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La Marianna cent’anni di storia

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La Mariannacent’anni di storia

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La “Trattoria della Marianna” fa parte dell’immaginario rimi-nese, rappresenta un luogo concreto della tradizione e della memoria del borgo S.Giuliano, caposaldo della riminesità ed evocatore di suggestioni felliniane. Al centro “de’borg”, “su la

streda mestra”, ha visto passare e sostare ai suoi tavoli tante generazioni di riminesi, romagnoli, emiliani e stranieri, dai camionisti alla borghe-sia, da leggende dello sport come Cavicchi, campione d’Europa dei pesi massimi, a icone della musica come Fred Buscaglione e Beyoncé in tempi più recenti. Di fronte alle sue “vetrine” passava la mitica Mille Miglia e la carovana colorata del Giro d’Italia.

Le sue radici affondano negli ultimi anni del 1800 quando la famiglia Morri, conosciuta nel borgo col soprannome dei “Tracanton” (di cui si è perso il signifi cato), con il capostipite Pasquale, il fi glio Battista, la mo-glie Ester Cambris, futuri suoceri della mitica Marianna, gestiva una modesta cantina con rivendita di vino sfuso. L’attuale palazzo, sede della Trattoria, era una tipica casa a schiera del borgo con pianoterra e piano superiore. Sul suo muro esterno era già presente “e’caval dla paranghe-la” (conservato ancora oggi), termine borghigiano con cui veniva descrit-to il magnifi co cavallo con cavaliere scolpito sulla pietra marmorea di un antico sepolcro di età tardo-romana, testimone autentico, con il ponte di Tiberio a pochi passi, delle remote e affascinanti origini di questo bellis-simo posto che è il borgo S.Giuliano. Proprio qui iniziava e tuttora inizia l’antichissima via Emilia.

La Marianna proveniva dalla famiglia Domeniconi, nota col soprannome dei “Rufein”, famiglia della piccola borghesia. Il babbo era funzionario della Regia Ferrovia Italiana e poteva vantare persino origini aristocra-tiche da parte di nonna paterna (la nobildonna sammarinese Claudia Belluzzi). Sicuramente una piccola traccia di queste origini la Marian-na l’aveva conservata: giovane donna di inizio secolo, pratica e audace, pronta a scommettere nel futuro, generosa e solidale come solo chi nasce in un contesto umile e irto di diffi coltà economiche quale era il borgo di allora poteva essere, nonché avvolta dal fascino di quella antica aristocra-zia che la faceva essere “signora” nella vita quotidiana, anche fra i tavoli e le panche di una vecchia osteria.

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La giovane Marianna sposava Guglielmo Morri, operaio socia-lista della Ferrovia, ed iniziava la storia della “Trattoria Ma-rianna”. Guglielmo, tipico romagnolo e borghigiano di inizio secolo, carattere forte e sanguigno, intraprendente nel lavoro e

compagnone nella vita, bene assecondava e sosteneva le capacità della giovane moglie, autentica “azdora” romagnola e novella imprenditrice. In breve tempo seppe dare nuova linfa all’attività dei suoceri che, conqui-stati dalla sua generosità e dal suo senso pratico, le lasciarono in eredità la conduzione della vecchia cantina, nonostante avessero numerose fi glie e fi gli, potenziali eredi diretti.

Alla fi ne degli anni ’20, il borgo veniva sventrato, venivano demolite le vecchie case che correvano dal ponte di Tiberio sul lato monte della vec-chia via Emilia che si trasformava nell’attuale viale Tiberio. Allora venne-ro impiantati quegli splendidi pini marittimi che tuttora impreziosiscono il viale. In quell’epoca, Marianna e il marito Guglielmo trasformarono la piccola cantina in quella che è la sede dell’attuale ristorante, accom-pagnando il ritmo naturale e autentico dell’evoluzione sociale e culturale fi no ad arrivare ai nostri tempi. Dai tavoloni lunghi di legno con le pan-che da osteria, apparecchiate con la carta gialla e i “quartini” di vino, ai tavolini più eleganti con le tovaglie di fi andra e le slanciate bottiglie di Verdicchio. Dalla cucina iniziale, rappresentata soprattutto da coniglio e pollame al tegame, da trippa e interiora, dalla pasta fatta in casa, dal baccalà e pesce “povero” (sardoni, saraghina e frittura), si sarebbe arri-vati, nelle decadi successive, a menù più ricercati sempre più improntati alla cucina ittica. Memorabili, nel ricordo di tanti italiani che qui sono passati, i risotti di pesce della Cornelia e dell’Aldina,fi glie della Marianna, che negli anni ‘50 e ‘60 seppero portare avanti magnifi camente l’attività della loro mamma. Questa tradizione ha avuto una sua continuità inin-terrotta nelle gestioni successive. Chi non ricorda la Lucia, che era stata giovanissima cameriera e cuoca nella gestione di Cornelia e Aldina, con i suoi succulenti tagliolini allo scoglio e le splendide “rustide” di pesce. E, arrivando ai tempi più recenti, quella stessa tradizione è stata portata avanti magnifi camente dalla famiglia Delle Grazie fi no ad arrivare ai tempi attuali dell’Enrica che concentra in sé stessa, rinnovandola, quella generosa intra-prendenza caratteristica della Marianna.

giovanissima cameriera e cuoca nella gestione di Cornelia e Aldina, con i suoi succulenti tagliolini allo scoglio e le splendide “rustide” di pesce. E, arrivando ai tempi più recenti, quella stessa tradizione è stata portata avanti magnifi camente dalla famiglia Delle Grazie fi no ad arrivare ai tempi attuali dell’Enrica che concentra in sé stessa, rinnovandola, quella generosa intra-prendenza caratteristica della Marianna.

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Ricordare la storia della “Marianna” è una splendida, nostal-gica carrellata fra i vecchi personaggi del borgo. La cucina di allora era sostenuta oltre che dalla Marianna, dalla vecchia zia materna Nazzarena, detta “la frizouna” per la sua abilità

nei fritti di ogni genere. Poi c’era “Bisigna”personaggio del borgo, sem-plice e burlesco, costruiva casse da morto dove qualche volta per scherzo dormiva adagiato come un cadavere in vetrina nella sua bottega di fronte a tutti i borghigiani che lo vedevano passando: lui aiutava la Marianna a scaricare le botti del vino e nei lavori più pesanti. Poi c’era un certo Canini che provvedeva a tirare il collo alle galline e scuoiare i conigli. Gli avventori erano, innanzitutto, i borghigiani: le donne che andavano a comprare il vino per la famiglia, gli uomini che portavano da casa “e scartoz” costituito da quel poco mangiare che gli preparavano le mogli e loro consumavano in osteria comprando il quartino di sangiovese che spesso non pagavano ma segnavano col gesso sulle botti della Marianna (molte volte il gesso si cancellava e con lui il suo debito e la Marianna, ge-nerosamente, faceva fi nta di niente). C’era poco da guadagnare da questi personaggi, ma ci si arricchiva di tanta umanità.

L’osteria rappresentava il fulcro della socialità del borgo; qui ci si sfo-gava per le miserie e i drammi di ogni giorno, pure ci si divertiva nella festosa e allegra convivialità, perdendosi ore e ore nei mitici racconti dei borghigiani, a volte iperbolici fi no a sfociare nelle bugie più clamorose. Qui ci si raccontavano la cronaca e la storia, le imprese d’amore e quelle sportive; ci si prendeva in giro, ci si offendeva, nascevano liti violente so-stenute dal vino generoso, discussioni accanite sulla politica e sullo sport, ma anche solidarietà e grandi amicizie. Per i funerali venivano abbassate le saracinesche, per le feste e la domenica la Marianna preparava le sue frittelle. Poi c’erano i carrettieri di passaggio, “i strazerol”, per lo più di Gambettola. E c’erano le pescivendole della pescheria che, fi nita la loro giornata di lavoro, si fermavano dalla Marianna dandole da cucinare il pesce che loro rimaneva. C’erano militari e qualche forestiero. Di fuori, sotto l’odierna pensilina, spesso era presente con il suo bancale mobile Pino Amati che vendeva la torta “ad baghin”, e ”e sanguinaz” (sarebbe diventato, in seguito, il più grande imprenditore riminese nel commercio dell’olio, nell’edilizia e nei grandi alberghi, come l’ hotel Ambasciatori e l’hotel Bellevue, per ricordarne alcuni).

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I generi della Marianna, Filiberto e Pino, assieme alle sue fi glie Cor-nelia e Aldina, traghettarono la tradizione negli anni ‘50 e ‘60. La vecchia osteria si trasformava sempre più in trattoria e ristorante di pesce, pur mantenendo le sue radici nell’humus borghigiano. Con-

vivevano ancora l’osteria fumosa e chiassosa dove i vecchi continuavano a bere il vino e portare “e scartoz” e dove si perpetuava la narrazione delle antiche storie, e, accanto, sorgeva la sala ristorante vera e propria dove la clientela era cambiata.La “streda mestra” era nel frattempo divenuta la circonvallazione di Ri-mini dove circolavano camion, corriere e auto. Si fermavano a mangiare i camionisti di tutta Italia, approfi ttando anche dell’alloggio, servizio con il quale la trattoria si era evoluta in locanda: 16 camere riscaldate con bagno nei corridoi, “Trattoria Marianna con alloggio!”Durante la settimana, si fermavano tanti commessi viaggiatori e giovani militari di leva che nelle domeniche successive ritornavano con le fami-glie, avviando quel passaparola che avrebbe fatto conoscere la trattoria Marianna a Bologna e in tante città italiane. Arrivarono anche i primi turisti stranieri (svizzeri, francesi,…) che poi ritornavano ad ogni estate per cenare nel piccolo giardino delimitato da un’elegante staccionata di legno con fi oriere, antesignana di quella odierna della signora Enrica.

La trattoria Marianna diventava sempre più modaiola. D’estate si fer-mava Fred Buscaglione che nel borgo capitava spesso con la sua mitica cadillac rosa, e il cantante Giorgio Consolini, il pugile Cavicchi e tanti personaggi dello sport e politici allora molto in auge. Però l’autenticità del clima creato dalla Marianna continuava ad esistere con i vari personaggi che frequentavano la trattoria , quasi personaggi di famiglia più che clien-ti. Per Turin (detto “Purchera”), Armando “Bighin”, Mario Spadoni, il babbo di Dino, Nesanzio, era un appuntamento fi sso venire a bere un bicchiere di buon Sangiovese e fare due chiacchiere con Pinein e Filiber-to, generi della Marianna che,nel frattempo, era scomparsa anche se la sua presenza ancora aleggiava nella sala, dietro una porta, in un “canto-ne”… Per la Befana, la salettina piccola era imbandita esclusivamente per i bambini del borgo, che potevano gioire di una festosa giornata in trattoria in quei tempi ancora diffi cili per molte famiglie.

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La domenica suonava il banjo del mitico Mario dla Ben-da, musicista ambulante noto in tutta Rimini, che, a dir suo, si esibiva solo esclusivamente in alcuni locali scelti (”e mei ad Remin”), appunto dalla “Marianna” che lui aveva cono-

sciuto e apprezzato personalmente, così come Giovanni della “Vec-chia Rimini”, Bruno del “Ristorante Giardino da Bruno”. Suona-va solo pochi pezzi, con discrezione, per non disturbare i clienti. Questa tradizione, questa immagine forte della vecchia trattoria “Marian-na”, vissuta più come luogo di aggregazione che come spazio commerciale, impressa nella memoria collettiva di una comunità intera e luogo dell’anima (oltre che ottimo ristorante!), oggi continua a lasciare quello che possiamo letteralmente definire un “buon sapore” sulle papille e nel cuore dei riminesi.

Dal 1908 al 2013, il viaggio che la Marianna ha intrapreso continua ad annoverare episodi e ricordi nel suo diario di bordo e questo grazie a tutti coloro che, con rispetto e affetto, ne hanno fatto l’esperienza. In questo viaggio si sono incrociate le piccole storie di tante persone e queste sono le tracce che ancora parlano a distanza di tanti anni: ciascuna storia è importante, così come un ristorante a volte non è solo un ristorante e l’identità può costruirsi proprio sulle briciole, sulle macchie, sugli strappi lasciati sul tavolo, sulla “carta gialla”.

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testo Roberto Balducci nipote della Mariannaillustrazioni Marianna Balducci bisnipote della Mariannawww.marymarycomics.wordpress.comimmagini dall’archivio della famiglia Morri, Balducciprogetto grafi co

viale Tiberio, 19 - Borgo San Giuliano, Riminitel. 0541 [email protected]