Ma eome ci riescono, don Juan?" chiesi, sempre pir)irritato. "Ci sussurrano queste cose all'orecchio mentredormiamo?o

Sorrise. "Certamente no. Sarebbe idiota! Sono infi-nitamente pir) efficienti e organizzati. Per mantenerciobbedienti, deboli e mansueti, i predatori si sono impe-gnati in un'operazione stupenda, naturalmente, dalpunto di vista dello stratega. Oruenda, nell'ottica di chila subisce. Ci hanno dato la loro mente! Mi ascolti? Ipredatori ci hanno dato la loro mente, che d diventata lanostra. La mente dei predatori d barocca, contradditto-ria, tetra, ossessionata dal timore di essere smaschera-ta. Bench6 tu non abbia mai sofferto la fame, sei ugual-mente vittima dell'ansia da cibo e la tua altro non d chel'ansia del predatore, sempre timoroso che il suo strata-

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semma vensa .""#:"J;#;""to gri sia negato.Thamite la mente che, dopotutto, d Ia loro, i predatoriinstillano nella vita degli uomini cib che pit gli convie-ne, garantendosi un certo livello di sicurezza che va amitigare la loro paura.>

"Non voglio dire che non sono in grado di accettarequanto mi dici" obiettai a quel punto. ..Fbrse potrei, mad talmente orribile da ispirarmi un'autentica ripugnan-za e mi costringe a un atteggiamento ambivalente. Se dvero che si nutrono di noi, come fanno?"

Don Juan soruideva, palesemente molto soddisfattodi s6. Mi spiegd che gli sciamani aedono i neonati comesfere di energia luminosa, interamente coperte da unapatina lucente, una specie di pellicola di plastica cheaderisee strettamente albozzolo di energia. E di questapatina luminosa di consapevolezza che si alimentano ipredatori, e quando un essere umano raggiunge I'etdadulta, tutto cid che di essa resta d un bordo sottile cheva dalla cima della testa alla punta dei piedi. ProprioI'esilitb di tale bordo consente al genere umano di con-tinuare a vivere, bench6 faticosamente.

Come in sogno, lo sentii spiegare che, per quanto sa-peva, I'uomo D I'unico essere vivente dotato della patinaIuminosa di consapevolezza, Di conseguenza, d una fa-cile preda per una consapevolezza di ordine diverso, co-me quella del predatore.

Fbce poi l'affermazione pii sconvolgente che avessemai fatto. Disse che quel sottile bordo di consapevolez-za d l'epicentro dell'egocentrismo in cui I'uomo d irri-mediabilmente intrappolato. Fbcendo leva proprio sulnostro egocentrismo, I'unico aspetto consapevole rima-stoci, i predatori creano fiammate di consapevolezzache poi procedono spietatamente a eonsumare. Ci dan-no problemi futili per forzare tali fiammate a emergeree, in questo modo, ci fanno sopralvivere per continuarea nutrirsi della fiammeggiante energia delle nostrepseudo-preoccupazioni.

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CARLOS CASTANEDA

Le sue parole mi turbarono a tal punto che mi vennela nausea.

Dopo una breve pausa per riprendermi, gli chiesi:"Ma se gli sciamani dell'antico Messico e quelli attualivedono i predatori perch6 non fanno nulla?"

..Non c'd nulla che tu o io possiamo fare" mi risposeconvoee triste, grave <se non esercitare I'autodisciplinafino a renderci inaccessibili. Ma pensi forse di potereonvincere i tuoi simili ad affrontare tali rigori? Si met-terebbero a ridere e si farebbero beffe di te, e i pir) ag-gressivi ti picchierebbero a morte. Non perch6 non tieredano. Nel profondo di ogni essere umano c'd unaconsapevolezza ancestrale, viscerale, dell'esistenza deipredatori."

La mia mente analitica si comportava eome uno yo-yo. Mi abbandonava, tornava, poi mi lasciava per tor-nare ailcora. Il quadro che don Juan andava delinean-do era incredibile, grotteseo, e al tempo stesso estrema-mente ragionevole e semplicissimo. Spiegava ogni pos-sibile contraddizione. Ma come facevo a prenderlo sulserio? Don Juan mi stava spingendo sul percorso di unavalanga che mi awebbe travolto.

Sperimentai un'altra acuta sensazione di minaccia,una sensazione che non scaturiva da me, anche se miapparbeneva. Don Juan mi stava facendo qualcosa,qualcosa di misteriosamente positivo e terribilmente ne-gativo al tempo stesso. Lo percepivo come un tentativodi tagliare una sottilissima pellicola che mi stava incol-lata addosso. Per qualche istante guardd nei miei occhicon uno sguardo fisso e imperturbabile. Poi lo distolse eriprese a parlare.

"Ogpiqualvolta i dubbi ti tormenteranno fino a unpunto pericoloso" disse, "reagisci facendo qualcosa dipratico. Spegni la luce. Penetra I'oscuritd; scopri cid chepuoi vedere."

Si alzd per spegnere la luce, ma io lo fermai. ..No, no,don Juan" lo supplicai. "Non spegnerla."

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Avevo paura ..iffi, ;.; tJtta per me. n soropensiero dell'oscuritb era sufficiente a togliermi il fiato.C'era qualcosa che sapevo a livello viscerale, ma ehe nonosavo sfiorare, n6 portare in superficie. Non ne aweimai avuto il coraggio!

"Hai visto le ombre stagliarsi eontro gli alberi" disseancora don Juan. "E questa d un'ottima cosa. Adessovorrei che tu le vedessi all'interno di questa stanza. Difatto non stai realmente vedendo nulla; stai semplice-mente cogliendo immagini fugaci. Ma hai energia suffi-ciente per riuscirci.o

Tbmevo che awebbe finito ugualmente per alzarsi espegnere Ia luce e cosi fu. Due secondi dopo, urlavo aperdifiato. Non solo vedevo le ombre fluttuanti, ma lesentivo addirittura ronzarmi vicino alle orecchie. DonJuan rideva da tenersi Ia pancia quando riaccese laIuce.

"Che uomo ipersensibile" commentd. "lbtalmentescettico da una parte e totalmente pragmatico dall'al-tra. Devi trovare una soluzione a questo dissidio inte-riore, se non moi gonfiarti come un rospo e scoppiare."

Poi continud: "Gli antichi sciamani ued,euano il pre-datore. Lo chiamavano quello ch,e uola, perch6 si muoveabalzi nell'aria. Non d un bello spettacolo. E un'ombranera di un-oscuritd impenetrabile, che salta nell'aria. Epoi atterra. Gli sciamani dell'antico Messico non ama-vano pensare al momento in cui fece la sua comparsasulla Tbrra. Credevano che ci fosse stato un tempo in cuiI'uomo era un essere completo, con una mirabile vistainteriore e una consapevolezza ehe oggi sembrano leg-gende mitiche. Poi tutto questo flni e l'uomo d ora un es-sere indebolito".

Al'rei voluto arrabbiarmi e chiamarlo paranoico, masentivo che sarebbe stata una reazione non del tuttosincera. Qualcosa in me aveva gid superato la fase in cuimi ponevo Ia mia domanda preferita: e se tutto cid chedice fosse vero? Quella notte, mentre don Juan mi par-

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CARI,OS CASTANEDA

lava, sentivo nel profondo del mio essere che quanto di-ceva corrispondeva a veritd, ma nello stesso tempo e conuguale intensitd, le giudicavo vere e proprie assurditd.

"Che cosa r,rroi dire, don Juan?" domandai con voceflebile. Avevo la gola serrata e faticavo a respirare.

"Voglio dire che cid che abbiamo di fronte non d unpredatore qualunque. E itttellig.r.te e organizzato. Se-gue metodicarnente un programma destinato a render-ci del tutto irnpotenti. IJuomo, I'essere che era destina-to a essere magico, non lo d pin. Si d ridotto a un bana-lepezzo di carne. Non ci sono pii sogni degni clell'uomo,ma ci sono solo i sogni di un pezzo di carne: triti, con-venzionali, stupidi."

Lre sue parole stavatro suscitando in me una reazionefisica strana, in qualche modo paragonabile alla nau-sea. Era una nausea che scaturiva dal profondo del mioessere, dal midollo stesso delle ossa. Quando uno spasi-mo mi attraversd, don Juan mi seosse fbrte tenendomiper le spalle. Il rnio collo si piegd avanti e indietro tantoenergica era la sua stretta, ma questa manowa micalmd all'istante e sentii di aver riacquistato un po' dicontrollo.

"Questo predatore" seguitd allora lui, "ghs d natu-ralmente rrn essere'tnctrEanico, non d invisibile ai nostriocchi come lo sono albri esseri inoryani,ci. Proprio comefanno i bambini, noi lo vediamo ma poich6 ci apparetroppo orribile preferianto non pensarci. Owiamente, ibambini potrebbero pet'severare nel concentrarsi suquanto vedono, ma tutti gli altri cercano cli dissuaderli.

.Uunica alternativa possibile per I'umanitd d Ia di-sciplina. La disciplina d il solo deterrente. Ma parlan-do di disciplina non mi riferisco a uno stile di vita spar-tanor alzarsi ogni mattina alle cinque e mezzo e ba-gnarsi nell'acqua fredcla fino a diventare blu. Gli scia-mani interpretano la disciplina come la capacitir, di af-frontare in modo sereno eventualith che esulano dallenostre aspettative. Per loro, la disciplina d un'arte: I'ar-

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te di arrrontu"u t'i,'?i'l;*u.i'iJ);l,ttu"", e non perch6siano forti e duri, ma perch6 sono animati da timore re-verenziale."

"E in che modo la disciplina degli sciamani costitui-sce un deterrente?" domandai.

"La disciplina rende la patina Luminosa di consape-uolezza sgradevole al gusto dr quello che uolo,,, mi rispo-se guardandomi attentamente, come per cercare qual-che segno di incredulitir. "tr risultato d che il predatorerimane sconcertato, confuso. Suppongo perch6 una pa-tina luminosa d'i consapeuolnzzo rron commestibile nonfa parte del suo bagaglio conoscitivo. E cosi, ingannatoe smarrito, non ha altra alternativa che sospendere lasua opera nefasta.

Se la nostra patina luminosa di consapeuokzza ri-mane intatta per qualche tempo, ha la possibilitd di cre-scere. Semplificando ail'estremo, si pud dire che, me-diante la disciplina, gli stregoni tengono a bada i pre-datori quanto basta per permettere alla loro pati,na lu-m'inosa d,i consapeuolezza, di superare il livello delle ditadei piedi. Da quel momento, essa riacquista la sua di-mensione originaria. Gli sciamani dell'antico Messicodicevano che la pati,na lumfutosa di consa'peuolezza d co-me un albero: se non viene potata, cresee fino a riacqui-stare volume e dimensioni naturali. E quando la consa-pevolezza raggiunge livelli pir) elevati, anche operazioniche richiedono una percezione di enorme portata diven-tano naturali e scontate.

"Il supremo stratagemma degli sciamani dei tempiantichi consistette nel caricare di disciplina la mente diqrrcUn ch,eaola. Scoprirono che affaticando colsi,Ienaio in-teriore Ia mente dt quello ch,e, ttoln,l'installnzione estraneafugge, dimostrando cosi eon assoluta certezza la sua ori-gine aliena. Successivamente l'installazione estranea ri-torna, ma non pit cosi forte; ha quindi inizio un proces-so in cui la fuga della mente il qu,elli, cfu uol.ano diventaroutine, fino a quando sparisce definitivamente. Quello d

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CARLOS CASTANEDA

un giorno dawero triste perch6 si d eostretti a contare so-lo sulle proprie forze, che sono quasi nulle. Non c'd nes-snno a dirci che cosa fare. Nessuna mente estranea a im-porci le assurditb a cui siamo abituati.

Il mio maestro, il nagual Julian, era solito dire aisuoi cliscepoli che quello era il giorno pii duro nella vitadi uno seiamano perch6, dopo una vita di assoggetta-mento, la mente che dawero ci appartiene, la summadelle nostre esperienze, d diventata pavida, insicura emutevole. Personalmente, non esito a dire che Ia verabattaglia degli sciamani comincia in quel momento. Ilresto d soltanto preparazione."

Io ero sempre pit inquieto. Awei voluto saperne dipir) ma una parte di me si ritraeva. Era una parte che siconfrontava con risultati e punizioni oseure, quasi te-messi I'ira divina per aver eercato di vedere qualcosache Dio stesso aveva occultato. Dovetti fare uno sforzoper permettere alla mia curiositd di prendere il soprav-vento.

oMa cosa... cosa intendi dire, parlando di affaticarel"o, mente dr qtnlli ch.e uolanool,,

..La disciplina strema in modo incommensurabile lamente aliena" mi rispose don Juan. ..Ed d appunto at-traverso Ia disciplina che gli sciamani sconfiggono I'im-stallazione estranea.,,

Io ero sopraffatto. Non e'erano alternative: o donJuan era completamentepazzo, oppure mi stava dicen-do qualcosa di cosi tremendo da raggelarmi fin nelprofondo. Notai, tuttavia, la rapidit), con cui mi preci-pitai a negare tutto quanto.

Dopo un primo momento di panico, cominciai a ride-re come se avessi appena ascoltato una barzelletta e misentii addirittura dire: "Don Juan, don Juan... sei in-corueggibile!"

Dal canto suo, Iui sembrava perfettamente consape-vole del mio stato d'animo. Scosse la testa e alzd gli occhial cielo, in una scherzosa pantomima della disperazione.

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..Lo sono ", o"J" ;i*#. ;l' u*ito a dare un'al-tra scrollat a alla mente dt quello ch.e uola che ti porti den-tro. Voglio rivelarti uno dei segreti pii straordinari del-I'arte magica, rendefti partecipe di una scoperta che glisciamani hanno impiegato migliaia di anni a verifiearee consolidare."

Mi rivolse un sorriso malizioso. ,,I,:a mente di quellochp uoln fugge per sempre, quando uno sciamano riescead afferrarsi alla forza vibratoria che ci tiene insiemecome un conglomerato di campi di energia. Se riesce amantenere la presa abbastanza a lungo, la mente diquello ch,e uol,o, d sconfitta, e fugge. E questo b esatta-mente quello che farai: aggrapparti all'energia che titiene insieme.o

La mia reazione fu la meno prevedibile. Qualcosadentro di me vibrd come se dawero qualcuno mi avessescrollato eon forza. tr'\ri travolto da una sensazione dipanico che immediatamente associai alla mia educazio-ne religiosa.

Don Juan mi osservava in silenzio."D I'i"a di Dio che temi, non d vero?, fece poi. ..Stai

tranquillo, la paura non d tua, ma cli rluetlo ch,e aola, per-ch6 sa che tu farai esattamente cid che ti sto dicendo."

Ma le sue parole non mi calmarono affatto. Anzi, misentii perfino peggro, Mi attraversavano spasmi violen-ti, che non ero capace di dominare.

..Non preoccuparti" mi esortd ancora don Juan. "Soper certo che questi attacchi si concludono in fretta. Lamente di quello ch,e uola non ha alcuna capacitd di con-centrazione."

E cosi fu: dopo qualche istante mi calmai. Dire cheero seoncertato sarebbe un eufemismo. Quella era laprima volta in vita mia che, da solo o con don Juan, spe-rimentavo uno smarrimento cosi assoluto. Awei volutoalzarmi e camminare, ma avevo troppa paura. Ero pie-no di riflessioni razionali e contemporaneamente di untimore infantile. Cominciai a respirare profondamente

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CARl.OS CASTANEDA

lava, sentivo nel profondo del mio essere che quanto di-ceva corrispondeva a veritd, ma nello stesso tempo e conuguale intensitd, le giudicavo l€re e proprie assurditd.

.Che cosa r,uoi dire, don Juan?" domandai con voceflebile. Avevo la gola serrata e faticavo a respirare.

"Voglio dire che cid che abbiamo di f'ronte non b unpredatore qualunqtre. E intelligente e organizzato. Se-gue metodicarnente un programma destinato a render-ci del tutto impotenti. IJuonto, I'essere che era destina-to a essere magico, non Io b pii. Si d ridotto a un bana-Iepezzo di carne. Nort ci sono pir) sogri degni dell'uomo,ma ci sono solo i sogni di un pezzo di carne: triti, con-venzionali, stupidi."

Le sue parole stavano suscitando in me una reazionefisica strana, in qualche modo paragonabile alla nau-sea. Era una nausea che scaturiva dal profondo del mioessere, dal midollo stesso delle ossa. Quando uno spasi-mo mi attraversd, don Juan mi scosse forte tenendomiper le spalle. Il mio collo si lliegd avanti e indietro tantoenergica era Ia sua stretta' ma questa manowa micalmb all'istante e sentii <li aver riacquistato un po' dicontrollo.

oQuesto predatore" seguitd allora lui, "shs d natu-ralmente vrr essere inorganico, non d invisibile ai nostriocchi come lo sono altri esseri i,norganici. Proprio cornefanno i bambini, noi lo vediamo ma poich6 ci apparetroppo orribile preferiamo non pensarci. Owiamente, ibambini potrebbero perseverare nel concentrarsi suquanto vedono, ma tutti gli altri cercano cli dissuaderli'

oUunica alternativa possibile per I'umanitb d Ia di-sciplina. La clisciplina d il solo deterrente. Ma pallan-do di clisciplina non mi riferisco a uno stile di vita spar-tanoz alzarsi ogni mattina alle cinque e mezzo e ba'gnarsi nell'acqua fredda fino a diventare blu. Gli seia-mani interpretano la disciplina come la capacitd di af-frontare in modo sereno eventualitd che esulano dallenostre aspettative. Per loro, Ia disciplina b un'arte: I'ar-

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ONIBRE DI F'ANGO

te di affrontare I'infinito senza vaeillare, e non perch6siano forti e duri, ma perch6 sono animati da timore re-verenziale."

"E in che modo la disciplina degli sciamani costitui-sce un deterrente?" domandai.

"La disciplina rende la patina luminosa di consape-uolezza sgr:adevole al gusto dr quello che uola" mi rispo-se guardandomi attentamente, come per cercare qual-che segno di incredulitd. "Il risultato b che il predatorerimane seoncertato, confuso. Suppongo perch6 una pa-tina Luminosa di consapeuolezza non commestibile nonfa parte del suo bagaglio conoscitivo. E cosi, ingannatoe smarrito, non ha altra alternativa che sospendere lasua opera nefasta.

Se la nostra patina Luminosa di consapeuolnzza ri-mane intatta per qualche tempo, ha la possibilitd di cre-scere. Semplificando all'estremo, si pud dire che, me-diante la disciplina, gli stregoni tengono a bada i pre-datori quanto basta per permettere alla loro put'ina lu-minosa cli consapeuokzza di superare il livello delle ditadei piedi. Da quel momento, essa riacquista la sua di-mensione originaria. GIi sciamani dell'antico Messicodicevano che la patina luminosa d,i, consapeuolezza d co-me un albero: se non viene potata, cresee fino a riacqui-stare volume e dimensioni naturali. E quando la consa-pevolezza raggiunge livelli pil) elevati, anche operazioniche richiedono una percezione di enorme portata diven-tano naturali e scontate.

"Il supremo stratagemma degli sciamani dei tempiantichi consistette nel caricare di disciplina la mente diryrcLl.o chn,uol,a,. Scoprirono che affaticando col sil,enzio in-teriore la mente dt quelln ch.e aola, l' instaVn zione estraneafugge, dimostrando cosi con assoluta certezza la sua ori-gine aliena. Successivamente l' installazione estranea ri-torna, ma non pir) cosi forte; ha quindi inizio un proces-so in cui la fuga della mente dt quelli chn uolano diventaroutine, fino a quando sparisce definitivamente. Quello d

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un giorno dawero triste perch6 si d costretti a contare so-lo sulle proprie forze, che sono quasi nulle. Non c'd nes-suno a dirci che cosa fare. Nessuna mente estranea a im-porci le assurditd a cui siamo abituati.

Il mio maestro, il nagual Julian, era solito dire aisuoi discepoli che quello era il giorno pii duro nella vitadi uno sciamano perch6, dopo una vita di assoggetta-mento, la mente che dawero ci appartiene, la summadelle nostre esperienze, d diventata pavida, insicura emutevole. Personalmente, non esito a dire che la verabattaglia degli sciamani comincia in quel momento. Ilresto d soltanto preparazione."

Io ero sempre pii inquieto. Awei voluto saperne dipii ma una parte di me si ritraeva. Era una parte che siconfrontava con risultati e punizioni oscure, quasi te-messi l'ira divina per aver eercato di ved-ere qualcosache Dio stesso aveva occultato. Dovetti fare uno sforzoper permettere alla mia curiositb di prendere il soprav-vento.

..Ma cosa... cosa intendi dire, parlando di affaticarela mente dt quelli chp uolano?,,

..La disciplina strema in modo incommensurabile lamente aliena" mi rispose don Juan. ..Ed d appunto at-traverso la disciplina che gli sciamani sconfiggonol'in-stallazione estraneal,

Io ero sopraffatto. Non c'erano alternative: o donJuan era completamentepazzo, oppure mi stava dicen-do qualcosa di cosi tremendo da raggelarmi fin nelprofondo. Notai, tuttavia, la rapiditd con cui mi preci-pitai a negare tutto quanto.

Dopo un primo momento di panico, cominciai a ride-re eome se avessi appena ascoltato una barzelletta e misentii addirittura dire: "Don Juan, don Juan... sei in-correggibile!"

Dal canto suo, lui sembrava perfettamente consape-vole del mio stato d'animo. Scosse la testa e alzd gli occhial cielo, in una scherzosa pantomima della disperazione.

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O}TBRE DI FANG0

"I-lo sono al punto" disse, ..che non esito a dare un'al-tra scrollat a all,a mente dt quello chn, uola che ti porti den-tro. Voglio rivelarti uno dei segreti pii straordinari del-I'arte magica, renderti partecipe di una scoperta ehe glisciamani hanno impiegato migliaia di anni a verifrearee consolidare."

Mi rivolse un sorriso malizioso. .,La mente di quelloche uola fugge per sempre, quando uno sciamano riescead afferrarsi alla forza vibratoria che ci tiene insiemecome un conglomerato di campi di energia. Se riesce amantenere la presa abbastanza a lungo, la mente diquello ch,e aola d sconfitta, e fugge. E questo b esatta-mente quello che farai: aggrapparti all'energia che titiene insieme."

La mia reazione fu la meno prevedibile. Qualcosadentro di me vibrd come se dawero qualcuno mi avessescrollato con forza. F\ri travolto da una sensazione dipanico che immediatamente associai alla rnia educazio-ne religiosa.

Don Juan mi osservava in silenzio...b I'ira di Dio che temi, non d vero?, fece poi. ..Stai

tranquillo, la paura non d tua, ma di rluello che uola, per-ch6 sa che tu farai esattamente cid che ti sto dicendo."

Ma le sue parole non mi calmarono affatto. Anzi, misentii perfino peggro, Mi attraversavano spasmi violen-ti, che non ero capace di dominare.

"Non preoccuparti" mi esortb ancora don Juan. "Soper certo che questi attacchi si concludono in fretta. Lamente di quell,o ch,e uola non ha alcuna capacitd di con-centrazione."

E cosi fu: dopo qualche istante mi calmai. Dire cheero sconcertato sarebbe un eufemismo. Quella era laprima volta in vita mia che, da solo o con don Juan, spe-rimentavo uno smarrimento cosi assoluto. Awei volutoalzarmi e eamminare, ma avevo troppa paura. Ero pie-no di riflessioni razionali e contemporaneamente di untimore infantile. Cominciai a respirare profondamente

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mentre un sudore freddo mi copriva il corpo. ChissA, co-me, avevo scatenato uno spettacolo terrificante: ombrescure e fluttuanti che mi saltellavano intorno; ovnnqueguardassi, erano li.

Chiusi gli occhi e appoggiai la testa sul bracciolo del-la poltrona. "Non so che cosa fare, don Juan", confes-sai. "Stasera sei dawero riuscito a confondermi."

"Sei lacerato da una lotta interna" mi spiegd lui."Nel profondo sai di essere incapace di rifiutare I'accor-do in base al quale una parte indispensabile di te, lapa-tina Luminosa di consapeuokzza, costitttisce ineompren-sibilmente il nutrimento di entiti altrettanto incom-prensibili. Ma un'altra parte di te Io respinge con tuttala sua forza.IJopera rivoluzionaria degli sciamani staproprio nel loro rifiuto di onorare un accordo a cui nonhanno parbecipato. Nessuno mi ha mai chiesto se ac-consentivo a darmi in pasto a esseri dotati di una diver-sa consapevolezza. Semplicemente, i miei genitori mihanno messo al mondo perch6 fossi cibo, proprio comeloro, e questo d quanto."

Si alzd per stirarsi. .Siamo rimasti seduti pe" o.e. Dtempo di rientrare. Devo mangiare. Mangi con me?"

Rifiutai. Avevo lo stomaco in subbuglio."Credo che faresti bene a dormire" disse allora don

Juan. "II mio bombardamento ti ha letteralmente deva-stato.>

Non avevo bisogno di ulteriori sollecitazioni. Crollaisul letto e mi addormentai di colpo.

Di nuovo, a casa, I'idea di quelli che aol,o,no fini perdiventare una vera e propria frssazione. Arrivai al pun-to di non dubitare pir) della gtrtstezza delle osservazionidi don Juan. A dispetto di tutti i miei sforzi, non mi riu-sciva di sereditarne la logica. Pii ci pensavo, pir) osser-vavo e parlavo con me stesso e i miei compagni, pit net-ta si faceva Ia convinzione che fosse qualcosa di esternoa renderci incapaci di ogni attivitd, interazione o pen-siero che non fosse incentrato sul s6. La mia preoccu-

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OMBRE DI FANGO

pazione, cosi eome quella di tutti coloro con eui entravoin contatto, era il s6. Impossibilitato a trovare una spie-gazione per quella universale omogeneitd, dovetti per-suadermi che la linea di pensiero di don Juan fosse I'u-nica possibile.

Mi dedicai alla lettura di miti e leggende e cosi fa-cendo arrivai a una nuova seoperta: nei libri che legge-vo, tutti interpretazioni di miti e leggende, si awertivain modo quasi palpabile la presenza di un'unica mente.Gli stili differivano, ma la pulsione che stava dietro leparole era sempre la stessa: anche in una tematicaastratta eom'd quella del moto e della leggenda, gli au-tori riuseivano sempre a inserire osservazioni su lorostessi. Lamotivazione autentica di quelle opere non eraI'argomento dichiarato, ma l'affermazione del s6. Nonme ne ero mai reso eonto prima.

Attribuii la mia reazione all'influenza di don Juan. Aquel punto, I'inevitabile interrogativo era: d lui che con-diziona le mie interpretazioni o c'd dawero una mentealiena che soprintende a ogni nostra azioneg Ogni voltanegavo questa possibilitd, poi, follemente, passavo daldiniego all'accettazione e quindi di nuovo al diniego. Iconcetti espressi da don Juan erano unfatto energetico,ma una parte di me sapeva con eertezza che erano tut-te fandonie. Il risultato di questa lotta interiore fu unsenso di oscuro presagio; la sensazione che quaicosa dipericoloso mi aspettava al varco.

Effettuai ricerche approfondite sulla presenza diquelli ch.e uolano in altre culture, ma non trovai nulla.Don Juan sembrava l'unica fonte di informazione al ri-guardo. Quando lo rividi, attaccai subito a parlare diquelli ch,e aolano.

"Mi sono sforzato di affrontare I'argomento in modorazionale" dissi, "ma non ci riesco. Ci sono momenti incui concordo pienamente eon te in merito ai predatori.,,

,,fucalizza Ia tua attenzione sulle ombre fugaci chevedi dawero>> mi rispose lui con un sorriso.

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Gli confessai che quelle ombre minacciavano di met-tere fine alla mia vita razionale. Ormai Ie vedevo dap-pedutto. Da quando avevo lasciato casa sua, non riu-scivo piri a dormire al buio. Le luci non mi disturbava-no affatto, mentre mi bastava spegnerle perch6 intornoa me tutto cominciasse a saltellare. Non vedevo mai for-me o sagome intere, ma solo fluttuanti ombre scure.

"La mente diquelli chnuolnno non ti ha lasciato" dis-se allora don Juan. "Anche se d stata gravemente dan-neggiata. Ora sta facendo il possibile per ristabilire ilrapporto con te, ma dentro di te qualcosa d stato recisoper sempre . QueILo che aola lo sa. Il pericolo d che ia suamente riesca a vincere stancandoti e costringendoti adabbandonare la lotta, giocando sulla contraddizione fraquello che essa dice e quello che dico io."

..Vedi, Ia mente dr quello chn aolo, non ha rivali" ripre-ss. "Quando si propone qualcosa, non pud che concor-dare con se stessa e indurti a credere di aver fatto qual-cosa di meritevole. Lamente diquello clrcuola ti diri chequalsiasi cosa dica Juan Matus d solo un mucchio disciocehezze e quindi essa stessa concorderd con la suaaffermazione, "ma certo, sono sciocchezze" dirai tu. Dcosi che ci sconfiggono."

Awei voluto che parlasse ancora, ma lui disse sol-tanto: "Il mio bombardamento si d concluso durante ilnostro ultimo ineontro; non c'd altro da dire sul conto diquetti che uolano. D arrivato il momento di un altro ge-nere di operazione".

Quella notte non riuscii a prendere sonno e mi ad-dormentai solo nelle prime ore del mattino, poco primache don Juan venisse a tirarmi gin dal letto per una pas-seggiata in montagna. Doveviveva la confrgurazione delterreno era molto diversa da quella del deserto di Sono-ra, ma lui mi esortd a non indulgere nei paragoni, so-stenendo che dopo mezzo chilometro tutti i luoghi si as-somigliano.

"I-.re gite turistiche sono per chi va in auto" disse.

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OMBRE DI FANG0

"hocedono a grande velocitd senza alcuno sforzo daryfg loro. Le gite turistiche non sono per chi va a pie_di. Vista da un'automobile, una montagna pud schiac_ciarti con la sua bellezza. Ma la stessa montagna non tifari lo stesso effetto se sei a piedi, ti schiaccerd in mo_do diverso, soprattutto se devi scaiarla o aggirarla.o

Era una mattinata caldissima. Camminavamo sulletto di un fiume. Come il deserto del Sonora, ta vailaiabmlicava di milioni di insetti. Mosche e moscerini micircondavano da ogni parte, simili a bombardieri in pic_chiata sulle mie narici, occhi e orecchie. Don Juan miinvitd a eoncentrarmi sul loro ronzio.

"Non eercare di allontanarli con la mano,, disse in to_no deciso. "Scacciali con il tao intento. Erigi una bar_riera di energia intorno a te. scegli il silenziie sari il s!lenzio stesso a edificare la barriera. Nessuno sa comequesto awenga; d uno di quei fenomeni che gli antichisciamani chiamavan o fatti energetici. Interrolpi il tuodialogo interiore. Non c'd bisogno di altro.

"Voglio illustrarti un concetto insolito, riprese, sem_pre precedendomi di qualche passo.Dovetti accelerare per stargli dietro e non perdere

neppure una parola."Devo premettere che gli opporrai una strenua resi-stenza', disse. "Ti dico fin da adesso che non ti sard fa_

cile accettarlo. Ma la sua stranezzanon cleve costituireun deterrente. Tn sei uno studioso della societd, quindil3 t"1 mente d aperta a ogni interrogativo. Non d cosi,forse?"

Si stava sfacciatamente prendendo gioco di me, mapur essendone eonsapevole, non ne fui infastidito. Sardstato perch6 camminava cosi verocemente e io dovevofare uno sforzo enorme per stargli dietro, ma il suo sar_casmo mi scivold addosso e, invece di rendermi petulan_te, mi fece ridere. Ero interamente concentrato sullesue parole e gli insetti non mi tormentavano pii, forseperchd avevo eretto una barriera di energia intorno a

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me o forse perch6 ero talmente occupato ad ascoltaredon Juan che non badavo pit al loro insistente ronzio.

"Il coneetto" seguitd lui lentamente, come per valuta-re l'effetto delle proprie parole, " d che ogni essere uma-no di questa terra sembra avere esattamente le stessereazioni, gli stessi pensieri, gli stessi sentimenti. Insom-ma, rispondere pii o meno nell'identico modo a stimoliidentici. Stimoli per cosi dire offuscati dallevarie lingue,ma se eliminiamo questo ostaeolo, scopriamo che ogniuomo sulla terra d assillato dagli stessi problemi. Mi pia-cerebbe che ti interessassi a questo fenomeno, owia-mente nella tua veste di studioso della societl, per vede-re se riesci a trovare una spiegazione atale omogeneitd."

Quella mattina don Juan raccolse parecchie piante.Alcune erano difficilissime da individuare e sembrava-no pit simili ad alghe o a muschio. Io gli tenevo apertala borsa; non parlammo pit. Quando fu soddisfatto, ri-prese la strada di casa a passo rapido. Disse che volevapulirle e farne una cernita prima che si seccassero.

Io, intanto, riflettevo sull'incarico che mi aveva affi-dato. Mi sforzai di ricordare se avevo letto articoli opubblicazioni al riguardo. Pensai che awei domto wol-gere qualche ricerca e decisi di cominciare esaminandotutto il materiale disponibile sul "earattere nazionale',.Ben presto mi scoprii entusiasta della questione, e aweivoluto andare subito a casa per mettermi a,l lavoro, de-sideroso di dedicarmi al mio compito con il massimo im-pegno. Ma prima che arrivassimo a destinazione, donJuan si fermd per sedersi su un ripiano roceioso affac-ciato sulla vallata. Non disse nulla per qualche momen-to. Quella sosta mi sorprese, perch6 non sembrava mi-nimamente affaticato.

"Il tuo eompito di oggi" esordi in tono quasi minac-eioso, ..d uno degli aspetti pir) misteriosi dello sciama-nesimo, qualcosa che prescinde il linguaggio, prescindeogni spiegazione. Oggi abbiamo camminato, abbiamoparlato, perch6 il mistero dell'arte magica dev'essere

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OMBRE DI FANGO

assorbito nella vita terrena. Deve scaturire dal nulla etornare al nulla. E questa I'arte del guerri,ero-aiaggi,a-tore: passare inosservato attraverso la cruna di un ago.Preparati quindi appoggiando Ia schiena a questa pa-rete rocciosa, il pir) lontano possibiie dalla sporgenza.Sard al tuo fianco, nell'eventualitb ehe tu svenga o pre-cipiti."

"Che cosa ti proponi di fare, don Juan?" chiesi, e ilmio timore risuond tanto evidentc che d'istinto abbas-sai la voce.

"Voglio che tu incroci le gambe ed entri nel siknzio'interiore,, rispose lui. "Diciamo che voglio che tu scopraquali articoli cercare per sereditare o confermare quan-to ti ho chiesto di fare nel tuo ambito accademico. En-tra nel siknzio interiore, ma non addormentarti. Questonon d un viaggio attraverso l'oscuro mare d,ella consa,pe-uolnzza; si tratta invece di ued,ere dal silenzio ,interiore.,,

Era diffrcile per me entrare nel sil,enzio interiore sen-za scivolare nel sonno: il desiderio di dormire era quasiinvincibile. Ma ci riuscii e mi ritrovai a guardare il fon-do della vallata circondato da un'impenetrabile oscu-ritd. Iraggii aiili qualeosa che mi raggeld nel profondo.Vid,i, un'ombra gigantesca, distante forse quattro metrie mezzo) che spiccava un balzo in aria e quindi atterra-va con un tonfo sordo. Percepii quel tonfo fin nelle ossa,ma non furono le mie orecchie a udirlo.

"Sono molto pesanti" mi sussurrd don Juan all'orec-chio. Con la mano stringeva con forza il mio braccio si-nistro.

Vid,i qtalcosa che sembrava urt'ombra fangosa dime-narsi per terra, poi spiccare un altro enorme salto diuna quindicina di metri e di nuovo atterrare producen-do lo stesso tonfo minaccioso. Lottai per non perdere laconcentrazione, terrorizzato al punto da non poteresprimere in termini razionali il mio teruore. Tbnni gliocchi fissi sull'ombra che si muoveva in fondo alla val-Iata e allora sentii un ronzio stranissimo, insolito, qual-

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cosa tra uno sbattere di ali e il brusio di una radio nonperfettamente sintonizzata. Mai awei potuto dimenti-care il tonfo che segui a quel misterioso rumore. Io e donJuan fummo scossi fin nel profondo: un'enorme ombradi fango nero era appena atterrata ai nostri piedi.

..Non avere paura)> fece don Juan in tono imperioso."Mantieni il tuo silenzio interiore, e se ne andr),."

Tremavo dalla testa ai piedi. Ero perfettamente con-sapevole che, se non avessi mantenuto tl silnnzio interio're,l'ombta sarebbe calata su di me come una coperta,soffocandomi. Senza perdere I'oscuriti che mi circonda-va, urlai a perdifiato. Non mi ero mai sentito cosi furio-so, cosi frustrato. Uombra di fango spiccd un balzo ver-so il fondovalle. Io continuavo a urlare, serollando frene-ticamente le gambe. Volevo seuotermi di dosso Ia cosache forse si preparava a divorarmi. Ero talmente agita-to che persi la cognizione del tempo. Fbrse svenni.

Quando tornai in me, ero nel mio letto, a casa di donJuan. Sulla fronte avevo un asciugamano intriso d'ac-qua fredda e ardevo di febbre. Una delle discepole didon Juan mi friziond con alcool la schiena, il petto e lafronte, ma senza che ne ricavassi alcun sollievo. Il calo-re proveniva da dentro di me e a generarlo erano Ia col-lera e I'impotenza.

Don Juan rideva come se trovasse tutto incredibil-mente buffo. Ira sua ilaritd sembrava non dover averefine.

"Non immaginavo che ti saresti lasciato turbare tan-to dalla uista di uno di quelli che uolano,, commentd.

Poi mi prese per mano e mi condusse sul retro e Ii,completamente vestito, con addosso le scarpe e I'orologio,mi fece immergere in urCenorme vasca piena d'acqua.

.Il mio orologio!" gridai io.Don Juan si torceva dalle risate. ..Non dowesti por-

tarlo quando vieni a trovarmi" disse. "Ora lo hai rovi-nato.',

Mi sfrlai I'orologio e lo posai perterravicino allavasca.

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Era impermeabile. ffi" ";. "";."" stato danneggia-to in alcun modo. Il bagno mi fece bene e quando donJuan mi tird fuori, avevo riacquistato un cerbo controllo.

"E stato uno spettacolo sconvolgente!" continuavo aripetere, incapace di smettere.

Il predatore che don Juan mi aveva descritto nonaveva nulla di benevolo. Era immensamente grande,osceno, indifferente. Avevo percepito con chiarez za tI di-sprezzo che provava nei nostri confron{i. Non c'era dadubitare che tanto tempo addietro quelli della sua spe-eie ci avessero schiacciati, rendendoci, come don Juanaver'a detto, deboli,lulnerabili e docili. Mi tolsi gli in-dumenti bagnati, infrlai un poncho, poi mi sedetti epiansi fino a non poterne pii. Ma non era per me stes-so che piangevo. A difendermi dai predatori avevo lamia collera, il mio infussibiln intento. Piangevo per imiei simili e soprattutto per mio padre. Fino a quel mo-mento non mi ero reso conto di quanto lo amassi.

"Non ha mai amto una sola possibilitb" mi sentii ri-petere pii volte, come se quelle parole non mi apparte-nessero. Il mio povero padre, la persona pit premurosache avessi mai conosciuto, cosi tenero, cos) gentile, cosiinerme.

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@ tt salto nell'abissoC'era una sola pista che portava alla mesa. Una vol-

ta li, mi accorsi che non era cosi ampia come mi era ap-parsa quando la guardavo da lontano. La vegetazionenon era diversa da quella che eresceva ai piedi dellamontagna: legnosi cespugli di un verde smorto, conun'ambigua somiglianza eon gli alberi.

Non vidi subito I'abisso; solo quando don Juan micondusse, scoprii che la mesa terminava in un precipi-zio. La montagna, di forma tondeggiante, era profon-damente erosa sui versanti est e sud; a nord e a ovest,invece, sembrava tagliata con un coltello. In piedi sul-I'orlo, vedevo il fondo del burrone, forse tremila metripii in basso. Era coperto dagli stessi cespugli che cre-scevano dappertutto li intorno.

Fbcendo il giro della mesa, scoprii che si trattava inrealth della cima piatta di una montagna di discrete di-mensioni. La fila di rilievi che si allungava a nord e asud doveva essere stata parte ili un canyon gigantesco

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e antichissimo, scavato da un fiume scomparso da tem-po. Uerosione aveva profondamente intaccato i bordidel canyon, in cerbi punti spianandoliall'altezza del ter-reno. Uunica area intatta era quella su cui ci trovava-mo noi.

..D roccia solida' osservd don Juan, come se avesseIetto nei miei pensieri. Con il mento indicd il baratro."Se qualcosa dovesse cadere laggii, si fracasserebbesulle rocce."

F\r questo l'inizio della conversazione ehe avemmoquel giorno, sulla vetta della montagna. In precedenza,don Juan mi aveva spiegato che il suo tempo sulla Tbr-ra era grunto al termine. Era pronto per il uiaggio su-prenxl.Io ne ero rimasto scouvolto. Avevo perso ognicontrollo sulla realti per sprofondare in un misericor-dioso stato di frammentaziote, simile forse a quello chesegue un esaurimento nervoso. Ma un frammento cen-trale ela intatto: me stesso bambino. Tirtto il resto era\neertezza, imprecisione. Ero rimasto in quello stato diframmentarietd cosi a lungo che tornarci rappresentdper me I'unica via di uscita.

Successivamente, si veriflcd una stranissima intera-zione tra livelli diversi della mia consapevolezza. Condon Juan, il suo discepolo don Genaro e i due apprendi-sti Pablito e Nestor, ci arrampicammo sulla cima dellamontagna. Pablito, Nestor e io eravamo li per adempie-re al nostro ultimo compito di apprendisti: saitare in unabisso; una faccenda quanto mai misteriosa che donJuan mi aveva illustrato su piani diversi di consapevo-lezza, rna che fino a quel giorno era rimasta un enigmaper me.

Don Juan disse scherzando che awei dovuto tirarfuori il mio taccuino e prendere appunti su quel nostroultimo incontro. Mi diede una leggera gomitata alle co-stole e, soffocando una risata, mi assicurb che sarebbestato del tutto adepJuato, dato che proprio prendendo ap-punti avevo cominciato la via del guerriero-uiaggiatore.

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IL SAIJTO NEI 'L 'ABISSO

Don Genaro intervenne dicendo che prima di noi, al-tn guerrieri-uiaggiatori erano saliti su quella montagnaper affrontare il viaggio nell'ignoto. Don Juan si rivolsea me e a bassa voce disse che presto sarei entrato con lemie sole forze nell''infinito, e che lui e don Genaro eranoIi solo per dirmi addio. Di nuovo don Genaro si intromi-se dicendo che io awei domto fare lo stesso con loro.

"IJna volta che sarai entrato nell'infinffo" ripresedon Juan, "non potrai contare su di noi per il tuo even-tuale ritorno. Sard necessaria una tua decisione. Solo tupotrai decidere se tornare o meno. Devo inoltre awer-tirti che solo pochi guerrieri-uiaggiatori soprawivono aquesto incontro con I' infinit o. U infinilo esercita un' at-trazione smisurata. Per w guerciero-uiaggiatore, torna-re nel mondo del disordine, della compulsione, del m-more e della sofferenza, d quanto mai sgradevole. Nondevi pensare all'alternativa tra il tornare o il restare co-me a una scelta ragionevole, bensi come a una questio-ne di intento.,,

"Se sceglierai di non tornare" continub, ..scompari-rai eome inghiottito dalla terra. Se invece deciderai ditornare, dowai aspettare come un vero guerriero-uiag-giatore finch6 il tuo compito, qualunque esso sia, non sisarh concluso con una vittoria o una sconfitta."

Un sottile cambiamento comincid allora a verifrcarsiin me. Cominciai a ricordare volti di persone che tutta-via non ero affatto certo di aver effettivamente cono-sciuto. Nella mia mente si affollavano inspiegabili sen-sazioni di angoscia e moti d'affetto. Non sentivo pil) lavoce di don Juan e anelavo a persone che dubitavo diaver mai incontrato. Improwisamente ftii pervaso daun amore quasi insostenibile per tutte loro, chiunquefossero. Cid che provavo nei loro confronti era inespri-mibile, e nondimeno continuavo a ignorare chi fossero.Ma percepivo la loro presenza, come se in passato aves-si vissuto un'altra vita, o eome se cercassi qualcuno insogno. Mi accorsi che le loro forme esteriori mutavano:

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da grandi ehe erano, si fecero piccole. A restare intattafu la loro essenza e proprio essa generava in me quelgrande desiderio di loro.

Don Juan si alrricind e mi disse: "Uaccordo era chetu rimanessi nella consapevolezza del mondo quotidia-no." I-la sua voce era aspra, autoritaria. "Oggr adempi-rai a un compito di grande coneretezza, I'ultimo anellodi una lunga catena ed d indispensabile che lo faccia nel-la massima luciditd."

Non era mai successo che mi parlasse in quel tono.Era diventato un altro uomo, ma non per questo menofamiliare. Obbedii docilmente e tornai alla consapevo-lezza del mondo quotidiano. Ciononostante, non sapevoche stavo facendo quello. Per quanto mi riguardava,quel giorno avevo ceduto a don Juan spinto dal timoree dal rispetto.

Quando tornb a rivolgermi la parola, lo fece con il to-no usuale. Anche quello che mi disse mi suond molto fa-miliare. Disse che Ia spina dorsale di un guerriero-uiag-giatore d I'umiltd el'efficienza; I'agire senza aspettarsinulla e far fronte a qualunque cosa gli si prospetti.

Arrivai a quel punto attraverso un altro mutamentonel mio livello di consapevolezza. La mia mente si foca-lizzd su un pensiero, o forse una sensazione di angoscia.Compresi allora di aver stretto con alcune persone ilpatto di morire insieme e non sapevo chi esse fossero.Sentii, con assoluta certezza, che morire in solitudinesarebbe stato un errore. I-.ra mia angoscia si fece intolle-rabile.

"Siamo soli" disse a quel punto don Juan. "Questa dla nostra condizione, ma morire soli non siggrifica mori-re in solitudine."

Respirai a fondo nel tentativo di attenuare la tensio-ne e la mia mente tornd a essere lucida.

"Il grande problema di noi maschi b la fragilitd" se-guitd lui. "Quando la nostra consapevolezza comincia acrescere, cresce come una colonna, proprio al centro del

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IL Sr\LTO NELL'Al l ISSo

nostro essere luminoso. Deve raggiungere udaltezzaconsiderevole prima che possiamo fare affidamento sudi essa. In questo momento della tua vita come seiama-no, perdi con facilitd la presa sulla tua nuova consape-volezza. E quando questo accade, dimentichi tutto quel-lo che hai fatto e ui,sto sulla via del guerriero-aiaggiato-re perchl torni alla consapevolezza della vita quotidia-na. Ti ho gid spiegato che il compito di ogni stregone disesso maschile d recuperare tutto quanto ha fatto e oi-sfo sulla via del guerriero-aiaggiatore mentre sperimen-ta livelli di consapevolezza nuovi.

"Capisco benissimo, don Juan" risposi. "Fbrse que-sta d la prima volta che mi rendo pienamente conto delperch6 dimentico tutto, per ricordare di nuovo tutto inun secondo tempo. Ho sempre creduto che queste flut-tuazioni fossero da attribuirsi a una condizione patolo-gica del tutto personale; ora invece ne conosco il veromotivo, anche se non so tradurlo a parole."

"Non preoccuparti per questo. A tempo debito, sa-prai tradurre a parole tutto cid che vorrai. Oggi, deviagire snl t:uo sil,enzio interiore, su cid che sai senza sa-pere. Sai perfettamente che cosa devi fare, ma d una co-noscenza ehe non ha ancora trovato una piena formula-zione nei tuoi pensieri."

Sul piano delle sensazioni e dei pensieri concreti, tut-to quello che avevo era la vaghissima impressione di sa-pere qualcosa che non faeeva parte della mia mente. Poipercepii nettissima la sensazione di aver fatto un enor-me passo verso il basso, eome se dentro di me qualcosafosse precipitato. F\r quasi un sobbalzo e compresi di es-sere entrato in un altro livello di consapevolezza.

Don Juan mi disse che per rtn guerriero-u'iaggiatoreera indispensabile congedarsi per sempre da tutti quel-li che si preparava a lasciare. E doveva farlo con voce al-ta e chiara, cosi che il suo grido e i suoi sentimenti si im-primessero per I'eternitd su quelle montagne.

Esitai a lungo, non perch6 non sapevo a chi rivolge-

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re quel mio ringraziamento finale. Avevo interiorizzatoalla perfezione il concetto degli sciamani secondo cui iguerrieri-aiaggiatori non devono nulla a nessuno.

Don Juan mi aveva instillato in profonditd I'assio-ma: <<I guemieri-uiaggiatori pagano con generositd, sti-le e con ineguagliata faciliti ogni favore che viene lororeso. In questo modo, si affuancano dal fardello dell'es-sere in debito."

Avevo ripagato, o lo stavo facendo, tutti coloro chemi avevano onorato della loro attenzione e sollecitudine.Avevo spinto la ricapitolazione della mia vita al puntoche non restava pii nulla da verificare. In quei giornipensavo veramente di non dover niente a nessuno.Espressi a don Juan il mio convincimento e la mia esi-tazione.

Era senz'altro vero che la ricapitolazione della miavita era stata esauriente, concordd lui, ma ero ben lun-gi dall'aver pagato ogni debito.

"Che mi dici dei tuoi fantasmi?" aggillnse poi. "euel-li che non puoi pii toecare?,,Parlava a ragion veduta. Nel corso delLa ricapitola-

zione gli avevo riferito tutti gli accadimenti della mia vi-ta. Dalle molte centinaia, lui aveva isolato tre debiti chemi portavo dietro dall'infanzia e a essi aveva aggiuntoquello che avevo nei confronti della persona che ci ave-va fatti incontrare. Avevo ringraziato a profusione ilmio amico, ricavandone la sensazione che qualcosa, lifuori, aveva preso debito atto della mia riconoscenza.Quanto agli altri tre episodi, invece, non avevo preso ini-ziative di sorta.

Il primo riguardava un uomo che avevo conoseiutoda bambino, il signor Leandro Acosta. Era il nemico pereecellenza di mio nonno, che pii volte Io aveva accusatodi trafugare polli dal suo allevamento. Pur senza esse-re un vagabondo, Aeosta non aveva un lavoro preciso.Era un ribelle, un giocatore, un uomo dai mille mestie-ri: tuttofare, guaritore autodidatta, cacciatore e forni-264

IL SAI]TO NELL'ABISSO

tore di esemplari di piante e insetti per i guaritori e glierboristi del posto, nonch6 di ogni sorba di uccelli emammiferi per i tassidermisti e i neEozi di animali.

Uopinione eomune era che guadagnasse un sacco disoldi, ma fosse incapace di risparmiare o di fare buoniinvestimenti. Amici e detrattori erano convinti che aves-se awiato I'attivitd pii remunerativa della zona, ma cheuna misteriosa malattia dello spirito lo rendesse peren-nemente inquieto e irrimediabilmente incostante.

Un giorno, mentre facevo una passeggiata sul confi-ne della fattoria del nonno, mi accorsi ehe qualcuno miosselvava dal folto dei cespugli che delimitavano il bosco.Era il signor Acosta. Se ne stava aceovacciato in mezzoall'intrico di vegetazione, invisibile a chiunque non fossean ragazzino di otto anni dalla vista acuta.

"Non mi stupisce che il nonno pensi che sia lui a ru-bare le galline", pensai. Ero certo che nessun altro si sa-rebbe accorto della sua presenza, tanto invisibile lo ren-deva la sua immobilitd. A tradirlo, era stata la clifferenzache avevo notato fra i cespugli. Mi awicinai. Il fatto chela gente lo rifiutasse cosi rabbiosamente o lo amasse cosiappassionatamente, mi affascinava oltre ogni limite.

"Che cosa ci fa qui, signor Acosta?, mi azzardai achiedere.

"Sto cagando e intanto osservo la fattoria di tuo non-no" r'ispose lui. .Quindi, a meno che I'odore della merdanon ti piaccia, farai bene a filartela."

Mi allontanai di qualche passo. Morivo clallavoglia discoprire se stava dicendo la veritd. Cosi era. euando sialzd, pensai che sarebbe entrato nella proprietd del non-no, magari spingendosi fino al di lA della strada; inveee,Acosta comincid a inoltrarsi nella giungla.

"Ehi, sigporAcosta!" gridai allora. ..posso venire eonlei?"

Mi accorsi che si era f'ermato, ma anche questa voltala mia fu soprattutto un'impressione, tanto fitti erano icespugli in quel punto.

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"Certo che puoi, se riesci a trovare un varco nella ve-getazioneo fu la sua risposta. Non era un'impresa diffi-ciie per me. Nelle mie ore di ozio, avevo contrassegnatoeon un grosso sasso uno di quei varchi. Dopo urt'infinitddi tentativi ed errori, avevo scoperto un passaggio dovepotevo strisciare e che, dopo tre o quattro metri, si tra-sformava in un sentiero vero e proprio, dove era possi-bile stare in piedi.

..Bravo ragazzo!,, si complimentd il signor Acosta.

"Ce I'hai fatta. Ora puoi venire con me' se vuoi.,'Quello fu I'inizio della mia amicizia con Leandro

Acosta. Andavamo a caccia insieme ogni giorno. E datoche restavo fuori casa dall'alba al tramonto, senza maidire a nessuno dove andassi, la eosa divenne talmenteevidente che un giorno il nonno mi ammoni con severitd'

..Devi essere pit selettivo nella scelta dei tuoi amici"disse. "O frnirai per diventare come loro. Non tollererdnessuna influenza da parte di quell'uomo. Non awebbecerto difficoltt\ a trasmetterti il suo stile di vita' Potreb-be influenzarti a essere come lui: inutile. Se non mettifrne a questa storia, dowd pensarsi io. Lo farb accusa-re di furto di galline, perch6 sai maledettamente beneche d proprio quello che fa tutti i santi giorni."

Cercai di dimostrargli I'assurdite di quell'accusa. Ilsignor Acosta non aveva alcun bisogno di rubare galli-ne. Aveva a disposizione la giungla intera e da essa po-teva ricavare qualunque cosa volesse. Ma la mia opera-zione ebbe il solo effetto di far infuriare maggiormenteil nonno. Compresi allora che nel suo intimo invidiava lalibertd di Acosta e da quel momento, per me LeandroAcosta cessd di essere soltanto un simpatico cacciatoreper trasformarsi nel simbolo di tutto cid che era un tem-po proibito e desiderato.

Tbntai di ridurre la frequenza dei nostri incontri, maero irresistibilmente attratto. Poi un giorno, il signorAcosta e tre suoi amici mi proposero qualcosa che nep-pure lui aveva mai fatto: catturare un awoltoio vivo e

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II, SAIJTO NEI ' I ' 'ABISSO

perfettamente sano. Gli esemplari di quella zona, mispiegd, erano enormi, con un'apertura alare che potevaraggiungere i due metri, e composti da sette tipi di car-ne, ciascuno dei quali possedeva diverse proprietd tera-peutiche. Era perd neeessario che I'uccello non fosse fe-rito, per essere ucciso in un secondo tempo con dei se-dativi e senza alcuna violenza. Abbatterne uno eon unafucilata sarebbe stato facilissimo, ma, in quel easo, ogniproprietd curativa sarebbe andata persa. Bisognavacatturarlo vivo, cosa che neppure lui aveva mai tentato.Ma con il mio aiuto, seguitd, e quello dei suoi tre amici,awebbe risolto il problema. I.la sua, disse, era la natu-rale conclusione a eui era arrivato dopo aver studiato alungo il comportamento degli awoltoi.

"Quello che ci serve d un asino morto>r esclamd conentusiasmo, <<e ce I'abbiamo." Mi guardd, aspettandoche gli chiedessi che eosa mai si poteva fare con un asi-no morto, ma davanti al mio silenzio prosegui: "Bisognaestrarne gli intestini e infilare degli stecchi nell'addo-me, cosi da mantenerne la rotonditd.

Il capo degli awoltoi dal collo rosso d quello pii gros-so, piri scaltro. Nessuno ha una vista pii acuta ed d pro-prio questo a farne un autentico re. Si caleri sottoventorispetto all'asino, per accertarsi che I'odore sia quello giu-sto. Intanto, noi awemo ammucchiato gli intestini e gliorgani molli vicino al posteriore della carcassa, perch6sembri che sia gid stato parzialmente divorato da un gat-to selvatico. Uawoltoio si awicinerd senza fretta. con tut-to comodo. Procederb a balzelloni e finalmente si poserA,sulla carcassa e li comincerd a dondolarsi. Lo ribaltereb-be, se non fosse per i quattro bastoncini che noi awemopiantato per terra. Per un po', l'awoltoio se ne starb lisenza fare nulla; questo sarb il suo modo per segnalareagli altri awoltoi che il campo d libero. Solo quando ne sa-ranno amivati tre o quattro, il re si metterh all'opera."

"E quale sarebbe il mio ruolo in tutto questo?" vollisapere.

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"Ttr sarai nascosto dentro I'asino" fece lui, impertur-babile. "Nient'altro. Ti darb dei guanti di pelle fatti ap-positamente per I'occasione, e te ne starai seduto Ii, inattesa che il re squarci l'ano dell'asino con gli artigli ecacci dentro la testa per cominciare a mangiare. A quelpunto Io afferrerai per il collo con entrambe le mani,stringendo forte perch6 non scappi.

I miei amici e io seguiremo la scena con un cannoc-chiale, nascosti in un burrone vicino. Quando vedrd cheI'hai preso, arriveremo al galoppo e awemo Ia megliosull'awoltoio."

oNe sarebbe dawero capace, signor As651s!" do-mandai. Non che ne dubitassi; volevo solo averne la con-ferma.

oMa certo!" mi rispose con I'aria pii sicura del mon-do. ..Saremo equipaggiati con guanti e gambali di cuoio.Gli awoltoi hanno artigli potenti, capaci di spezzare unmetacarpo come se fosse un fuscello."

A quel punto non avevo pit scampo. Ero rapito, to-talmente elettrizzato. La mia ammirazione per LeandroAcosta non aveva pit limiti. Ora ai miei occhi era un au-tentico cacciatore, pieno di risorse, astuto, competente'

"Ci sto!" promppi...trlcco il mio ragazzot,, si congratuld lui. "Non mi

aspettavo niente di meno da te."Aveva messo una pesante coperta dietro la sella del

suo cavallo e uno dei suoi amici mi sollevd per le bracciae mi issb sulla bestia.

"Reggiti alla sella" mi istrui Acosta, ..e contempora-neamente alla coperta."

Senza fretta ci mettemmo in marcia. Cavalcammoforse per un'ora, finch6 arrivammo a una clistesa piattae brulla. I-ri, ci fermammo vicino a una tenda molto si-mile a una bancarella da mercato, con un tetto piattoper fare ombra. Sotto il tetto, vidi un asino morto. Erapiuttosto scuro, e sembrava molto giovane.

N6 il signor Acosta n6 i suoi amici si curarono d'i

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IL SAIJTO NEIJIJ 'ABISSO

spiegarmi come lo avessero trovato o ueciso e non vole-vo essere io a chiederlo. Mentre sbrigavano i preparati-vi, Acosta mi spiegb che la tenda era li perch6 gli awol-toivolavano in cerchio adaltezze strabilianti, invisibilima sicuramente in grado di vedere tutto quello che suc-cedeva sotto di loro.

..Devono puntare tutto sulla vista per forza,, disse...Hanno pochissimo udito e il loro olfatto non eguaglianeppure lontanamente la capacitd visiva. Ecco perch6 dimportante che tappiamo tutti i buchi della carcassa. Seti vedessero, non verrebbero mai gii. Non devono ac-corgersi di nulla."

Infllarono quindi dei bastoncini nel ventre dell'asinoe li incrociarono a formare una specie di intelaiatura, la-sciando solo lo spazio sufficiente perch6 io potessi stri-sciare dentro. Improlvisamente feci Ia domanda chemorivo dalla voglia di fare.

"Mi dica, signor Acosta... questo asino d morto dimalattia, vero? Pensa che potrei restare contagiato?"

I-rui alzd gli occhi al cielo. "Che diamine, non puoi es-sere tanto sciocco! Le malattie degli asini non si tra-smettono agli uomini. Godiamoci quest'awentura e nonpreoccuparti di simili sciocehezze. Se fossi pii basso,entrerei io stesso. Hai idea di che cosa significhi cattu-rare il re degli awoltoi dal eollo rosso?"

Gli credetti, e quelle parole bastarono ad awiluppar-mi in un manto di totale sierrrezza. Non awei permessoal disgusto di farmi perdere il divertimento.

Infine Acosta mi infild nella carcassa. T\rtti insieme,tirarono la pelle fino a coprire per intero l'intelaiatura,quindi la cucirono, avendo cura di lasciare un ampio spa-zio in basso, perchd all'interno l'aria potesse circolare li-beramente. Fh un momento terribile quello in cui la pel-le si chiuse sopra la mia testa come il coperchio di unabara. Mi sforzai di respirare profondamente e di pensa-re solo all'eccitazione che awei sperimentato quandoavessi stretto le mani intorno al collo dell'aqroltoio.

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CARLOS CAgTANEDA

Il signor Acosta mi imparti le ultime istruzioni. Miawebbe awerbito con un fischio simile al verso di un uc-cello che I'awoltoio si stava awicinando e poi ancoraquando si fosse posato. Questo, per far si che non mi in-nervosissi o non diventassi troppo impaziente. Li sentiismontare la tenda, poi udii lo scalpitio dei cavalli che siallontanavano. Fh un bene che avessero lasciato soloun--apertura, perch6la tentazione di guardare fuori eraquasi irresistibile.

Traseorse un lungo intervallo durante il quale nonpensai a nulla. Poi sentii il signor Acosta fischiare, se-gno che I'auroltoio stava sorvolando a larghi cerchi. Ilsospetto si tramutd in cerLezza quando udii il battitopossente delle sue ali. Subito dopo, I'asino comincid aondeggiare violentemente. Seppi allora che il re degliawoltoi si era posato sulla carcassa. Ne percepivo il pe-so. Poi sentii il battito di altre ali e, in lontananza, il fr-schio di Acosta. Cercai di preparami all'inevitabile. Ua-sino comincid a vibrare come se qualcosa ne stesse dila-niando la pelle, poi una testa enorme e orrenda, sor-montata da una cresta rossa, un beceo potente e un oc-chio penetrante sembrarono esplodere all'interno. Urlaidi paura e con entrambe le mani abbrancai il collo del-I'animale. Probabilmente il mio attacco lo stordi breve-mente, perch6 non reagi in alcun modo, dandomi cosiI'opportunitlr di accentuare la stretta. Poi scoppid l'in-ferno. Uawoltoio si riscosse e comincid a tirare eon for-za da sbatacchiarmi senza pieti, contro I'intelaiatura dibastoni. Un attimo dopo, ero parzialmente fuori dellaearcassa, aggrappato al collo della bestia, come se neandasse della mia vita.

Sentii in lontananza il galoppo del cavallo di Acosta,quindi il suo fischio. "Molla la presa, ragazzo, o ti por-terd con s6' gridd. E dawero il re degli awoltoi se ne sa-rebbe volato via portandomi appresso, oppure mi aweb-be lacerato con i suoi arbigli. Se non ci riusci, fu perch6aveva la testa sprofondata per metb nelle viscere e nel-

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II] SAI]TO NELI] 'ABISSO

I'intelaiatura e gli artigli scivolavano sugli intestini sen-zafare presa e senza mai arrivare a sfiorarmi.

Inoltre, impegnato com'era a liberarsi dalla miastretta, non poteva protendere gli artigli fino a ferirmi.La prima eosa che seppi subito dopo fu che Acosta si erabuttato sull'uccello, proprio nel momento in cui le miemani scivolavano fuori dal guanto.

Il signor Acosta era fuori di s6 dalla gioia. "Ce I'ab-biamo fatta, ragazzo, ce I'abbiamo fatta!" ripeteva. "Laprossima volta useremo dei bastoni pii lunghi che sipossano conficeare nel terreno, in modo che I'awoltoionon possa tirarti fuori, e ti legheremo all'intelaiatura."

La mia amicizia con il signor Acosta era durataquanto bastava perch6 catturassi un awoltoio per lui.In seguito, il mio interesse nei suoi confronti svani mi-steriosamente com'era nato e non ebbi mai I'opportu-nitd di ringraziarlo per tutto quello che mi aveva inse-gnato.

Don Juan mi disse che Acosta mi aveva insegnato lapaziertza del cacciatore nel momento pii giusto per im-pararla; soprattutto, mi aveva insegnato a trarre dall'i-solamento tutto il conforbo di cui un cacciatore necessita.

..Non confondere la solitudine con I'isolamento" mispiegb in un'occasione. "Per me, la solitudine d una con-dizione psicologica della mente. Ijisolamento d una con-dizione fisica. La prima ti indebolisce, il secondo ticonforta.,'

A eausa di tutto questo, aveva detto don Juan, sareistato per sempre in debito con Ireandro Aeosta, e que-sto, che capissi o meno il concetto di debito cosi come lointende tn guerriero -aiaggiatore.

Il mio secondo creditore era, stando a don Juan, unragazzino di dieci anni con cui ero cresciuto. Si chiama-va Armando Velez. Proprio come il suo nome, Armandoera dignitoso, compassato, un autentico giovane vec-chietto. A me piaceva moltissimo, perch6 era deciso e af-fabile al tempo stesso. Non si faceva intimidire facil-

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CARLOS CASTANEDA

mente e, pur non essendo affatto un attaccabrighe, nonrifuggiva dalla lotta.

Andavamo spesso a pesca insieme. I"ie nostre predeerano in prevalenza pesci piccolissimi che vivevano sot-to i ciottoli e bisognava prenderli con Ie mani. Li face-vamo essiccare al sole e li mangiavano crudi, a volte an-che per tutto il giorno.

Di Armand o appr ezzavo I' inge gnositd, I' intelligenz ae il fatto che era ambidestro. Riusciva a tirare sassi conentrambe Ie mani. Ci sfidavamo in ogni sorta di giochie, con mio grande disappunto,lui finiva sempre pervin-cere. Era solito scusarsi per quelle vittorie dicendo: "Seti lasciassi vincere, mi odieresti. Sarebbe un insulto al-la tua virilitd. Non devi far altro che impegnarti di pii".

A causa della sua esagerata compassatezza,lo chia-mavamo "Seflor Velez", ma abbreviando il seflor in..$[s", seeondo una consuetudine tipica del paese suda-mericano da cui provengo.

Un giorno, Sho Velez mi rivolse una richiesta a dirpoco insolita. Naturalmente me la presentb come unasfrda. "Scommetto quello che vuoi" disse, "che io cono-sco una eosa che tu non oseresti mai fare."

"Di che cosa stai parlando, Sho Velez?"..Non oseresti mai discendere un fiume con una zat-

tera.rt"Oh, s), inveee. Uho fatto su un fiume che era strari-

pato. Una volta sono rimasto bloccato otto giorni suun'isola. Mi mandavano il cibo approfittando della cor-rente.>

Era la veritd. Ualtro mio piri caro amico era un ra-gazzino soprannominato Crazy Shepherd. Una volta cieravamo arenati su un'isola da cui non c'era modo diandare via.

La gente del posto, convinta che la piena awebbe co-perto I'isola e che noi saremmo annegati, metteva nelfiume cesti di viveri, nella speranza ctre arrivassero finoa noi, cosa che di solito accadeva. Potemmo cosi soprav-

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IL SALTO NI] I I I ] 'ABISSO

vivere finch6 I'acqua non comineid a defluire e venneroa recuperarci con luna zattera.

"No, questa d una faccenda ben diversa" ribattd Ve-lez eon Ia compostezza di sernpre. "Questa volta si trat-ta di un fiume sotterraneo.r'

Si riferiva a uno dei fiumi della zona, che per un lun-go tratto scorreva sotto una montagna. In effetti, queltratto fluviale aveva sempre esercitato un fascino spe-ciale su di me. Penetrava nella montagna attraversouna grotta di dimensioni ragguardevoli e di aspetto mi-naecioso, sempre brulicante di pipistrelli e puzzolente diammoniaea. I bambini del posto sostenevano che eraI'entrata dell'inferrro. Vapori di zolfo, caldo e fetore.

"Puoi scommetterci le mutande che mai e poi mai miawicinerd a quel fiume, Sho Yelez!" strillai. "Devi esserecompletamentepazzo per pensare una cosa del genere!"

Il suo viso, gilr serio, si fece solenne. "Oh" fece. "Inquesto caso dowd arrangiarmi da solo. Per un momen-to ho pensato di poterti convincere a venire con me. Misbagliavo. Colpa mia.,'

"Si pud sapere che diavolo ti prende? Perch6 lrroi an-dare in quel posto orribile?"

.,Devo', mi rispose in tono bmsco. ..Vedi, mio padrenon b meno pazzo di te, solo che lui d un padre e un ma-rito. Sei persone dipendono da lui. Se cosi non fosse, sa-rebbe pazzo eome una lepre pazza. Le mie due sorelle, imiei due fratelli, mia madre e io dipendiamo da lui. Pernoi, lui d tutto."

Io ignoravo chi fosse il padre di Sho Yelez. Non Io ave-vo maivisto e non sapevo che cosa facesse pervivere. Shomi riveld che era un uomo d'affari e che tutto quello chepossedeva era, per cosi dire, sotto gli occhi di tutti.

..Ha costmito una zattera e vuole usarla. D deciso aintraprendere questa spedizione. Mia madre dice che dsolo un modo per allentare la tensione, ma io non mi fi-do di lui. Nei suoi occhi ho visto Ia stessa luce di follia chec'b nei tuoi. Uno di questi $orni lo farh e allora morird

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Y6CARLOS CASTANEDA

di certo. Quindi, devo prendere la zattera e affrontare iostesso il fiume. Morird, ma mio padre sard salvo."

Sentii un brivido corrermi lungo il collo e in tono agi-tato proruppi. "Vengo con te, Sho Velez. Vengo con te.Sard fantastico! Vengo con te!"

Presi il suo sorriso come un segno della felicitb chegli avevo dato assicurandogli il mio appoggio, non per-ch6 fosse soddisfatto di avermi convinto. La frase chepronuncid subito dopo espresse i suoi sentimenti: "Sevieni con me, soprawiverd" disse.

Della sua soprawivenza non mi importava. A gal-vanizzarmi era il suo coraggio. Sapevo che Sho Velezaveva il fegato per fare cid che diceva. Lui e CrazyShepherd erano gli unici ragazzi dawero coraggiosi del-la cittd. Entrambi possedevano qualcosa che io conside-ravo unico e inconcepibile: il coraggio. Nessun altro incittb ne aveva un solo briciolo. L,ii avevo messi alla pro-va tutti quanti. Per quanto mi riguardava, era come sefossero morti e con essi era morto anche I'amore dellamiavita, il nonno. Avevo dieci anni, ma lo sapevo con as-soluta ceriezza. Cosi, I'audacia di Sho mi colp,i nelprofondo. Sarei stato al suo fianco frno all'ultimo.

Concordammo di trovarci allo spuntare del giorno ein due trasportammo la Ieggera zattera per cinque o seichilometri fuori cittd, fino alla grotta in cui il fiume spa-riva sottoterra. Il tanfo degli eserementi di pipistrelloera insopportabile. Salimmo a bordo e ei spingemmo inacqua. Uequipaggiamento della zattera comprendevadelle torce elettriche che fummo costretti ad accenderesubito. All'interno della montagna il buio era totale eI'aria era calda e umida. Quanto all'aequa, era abba-stanza profonda da consentire la navigazione e abba-stanza rapida da rendere inutili i remi.

I-ra luce delle torce disegnava ombre grottesche. ShoVelez mi bisbiglid all'orecchio che forse era meglio nonguardarle affatto, perch6 erano ben pit che spaventose.Aveva ragione: quelle ombre erano oppressive, nausean-

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IL, SALTO NELL'ABISSO

ti. Disturbati dalla luce, i pipistrelli si erano alzati in vo-lo e ci volteggiavano intorno. A mano a mano che ci inol-travamo nella caverna, tuttavia, sparirono tutti e non ri-mase che I'aria staguante, pesante. Dopo quelle che a mesembrarono ore, giungemmo a una specie di stagno dovel'acqua era ancor pit profonda e quasi immobile. Sem-brava quasi che Ii il fiume fosse stato chiuso da una diga.

"Siamo bloccati" sussurrd nuovamente Sho Velez...Non c'b modo di attraversarlo con la zattera e non c'dmodo di tornare indietro.,'

La corrente era infatti troppo impetuosa perch6 po-tessimo anche solo tentare il ritorno. Decidemmo cheera indispensabile trovare una via d'uscita. A quel pun-to mi accorsi che, mettendoci in piedi, potevamo tocca-re la volta della grotta, il che significava che I'acqua ar-rivava fino alla sommitd della grotta. Dato che all'im-boccatura questa raggiungeva forse i duecento metri,non potei che concluderne che quella doveva essere Iaprofonditd dello stagno.

Assicurata la zattera a una roccia, ci immergernmo,nella speranza dt awertire movimenti che indicassero lapresenza di una corrente. Se in superficie tutto era caldoe umido, pochi metri sotto il pelo dell'acqua faeeva ungran freddo. Quel brusco cambiamento di temperaturami impauri, una strana paura animale che mai avevo spe-rimentato prima. Riaffrorai. Sho Velez doveva aver pro-vato la stessa cosa, perch6 ci scontrammo in superficie.

"Credo che stiamo per morireo disse con fare solenne.Ma non condividevo la solemdtd di Sho Velez, n6 il

suo desiderio di morte. Sempre pit, frenetico, tornai sot-to in cerca di una via di sal.vezza. Dovevano essere sta-te le piene a trasportare le rocce che avevano forrnato ladiga naturale. Finalmente individuai un foro abbastan-za ampio per il mio corpo. Thascinai sotto Sho Velez permostrarglielo. Naturalmente non sarebbe mai statopossibile farci passare la zattera, cosi recuperammo inostri abiti, ne facemmo un fagotto e ci immergemmo.

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Finimmo su una sorta di parete d'acqua, molto simi-le a quelle che si trovano nei luna-park. La patina sci-volosa di muschio e licheni che ricopriva le rocce ci per-mise di scivolare per un lungo tratto senza f'erirci. Arri-vammo cosi in una grotta smisurata che sembrava unacattedrale. I-ri, I'acqua ei arrivava pii o meno alla vita,ma dall'imboccatura filtrava la luce del giorno e fu daquella parte che ci dirigemmo. Uacqua non era abba-stanza alta per consentirci di nuotare, n6la conente ab-bastanza forte perchd potessimo pagaiare come fanno icani. Finalmente fuori, facemmo asciugare al sole i no-stri vestiti e, senza scambiarci una sola parola, tornam-mo in cittb. Sho Velez non riusciva a consolarsi dellaperdita della zattera.

..I-.ib dentro mio padre sarebbe mortoo concluse. ..0troppo.grosso, non sarebbe mai passato attraverso quelbuco. E grande e grosso, lui. Ma non abbastanza forteper tornare indietro."

Personalmente ne dubitavo. Ricordavo come, a cau-sa dell'inclinazione, la coruente del fiume sotterraneofosse sorprendentemente impetuosa. Ma forse, un uomodisperato awebbe trovato la forza di uscire aiutandosicon una corda.

Ma a quel punto le ipotetiche probabilitA, di salvezzadel padre di Sho Velez non mi interessavano pir). La so-la cosa importante era che, per la prima volta, avevo av-vertito il morso dell'invidia. Sho Velez era l'unico essereumano che avessi mai invidiato. Lui aveva qualcuno percui morire e mi aveva dimostrato di essere realmente di-sposto a farlo. Io, invece, non avevo nessuno per cui sa-crificarmi e di conseguenza non avevo dimostrato un belnulla.

Almeno simbolicamente, lasciai a lui tutto l'onore. Ilsuo trionfo era completo e ad esso mi inchinai. Quellaera la sua cittb, quella era la sua gente e, per quanto nesapevo, lui era il migliore di tutti loro. Quel giorno,quando ci separammo, ebbiun momento dibanalitd, ma

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IIT SAIJTO NE IJI ] 'A BISS0

ero del tutto sincero quando dissi: "Sii il loro re, Sho Ve-Iez. Sei il migliore."

Non gli parlai mai piil. Deliberatamente, misi fine al-la nostra amrcizia, sentendo che quello era il solo modoper dimostrare la profonda influenza ehe aveva eserci-tato su di me.

Don Juan era dell'awiso che avessi un debito incan-cellabile con Sho Yelez. Era stato il solo a insegnarmiche d imperativo avere qualcosa per cui morire ancoraprima di trovare qualcosa per cui vivere.

"Se non hai niente per cui sei disposto a morire" midisse don Juan, (come puoi pensare di avere qualcosaper cui vivere? Le due cose vanno di pari passo e la mor-te sta al timone."

I:,aterza persona eon cui don Juan mi riteneva inde-bitato oltre la vita e Ia morte era mia nonna materna.Accecato dal mio amore per il nonno - I'uomo - avevodimenticato che proprio la mia eccentrica antenata eral'autentica forza di quella famiglia.

Molti anni prima che io mi trasferissi da loro, la non-na aveva salvato dal linciaggio un indiano del posto, ac-cusato di stregoneria. Certi ragazzi stavano per appen-derlo a un albero nella nostra proprietd, quando lei lifermb. A quanto pareva, erano tutti suoi figliocci e nonawebbero mai osato mettersi eontro di lei. La nonna tirdgii il malcapitato e lo portd a casa per curarlo. La funegli aveva gid provocato un taglio profondo nel collo.

Le ferite guarirono, ma I'indiano non si staccd pir)dal fianco di mia nonna. Sosteneva che la sua vita si eraconclusa il giorno del tentato linciaggio e che quellanuova vita non apparteneva a lui, bensi alla sua salva-trice. E poich6 era un uomo di parola, si dedicd a ser-virla. Divenne il suo valletto, il suo maggiordomo e ilsuo consigliere. Secondo le mie zie, era stato lui a sug-gerirle di adottare un neonato rimasto orfano, una scel-ta a cui loro erano ferocemente eontrarie.

Quando andai ad abitare a casa dei nonni, il figlio

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CARLOS CASTANEDA

adottivo era ormai prossimo alla quarantina.La nonnalo aveva mandato a studiare in Flancia. Un pomeriggio,del tutto inaspettatamente, un bell'uomo robusto e mol-to elegante scese da un ta-xi che si era fermato davantia casa. Il tassista portr) nel patio alcune valigie in pellee in cambio ricevette una maneia generosa. Un'occhiatami bastd per notare ehe il nuovo arrivato aveva tratti adir poco sorprendenti Aveva ciglia lunghe e curve e ca-pelli altrettanto lunghi e ondulati. Era estremamenteattraente, senza esserlo del tutto. Ma la caratteristicapir) gradevole era senz'altro il sorriso, un sorriso lumi-noso e aperto di cui mi gratificd immediatamente.

..Posso sapere come ti chiami, giovanotto?" chiese.Aveva la voee pir) affascinante che avessi mai sentito.

Quel "giovanotto" bastd a conquistarmi. "il mio no-me d Carlos Aranha" risposi.

.,Posso sapere il suo?"Lui ebbe un gesto scherzoso di sorpresa. Spalancd gli

occhi e fece un salto indietro, come per respingere un at-tacco improwiso. Dopodich6 scoppid in una risata to-nante. II rumore richiamd la nonna che nelvederlo stril-Ib come unaragazzina e gli gettd le braccia al collo. Luila sollevb come se non pesasse nulla e la fece volteggia-re in aria. Solo allora notai che era molto alto; era lacorpulenza a farlo apparire pir) basso. Il suo era il cor-po di un lottatore professionista. Accorgendosi del miointeressamento, flett6 i bicipiti.

"Ho praticato un po' la boxe, signore" spiegd, perfet-tamente consapevole di quali fossero i miei pensieri.

I-la nonna ci presentd. Quello, disse, era suo figlioAntoine, il suo tesoro, la luce dei suoi occhi. Era, ag-giunse, un dramrnaturgo, un regista teatrale, uno scrit-tore e un poeta.

Ma ad affascinarmi fu I'atleticiti di Antoine. Noncapii subito che era stato adottato, ma non potei fare ameno di notare ehe non assomigliava affatto agli altricomponenti della famiglia. Loro erano solo cadaveri che

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II, SAI,TO NELL'ABISSO

camminavano, ma Antoine era vivo, vitale in ogni fibradel suo essere. Andammo subito d'accordo. Mi piacevache ogni giorno si allenasse con un punching-ball. So-prattutto, mi piaceva che non si limitasse a colpirlo conle mani, ma usasse anche i piedi, seeondo una teenicasorprendente, un misto tra il pugilato e kicking. Il suocorpo aveva la soliditd della roccia.

Un giorno, Antoine mi confessd che il suo pii gran-de desiderio era diventare un autore famoso.

"IIo tutto" mi disse. "La vita b stata incredibilmentegenerosa con me. La sola cosa che voglio d proprio quel-la che mi manca. Il talento. Le muse non mi sono ami-che. Apprezzo quello che leggo, ma non sono capace dicreare nulla di altrettanto buono. Ecco il mio tormento;mi manca la disciplina o forse il fascino necessari per at-tirare le muse e la mia esistenza d r,rrota come pir) nonpotrebbe."

Prosegui dicendo che la madre era il suo unico pun-to di riferimento. La chiamd il suo bastione, il suo so-stegno, la sua anima gemella e termind esprimendo unpensiero che trovai inquietante: ..Se non avessi lei, nondesidererei vivere".

Mi resi conto di quanto fosse profondamente legatoalla nonna. T\rtti i tenibili aneddoti che le zie mi aveva-no raecontato suAntoine piccolo euziato, mi parvero dicolpo terribilmente reali. La nonna lo aveva dawero vi-ziato oltre ogni limite. Ciononostante, sembravano mol-to felici insieme. Per ore e ore se ne stavano seduti conla testa di lui sul grembo di lei, quasi fosse ancora bam-bino. Con nessun altro avevo mai sentito la nonna par-Iare tanto.

Poi un giorno, Antoine comincid a comporre un lavo-ro dopo I'altro. Diresse una commedia allestita pressoun teatro cittadino, una commedia che lui stesso avevascritto e che fu subito un successo. Un giornale localepubblicd Ie sue poesie. Sembrava che la sua vena creati-va fosse flnalmente affiorata. Ma tutto frni nel Erro di

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pochi mesi. Il giornale lo denuncid accusandolo di pla-gio e pubblicd le prove della sua colpevolezza.

Prevedibilmente, mia nonna non volle crederci. Eratutta invidia, ripeteva. In cittb non c'era nessuno chenon invidiasse l'eleganza e lo stile di suo frglio, nonch6la sua personalitd e il suo ingegno. E dawero Antoineera la personificazione dell'eleganza e del savoir faire.Ma era certamente un plagiario; su questo non poteva-no sussistere dubbi.

Antoine non spiegd a nessuno le ragioni del suo com-portamento e a rne piaceva troppo per fargli domande.Inoltre, non me ne imirortava. Per quanto mi riguarda-va, le sue ragioni erano soltanto sue. Ma qualcosa si eraspezzato per sempre; da quel momento, i cambiamentisi succedettero ininterrottamente. Da un giorno all'al-tro tutto mutd in modo cosi drastico che io mi abituai adaspettarmi qualunque cosa, nel bene come nel male.Una notte, la nonna imrppe nella camera di Antoine.Nei suoi occhi c'era una durezza che non vi avevo maivisto prima e, quanrlo parld, le tremavano le labbra.

"E successa una cosa terribile" esordi.Antoine la interruppe, supplicandola di lasciarlo

spiegare.Lei si rifiutb di ascoltarlo. "No, Antoine, no" disse

con fermezza. .T\r non c'entri nulla. Riguarda me. In unmomento per te cosi diffrcile, si d verificata una circo-stanza di grancle importanza. Antoine, figliolo carissi-mo, non mi d rimasto pir) tempo."

"Devi capire che d inevitabile" continud. "Io devoandarmene, ma tu devi restare. T\r sei il compendio ditutto cid che ho reahzzato nella vita. Nel bene e nel ma-Ie, sei tutto quello che io sono. Devi provarci. Alla fineci ritroveremo di nuovo, ma nel frattempo agisci, Al-toine. Agisci. Come, non importa, a condizione che tulo faccia."

Vidi il corpo di Antoine scosso da un fremito d'ango-scia. T\rtto il suo essere, i muscoli, Ia forza, era come

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II, SALTO NEI]L 'ABISSO

contratto. Era come se si fosse staccato dal suo proble-ma, che era un fiume, per arrivare all'oceano.

"Promettimi che non morirai frnch6 non sarb an'iva-to il tuo momento!" gli gridd.

Antoine fece un cenno d'assenso.Ijindomani, dietro suggerimento del suo stregone-

consigliere, la nonnavendette tutti i suoi averi, che era-no consiclerevoli, e consegnb ad Antoine il ricavato. E ilgiorno dopo, nelle prime ore del mattino, ebbe luogo lascena pii insolita a cui avessi mai assistito nei miei die-ci anni di vita: I'addio di Antoine alla madre. F\r tuttoirreale corn'b irreale il set di un film drammatico; irrea-le perch6 sembrava una scena finta, una serie di stra-tagemmi ideati da un autore e messi in scena da un re-gista.

II set era il patio della casa. Antoine era il protago-nista maschile, mia nonna quella fernminile. Antoineera in procirto di iniziare una crociera che lo awebbepoitato in Europa a bordo di un transatlantico italiano.Era elegante come sempre e il conducente del taxi chelo aspettava davanti a casa suonava il clacson con fareimpaziente.

Io stesso ero stato testimone dei febbrili tentativi not-turni di Antoine di comporre una poesia per la madre.

oD ur cumulo di idiozie" mi aveva detto. oThtto quel-lo che scrivo non d altro che un eumulo di idiozie. Sononullitb."

Senza averne alcun titolo, gli assicurai che non eraeosi, che qualunque cosa avesse scritto sarebbe statacertamente bellissima. Mi feci trascinare fino a oltre-passare un confine che non awei mai do'lrrto varcare.

"Credimi, Antoine" urlai, "io sono una nullitd perfr-no peggiore di te! Th hai una madre. Io non ho nulla.Qualunque cosa scriverai, andrd benissimo."

Con molta cortesia, lui mi pregb di andarmene. Of-frendogli il mio consiglio, il consiglio di un bambino, eroriuscito solo a farlo sentire un idiota. Quanto a me, rim-

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TCANLOS CAEITANEDA

piansi amaramente quel mio sfogo. Mi sarebbe piaciutoconservare la sua amicizia.

I-rui si era buttato I'elegante cappotto sulla spalla de-stra. Indossava uno splendido abito verde in cashmereinglese.

"Devi sbrigarti, earissimo" riprese la nonna. "Il tem-po d essenziale. Devi partire. In easo contrario, questagente ti ucciderd per prenderti il denaro."

Si riferiva alle figlie e ai loro mariti, furiosi per esse-re stati depredati dell'ereditd e perch6 proprio I'odiatoAntoine, il loro nemico per eccellenza, si sarebbe godu-to cid che spettava loro di diritto.

"Mi addolora doverti caricare di questo fardello" siscusb la nonna. "Ma come sai, il tempo prescinde dai no-stri desideri.o

Poi toccb ad Antoine parlare, con la sua voce solen-ne, ben modulata. Quel giorno assomigliava pir) che maia un attore. "Solo un minuto, mamma>> disse. "Vorreileggerti una cosa che ho scritto per te.,'

Era una poesia di ringraziamento. Quando Antoinefini di leggerla, I'aria era cosi satura di sentimento chepareva vibrare.

"E assolutamente bellissima, Antoine" sospird lanonna. "Esprime alla perfezione tutto quello che volevidire. E quello che io volevo sentire." Si interruppe e sul-le sue labbra si disegnd uno splendido sorriso.

"Un plagto, Antoine?" domandd.Il sorriso di lui fu altrettanto radioso. "Naturalmen-

te, mamma. Naturalmente."Piangendo, si abbracciarono. Echeggib di nuovo il

clacson impaziente. Antoine guardd verso di me, che miero nascosto sotto le scale. Fece un cenno impercettibi-Ie con la testa, come a dire: "Arrivederci". Quindi si vol-se e senza pir) guardare la madre, corse verso la porba.Aveva trentasette anni, ma quel giorno ne dimostravasessanta. E pareva portare un peso enorme sulle spalle.Sulla soglia si fermd, ma lo raggiunse la voce della ma-

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IL SAIJTO NELI, 'ABISSO

dre, che lo ammoniva un'ultima volta: "Non voltarbi in-dietro, Antoine. Non farlo mai. Sii felice, e agisci. Agi-sci! Questa d la risposta. Agisci!".

Quella scena mi riempi di una strana tristezza cheperdura ancora oggi, un'inesplicabile malinconia chedon Juan interpretd come la mia prima presa di co-scienza di quanto d breve il tempo a nostro disposizione.

Uindomani mia nonna, accompagnata dal suo consi-gliere-servitore-valletto, parti alla volta di una miticaIocalitd di nome Rondonia, dove la sua guaritrice I'a-webbe presa in cura. fgnoravo allora che la nonna eramalata allo stadio terminale. Non tornb pit e don Juanspiegd la sua decisione di venclere ogni cosa e dare il ri-cavato ad Antoine come un'ultima iniziativa degli stre-goni e attuata dal suo consigliere nell'intento di stac-carla dalla cura della sua famiglia. La quale famigliaera talmente furiosa che non si preoccupd affatto delsuo mancato ritorno. La mia sensazione era che non sifossero neppure resi conto della sua scomparsa.

Su quell'altopiano, rivissi i tre episodi come se si fos-sero verificati solo un momento prima. Ringraziandoquelle tre persone, riuscii a riportarle indietro e quandosmisi di gridare la mia tristezza era inesprimibile. Nonriuscivo a smettere di piangere.

Con molta pazierva, don Juan mi spiegd che la soli-tudine non d ammissibile per un guerriero. I guerrieri-uiaggiatori, disse, possono contare su un'entitd su cuiconcentrare tutto il loro amore e le loro cure: questa ter-ra meravigliosa, la madre, la matrice, l'epicentro di tut-to quello che siamo e che f'acciamo; I'essere a cui tuttifacciamo ritorno e che permette ai guerrieri-u'iaggiatoridi intraprendere L uiaggio supremo.

Don Genaro procedette quindi a un atto di magico'intento a mio beneficio. Sdraiato bocconi, esegui una se-rie di movimenti, trasformandosi in un grumo di lumi-nositd che sembrava nuotare, quasi che il terreno fosseuna piscina. Don Juan clisse clie quello era il modo in

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cui don Genaro abbracciava l'immensit), della Tbrra eehe, a dispetto delle diversitd di dimensioni, la Tbrraprendeva atto di quel gesto. I movimenti di don Genaroe la spiegazione di don Juan bastarono a mutare la miatristezza in una gioia infinita.

"Non sopporto l'idea che te ne vada, don Juan" misentii dire, ma il suono della mia voce e le parole che ave-vo formulato mi precipitarono nell'imbarazzo. E quandoricominciai a piangere, pieno d.i autocommiserazione, ilmio sgomento aumentd. "Che cosa mi sta suecedendo,don Juan?" mormorai. "Di solito non sono cosi.,'

"Quello che ti succede b che la tua consapevolezza dtornata al livello delle dita dei piedi" mi rispose ridendo.

Allora anche le ultime traeee di controllo mi abbando-narono e mi arresi alla disperazione e all'abbattimento.

"Resterd solo" dissi con voce stridula. "Cosa mi suc-cederd? Che cosa ne sard di me?"

"Mettiamola cosi" don Juan era calmissimo. "Per la-seiare questo mondo e affrontare l'ignoto, ho bisogno ditutta la mia forza, di tutta la mia capaciti di sopporta-zione,, di tutta la mia fortuna; ma soprattutto, ho biso-gno di tutto il coraggio di un guemiero-ai,aggiatore. Eper restare e agire come un guemiero-uiaggatore, tu haibisogno delle stesse cose. Awenturarsi ld fuori, cosi co-me ci apprestiamo a fare, non d certo un gioeo, ma nonlo d neppure il restare."

Thavolto dall'emozione, gli baciai ia mano."Ehi, ehi, ehi!" rise lui. "II tuo prossimo passo sard

erigere un tabernacolo per i miei guaraches!"Uautocommiserazione che mi aveva invaso si tra-

mutd in un senso altrettanto acuto di perdita. ..Tb nevai" ansimai. "Mio dio! Tb ne vai per sempre!"

Allora don Juan fece quello che mi aveva fatto piivolte dal giorno del nostro incontro. Il suo viso si gonfidcome dilatato da un'inspirazione profonda, mi premetteeon forza il palmo della mano sinistra sulla schiena edisse: "Sollevati dal livello dei tuoi piecli!Alzati!".

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IIJ SAIJTO NELIr 'ABISSO

Un istante dopo ero di nuovo perfettamente eoeren-te, con il pieno controllo di me. Sapevo che cosa dovevofare e non avevo pii alcuna esitazione, n6 timore. Nonmi importava che cosa sarebbe stato di me una voltache don Juan se ne fosse andato. Sapevo che la sua par-tenza era imminente. Lui mi guardd, e quell'occhiatadisse ogni cosa.

"Non ci ineontreremo mai pii" disse eon dolcezza."Non hai pii bisogno del mio aiuto, n6 io desidero of-frirtelo, perch6 ora sei :unvero guewiero-uiaggiatore e midisprezzeresti se ci provassi. Oltre un determinato pun-to, la sola gioia del guerriero-uiaggiatore 0 la sua solitu-dine. N6 vorrei che tu tentassi di aiutare me. Una voltache me ne sard andato, sarb per sempre. Non pensare ame, perch6 io non penserd a te. Se seianguerriero-aiag-giatore degno, sii perfetto! Prenditi cura del tuo mondo.Onoralo, proteggilo con la vita!"

Si allontand. Non era pit il momento per I'autocom-miserazione o per le lacrime e neppure per la felicith.Scosse la testa in un gesto di congedo, o forse era unmuto riconoscimento di quello che io provavo.

"Dimentica il s6 e non temerai nulla, qualunque sia illivello di consapevolezzain cui ti troverai" disse ancora.

Ebbe un momento di giocositi, quasi fosse deciso aprendersi gioco di me fino all'ultimo. Alzd la mano epiegd le dita come fanno i bambini.

"Ciao" disse.Sapevo che sarebbe stato futile provare dolore o rim-

pianto e che per don Juan andarsene era diffrcile comeper me era difficile restare. Eravamo entrambi intrap-polati in un'irreversibile operazione energetica che maiawemmo potuto arrestare. Eppure, awei voluto unirmia lui, seguirlo or,unque andasse. Mi balend alla mente ilpensiero che, se fossi morto, awebbe accettato la miacompagnia.

E allora uidi come don Juan Matus, il nagual, guiddi quindici veggenti che erano i suoi compagni, la sua

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CARLOS CASTANEDA

corte, la sua gioia, a sparire uno a uno nella foschia chesowastava la mesa, in direzione nord. Li ufdi mutarsi inun grumo di luminositd e insieme ascendere e fluttuareal di sopra della mesa, simili a luci spettrali. sorvolaro-no una volta la montagna, proprio eome don Juan ave_va predetto: l'ultima ricognizione, quella destinata ai lo-ro occhi soltanto; I'ultimo sguardo a questa terra mera-vigliosa. Poi wanirono.

Sapevo che cosa dovevo fare. Non restava pii tempo.Corsi verso l'abisso e saltai nel baratro. per un *o-.rr_to sentii il vento sul mio viso, poi l,oscuritd misericor_diosa mi aeeolse come un placido fiume somerraneo.

Ii

W It viaggio di ritornoEro vagamente eonscio del frastuono di un motore

che pareva rombare da fermo.Pensai ehe stessero riparando un'auto nel parcheg-

gio sul retro dell'edificio in cui si trovava il mi-o uppu"_tamento. Ma il rumore divenne cosi forte che fini con losvegliarmi del tutto. Fla me e me imprecai contro i ra_gazzi che gestivano il parcheggio, perch6 dovevano ri-parare la loro auto proprio sotto le finestre di cameramia? Ero accaldato, coperto di sudore e stanchissimo.Quando sedetti sul bordo del letto, sentii i crampi arti_gliarmi dolorosamente i polpacci. Li massaggiai perqualche istante. Erano talmente contratti cf,e1e*ettidi vederli coperti di liyidi. Volli andare in bagno per cer_care una pomata, ma mi aecorsi di non poter eammina_re. Mi girava la testa. Per la prima volta in vita mia,caddi. Quando mi fui ripreso un po', mi resi conto checrampi e stordimento non mi preoceupavano affatto.Ero sempre stato incline all'ipocondria e, in circostan_

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CARLOg CASTANEDA

ze normali un dolore come quello mi awebbe precipita-to nel panico.

Bench6 il frastuono fosse cessato, andai alla finestraper chiuderla. Fh allora che mi resi eonto che la finestraera gii chiusa e fuori era buio. Era notte! Nella stanzaI'aria era iziala. Spalancai le finestre. Non riuscivo acapire come avessi fatto a chiuderle. Uaria notturna erafresca e tonificante. Il parcheggio eravuoto. Pensai cheil rombo udito fosse quello di un'auto che accelerava nelvicolo tra il parcheggio e easa mia. Poi me ne dimenti-cai e tornai a letto. Mi sdraiai con i piedi a terra. Pen-savo che quella posizione awebbe contribuito a riattiva-re la circolazione nei polpacci, che ancora mi dolevano,ma non sapevo se fosse meglio tenere le gambe in bassooppure metterci sotto un cuscino.

Stavo per riaddormentarmi quando un pensiero miattraversb la mente eon tanta intensitd da farmi balza-re in piedi. Ero saltato nel baratro in Messico! Subitodopo formulai una deduzione quasi logica. Dato che loavevo fatto per darmi la morte, ne conseguiva che ades-so ero uno spettro. Che strano, mi dissi, tornare in for-ma di spettro nella mia casa di Los Angeles, all'angolotra Westrvood e Wilshire! Non e'era da stupirsi se pro-vavo sensazioni tanto insolite. Ma se ero un fantasma,ragionai, com'era possibile che avessi percepito la fre-sehezza dell'aria sul viso, e il dolore ai polpacci?

Thstai il lenzuolo: mi sembrd del tutto reale e altret-tanto reale era il letto. Andai in bagno per guardarmiallo specchio. Di certo sembravo uno spettro. Avevo unaspetto terribile, con gli occhi infossati e segnati da oc-chiaie profonde. Ero disidratato, oppure morto. Mecca-nicamente, mi chinai a bere dal rubinetto. Sentii I'acquascorrermi in gola. Ingoiai lunghe sorsate, come se nonbevessi da giorni e giorni. Ero vivo! Perdio, ero vivo! Aquel punto ne ero assolutamente certo, ma la cosa nonmi provocb alcuna gioia. Ebbi un pensiero stranissimo:in passato ero gid morto e poi tornato in vita. Ci ero abi-

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IL VIAGGIO DI RITORNO

tuato; per me non era nulla di straordinario. Ma la vivi-dezza di quel pensiero era tale da farne quasi un rieor-do, un abbozzo di ricordo che non nasceva da circostan-ze in cui la mia vita era effettivamente in pericolo. No,era qualcosa di completamente diverso: la vaga coscien-za di qualcosa che non era mai accaduto e che quindinon aveva motivo di insidiarsi nei miei pensieri.

Non dubitavo affatto di essermi buttato in quel preci-pizio, in Messico. E adesso mi trovavo nel mio apparta-mento di Los Angeles, a piri di cinquemila chilometri didistarua, senza ricordare nulla del viaggro di ritorno. Congesti automatici, riempii lavasca dabagno e mi calai nel-I'acqua, ma ero gelato fin nelle ossa. Don Juan mi avevainsegnato che nei momenti di crisi, e quello certamente loera, bisogna usare I'aequa eome un elemento di purifrca-zione. La feci scorrere sul mio corpo per quasi un'ora.

Awei voluto riflettere con calma e razionaliti suquanto stava accadendo, ma non ci riuscii. I-ra mia men-te era r,rrota. Ma, sebbene privo di pensieri, ero saturofino all'orlo di sensazioni che si succedevano come unfuoco di fila e che non ero in grado di valutare. T\rttoquello che potevo fare era percepire il loro assalto e la-sciare che scorressero in me. Uunica decisione consciache presi fu quella di vestirmi e uscire. Andai a fare eo-lazione nel locale che frequentavo a tutte le ore del gior-no e della notte, lo Ship's Restaurant in Wilshire, a unisolato di distanza da casa.

Avevo percorso quel breve tragitto cosi tante volteche ne conoscevo ogni passo. Ma quel giorno tutto misembrb nuovo. Non percepivo le vibrazioni dei miei pas-si, quasi avessi un euscino sotto i piedi o il marciapiedifosse coperto da un tappeto.

haticamente scivolavo e mi pareva di aver fatto soloun passo o due, quando mi trovai davanti al ristorante.Sapevo di essere in grado di mangiare per via dell'acquache avevo bevuto e sapevo di poter parlare, perch6 mi eroschiarito la gola e avevo imprecato mentre ero nella va-

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CARLOS CASTANEDA

sca. Entrai come facevo sempre. Quando sedetti al ban-co, mi si accostd una cameriera che mi conosceva.

..Non ha un gran bell'aspetto oggi, caro" d,isse. "Hapreso I'influenza ?"

"No" risposi in tono forzatamente allegro. "E che Ia-voro troppo. Sono rimasto weglio per ventiquattro orefrlate a preparare il materiale per una lezione. A propo-sito, che giorno b?"

Lei guardd I'orologio e disse una data. Quell'orologio,spiegd, era un dono di sua figlia ed era dotato di calen-dario. Aggiunse che erano le tre e un quarto del mattino.

Ordinai uova e bistecca, pasticcio di carne e patate epane bianco imburrato. Quando lei si allontand, un nuo-vo orrore si presentd alla mia mente: il mio salto nell'a-bisso, in Messico al crepuscolo del giorno prima, era sta-to solo urfillusione? Ma anche in quel caso, come avevofatto a rientrare a I-ros Angeles in sole dieci ore? Avevodormito per dieci ore? O quello era il tempo che avevoimpiegato per volare, scivolare, fluttuare, o comunqueavessi fatto, fino a casa? Di certo non ero rientrato conun normale mezzo di trasporto, perch6 da quella localitdci volevano due giorni soltanto per raggiungere Cittidel Messico.

Mi colpi un nuovo pensiero. Aveva la stessa limpi-dezza del quasi-ricordo di essere morto e resuscitato al-tre volte in passato e Ia stessa qualitb della sensazionedi estraneitd da me stesso che stavo sperimentando: lamia continuith'si era infranta irrimediabilmente. In unmodo o nell'altro ero effettivamente morto in fondo alprecipizio. Impossibile capire come fossi di nuovo vivo,intento a fare colazione allo Ship's. Impossibile guarda-re al mio passato e individuare la linea ininterrotta dieventi che formano il vissuto di ogai uomo.

C'era una sola spiegazione: dovevo aver seguito leistruzione di don Juan. Avevo spostato il mio punto d,'u-nione in una posizione che mi aveva impedito di moriree dal mio silenzio interiore avevo compiuto il viaggio di

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II] VIAGGIO DI RITORNO

ritorno a Los Angeles. Non c'erano altre possibilitd acui potessi aggrapparmi. Per la primavolta, quella nuo-va linea di pensiero mi parve totalmente accettabile etotalmente soddisfacente. Non spiegava alcunch6, mafaceva riferimento a un processo pragmatico che avevogid messo alla prova nel passato, anche se in forma pir)blanda, e questa considerazione assurda ebbe il poteredi tranquillizzarm\ del tutto.

Poi cominciarono a emergere pensieri diversi e altret-tanto vividi, dotati della specialissima qualith di tutto cidche possiede capacitd esplicativa. Il primo era collegato auna questione che aveva continuato a tormentarmi pertutto quel tempo. Don Juan ne aveva parlato come di uncaso consueto fra gli stregoni di sesso maschile: la mia in-capacitd di ricordare eventi verificatisi mentre mi trova-vo in condioioni di cansapeuolc.zza ekuata.

Don Juan mi aveva illustrato tale consapeaol.ezza co-me un minuscolo spostamento del punto d'unione, spo-stamento che lui stesso provocava a ogni nostro incon-tro, premendo con forza sulla mia schiena. Quei dislo-camenti mi aiutavano a mettere in gioco campi di ener-gia che abitualmente restavano ai margini. Per dirla inaltre parole, i campi di energia che abitualmente si tro-vavano ai bordi dei mio punto d,'unione assumevano unaposizione centrale. Uno spostamento di questa naturaaveva due conseguenze: una straordinaria acatezza dipensiero e percezione e l'incapacitd di ricordare, unavolta tornato al mio stato consueto, cid che era accadu-to mentre mi trovavo su quell'altro livello.

Il rapporto con i miei compagni era un esempio di en-trambi i fenomeni. Per il mio uiagg,io suprenxo avevocompagni con cui interagivo solo nello stato di conso,pe-aolnzza elnuata e ia nitidezza ela portata della nostra in-terazione erano supreme. Sfortunatamente, nella vitaquotidiana, si riducevano per me a quasi ricordi che ave-vano il potere di indurmi alla disperazione e all'angoscia.In sostanza, vivevo la vita normale alla perenne ricerca

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CARI,OS CASTANEDA

di qualcuno che si sarebbe palesato del tutto inaspetta-tamente, forseuscendo daun palazzo diuffici, forse sbu-cando da dietro un angolo. Ovunque andassi, i miei oc-chi non cessavano mai di cercare persone che non esiste-vano e che tuttavia erano pit vere di chiunque altro.

Quella mattina, allo Ship's, tutto quanto mi era ac-caduto nella condizione di consapeuol.ezza elnaata d.u-rante gli anni trascorsi con don Juan, tornd a riacqui-stare continuitd. Don Juan aveva lamentato la neces-sitd che il nagual, lo stregone masehio, aveva di fram-mentarsi, a causa delle dimensioni della sua massaenergetica. Ogni frammento viveva un aspetto determi-nato di un ambito globale e gli awenimenti che il nagualsperimentava in ciascun frammento dovevano prima opoi essere ricomposti per formare un quadro completo econsapevole di tutto cid che si era verificato nel corsodella sua vita.

Guardandomi negli occhi, mi aveva detto che ci sa-rebbero voluti anni per reahzzare l'unificazione e chesapeva di casi di nagual che non avevano mai raggiuntolo scopo totale delle Ioro attiviti in modo consapevole evivevano frammentati.

Cid che provai quel mattino allo Ship's superava le miepii sfrenate fantasie. Don Juan mi aveva ripetuto pir)volte che il mondo degli sciamani non era un mondo im-mutabile, dove la parola d definitiva e non pub cambiare,bensi un mondo eternamente fluttuante, dove nulla vadato per scontato. Il salto nell'abisso aveva modifrcato lamia cognizione in modo cosi drastico da consentirmi l'ac-cesso a possibilitd portentose e indescrivibili.

Ma qualunque cosa avessi potuto dire a proposito delricongiungimento dei miei frammenti cognitivi, sarebbestato solo un eufemismo. Quella fatale mattina alloShip's vissi qualcosa di infinitamente pir) potente di cidche era accaduto il giorno in cui, per la primavolta, aue-uo aisto I'energia eosi eome fluisce nell'universo, il gior-no in cui dal campus dell'UCl-rAmi ero ritrovato nel mio

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IIJ VIAGGIO DI RITORNO

letto senza essere tornato a casa nel modo necessario almio sistema cognitivo per considerare I'episodio reale.In quel ristorante, integrai i frammenti del mio esserein un tutto unico. In ciascuno di essi avevo agito coneertezza e coerenza assolute, ma ancora ignoravo diaverlo fatto. Essenzialmente, ero come un gigantescopuzzle e I'inserimento di ciascuna tessera produceva uneffetto per cui non esisteva defrnizione.

Me ne stavo seduto li, sudando copiosamente, riflet-tendo vanamente e ponendomi ossessivamente interro-gativi per cui non c'era risposta: come tutto cib era po-tuto accadere? Com'era stata possibile quella frammen-tazione? Chi siamo dawero? Certo non le persone chesiamo stati indotti a credere. Avevo memoria di eventiche, per quanto concerneva una parte di me, non si era-no mai verificati. Non riuscivo neppure a piangere.

"Uno sciamano piange quando b nello stato di fram-mentazione>> mi aveva detto una volta don Juan."Quando d intero, d preso da un tremito tantc; intensoda poter mettere fine alla sua vita."

E cosi era! Dubitavo di rivedere aneora i miei com-pagni.Avevo la sensazione che se ne fossero andati tut-ti con don Juan. Ero solo. Awei voluto piangere quellaperdita, sprofondare in una gratifrcante tristezza, comeavevo sempre fatto. Non potei. Non c'era nulla di cuidolersi, nulla per cui rattristarsi. Nulla aveva impor-tarna. Eravamo tutti guerri,eri-ui,aggiatori e tutti era-vamo stati ingoiati dall'infrnito.

Per tutto quel tempo, avevo ascoltato don Juan par-lare del guerriero -uiaggiatore apprezzando enormemen-te Ia metafora che aveva scelto e identificandomi con es-sa su basi puramente emozionali. Ma non avevo mairealmente percepito che cosa egli intendesse, e questo adispetto delle sue eontinue spiegazioni. Ma quel mattinoallo Ship's, compresi ogni cosa. Ero un guerriero-aiag-giatore. Per me, solo i fatti energetici avevano signifrca-to. T\rtto il resto erano futilitd di nessuna importarza.

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rCARLOS CASTANEDA

Quel mattino, mentre sedevo aspettando il mio cibo,un altro pensiero affiord alla mia mente: sentii un flus-so di empatia, di identifrcazione con gli assunti di donJuan. Finalmente avevo raggiunto I'obiettivo dei suoiinsegnamenti: ero tutt'uno con lui, come mai era acca-duto prima. Non era mai successo che eontrastassi donJuan o i suoi concetti perch6 troppo rivoluzionari per lalinearitd di pensiero dell'uomo occidentale. Piuttosto,era stata Ia precisione delle sue esposizioni a spaventar-mi. La sua efficienza mi era parsa dogmatismo e pro-prio questo mi aveva indotto a cercare delucidazioni, areagire con scetticismo.

Si, sono saltato in un abisso, mi dissi e non sono mor-to, perch6 prima di schiantarmi sul fondo mi sono la-sciato ingoiare d,aLI' o scuro mare della consapeuolezza. Miero abbandonato ad esso, senza timori n6 rimpianti. Equelmare oscuro mi aveva fornito cib che mi serviva pernon morire e approdare invece nel mio letto. Era unaspiegazione che solo due giorni prima non awebbe a1n-to alcun senso per me. Ma alle tre del mattino, al ban-cone dello Ship's, spiegava ogni cosa.

Battei la mano sul tavolo, come se fossi stato solo. Glialtri clienti mi guardarono sorridendo con aria allusiva.Non me ne curai, concentrato com'ero su un dilemma in-solubile: ero vivo, bench6 dieci ore prima mi fossi gettatoin un baratro per morire. Sapevo che di soluzioni non cen'erano. La mia cognizione normale esigeva una spiega-zione lineare e cid era impossibile. Proprio questo era ilperno dell'interruzione della continuitd. Urlinterruzioneche, aveva detto don Juan, era magia. Ora risultava chia-ro anche a me. Quanto aveva amto ragione nel dire che,per restare, awei amto bisogno di tutta la mia forza,tut-ta la mia capacitd di sopportazione e, soprattutto, di tut-to il coraggio di un gu.emiero-uioggiatore.

Inutilmente mi sforzai di pensare a don Juan. Inogni caso, non mi importava di lui. Fla noi sembrava es-sersi eretta una gigantesca barriera. In quel momento

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IIJ VIAGGIO DI RITORNO

ero assolutamente convinto della veridicitd del pensieroche si era insinuato in me frn da quando mi ero sveglia-to: ero un'altra persona. Nel momento in cui ero salta-to, si era prodotta una sostituzione. In caso contrario,awei pensato con affetto a don Juan, awei anelato allasua presenza. Awei perfino provato una punta di risen-timento perch6 non mi aveva portato con s6. Thtto que-sto sarebbe stato normale. No, non ero pit lo stesso'Questo pensiero crebbe fino a pervadermi completa-mente. Qualunque residuo avessi conservato del miovecchio essere, svani.

Subentrd un nuovo stato d'animo. Ero solo! DonJuan mi aveva lasciato in un sogno come suo agenteprovocatore. Mi accorsi che il mio corpo cominciava a ri-lassarsi e di Ii a poco potei respirare liberamente eprofondamente. Risi forte, senza preoccuparrni neppu-re questa volta della gente che mi guardava sorridendo.Ero solo e non c'era nulla che potessi fare al riguardo!

Ebbi la sensazione fisica di inoltrarmi in un passag-gio, un passaggio dotato di forza propria, che mi attiravadentro di s6. Era silenzioso ed era don Juan stesso, quie-to e immenso. Fh quella la primavolta in cui sentii la nuo-va assenza di fisicith di don Juan. Non c'era spazio per ilsentimentalismo n6 per Ia nostalgia. Come potevo senti-re Ia sua marrcanza, se era li, nella forma di urfemozionespersonalizzatache mi attirava dentro di s6?

tr passaggio mi sfrdava. Le mie sensazioni erano dientusiasmo, di agio. Si, potevo percorrere quel passag-gio, solo o in compagnia, forse per sempre. Non eraurCimposizione, ma neppure un piaeere. Non era sol-tanto I'inizio del uiaggio suprenxo: era I'inizio di unanuova era, I'inevitabile destino di un guerriero-uiaggia-tore. Avreidovuto piangere davanti allarcalizzazione diaver trovato quel passaggio, ma cosi non fu. Avevo tro-vato I'infinito allo Ship's! Che esperienza straordinaria!Un brivido gelido mi percorse la schiena e sentii Ia voeedi don Juan dire che I'universo era dawero insondabile.

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CARLOS CASTANEDA

In quel momento si apri la porta di servizio del risto-rante, quella che dava sul parcheggio, e uno strano per-sonaggio fece il suo ingresso. Era un uomo sulla qua-rantina, emaciato e in disordine, ma con bei lineamen-ti. Da anni lo vedevo aggirarsi nei paraggi dell'UCL,A,mescolandosi agli studenti. Qualcuno mi aveva dettoche era un paziente esterno del vicino Veteran's Hospi-tal. Non doveva essere del tutto equilibrato e di tanto intanto lo vedevo allo Ship's che si coceolava anatazza dicaffd, sempre seduto allo stesso capo del bancone. Spes-so, avevo notato, aspettava fuori, in attesa che si libe-rasse il suo sgabello preferito.

Uuomo sedette al suo solito posto, poi mi guardd. Inostri occhi si incontrarono. Subito dopo, lui lancid unurlo che raggeld me e tutti i presenti. Mi guardaronotutti, stupefatti, qualcuno ancora con la bocca piena.Erano stati testimoni del m\o bizzarro comportamentodi poco prima e or,ryiamente credevano che a urlare fos-si stato io. Uuomo balzd in piedi e corse fuori; prima,perd, si voltd a guardarmi ancora, agitando frenetica-mente le mani sopra la testa.

D'impulso, gli corsi dietro. Volevo che mi dicesse checosa lo avesse spaventato tanto in me. Lo raggiunsi nelparcheggio e gli chiesi il motivo della sua condotta. Pertutta risposta, Iui si copri gli occhi e urlb di nuovo, anco-ra pir) forte. Urlava a perdifiato, come un bambino spa-ventato da un incubo. Lo lasciai e tornai al ristorante.

"Che cosa le d successo, earo?" mi chiese preoccupatala cameriera. "Credevo che volesse piantarmi in asso."

"Sono soltanto uscito per vedere un amico,' risposi.Lei mi guardd e abbozzd un gesto di scherzosa irri-

tazione e di sorpresa."Quel tizio d amico suo?" chiese."II solo che ho al mondo" risposi ed era la veritd, se

si pud definire ..amico,, chi vede oltre la facciata e sa dadove proveniamo realmente.

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Snuorcn iilirlirl

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PrefazioneIntroduzione

Un Tremore Nell'Aria

Un viaggio di potereI-l intento del'infi nitoChi era in realti don Juan Matus?

La Fine di unEra

I profondi turbarnentiLra visione che non potevo sopportareUappuntamento inevitabileIl punto di rotturaI-.le misure della cogniziorreDire grazie

Oltre la Sintassi

Il cerimorriereIjinterazione dell'energia all'orizzorrte

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Viaggr attraverso l'oscuro mared,ellu consapeuolezzaCon s apevole zza inor ganic aLa visione nitidaOmbre di fango

fniziando il Viaggio Finale

Il salto nell'abissoIl viaggio di ritorno Impaginazione di Ayako Hosono.

Questo libro d stato composto in Clarendon Roman Rough,Champion Rough (designed by) Tamaye perrye Bitstream DeVinne.Composizione dei testi: tr'btocomposizione Grande - Monza

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